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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI URBINO CARLO BO

DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI

CORSO DI LAUREA IN
SCIENZE UMANISTICHE. DISCIPLINE LETTERARIE,
ARTISTICHE E FILOSOFICHE.

GIULIA, LA FIGLIA DEL PRIMO


IMPERATORE

Relatore: Chiar.ma Prof. Tesi di laurea di:


Maria Cesa Giulia Coccia

ANNO ACCADEMICO 2018 - 2019


INDICE

Introduzione ..................................................................................................................... 3

I – Giovinezza di Giulia: situazione politica e familiare


I 1 Roma prima e dopo la nascita di Giulia .............................................. 5

I 2 I genitori di Giulia ................................................................................ 9

I 3 L’infanzia di Giulia ............................................................................ 12

II – I matrimoni di Giulia
II 1 I matrimoni e i divorzi a Roma ......................................................... 17

II 2 Promessa sposa sin da bambina ....................................................... 20

II 3 Il matrimonio con Agrippa ............................................................... 22

II 4 Le tormentate nozze con Tiberio ...................................................... 25

III – Giulia: una principessa in esilio


III 1 Circoli letterari e amanti ................................................................. 29

III 2 L’anno fatale: il 2 a.C ..................................................................... 33

III 3 L’esilio e gli ultimi anni .................................................................. 38

Appendice: l’esilio di Ovidio e di Giulia minore .......................................................... 44

Fonti Classiche ................................................................................................................. 48

Riferimenti bibliografici ................................................................................................. 49

2
INTRODUZIONE

Il tema principale di questa tesi è la figura di Giulia, la figlia di Augusto e il rapporto con
suo padre. È stato necessario, tuttavia, inserire l’argomento nel contesto storico di Roma alla
fine del I secolo a.C. accennando a temi come i matrimoni e i divorzi nell’Urbe e le leggi
augustee riguardanti l’adulterio.
Questi elementi, infatti, sono imprescindibili dalla figura di Giulia e senza di essi, sarebbe
difficile inquadrare le sue scelte di vita e i suoi comportamenti. Dunque presenterò una
piccola sintesi delle vicende di alcuni protagonisti del cambiamento più radicale della storia
di Roma: il passaggio da repubblica a impero.
Cambiamento di cui sono state protagoniste, in minima parte, anche le donne, nonostante
l’attività politica fosse una prerogativa esclusivamente maschile. Le matrone dovevano
soltanto svolgere i loro ruoli di mogli e madri, per assicurare alla comunità future generazioni
di cittadini. Erano esortate ad operare solo all’interno del perimetro domestico e le loro
uniche competenze, oltre a dedicarsi alla filatura, erano di occuparsi dei figli e di controllare
le attività dei servi domestici1.
Dunque è difficile avere informazioni sulla vita di una donna prima che si fosse sposata;
le notizie riguardanti la giovinezza di Giulia sono reperibili soprattutto nei testi che avevano
come oggetto il padre, Ottaviano Augusto.
Inoltre, a tramandare la storia civile e sociale di Roma erano scrittori e poeti uomini, i
quali rappresentavano le donne con stereotipi maschili, come il tribuno Lucio Valerio che
sosteneva che la donna fosse un animale irrazionale, inadatta per natura ad assumere
responsabilità nella comunità; la sua intromissione al governo dello stato avrebbe prodotto
danni ingenti e il ribaltamento dell’ordine politico e sociale2.
Spesso i giudizi erano condizionati dalla propaganda e dalla ideologia che volevano
trasmettere; ad esempio, Tito Livio, in modo conforme alle riforme augustee che volevano
far tornare in auge il mos maiorum, parla di “imbecillus sexus”, il cosiddetto sesso debole.
Secondo lo storico il “benessere dello stato è assicurato dal corretto funzionamento dei

1
Cfr. F. Cenerini, La donna romana. Modelli e realtà, Il Mulino, Bologna, 2002, pp. 11-45.
2
Cfr. F. Rohr Vio, Le custodi del potere. Donne e politica alla fine della repubblica romana, Salerno Editrice,
Roma, 2019, p. 9.

3
rapporti tra i sessi, proprio di una società patriarcale” dove vi è la supremazia del pater
familias.3
Una ricostruzione della vita femminile più conforme alla realtà, dunque, necessita di
diversi tipi di fonti: un numero elevato di notizie, infatti, ci vengono fornite dalle iscrizioni
di diversa destinazione e utilizzazione (sepolcrali, onorarie, contratti e documenti) che ci
descrivono spesso una donna ideale, moglie fedele, madre severa, dedita alla casa e alla
famiglia.
Nel corso dell’età repubblicana, tuttavia, le matrone cercarono di guadagnarsi spazio
anche nei contesti pubblici, dalle strade al foro, che erano per tradizione luoghi esclusivi agli
uomini. In particolare, tre episodi, datati tra il 43 e il 42 a.C., sono fondamentali per capire
questo mutamento: l’azione di Fulvia, quella di Giulia e il discorso di Ortensia 4. Azioni
impensabili per i cittadini della Roma arcaica o repubblicana; probabilmente furono uno
spunto per Augusto per la sua politica di restaurazione del mos maiorum.
Le sue leggi Giulie, appunto, cercarono di risistemare i matrimoni e i divorzi, ma anche
il ruolo delle donne. Voleva far tornare nella società romana i valori dei patres che avevano
fondato e governato Roma nei primi secoli. Per questo motivo, egli cercò di fare da esempio
per tutti i cittadini, mostrando, con una grandissima opera di propaganda, come la sua vita e
quella della sua famiglia, fosse di ritorno alle origini e ai boni mores.
Giulia nacque e visse i primi anni della sua vita in questo clima di restaurazione degli
antichi valori, tuttavia, da adulta, intraprenderà una vita tanto controcorrente che verrà
condannata all’esilio dal suo stesso padre.

3
F. Cenerini, La donna romana, cit., p. 21.
4
Cfr. B. Manzo, La parola alle matrone. Interventi femminili in sedi pubbliche nell’età tardo repubblicana in
F. Cenerini e F. Rorh Vio (a cura di), Matronae in domo et in re publica agentes – spazi e occasioni dell’azione
femminile nel mondo romano tra tarda repubblica e primo impero, EUT Edizioni Università di Trieste, Trieste.
2016, pp. 121-136.

4
I – GIOVINEZZA DI GIULIA: SITUAZIONE POLITICA E
FAMILIARE

Giulia visse in un periodo intenso e allo stesso tempo delicato per la storia di Roma, il
passaggio da Repubblica a Impero, e il responsabile di questo cambiamento fu proprio suo
padre. È quindi opportuno inquadrare il contesto storico e quello familiare nel periodo
precedente e immediatamente successivo alla nascita della figlia del princeps.

I 1 – Roma prima e dopo la nascita di Giulia5

Dopo la congiura delle idi di Marzo del 44 a.C. in cui il dittatore Gaio Giulio Cesare
venne assassinato in senato, il suo giovanissimo nipote e figlio adottivo Ottaviano ereditò
gran parte della sua fortuna personale, divenendo subito una figura di spicco. Fin dagli inizi
cercò di entrare nelle grazie dei senatori più influenti, i quali decisero di usarlo contro Marco
Antonio, console nel 44 con Cesare e suo fedele collaboratore. Alla morte del dittatore,
infatti, fu a capo della reazione contro i congiurati e sembrò mirare anche alla successione,
provocando la reazione di Ottaviano che invece era stato designato come legittimo erede da
Cesare stesso.
Nel 43 a.C. Antonio, grazie alla lex de permutatione provinciarum, ottenne il
proconsolato nella provincia più vicina a Roma e da cui era più facile controllare il governo,
la Cisalpina; tuttavia essa era governata da Bruto, uno dei cesaricidi più attivi, che rifiutò di
abbandonarla. Per questo motivo, Antonio assediò Bruto a Modena e il senato decise un
intervento armato per porre fine all’assedio. Ottaviano in questa occasione mise a
disposizione il suo esercito personale ottenendo dal senato un comando propretorio per poter
attaccare Antonio che fu battuto e quindi costretto ad allontanarsi con l’esercito verso la
Gallia, dove c’era un altro generale cesariano: Marco Emilio Lepido.
Ottaviano, tornato a Roma, si accampò con il suo esercito alle porte della città attuando
un colpo di stato e facendosi eleggere console in sostituzione di Irzio e Pansa, caduti in

5
Per il contesto storico, ho reperito le informazioni in, A. Schiavone et al. (a cura di), Storia di Roma, Giulio
Einaudi Editore, Torino, 1990, v. II n. 1, Giulio Einaudi Editore, Torino 1991 v. II n. 2; G. Clemente, Guida
alla storia romana, Mondadori, Milano 1977; A. H. M. Jones, Augusto. Vita di un imperatore, traduzione di
F. Totaro, Mondadori, Milano, 1982.

5
battaglia. I suoi soldati però erano cesariani come quelli di Lepido ed Antonio e non
avrebbero mai accettato di scontrarsi con i loro ex commilitoni; quindi i tre furono costretti
ad un accordo, nel novembre del 43 a.C., il cosiddetto secondo triumvirato. A differenza del
primo che fu un accordo privato6, il secondo fu una magistratura costituente, di durata
quinquennale, istituito da una legge che prevedeva una spartizione di compiti, eserciti e
territori tra i triumviri per il governo dell’impero: Antonio ebbe la Gallia Cisalpina e Comata,
Lepido la Gallia Narbonese, la Spagna Ulteriore e quella Citeriore e Ottaviano la Sicilia, la
Sardegna e l’Africa. Queste ultime province, che non avevano alcuna importanza
militarmente, geograficamente mal situate dal momento che il mare le separava l’una
dall’altra, erano poco sicure da quando Sesto Pompeo, figlio di Gneo Pompeo Magno, aveva
assunto, per incarico del senato, un comando navale e aveva armato una potente flotta.
Venne immediatamente varato un provvedimento legislativo, la lex Pedia de
interfectoribus Caesaris, con il quale si intendeva colpire coloro che ebbero un ruolo diretto
o indiretto nella congiura che portò all’uccisione di Cesare. Vennero, dunque, varate le liste
di proscrizione7, di cui i triumviri se ne servirono per colpire i propri nemici, mettendoli
fuori legge come rei di alto tradimento e quindi non solo permettendo a tutti di ucciderli, ma
anche confiscandone i beni. L’esempio più clamoroso fu l’uccisione di Cicerone, fortemente
voluta da Antonio, in quanto l’oratore lo aveva attaccato con una serie di discorsi, chiamati
le “Filippiche” tra il 44 e il 43 a.C.
Per quanto riguarda i cesaricidi, nel 42 a.C. fu stabilito che Lepido, rivestendo il consolato
in quell’anno, restasse in Italia, mentre Ottaviano ed Antonio a capo dell’esercito romano, si
dirigevano nella Grecia settentrionale, dove vi erano stanziati Bruto e Cassio, i quali, non
essendo riusciti ad impadronirsi del potere dopo le idi di marzo del 44 a.C., stavano cercando
di organizzare una sollevazione delle forze repubblicane presenti sul posto. La questione si
risolse nell’ottobre del 42 a.C., nei pressi di Filippi, cittadina della provincia della
Macedonia. La battaglia fu vinta dalle legioni cesariane, soprattutto per merito di Marco
Antonio, e segnò la fine del partito repubblicano: tutti i leader erano presenti, la maggior

6
Il primo triumvirato venne stipulato nel 60 a.C. da Gaio Giulio Cesare, Gneo Pompeo Magno e Marco Licinio
Crasso e prevedeva una serie di promesse a cui i tre dovevano adempiere per darsi aiuto reciproco. Fu un
accordo privato e non aveva valore ufficiale.
7
Nella pratica giuridica romana, la proscrizione era in origine l’affisso che annunciava la vendita pubblica dei
beni di un debitore. Passò poi a significare tutte le pene che, includendo la confisca dei beni, portavano la loro
vendita, e quindi soprattutto l’esilio, per la possibilità che ogni romano aveva di commutarsi la pena di morte
in esilio, allontanandosi prima che la pena fosse stata formalmente stabilita.

6
parte di loro morì in battaglia e altri, come Bruto e Cassio, si suicidarono. Molti sopravvissuti
trovarono rifugio presso Sesto Pompeo che si era nel frattempo impossessato della Sicilia.
I vincitori si accordarono: Marco Antonio si occupò delle province orientali; Ottaviano
assunse l’incarico di sistemare i veterani in Italia; Lepido, accusato di tradimento per aver
trattato con Sesto Pompeo, venne privato del controllo di alcune province. Ottaviano, tornato
in Italia, strappò a Lepido la Spagna, mentre le due Gallie passavano ad Antonio; a Lepido,
che accettò in silenzio le disposizioni degli altri due triumviri, venne ceduta la sola Africa.
Per la sistemazione dei veterani, il futuro princeps dovette imbattersi in numerose
difficoltà: egli doveva necessariamente appoggiarsi alle truppe ed esaudirne tutte le richieste,
non avendo autorità o forza sufficiente per resistere; d’altra parte, doveva cercare di
fronteggiare i molti seguaci di Antonio in Italia, che vedevano con preoccupazione la
possibilità che Ottaviano sfruttasse a proprio vantaggio le assegnazioni agrarie per scalzare
l’autorità di Marco Antonio. Inoltre, mancava il denaro per l’acquisto delle terre e dovette
espropriare i proprietari terrieri di diciotto città; ciò destò un grande scalpore a cui si
aggiunse l’attacco di Sesto Pompeo alle navi cariche di grano provenienti dall’Africa che
causarono la fame a Roma.
Uno dei consoli del 41 a.C., Lucio Antonio, fratello di M. Antonio, approfittando dei
problemi che Ottaviano stava avendo per fronteggiare il malcontento degli Italici danneggiati
dalle assegnazioni di terra ai veterani, concepì l’ambizioso disegno di salvare la posizione
del fratello promuovendo un movimento ostile al triumvirato. Ne derivò la disastrosa guerra
di Perugia, a cui partecipò anche la moglie di Antonio, Fulvia, che Ottaviano riuscì a vincere
sia per l’appoggio di Marco Vipsanio Agrippa, sia perché i generali antoniani in Italia non
si impegnarono, non conoscendo le intenzioni di Marco Antonio. Tuttavia, il futuro princeps
era ancora in posizione di inferiorità militare di fronte ad Antonio, che disponeva di forze
anche in Occidente e di forti appoggi in Italia.
Per Ottaviano il pericolo maggiore era rappresentato da Sesto Pompeo, che, oltre a
mantenere il blocco e a saccheggiare le coste italiche, si anche impossessato della Sardegna.
Il futuro princeps, dunque, tentò un riavvicinamento per via matrimoniale: sposò Scribonia,
una zia della moglie di Sesto.
Con l’incontro e gli accordi di Brindisi, nell’ottobre del 40 a.C., venne previsto la
continuazione del triumvirato: Antonio ebbe tutte le province orientali; Ottaviano riuscì ad
ottenere il pieno controllo di tutte le province occidentali, a Lepido venne lasciata solo
l’Africa. Pompeo, escluso dall’accordo, persisteva nella sua politica di blocco, provocando

7
scarsità di viveri e aumento dei prezzi; Ottaviano era deciso a toglierlo di mezzo ma per
ottenere i fondi per l’allestimento di una flotta, impose nuove tasse.
Ciò scatenò dei disordini che richiesero l’intervento delle truppe; e alla fine, i triumviri
si decisero ad aprire trattative con Pompeo; venne stipulato un accordo, nel 39 a.C. a Miseno,
mediato da Scribonio Libone, il quale, dal 40, cognato di Ottaviano, ma era anche il suocero
di Sesto Pompeo. Con l’accordo, Pompeo mantenne le regioni occupate, gli fu concessa
un’indennità di guerra e a tutti coloro che si erano rifugiati presso di lui furono concessi il
ritorno e la restituzione del patrimonio immobiliare.
Nel 38 a.C., però, le controversie si riaccesero: Menodoro, liberto di Pompeo e
governatore di Sardegna e Corsica, passò dalla parte di Ottaviano e gli consegnò le due isole
insieme alla flotta e all’esercito. I risultati delle successive operazioni contro la Sicilia però
furono disastrosi e il futuro Augusto chiese l’aiuto di Lepido ed Antonio; il primo fece finta
di niente, mentre il secondo gli consegnò 120 navi.
Richiamò inoltre dalla Gallia il suo fedele generale Vipsanio Agrippa a cui affidò il
governo della guerra che fu portata a termine nel 36 con la battaglia di Nauloco. Pompeo
cercò rifugio in Asia Minore dove fu ucciso nel 35 a.C. dai generali di Antonio.
La vittoria cambiò radicalmente la posizione di Ottaviano, non soltanto in Italia: per il
popolo romano apparve come il salvatore e divenne oggetto di onori eccezionali, come la
carica di Pontefice Massimo: si avviava a diventare il garante dell’ordine politico e sociale.
Negli anni in cui Giulia nasceva e trascorreva i suoi primi anni di vita, il padre era intento,
dunque, a organizzare una vasta opera di propaganda per valorizzare se stesso, presentandosi
come il difensore delle tradizioni romane e italiche, e nello stesso tempo per screditare il
rivale Antonio poiché aveva assunto atteggiamenti sempre più estranei alla mentalità
romana.
L’errore di Antonio, di cui si servì Ottaviano per condizionare le opinioni dei senatori,
fu di fondare un sistema di governo ad Oriente basato su una dinastia: nominò Cleopatra
come regina dei re e assegnò ai figli di lei il controllo di alcuni territori che aveva
conquistato: Tolomeo Cesare, chiamato Cesarione, nato dall’unione con Giulio Cesare,
governava l’Egitto e Cipro con la madre; Alessandro Helios, Cleopatra Selene e Filadelfo,
figli avuti con il triumviro, ebbero rispettivamente l’Armenia, la Cirenaica e la Cilicia.
Il risultato politico ci fu nel 32 a.C., quando Ottaviano, che con la sua propaganda cercava
di servirsi dell’odio dei romani nei confronti della sovrana egiziana, venne incaricato di
condurre la guerra contro la regina nemica: venne presentata come una guerra allo straniero

8
ma di fatto fu una vera e propria guerra civile. Lo scontro decisivo, la battaglia di Azio del
31 a.C., in pratica non si combattè, in quanto Antonio decise di seguire Cleopatra che era
fuggita in Egitto. Qui, nel 30, dopo una inutile resistenza ad Ottaviano, i due si uccisero e il
futuro Augusto si ritrovò ad avere un potere assoluto.
Nel 27 a.C., quando Giulia aveva solo 12 anni, il senato conferì al padre una serie di poteri
ed onori che costituirono una prima soluzione al problema costituzionale e alla sua
permanenza al vertice: un imperium sulle province non pacificate, dove vi erano ancora
stanziati gli eserciti, il titolo onorario di Augusto e il riconoscimento del ruolo di princeps
senatus. Nel 23 a.C. si diede finalmente il volto definitivo ai poteri imperiali: abbandonato
il consolato che aveva tenuto ininterrottamente dal 31, Augusto ebbe un imperium
proconsolare su tutte le province, il comando quindi di tutto l’esercito, e la tribunicia
potestas, ovvero il potere tribunizio che gli dava il controllo della vita politica di Roma
(poteva convocare assemblee, proporre leggi ed esercitare il diritto di veto; già nel 36 gli era
stata attribuita la Sacrosanctitas tipica dei tribuni)
Al vertice dello stato, dunque, si insediava un uomo solo, con poteri richiamabili a tutta
la tradizione repubblicana, ma considerato solo come il migliore tra i suoi pari, i senatori.
Roma ormai era pronta per diventare un impero.

I 2 – I GENITORI DI GIULIA

Gaio Giulio Cesare Ottaviano, quando era triumviro, si sposò tre volte nel giro di soli
quattro anni; inoltre, a diciannove anni, quando muoveva i primi passi sulla scena politica,
ebbe anche una fidanzata della quale parla Svetonio8:

“Giovanissimo era stato fidanzato con la figlia di Publio Servilio Isàurico. Ma poi,
riconciliandosi, dopo il primo contrasto, con Antonio, poiché i soldati dell’uno e
dell’altro chiedevano che i due si legassero anche con un vincolo di parentela, sposò
una figliastra di Antonio, Claudia, che Fulvia aveva avuto da Publio Clodio: era
ancora poco più che una bambina, e quando scoppiò un attrito tra lui e la suocera
Fulvia, la rimandò ancora vergine e intatta.”

8
Svet. Div. Aug. 62 (trad. di F. Casorati, in G. Svetonio. Vita dei Cesari, a cura di F. Casorati, Newton Compton
editori, Roma, 1995).

9
Il motivo di questa << simultate >>, usando le parole di Svetonio, è da rintracciare nel
contesto della guerra di Perugia del 41 a.C. dove <<sopravvenne […] un aperto dissidio con
il partito antoniano capitanato in Italia – Antonio assente – dalla neosuocera Fulvia>> 9.
Nel 40 a.C., a 22 anni, si unisce a Scribonia, più anziana di lui e sorella di Lucio Scribonio
Libone, il suocero di Sesto Pompeo. L’obiettivo di questo secondo matrimonio era di
avvicinarsi a Sesto Pompeo per evitare una sua possibile alleanza con Marco Antonio.
L’anno successivo alle nozze, Scribonia partorisce Giulia, la prima e destinata ad essere
anche l’unica figlia di sangue di Ottaviano; tuttavia, il futuro imperatore ripudia la moglie lo
stesso giorno del parto e sottrae a Tiberio Claudio Nerone la moglie Livia Drusilla, la quale
era ancora incinta di Druso e già madre del futuro imperatore Tiberio10.
La fine di questo matrimonio era formalmente imputata ai costumi licenziosi della donna,
come afferma Svetonio “anche da questa divorziò, nauseato […] dalla sregolatezza dei
costumi di lei”11; in realtà traduceva in atto una precisa inversione di rotta nella politica del
futuro princeps.
Livia, politicamente, era più appetibile di Scribonia in quanto apparteneva alla
nobilissima gens Claudia e quindi esponente della nobilitas conservatrice; Ottaviano invece,
appartenendo alla gens Giulia, era un esponente dell’aristocrazia rivoluzionaria e quindi in
lei vide una soluzione per <<una pacificazione generale con le famiglie della nobilitas
compromesse nelle guerre civili, e soprattutto con i più illustri tra i suoi esponenti già esiliati
e proscritti>>12. Di fatto, Livia era figlia e moglie di due proscritti: il padre era Marco Livio
Druso Claudiano, esponente della vecchia gens Claudia che era stato anche entrato a far
parte per adozione nella gens Livia, operazione che serviva per unire due famiglie; il marito
Tiberio Claudio invece era suo cugino e apparteneva anch’egli alla gens Claudia. Il primo
era stato proscritto perché appoggiò Bruto e Cassio, il secondo perché nella guerra di Perugia
combattè per gli antoniani13.
Tuttavia, Ottaviano non sposò Livia solo per motivi politici e diplomatici; egli se ne
innamorò a prima vista, come ci informa Tacito14:

9
L. Braccesi, Giulia, la figlia di Augusto Editori Laterza, Roma-Bari, 2012 p.4.
10
Cfr. U. Agnati, Giulia, la figlia di Augusto, la politica al di là della leggenda nera, <<Athenaeum>>, vol.
103/1 (2015), pp. 197-203.
11
Svet., Div. Aug, 62 (trad. F. Casorati, vd. nota 8).
12
Braccesi, op. cit., p. 8.
13
Cfr. loc. cit. nella nota precedente.
14
Tac. Ann. 5, 1, 1-2 (trad. di A. Arici, in P. C. Tacito, Annali, a cura di A. Arici, UTET, Torino, 2° ediz. 1969,
ristampa 1983, vol. I).

10
“Successivamente Cesare, invaghitosi della sua bellezza, la portò via al marito, non
sappiamo se contro la volontà di lei, e ciò fece con tante fretta che non le lasciò
neppure il tempo di partorire e la condusse gravida in casa sua.”

Il giovane Ottaviano riuscì quindi a conciliare il vantaggio dello stato con quello
personale e ciò fu un bene per la futura stabilità dello stato. Inoltre, non dovette neanche
scontrarsi con Tiberio Claudio Nerone che cedette la sua moglie gravida senza opporsi,
probabilmente perché ne avrebbe tratto un qualche vantaggio anch’egli.
La data del divorzio e quella del nuovo matrimonio rimangono controverse in quanto
Ottaviano non aspettò le nozze per portare Livia nella sua domus, ma lo fece durante il loro
fidanzamento; inoltre non è chiaro se Ottaviano si fosse preoccupato, nei giorni
immediatamente successivi al parto, della sua ex moglie Scribonia15. I due, tuttavia, non
ebbero dei dissidi personali in quanto Ottaviano consentì alla madre di sua figlia di
mantenere il nome che aveva acquisito con il loro matrimonio, da come si evince da due
epigrafi urbane che ci hanno tramandato il suo nome: una si riferisce a ex domo Scriboniae
Caesar(is) libertorum libertar(um), et qui in hoc monument. contulerunt; l’altra a un certo
Dipirus Antigoni vicar. / beneficio Heliconis / Scriboniae Caesaris / vestificis 16. Ciò che
appare singolare, è il fatto che la stessa Scribonia, continuasse ad usare, molti anni dopo il
ripudio, il nome Scribonia Caesaris; “evidentemente fu la stessa Scribonia a voler mantenere
questa indicazione che continuava a connotarla come “moglie di Cesare”, anche […] quando
ormai la stessa Scribonia era passata a nuove nozze […] con Publio Cornelio Scipione”17.
Livia svolgerà un ruolo di primaria importanza nell’infanzia di Giulia e degli altri fanciulli
che risiederanno nella casa del futuro princeps: nella domus sarà l’interprete della
restaurazione degli antichi costumi proposta da Augusto.

15
Cfr. E. Fantham, Julia Augusti, the Emperor’s daughter, Routledge, London-New York, 2006 p. 22.
16
A. Fraschetti, La damnatio memoriae di Giulia e le sue sventure in A. Bonopane, F. Cenerini (a cura di), Atti
del secondo seminario sulla condizione femminile nella documentazione epigrafica, Verona, 25-27 marzo
2004, Fratelli Lega Editori, Verona, 2005, pp. 13-25.
17
Ibid. p. 14.

11
I 3 – L’INFANZIA DI GIULIA

Sono alquanto scarse le informazioni sui primi anni di vita di Giulia e su dove li abbia
trascorsi. Come abbiamo visto, Ottaviano, a quel tempo, era impegnato a lottare contro Sesto
Pompeo e Marco Antonio.
Si può ipotizzare che, data l’intensa attività politica di Ottaviano, almeno per i primissimi
mesi, Giulia abbia vissuto con la madre. Secondo Braccesi, invece, Giulia rimase nella casa
paterna in quanto i figli, in caso di divorzio dei genitori, rimanevano con colui/colei che si
risposava; dunque la neonata dovette essere affidata subito alle cure di Livia, o almeno di
una serva dato che la nuova consorte di Ottaviano era incinta18. Una volta che ella partorì il
suo secondogenito Druso, il neonato fu consegnato al padre Tiberio Claudio, il quale, alla
sua morte, avvenuta poco tempo dopo, nominò Ottaviano come tutore di entrambi i suoi figli
avuti da Livia: i due bambini dunque si trovarono a passare l’infanzia con Giulia.
Nel 32, inoltre, la casa si arricchì anche della presenza di altri bambini: i figli di Ottavia.
Ai fini della comprensione del complesso sistema di alleanze e vincoli familiari a Roma,
dedicherò un piccolo spazio alla figura di quest’ultima. Negli anni del secondo triumvirato,
Ottaviano coinvolse la sorella, a cui era molto affezionato, nelle sue strategie diplomatiche,
offrendola a Marco Antonio in matrimonio. Ottavia al tempo aveva già tre figli: Claudia
Marcella maggiore, Claudia Marcella minore e Marco Claudio Marcello, avuti dal suo primo
marito Gaio Claudio Marcello, che era morto alla fine del 41, lasciandola incinta del terzo
figlio. Contemporaneamente, anche Marco Antonio rimase vedovo, perdendo Fulvia che gli
aveva dato due figli: Marco Antonio Antillo e Iullo Antonio. La tradizione ha reso Ottavia
un modello di lealtà sia nei confronti di suo fratello, sia in quelli di suo marito, nonostante
quest’ultimo avesse già conosciuto Cleopatra e avuto due gemelli da lei nel 40 a.C.
Marco Antonio e Ottavia divorziarono solo nel 32 a.C., lo stesso anno della fine
dell’accordo triumvirale e dell’inizio della guerra contro l’Egitto; la sorella del futuro
princeps venne accolta nella casa del fratello e di Livia insieme ai suoi figli: i tre avuti da
Claudio Marcello, le due avute da Marco Antonio (Antonia maggiore e Antonia minore) e

18
Cfr. Braccesi, op. cit. p. 23.

12
Iullo Antonio, di cui si era sempre presa cura19. Antonio Antillo, il più grande dei figli di
Marco Antonio, rimase in oriente con il padre.
I bambini, che si trovavano a vivere nella domus di Ottaviano in quegli anni, avevano
pochi anni di differenza: Iullo era il più grande e aveva 13 anni, Giulia ne aveva 7, Druso ne
aveva 6, Tiberio, nato nel 42, aveva 10 anni, la stessa età di Claudio Marcello; le due Claudie
Marcelle invece pochi anni in più, mentre le due Antonie qualche anno in meno.
La casa sul Palatino era sicuramente spaziosa, ma anche relativamente modesta: non era
certo una villa che ci si aspettava da un uomo che aveva una posizione sociale come quella
di Ottaviano. Della sua domus, abbiamo notizie da Svetonio20:

“poi sul Palatino, ma anche lì nella modesta casa di Ortensio, che non si
distingueva né per vastità né per eleganza: c’erano solo brevi portici di colonne
Albane; e le sale non avevano né marmi né pavimenti particolari. Per più di
quarant’anni rimase a dormire, estate e inverno, nella stessa camera […]. Le ville
grandi e impegnative non gli piacevano. […] per quanto modeste, dotò non tanto
di statue o di quadri quanto di colonnati e di boschetti e di oggetti antichi e rari.”

Egli, dunque, si compiaceva della sua mensa frugale, della sua camera da letto disadorna
e delle sue toghe ricavate da lana tessuta nella casa dalle schiave sotto il controllo diretto di
Livia21. La domus sul Palatino venne abbandonata dopo la morte di Ottaviano ma rimase
intatta finché non fu riportata alla luce dagli archeologi nel 1869, i quali scoprirono un’altra
casa, molto più piccola e sicuramente parte del complesso familiare della prima. Questa
seconda abitazione venne identificata come “casa di Livia” poiché vi è stato rinvenuto un
tubo di piombo marchiato con il nome “IULIA AUG [USTA]”, denominazione di cui venne
insignita appunto la moglie del princeps dopo la morte di quest’ultimo. Da bambina, Giulia
avrebbe vissuto nella casa più grande di Augusto, ma senza dubbio visitava la casa più
piccola abbastanza spesso22.
Secondo Ottaviano, la sua famiglia doveva essere per tutti i cittadini un esempio da
seguire per i suoi costumi plasmati su quelli degli antenati, conformi al suo programma di
restaurazione del mos maiorum.

19
Cfr. Braccesi, op. cit. p. 27.
20
Svet. Div. Aug. 72 (trad. F. Casorati, vd. nota 8).
21
Per eventuali approfondimenti sullo stile di vita di Augusto, cfr. Svet. Div. Aug. 73-74-75-76.
22
Per la “casa di Livia” cfr. Fantham, op. cit., p. 70; cfr. F. Coarelli, Guida archeologica di Roma, Mondadori,
Roma, 1974.

13
Il valore di exemplum, che il padre voleva dare al proprio stile di vita non conciliava,
però, con i suoi reali comportamenti: alle ragazze della casa, soprattutto a Giulia, la sua vita
doveva sembrare ipocrita. Delle relazioni extraconiugali di Ottaviano ci informa Svetonio:
“che egli commettesse adulteri, non lo negano neanche i suoi amici”23. Addirittura Livia
sembra essere coinvolta: “Non seppe guardarsi dalle libidini, stuprando, secondo che
dicevasi, principalmente le fanciulle, che Livia stessa gli procurava da ogni parte”24.
Non era quindi facile per le ragazze, e poi anche per le figlie di Giulia, accettare i rigidi e
severi costumi del pater familias; ancora Svetonio fa riferimento alla rigida educazione
imposta dal padre a tutte le adolescenti della sua casa:

Volle che la figliuola e le nipoti fossero educate in modo da avvezzarsi anche a filare,
vietando loro di dire o di far cosa alcuna, se non in palese, e tale da poter esser notata
nel giornale di famiglia. Le teneva poi talmente lontane da ogni commercio con gli
estranei, da scrivere un giorno a Lucio Vinicio, bello e illustre giovane,
rimproverandolo di poca convenienza per esser andato a Baia a salutare la sua
figliuola25.

L’educazione di Giulia, seppur non sempre affidata al padre, sicuramente sarà stata ottima
e affidata ai migliori maestri, i quali <<ne hanno saputo sollecitare l’amore per la letteratura
e la passione per la cultura>>26. Il crescere delle inclinazioni letterarie sicuramente la
portarono a riallacciare rapporti con la madre Scribonia, anch’ella amante della letteratura27.
Infatti, la matrona ripudiata acquistò dal grammatico Orbilio, il famoso maestro di Orazio,
un dotto schiavo greco, che in seguito liberò col nome di Scribonio Afrodisio28. Secondo
Fantham, che suppone che madre e figlia abbiano vissuto insieme almeno negli ultimi anni
di infanzia della bambina29, Scribonia procedette all’acquisto del maestro proprio per
l’educazione di Giulia.

23
Svet. Div. Aug. 69 (trad. F. Casorati, vd. nota 8).
24
Svet. Div. Aug. 71 (trad. F. Casorati, vd. nota 8).
25
Svet. Div. Aug. 64 (trad. F. Casorati, vd. nota 8).
26
Braccesi, op. cit. p. 21.
27
Agnati, Giulia, la figlia di Augusto. cit. p. 199.
28
Questa informazione ci è fornita, seppure indirettamente, da un lemma (§ 19) del trattatello di Svetonio, Sui
grammatici e i retori: “Scribonio Afrodisio, schiavo e discepolo di Orbilio – da Scribonia, figlia di [Scribonio]
Libone, che fu la prima moglie di Augusto, ricomprato e reso libero – insegnò nell’età di Verrio, del quale
riscrisse i libri De orthographia”.
29
Fantham, op. cit. p. 22.

14
Su tutti i compiti impartiti alle giovani, dalla filatura della lana, alla stesura a fine giornata
del diario giornaliero, dall’istruzione agli incontri con estranei, vigilava Livia, la domina
della casa, di cui la tradizione lascia un giudizio ambiguo: talvolta angelo del focolare e
madre amorosa talvolta “gravis in rem publicam mater, gravis domui Caesarum noverca” (
madre più nefasta allo stato e matrigna più nefasta alla casa dei Cesari), come la descrive
Tacito30.
Ottaviano, inoltre, in quanto pater familias, decideva non solo la condotta delle ragazze
che vivevano nella sua casa, ma anche a chi dovevano andare in sposa. Marcella maggiore
venne data in moglie a Marco Vipsanio Agrippa poi a Iullo Antonio; la minore a Paullo
Emilio Lepido e poi a Marco Messalla Appiano; Antonia maggiore sposò Lucio Domizio
Enobarbo e la minore Druso, dalla cui unione nacque Germanico.
Ai matrimoni della nostra Giulia, dedicherò il secondo capitolo.

30
Tac. Ann. 1, 10, 5 (trad. di Lorenzo Braccesi, op. cit. p. 22).

15
Figura 1. https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/9/96/Giulio-Claudia.png

16
II - I MATRIMONI DI GIULIA

La vita delle donne romane aristocratiche era essenzialmente determinata dai loro
matrimoni; così anche la storia di Giulia fu inevitabilmente plasmata dai suoi matrimoni e
dai loro esiti. Prima di parlarne, dedicherò un paragrafo ai matrimoni e ai divorzi a Roma,
alle leggi in riguardo emanate da Ottaviano Augusto e riporterò un esempio relativo ad
un’altra Giulia, la figlia di Gaio Giulio Cesare.

II 1 – I matrimoni e i divorzi a Roma

A Roma, il matrimonio era di tipo monogamico, anche se il marito poteva avere molte
concubine, e patrilocale, ovvero che la donna entrava a far parte della famiglia del marito; i
figli, inoltre, dovevano avere il nome del padre o quello del gentilizio31. Le nozze
prevedevano anche una dote, ossia un trasferimento di beni economici dalla famiglia della
donna a quella del marito. Nel corso dei secoli, le forme del matrimonio cambiarono: in
origine era di tipo cum manu, ovvero che la donna, dopo le nozze, passava dal potere assoluto
del proprio padre a quello del marito, se costui era sui iuris, quindi autonomo e non più
sottoposto alla potestas del padre, altrimenti a quello del suocero; a partire dal II sec. a.C. si
affermò invece il matrimonio sine manu, in cui la donna e i suoi beni restavano alla famiglia
d’origine32. La diffusione di questa seconda forma permetteva una maggiore libertà alle
donne in quanto non erano soggette al potere economico del marito come erano state invece
a quelle del pater familias: potevano disporre dei propri beni a loro piacimento.
I matrimoni di Giulia, la figlia di Augusto, furono tutti nella forma sine manu e ciò spiega
la sua indipendenza e la sua autonomia nei confronti dei suoi tre mariti: Marco Claudio
Marcello, Marco Vipsanio Agrippa e Tiberio, il figlio di Livia.
Gli uomini si sposavano solitamente intorno ai 25 anni, dopo qualche anno di servizio
militare e qualche esperienza politica; le donne, invece, divenivano spose tra i 15-20 anni33.
Ciò era dovuto al fatto che la famiglia non sentiva il bisogno di trattenere

31
Cfr. F. Cenerini, La donna romana. cit., p. 29.
32
Cfr. Ibid. p. 30-31.
33
Cfr. Fantham, op. cit., p. 1.

17
la figlia a casa per darle un’istruzione e in parte per la paura che, dopo la pubertà, la
ragazza perdesse la verginità che era un prerequisito fondamentale per il matrimonio.
La giovane sposa avrebbe imparato come gestire la famiglia osservando la madre prima
e gli schiavi della sua nuova famiglia poi; tuttavia il suo principale compito era quello di
assicurare la continuazione della gens partorendo dei figli. Naturalmente, c’era anche la
possibilità che i giovani sposi non riuscivano ad avere una prole: sono molti i casi di aborti
spontanei o di neonati morti dopo solo pochi giorni di vita; inoltre numerose donne morivano
di parto o per complicazioni nei giorni successivi. Giulia, la figlia di Giulio Cesare, ne è un
esempio: mori di parto a 22 anni (54 a.C.) mentre dava alla luce il figlio avuto da Gneo
Pompeo Magno.
Il loro matrimonio merita un’attenzione particolare in quanto è un ottimo esempio di come
le nozze sancivano alleanze tra due famiglie, e in questo caso l’accordo politico tra i due
grandi generali, Cesare e Pompeo; inoltre fu un’unione caratterizzata dal grande affetto che
Giulia nutriva nei confronti del marito. Al giorno d’oggi è il prerequisito fondamentale per
un matrimonio, ma ai tempi di Roma non lo era affatto; anzi, più importante era la famiglia,
meno era probabile che la ragazza avesse scelta nell’età, nell’aspetto e nel carattere del
marito. Molte fanciulle, appena adolescenti e immature, venivano date in moglie a uomini
di venti o trenta anni più grandi in modo che la relazione iniziale tendesse ad essere paterno34.
Giulia aveva solo diciassette anni quando sposò Pompeo, che invece ne aveva già
quarantasette, sei anni in più del suocero Cesare; tuttavia i due si erano innamorati: “Il
quarantasettenne marito si innamorò subito della sua giovanissima sposa. Sembra che il suo
affetto venisse corrisposto e che si sia trattato di un matrimonio felice. A Pompeo piaceva
essere adorato, e ricambiò l’affetto di sua moglie con la stessa devozione che lei gli
dimostrava”35. Una testimonianza del legame che univa i due coniugi è fornita da Valerio
Massimo36, che ci racconta un episodio avvenuto nel 55 a.C.: durante dei tumulti in piazza,
Pompeo era stato coinvolto negli scontri e le sue vesti si erano macchiate di sangue. Alla
vista degli abiti insanguinati, portati a casa dai servi, Giulia ebbe uno svenimento che causò
la perdita del bambino che aveva in grembo.
Il matrimonio fu comunque una vera e propria mossa politica di Cesare, come sostiene
Plutarco:

34
Cfr, Fantham, op. cit. p. 3.
35
Adrian Goldsworthy, Caesar. The life of a colossus, Yale University Press, New Haven-London, 2008 nella
traduzione italiana F. P. Crincoli, S. Moliterni, Cesare: una biografia, Castelvecchi, 2014.
36
V. Max, Factorum et dictorum memorabilium libri IX, 4,6,4. (trad. G. Manzoni).

18
“Cesare, col segreto proposito di sfruttare ancor più la potenza di Pompeo, gli
fidanzò sua figlia Giulia. Pompeo, subito dopo essersi sposato, riempì il Foro di
armati e sostenne in quel modo il popolo nell’approvazione delle leggi [di
Cesare]”.37

Una mossa d’urgenza in quanto “Giulia viene quasi strappata dalle braccia del suo
imminente marito, Servilio Cepione, e consegnata a Pompeo”38; in questo modo veniva
saldata l’alleanza politica, che portò poi al rinnovo del patto triumvirale, col vincolo della
parentela acquisita. Il matrimonio era la garanzia di un equilibrato rapporto tra i due grandi
generali; infatti dopo la morte di Giulia, avvenuta nel 54 a.C., il patto triumvirale cominciò
a manifestare crepe e le bande dei cesariani e dei pompeiani, non più trattenuti dal legame
di parentela tra i loro leader, diedero libero sfogo alle violenze politiche39. Secondo
Manzoni, inoltre, la morte della tanto amata Giulia causò “il degeneramento della situazione
politica nella guerra civile”40.
Come i fidanzamenti e i matrimoni, anche i divorzi (divortium, da divertere= andare per
strade separate) e i ripudi (esito della sola decisione del marito), potevano avere notevoli
ricadute politiche in quanto davano fine a relazioni acquisite. Il divorzio era ammesso nei
casi in cui uno dei due coniugi non volesse più convivere con l’altro, oppure se il marito o
la moglie avessero perso la cittadinanza romana o avessero avuto una condanna penale, come
accadde a Giulia, la figlia di Augusto, che, con il suo esilio, inevitabilmente divorziò dal
marito Tiberio.
Nell’ultimo secolo della repubblica, si fece largo uso del divorzio, tanto che “Augusto,
una volta giunto al potere, tenterà di normalizzare anche questa pratica […] non vietandola,
ma colpendone le cause”41. Nel 18 a.C. il princeps promulgò la lex Iulia de maritandis
ordinibus e la lex Iulia de adulteriis coercendis a cui si aggiunse nel 9 d.C. la lex Papia
Poppea. Le leggi disciplinavano e legittimavano la vendetta privata del pater familias o del
marito dell’adultera sorpresa in flagrante; perseguivano i rapporti erotici di donne non
sposate e criminalizzavano l’adulterio muliebre42.

37
Plut. Caes., 14 (trad. C. Carena in Plutarco, Vite Parallele, vol. II Giulio Einaudi Editore, Torino, III ed.
1958).
38
L. Canfora, Giulio Cesare. Il dittatore democratico, Editori Laterza, Roma-Bari, 2002, p. 77-78.
39
Cfr. G. E. Manzoni, Giulia tra Cesare e Pompeo: il lessico del cuore, <<Humanitas>> v. 57 a. 2002, p. 31.
40
Ibid.
41
Cenerini, La donna romana, cit., p. 33.
42
Cfr. P. Giunti, Adulterio e leggi regie: un reato fra storia e propaganda, Giuffrè, Milano, 1990, pp. 224 e
ss.

19
Gli studiosi che si soffermano su queste riforme augustee, rilevano come ben poche leggi
dell’antichità abbiano suscitato, fra i contemporanei, un’eco tanto vasta. Di ciò parlerò più
approfonditamente nell’appendice.

II 2 – Promessa sposa fin da bambina

Giulia era stata, fin dalla nascita, uno strumento importante nelle strategie politiche del
padre: al servizio della politica estera, fu promessa sposa, ancora bambina, a Cotisone, re dei
Geti, anche se queste nozze non furono mai state celebrate43.
In seguito, la giovane divenne un elemento fondamentale nei progetti dinastici di
Augusto: infatti il matrimonio tra il princeps e Livia fu sterile e dunque Giulia era l’unica
che poteva, con i suoi figli, garantire la sopravvivenza della gens Giulia e assicurare la
successione. Ormai Roma era diventata un principato e assicurare un successore al governo
dell’impero era lo scopo principale che si prefiggeva Augusto; dunque alla figlia venne
attribuito un ruolo dinastico. Secondo Macrobio: “Augusto avrebbe detto ad alcuni amici
che aveva due figlie viziate, che doveva per forza sopportare, la res publica e Giulia” 44 ;
dunque, per Augusto, l’una non poteva prescindere dall’altra.
Già nel 37 a.C., quando Antonio e Ottaviano si riavvicinarono con l’accordo di Taranto,
si organizzò il fidanzamento dei rispettivi figli, Marco Antonio Antillo e Giulia, che aveva
solo due anni, ma il legame si sciolse dopo la battaglia di Azio.
Il primo designato da Augusto nella propria successione è il figlio della sorella Ottavia,
Marco Claudio Marcello, che era il parente più prossimo all’asse di discendenza di
Ottaviano, e secondo la pubblica opinione, suo futuro successore: lo indicavano una serie di
privilegi che gli furono conferiti dallo zio. A 13 anni, come ci informa Svetonio45, Marcello
accompagnò nel trionfo il princeps, cavalcando alla sua destra.

43
Cfr. F. Rohr Vio, Simulazioni e dissimulazioni augustee: Giulia Maggiore, una principessa in esilio. In S.
Roda (a cura di), Atti del colloquium Augusteum: il ‘perfetto inganno’. Augusto e la sua politica nel
bimillenario della morte, Torino 27 febbraio 2014, Loescher, Torino, 2014, pp. 74-88.
44
Macr., Saturnalia, 2, 5, 4 (trad. N. Marinone in A. T. Macrobio, I Saturnali, a cura di N. Marinone, UTET,
Torino, 1987).
45
Svet., Tib. 6,4 (trad. F. Casorati, vd. nota 8).

20
“[Tiberio] accompagnò il carro di Augusto, sul cavallo esterno di sinistra, mentre
Marcello, figlio di Ottavia, montava quello di destra”

La sua carriera politica iniziò da giovanissimo, contravvenendo ad ogni norma del cursus
honorum46: a soli quindici anni divenne edile curule47, una carica che permetteva una grande
popolarità poiché prevedeva l’organizzazione e il presidio dei giochi pubblici. Conosciamo
solo un atto di Marcello durante il suo anno di carica: la fornitura di tende da sole per
proteggere il pubblico che assisteva ai ludi48. Tiberio aveva la stessa età di Marcello, ma
ricevette onori notevolmente inferiori: quando il secondo era edile, il primo era questore ma
poteva vantare solo il privilegio di ricoprire l’incarico cinque anni prima dell’età regolare49.
Inoltre, a sedici anni, il senato emanò, a favore di Marcello, una delibera che gli consentì
di accedere al consolato con dieci anni di anticipo; nello stesso anno lo zio lo nomina
pontefice50. Il princeps era orgoglioso del suo nipote, tanto che lo designa come “gener
meus” nelle sue “Res Gestae”51:

“Su terra in gran parte acquistata da privati costruii presso il tempio di Apollo un
teatro che volli portasse il nome di Marco Marcello, mio genero”.

Marcello e Giulia si sposarono nel 25 a.C. quando erano ancora adolescenti: lei aveva
quattordici anni mentre lui diciassette. Augusto era assente per una campagna in Spagna52 e

46
Il cursus honorum era l’ordine sequenziale degli uffici pubblici tenuti dall’aspirante politico. Le magistrature
che sopravvissero alla fine della Repubblica erano la questura, l’edilità, la pretura e il consolato. A partire da
Augusto la trasformazione del cursus si realizzò attraverso vari fattori: la definizione di nuovi livelli di età, la
moltiplicazione delle cariche e l’influenza su di esse da parte del princeps. Durante la tarda repubblica, per la
questura, quale magistratura che dava l’ingresso in senato, era fissata come età minima i trenta anni, mentre la
pretura era raggiungibile solo con i quaranta. Da Augusto in poi, l’età minima per entrambe le cariche era
rispettivamente il venticinquesimo e il trentesimo anno. Questa età poteva essere occasionalmente abbassata,
come nel caso di Marcello e più tardi con Gaio e Lucio, figli di Giulia avuti da Agrippa, attraverso la
concessione di privilegi da parte dell’imperatore. Venne anche abbassata l’età di accesso al consolato al
trentatreesimo anno di età. (Cfr. W. Eck, La riforma dei gruppi dirigenti. L’ordine senatorio e l’ordine
equestre, in Storia di Roma, a cura di A. Giardina e A. Schiavone, Einaudi, Torino, 1999, p. 386).
47
L’edilità curule venne istituita nel 366 a.C. Gli edili curuli, in numero di due, curavano i giochi di maggiore
importanza, mentre degli altri si occupavano gli edili della plebe, istituiti nel 494 a.C. Nel 44 a.C. vennero
anche istituiti i due edili cereali, incaricati di fornitura di cibo a Roma.
48
Cfr. Fantham, op. cit. p. 29.
49
vd. nota 15.
50
Cfr. Braccesi, op. cit. p. 35.
51
Aug. Res Gestae, 21 (trad. Braccesi, op. cit. p. 35).
52
Augusto era impegnato nelle guerre cantabriche (29-19 a.C.) di cui negli anni 26-25 partecipò in prima
persona. Al termine di queste guerre, i romani completarono la conquista della Spagna.

21
delegò Marco Vipsanio Agrippa, il suo fedele collaboratore il futuro marito di Giulia, a
presiedere i festeggiamenti53.
Non vi sono molte notizie sulla loro vita privata, ad esempio non sappiamo dove abbiano
vissuto una volta convolati a nozze, ma nonostante la loro giovane età (e dunque la loro
immaturità), e benché sia stata breve, la loro vita di coppia dovrebbe essere stata tranquilla
e senza particolari problemi. Giulia sperimentò per la prima volta l’indipendenza e
l’emancipazione e, tramite il marito, “accarezzava l’idea di poter un domani subentrare nel
ruolo di Livia”54. Tuttavia i sogni della giovane moglie si frantumarono nel 23 a.C., dopo
appena due anni di matrimonio, poiché Marcello si ammalò e morì a Baia, località sul golfo
di Napoli.
Tutta la tradizione sottolinea che si trattò di una morte dolorosa perché inaspettata; il
giovane fu onorato da un funerale pubblico nel Campo Marzio e il suo corpo fu sepolto nel
Mausoleo di Augusto. Fu il primo membro della sua famiglia ad esser stato sepolto lì55.

II 3 – Il matrimonio con Agrippa

Alla fine del 21 a.C. Giulia venne data in sposa a Marco Vipsanio Agrippa, il quale,
desideroso di legarsi ad Augusto con questa parentela, ripudiò la moglie, Marcella maggiore,
figlia di Ottavia, la quale fu prontamente maritata con Iullo Antonio. A decidere queste
strategie matrimoniali fu la stessa sorella del princeps, come ci informa Plutarco56:

Quando Marcello morì ancora sposo novello, e per Cesare non era facile scegliersi
un genero fidato fra gli altri amici, Ottavia avanzò una proposta, che Agrippa
dovesse prendere per moglie la figlia di Cesare, lasciando la sua. Prima se ne
persuase Cesare, poi Agrippa; Ottavia riprese la propria figlia e l’accasò con
Antonio, mentre Agrippa sposava la figlia di Cesare.

53
Cfr. Fantham, op. cit. p. 30.
54
Braccesi, op. cit., p. 36.
55
Cfr. Fantham, op. cit., p. 30.
56
Plut. Ant. 87, 4-5 (trad. R. Scuderi in Plutarco, Vite Parallele. Demetrio e Antonio, a cura di O. Andrei, R.
Scuderi, BUR, Milano, 1989).

22
Probabilmente Ottavia voleva evitare che Giulia sposasse Tiberio, figlio di Livia57, la
quale voleva uno dei suoi figli come successori del princeps.
Ottaviano decise di prendere come suo genero il suo sostenitore politico e militare di
vecchia data poiché, dopo la congiura organizzata ai suoi danni da Gaio Fannio Cepione e
Aulo Terenzio Varrone Murena58, trovò necessario, per rassicurare il popolo, richiamare a
Roma Agrippa, convincendolo con la promessa di matrimonio. Nel 23, infatti, mentre
Marcello era ancora in ottima salute, Agrippa aveva lasciato Roma per Mitilene, forse per
un risentimento della posizione privilegiata dell’allora marito di Giulia59.
Il nuovo sposo di Giulia era stato “il più solerte edificatore del regime, collega del
princeps nel ricoprire più magistrature, da lui comandato per delicati incarichi straordinari e
sempre al suo fianco in guerra e pace”60. Sebbene nelle Res Gestae Augusto non menzioni
mai Agrippa nel riportare i suoi successi militari, egli contribuì notevolmente
nell’instaurazione dell’impero, non solo come comandante a terra e specialmente in mare,
ma anche perché edificò ingenti opere pubbliche e monumenti a Roma e nelle province.
Nonostante fosse un uomo illustre e molto amato dal popolo romano, Giulia non si sentiva
appagata dalla nuova unione, sia perché il nuovo marito era coetaneo di suo padre, sia perché
Agrippa era un militare estraneo alla nobilitas e non faceva parte di quella cerchia
aristocratica dai gusti raffinati che la figlia del princeps era solita frequentare61.
Plinio il vecchio nella sua “Naturalis Historia” lo definisce “vir rusticitati propior quam
deliciis” (Era un uomo di gusti piuttosto rustici che raffinati)62.
Ciò spiega come Giulia incominciò a frequentare, più assiduamente, i circoli intellettuali
in voga nell’Urbe quando il marito era assente da Roma per incarichi militari e
amministrativi nelle province. In questi ambienti, Giulia trova la “compensazione al
matrimonio, gettandosi nelle braccia, e non solo metaforicamente, di letterati e di poeti”63,
tra cui Iullo Antonio, che diventerà suo amante durante il matrimonio della donna con
Tiberio.

57
Cfr. Braccesi, op. cit., p. 44.
58
Congiura avvenuta nel 22 a.C. Per approfondimenti sulla datazione, cfr. G. Cresci Marrone, La congiura di
Murena e le ‘forbici’ di Cassio Dione, in M. Sordi (a cura di), Fazioni e congiure nel mondo antico, Vita e
pensiero edizioni, Milano, 1999, pp. 193-203.
59
Cfr. Fantham, op. cit., p. 51.
60
Braccesi, op. cit., p. 44.
61
Cfr. Agnati, Giulia, la figlia di Augusto. cit., p. 199.
62
Plin., Nat., XXXV, 26 (trad. di R. Mugellesi, In G. Plinio Secondo, Storia Naturale, a cura di G. B. Conte e
G. Ranucci, Torino, 1988, vol. V, p. 321, Giulio Einaudi Editore).
63
Braccesi, op. cit., p. 45.

23
Sugli amanti della nostra Giulia, ci informa Macrobio64:

“Quelli al corrente delle sue scandalose avventure si stupivano che partorisse figli
somiglianti ad Agrippa, lei che si concedeva a tutti tanto facilmente. Ed essa
<<Non prendo passeggeri se non quando la nave ha fatto il pieno>>”

Da questo matrimonio nacquerò cinque figli: Gaio, nato nel 20 a.C., Giulia, nata nel 18,
Lucio, nato nel 17, Agrippina, nata nel 13 e infine Agrippa Postumo, nato nel 12, pochi mesi
dopo la morte del padre.
Gaio e Lucio, divenuti Gaio Giulio Cesare e Lucio Giulio Cesare, furono adottati dal
nonno Ottaviano come propri figli ed eredi, dunque aspiranti successori al principato.
Probabilmente Augusto, da possessivo ed autoritario qual era, voleva togliere i nipoti dalle
cure dei loro genitori, dato che dopo la nascita di Lucio, stavano per compiere un viaggio in
Grecia e in Asia minore65. Marito e moglie, che sarebbero tornati a Roma solo nel 13 a.C.,
in Oriente, vennero venerati come degli dei: un’iscrizione a Priene definisce Giulia come
“néa Afrodìte” e “Héra Sebasté”; a entrambi e insieme ad Augusto e a Livia, fu dedicata, nel
4 a.C. la porta del Foro ad Efeso66. Quest’ultima iscrizione ci fa anche capire l’attaccamento
delle province orientali nei confronti di Agrippa, visto che nel 4 a.C. era già morto da otto
anni e Giulia si era già risposata con Tiberio.
Gli ultimi mesi del loro matrimonio furono caratterizzati dalla lontananza: nel 13 a.C.
Agrippa dovette recarsi nella Pannonia per risolvere alcuni problemi della provincia
settentrionale. Lì si ammalò e tornato in patria, fu mandato in Campania per ristabilirsi, ma,
come Marcello, anche Agrippa non riuscì a guarire e morì pochi mesi prima che Giulia
partorisse il loro quinto figlio.
Il suo corpo, dopo un funerale in pompa magna come quello di Marcello, venne deposto
nel mausoleo di famiglia.

64
Macr. Saturnalia, 2, 5, 9 (trad. N. Marinone, vd. nota 44).
65
Cfr. Fantham, op. cit., pp. 59-61.
66
Cfr. Fraschetti, La damnatio memoriae di Giulia. cit., p.15.

24
II 4 – Le tormentate nozze con Tiberio

Quando Giulia perse il secondo marito, dopo quasi dieci anni di matrimonio, era già
madre di quattro figli e in attesa del quinto: si era pienamente guadagnata lo status onorario
e i privilegi di essere una madre che aveva svolto nel miglior modo il suo compito da
matrona. Sarebbe stata esonerata da qualsiasi obbligo nel risposarsi, se fosse stata figlia di
qualche altro cittadino romano, ma essendo l’unica figlia del princeps, non poteva essere
lasciata celibe.
Augusto aveva pensato di darla in moglie ad un altro suo fidato amico, Gaio Proculeio67;
tuttavia, l’influenza di Livia era troppo forte e Giulia dovette sposare, nell’11 a.C. il suo
coetaneo, e quasi fratellastro di sangue claudio, Tiberio. Quest’ultimo, però, non era affatto
d’accordo con queste nozze, come ci informa Svetonio:

“Sposò Vipsania, nata da Marco Agrippa […]. Dopo aver avuto da lei il figlio
Druso, sebbene ne fosse pienamente soddisfatto ed essa fosse ancora incinta, fu
costretto a ripudiarla e a sposare subito Giulia, figlia di Augusto, non senza suo
grande dolore: era affettuosamente legato a Vipsania e disapprovava la condotta
di Giulia. […] quanto ad Vipsania, egli soffrì di averla dovuta allontanare dopo il
divorzio, e la sola volta che la rivide casualmente, la seguì con occhio così felice
e commosso, che poi si ebbe cura che non gli capitasse più davanti.”68

Era davvero necessario, dunque, il loro matrimonio? Come successori di Augusto, ormai,
erano stati designati Gaio e Lucio, i figli di Giulia ed Agrippa, quindi Tiberio non aveva
speranze che sarebbe mai potuto diventare princeps. Probabilmente Ottaviano decise questo
matrimonio solo per assicurare un tutore ai suoi nipoti e figli adottivi nel caso in cui fosse
venuto a mancare69.
Tiberio ebbe “un’infanzia e una puerizia travagliata, sempre compagno di fuga dei
genitori” come ci informa Svetonio70: il padre, Tiberio Claudio Nerone combattè per Lucio
Antonio nella guerra di Perugia del 42 a.C. e per questo era stato inserito nelle liste di

67
Cfr Fraschetti, La damnatio memoriae di Giulia. cit., p. 18.
68
Svet., Tib. 7 (trad. F. Casorati, vd. nota 8).
69
Cfr. Fraschetti, La damnatio memoriae di Giulia. cit., p. 19.
70
Svet. Tib. 6 (trad. F. Casorati, vd. nota 8).

25
proscrizione. Dunque i suoi primi anni di vita, fino al matrimonio della madre con Augusto,
li passò in fuga: prima a Napoli, poi in Sicilia per chiedere l’aiuto di Sesto Pompeo che non
li accolse con sé e infine in Acaia, dove fu affidato alla comunità degli Spartani, i quali erano
sotto la tutela dei Claudii. Durante il viaggio per tornare a Roma, passando in una foresta di
notte, rischiò la vita per un incendio boschivo; le fiamme arrivarono a bruciare addirittura le
vesti e i capelli della madre Livia. Riuscirono a tornare a Roma quando Tiberio aveva tre
anni, ma subito la madre sposò Ottaviano, e di conseguenza si trasferì nella casa del
princeps; inoltre, da lì a pochi anni perse anche il padre.
Dovette anche accettare di restare all’ombra di Claudio Marcello, il quale, sebbene fosse
suo coetaneo, aveva avuto molti più privilegi, cariche pubbliche ed era il potenziale erede di
Augusto.
Velleio Patercolo, a differenza di Tacito e di Svetonio che descrivono negativamente
Tiberio, diede del futuro imperatore giudizi positivi:

“cresciuto con l'educazione di istruttori divini [ad es. Augusto], il giovane era
dotato di nascita, bellezza, alta statura, grande intelletto e alta cultura. Si sarebbe
potuto sperare per la sua attuale grandezza anche allora; in effetti aveva l'aspetto
di un imperatore”71

Tuttavia, Giulia e Tiberio avevano due caratteri opposti:

“Con Giulia dapprima visse in concordia e con amore reciproco, poi entrò in
contrasto […] tanto che poi dormirono sempre separati; allorchè scomparve il
pegno d’amore del loro comune figlio, che, nato ad Aquileia, morì ancora
piccino.” 72

Il loro figlio morì dopo soli otto giorni e di lui non è rimasto neanche il nome; per quanto
riguarda il luogo di nascita, sappiamo che Tiberio, nel 10 a.C., dovette recarsi sul fronte
danubiano e pretese che Giulia, già incinta, lo seguisse nei “rischi di un viaggio, sì affrontato
con tutte le comodità allora consentite, ma pur sempre lungo, disagevole e faticoso”73.
Tiberio voleva che lo seguisse non tanto per gelosia, ma per timore di uno scandalo che

71
Vell. 2. 94. 2 (trad. L. Agnes in L. Anneo Floro, Velleio Patercolo, Epitome e frammenti. Le storie di Floro
e Patercolo, a cura di J. G. Deangeli, L. Agnes, UTET, Torino, I ediz. 1969, ristampa 1977).
72
Svet. Tib., 7 (trad. F. Casorati, vd. nota 8).
73
Braccesi, op. cit., p. 59.

26
avrebbe macchiato il suo nome: questo episodio è una spia di come il loro matrimonio, dopo
appena un anno, iniziasse a manifestare i primi screzi.
Giulia e Tiberio erano coetanei ma avevano concezioni opposte dovute al fatto che erano
esponenti di due diverse aristocrazie: l’una di quella modernizzante, l’altro di quella
conservatrice. La figlia del princeps “non poteva rinunciare a frequentare o a corrispondere
con cenacoli letterari che erano anche circoli politici”74, Tiberio, invece, mal sopportava la
moglie che si interessava e che prendeva parte ad attività pubbliche. Quando diventerà egli
imperatore, infatti, prenderà le distanze anche da sua madre Livia, che era stata da sempre
immischiata nella vita politica, sia quando era moglie di Augusto, sia quando il figlio
prenderà il potere.
A causa della concezione tradizionalista del marito, Giulia rivendicherà ancor più la
propria indipendenza adottando un comportamento sempre più “sfacciato e provocatorio”75.
Un quadro della vita della donna in questo periodo ce lo offre Macrobio:

“Aveva […] un’età che doveva indurla a pensare alla vecchiaia, se fosse stata
savia, ma essa abusava dell’indulgenza della fortuna e di quella di suo padre.
D’altra parte, l’amore per le lettere e la grande cultura […], inoltre una squisita
educazione congiunta ad estrema dolcezza d’animo attiravano enorme simpatia a
quella donna, tra lo stupore di quelli al corrente dei suoi vizi che consideravano il
contrasto così parimenti grande. Più di una volta suo padre […] l’aveva ammonita
a moderare il lusso eccessivo e l’apparato vistoso del seguito.” 76

Nel 9 a.C., tornati a Roma, Giulia era ancora al fianco del vittorioso marito quando gli
venne attribuita l’ovazione per i suoi trionfi nella Pannonia; tuttavia, nel 7, quando venne
eletto console, Giulia non era con lui77. Inoltre Tiberio subì, in quell’anno, la perdita del suo
amato fratello Druso, che fu ferito a morte durante una missione in Germania,; dovette
essersi sentito isolato ed abbandonato78.

74
Braccesi, op. cit., p. 61.
75
Ibid. p. 60.
76
Macr., Saturnalia, 2, 5, 2-3 (trad. N. Marinone, vd. nota 44).
77
Cfr. Fantham, op. cit., pp. 82.84.
78
Ibid.

27
La frattura definitiva tra i due avvenne nel 6 a.C.: Giulia riuscì, dopo aver convinto il
padre e il popolo romano79, a far eleggere console suo figlio Gaio, nonostante avesse solo
quattordici anni80.
Tiberio si era probabilmente risentito degli onori e dei privilegi che spettavano ai figli di
Giulia; per questo Augusto gli avrebbe conferito, per i cinque anni successivi, la tribunicia
potestas e una missione diplomatica in Armenia81. Tuttavia, deluso e sdegnato, Tiberio
pretese di ritirarsi come privato cittadino a Rodi e abbandonare così la vita politica; per il
suo gesto “Augusto andò in collera, Giulia se ne rallegrò […] Livia, che nell’ombra seguiterà
sempre a lavorare per lui, non approvò il suo gesto”82.
Di questo esilio volontario parla Cassio Dione:

“Augusto, inoltre, si augurò che non si verificasse un concatenarsi di eventi simile


a quello che, a suo tempo, gli era toccato in sorte: che, cioè prevedesse che un
giovane con meno di venti anni rivestisse il consolato […] ciò però inutilmente lo
portò a entrare in urto sia con i nipoti sia con Tiberio […]. Questa è la ragione più
vera del suo allontanamento, anche se c’è una versione in base alla quale fu anche
la moglie Giulia il motivo della sua partenza poiché non riusciva più a sopportarla.
Certo è che Giulia rimase a Roma.”83

Svetonio ci offre un quadro più dettagliato:

“decise improvvisamente di appartarsi e togliersi di mezzo, più lontano possibile.


E non si sa se ciò fu per disgusto della moglie – ch’egli non osava né incriminare
né ripudiare, ma che neppure poteva sopportare – oppure per conservare, ed anche
accrescere, restando lontano, la propria autorità.”84

Tiberio restò a Rodì per sette anni e nel frattempo Augusto non permise a Giulia di
divorziare né di risposarsi poiché ogni uomo che voleva sposarla avrebbe mirato ad un potere
politico che il princeps non voleva condividere.

79
Cfr. Braccesi, op. cit., p. 63.
80
vd. nota 15.
81
Cfr. Braccesi, op. cit., pp. 63-64.
82
Ibid. p. 64.
83
Dio, 55, 9, 2-7 (trad. A. Stroppa, in Cassio Dione, Storia Romana. Libri LII - LVII, a cura di G. Cresci
Marrone, A. Stroppa, F. Rohr Vio, Biblioteca Universitaria Rizzoli, Milano, 1998).
84
Svet. Tib. 10 (trad. F. Casorati, vd. nota 8).

28
III – GIULIA: UNA PRINCIPESSA IN ESILIO

Gli anni che seguirono l’esilio volontario di Tiberio furono per Giulia molto tormentati e
le sue azioni si ripercossero sulla sua reputazione. La tradizione classica ci offre un ritratto
ignobile di lei e, a tal proposito, in questo capitolo vorrei illustrare il motivo dei giudizi
negativi della storiografia antica.

III 1 - CIRCOLI LETTERARI E AMANTI

Nel secondo capitolo si è già accennato ai circoli letterari e politici che Giulia era solita
frequentare. In quegli ambienti, fin dal 10 a.C., si cominciava ad assistere alla rinascita della
factio antoniana che comprendeva molti giovani politici di alto lignaggio. Costoro riuscirono
ad ottenere importanti risultati in campo politico e addirittura l’elezione al consolato di
alcuni di loro; tuttavia dal 6 a.C. la factio conobbe un periodo di crisi per la reazione di
Augusto85.
Di fatto, il principato augusteo fu attraversato da una contrapposizione tra gli esponenti
del ramo giulio e quello del ramo claudio. Gli ideali politici tra le due gentes erano
sostanzialmente diversi e intesi a “determinare un orientamento differente per il
principato”86: i claudii volevano fondare un governo in cui l’aristocrazia senatoria avesse
ancora ampi poteri; i giulii, invece, ambivano alla concentrazione dei poteri nella figura del
princeps con l’appoggio del popolo e dell’esercito. Possiamo definire la factio come un
“movimento di opposizione”87 che non voleva contrastare il principato, ma anzi voleva porsi
come sostenitori della gens giulia a scapito di quella claudia, avendo l’intento di offrire
un’alternativa alla successione di Tiberio.
Il princeps, dopo il volontario esilio di Tiberio, voleva una situazione d’equilibrio tra il
ramo giulio e la sua controparte; per questo escluse i giovani della factio dalle cariche
favorendo uomini vicini al marito di Giulia88.

85
Cfr. A. Trevisiol, L'episodio di Giulia: congiura o fronda? in Giovanni Ramilli (a cura di), <<Patavium>>
8, 1996, p. 28.
86
Ibid. p. 79.
87
Cfr. A. Luisi, L'opposizione sotto Augusto: le due Giulie, Germanico e gli amici, in M. Sordi (a cura di)
Fazioni e congiure nel mondo antico, Vita e pensiero editori, Milano, 1999, p. 182.
88
Cfr. F. Rohr Vio, Simulazioni e dissimulazioni augustee, cit. pp. 82-83.

29
In un particolare cenacolo, Giulia “rifulgeva come in mare per i naviganti la stella
polare”89; si tratta, senza dubbio, del circolo il cui capo gruppo era Iullo Antonio90, suo fidato
amico ed amante. Velleio Patercolo lo definì:

“Esempio vivente della clemenza di Augusto, eppure profanatore della sua casa
[…]. Augusto, dopo la sconfitta del padre, non solo gli aveva fatto dono
dell’incolumità, ma dopo averlo insignito di cariche sacerdotali, della pretura, del
consolato e di governi provinciali, lo aveva accolto nel novero dei parenti più
stretti dandogli in moglie la figlia di sua sorella”91

Giulia era legata a Iullo da sentimenti d’amicizia, oltre che da legami politici;
probabilmente pensava di sostituirlo a Tiberio, dato che era un uomo di prestigio, con uno
stile di vita raffinato e con la passione per la cultura letteraria. Lo voleva come tutore dei
suoi figli Gaio e Lucio e lei stessa desiderava provvedere “all’educazione dei due principi
allo scopo di assumere poi un ruolo primario nella guida dell’Impero”92.
Iullo era anche considerato dai suoi contemporanei come maiore poeta plectro93 e Orazio
stesso lo invita a innalzare lodi per Augusto. Tuttavia non seguì il suo consiglio e da Pseudo
Acrone94, sappiamo che scrisse un poema, “Diomedea”, in esametri, composto da dodici
libri, che hanno per oggetto l’eroe greco Diomede. Il numero dei libri lascia intendere che
l’Eneide di Virgilio fosse stato il suo modello, inoltre la scelta dell’eroe non è casuale: come
il pius Enea, anche Diomede, dopo la caduta di Troia, divenne profugo in Italia. Secondo
Braccesi, Iullo voleva opporre Diomede ad Enea per contestare i miti fondanti del
principato95. L’Eneide, infatti, al tempo in cui il figlio di Marco Antonio iniziò a scrivere il
suo componimento, assolveva già la funzione di grande poema nazionale.
La relazione clandestina di Giulia e Iullo era vista come una minaccia per il governo in
quanto i nostalgici di Antonio speravano in un possibile matrimonio tra loro per avere al
potere un membro della factio antoniana.

89
Cfr. Braccesi, op. cit. p. 80.
90
Ibid.
91
Vell. 2, 100, 4 (trad. L. Agnes, vd. nota 71).
92
Luisi, L’opposizione sotto Augusto. cit., p. 185.
93
Or. Carm. 4, 2, 33.
94
Antico commentatore di Orazio; A. Coppola, Diomede in età augustea. Appunti su Iullo Antonio,
<<Hesperìa>> I, 1990, pp. 125-138.
95
Cfr. Braccesi, op. cit. p. 87.

30
Nel “De brevitatae vitae”, Seneca evoca la nuova minaccia di una donna con un Antonio
facendo riferimento al precedente legame tra Marco Antonio e Cleopatra. L’analogia tra i
due episodi “si giocava certo sul coinvolgimento ancora una volta di un Antonio con una
donna di stirpe <<reale>> sul tema dell’adulterio, ma […] riguardavano anche la valenza
politica di entrambe le vicende” 96.
Iullo, tuttavia, non era stato l’unico amante di Giulia; ella ebbe un’altra relazione, sin dai
tempi del suo matrimonio con Agrippa, con Tiberio Sempronio Gracco, un altro giovane
letterato. Di lui ci informa Tacito:

“di nobile nascita, dotato di impegno pronto e di una perversa eloquenza, aveva
spinto all’adulterio Giulia medesima, quando era moglie di M. Agrippa […].
Quando essa fu sposata a Tiberio, l’adultero ostinato seguitava ad attizzare in lei
disprezzo e odio contro il marito; ed una lettera che Giulia scrisse al padre
Augusto, piena di oltraggi contro Tiberio, si credeva fosse stata dettata da
Gracco”97

Sul contenuto della lettera, Braccesi ipotizza che Giulia si sia lamentata del marito,
ricordando al padre che erano i suoi nipoti e figli adottivi a succedergli; inoltre deve avergli
scritto di un complotto ordito da Tiberio ai danni dei suoi due figli98. L’epistola, che Braccesi
data nel 6 a.C., dovrebbe essere stata un’altra causa dell’allontanamento volontario del
marito di Giulia da Roma in quanto egli non avrebbe sopportato le calunnie gravi e infondate
sul suo conto.
Anche Sempronio, come Iullo, era uno degli esponenti più importanti dei circoli che
frequentava Giulia e anch’egli era un letterato. Della sua produzione non è rimasto quasi
nulla, soltanto alcuni versi e tre tragedie di cui ci sono pervenuti solo i titoli: Atalanta, Tieste
e Peliadi99.
I soggetti trattati da Gracco erano ben noti nel teatro latino ed erano già stati riportati in
auge da Cassio Parmense, noto per essere stato uno dei cesaricidi, ucciso dopo la battaglia
di Azio da Ottaviano. Egli adattò quei soggetti alle problematiche contemporanee,
esprimendo anche le sue idee filo repubblicane; allo stesso modo dovette fare Gracco.

96
Sen. Brev. 4, 6. (Trad. G. Viansino in L. A. Seneca, La tranquillità dell’animo; la brevità della vita, a cura
di G. Viansino, Arnaldo Mondadori Editore, Milano, II ed., 1993).
97
Tac. Ann. 1, 53, 3. (Trad. A. Arici, vd. nota 14).
98
Cfr. Braccesi, op. cit. pp. 64-67.
99
Cfr. Trevisiol, L’episodio di Giulia. cit. p. 32.

31
I due amanti di Giulia, vengono anche citati nel carmen di Orazio, dedicato, ironia della
sorte, proprio ad Agrippa:

Sulle ali del canto meonio


Vario potrà celebrare
Il tuo coraggio, le tue vittorie sul nemico
E le prodezze
Compiute in terra e in mare
Dai soldati al tuo comando.
Io non oso cantare tutto questo, Agrippa,
né l’ira terribile e ostinata di Achille,
le traversie per mare dell’astuto Ulisse,
né gli orrori della casa di Pèlope.
[…]
Chi altri ancora
Potrebbe celebrare degnamente Marte
Chiuso nello splendore delle armi,
Merione nero della polvere di Troia,
O Diomede
Simile a un dio per mano di Pallade?100

L’ode ricorda tre poeti: Vario, citato al verso 2, Sempronio Gracco, che scrisse Tieste che
ha come oggetto “gli orrori della casa di Pèlope” e Iullo, autore della Diomedea, di cui è
citato il nome dell’eroe alla fine del componimento.
La nefandezza di Giulia, tuttavia, andò ben oltre i soli due amanti; da Seneca sappiamo
che fu:

“impudica oltre ogni limite […] gli amanti ammessi in gruppo, la città percorsa
nelle orge notturne, lo stesso Foro e i Rostri […] scelti dalla figlia per le sue
prostituzioni, il quotidiano accorrere a Marsia dove, mutata da adultera in
prostituta chiedeva, dandosi all’adultero ignoto, il diritto ad ogni licenza”101.

100
Or. Carm. 1,6. (Trad. Ramous in M. Ramous, Il libro delle odi. Versioni da Orazio, Cappelli, Bologna,
1954).
101
Sen. Ben. 6, 32, 1 (Trad. A. V. Picardi in L. A. Seneca, De beneficiis, Garzanti, Milano, 1946).

32
La scelta di tenere gli incontri con i membri del suo circolo presso la statua di Marsia
aveva un motivo: “poiché Marsia rappresenta il simbolo di una città libera si è pensato,
infatti, che il ritrovo presso il suo simulacrum potesse rivestire un sotteso significato di
anelito alla liberta”102.
Le accuse di Seneca sono molto pesanti: se le cose stavano realmente così, non c’è da
stupirsi per le reazioni che ebbe Augusto nel 2 a.C., anno della sospetta congiura organizzata
dalla figlia con l’aiuto dei suoi amanti e amici dei circoli letterari.

III 2 – L’anno fatale: il 2 a.C.

“In città, proprio nell’anno in cui il divo Augusto, console con Galbo Caninio […]
appagava i gusti e la vista del popolo con lo spettacolo di lotte gladiatorie e di
battaglie navali, si scatenava proprio nella sua casa una tempesta che si ha ritegno
di raccontare e orrore a ricordare”103

Il 2 a.C. è una data di grandissima rilevanza: tutti i romani erano presi da una serie di ludi
offerti dal princeps: l’inaugurazione del tempo di Marte Vendicatore e una grande
naumachia organizzata in un bacino artificiale sul Tevere104. Inoltre era il trentennale della
vittoria di Ottaviano ad Azio e da Svetonio sappiamo che in quell’anno gli fu conferito il
titolo onorifico di pater patriae105.
La “tempesta” a cui fa riferimento Velleio è il famoso scandalo che vide come
protagonista Giulia, colpevole di aver violato le stesse leggi che il padre aveva emanato
pochi anni prima, le leges Iuliae. Augusto notificò il fatto al senato senza presentarsi
personalmente, “forse troppo in imbarazzo”106, e fece leggere l’atto di accusa da un questore:
questo, che secondo la suddetta legge poteva essere formulato esclusivamente dal marito o
dal pater familias della donna, fu di adulterio e di condotta immorale per uno stile di vita
scandaloso e sregolato.

102
Trevisiol, L’episodio di Giulia. cit. p. 29.
103
Vell. 2, 100, 1 (trad. di L. Agnes in vd. nota 71).
104
Cfr. Braccesi, op. cit. p. 113.
105
Svet. Div. Aug. 58.
106
Fraschetti, La damnatio memoriae di Giulia. cit. p. 21.

33
Ciò che risulta a prima vista insolito è che tutta Roma, e Augusto in primis, sapeva già
dei comportamenti non esemplari di Giulia; dunque il princeps “fa mostra di accorgersi
all’improvviso della sua discutibile moralità”107. Inoltre la sua reazione è dubbia: invece che
sopire lo scandalo entro le mura domestiche, lo fa diventare di dominio pubblico macchiando
d’infamia sua figlia e madre degli eredi alla successione; ostenta, per di più, un furore
inimmaginabile, per un uomo riservato com’era, arrivando addirittura a meditare di farla
uccidere108.
Se Augusto meditò di farla giustiziare, Giulia probabilmente si macchiò di un delitto
molto più grave dell’adulterio; lo stesso di cui si macchiò Iullo che, accusato con lei di
adulterio, verrà condannato a morte109 o spinto al suicidio110.
Secondo molti studiosi, la vera ragione della condanna della donna è di ordine politico,
mentre le accuse di depravazione erano solo un pretesto; i reati più gravi, come quello di
maiestas dovevano essere taciuti proprio a causa del coinvolgimento diretto della figlia del
princeps.
A conferma di ciò, anche il processo seguì una procedura anomala: “fu un dibattito per
alto tradimento, cioè de maiestate, anziché una causa per reati di adulterio”111.
Rohr Vio, inoltre, sottolinea che le donne, non potendo partecipare ad attività politiche,
non potevano essere perseguite per un crimine di questa natura, per questo l’adulterio era
l’accusa ideale per incriminare o screditare una matrona112. Ad esempio, Pompeo, per
divorziare dalla sua terza moglie Mucia, quando il suo matrimonio divenne politicamente
scomodo, l’accusò di adulterio113.
Di fatto, l’accusa coinvolse anche i membri del circolo letterario più vicini a Giulia;
Velleio ci offre i loro nomi:

“Iullo Antonio […] Quinzio Crispino […] Appio Claudio, e Sempronio Gracco e
Scipione e altri nomi meno illustri, dell’uno e dell’altro ordine, scontarono per
adulterio con la figlia di Augusto e moglie di Tiberio la stessa pena”114

107
Braccesi, op. cit. p. 116.
108
Svet. Div. Aug. 65 (trad. F. Casorati, vd. nota 8).
109
Dio. 50, 10 (trad. A. Stroppa, vd. nota 83).
110
Vell. 2, 100, 4 (trad. L. Agnes, vd. nota 71).
111
Braccesi, op. cit. p. 119.
112
Cfr. Rohr Vio, Simulazione cit. p. 82-83.
113
Cfr. Fantham, op. cit. p. 86.
114
Vell. 2, 100, 4-5 (trad. L. Agnes, vd. nota 71).

34
Iullo e Sempronio sono già noti; Tito Quinzio Crispino era stato uno dei due consoli del
9 a.C.; Appio Claudio forse era il nipote del leader dei populares Publio Clodio Pulcro;
Scipione probabilmente era Publio Cornelio Scipione, figlio della madre di Giulia,
Scribonia115.
Due testimonianze fondamentali possono far luce sul vero motivo della condanna di
Giulia e dei suoi amanti; la prima è di Cassio Dione:

“Iullo Antonio morì, insieme ad alcuni altri uomini in vista, come se avesse
attentato alla monarchia, mentre i rimanenti vennero banditi in varie isole”116

Con “monarchia”, Dione, storico di lingua greca vissuto in epoca severiana, non poteva
che far riferimento al potere imperiale.
La seconda è di Plinio il vecchio:

“L’adulterio della figlia e la pubblica rivelazione dei suoi progetti di parricidio”117

I reati più gravi da nascondere erano di congiura e parricidio? Ciò spiegherebbe il bisogno
di Augusto di nasconderli dietro l’accusa di adulterio: il pater patriae non avrebbe tollerato
che si fosse saputo del complotto ai suoi danni organizzato proprio dalla stessa figlia. Reati
che non perdonò mai a Giulia, da come si deduce da Svetonio:

“Fatto sta che quando, in quel torno di tempo, una complice di Giulia, la liberta
Febe, si uccise impiccandosi, egli disse che avrebbe preferito essere il padre di
Febe […]. E quando si faceva menzione di lui [Agrippa Postumo] e delle due
Giulie [la figlia e la nipote], sospirando usava proclamare <<Oh, se non mi fossi
sposato mai, o morto senza figli>> e li chiamava sempre i suoi tre ascessi e i suoi
tre carcinomi”118

L’accusa di adulterio anche nei confronti degli altri membri del circolo letterario, invece,
li trasformava da complici della congiura ad amanti di Giulia. Era certamente rischioso per
Augusto “rivelare le azioni eversive […] di individui integrati nella sua famiglia e nella sua

115
Cfr. Rohr Vio, Simulazioni. cit. p. 80.
116
Dio. 55, 10, 14-15 (trad. A. Stroppa, vd. nota 83).
117
Pl. Nat. 7, 46 (trad. A. Aragosti et. Al. In G. Plinio Secondo, Storia Naturale, a cura di G. B. Conte, Giulio
Einaudi Editore, Torino, 1984).
118
Svet. Div. Aug. 65 (trad. F. Casorati, vd. nota 8).

35
amministrazione”119 in quanto avrebbe destabilizzato il suo potere. Denunciarli per motivi
politici, inoltre, avrebbe reso noto al popolo l’esistenza di gruppi che avevano una visione
ideologica diversa dalla sua e dunque rendere vana la sua opera di propaganda che invece
presentava il suo potere assoluto come “l’esito di un consenso diffuso”120.
Ma se fosse stata davvero una congiura, qual è stato il movente? Ho già accennato al fatto
che sotto il principato augusteo vi erano due diverse concezioni del potere tra gli elementi
della corte: il ramo giulio, come reazione all’ostentato conservatorismo di Ottaviano, voleva
imprimere all’impero una svolta autocratica fondata sul favore dei soldati e del popolo,
prendendo a modello la “regalità ellenistico-orientali”121. Il ramo claudio aveva concezioni
diametralmente opposte a quello giulio; infatti, anche lo stesso Tiberio, voleva restituire più
capacità d’azione al senato e quindi alla classe dirigente conservatrice e tradizionalista.
Secondo Cenerini, Augusto non aveva intenzione di assecondare i progetti filo orientali
dei giuli e ciò dovette scatenare la loro reazione. Infatti, quando il princeps volle risolvere i
problemi di politica estera in Oriente con la diplomazia, il partito capitanato da Iullo e Giulia,
che voleva mirare ad una politica aggressiva ed espansionistica, lo accusò di tradire
“l’eredità del padre adottivo G. Cesare e di aver impresso alla politica romana in Oriente una
forte impronta restauratrice”122.
Secondo Rohr Vio, il motivo della congiura è da rintracciare nella volontà di Giulia di
emarginare definitivamente dalla scena politica il marito e il gruppo che in lui si riconosceva.
Per fare ciò, secondo la studiosa, Giulia aveva progettato di sposarsi con Iullo in modo da
non rendere più legittima un’eventuale successione di Tiberio, che non apparteneva alla gens
Giulia123. Anche Trevisiol ritiene che il motivo della congiura sia da attribuire a motivi
dinastici: a prendere il ruolo di Tiberio, secondo i piani del gruppo di Giulia, doveva essere
proprio Iullo124.
Il movente delineato da Braccesi125, invece, si basa sulla testimonianza di Cassio Dione
precedentemente riportata in questo paragrafo e ritiene che il termine “monarchia” sia da
considerare non come potere imperiale ma come regno retto da un monarca; quindi

119
Rohr Vio, Simulazioni. cit. p. 84.
120
Ibid.
121
F. Cenerini, Le strategie matrimoniali dei padri. Il rapporto tra Augusto e la figlia Giulia. in S. Chemotti
(a cura di), Padri nostri, archetipi e modelli delle relazioni tra padri e figlie, Padova, 2010, pp. 102-103
122
Ibid. p. 103.
123
Cfr. Rohr Vio, Simulazioni. cit. p. 82-83.
124
Cfr. Trevisiol, L’episodio di Giulia. cit. p. 29-30.
125
Cfr. Braccesi, op. cit. p. 124-137.

36
riferendosi alla sola regione dell’impero dove Augusto veniva visto come proprio sovrano:
l’Egitto. Questo, infatti, con le riforme di Ottaviano, non era una provincia romana, ma un
possesso personale dell’imperatore, interdetta ai senatori e amministrata da un prefetto di
rango equestre che faceva le veci del princeps. Il popolo dell’Egitto riconosceva Augusto
come successore ed erede di Cleopatra e di fatto come loro faraone e monarca. L’atto
eversivo progettato da Giulia e Iullo dunque sarebbe stato quello di impadronirsi di quella
regione: morto Augusto, l’Egitto avrebbe dovuto essere trasmesso in asse ereditario alla
figlia; Iullo, uccidendo il princeps, avrebbe anche vendicato il padre e, tramite l’amante, si
sarebbe ritrovato nella stessa posizione di Antonio.
Secondo Jones, Augusto fu accusato da Iullo di camuffare il suo potere assoluto sotto
forme repubblicane; dunque l’amante di Giulia si fece portavoce degli appartenenti ai ceti
più elevati che volevano il ritorno della repubblica. Costoro erano i membri dei circoli
letterari e politici, dove stavano rinascendo, appunto, la factio antoniana e gli ideali
repubblicani126.
Dopo la condanna, gli unici elementi che arricchiscono l’immagine di Giulia furono di
carattere diffamatorio, legati alla “leggenda nera”127 che, messa in moto dalla “macchina di
fango”128, produsse esagerazioni sul suo stile di vita; le sue trasgressioni sessuali e la sua
condotta non limpida, alimentarono certamente le voci e le accuse di donna viziosa
ingigantite poi dalla storiografia dell’epoca.

126
A. H. M. Jones, op.cit., p. 105-106.
127
Braccesi, op. cit. p. 157.
128
Ibid.

37
III 3 – L’esilio e gli ultimi anni

La pena per i congiurati, come prevedeva la lex Iulia de adulteriis, fu la relegazione in


un’isola e la confisca della metà dei beni per gli uomini; Iullo, il più coinvolto e il più
pericoloso, fu l’unico a pagare con la vita; mentre Sempronio Gracco, che in quell’anno era
tribuno della plebe129, si recò in esilio solo al termine della magistratura.
Giulia fu relegata sull’isola Pandataria, l’odierna Ventotene, dove fu accompagnata dalla
madre Scribonia “che rimase volontariamente compagna del suo esilio” 130.
La condanna determinò inevitabilmente anche il divorzio da Tiberio, il quale non era stato
neanche informato della volontà di Augusto di ratificare la denuncia in senato nei confronti
di sua moglie. Appena saputolo, egli, non volendo perdere l’unico legame che lo univa alla
gens del princeps, cercò di intercedere per Giulia inviando da Rodi un’epistola ad
Augusto131.
Tuttavia, la missiva venne ignorata dall’imperatore e la pena per lei andò ben oltre quanto
previsto dalla trasgressione alla lex Iulia: anziché perdere 1/3 dei beni, venne privata del suo
intero patrimonio132 e fu costretta a vivere in pesanti ristrettezze con un misero sussidio
paterno. La condanna previde che venisse isolata e privata di tutti i piaceri che potevano
alleviare il suo confino:

“Quando l’ebbe relegata, le tolse l’uso del vino ed ogni altra raffinatezza, e non
permise che alcuno, libero o schiavo, si recasse da lei, se non per sua espressa
autorizzazione: voleva sapere che età avesse, che statura, che colorito, persino
quali segni particolari o cicatrici.”133

A Ventotene vi erano solo povere capanne di pescatori e presidi militari in modo da


controllarla ed impedirle un incontro non autorizzato. Non poteva ricevere visite dai figli,
non aveva la possibilità di leggere né di godere della musica, nessuna schiava ad accudirla e
nessuna informazione sulla vita di Roma134. Per una donna colta, sofisticata

129
Fraschetti, La damnatio memoriae di Giulia. cit. p. 24.
130
Vell. 2, 100, 5 (trad. L. Agnes, vd. nota 71).
131
Svet. Tib. 11 (trad. F. Casorati, vd. nota 8).
132
Cfr. Rohr Vio, Simulazioni. cit. p. 75.
133
Svet. Div. Aug. 65 (trad. D. Casorati, vd. nota 8).
134
Cfr. Braccesi, op. cit. p. 152.

38
nell’abbigliamento e nella cura del corpo, abituata a tutti gli agi e a tutte le comodità, dal
vino alle poesie dedicatele dai suoi amanti, ciò doveva essere una “morte civile”135.
A Roma, secondo Fraschetti, fu oggetto di una “damnatio memoriae” in ambito
epigrafico: è impossibile che Giulia non fosse stata onorata in epigrafi urbane insieme ai suoi
mariti o ai suoi figli136. In Oriente, infatti, si sono ritrovate le già menzionate iscrizioni a
Megara e la dedica nella porta del foro ad Efeso137.
Secondo Braccesi, invece, non fu oggetto di una damnatio memoriae, sia perché donna,
e quindi impossibilitata a rivestire le magistrature, sia perché la condanna ufficiale era di
adulterio e non di cospirazione contro lo stato138.
L’unica sua consolazione era la compagnia della madre, la quale abbandonò i suoi salotti
culturali e la sua cerchia di amici, per seguirla “volontariamente”139. Probabilmente, anche
la stessa Scribonia partecipò alla congiura del 2 a.C., ma, essendo ormai anziana, sarebbe
stato ridicolo incriminarla per trasgressione sessuale, dunque venne mandata all’esilio
forzatamente140.
Soltanto la plebe non l’aveva dimenticata: il popolo, ben sapendo delle sue accuse,
continuava ad amarla, come ci riferiscono sia Cassio Dione:

“Poiché il popolo incalzava Augusto in forma pressante perché facesse tornare sua
figlia dall’esilio, egli rispose che il fuoco avrebbe fatto più alla svelta a mescolarsi
con l’acqua che ella a essere richiamata. Al che il popolo gettò molte fiaccole nel
Tevere, e se in un primo momento non ottenne nulla, in seguito insistette fino al
punto di riuscire almeno a farla trasferire dall’isola alla terraferma.”141

sia Svetonio:

“Soltanto dopo cinque anni la fece trasferire dall’isola sul continente e a condizioni
un po' più miti. In realtà non potè in nessun modo essere indotto da preghiere a
farla tornare del tutto; al popolo romano, che lo supplicava spesso e insisteva

135
Braccesi, op. cit. p. 152.
136
Cfr. Fraschetti, La damnatio memoriae di Giulia. cit. p. 14.
137
vd. cap. 2, par. 3.
138
Cfr. Braccesi, op. cit. p. 137.
139
Vell. 2, 100, 5. (trad. L. Agnes, vd. nota 71).
140
Cfr. Fraschetti, La damnatio memoriae di Giulia. cit. pp. 20-21.
141
Dio. 55, 13, 1 (trad. Braccesi, op. cit. p. 155).

39
piuttosto tenacemente, in un’assemblea aveva augurato di non avere figlie e mogli
di tal genere.”142

Le insistenze del popolo non riuscirono a farla tornare, ma, almeno dopo cinque anni
convinsero Augusto a mitigarle la pena: dall’isola fu trasferita a Rhegium, l’attuale Reggio
Calabria.
La madre non è menzionata, probabilmente le loro strade si divisero e nel 16 d.C., anno
della morte del nipote, Scribonio Libone Druso, la ritroviamo nuovamente a Roma, come
sostiene Seneca143.
La pena di Giulia, tuttavia, continuò essere molto severa e Augusto non le consentì di
tornare a Roma neanche per i funerali dei suoi figli: Lucio morì in una campagna in Spagna
nel 2 d.C.; Gaio per le ferite riportate in battaglia nel 4 d.C. Ciò fu una vera e propria
disgrazia per il princeps perché venne a mancare la possibilità di trasmissione del potere ad
eredi di sangue. Proprio per questo, Tacito sostenne che ci fosse lo zampino della consorte
di Augusto:

“[la] matrigna Livia avrebbe tolto di mezzo L. Cesare mentre andava a raggiungere
gli eserciti di Spagna, e Gaio mentre ritornava ferito dall’Armenia, cosicché dei
figliastri rimaneva solo Nerone.“144

Augusto fu costretto, allora, nel 4 d.C. ad adottare Tiberio e Agrippa Postumo, l’ultimo
figlio di Giulia, che aveva però un carattere asociale e violento145 e perciò inadatto alla guida
dell’impero. Livia, ancora una volta, si intromise nella successione a favore di suo figlio e
nel 7 d.C. ottenne la condanna dell’ultimo nipote di sangue del marito.

“Poiché Livia aveva talmente irretito Augusto, già vecchio, che egli relegò
nell’isola di Pianosa l’unico nipote, Agrippa Postumo, uomo incolto sì, e
stoltamente orgoglioso della sua gagliardia fisica, ma non riconosciuto colpevole
di alcuna azione vergognosa.”146

142
Svet. Div. Aug. 65 (trad. F. Casorati, vd. nota 8).
143
Sen. Ep. 70, 10.
144
Tac. Ann. 1, 3, 3. (Trad. A. Arici, vd nota 14).
145
Cfr. Braccesi, op. cit. p. 161.
146
Tac. Ann. 1, 3, 4. (trad. A. Arici, vd. nota 14).

40
Ormai la successione di Tiberio era inevitabile e di fatto nel 14 d.C., alla morte di
Augusto, il figlio di Livia prenderà le redini del potere. Anche in questo caso, Tacito e Cassio
Dione avanzano sospetti nei confronti della matrigna di Giulia, sostenendo che ella avvelenò
il marito per paura di un ritorno a Roma dell’ultimo nipote dopo il riappacificamento dei due
negli ultimi anni147.

“Il primo facinus del nuovo principato fu l’assassinio di Agrippa Postumo […] Di
ciò non diede Tiberio spiegazione alcuna al senato; fingeva che fossero stati ordini
del padre. […] è più verosimile che Tiberio e Livia, quello per paura, questa per
avversione di matrigna, abbiano affrettato l’omicidio del giovane, sospetta all’uno
e dall’altra odiato.”148

Tiberio infierì anche contro Sempronio Gracco che era stato relegato nell’isola di Cercina:
la fonte è ripresa sempre dagli “Annales” di Tacito:

“Alcuni soldati spediti in seguito per ammazzarlo lo troveranno sopra una punta
del litorale, in attesa del peggio. Al loro avvicinarsi […] offerse il collo agli
assassini, dimostrandosi con la fermezza del morire non indegno del nome di
Sempronio, che in vita aveva disonorato. Alcuni hanno narrato che quei soldati
non furono mandati da Roma ma dal proconsole d’Africa, L. Asprenate, per ordine
di Tiberio.”149

In ultimo, secondo Tacito, Tiberio assassinò Giulia nel peggiore dei modi:

“[Tiberio] salito al potere, egli la fece morire di stenti, in una lunga consunzione,
esule, disonorata, e, dopo l’esecuzione di Agrippa Postumo, priva affatto di
speranze.”150

Giulia non poté riposare neanche nel Mausoleo di famiglia, in quanto Augusto, per
disposizione testamentaria151, vietò che le sue spoglie fossero seppellite insieme a lui e ai
suoi mariti, Marcello e Agrippa.

147
Dio. 56, 36, 1-2; Tac. Ann. 1, 5, 2.
148
Tac. Ann. 1, 6, 1. (trad. A. Arici, vd. nota 14).
149
Tac. Ann. 1, 53, 5-6 (trad. A. Arici, vd. nota 14).
150
Tac. Ann. 1, 53, 2 (trad. A. Arici, vd. nota 14).
151
Svet. Div. Aug. 101.

41
Di lei non ci è stato tramandato alcun ritratto, solo qualche traccia del profilo in alcune
serie monetali e un’immagine nel fregio dell’Ara Pacis, che certamente non poteva essere
oscurato durante l’opera di damnatio memoriae.

42
Figura 2. Roma, Ara Pacis. Particolare della processione sul lato lungo meridionale. Giulia è il personaggio femminile,
con il capo velato, che segue il suo secondo marito Agrippa al quale il piccolo Gaio Cesare, figlio di entrambi, tiene la
veste. (https://www.lintellettualedissidente.it/wpcontent/uploads/2017/05/arapacis2_2000x745.jpg)

43
APPENDICE: L’ESILIO DI OVIDIO E DI GIULIA MINORE

Le leggi Giulie emanate dal princeps furono per molti anni oggetto di contrasti e di dispute
che causarono un alternarsi di promulgazioni e di abrogazioni, di deroghe e rinvii fino al 9
d.C., anno dell’emanazione della lex Papia Poppea. Il progetto di Augusto era quello di
“ricondurre l’istituto del matrimonio nella retta via della sessualità legittima e della
fertilità”152.
Proprio sotto il regime augusteo, tuttavia, operarono alcuni tra i migliori poeti elegiaci
latini: Tibullo, Properzio e Ovidio; costoro ebbero un’ispirazione erotica e un’etica eversiva
agli ideali di castità propugnati dal princeps. Celebravano l’erotismo e il gioco della
seduzione come valori di una morale alternativa che racchiude, senza dubbio, anche
un’opposizione politica.
Nei circoli di Giulia e Iullo, poeti di questo calibro erano all’ordine del giorno e
sicuramente la lettura delle loro opere, soprattutto i versi di Ovidio, influenzò la giovane
figlia del princeps. Con ottime probabilità, ella lesse la prima stesura del poema Ars
Amatoria che, secondo la critica, risale al 13-10 a.C. Ovidio portò a termine l’edizione
definitiva della sua opera solo nel 2 d.C. con molte integrazioni, tra cui il terzo libro,
“Consigli alle donne”, dedicato, appunto, alle ragazze e alle matrone e che dovette destare
scandalo.153
Come Iullo con la sua Diomedea e Sempronio con la sua Tieste, anche Ovidio con l’Arte
d’Amare voleva contestare e ridicolizzare i miti e i moniti del principato.154 Il titolo del suo
poemetto è anche il titolo del suo manifesto politico: rivendica la libertà di fare l’amore, la
tolleranza al libertinaggio in alternativa a qualsiasi obbligo matrimoniale.155
Conoscendo ora lo stile di vita di Giulia, ritroviamo, in molti consigli di Ovidio, le azioni
della figlia di Augusto e per questo, secondo Braccesi, “dovevano reciprocamente
piacersi”156.
Gli elegiaci cantavano le donne da loro amate dandogli dei nomi fittizi, così Ovidio faceva
lo stesso nell’Ars Amatoria:

152
P. Giunti, op. cit. pp. 227.
153
Cfr. F. Della Corte, Le ‘leges Iuliae’ e l’elegia romana, in ANRW, II, 30, 1, Wolfgang Haase, Berlin – New
York City, 1982, pp. 539-558.
154
Cfr. Braccesi, op. cit. p. 99.
155
Ibid.
156
Ibid. p. 98.

44
“Celebre è il nome di Némesi, celebre è il nome di Cinzia;
vespero e le terre d’Oriente conoscono Licòride,
e sono molti a chiedersi chi sia la nostra Corinna.”157

Sebbene le donne fossero facilmente riconoscibili, nonostante i loro pseudonimi,


sull’identità di Corinna vi è un alone di mistero che il poeta non dissiperà mai. Innanzitutto,
Ovidio rivela già che il nome della donna amata è fittizio al contrario di tutti gli altri poeti
elegiaci:

“Spronava il mio genio, cantata per Roma intera,


Corinna, così chiamata da me con nome fittizio.”158

“Sono molti a chiedersi chi sia” indica che neanche coloro che erano nella sua cerchia
poetica conoscevano il vero nome della donna, a differenza delle altre cantate dai suoi
colleghi. Con “cantata per Roma intera” invece, fa capire come Corinna è cantata da tutti e
dunque “una donna altolocata, sottratta […] sia al consorte sia all’amante in titolo, come il
poeta ricorda a più riprese nel libro degli Amores”.159
Il nome Corinna rimanda all’antica poetessa greca, vissuta tra il VI e il V secolo, che era
stata maestra di Pindaro. Il “nuovo” Pindaro, secondo Braccesi160 è proprio Iullo, stando a
quello che dice Orazio nell’ode161 in cui si rivolge all’amante ufficiale di Giulia: l’autore
delle Satire gli dice che la sua musa non era adatta ad imitare la lirica pindarica e che doveva
cantare Augusto.
Corinna è dunque una donna amante della letteratura che competeva nei circoli letterari
con i poeti più in voga, tra cui Iullo. Che sia proprio Giulia la donna amata da Ovidio?
Dopo lo scandalo del 2 a.C. e la conseguente disgregazione del circolo letterario di Iullo,
il poeta elegiaco si salvò perché era meno compromesso e non aveva ricoperto nessun
incarico magistraturale.
Tuttavia, verrà relegato a Tomi per motivi ancora non ben chiariti, ma che probabilmente
sono da ricercare nei versi dell’Arte d’Amare troppo trasgressivi per le riforme augustee.
Ovidio, in esilio, non spiegherà mai il motivo della sua condanna ma fa riferimento a due

157
Ov. Ars Amatoria, 3, 536-538. (trad. Braccesi, op. cit., p. 107).
158
Ov. Trist., 4, 10, 59-60 (trad. Braccesi, op. cit., p. 108).
159
Braccesi, op. cit. p. 109.
160
Ibid. p. 110.
161
Or. Carm. 2,4.

45
generiche colpe “carmen et error”162: con il primo termine si può individuare il suo
poemetto, con il secondo forse la sua adesione alle idealità politiche non tollerate dal
princeps163 oppure la sua relazione segreta con Giulia.
Ancora più probabile è, considerata la data della sua condanna, un suo coinvolgimento in
un’altra congiura, quella organizzata da Giulia minore, la figlia di Giulia.
Giulia minore aveva sposato nel 4 a.C. Lucio Emilio Paolo, nipote di Scribonia e console
nell’1 d.C. e aveva avuto da lui due figli: Marco Emilio Lepido e Emilia Lepida. Anche
Giulia, come la madre, venne accusata di adulterio e condannata all’esilio, in quanto
esponente di spicco del ramo giulio, antagonista non più di Augusto ma del successore
designato, Tiberio.164
L’esilio di Agrippa Postumo nel 7 d.C. scatenò la reazione del circolo di Giulia minore e
del marito, il quale cominciò subito ad organizzare la congiura che ebbe luogo l’anno
successivo e che coinvolse altri otto individui. 165 Lucio Emilio Paolo verrà condannato alla
pena capitale e anche alla damnatio memoriae, come prevedeva la pena per le accuse di alto
tradimento; non poteva essere, infatti, accusato di adulterio.166
Giulia minore venne ritenuta una dei responsabili della congiura insieme al marito, come
accenna Svetonio quando narra dei matrimoni dell’imperatore Claudio:

“Ancora adolescente, ebbe due fidanzate: Emilia Lepida, pronipote di Augusto e


Livia Medullina […]. Ripudiò ancora vergine la prima, perché i suoi genitori
avevano offeso Augusto”167.

Tuttavia, venne accusata di adulterio con D. Giunio Silano, il quale non venne
ufficialmente perseguito e condannato, ma continuò a vivere a Roma168; queste notizie ce le
offre Tacito:

“Dunque, Decimo Silano, colpevole di adulterio verso la nipote di Augusto […]


risiedette sì a Roma, ma restò estraneo alla vita politica”169.

162
Ov, trist, 2, 207 (trad. Rohr Vio in Paride, Elena, Menelao e la relegatio di Ovidio a Tomi. cit. p. 237).
163
Rohr Vio, Paride, Elena, Menelao e la relegatio di Ovidio a Tomi, <<Lexis>> 16, Adolf M. Hakkert Editore,
1998, pp. 231-238.
164
Cfr. Cenerini, Le strategie matrimoniali dei padri. cit. p. 104.
165
Svet. Div. Aug. 19.
166
Braccesi, op. cit., p. 169.
167
Svet. Claud. 26, 1 (trad. D. Medici, vd. nota 8)
168
Cfr. Luisi, L’opposizione sotto Augusto. cit., p. 188-189.
169
Tac., Ann., 3, 24, 3 (trad. A. Arici, vd. nota 14).

46
Le analogie tra le due congiure sono numerose, non solo perché coinvolsero una la madre e
l’altra la figlia, ma anche per gli elementi di continuità tra circoli e amici delle due Giulie.
Giunio Silano era imparentato con i Sempronii Gracchi e con i Quinzii Crispini, mentre L.
Emilio Paolo con la stessa madre della moglie e con Cornelio Scipione170; dunque Augusto,
colpendo la nipote, riuscì a liquidare definitivamente tutti i superstiti e gli amici della figlia.
La differenza sostanziale tra madre e figlia è il ruolo avuto nella congiura: la prima era
stata una degli organizzatori più ambiziosi, la seconda ebbe soltanto un ruolo marginale171;
inoltre, Giulia minore non imitò, per quanto ci è dato sapere, le nefandezze e le sregolatezze
della madre, in quanto, oltre a Silano, “non le si conoscono altri amanti”172.
Giulia venne relegata sull’isola di Trimero, l’odierna San Nicola, appartenente
all’arcipelago delle isole Tremiti, dove visse grazie alla generosità di Livia:

“Ivi, [Giulia minore] patì un esilio di venti anni, vivendo dei sussidi di Augusta,
la quale, dopo aver rovinato con misteriosi intrighi i figliastri nel fiore dell’età,
ostentava compassione verso quelli che aveva colpito”.173

170
Luisi, L’opposizione sotto Augusto. cit. p. 189.
171
Cfr. Braccesi, op. cit., p. 173.
172
Ibid.
173
Tac., Ann., 4, 71, 4 (trad. A. Arici, vd. nota 14).

47
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Roma, Salerno Editrice, 2019.
Trevisiol A. L'episodio di Giulia: congiura o fronda? in Giovanni Ramilli (a cura di),
<<Patavium>> 8, 1996, pp. 27-58.

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