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TACITO, ANNALES, LIBRO I (TRADUZIONE DI LIDIA PIGHETTI, MILANO 1994)

I 1. La città di Roma, alle sue origini, fu sotto il dominio dei re. Bruto vi introdusse il consolato e
la libertà. Le dittature avevano carattere temporaneo; il potere dei decemviri non si mantenne per più di
due anni e neppure i tribuni militari esercitarono a lungo l'autorità consolare. Non durarono per molto né il
dispotismo di Cinna né quello di Silla; la potenza di Pompeo e di Crasso cedette a quella di Cesare e le forze
militari di Lepido e di Antonio passarono ad Augusto che, con il titolo di principe, prese nelle sue mani il
governo dello Stato esausto per le contese civili.

2. Ma le vicende prospere o avverse del popolo romano antico sono state tramandate da illustri autori
e a narrare gli eventi dell'età di Augusto non sono mancati storici di alto ingegno, finché non ne furono
distolti dalla crescente adulazione.

3. La storia, invece, di Tiberio, di Gaio, di Claudio e di Nerone fu falsificata per paura, finché essi
furono in auge, mentre, dopo la loro fine, fu composta sotto l'influenza di ancor freschi motivi di
risentimento.

4. Perciò mi sono proposto di narrare in sintesi solo gli ultimi momenti della vita di Augusto, per
trattare poi il principato di Tiberio e le vicende successive con assoluta imparzialità, senza avversione né
simpatia, sentimenti per cui non nutro nel mio animo alcun motivo.

II 1. Dopo la disfatta di Bruto e Cassio non era rimasto più alcun esercito a difendere la
repubblica. Pompeo era stato sconfitto nelle acque della Sicilia e il partito cesariano - spogliato di ogni
potere Lepido e uccisosi Antonio - non aveva più altro capo all'infuori di Ottaviano. Questi, allora, depose il
titolo di triumviro e si presentò semplicemente come console, dichiarandosi pago dell'autorità di tribuno
per difendere la plebe. Ma poi, guadagnatosi il favore dei soldati con donativi, quello del popolo con
distribuzioni di viveri e quello di tutti i cittadini con l'allettante prospettiva della pace, andò gradualmente
accrescendo il suo potere con l'accentrare in sé le prerogative del senato, dei magistrati, delle leggi, senza
che nessuno gli si opponesse, perché gli avversari più accaniti erano caduti sui campi di battaglia o erano
rimasti vittime delle proscrizioni, mentre i nobili superstiti erano colmati di ricchezze e di onori quanto più si
dimostravano pronti a servire e, favoriti dal nuovo ordinamento, preferivano la sicurezza del presente ai
rischi del passato.

2. Anche le province non si mostrarono contrarie al nuovo stato di cose, perché il governo del senato
e del popolo non dava più affidamento per le rivalità tra i potenti e l'avidità dei governatori, mentre le leggi,
invalidate dalla violenza, dagli intrighi e dal potere corruttore del denaro, non offrivano più un'efficace
tutela.

III 1. D'altra parte Augusto, per procurare più solidi sostegni al suo potere, elevò alla carica di
pontefice massimo e di edile curule il figlio della sorella, Claudio Marcello, benché giovanissimo, e assegnò
per due volte consecutive l'onore del consolato a Marco Agrippa, uomo di oscuri natali, ma buon soldato e
compagno delle sue vittorie, e, dopo la morte di Marcello, lo volle come genero; ai figliastri Tiberio Nerone
e Claudio Druso diede l'onorifico titolo di imperator, benché non gli mancassero successori diretti nella sua
famiglia.

2. Infatti egli aveva introdotto nella famiglia dei Cesari i figlioli di Agrippa e, pur simulando di non
volerlo, aveva ardentemente desiderato che fossero chiamati "principi della gioventù" e che fossero
designati al consolato ancor prima di aver deposto la toga pretesta.
3. Ma, dopo la morte di Agrippa, una fine immatura, dovuta a fatalità o alle trame della matrigna Livia,
tolse di mezzo sia Lucio Cesare, mentre si accingeva a raggiungere gli eserciti di stanza in Spagna, sia Gaio,
mentre ritornava ferito dall'Armenia. Così, poiché Druso era morto in precedenza, dei figliastri di Augusto
rimaneva allora soltanto [Tiberio] Nerone, su cui cominciarono a volgersi tutti i favori: fu adottato come
figlio, assunto come collega nell'impero, reso partecipe della potestà tribunizia e infine presentato a tutti gli
eserciti non più, come prima, grazie alle segrete manovre di Livia, ma per sua aperta raccomandazione.

4. Infatti Livia aveva irretito a tal punto il vecchio Augusto da indurlo a relegare nell'isola di Pianosa
l'unico nipote, Agrippa Postumo, che, benché privo di doti intellettuali e spirituali e stoltamente fiero della
sua forza fisica, tuttavia non era mai stato riconosciuto colpevole di alcun misfatto.

5. Ma almeno a Germanico, figlio di Druso, Augusto assegnò il comando di otto legioni di stanza sul
Reno e impose a Tiberio di adottarlo, benché nella casa di quest'ultimo ci fosse un figlio in giovane età,
evidentemente per contare su un sostegno in più per la sua successione.

6. In quel tempo non vi erano più guerre in corso, a eccezione di quella contro i Germani, suscitata più
dalla volontà di cancellare il disonore della disfatta di Quintilio Varo che dall'ambizione di estendere i
confini dell'impero o dalla prospettiva di qualche vantaggio.

7. All'interno regnava la pace: i magistrati conservavano i vecchi nomi; i giovani erano nati dopo la
battaglia di Azio, e anche quelli della vecchia generazione, per la maggior parte, nel corso delle guerre civili:
quanti restavano ancora in vita di quelli che avevano visto la repubblica?

IV 1. Mutato dunque interamente l'assetto dello Stato, non rimaneva più alcuna traccia
dell'antico e onesto costume politico: tutti, rinunziando ormai ai principi di civile uguaglianza, si attenevano
alle disposizioni del principe, senza alcun timore per il momento, almeno finché Augusto era nel pieno
vigore dell'età e in grado di reggere se stesso, la sua famiglia e la pace.

2. Ma quando, con l'avanzare della vecchiaia e l'aggravarsi delle infermità, si profilò l'imminenza della
sua fine e si accesero nuove speranze, alcuni discutevano a vuoto sui vantaggi della libertà, altri, in maggior
numero, erano spaventati all'idea che nascesse una guerra, altri invece la desideravano. Ma la grande
maggioranza si adoperava a criticare in vario modo i futuri signori.

3. Di Agrippa si diceva che era un violento, per di più esasperato dall'offesa subita e inadatto per la
giovane età e per l'inesperienza a sostenere il peso di un compito così grande; quanto a Tiberio Nerone, si
osservava che certamente era maturo d'anni e ricco di esperienza militare, ma si aggiungeva che portava in
sé l'alterigia innata fin dai tempi più remoti nella famiglia Claudia e che si evidenziavano in lui molti indizi di
crudeltà, benché egli si sforzasse di occultarli.

4. Si notava anche che era stato allevato fin dai primi anni in una casa di despoti, che sin da giovane
era stato insignito ripetutamente di consolati e trionfi, e che anche in quegli anni in cui era vissuto di fatto
da esule a Rodi, fingendo di aver scelto di condurvi una vita ritirata, non aveva cessato di nutrire i suoi
rancori, la sua ipocrisia e le sue inconfessabili dissolutezze.

5. Per di più gli stava al fianco una madre incapace, da donna qual era, di frenare la sua prepotenza,
per cui si sarebbe dovuti essere schiavi di una donna e inoltre di due giovinetti che, fintanto che egli fosse
stato vivo, avrebbero oppresso lo Stato, in attesa di smembrarlo, un giorno o l'altro, dopo la sua morte.
V 1. Mentre circolavano questi e altri commenti del genere, le condizioni di salute di Augusto si
andavano aggravando, per cui alcuni sospettavano di una delittuosa macchinazione della moglie. Infatti si
era sparsa la voce che, pochi mesi prima, Augusto, confidatosi con pochi intimi, si era recato a Pianosa, in
compagnia del solo Fabio Massimo, a far visita ad Agrippa, e che là si erano versate molte lacrime da
entrambe le parti con grandi manifestazioni d'affetto, il che aveva fatto sperare che al giovane potesse
essere concesso il ritorno nella casa dell'avo.

2. Si aggiungeva poi che Massimo ne aveva parlato alla moglie Marcia e questa a sua volta a Livia,
cosicché la cosa era stata risaputa da Cesare. Non molto tempo dopo Massimo era morto, forse suicida, e
durante i funerali si erano uditi i lamenti di Marcia che si accusava di essere responsabile della morte del
marito.

3. Comunque siano andate le cose, Tiberio, appena giunto nell'Illirico, fu richiamato da una lettera
urgente della madre e non si sa se a Nola egli abbia trovato Augusto ancora in vita o già spirato.

4. Infatti Livia aveva fatto strettamente sorvegliare la casa e le vie d'accesso, mentre si curava di far
circolare notizie rassicuranti, finché non ebbe preso i provvedimenti richiesti dalle circostanze; e allora,
contemporaneamente, si diffusero le due notizie della morte di Augusto e dell'assunzione del potere da
parte di [Tiberio] Nerone.

VI 1. Il primo atto del nuovo principato fu l'assassinio di Agrippa Postumo, che, benché colto di
sorpresa e disarmato, fu ucciso non senza grande fatica da un centurione pur di animo risoluto. Tiberio non
ne fece parola in senato: voleva far credere che si trattasse dell'esecuzione di un ordine impartito dal padre
al tribuno addetto alla sorveglianza di Agrippa, che, cioè, non tardasse a ucciderlo non appena egli stesso
avesse concluso la propria vita.

2. Non vi è dubbio che Augusto avesse deprecato molto severamente la condotta del giovane, per
ottenere che ne fosse decretato ufficialmente l'esilio con un senatoconsulto; d'altra parte Augusto non si
era mai accanito contro nessuno dei suoi al punto da volerne la morte e non è credibile che egli avesse
procurato la fine del nipote per garantire la sicurezza al figliastro. E' più verosimile che Tiberio e Livia, il
primo per paura, la seconda per avversione di matrigna, avessero voluto affrettare la morte del giovane,
sospetto all'uno e malvisto dall'altra.

3. Quando il centurione, secondo la prassi militare, riferì a Tiberio che i suoi ordini erano stati eseguiti,
egli rispose che non aveva impartito alcuna disposizione del genere e che del fatto si doveva render conto
al senato. Ma Sallustio Crispo, che era al corrente dei segreti piani del principe (aveva lui stesso trasmesso
l'ordine scritto al tribuno), appena venne a conoscenza di questa risposta, temendo di essere incriminato e
pensando che in tal caso sarebbe stato per lui altrettanto pericoloso il mentire quanto il rivelare la verità,
avvertì Livia di non divulgare i segreti di corte, i pareri offerti dagli amici, i servigi resi dai soldati; Tiberio, dal
canto suo, non doveva indebolire la forza del principato deferendo ogni decisione al senato, perché
l'esercizio del potere assoluto esige che i conti non tornino se non si rendono a uno solo.

VII 1. A Roma intanto consoli, senatori e cavalieri si precipitavano ad assumere il ruolo di servi.
Quanto più erano di rango elevato, tanto più erano pronti all'ipocrisia e, studiando la propria espressione
per non apparire né lieti per la morte del vecchio principe né troppo afflitti per l'avvento del nuovo,
mescolavano lacrime e sorrisi, compianto e adulazione.
2. Per primi prestarono giuramento di fedeltà a Tiberio Cesare i consoli Sesto Pompeo e Sesto
Appuleio, dopo di loro il prefetto delle coorti pretoriane Seio Strabone e il prefetto dell'annona Gaio
Turranio, infine il senato, l'esercito, il popolo.

3. Infatti Tiberio in ogni cosa lasciava l'iniziativa ai consoli, come se fosse ancora in vigore l'antico
ordinamento repubblicano ed egli stesso esitasse a esercitare il potere; lo stesso editto con cui convocava i
senatori nella curia fu da lui emanato con il solo titolo della potestà tribunizia ricevuta sotto Augusto.

4. Il contenuto dell'editto era breve e di senso molto moderato: egli intendeva consultare il senato in
merito agli onori da tributare al padre e non voleva allontanarsi dalla sua salma; questo era l'unico ufficio
pubblico che riservava a se stesso.

5. Ma, appena spirato Augusto, egli aveva dato la parola d'ordine ai pretoriani come imperator, aveva
a sua disposizione sentinelle, armati e ogni altro apparato di corte, una scorta lo accompagnava sia nel foro
sia nella curia. Mandò un messaggio agli eserciti come se avesse già assunto ufficialmente il principato e
non mostrò mai la minima esitazione, se non quando parlava in senato.

6. La causa principale di tale atteggiamento risiedeva nella paura che Germanico, nelle cui mani stava
il comando di tante legioni e di un numero immenso di alleati, mentre godeva anche dell'entusiastico
favore del popolo, preferisse impadronirsi subito del potere, anziché aspettare di riceverlo per successione.

7. Si preoccupava anche della propria popolarità, adoperandosi per sembrare chiamato ed eletto dallo
Stato piuttosto che giunto al potere per vie tortuose grazie agli intrighi di una moglie e all'adozione di un
vecchio. Più tardi si comprese che il suo comportamento esitante e dubbioso era il frutto di una finzione
escogitata per indagare i sentimenti dei cittadini più eminenti: infatti se ne imprimeva nella mente ogni
parola e ogni espressione del volto, per valersene in seguito come capi d'accusa contro di loro.

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