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La Dinastia Giulio Claudia (27-68 d.C.

La definizione della dinastia è riconducibile al nomen di due imperatori: Gaio Giulio Cesare Ottaviano
(Augusto), adottato da Giulio Cesare e quindi membro della gens Iulia e Tiberio Claudio Cesare Germanico
(Claudio), quarto imperatore e membro della gens Claudia, primo tra i principi a non essere adottato nella
gens Iulia, poiché il suo predecessore Caligola (come vedremo) aveva estinto la linea adottiva.

Augusto orientò la scelta del suo erede su base adottiva, opzione preferenziale in termini di successione e,
dal momento che altri candidati da lui scelti erano deceduti e che non aveva avuto discendenti diretti, il
successore designato fu Tiberio, figlio che la moglie Livia aveva avuto da un precedente marito, Tiberio
Claudio Nerone. Il giovane Tiberio venne fatto sposare con Giulia, figlia diretta dell’imperatore e poi da lui
adottato, rendendo il legame con Augusto molto stretto a più livelli di parentela, secondo una prassi
consolidata nelle famiglie aristocratiche romane.

Tiberio (14-37 d.C.)

Tiberio apparteneva per nascita all’antica e nobile gens Claudia e con questo si accresceva il suo prestigio
nella gens Giulia andando a caratterizzare dunque la dinastia “Giulio-Claudia”. Fu in carica dal 14 al 37 d.C.,
consolidò le frontiere, si occupò dell’organizzazione amministrativa, rafforzò il potere centrale fino a
tagliare gli sprechi allo scopo di risanare le finanze del Regno. Tiberio non fu mai ben visto dalla plebe sia
per il suo carattere riservato sia per i pesanti interventi economici per la crisi economica. Infatti la politica di
contenimento dei costi lo indusse a ridurre gli spettacoli pubblici e il commissionamento delle opere. Anche
Tacito e Svetonio, sostenitori della Repubblica, avrebbero successivamente tramandato un’immagine
spietata del successore di Augusto, probabilmente funzionale alla loro avversione all’Impero. I suoi
detrattori gli attribuivano incoerenza politica, poiché aveva inizialmente rifiutato le cariche ricoperte da
Ottaviano in Senato. Tuttavia, tutto il corso del I secolo d.C. fu segnato da contrasti fra gli imperatori e il
senato. Tiberio riscosse sempre poca popolarità che diminuì ulteriormente dopo il 19 d.C., quando fonti
ufficiose gli attribuirono la responsabilità della morte per avvelenamento del nipote, l’amatissimo generale
Germanico.

Durante il suo regno, la corte fu interessata da una serie di congiure, complotti e corruzioni che, pur
frequenti negli ambienti politici, nella realtà Romana assumevano particolare entità proprio in virtù della
mancanza di un chiaro principio ereditario. La possibilità di acquisire il diritto di successione imperiale
scatenava le ambizioni di molti e Tiberio rispose instaurando un regime repressivo feroce, rendendolo
costantemente sospettoso e causandogli repulsione verso Roma tanto da indurlo a lasciare la corte nel 26
d. C per trasferirsi a Capri. Trascorse gli ultimi anni della sua vita in una splendida villa da cui continuò a
governare l’impero per il tramite del prefetto del pretorio Lucio Elio Seiano, un suo fidato collaboratore,
che si legò ad una cospirazione per ottenere il trono. Nel 31 d.C. Tiberio, dopo aver scoperto i suoi intrighi,
fece destituire Seiano e lo condannò a morte per lesta maestà. Prima di morire, nel 37 d.C., designò come
suoi eredi Gaio Cesare (detto Caligola) figlio del nipote Germanico e Tiberio Gemello figlio di Druso.

Cligola (37-41 d.C.)

Sebbene Tiberio avesse indicato entrambi i suoi nipoti come suoi eredi, il Senato dispose di passare il trono
a Caligola. Il giovane non fu all’altezza dei suoi natali e delle aspettative e passa alla storia come uno degli
imperatori più crudeli e sconsiderati, responsabile di aver condannato a morte senza processo per gli
oppositori, di aver aumentato le tasse e di aver imposto il culto della sua persona come una divinità. La
cattiva politica di Caligola è storicamente associata ad una patologia mentale, che determinò che gli
venissero associate diverse stranezze come la leggenda del cavallo eletto senatore, tuttavia rinforzava nei
detrattori dell’Impero i timori che un sovrano potesse virare verso un regime assoluto di tipo orientale. La
situazione interna divenne talmente ingestibile che per contro, si tentò un rafforzamento della politica
estera concedendo in Palestina una tetrarchia ad Agrippa che restituì per volontà di Caligola il regno di
Commagene ad Antioco IV. Malgrado l’impegno profuso, le imprese pianificate si rivelarono un fallimento
come la spedizione sul Reno, che rimase solo un progetto, o l’altra organizzata per la conquista della
Britannia che ebbe un esito disastroso. Le fonti non raccontano molto su Caligola, tra le informazioni che ci
vengono tramandate rimangono lo sperpero del patrimonio accumulato da Tiberio tramite donazioni per
giochi o elargizioni al popolo.

In generale la politica giudiziaria di Caligola si può dividere in due periodi:

 il primo, nel quale egli cercò anche il favore dell’ordine senatorio;


 il secondo, nel quale il princeps fece di tutto per accrescere il proprio potere, in una sorta di
assolutismo monarchico, che egli sfruttò per accumulare ricchezze e per disporre del destino dei
cittadini romani a suo piacimento.

Dato che l’ordine equestre si stava riducendo di numero, convocò da tutto l’impero, anche al di fuori
d’Italia, gli uomini più importanti per stirpe e ricchezza e li iscrisse all’ordine. Ad alcuni di loro, per
assecondare l’aspettativa di diventare senatori, concesse di vestire l’abito senatoriale ancor prima di aver
assunto cariche in quelle magistrature che davano accesso al Senato. Cercò di ristabilire, almeno
formalmente, i poteri delle assemblee popolari, permettendo alla plebe di convocare nuovamente i comizi.
Il suo breve principato fu, infatti, caratterizzato da ripetuti massacri degli oppositori, e da atti di governo
che miravano a umiliare la classe senatoria e l’intera nobiltà romana. Celeberrimo è l’episodio del suo
amato cavallo, Incitatus, che, secondo una tradizione riportata da Svetonio, Caligola si riprometteva di
nominare console, un proposito estremo al quale, però, non fu in grado di adempiere nella sua breve
esistenza, inoltre il suo comportamento dispotico determinò numerose congiure. Negli ultimi tempi il suo
squilibrio psichico si accentuò, accompagnato da segni di declino fisico, probabilmente dovuto ad una
malattia degenerativa, e la sua presenza divenne un peso per l’Impero tanto che il 24 gennaio del 41 d.C.
Caligola cadde vittima in una brutale congiura di pretoriani guidati da due tribuni, Cherea e Sabino, e in cui
morirono anche la moglie Cesonia e la piccola Drusilla.

Claudio (41-54 d.C.)

Claudio fu il primo tra i molti imperatori proclamati in seguito ad un colpo di Stato di tipo militare, attuato
da un gruppo di pretoriani sostenitori dello zio del defunto principe proprio mentre il senato discuteva il
successore di Caligola. La scelta sembrava giustificata esclusivamente dalla continuità dinastica. Egli non
godeva di buona fama ed era estraneo dalla vita politica poiché era dedito principalmente agli studi.
Sebbene la figura di Claudio rappresentava una scelta obbligata in quanto unico maschio adulto della
dinastia giulio-claudia, il neo imperatore si rivelò amministratore capace, dedito alla semplificazione
burocratica e cura all’edilizia pubblica, malgrado non avesse maturato alcuna esperienza politica pregressa.
La partecipazione assidua nelle sedi dei tribunali contribuì allo sviluppo delle doti legislative di Claudio, che
si dimostrarono notevoli, esemplificate dalla capacità di promulgazione di decine di editti nell’arco di un
solo giorno. Per quanto riguarda la politica religiosa, Claudio, sebbene conservatore per natura e di
interessi repubblicani, anche qui non si mostrò ostile alle innovazioni. Si adoperò per restaurare il collegio
degli haruspices. Nel 49 d.C. ampliò l’antico recinto sacro di Roma (pomerium), includendovi ora l’Aventino
e parte del Campo Marzio. Si mostrò tollerante nei confronti dei culti provinciali, solo quelli che non
considerava pericolosi per l’ordine pubblico interno. Infatti con gli Ebrei assunse un atteggiamento più
liberale, e ristabilì per loro la libertà di culto e l’esonero del culto imperiale, anche se a Roma agì con
severità, espellendone l’intera comunità ebraica a seguito di contrasti.

Ultimò la costruzione di due acquedotti, iniziata da Caligola: l’acquedotto Claudio e l’Anio Novus che si
incontrano dentro Roma nella famosa Porta Maggiore e diede anche un grande impulso alla costruzione di
strade e canali in Italia e nelle province. Vicino a Roma costruì un canale navigabile sul Tevere che
terminava a Portus, il nuovo porto a nord di Ostia. Il porto era costituito da due moli a forma di
semicerchio, numerosi granai per l’approvvigionamento di merci provenienti da tutte le province romane
ed all’imboccatura era posto un faro che divenne il simbolo della città stessa.

Il principe fu anche attento alla politica estera e nel 43 d. C. promosse la conquista della Britannia ma il suo
punto di fragilità era rappresentato dall’opposizione della nobiltà, che aveva spinto l’imperatore a
condannare a morte molti senatori con conseguente perdita di consenso. La vita privata di Claudio fu
segnata da una serie di scandali e disgrazie: la terza moglie Messalina, ricordata nella storia come simbolo
di donna corrotta, fu giustiziata con l’accusa di aver ordito un complotto ai suoi danni mentre la successiva
moglie, Agrippina, anch’ella passata alla storia come una manipolatrice, avrebbe avvelenato l’imperatore
nel 54 d. C. per favorire, come sarebbe stato, l’ascesa al trono del figlio Nerone, nato da un precedente
matrimonio.

Nerone (54-68 d.C.)

Nerone è passato alla storia come un pessimo sovrano. Nella ricostruzione storica di autori come Tacito o
Svetonio, si restituisce l’immagine di un uomo profondamente deviato, il cui fragile stato psicologico
pregresso fu aggravato dall’aver ottenuto un’influente posizione di potere alla giovane età di 17 anni.
L’espediente violento con cui era succeduto a Claudio ne condizionò l’esistenza, facendolo temere
costantemente per la sua incolumità e minandone la fiducia verso il prossimo in maniera patologica: amici,
consiglieri, la stessa madre e due mogli, di cui una – Poppea – ormai al termine della gravidanza, furono
giustiziati per sua volontà o addirittura uccisi per sua mano.

Nerone è ricordato come un uomo dal comportamento insolito tant’è che gli si attribuisce l’incendio che
nel 64 d. C. devastò tre quarti della città di Roma che guardò svolgersi cantando e suonando senza provare
rimorso o preoccupazione. Fu anche artefice della prima persecuzione contro i cristiani a cui attribuì la
colpa del disastro. La storiografia moderna ha cercato di ampliare le conoscenze sull’attività politica e sulla
biografia di Nerone evidenziando anche le molte iniziative a favore della popolazione che possono
riassumersi in una riforma monetaria volta ad incrementare i commerci, un’implementazione degli
approvvigionamenti dei beni di prima necessità e la ricostruzione della città dopo la catastrofe del 64. Il
giovane Nerone era un cultore della civiltà orientale ed è plausibile che la sua modalità dispotica ed
estetizzante derivassero anche da una volontà di aderire ad un preciso modello culturale. Furono le sue
azioni che lo condussero alla perdita di consenso sia da parte degli aristocratici che della plebe,
determinando la sua fine e in ultima istanza il declino della stirpe di Augusto. Le classi agiate e alcuni
senatori furono espropriati dei loro terreni nel centro di Roma per permettere al sovrano di costruire una
reggia fastosa e di enormi dimensioni, la Domus Aurea. In aggiunta a questo, pesò negativamente sulla
sorte politica di Nerone la repressione violenta dei suoi oppositori che vide coinvolti uomini di cultura come
lo scrittore Petronio, il poeta Catullo e il filosofo Seneca, suo antico precettore e consigliere. In questo
frangente cruciale per la stabilità del regno, l’imperatore si allontanò da Roma per trascorrere un anno e
mezzo in Grecia, partecipando ai Giochi olimpici ed esibendosi come auriga nella corsa dei carri, suonatore
di liuto, cantante e attore. La sua lontananza preparò il terreno della rivolta, che partì dalle province e fu
raccolta a Roma dal Senato e dai pretoriani, concludendosi con la morte di Nerone. Egli nel 68 d.C. si fece
uccidere da un liberto.

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