Il principato di Augusto fu un governo prettamente personale, fondato sul prestigio del princeps e su leggi che lo favorivano. Alla sua morte, si presentò quindi il problema di come mantenere quella prosperità e quella pace che il principato di Ottaviano aveva portato, e di chi, in effetti, far salire al trono come successore. I primi furono tutti appartenenti alla sua famiglia, la cosiddetta dinastia "Giulio-Claudia", nata dall'unione di Augusto (appartenente alla gens Iulia) e Livia (appartenente alla gens Claudia). Il primo tra quelli che succedettero al primo imperatore, fu Tiberio, figlio di primo letto di Livia, adottato solo in seguito da Augusto per la mancanza di un erede al trono, avendo una sola figlia, Giulia, che venne data per giunta in sposa a Tiberio per stringere i legami tra le due famiglie. Le fonti storiche lo dipingono come un uomo schivo e diffidente, per niente attaccato alla vita politica; inoltre, non aveva la stessa attenzione e acutezza del padre adottivo nei confronti del Senato. Quando salì al trono ormai aveva 56 anni, e nonostante non fosse come Augusto, aveva maturato anch'egli una discreta esperienza politica. In campo religioso, in particolare verso la nascente dottrina cristiana, si mostrò inclusivo, infatti, ci è arrivato un aneddoto in cui si racconta che il princeps chiese al Senato di introdurre la figura di Cristo all'interno della religione romana allo stesso piano di Giove. Politicamente non compì decisioni determinanti, ma si limitò a dare al Senato il potere elettivo, nel tentativo forse di portarlo dalla sua parte perché lo temeva. Nei primi anni di governo fu molto cauto, e in campo militare si occupò di mandare il nipote Germanico ai confini settentrionali, dove sconfisse ripetutamente i Germani. Questo non fece che aumentare la sua fama e Tiberio lo mandò in Oriente a fronteggiare i Parti. Nel 19 morì in circostanze misteriose, si dice a causa di un certo Pisone, governatore della Siria, a cui venne affidato Germanico dallo stesso imperatore. Questo, la notte prima del processo si suicidò; l'evento portò a un enorme calo di popolarità di Tiberio, che si fece sempre più sospettoso e avviò una serie di processi contro la famiglia e i sostenitori di Germanico condannandoli a morte. Nel 26 d.C. si trasferì a Capri, lasciando il controllo a Roma al suo prefetto del pretorio Seiano, uomo senza scrupoli e spietato. Nel 31 d.C., quando Tiberio si accorse delle intenzioni di Seiano, cioè quelle di spodestarlo e diventare imperatore, lo fece uccidere, e con lui la sua famiglia e chi lo appoggiava, condannandolo inoltre alla damnatio memoriae. Nel 37 d.C. abbandonò Capri per una partita di caccia, ma venne colto da un malore e venne creduto morto. Dunque cominciarono i festeggiamenti per la salita al trono di Caligola. Tuttavia, poco dopo Tiberio si riprese, e i festeggiamenti vennero annullati; a questo punto, il prefetto del pretorio Macrone ordinò che venisse posto sotto un mucchio di coperte e lasciato lì, come accadde. L'imperatore Tiberio si spense all'età di settantotto anni il 16 marzo del 37 d.C., lasciando l'impero in floride condizioni finanziarie.
Caligola (37 – 41 d.C.) Morto Tiberio, venne proclamato imperatore Gaio Cesare Germanico, figlio di Germanico, soprannominato Caligola per la calzatura militare che usava portare, la caliga. Venne scelto poiché il Senato ambiva a un cambiamento politico, dopo la gestione di Tiberio, che non era stata totalmente apprezzata dalla classe senatoria. Infatti, vedevano nella figura di Caligola, discendente di Germanico, un valido portatore del nome del padre, credendo inoltre che fosse come lui. Tuttavia, queste speranze vennero presto infrante poiché il ragazzo si rivelò essere tutt'altro, cioè un persecutore accanito verso i suoi oppositori, arrivando a ucciderli, che umiliò più volte il Senato, al punto che, secondo quanto ci dice, arrivò a nominare senatore il proprio cavallo Incitatus. Sebbene questo dai senatori venne definito un atto di pazzia, più probabilmente erano mossi da un'idea precisa, quella di trasformare l'impero romano in una monarchia assoluta, sul modello delle monarchie orientali. Infatti, nelle province orientali dell'impero vivevano già milioni di persone abituate a questo tipo di governo, quindi non gli restava che uniformare il resto a questo modello. Per far ciò, assunse comportamenti autocratici, infatti, pretese che gli venisse eretto un tempio, un cerimoniale da seguire con inchino davanti a lui. Per consolidare ancora di più la sua popolarità usò, come Augusto, il panem et circenses, che lo rese in effetti popolare tra il popolo, ma odiato dagli aristocratici; per queste elargizioni in effetti, attingeva al fiscus, che però era riempito spesso da confische dei beni dei suoi oppositori o di lasciti testamentari che i senatori disponevano a favore del principe per evitare che si appropriasse in modo arbitrario dei beni di un'intera famiglia. Questo tipo di governo non fu certo apprezzato, e le tensioni accumulatesi in quattro anni di governo, scoppiarono in un colpo di stato nel 41 d.C., dove Caligola venne ucciso dai pretoriani.
Claudio (41- 54 d.C.)
Dopo aver ucciso Caligola, la classe senatoria si accorse dei pericoli che si correvano con il principato, e stavano ipotizzando di restaurare la vecchia repubblica; però, non c'era nessuno abbastanza abile da riuscire a compiere questo gesto. Perciò, mentre ancora il Senato era incerto, i pretoriani proclamarono imperatore il fratello di Germanico, Claudio. Claudio non aveva mai avuto fino ad allora alcun ruolo in politica, infatti non apprezzava la vita pubblica e preferiva vivere nell'ombra; in più, non era neanche mai stato tenuto in considerazione, a causa sia della sua non spiccata bellezza, sia del carattere timido che lo caratterizzava. Malgrado tutto ciò, Claudio fece andare avanti con dignità lo Stato migliorando anche la situazione finanziaria rovinata dal suo predecessore. Inoltre, introdusse una classe senatoria mista, ammettendo al suo interno anche esponenti al di fuori di Roma, ad esempio ammettendo persone provenienti dalla Gallia Narbonese. Riguardo invece la politica estera, Claudio conquistò la parte meridionale della Britannia trasformandola in provincia nel 44. In campo religioso infine, inizialmente si mostrò molto tollerante verso religioni diverse - tranne i culti druidici e i sacrifici in Gallia, che abolì - come ebraismo e cristianesimo, però, dopo svariati scontri a Roma tra le due religioni, li cacciò. La sua vita privata fu molto movimentata; come terzo matrimonio ebbe Messalina, una donna definita squilibrata, crudele e addirittura poco di buono. Basti pensare a Giovenale, che scrisse che di notte mettesse una parrucca e si andasse a prostituire sotto il falso nome di Licisca, oppure secondo Dione Cassio, che affermava che si prostituisse nello stesso palazzo imperiale. Neanche la figura di Claudio venne risparmiata, infatti venne criticato da Tacito e Seneca principalmente, in quanto venne considerato dal primo un inetto ingenuo, che si faceva condizionare dalle donne e persone a palazzo. Seneca invece, gli riservò una satira, di nome Ἀποκολοκύντωσις, letteralmente "apoteosi di una zucca", oppure "zucchificazione", rifacendosi al processo di apoteosi riservato agli imperatori aggiungendo l'elemento di scherno di zucca, che vuole significare "testa vuota", riflettendo di fatto quello che era il pensiero della classe senatoria verso il princeps. Nell'opera Seneca racconta un po' quello che accade dopo la morte dell'Imperatore, che andrebbe per il processo di deificazione, tra l'altro che ha un buon esito, fino a quando non arriva Augusto, il quale lo condanna agli Inferi per la condotta iniqua di vita pregna di assassini da parte sua e dei corrispondenti liberti. Fatto interessante riguardante proprio questi, è che molto spesso revocavano gli ordini del principe, ne creavano di nuovi, tutto ciò a proprio vantaggio, senza che però Claudio ne sapesse nulla. Addirittura una volta firmò la condanna a morte di circa 35 senatori e trecento cavalieri senza che neanche lo sapesse, al punto che, quando un centurione andò dall'imperatore ad annunciargli la morte dell'imperatore, lui gli rispose di non aver disposto alcun ordine; ciò la dice lunga sulla figura di Claudio. Riguardo la moglie, Messalina, la sua fu una fine oserei dire triste, poiché, parte di una tresca con un nobile di nome Caio Silio, mentre Claudio non era a Roma, celebrò il matrimonio con festeggiamenti sfarzosissimi, che non si sa come passarono inosservati agli occhi del princeps. Fatto sta che i liberti di Claudio lo vennero a sapere e lo informarono, facendo mettere a morte Silio; d'altra parte, Messalina, mandò una lettera di supplica al marito, il quale però non ne venne mai a conoscenza a causa dei suoi liberti che non gli fecero mai vedere la consorte, per paura che la perdonasse. Infine Narciso, nemico accanitissimo della donna, la fece mettere a morte per "ordine dell'imperatore", e così fu. Ultimo aneddoto riguardo la questione, Tacito narra che quando Claudio venne a sapere, durante un banchetto, della morte di Messalina, sembrò totalmente noncurante, e chiese una coppa e continuò il pranzo come sempre. Come seconda moglie, Claudio prese Agrippina, sua nipote, che aveva già un figlio di nome Nerone, ignorando un giuramento fatto ai pretoriani poco prima secondo cui lo avrebbero dovuto uccidere in caso si fosse risposato. Il matrimonio con Agrippina fu aspramente criticato, poiché i rapporti zio-nipote erano considerati incestuosi e illegali, ma il Senato abrogò questa legge, consentendo l'unione. I liberti persero totalmente tutto il potere che avevano avuto in precedenza, tranne Pallante, che diventò amante di Agrippina e prefetto del pretorio. La donna fece di tutto per far salire al trono il figlio Nerone, al punto che avvelenò il marito nel 54 d.C., si dice con un piatto di funghi avvelenato, che però tardava a compiere il suo lavoro, infatti, per la stessa versione dei fatti si narra che Agrippina chiamò il medico Senofonte che gli fece ingoiare un altro veleno, questa volta letale per l'uomo. Così si spegneva Claudio, all'età di sessantaquattro anni, dopo 14 anni di regno. Più in là, Agrippina fece in modo di liberarsi anche di Britannico, figlio di Claudio, per assicurare il regno al figlio.
Nerone (54 – 68 d.C.) Salito al potere appena diciassettenne, Nerone venne affiancato da tre figure fondamentali: la madre Agrippina, il prefetto del pretorio Afranio Burro e il filosofo Seneca. Proprio per la presenza di queste due figure di spicco dell'epoca il Senato non ostacolò affatto l'ascesa del ragazzo, credendo fermamente che, educato da pensatori illustri, non avrebbe attuato alcuna forma di governo dispotico, speranza, come poi si vedrà in futuro, sbagliata. I primi cinque anni di governo furono tutto sommato equilibrati, senza alcun evento troppo importante. A un certo punto però, Nerone decise di allontanare ogni guida avuta fino a quel momento e fece assassinare la madre, la moglie Ottavia, e il prefetto Afranio Burro, invitando invece Seneca al suicidio. A quel punto, venne nominato prefetto del pretorio Tigellino. Per far fronte a una crisi economica sempre più grave, Nerone svalutò la moneta di argento e allo stesso tempo impose tasse pesantissime, accaparrandosi l'odio delle classi più abbienti. Militarmente parlando, riuscì a conseguire svariati successi contro i Parti, grazie al generale Corbulone, e in Armenia, regione strategicamente molto importante, e sedò una rivolta scoppiata in Palestina grazie all'aiuto di Flavio Vespasiano. Nel 64 Roma fu colpita da un violento incendio che iniziò al Circo Massimo, che poi si estese fino a coprire metà della città. I rioni tra il Circo e l'Esquilino furono totalmente distrutti, tutti gli altri gravemente danneggiati. Nerone fu avvertito mentre era ad Anzio e accorse a Roma, ma non poté salvare neppure la sua reggia. All'inizio, Tacito mise il sospetto che fosse stato proprio Nerone a disporre che venisse causato l'incendio, ma scrisse anche che l'imperatore si dette molto da fare per i soccorsi, ricoverando i senza tetto nel mausoleo di Agrippa e nei giardini imperiali, con capanne e baracche costruite per l'occasione, e istituendo un calmiere per il prezzo del frumento. In molti pensarono fosse stato l'imperatore ad appiccare Roma, ma non ci sono prove a riguardo. Gli imperatori romani davano molta libertà alla nuova religione di volta in volta; e alcuni di loro, mossi da una sorta di sincretismo religioso, cercarono perfino di alleare il culto del Cristo con il culto ufficiale dell'impero. Fatto sta che per stornare i sospetti la colpa infine venne data ai cristiani. Pur essendo stati espulsi da Claudio, molti cristiani erano rimasti a Roma fondando una importante comunità, aderita soprattutto da schiavi e liberti. La persecuzione fu feroce e sanguinosa. Secondo la tradizione fu allora che San Paolo venne decapitato e San Pietro fu crocefisso a testa in giù. Placati gli animi Nerone dispose la riedificazione di Roma, con strade ampie e dritte, case più basse e soprattutto di pietra perché meno incendiabili. Inoltre, dalle macerie della ormai vecchia Roma, veniva edificata la Domus Aurea, la nuova reggia di Nerone. Negli anni avvenire viaggiò in Grecia per partecipare ai giochi olimpici, e partecipò anche a molti spettacoli come poeta e attore, tuttavia, questi ultimi non erano ben visti a Roma, paragonati addirittura alle prostitute, poiché il ruolo era ricoperto principalmente da schiavi e liberti. Nel 65 d.C. si ordì una congiura capitanata dalla famiglia dei Pisoni ai danni dell'imperatore, a cui parteciparono svariati senatori, filosofi e poeti come Petronio, Lucano e lo stesso Seneca. Tutti e tre si uccisero tagliandosi le vene, in particolare Seneca, poiché il gesto non lo stava portando a morte rapida, bevve cicuta nella sua vasca; di Petronio invece si ha una descrizione della sua morte assai cruda, infatti Tacito ci racconta che prima si tagliò le vene, poi le legò, in seguito le tagliò di nuovo, e mentre aspettava la morte nel modo che a lui pareva naturale, ascoltava canzonette e gioviali poesie. Infine, nel 68 d.C. scoppiò una rivolta in Spagna, dove delle legioni sotto il comando del senatore Galba lo avevano proclamato imperatore. A quel punto Nerone provò a fuggire via nave, ma nessuno lo appoggiò, allora, accortosi che anche la guardia personale lo aveva abbandonato, provò a chiedere aiuto ai suoi amici, dei quali solo il liberto Faonte gli propose di rifugiarsi nella sua villa a quattro miglia da Roma; però, durante il viaggio venne riconosciuto, e poiché era stato proclamato nemico della patria dal Senato, preferì suicidarsi con un coltello alla gola al posto di subire la pena designata per lui, cioè la fustigazione appeso a una forca. Così si spense Nerone, a 32 anni, nel 68 d.C., ponendo fine alla dinastia dei Giulio-Claudii.