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Diocleziano (284-305)
Dopo gli anni dell'anarchia militare, nel 284 ascese al potere Diocleziano, un militare di origine
dalmata che inaugurò un'importante era di riforme. Egli si impegnò a rafforzare il carattere
assolutistico dell'autorità imperiale, riprendendo tradizioni di origine orientale, come l'uso del
diadema (una fascia di stoffa bianca d'origine sacerdotale arricchita di gemme che si intrecciava
alla corona). I ministri erano soggetti a un rigido cerimoniale di corte che andava ad imitare quello
persiano. Il rafforzamento del culto imperiale, inevitabilmente, lo portò a scontrarsi con il
cristianesimo. Si ricorda a proposito l'emanazione dell'editto persecutorio del 303 che ordinava
la distruzione delle chiese, il rogo delle sacre scritture e misure che colpissero i cristiani che
svolgevano mansioni pubbliche. Le persecuzioni continuarono fino al 311, quando l'imperatore
Galerio emanò l’editto di tolleranza. Diocleziano, inoltre, inaugurò il periodo del dominato e della
tetrarchia. Egli divise la gestione amministrativa dell'impero tra due augusti che governavano
rispettivamente l'oriente dalla capitale Nicomedia (Anatolia, odierna Turchia) e l'occidente da
Milano. Alle dipendenze dei due augusti stavano due cesari, candidati a succedere loro, che
governavano rispettivamente l'area greco-balcanica con capitale Sirmio (città nell’attuale Serbia)
e il nord-ovest europeo con capitale Treviri (città nell’attuale Germania). Roma continuava a
svolgere il ruolo di città sacra, ma la sua posizione non consentiva più di servirsene come centro
politico e amministrativo. Le regioni augustee vennero sostituite da 12 diocesi rette da vicari, a
loro volta suddivise in 101 province, al fine di semplificare le pratiche amministrative e limitare
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il potere territoriale dei grandi comandi militari. Diocleziano si occupò anche di una riforma
dell'esercito: il grosso di esso era costituito dai limitanei, truppe di frontiera, affiancate da
comitatenses, reparti scelti deputati a spostarsi rapidamente. Come previsto, nel 305 si ritirò e
morì nel 313.
Costantino (306/324-337)
Come previsto, nel 305 i due augusti si ritirarono e gli succedettero i cesari Galerio e Costanzo.
Quest'ultimo morì quasi subito e alcune legioni acclamarono augusto suo figlio Costantino. Ciò
portò allo scoppio di una guerra tra i pretendenti, che si concluse con la nomina in Occidente di
Costantino e in Oriente di Licinio. In questo contesto si colloca l’editto di Milano (313), nel quale
si accordava la piena libertà di culto a tutte le religioni dell'impero.. La pace durò solo nove anni
e nel 324 Costantino sconfisse Licinio ad Adrianopoli, nella penisola balcanica (oggi parte più
occidentale della Turchia). Il sistema tetrarchico non venne più restaurato. Costantino prese atto
che l'asse dell'impero ormai si era spostato ad Oriente, per questo nel Bosforo, in un'area
occupata dalla modesta città di Bisanzio (Turchia), non lontana da Nicomedia capitale
dell'augusto d'oriente, la nuova capitale chiamata Costantinopoli. Il punto da lui scelto era un
crocevia tra Asia ed Europa. In ricordo dell'assetto tetrarchico rimase la divisione in quattro
prefetture, divise in 14 diocesi e, a loro volta, 117 province. L’oriente era la zona senz'altro più
ricca e, quindi, più necessaria da difendere dalle minacce persiane e del nord-est. I problemi
economici dell'impero avevano influito anche sui quasi duecento giorni festivi annui, necessari
per placare le istanze della plebe e dar loro mezzi di sostentamento. Allontanarsi dalla morsa della
plebe romana era sembrato a molti imperatori la scelta più ovvia. La tradizione lesse la svolta in
senso cristiano intrapresa da Costantino come la conseguenza di un sogno avuto prima della
battaglia contro Massenzio, che l'avrebbe condotto alla conversione. Nel medioevo si impose la
leggenda di un Costantino battezzato e cristiano. Nella realtà è possibile che egli abbia ricevuto il
battesimo (come ricevette presumibilmente iniziazioni di altri culti), ma non rinuncio mai al suo
ruolo di pontefice massimo, il capo supremo dei collegi sacerdotali pagani. Inoltre, l'interesse
dimostrato per la Chiesa cristiana, a tal punto da presenziare nel 325 al concilio di Nicea, va
allineata al suo disegno politico, nella volontà di appoggiare e farsi appoggiare da un gruppo in
crescita che a lui si sarebbe indissolubilmente legato. Nei confronti delle eresie non fu per nulla
tollerante.
Da Costante a Teodosio
Il IV secolo conobbe l'ultimo accanito contrasto tra cristiani e pagani. La crisi raggiunse il suo
apice nel 357 con la contesa intorno all'altare della vittoria. Costante II, succeduto a Costantino,
fece rimuovere l'ara sacra alla quale i senatori rendevano omaggio. Ciò provocò un'offensiva
pagana guidata dallo stesso imperatore Giuliano, etichettato dalla tradizione cristiana con
l'epiteto di apostata (rinnegatore del proprio credo). Giuliano, pagano ma cresciuto alla fede
cristiana, lasciò sostanziale libertà di culto, pur abolendo i privilegi concessi alla chiesa da
Costantino, e facendo il tutto per contenere l'influenza cristiana sulla vita pubblica (ostacolò la
carriera pubblica dei cristiani). Alla morte di Giuliano, la Chiesa riprese il sopravvento grazie a
Graziano e alla sua vicinanza ad Ambrogio, vescovo di Milano, sotto la cui influenza decise di non
fregiarsi del titolo di pontefice massimo. Nel 380, con l’Editto di Tessalonica, Graziano, Teodosio
e Valentiniano sancivano l'adozione del cristianesimo, inteso secondo il credo niceno, quale
religione di Stato. Proibivano, inoltre, l'arianesimo e i culti pagani visto l’esclusivismo religioso
del cristianesimo. Negli anni successivi, specie in Oriente, fanatici cristiani si accanirono nella
distruzione degli antichi luoghi di culto pagano, istigati spesso dagli stessi imperatori.
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La diffusione del cristianesimo
Il cristianesimo si era affermato nell'impero fin dal I secolo d.C., suscitando non pochi consensi,
ed era approdato a Roma mimetizzandosi tra le altre tendenze religiose orientali. In principio si
diffuse nelle città portuali, tipo Brindisi, per poi raggiungere le regioni dell'entroterra lungo le
principali vie di comunicazione, tipo la via Appia. Dalle testimonianze si sa che San Paolo toccò
Siracusa, Reggio Calabria e Pozzuoli prima di giungere a Roma. Nei primi decenni dopo la morte
di Gesù, avvenuta intorno al 35 d.C., i suoi fedeli lo identificavano con il Messia, letteralmente unto
del Signore, che rinvia alla cerimonia dell'unzione connessa con la proclamazione di un nuovo re.
Il nuovo sovrano, per gli ebrei, apparteneva solo a loro (cultura giudeo-cristiana). Si attribuisce a
Paolo l'aver imposto la tesi secondo la quale la nuova fede non riguardava solo il popolo di Dio
(quello ebraico), ma tutti i popoli della terra. Il cristianesimo venne in un primo momento
ritenuto una setta ebraica a causa dello scoppio di risse e disordini. Quasi immediatamente si
registrarono i primi segnali di insofferenza verso la nuova religione, a partire dalle espulsioni
degli ebrei da Roma nel 49 ad opera dell'imperatore Claudio. Si può ricordare anche l'utilizzo dei
cristiani come capri espiatori da parte di Nerone, nell'incendio di Roma del 63. Si ricordano anche
le persecuzioni operate da Decio (libellus) e da Valeriano (editti). Alla base delle rimostranze nei
confronti dei cristiani vi era il rifiuto delle cerimonie pubbliche, dei giochi gladiatori, della vita
politica e del servizio militare d la segretezza dei culti.
Le Sacre Scritture
Nel mondo cristiano, non appena aveva cominciato a uscire dall'ambito dell'ebraismo, si era
manifestata l'esigenza di leggere ta biblia, le sacre scritture ebraiche, che coincidono per i cristiani
con l'Antico Testamento. I cristiani non ebrei, non conoscendo la lingua, vi avevano accesso
attraverso le traduzioni in greco. La più importante era quella redatta ad Alessandria tra il III e il
II secolo a.C., attualmente il testo biblico ufficiale della Chiesa greca. A questo testo, i cristiani
affiancarono nella loro Bibbia un Nuovo Testamento, costituito dai quattro Vangeli, dagli atti degli
apostoli scritti da Luca, dalle lettere degli apostoli e dall'apocalisse attribuita a Giovanni. Questi
nuovi libri furono composti tutti nella koinè dialektos. Importante fu l'opera di traduzione in
latino operata da San Gerolamo, nota con il termine Vulgata, dall'ebraico per il Vecchio
Testamento e dal greco per il Nuovo Testamento. Altri libri di dubbia tradizione furono detti
apocrifi e non rientrano nel canone biblico, ovvero la sequenza dei testi dichiarati canonici,
redatto nel 1546 durante il Concilio di Trento. Al II e al III secolo sono datate anche le prime
domus ecclesiae, cioè case private sistemate in modo da renderle idonee al culto. A partire dai
primi del IV secolo si cominciò ad adattare al culto cristiano la basilica, edificio pubblico romano.
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ordini, distinti in minori e maggiori. I preti, originariamente i più anziani, divennero sacerdoti e
la Santa cena divenne la messa. Durante il IV secolo la struttura della messa si articolò in tre parti:
le letture bibliche, l'offertorio e la liturgia eucaristica. I momenti di incontro erano i concili, che
se avessero riguardato l’intera Chiesa sarebbero stati denominati ecumenici (tutti i vescovi),
oppure i sinodi, che riunivano il clero di una diocesi. Il primo concilio ecumenico fu celebrato nel
325 a Nicea, alla presenza dell'imperatore Costantino. Il fine di questi era definire i punti cardine
della dottrina da professare, come il rapporto tra Cristo, Dio e lo Spirito Santo, il ruolo della
Madonna e le eresie. Le prime e principali eresie furono cristologiche riguardanti cioè la persona
e la natura di Cristo e il suo rapporto con umanità e divinità.1
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CAPITOLO 2
I popoli delle steppe
Nel corso del II secolo d.C. si era avviata una lunga fase di raffreddamento climatico nell'emisfero
boreale del pianeta, portando con sé un naturale peggioramento delle condizioni di resa agricola,
delle condizioni economiche e un aumento delle malattie epidemiche. Questo peggioramento
coinvolse in egual misura i due imperi che si trovavano all'estremo Occidente e all'estremo
Oriente della massa eurasiatica, Roma e l'impero cinese. In Asia centrale interi popoli nomadi, la
cui sopravvivenza dipendeva dai pascoli, furono costretti a muoversi alla ricerca di un clima più
mite. I due imperi reagirono per arginare, o quantomeno disciplinare, questi nuovi flussi
migratori. I romani avevano rapporti mercantili, sia pur mediati, con l'estremo Oriente e con la
Cina, per loro il paese dei produttori di seta. Ai confini della Cina, nell’altopiano mongolico, vi
abitava una popolazione chiamata dalle fonti occidentali unni. I cinesi, che intendevano creare un
esercito di squadroni a cavallo per difendersi dalle incursioni, avendo devoluto quasi tutte le terre
fertili all'agricoltura, dovettero entrare in contatto con gli unni per comprare i loro cavalli. Dalla
necessità della guerra, quindi, emergevano i primi scambi commerciali e la necessità di creare vie
di comunicazione. Questo portò alla nascita delle vie della seta. I popoli delle steppe si spostarono
anche verso Occidente, dove interagirono con le popolazioni germaniche e slave che,
gradualmente, si avvicinavano ai confini dell’Impero Romano. Alla crisi istituzionale e territoriale
e all’imporsi di una nuova fede, si aggiunse l’arrivo di nuovi popoli all’interno del territorio
dell’impero a sconvolgere gli equilibri. Fra l’VIII e il III a.C. la regione compresa tra la Transilvania
e il Mar Nero era stato interessata da molte migrazioni di popoli seminomadi che i greci
identificarono con i nomi di geti ed i daci. Vanno indubbiamente citati anche gli sciti, un popolo
nomade di stirpe nordica composto da abilissimi cavalieri e arcieri dediti a cerimonie di tipo
sciamanico che prevedevano stati di estasi indotta da hashish. Gli sciti non erano un popolo
compatto, ma un vasto gruppo di tribù guerriere nomadi che avevano in comune la lingua, la
religione, le armi e le tecniche d'allevamento del cavallo. Numerose loro caratteristiche erano
condivise dai sarmati, di origine nord-iranica. Il loro ingresso nei territori contesi fra persiani e
romani portò entrambi gli schieramenti, ma soprattutto i primi, a ingaggiare questi temibili
cavalieri.
I germani
L'incontro tra i nomadi delle steppe e i germani determinò alcuni cambiamenti. Questi ultimi, ad
esempio, combattevano esclusivamente a piedi prima dell'incontro con i nomadi. Tra il III e il IV
secolo d.C. i germani, spinti da peggioramenti climatici e dalla pressione esercitata dalle tribù
nomadi delle steppe alle loro spalle, si misero in cammino la ricerca di terre maggiormente
ospitali. Fu per questo che gruppi più o meno consistenti di barbari entrarono nel territorio
dell’Impero Romano, in genere come ausiliari dell'esercito, ottenendo in cambio il diritto di
insediarsi su alcune terre e di lavorarle, trasformandosi così da nomadi o seminomadi ad
agricoltori e contribuendo, almeno in parte, a rimediare allo spopolamento delle campagne. Non
si deve pensare al mondo germanico come un insieme compatto ed omogeneo, scevro dalle
influenze esterne. Ad esempio, divinità come le Norne assomigliano alle parche e alle moire, così
come Thor ad Ares-Marte. Thor, il cui attributo è il martello, arma da lancio assimilabile ad un
fulmine, appare il destinatario di un culto solare celeste. Più difficile comprendere la natura di
Odino, divinità dai caratteri sciamanici che presiede la magia, si trasforma in animale, legge nel
futuro, è legato alla poesia, al diritto e alla guerra. Nel I secolo d.C. Tacito afferma che i germani
non avevano un'organizzazione di santuari e luoghi sacri e non erano soliti rappresentare le
divinità in sembianze antropomorfe. Il dato più evidente della loro religiosità era il prevalere del
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culto di elementi naturali, come alberi e boschi. È noto il sacrificio di uomini e animali
impiccandoli ai rami degli alberi di un bosco sacro. Il rito è probabilmente riferito all'iniziazione
di Odino, che avviene attraverso una lunga sospensione un albero sacro. Questa somiglianza
formale tra l'iniziazione di Odino e la crocifissione di Gesù venne utilizzata dai missionari cristiani
che tra l'VIII e il X secolo convertirono i popoli germanici dall’Europa centro-orientale e
settentrionale. Nella tradizione germanica l'ordine cosmico sarebbe stato sconvolto alla fine dei
tempi nel ragnarok. Anche questa analogia con l'apocalisse fu sfruttata dai missionari. Dal punto
di vista sociale, il nucleo base della popolazione germanica era quello che riuniva più famiglie
collegate da rapporti di parentela.
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Nella metà del V secolo, gli unni si presentarono in Italia guidati da Attila, la cui feroce è diventata
leggendaria. Egli non era a capo solo degli unni, ma di una federazione di genti germaniche, nord-
iraniche e slave. Il generale Ezio lo batté nel 451 in Gallia, ma ottenne solo che egli ripiegasse
verso l'Italia. Tuttavia, nel 452 il principe unno inspiegabilmente si arrestò mentre stava
puntando su Roma e tornò sui propri passi, di lì a poco sarebbe morto. È probabile che temesse
la reazione degli eserciti imperiali d'oriente, ma secondo la tradizione fu Papa Leone I che,
soccorso da un’arcana visione, lo dissuase dal profanare quella che ormai era diventata la capitale
della cristianità. La stessa reverenza non fermò il cristiano, seppur di fede ariana, Genserico, re
dei vandali. Il terzo sacco di Roma, avvenuto nel 455, fu motivato formalmente dall'indignazione
di Genserico alla notizia che l'imperatore Valentiniano III era stato eliminato e sostituito da un
usurpatore. Dalle personalità di spicco del periodo è possibile dedurre che i germani venissero
soventemente e in vario modo inseriti nell'assetto giuridico romano, attraverso patti di foederatio
e l’istituzione dell hospitalitas2. Grazie alle loro abilità facevano carriera come guardia del corpo
degli imperatori o come comandanti delle forze armate romane (es. Stilicone ed Ezio). Fu appunto
un barbaro che era al tempo capo mercenario nell'armata romana, Odoacre, che nel 476 pose fine
alla commedia che era ormai divenuto l'impero d'occidente. Egli depose ed esiliò il giovanissimo
imperatore Romolo Augustolo, figlio di Oreste, ex segretario di Attila che era riuscito a diventare
comandante dell'esercito. Odoacre uccise Oreste, conquistò la capitale amministrativa
dell'impero (Ravenna) ed esilio il ragazzo. Romolo Augustolo fu l'ultimo imperatore della pars
occidentalis perché Odoacre, rompendo la consuetudine della nomina di sovrani fantoccio, inviò
l’insegna imperiale all'augusto della parte orientale, Zenone, accompagnandole con il messaggio
che un solo imperatore bastava per tutto l'impero. Il sovrano rispose conferendo ad Odoacre il
titolo di patricius, grazie al quale gli poté governare l'Italia come funzionario pubblico, fino al 493
quando venne battuto e ucciso dallo ostrogoto Teodorico.
I franchi in Gallia
Di particolare consistenza era il gruppo dei franchi. Le prime notizie di qualche rilievo sul loro
conto si incontrano nelle fonti verso la metà del III secolo, quando essi, al pari di molti germani
entrarono, in contatto con l’Impero romano. I franchi, più che un'entità etnica unitaria, erano una
lega di tribù. Le forme dei loro contatti con l'impero, sulle quali si è solamente parzialmente
informati, non sembrano mostrare tattiche o strategie precise. Nella seconda metà del III secolo,
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insieme ad altri gruppi di germani, i franchi si resero protagonisti di numerose scorrerie. Tuttavia,
alla fine dello stesso secolo, con l'avvento di Diocleziano l'impero riacquistò un certo controllo sui
propri confini, che si protrasse sino alla metà del IV secolo. In questi decenni, coloni di prigionieri
germani vennero insediati lungo il limes come contadini e, all'occorrenza, soldati. Tra questi
erano presenti molti franchi che occuparono la Gallia settentrionale. Nello stesso periodo si ha
notizia di una loro cospicua infiltrazione nell'esercito romano. All'inizio del V secolo i franchi
sembrano ormai essersi stabilizzati nella Gallia centrale come federati dell’impero, per conto del
quale difendevano la frontiera renana contro le altre popolazioni. Tuttavia, la probabile presenza
di differenti raggruppamenti all'interno del mondo franco, faceva sì che essi non seguissero una
linea politica univoca, come testimonia la notizia di uno scontro con l'esercito imperiale. Il
disfacimento della compagine occidentale dell'impero consentì loro di distribuirsi più
liberamente sul territorio, dando vita ad alcuni regni nei pressi del Reno.
1. Confine reno-danubiano
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CAPITOLO 3
I regni romano-barbarici
Da quando nel 476 l'ultimo imperatore romano d'occidente era stato deposto, costante
preoccupazione dei sovrani di Costantinopoli era stata quella di consentire all'occidente un
assetto che non li obbligasse a intervenire di continuo con pesante dispendio di mezzi in una
regione impoverita. Fu così che gli imperatori romano-orientali fecero buon viso a tutti quei capi
barbari che si arrogavano il governo di certe zone occidentali, a patto che riconoscessero la
superiore autorità di Bisanzio, salvando in tal modo il principio dell'unità dell'impero.
Ovviamente erano possibili interventi volti a favorire colpi di Stato e congiure in modo da
impedire che qualcuna di queste monarchie divenisse troppo forte. Queste monarchie prendono
il nome di romano-barbariche, per sottolinearne il carattere misto.
I goti
I goti furono i protagonisti della migrazione più ampia e significativa, anche se non si parla di un
popolo unitario, ma di una confederazione. La tradizione li fa originari della Scandinavia, mentre
le tappe del loro percorso sono in larga parte ignote. Dal III secolo risultavano divisi in visigoti e
ostrogoti. Nel corso del IV secolo si convertirono al cristianesimo, nella sua confessione ariana,
condannata dal concilio di Nicea, ma molto diffusa. Nella seconda metà del IV secolo, il vescovo
ariano Ulfila tradusse la Bibbia in goto. Di questo personaggio si sa i nonni, cristiani di lingua greca
e di cultura ellenistica, erano stati rapiti e ridotti in schiavitù. Perfetto conoscitore di più lingue,
pare svolgesse attività diplomatica per i goti presso la corte bizantina. A seguito di questi
prolungati rapporti fu designato vescovo dei goti.
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foederati dell'impero, si occupavano delle questioni militari, i secondi solo di quelle civili. Il fatto
che i goti fossero ariani mentre i latini seguivano il credo niceno favorì lo sviluppo della vita
parallela della comunità, ciascuna delle quali aveva i suoi edifici di culto, il suo clero e la sua
liturgia. Una politica così accorta falli a causa degli intrighi del governo imperiale romano, che
aveva cominciato a guardare con rinnovato interesse alla pars occidentis e a seminare discordia
tra goti e latini, sia a causa dell'intransigenza di molti capi goti, che avrebbero preferito ridurre i
latini schiavitù.
La peste di Giustiniano
In passato si definiva peste qualsiasi tipo di epidemia, mentre oggi si fa riferimento alla yersinia
pestis, il cui contagio avviene per puntura di pulce infetta e la diffusione tramite, principalmente,
i roditori. La peste bubbonica è la più diffusa. La prima pandemia scoppiò nel 541 e, provenendo
dall'Asia, flagellò Costantinopoli per poi investire anche l'Europa. Lo storico Procopio di Cesarea
racconta che il morbo venisse annunciato da apparizioni e sogni alcune volte, mentre altre colpiva
del tutto inaspettato. Si manifestava con febbri non particolarmente gravi a cui seguivano
rigonfiamenti bubbonici su addome, ascelle, orecchie e cosce. Alcuni malati andavano in coma,
altri erano presi da attacchi di delirio. La convalescenza poteva durare fino a qualche giorno.
Procopio attesta che la mortalità aumentò con il passare del tempo, fino a contare 10.000 morti
al giorno. Dopo aver mietuto vittime in Oriente, la peste arrivò in Italia al seguito delle truppe
bizantine che combattevano nella guerra greco gotica e rimase endemica fino all'VIII secolo circa.
Fu proprio tra il VII e l'VIII secolo che si registra lo spopolamento più grave dell’Europa e
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l'abbandono dei villaggi da parte dei contadini, che preferivano barattare la loro libertà
ponendosi al servizio di proprietari terrieri, rifugiatisi nelle villae rurali.
I longobardi in Italia
La riconquista imperiale dell'Italia fu presto insidiata dall'arrivo nella penisola dei Longobardi,
un nuovo popolo germanico. Essi cominciarono la loro migrazione piuttosto tardi, forse agli inizi
del V secolo, spinti da una carestia. L’arrivo dei Longobardi segnò tradizionalmente una rottura
nella storia d’Italia. Dal 568/569 in poi, infatti, la Penisola dovette subire quasi quattordici secoli
di disunione. Nel 569 conquistarono Milano, dopo Treviso, Vicenza, Verona, Brescia, Bergamo,
mentre Pavia, che diventerà̀ capitale del regno longobardo, cadde nelle loro mani tre anni più̀
tardi. Il nome Langobardia maior, nell’alto medioevo, indicava i domini longobardi dell’Italia
settentrionale della Toscana. Altri gruppi si spinsero verso sud ed occuparono Benevento, che
divenne il centro principale dei territori longobardi nel Meridione. Il nome Langobardia minor
indicava nello stesso periodo i domini longobardi dell’Italia centro-meridionale, corrispondete ai
ducati di Spoleto e di Benevento. I nuovi padroni, almeno in un primo tempo, si dettero ad alcuni
massacri. Il primo re longobardo dopo la conquista fu Alboino. Prima dell’invasione dell’Italia
aveva condotto vittoriose campagne contro i Gepidi, uccidendone personalmente il loro re, del
quale aveva poi sposato la figlia. Questo matrimonio gli fu però fatale, poiché́ la moglie non tardò
a vendicare la morte del padre: nel 572 la regina ordì, infatti, una congiura che portò all’uccisione
di Alboino. Gli succedette Clefi, a cui seguì un lungo decennio senza sovrano (574-584), che si
chiuse con l'elevazione al trono di Autari. Sotto di lui fu ricostituita l’autorità̀ regia. Al fine di
rafforzare la propria posizione, Autari cercò alleanze con altre popolazioni germaniche, e sposò
la principessa barbara, Teodolinda, di religione cattolica. Molto vicino a papa Gregorio I,
Teodolinda contribuì̀̀ al passaggio al cristianesimo niceno-efesino-calcedoniano e all’adozione da
parte delle diocesi rette da vescovi longobardi della liturgia e della disciplina romana. Un altro
sovrano molto importante fu Rotari, che promosse la formazione di un testo scritto, latino, di leggi
longobarde e modificando molte leggi di origine germanica.
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coniazione di moneta si contrassero bruscamente. Il pesante calo demografico incise sulla
produzione agricola: la mancanza di manodopera e la contrazione del fabbisogno alimentare
favorirono l’abbandono di molte aree coltivate, con conseguente ampliamento degli spazi aperti
e incolti. Anche l'Editto trasmette informazioni riguardo all'economia e all'organizzazione del
lavoro. La ricchezza era costituita dalla proprietà di terra, di servi, di bestiame. Il commercio era
un'attività secondaria. Importante era la caccia (che integrava il fabbisogno di carne) e della
raccolta (ghiande, miele, frutti selvatici, ecc.). Alcune norme dell'Editto, per esempio, regolano in
modo minuzioso lo sfruttamento degli alveari o si soffermano sul criterio per assegnare una preda
colpita da più cacciatori. Fondamentale era l’allevamento del cavallo.
I franchi in Gallia
Tra le varie monarchie romano barbariche e quella dei franchi segnò profondamente la storia
europea. Come già detto, inizialmente non erano un popolo coeso. La prima vera unità politica
delle diverse tribù franche fu garantita da re Clodoveo (VI sec.), discendente di un leggendario
capostipite chiamato Meroveo, dal quale derivò a tutto il lignaggio il nome di Merovingi. Per
governare i territori conquistati Clodoveo si avvalse della collaborazione dell’aristocrazia gallo-
romana, laica ed ecclesiastica, utilizzando quanto sopravviveva delle strutture amministrative
imperiali. Allo scopo di consolidare tale rapporto e di farsi accettare dalla larghissima
maggioranza di sudditi non franchi il re, che era pagano, accettò il battesimo cattolico per mano
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del vescovo di Reims Remigio e fu seguito in tale scelta, anche se in modo graduale, da tutta la
stirpe franca. La conversione al cattolicesimo (anziché all’arianesimo, eresia diffusa tra i popoli
barbari) rese i Franchi interlocutori privilegiati per l’Impero e per il papato di Roma, oltre a
favorire all’interno del Regno la progressiva fusione tra l’elemento franco e quello gallo-romano.
Nel corso del VI secolo il loro regno si era allargato su gran parte dell'attuale Francia. I sovrani
merovingi regnavano su una popolazione composta prevalentemente da gallo-romani e la
conversione al cristianesimo avevo facilitato la collaborazione e la fusione con questo popolo. La
morte del re Clodoveo, avvenuta nel 511, comportò la divisione del regno fra i suoi quattro figli
maschi. I successori esteso i confini della dominazione franca a tutta la Gallia. Nel VI secolo il
regno risultava diviso in4:
- Neustria (bacino della Senna, prevalenza gallo-romanica);
- Austrasia (dalla Mosa a oltre il Reno, prevalenza germanica);
- Burgundia (dal Rodano all’odierna champagne, forte componente latina);
- Aquitania (attuale Aquitania, prevalenza gallo-romanica).
I re merovingi del VI secolo, passati alla storia con l'epiteto di “re fannulloni”, vennero affiancati
da alcune famiglie aristocratiche dalle quali sceglievano i loro primi ministri o maestri di palazzo
(i maggiordomi), che finirono con il sostituirli nel governo. In genere ogni regione storica aveva
il suo maggiordomo espressione di questo o di quel gruppo aristocratico, il regno tendeva così a
frazionarsi. Solo nel 613 il merovingio Clotario II di Neustria riuscì a riunire tutti i franchi sotto la
sua sovranità, grazie all'aiuto di Arnolfo, poi nominato vescovo di Metz, e Pipino I, maestro di
palazzo. Non erano mancati precedenti tentativi di riunificazione, come quello di Brunechilde,
regina d'Austrasia, che tuttavia venne messa a morte. La leadership di Clotario venne accettata
perché, si ipotizza, lasciasse ampia possibilità di manovra alla nobiltà del governo. Il ruolo di
vescovo non si esauriva alla carica religiosa, ma conferiva anche una funzione amministrativa
centrale. Già a partire da Clodoveo i sovrani merovingi avevano perfettamente compreso la
complessità della funzione del vescovo, assumendosi dunque il controllo delle nomine episcopali
nonostante gli usi i canonici prevedessero la libertà di scelta da parte del clero. Proprio a tal fine
Clotario II rese ufficiale con un editto la necessità della sanzione reale per le nomine episcopali. Il
maestro di palazzo invece era l'amministratore della domus del re. Poiché il regno era considerato
proprietà personale del sovrano, chi amministrava i beni si trovava investito di ampi poteri. Tra i
due collaboratori si instaurò una grande alleanza, saldata anche dal matrimonio tra i rispettivi
figli. Dall'unione delle due famiglie ebbe origine la stirpe degli arnolfingio-pipinidi, poi noti come
carolingi. Il successore di Clotario, avvertendo il potere di Pipino, si trasferì a Parigi dove
quest'ultimo aveva meno appoggi e il suo ruolo ne usciva sminuito. A distanza di qualche anno,
un figlio di Pipino riuscì a prendere la carica di maestro di palazzo che, grazie al padre era
diventata ereditaria, ma, meno abile di lui, tentò di compiere un colpo di mano assicurando il
trono a suo figlio. Il tutto si concluse con la loro morte. Seguirono alcuni decenni di confusione,
caratterizzati da riunificazioni e scissioni. La situazione si sbloccò soltanto nel 687 quando Pipino
II, frutto di quel matrimonio, riuscì a riunire i franchi sotto un’unica guida.
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economica. Emergeva in modo netto il ruolo più attivo del commercio, la diffusione della moneta,
di guadagni non esclusivamente agricoli, del prestito a interesse. Nel 722 o 723 fece portare i resti
mortali di sant'Agostino dalla Sardegna a Pavia, sicuro di essere guidato dalla volontà divina. A
Pavia progettò di creare un sacrario dei re longobardi (il padre, re Ansprando, vi era già sepolto);
di lì a poco vi sarebbe giunto sant'Agostino, e anche lui pensò di riposarvi in eterno. Liutprando
nel 730 si alleò di Carlo Martello, impegnato a respingere gli attacchi dei Saraceni. Nel 737 adottò
Pipino III, figlio di Carlo Martello, facendogli acquisire lo status di figlio legittimo, concedendogli
così aspirare al trono franco. Egli seppe abilmente approfittare della crisi che si era aperta con la
nascita a Bisanzio dell'eresia iconoclasta. Capì che per scalzare il potere imperiale dalle aree più
vicine al regno sarebbe stato necessario cominciare occupando i territori del ducato romano,
dipendenti dall'impero all'interno dei quali viveva anche il Papa. Quest'ultimo non vedo di buon
occhio tale espansione. Nonostante Liutprando fosse riuscito a strappare alle milizie romano-
orientali nel 728 il castello di Sutri, al confine tra Toscana e Lazio, il Papa riuscì con molto sforzo
a farselo consegnare. Nasceva in questo modo il Patrimonium Petri , primo nucleo del potere
temporale della Chiesa romana. L'energica politica di Liutprando aveva allarmato il Papa e gli
stessi ducati longobardi di Spoleto e Benevento. Dopo il difficoltoso equilibrio raggiunto con il
pontefice, la situazione precipitò di nuovo al punto che Liutprando assediò Roma. Il Papa, che era
il vero governante della città dato che l'amministrazione imperiale era debolissima, ma che non
disponeva di forze militari né poteva sperare di ricevere aiuti da Costantinopoli, impegnata con il
califfato arabo di Damasco, chiese aiuto a Carlo Martello, maestro di palazzo del regno franco
d'Austrasia e figlio di Pipino II. Questi si era a sua volta scontrato precedentemente con la chiesa
romana per una questione di terre espropriate e sapeva che una parte dell'aristocrazia del suo
paese sarebbe stata contraria a una guerra contro i longobardi. Inoltre, tra Carlo Martello e
Liutprando vi era un forte legame. Il maestro di palazzo decise quindi di intervenire solo
diplomaticamente, ma ciò bastò perché Liutprando abbandonasse l'assedio (739).
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La conquista del Sud da parte dei Longobardi si completò con l'istituzione di un ducato, con
capitale Benevento (seconda metà del VI secolo). Dopo il 774 il Ducato di Benevento raccolse
l'eredità politica del regno longobardo, estendendosi, nel VII secolo, dall'Abruzzo e dal Lazio
meridionali fino alla Calabria settentrionale. Le vicende della penetrazione dei Longobardi nel
Mezzogiorno rimangono tuttavia oscure, in quanto poco riferisce la Historia Langobardorum. Si
sa che, poco dopo il 570, il Ducato di Benevento venne fondato da Zottone. Dopo la conquista
dell'Italia da parte di Carlo Magno, il Ducato di Benevento rimase autonomo, elevato da Arechi Il
nel 774 al rango di principato, esteso su tutto il Meridione continentale, ad eccezione delle enclave
costiere di Gaeta e Napoli, del Salento e della Calabria, rimaste in mano ai Bizantini. In queste
regioni la presenza longobarda si protrarrà sino alla metà dell'XI secolo, producendo esperienze
originali d'incontro con le culture greca e islamica da un lato e con quella del mondo franco-
tedesco dall'altro. È in queste regioni che rimane la densità più alta di testimonianze artistiche e
monumentali riconducibili all'eredità longobarda. Importanti reperti di architetture, arredi
liturgici, epigrafi o ancora gioielli testimoniano la cultura tardo longobarda mostrando anche le
contaminazioni di stilemi d'origine arabo bizantina. Ancora alla metà del IX secolo il ducato di
Calabria confinava a nord con i castaldati longobardi di Laino, Cosenza e Cassano, citati da Paolo
Diacono, e la demarcazione di confine (limes) tra Longobardi e Bizantini è probabile che fosse
segnata dai corsi dei fiumi Crati e Savuto, seguendo una linea che dalla Jonio portava fino ad
Amantea sul Tirreno. In Calabria il toponimo Sant'Angelo o San Michele risulta largamente
diffuso, specialmente nei territori della Calabria settentrionale. Un'indagine statistica ha
evidenziato sull'intero territorio nazionale 97 località con questo toponimo. Di queste, ben 62
sono sul territorio dell'attuale provincia di Cosenza, ex Calabria Longobarda, ma è probabile si
tratti di un culto giunto in Calabria in epoca posteriore, forse a seguito dei Normanni.
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CAPITOLO 4
La città santa
Per seguire le vicende della Chiesa è necessario tornare al V secolo. Tanto Odoacre quanto
Teodorico avevano continuato a governare da Ravenna. Sarà grazie al vescovo di Roma, detto
papà (da abbà= padre) e pontifex, che Roma avrebbe trovato una nuova centralità. Tra il IV e il V
secolo si affermò l'idea della supremazia romana sulle altre sedi episcopali. Il concilio di
Calcedonia (451)aveva riconosciuto il primato, almeno morale, del vescovo di Roma, che gli
proveniva dal fatto che primo vescovo dell'Urbe era stato Pietro. L'autorità del Papa era
contrastata dagli arcivescovi, i vescovi a cui si affidava il coordinamento delle diocesi vicine, e dei
vescovi delle chiese orientali, che guardavano piuttosto a Costantinopoli. Il disgregarsi delle
istituzioni imperiali nella parte occidentale lasciava la chiesa romana esposta a molti pericoli ma,
in cambio, rese necessario che i suoi rappresentanti, in mancanza di funzionari pubblici laici,
accettassero di assumersi responsabilità anche di tipo politico. Al contrario le chiese orientali
rimasero legate al potere statale. Questo fu, insieme al permanere del latino come lingua ufficiale
della Chiesa d'occidente e con lo sviluppo del greco come lingua ufficiale di quella d'oriente, il
dato distintivo delle due compagini che si andarono gradualmente allontanando l'una dall'altra.
La Chiesa di Roma si oppose agli scempi dei monumenti antichi che si verificavano nella parte
orientale dopo l'editto di Tessalonica. Essa mostrò di rinnegare la memoria dell'impero pagano,
ma di volersene fare erede, ciò è legato anche al fatto che il ceto senatorio manteneva a Roma
un'importanza non secondaria e che era importante cercare con esso una linea d'accordo e di
convivenza. La volontà di preservare le memorie antiche di Roma cominciò ad attenuarsi a partire
dal VI secolo, il papato mirava ormai a cristianizzare la città anche sotto il profilo della sua
immagine architettonica. Nel tardo antico il cristianesimo diffuse il culto dei martiri dei santi,
coloro che professavano la fede dimostrando virtù eroiche. I luoghi di sepoltura e le reliquie dei
santi divennero oggetti di culto. Inizialmente i corpi dei santi non vennero traslati in città; si
evitava rigorosamente di profanare in alcun modo il loro riposo. Soltanto a partire dalla prima
metà del VI secolo ciò fu fatto perché oltre le mura si viveva un clima di pesanti insicurezza. Nel
secolo successivo si pose il problema dei molti corpi di santi che giacevano nei cimiteri suburbani,
ormai esposti a depredazioni, e si avviò una politica di traslazione. Poiché i papi non
permettevano la circolazione di parti del corpo dei santi posti solo alla loro giurisdizione, le
reliquie messe in circolazione erano dette “da contatto”, cioè oggetti ordinari (es. strisce di stoffa)
che venivano accostate alla reliquia corporea.
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manoscritti. In quegli anni l'Italia era tormentata dalla guerra greco-gotica e il monastero
benedettino divenne un rifugio. Tra le norme fondamentali si ricordano l'obbligo di risiedere per
tutta la vita in un medesimo monastero e la buona condotta morale. Nel tempo vennero fondati
nuovi monasteri che alla regola di San Benedetto giunsero altre speciali norme. Vi erano anche
monaci laici, ma tutti vestivano un medesimo abito e vivevano secondo la stessa regola.
Il monachesimo celtico
In Irlanda l'ecclesiastico Patrizio aveva dato vita a un'esperienza di monachesimo originale che si
strutturava in comunità di villaggio che erano al tempo stesso monasteri. Egli fu consacrato
vescovo d’Irlanda e qui grazie al contributo di altri missionari vi diffuse il cristianesimo. Fra il V e
il IX secolo il monachesimo irlandese si irradiò verso l'Inghilterra e la Scozia. Gli irlandesi avevano
elaborato un loro sistema di vita anacoretica basato sul pellegrinaggio. I monaci celto-ibernici
intraprendevano su piccole imbarcazioni lunghi viaggi verso le isole. La narrazione di questi
viaggi è giunta attraverso resoconti prima orali, poi trascritti. In uno di essi si racconta l'arrivo in
un continente che potrebbe essere identificato con quello americano. Tutt'oggi numerosi
toponimi indicano la dedicazione a Santhià irlandesi di villaggi sorti intorno alle chiese loro da
loro fondate. Anche sotto il profilo culturale un'importantissima attività di conservazione e di
copia di manoscritti fu svolta dai monasteri irlandesi, dove non era andata perduta la conoscenza
della lingua greca, a differenza di quanto stava accadendo nell'occidente continentale.
Il pellegrinaggio penitenziale
Attraverso l'azione evangelizzatrice dei monaci irlandesi si diffuse una nuova forma di penitenza
strettamente legata al l'itineranza, si tratta del sistema di “penitenza a tariffe” collegato al
pellegrinaggio penitenziale. I promotori di questo nuovo sistema furono i monaci. Il peccatore
confessava i suoi peccati in privato al sacerdote tante volte quanto aveva peccato; a ogni peccato
corrispondevano degli obblighi a cui il peccatore doveva adempiere. La tariffa era l'entità della
pena da scontare per espiare la colpa commessa. Le tariffe erano raccolte in libri detti
“penitenziali”. Siccome le pene imposte per i vari peccati si sommavano, si potevano totalizzare
penitenze più lunghe dell'intera vita. Per ovviare a tali inconvenienti si introdusse il sistema della
commutazione, che rendeva possibile scambiare lunghi periodi penitenziali con atti più intensi e
gravosi ma di minore durata. Si ammise anche il riscatto della pena mediante un contributo
pecuniario. I carolingi cercarono di porre rimedio a questa sostanziale anarchia stabilendo che i
peccati pubblici avrebbero dovuto avere un'espiazione pubblica, quindi affilata al diritto,
lasciando la penitenza tariffata solo per i peccati che in nessun modo si fossero configurati come
reati. Il pellegrino era assimilabile a un vagabondo, perché costretto a muoversi in continuazione
in terre sconosciute, a vivere di elemosina, nudo e senza scarpe. C'è chi ha voluto rintracciare
l'origine di questa pratica nel diritto romano che prevedeva la deportazione su isole remote per
gli adulteri, chi invece ha affermato che l'idea del pellegrinaggio penitenziale inteso come
vagabondaggio fosse derivata dalla maledizione che colpì Caino dopo l'assassinio di Abele.
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fondò la prima chiesa. A Bonifacio, invece, si deve invece la nascita della Chiesa tedesca. Quasi in
concorrenza con le missioni inviate da Roma, anche i monaci irlandesi si mossero in altre terre da
evangelizzare, come la Caledonia (Scozia). Questa era rimasta immune dall'influenza dell’Impero
Romano e il suo radicato tradizionalismo la rendeva ostica anche alla penetrazione cristiana. I
primi cristiani dinanzi ai pagani avevano sempre mostrato una rigorosa severità, rifiutando
qualunque concessione, ma adesso ci si rendeva conto che era impossibile che la conversione
coincidesse con una rapida cancellazione di secolari tradizioni e che era necessario trovare un
punto d'incontro. Ciò rende difficile dire con certezza di che tipo fosse il cristianesimo ai quali i
popoli altomedievali si convertirono. Rimasero così nell'Europa alto medievale delle sacche di
pagani, solo super superficialmente cristiani, che riversarono nella nuova religione antiche
usanze e antichi riti.
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CAPITOLO 5
Costantinopoli
È necessario tornare al IV secolo, alla fondazione di Costantinopoli. L'imperatore traeva la sua
autorità dalla tradizione romana e dal suo ruolo di sacra persona, che con il cristianesimo non
poteva più venir concepito in senso divino, ma adesso il sovrano diventava il rappresentante del
Cristo sulla terra e il garante della vita e della sicurezza della Chiesa. I concili erano i momenti nei
quali la funzione protettrice dell'imperatore veniva riaffermata. Anche nella cerimonia che
segnava l'ascesa al trono del nuovo sovrano erano presenti elementi religiosi. La nuova capitale
doveva rispecchiare tale sacralità e rivaleggiare in grandezza con l'antica Roma. I lavori per
l'edificazione sulla vecchia Bisanzio durarono pochi anni e furono conclusi nel 330. Si dice che
Costantino avesse fatto trasportare da Roma di nascosto il palladium, l'effige lignea che Enea
avrebbe trasportato da Troia nel Lazio. L'imperatore avrebbe fatto seppellire quel simulacro
sotto la colonna al culmine della quale era stata collocata la sua statua. Già nei primi anni del V
secolo Costantinopoli si rivelò esposta al pericolo delle sempre più frequenti incursioni
barbariche e fu necessario ampliare la sua cinta muraria. Il più straordinario monumento
dell'impero fu la chiesa di Aghia Sofia, riedificazione della chiesa dedicata alla divina Sapienza.
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- promulgò il Corpus Iuris Civilis: stesura di un corpus di leggi articolato in quattro parti
(raccolta delle opere di giuristi, raccolta delle leggi, testo base destinato all'insegnamento
del diritto, raccolta di leggi emanate da Giustiniano dopo il codex).
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CAPITOLO 6
La penisola arabica e i beduini
Da oltre un millennio prima di Cristo, l'area corrispondente alla penisola arabica, arida e
desertica, era prevalentemente abitata da popolazioni nomadi, i beduini, che, distinti in tribù,
allevavano dromedari, pecore e capre spostandosi da oasi in oasi. Il loro senso di unità era dato
da una medesima lingua, di ceppo semitico, che disponeva di una ricca tradizione poetica orale.
Oltre che di pastorizia, di allevamenti (dromedario) e di razzie, i beduini vivevano anche di
commercio. La penisola arabica era un’area di convergenza di una serie di cammini e di rotte, ad
esempio la “via dell'incenso” o “delle spezie”, attraverso la quale merci preziose ed aromi
giungevano dall'India ai porti mediterranei. Lungo la via dell'incenso, nelle rare oasi, sorsero città
carovaniere come Petra e Palmira, favorite anche dai contrasti tra romani e persiani. Le due
potenze avevano spinto la nascita di due rispettivi regni arabi che, inevitabilmente, si scontrarono
la loro, causando migrazioni verso nord e favorendo La Mecca. Gli arabi avevano ereditato una
serie di riti e culti ricchi di figure mitologiche, specie femminili, prossime alle divinità babilonesi
o fenice. I beduini, che spostandosi assimilarono tradizioni dei popoli con i quali venivano in
contatto, avevano sentito profondamente l'influenza del popolo ebraico, a loro affine per origine
etnica, lingua e tradizioni. Nel sesto VI d.C. la maggioranza degli arabi professava una sorta di
monoteismo imperfetto, detto enoteismo. La loro fede era nel Dio unico della Bibbia, chiamato
Allah, e in una serie di divinità e culti minori, come quello delle pietre di origine celeste
(solitamente meteoriti) che si credevano sede della forza di Dio. La più famosa di queste era la
pietra nera, conservata alla Mecca. Si diceva che fosse stata portata dall'arcangelo Gabriele e che
originariamente fosse bianca, ma si fosse annerita a causa dei peccati degli uomini. Al santuario
della Kaaba, dove era custodita, convenivano periodicamente varie tribù, contribuendo ad
arricchire la città. Ovviamente non c'era solo il politeismo ma tra le genti della penisola arabica,
ma era diffuso anche il monofisismo, il nestorianesimo, e l’ebraismo.
La predicazione di Maometto
Su Maometto si hanno poche informazioni, principalmente contenute nella Sira, la sua agiografia.
Si pensa sia nato tra il 570 e il 571 alla Mecca e che fosse membro di una delle più importanti
famiglie cittadine. Egli trascorse l'infanzia e la giovinezza sotto la tutela dello zio e a venticinque
anni sposò una vedova più anziana di lui. Iniziarono in questo periodo i lunghi ritiri spirituali, le
visioni angeliche e le voci che gli parlavano, manifestazioni accompagnate da febbri, convulsioni
e crisi epilettiche. Egli usava ritirarsi in preghiera sul monte Hira, dove una notte del 611 l’angelo
Gabriele lo svegliò dal sonno per comunicargli che era l’inviato di Allah. Maometto rivelò
dapprima queste sue esperienze solo a pochi intimi, tra cui il cugino Ali. Iniziò, quindi, nel VII
secolo la sua predicazione in pubblico, basata sulla rivelazione monoteistica. Egli si proclamò
inviato da Dio per proseguire e concludere il messaggio dei profeti, il sigillo dei profeti. La sua
predicazione, in ferma opposizione alle tradizioni idolatriche che costituivano uno dei motivi di
prosperità della Mecca, fu violentemente osteggiata dall'aristocrazia mercantile che lo costrinse
ad abbandonare la città nel 622 (Egira). Egli si rifugiò in una città che da allora prende il nome di
Medina, letteralmente La Città. Il 622 è l'anno di inizio della nuova era per tutti i paesi musulmani:
la nuova fede impose anche un sistema calendariale nuovo, fondato su un anno di 354 giorni
distinti in dodici mesi lunari. A Medina, lasciando la briglia sciolta sul collo della sua cammella,
delimitò l'area della prima moschea. L’incontro positivo con le tribù beduine, fedeli e bellicose,
che abbracciarono la nuova fede, fu alla base della diffusione del suo pensiero e alla conquista, in
pochi anni, di un vero e proprio impero. Maometto rivestì il ruolo di legislatore, capo militare e
guida politica nel nome di Dio. Nonostante, inizialmente, tollerasse ebrei e cristiani, non
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mancarono episodi di persecuzione, prima che le due feti ricevessero uno statuto che permetteva
loro di venire esercitate in terra musulmana. Per favorire i meccani e per designare la distanza
della nuova fede monoteistica rispetto agli altri due monoteismi abramitici, Maometto sostituì La
Mecca a Gerusalemme come prima e più importante Città Santa. Il santuario principale divenne
la Kaaba, liberato dagli idoli profani, fatta eccezione per la pietra nera.
L’Islam
L'islam non è connesso ad alcun gruppo etnico privilegiato, nasce storicamente nel VII secolo d.C.
nella penisola arabica, terra santa per l’islam, grazie alla predicazione di Maometto. Avendo
ricevuto la parola di Dio in arabo, questo idioma è la lingua sacra dell'islam. È improprio sostenere
che Maometto sia stato il fondatore di una nuova religione, lui stesso si riteneva il restauratore
del monoteismo abramitico che l'ebraismo aveva in qualche modo stravolto (nell'islam un ruolo
primario viene attribuito a Ismaele, capostipite degli arabi e figlio di Abramo, mentre nel racconto
biblico tale ruolo spetta a Isacco, capostipite degli ebrei). Le parole Islam e salam (pace) derivano
dalla sola identica radice slm. Il buon muslim è colui che si affida al Signore rispettando i 5 pilastri:
- professione di fede: non vi è altra divinità se non Dio e Maometto è l'inviato di Dio;
- preghiera: rituale da compiersi 5 volte al giorno con il volto riverso rivolto alla Kaaba.
Tranne la preghiera di mezzogiorno del venerdì, che deve essere fatta collettivamente
nella moschea, si può pregare ovunque;
- pellegrinaggio: andare in pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita. Qualora si
fosse impossibilitati si può supplire inviando altri o con elemosine;
- digiuno: si osserva nel nono mese dell'anno lunare, ramadan, durante il quale fu rivelato
il Corano. In questo mese sono vietati l'assunzione di cibi e bevande e avere rapporti
sessuali dall'alba al tramonto;
- elemosina: originariamente un prelievo proporzionale sui beni superflui di ciascuno,
destinato a coprire le spese della comunità e degli indigenti. Ad essa si affianca l’elemosina
volontaria.
Ai 5 pilastri se ne aggiunge, secondo alcuni, un sesto: il jihad, ovvero lo sforzo. Il jihad è oggetto
presso i non musulmani di molti equivoci, in quanto viene di solito tradotto con l'espressione
Guerra Santa. In realtà, come spiegato in un passo del Corano, il jihad può essere la lotta contro
un nemico esterno, ma è principalmente la lotta interiore contro il peccato.
Il Corano e la Shari’a
Fonte primaria dell'islam nella quale teologia e diritto coincidono è il Corano, da al-Quran
letteralmente recitazione ad alta voce, dettato direttamente da Dio. Le altre sacre scritture
d'origine divina, quali la Bibbia ebraica e i Vangeli cristiani non sono misconosciute dall'islam e
vengono considerate sì ispirate da Dio, ma inquinate dall'errore degli uomini. Ancora oggi è
problematica fra i musulmani la dimensione di una filologia coranica fondata sull'interpretazione.
Il Corano si andò elaborando oralmente attraverso la predicazione del Profeta, ma se si pensa che
anche prima della sua morte alcuni brani fossero stati trascritti. La redazione completa venne
effettuata sotto i primi califfi. L’originale del libro si troverebbe in cielo in una tavola ben
custodita. È composto da 114 sure (capitoli), divisi in versetti. Ogni sura è preceduta dal titolo,
generalmente una parola caratteristica contenuta nella sura stessa. Il corpus scritturale
musulmano non si esaurisce nel Corano, esiste anche una Sunna, costituita di altri tipi di scritture,
accettati dalla maggior parte dei musulmani e per questo chiamati sunniti. Il Corano è anche alla
base del diritto, chiamato Shari’a (strada rivelata). È la legge divina, nel senso che impersona la
volontà divina, alla quale l’uomo deve attenersi. Ovviamente non bisogna dimenticare che i
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differenti regimi musulmani hanno sviluppato, accanto alla legge divina che resta alla base del
diritto, una legge civile pensata per le differenti esigenze della vita comunitaria di una società in
evoluzione.
Il califfato
Maometto nel suo testamento non aveva lasciato alcuna informazioni circa l'assetto politico da
conferire alla comunità dopo la sua scomparsa (632), ma senz'altro qualsiasi istituzione che
potesse assomigliare alla regalità era rifiutata in quanto considerata caratteristica dei popoli
pagani. Si era, tuttavia, diffusa l'idea che la guida del popolo musulmano avrebbe dovuto essere
assunta da un suo successore, il punto era che il profeta non aveva avuto figli maschi. La scelta
ricadde, quindi, sul suocero del profeta Abu Bakr (632-634), nonostante non tutti fossero
d'accordo. Nel frattempo, molti capi tribù volevano rinunciare al loro giuramento di fedeltà
sostenendo che era stato fatto a Maometto e non aveva valenza alla sua morte. Ne nacque una
guerra che si concluse con considerevoli concessioni ai vari capi. Alla morte di Abu Bakr, gli
successe Umar (634-644), sotto il quale l'islam conobbe una straordinaria espansione: Damasco,
Gerusalemme, Persia, Egitto e Siria. Soprattutto nel caso di questi due ultimi paesi, è probabile
che le popolazioni locali, stanche del duro dominio bizantino e delle persecuzioni contro le eresie,
avessero favorito i musulmani, visti come liberatori. Infatti l’islam non perseguitava le eresie
cristiane, a patto che pagassero un tributo. Molti monofisiti scelsero però di convertirsi, facendo
carriera nell’amministrazione califfale. Il grande espansionismo è giustificato anche dalla
debolezza delle potenze dell’epoca, fiaccate da oltre un secolo di conflitti interni ed esterni.
Il califfato elettivo
Umar, conscio della difficoltà di trovare consenso sulla designazione del successore, propose la
formazione di un consiglio al quale sarebbe stato affidato il compito di eleggere il nuovo califfo,
con sede a Medina. Due erano i candidati: Uthman e Ali, genero e cugino di Maometto. Quando
Umar fu assassinato, la scelta ricadde su Uthman (644-656), ma ben presto si notò che favorisse
il proprio clan assegnando loro ruoli di rilievo. L'operato del califfo cominciò a sollevare il
malcontento, che portò all'assassinio di Uthman. I suoi seguaci accusarono Ali, sospetti che
crebbero quando questi venne eletto califfo (656-561) e che portarono alla sua uccisione dopo
cinque anni di incarico. Ciò provocò una scissione tra i seguaci di Ali, detti sciiti, e i seguaci di
Uthman, detti sunniti. I primi limitavano l'ambito della eleggibilità come successore del Profeta ai
soliti discendenti diretti, i secondi ritenevano eleggibili tutti i membri della sua tribù. Il califfo
sunnita è un capo temporale con il compito di difendere l’islam, ma privo di prerogative in campo
religioso, al contrario l'imam sciita (come vengono chiamati i successori di Ali) viene considerato
superiore alla comunità ed è guidato dal Profeta, così come lui lo era stato da Dio. Una parte dei
seguaci di Ali non aveva accettato l'uccisione di Uthman e questo creò ulteriori divisioni.
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La situazione inevitabilmente allarmò il regno visigoto in Spagna. Nel 711 una grossa flotta
musulmana riuscì ad approdare in Spagna, sconfiggendo le truppe del re visigoto Roderico. I
musulmani riuscirono a conquistare tutti i territori della monarchia visigota a sud dei Pirenei, ma
continuarono a sopravvivere tra i monti alcuni focolai di resistenza cristiana. Dalla Spagna
riuscirono a passare in Francia, venendo, secondo la tradizione, fermati nel 732 con la battaglia di
Poitiers da Carlo Martello. Le razzie continuarono anche negli anni successivi, senza che ciò
conducesse ad alcuna sistematica e definitiva conquista territoriale saracena al di là dei Pirenei.
Nel corso degli anni Trenta dell'VIII secolo la spinta espansionistica dell'islam sembrò esaurirsi.
1. espansionismo islamico
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CAPITOLO 7
L’economia curtense
L'alto medioevo si caratterizza per l'economia curtense, fase di passaggio dall'economia della villa
romana a quella della signoria fondiaria dell'età feudale. Si affermò nel VII secolo
prevalentemente regno dei Franchi e con qualche variante un po’ in tutta Europa. La curtis era sia
centro di residenza che di produzione (da fattoria a laboratorio). In queste strutture lavoravano
e vivevano i coloni, non schiava ma neppure pienamente liberi, legati alla terra dove lavoravano
e obbligati a prestare opere gratuite la cui entità era decisa unilateralmente dal proprietario. La
nascita di questa figura fu una conseguenza del frantumarsi dei poteri pubblici che privarono i
più deboli di protezione. Attorno alla residenza del Signore si raggruppavano gli edifici più
importanti (scuderie, mulini, frantoi, fienili, pozzi, una chiesa). All'interno della corte si
fabbricavano tutti i manufatti necessari al suo mantenimento, dai tessuti alle armi. In appositi
locali veniva preparato il cibo e avveniva la trasformazione delle materie prime in prodotti finiti
(dall'uva al vino). La proprietà era suddivisa in porzioni, dette mansi, date in concessione sia a
coloni di condizione libera o servile, sia affidate alla gestione diretta del signore (laico o
ecclesiastico) che le amministrava attraverso persone di sua fiducia. Tale suddivisione risaliva già
alla tarda età romana. L'elemento unificante e innovativo che caratterizzò l'economia curtense fu
il precisarsi delle prestazioni d'opera che i tenutari dei mansi, indipendentemente dalla loro
condizione, erano tenuti ad offrire sotto forma di corvées lavorative al padrone. Le eccedenze
produttive venivano immesse sul mercato, talvolta col sistema dello scambio tra prodotti diversi.
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ed ecclesiastiche. Era prevista la parità di diritti tra romani e franchi, cosa che garantì la
preservazione del patrimonio fondiario dei primi. Anche qui si registra un uso comune degli
incolti e dei territori boschivi. Diversissima fu la forma di occupazione del suolo nel mondo
anglosassone, dove i nuovi occupanti non si incontrarono con le poche strutture che il mondo
romano poteva aver introdotto nella regione. La conquista venne gestita secondo i costumi di una
aristocrazia militare. È stato ipotizzato, sulla scorta della tipologia dei campi aperti presente nelle
aree agricole britanniche, che gli abitanti dei villaggi praticassero forme comunitarie di lavoro
agricolo, anche se alcune leggi sembrano smentire ciò.
Le città altomedievali
I centri urbani conobbero un fenomeno di contrazione: interi quartieri furono abbandonati e le
linee delle fortificazioni urbane retrocedettero all'interno della città, tuttavia restavano centri
politici e amministrativi importanti in cui risiedevano i vescovi. Le città medievali europee si
presentarono come distinte in due grandi categorie: quelle di origine romana (o greca) e quelle
edificate tra il X e l’XI secolo in seguito alla ripresa demografica e al commercio con l’oriente. Le
prime presentavano una pianta quadrangolare e due direttive principali (nord-sud e ovest-est).
Nelle città romane gli antichi edifici decaddero oppure furono riconvertiti in dimore e chiese. Le
esigenze del culto cristiano primitivo prevedevano che le cattedrali, quando possibile, andassero
edificate nei luoghi di martirio dei patroni cittadini, facendo sì che il centro cittadino si spostasse
sulle necropoli, che secondo l'ordinamento romano dovevano essere fuori dal perimetro urbano.
Questo fenomeno provocò l'abbandono di interi quartieri. Il contrarsi della vita economica,
commerciale e cittadina provocò il degradarsi del sistema stradale romano, fenomeno utilizzato
anche in chiave difensiva. Alle strade, più pericolose, si predilessero i fiumi. Anche le coste, sedi
tradizionali delle città più popolose, si svuotarono a causa del continuo pericolo delle invasioni
saracene, con conseguente creazione di centri in aree meglio difendibili.
CAPITOLO 8
L’ascesa dei Carolingi
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La battaglia di Poitiers (732) condotta da Carlo Martello, contrariamente a quanto volle far
credere la propaganda che la innalzò ad atto mediante il quale i franchi salvarono la cristianità
dall'invasione musulmana, non fermò realmente l'invasione musulmana in Europa. Tuttavia,
Carlo Martello si rese conto della necessità di riorganizzare il regno attraverso la creazione di una
classe di proprietari-guerrieri appartenenti alle famiglie a lui legate. Facendo ciò rafforzò i
maggiordomi di palazzo, che riuscirono a soppiantare i sovrani merovingi. I re fannulloni però
avevano dalla loro il privilegio della sacralità, frutto di un'antica tradizione pagana che il
cristianesimo non era riuscito ad eliminare e ciò rendeva difficile metterli da parte. Inoltre, in un
primo tempo, l'azione di Carlo incontrò la forte resistenza della Chiesa a causa degli espropri di
terre ecclesiastiche. Con le sue abili mosse, Carlo riuscì a dividere il regno tra i suoi due figli
(Pipino III e Carlomanno), segnando la fine dei re merovingi. A distanza di poco, Carlomanno si
ritirò, lasciando il regno al fratello, capostipite della dinastia dei carolingi. Pipino era ben
cosciente che la sua era una vera e propria usurpazione nei confronti di un casato regio
ammantato di sacralità, cosa che lo portò a cercare nella Chiesa di Stefano II un'autorità disposta
a sancire tale mossa. Il nuovo re venne posto sul trono nel 754 con una cerimonia fondata
sull'unzione con il sacro crisma, derivata direttamente dalla Bibbia e di cui secondo la leggenda
era stato protagonista anche re Clodoveo. Pipino ottenne dal pontefice anche l'unzione per i figli
Carlo e Carlomanno, dividendo il regno alla sua morte tra di loro. Pipino dovette intervenire due
volte in Italia contro i longobardi, il cui re per ingraziarsi i franchi diede in sposa la figlia a Carlo.
Carlomagno in Italia
Carlo nacque nel 742 e morì nell'814 ad Aquisgrana, capitale del suo impero. Qualche notizia
sulla sua vita privata trapela dai suoi biografi, tra i quali spicca Eginardo. Tuttavia, si tratta di testi
da prendere con le pinze in quanto ritraggono un modello ideale di sovrano. Tra mogli (5)
concubine egli ebbe almeno diciannove figli. Nel Natale del 770 vennero celebrate le nozze tra
Carlo e la principessa longobarda Desiderata, figlia di re Desiderio. Il matrimonio durò circa un
anno, la donna venne ripudiata e rinviata al padre. Non si sa effettivamente quali furono le cause
di tale scelta, forse la preoccupazione di lasciare campo libero al re longobardo in Italia. Desiderio
aveva dalla sua un'altra possibilità di mediazione con i franchi garantita dal matrimonio di
un'altra donna longobarda con Carlomanno. Tuttavia, quest'ultimo morì nel 771. Il re longobardo
chiese al pontefice Adriano I, fortemente legato a Carlo, la consacrazione reale dei due figli di
Carlomanno, che tuttavia gli venne rifiutata. Arenata la possibilità di un'alleanza stabile, nel
febbraio del 772 Desiderio mosse verso Roma, rompendo i patti stipulati dal suo predecessore
con il pontefice e con i franchi. Il pontefice riuscì a resistere a lungo ma dovette comunque
chiedere supporto a Carlo, il quale non era sicuro che tutta l'aristocrazia franca sarebbe stata
concorde nel sostenere una guerra contro i longobardi. Per questo motivo egli offrì una forte
somma a Desiderio che venne però rifiutata. Carlo, nell'estate del 773, partì alla volta dell'Italia
costringendo Desiderio a rifugiarsi a Pavia. La cognata ed i figli vennero catturati e rinchiusi in un
monastero, come lo stesso Desiderio. Il figlio Adelchi, invece, riuscì a trovare rifugio a
Costantinopoli da dove negli anni successivi provò ad organizzare congiure contro i franchi senza
avere successo. Terminati gli scontri, Carlo si recò a Roma nel 775 per incontrare il pontefice: era
la prima volta che un sovrano franco si recava di persona nell'Urbe. Qui fu insignito del titolo di
re dei franchi, dei Longobardi e protettore dei romani, ma comunque egli si limitò a sostituirsi ai
precedenti sovrani, lasciando ai longobardi le loro leggi e le loro consuetudini, nonostante la
presenza di alcuni focolai di opposizione longobarda. Carlo fece battezzare dal Papa il figlio
Pipino, che divenne re d'Italia, e Ludovico, che ottenne la corona di Aquitania. A questo punto
l’Italia si trovava divisa in quattro zone di influenze:
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- Italia franca: corrispondente al vecchio regno longobardo;
- Italia bizantina: Sicilia, Sardegna, Calabria e parte della Puglia;
- patrimonio di San Pietro;
- ducato longobardo di Benevento.
Le campagne di conquista
L'espansionismo carolingio non fu una strategia mirata alla fondazione di un impero europeo.
Furono le tradizioni guerriere e il forte ideale religioso, la molla dell'espansionismo franco. Carlo
Magno si riteneva artefice di una grande missione, convertire l'Europa al cristianesimo. Nelle
vesti di monarca cristiano, Carlo Magno convocò e presiedette concili di vescovi ma, a differenza
dell'imperatore di Bisanzio, non confuse mai il potere spirituale con quello temporale. Terminate
le azioni in Italia, Carlo riuscì ad impossessarsi della Baviera, il cui duca si era da tempo convertito
al cristianesimo e aveva giurato fedeltà a Pipino III . Tuttavia, il suo operato non convinse
pienamente Carlo che decise di destituirlo. Nell'ottica delle campagne di conquiste e di
conversioni di Carlo Magno si ricordano il massacro degli avari e dei sassoni. Nemmeno i Mori di
Spagna, così chiamati in quanto provenienti dall'antica Mauritania (attuali Algeria e Marocco,
Nord Africa), non rappresentavano un grandissimo pericolo per Carlo. Egli aveva tentato di
inserirsi nelle lotte fra i piccoli emirati aragonesi, ma questa impresa non ebbe l’esito sperato. In
questo contesto si colloca l'episodio di Roncisvalle, durante il quale sarebbe caduto un
collaboratore parente di Carlo, il conte Rolando, che diede poi vita alla Chanson de Roland. In
realtà, i franchi quell'occasione non vennero battuti dai musulmani ma da alcune popolazioni
basche di fede cristiana, ostili alla marcia di un esercito straniero attraverso le loro terre. Ad ogni
modo, Carlo riuscì ad organizzare subito a sud dei Pirenei una marca di confine sotto il controllo
franco, la marca di Catalogna. Nei confronti nell'islam e di Bisanzio egli mantenne aperti i rapporti
diplomatici. Carlo sembrava puntare all'unificazione di tutto quello che rimaneva dell'occidente
romano barbarico, escluse le isole britanniche. Rientra in questa politica il rapporto privilegiato
con il papato, il quale da parte sua aveva come obiettivo la creazione di un sicuro patrimonium
sancti Petri. Carlo sapeva bene che uno dei motivi per il quale la Chiesa di Roma si era allontanata
da Bisanzio ed aveva ripiegato sui franchi era appunto quello. Ma lo stesso sovrano franco non si
dimostrò meno esigente dei bizantini, ma ormai il papato non aveva alternative.
L’incoronazione imperiale
Per comprendere l'ascesa di Carlo alla corona imperiale bisogna considerare due fattori
fondamentali. Il primo è che nel mondo cristiano-mediterraneo l'impero d'oriente, in quanto
diretta prosecuzione dell’Impero Romano, restava l'unica fonte riconosciuta di autorità. Il Papa
stesso accettava questa realtà ma, se la lontananza da Costantinopoli da un lato lo avesse sottratto
al controllo imperiale, dall’altro lo avrebbe mantenuto lontano dall'unico vero centro di potere.
Perciò risultò necessario per i pontefici romani creare un centro di potere alternativo in
Occidente, rispetto al quale proporsi come interlocutore interlocutori privilegiati. Il secondo
fattore è che Carlo, pur essendo in contatto con il mondo bizantino attualmente in crisi a causa
dello scisma iconoclastico, voleva cercare di evitare un riavvicinamento troppo tra corte
imperiale e curia papale, poiché temeva di venire così estromesso. Morto Papa Adriano I, salì sul
soglio pontificio Leone III., la cui elezione suscitò subito gelosie a tal punto da renderlo
protagonista di un assalto volto ad accecarlo e a strappargli la lingua. Egli riuscì a salvarsi e a
fuggire e si recò da Carlo in cerca di aiuto in quanto protettore della Chiesa romana.
Contemporaneamente all'arrivo del Papa, una fazione di aristocratici romani inviò ambasciatori
per accusare il pontefice di varie colpe. Carlo decise di reintegrare il pontefice sapendo che così
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quest'ultimo sarebbe stato suo grande debitore. La notte di Natale dell'800 nella basilica di San
Pietro, Carlo Magno al termine della messa fu incoronato imperatore e il pontefice, secondo
l'usanza orientale, si prostrò ai suoi piedi in adorazione, secondo quanto riportato.
L'incoronazione si rivelò vantaggiosa più per il Pontefice che per il nuovo imperatore. Fu infatti
una geniale mossa politica del Papa. Leone III divenne il vero artefice del Sacro Romano Impero,
con una procedura che in seguito sarebbe stata necessaria per ogni sovrano che intendesse
portarne la corona. Sul piano internazionale, il Papa disconosceva di fatto il potere degli
imperatori bizantini, tanto pressanti in materia religiosa quanto militarmente distanti, ed
esaltava la potenza dei sovrani franchi. Il rituale dell'incoronazione aveva un profondo significato
simbolico: il potere imperiale discendeva da Dio e dal suo rappresentante in terra, il Papa.
L'imperatore, di conseguenza, era detentori di un'autorità temporale soggetta all'autorità
spirituale del pontefice. Rinasceva in Occidente un impero, che non era però la ripetizione di
quello a suo tempo scomparso, ma era cristiano e latino sotto la protezione del pontefice. A
Bisanzio l'incoronazione di Carlo Magno venne considerato una vera e propria usurpazione, da
parte di un re barbaro, del titolo che da sempre era aspettato al vero imperatore romano. Nell’
812 Carlo Magno, in cambio di alcune concessioni territoriali, venne riconosciuto dall'imperatore
bizantino Michele I imperatore e augusto, anche se non imperatore dei romani.
Le istituzioni carolinge
L'aristocrazia franca, abituata sì a una tradizione di obbedienza al suo re, non aveva il senso dello
Stato ed era quindi stato per Carlo difficile trasformare questi possessori in funzionari delegati
dal sovrano che operavano sulla base di principi giuridici concreti. Carlo decise di dividere
l'impero in:
- comitati: circoscrizioni affidate ai conti, ufficiali di nomina regia che si occupavano di
esercitare prerogative pubbliche (amministrare la giustizia, riscuotere le tasse).
- marche: circoscrizioni territoriali delle aree marginali dell'impero, più estese dei comitati,
e affidate ai marchesi.
- ducati: circoscrizioni che comprendevano territori connotati da una forte identità
nazionale, assoggettati da poco e in maniera non completamente stabile (es. Bretagna).
L'impero così diviso poteva veder vacillare l'autorità pubblica centrale, ma per ovviare a ciò Carlo,
non solo si legò a questi funzionari attraverso un rapporto vassallatico-beneficiario, ma istituì
anche i missi dominici, funzionari che si spostavano controllando l’operato dei conti. Ogni vescovo
divenne missus nella propria diocesi: la centralità di tale ruolo impose al re di garantirsi la
presenza di uomini fedeli nelle diverse sedi episcopali, cosa che comportò una fortissima
ingerenza regia nella nomina dei vescovi. L'imperatore stesso si spostava di continuo indicendo
riunioni (placiti) e pubblicando nuove leggi attraverso speciali raccolte chiamate capitolari.
Fondamentali funzionari dell’impero erano il conte palatino, un laico che esercitava l'alta giustizia
e il coordinamento di altri funzionari, e l'arcicappellano, un ecclesiastico responsabile degli affari
religiosi e della cancelleria regia. Con la dissoluzione della parte occidentale dell’Impero Romano,
era tramontata anche l'unità della valuta: i re visigoti e longobardi erano riusciti a mantenere la
monetazione sotto il controllo reale, ma nel regno merovingio vi era stata una proliferazione di
soggetti che si arrogano il diritto di battere moneta. Pipino III pose fine a questa situazione
riportando il conio sotto il controllo regio. La sola moneta d'oro circolante era il solito bizantino,
nonostante i re romano-barbarici avessero provato a coniare talora monete d'oro ma più per
motivi di prestigio. Carlo, prendendo atto della rarefatta circolazione monetaria e della drastica
diminuzione della circolazione aurea, impose un conio in argento che prende il nome di denarius,
avente un valore stabilito in modo uniforme e con validità costante nel territorio del Regno.
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La rinascita carolingia
Il regno di Carlomagno coincise con un generale risveglio della cultura in tutto l'occidente. Infatti,
precedentemente, fatta eccezione per i pochi monasteri non vi era traccia di produzione letteraria
e persino in latino dei capitolari era disastroso. Si rese necessaria una riforma della lingua che era
il latino, utilizzato dal papato dal clero. Vennero aumentate le biblioteche monastiche, si favorì la
copiatura degli antichi codici e la redazione di nuove opere, vennero organizzate sempre più
scuole gestite dal clero, venne riorganizzata la biblioteca del palazzo. Attorno al sovrano si riuniva
ad Aquisgrana la scuola palatina, un circolo di dotti coordinato da un monaco benedettino,
Alcuino di York. Tra i partecipanti si ricorda Paolo Diacono. Venne adottata una nuova grafia,
detta minuscola carolingia, che sostituì quella utilizzata precedentemente ricca di ghirigori e
arabeschi. La nuova scrittura era molto più pratica e si diffuse velocemente; comparve in questo
periodo anche l'utilizzo del punto interrogativo.
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CAPITOLO 9
La dissoluzione dell’impero carolingio
Carlo Magno non riteneva possibile che il suo grande
impero potesse restare unito. Egli aveva proceduto
nell'806 a un progetto di divisione fra i suoi tre figli,
che però non ebbe luogo perché due di essi gli
premorirono. Restava solo Ludovico, conosciuto con
l'epiteto Pio, che non ereditava una situazione facile a
causa delle lotte interne all'aristocrazia. Egli propose
come soluzione il rinnovamento spirituale e la
distinzione del potere temporale da quello spirituale.
Questa cosa era impossibile visto che il clero franco
usciva dalle file dell'aristocrazia. Addirittura, laici ed
ecclesiastici detenevano, in proprietà private, luoghi
di culto che venivano gestiti da loro liberamente,
nominandone addirittura il clero. Vista questa
situazione il suo esperimento non poté che
naufragare. Ludovico aveva tre figli, pur non volendo
dividere l'impero ma conscio del fatto che ciascuno di
loro si aspettava una parte di esso, con l’ordinatio
imperii (817) dichiarò che il figlio primogenito
Lotario avrebbe ereditato la corona imperiale e
avrebbe governato sulle regioni centrali, agli altri due
sarebbe andato il governo delle province occidentali
e orientali, subordinate all'autorità del fratello. La
situazione si complicò quando Ludovico ebbe un
quarto figlio, Carlo, noto poi come il calvo.
L’imperatrice, spinto nell'ombra il marito, puntava ad
assicurare a suo figlio un posto nella successione imperiale. Così Ludovico gli assegnò alcuni
territori tolti direttamente a Lotario. Non scoppiò una guerra civile solo per la pigrizia
dell'aristocrazia, non certa della parte da appoggiare. Il potere rimase perciò nelle mani di
Ludovico fino alla sua morte (839). Lotario cercò di ereditare l'impero secondo l’ ordinatio, ma i
fratelli si allearono per combattere contro di lui (battaglia di Fontenoy, 841) e obbligarlo a cedere
una parte del suo potere. Ne derivò il trattato di Verdun (843) secondo il quale egli manteneva la
dignità imperiale e conservava la diretta sovranità su un'area compresa tra il Mare del Nord e
l'Italia centro settentrionale, con le città più prestigiose dell'impero, Roma e Aquisgrana. Carlo il
calvo si aggiudicava la Francia occidentale (odierna Francia) e Ludovico il germanico la Francia
orientale (nucleo storico della futura Germania). A Lotario successe il figlio Ludovico e alla sua
morte Carlo il calvo. Mentre l'impero si andava dissolvendo, si affermava l'importanza della
Borgogna che vide nel IX secolo la nascita di due regni al suo interno: il Regno di Provenza e il
Regno dell'alta Borgogna (attuale Svizzera). In questa situazione caotica andarono di mezzo
anche i pontefici, sempre più in difficoltà a causa dell’aristocrazia romana e adesso privi del
supporto carolingio. Venne quindi incoronato Carlo il grosso, l'ultimo degli imperatori carolingi,
che però non riuscì a difendere il pontefice che finì assassinato. Carlo, infatti, era impegnato in
Francia dove non solo i Normanni avevano assediato, ma l’aristocrazia si rifiutava di obbedirgli.
In questo contesto, privato anche della possibilità di designare un successore, egli fu costretto ad
abdicare (888).
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La vita monastica sotto il Pio
A partire dal IX secolo in tutti i territori che erano stati annessi dai carolingi il monachesimo
conobbe una crescita importante e i monasteri divennero custodi della cultura. Il merito di questo
rilancio del movimento monastico è attribuito soprattutto alla figura di Ludovico il Pio. Con il
Concilio di Aquisgrana dell'816 si affermò l'idea di un monachesimo imperiale e la regola
benedettina riformata divenne il fattore unificante della vita monastica europea. Tuttavia, i
monasteri nel X secolo, essendo luoghi nei quali si concentravano varie forme di ricchezza,
divennero preda facile per le scorrerie di ungari, normanni e saraceni. Addirittura, i saraceni
giunsero a profanare il sepolcro di San Pietro a Roma. Per il papato diventava sempre più difficile
affermare la propria volontà, soprattutto al di fuori dei confini italici: le comunità monastiche ed
episcopali manifestarono la tendenza a intrecciare piuttosto rapporti con le realtà istituzionali
laiche dell'area in cui si trovavano. Si affermò la consuetudine per l'aristocrazia locale di assumere
direttamente l'onere di incrementare le ricchezze di monasteri e vescovati con donazioni e lasciti
di terre o privilegi, magari finalizzati alle preghiere di suffragio per i defunti. I monasteri, oltre
che protagonisti della vita spirituale, divennero protagonisti anche dalla vita economica.
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periodicamente le fiere dei loro santi protettori). Si registrò un incremento demografico,
conseguenza del miglioramento climatico. Il sistema politico istituzionale nato dalle emergenze,
che consentì la rinascita dell’Europa occidentale, venne chiamato feudale. L'Europa andò
riempiendosi così di castelli, vale a dire insediamenti fortificati all'interno della cui cinta muraria
si trovavano la dimora del signore locale, i magazzini delle riserve di cibo e armi e le più modeste
abitazioni del personale. Attorno al castello si insediarono le sedi di coloro che,
indipendentemente dal rango, erano legati al signore del luogo da un preciso rapporto di
dipendenza. L’incastellamento fu la fondamentale caratteristica di organizzazione del territorio
tra il IX e l' IX secolo.
Il sistema vassallatico-beneficiario
Il termine feudo deriva da una parola germanica indicante in origine gli animali d'allevamento,
ma finì con il qualificare genericamente il concetto di “possesso”. Con il passaggio dal nomadismo
alla sedentarietà, i vari signori pagavano i loro seguaci, dai quali si aspettavano innanzitutto
servizio di guerrieri, con aree più o meno estese di terreno. Di tale terreno il beneficiario diveniva
possessore, non proprietario: il signore gliene accordava il possesso e lo sfruttamento, non però
la proprietà assoluta. Si poteva diventare vassalli tanto di un sovrano quanto di un membro della
piccola nobiltà. Il rapporto di vassallaggio si instaurava a livello privato tra due persone e si
formalizzava mediante una cerimonia detta omaggio. In cambio della fedeltà del vassus, il signore
(dominus) gli offriva la sua protezione e, in certi casi, lo forniva di un feudo. Il vassallaggio
risponde al bisogno diffuso di protezione da parte dei privati in un tempo di carenza dei pubblici
poteri e non era, originariamente, necessariamente connesso all'acquisizione di un feudo.
L'elemento giuridico del sistema feudale era costituito dall'immunità, ovvero i detentori di una
signoria feudale erano esenti all'interno dei confini di essa dei controlli di qualunque autorità
pubblica. Oltre a ciò, coloro che possedevano appezzamenti maggiori ricevevano anche il diritto
di amministrare la giustizia pubblica e di godere dei proventi economici (giurisdizione). Il feudo
era inalienabile e non trasmissibile agli eredi, ma questa sua prerogativa verrà a cadere in seguito.
I grandi feudatari, già dalla seconda metà del IX secolo, cioè dalla crisi dell'impero carolingio, si
mossero per appropriarsi di fatto dei feudi loro assegnati e anche delle relative giurisdizioni.
Questo cambiamento è testimoniato, anche se velatamente, nel capitolare di Quierzy, dove Carlo
il calvo si dichiarava favorevole alla consuetudine di tramandare i feudi per ereditarietà.
Ovviamente, un po’ dappertutto, continuava a sopravvivere la proprietà privata legata al libero
esercizio della coltivazione e all'obbligo di armarsi per difendere il proprio territorio. Tale parte
di beni libera dagli obblighi feudali era l’allodio. Tuttavia, il libero proprietario poteva, per vari
motivi, essere a sua volta indotto a fuggire dal suo stato di libertà che comportava pur sempre
dei rischi. Spesso gli allodi venivano offerti in dono a grandi signori laici o ecclesiastici. La signoria
feudale ha svolto un ruolo fondamentale anche per l'economia, differenziandosi dal sistema
curtense, dove la produzione era mirata a soddisfare i personali bisogni. Inoltre, in assenza dei
poteri centrali, non bastava più amministrare pigramente le proprie terre, occorreva occuparsi
anche di politica ed economia, rispondendo ad una serie di problemi relativi alla gestione della
signoria, alla sua difesa e alla sua vita quotidiana. Il signore aveva, perciò, bisogno di collaboratori
fedeli, che vennero trovati nel vecchio ceto servile: alcuni membri vennero affrancati e fecero
carriera, diventando ministeriales. A partire dall'XI secolo, con l'affermarsi nella nuova economia
monetaria, crebbe anche il bisogno di denaro liquido.
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CAPITOLO 10
L’economia dell’Europa dopo i Carolingi
La scomparsa degli ultimi eredi diretti di Carlo Magno, le difficoltà di tenere in piedi in Occidente
una compagine imperiale e le continue invasioni barbariche causarono la polverizzazione dei
poteri centrali. L'insicurezza delle vie di comunicazione e la regressione sul piano economico
produssero, d'altro canto, un generale ristagno dell'attività mercantile. Siccome le esigenze della
sopravvivenza erano primarie, era abbastanza normale che le città si chiudessero entro la loro
cinta fortificata, producendo quanto serviva all'immediato consumo e stringendosi attorno ai loro
maggiorenti. Prevalse nelle campagne il volere di un'aristocrazia di possessori di terre, anche i
capi di uomini armati, in grado di far fronte ai pericoli che venivano da fuori.
La Francia orientalis
Sin dal V secolo l'area privilegiata di insediamento dei franchi era grosso modo compresa tra il
Reno e i Pirenei. Carlomagno aveva allargato il suo territorio spingendosi molto a est del Reno e
conquistando territori abitati da popolazioni anch'esse germaniche, ma non ancora o non del
tutto cristianizzate e molto meno permeate di cultura latina. Quando nell’843, con il trattato di
Verdun, l'eredità carolingia fu definitivamente spartita, rimasero assegnati a un regno
denominato Francia orientalis in quanto retto da un sovrano franco ma la cui popolazione era
nella massima parte tutt'altro che franca. L'aristocrazia franca che governava il territorio sotto il
profilo formale era costretta a fare i conti con i capi delle quattro etnie principali (bavari, franconi,
svevo-alamanni e sassoni) che erano guidate da altrettanti duchi, i cui poteri derivavano da
antiche tradizioni giuridiche e, in parte, mitico-religiose di origine pagana, nonostante il
cristianesimo si fosse ormai profondamente radicato. La presenza di più principati territoriali
sarà poi alla base del particolare carattere federale che appartiene tuttora alla Germania. La
corona del regno di Germania era contesa tra i quattro duchi e veniva assegnata per elezione.
La dinastia sassone
All’inizio del X secolo la crescente polverizzazione del potere pubblico e le frequenti incursioni
degli ungari avevano aggravato la situazione. Al trono tedesco venne allora eletto il duca di
Sassonia, Enrico I, che riorganizzò l'assetto amministrativo e militare del regno, facendo costruire
una vasta rete di fortezze che erano al tempo stesso centri di difesa, di gestione politica e di
organizzazione economica. Egli vinse nel 935 gli ungari e assoggettò i popoli slavi. Dato il successo
del regno di Enrico, i duchi tedeschi elessero dopo di lui il figlio Ottone I che continuò l'opera del
padre, battendo nel 955 definitivamente gli ungari e gli slavi. Poiché il Regno di Germania era
diviso, secondo la tradizione carolingia, in contee, Ottone prese ad assegnarne numerose ai
vescovi, imponendo però che a capo delle diocesi vi fossero costantemente chiamati uomini a lui
fedeli, al fine di eliminare possibili spinte a privatizzare i possedimenti. Inoltre, i vescovi, non
disponendo di eredi legittimi, non potevano tramandare ereditariamente gli uffici pubblici e i
beneficia, andando così ad incrementare la coesione del Regno. Fondamentale nella politica
ottoniana fu il tentativo di mantenere la pace nel Regno di Germania, incoraggiando una soluzione
dinastica al problema della corona che avrebbe dovuto restare all'interno della famiglia di
Sassonia.
Ottone I in Italia1
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Nella volontà di confrontarsi con l'impero bizantino ed entrare in rapporto diretto con il Papa,
Ottone non poté che guardare all'Italia. Sia il Regno d'Italia, così definito per volontà di Carlo
Magno (si intende ovviamente l'ex Regno longobardo, conquistato dai franchi) che il pontefice
erano allora in condizioni politiche precarie. Il Regno era in preda all'anarchia feudale e, tra i
deboli sovrani che si susseguirono, è fondamentale ricordare Berengario II. Egli inflisse gravi
persecuzioni alla vedova di Lotario II, Adelaide, che si rivolse al sovrano Sassone additando
Berengario come usurpatore. Ottone I arrivò nella penisola, piegò Berengario, entrò a Pavia
(antica capitale del regno) sposò Adelaide e venne incoronato re d'Italia nel 951, collegando
istituzionalmente l’Italia alla Germania. Avrebbe, forse, voluto proseguire per Roma ma le
condizioni del suo Regno dove la minaccia ungara non era stata ancora stata definitivamente
eliminata lo costrinsero a rientrare in Germania. Prima di fare ritorno in Germania, Ottone diede
in beneficio il regno d’Italia allo sconfitto Berengario, che si dimostrò ostinato ad ampliare i propri
possedimenti a scapito del patrimonium petri. Per quanto riguarda la difficile elezione del
pontificato nel X secolo, è bene far presente che nell’arco di 65 anni si erano succeduti venti
pontefici, molti dei quali periti di morte violenta. Il papato era nelle mani delle varie famiglie
aristocratiche locali, che se lo disputavano ferocemente e che insediavano sul soglio di Pietro i
propri rampolli, senza curarsi del loro livello spirituale, morale o culturale. A questa turbolenta
età si fa risalire la leggenda della papessa Giovanna. Tra la fine del IX secolo i primi del X la città
venne dominata dalla famiglia dei Tuscolo. Tra di loro spicca Giovanni XII che, nel tentativo di
consolidare la sua posizione e temendo l’espansionismo di Berengario, invitò Ottone I a scendere
in Italia e nel 962 lo incoronò imperatore (sacro Impero Romano-germanico). Dal Papa il nuovo
imperatore pretese fedeltà e pensò di fare altrettanto anche con i suoi successori stabilendo,
attraverso il Privilegium Othonis, che ogni nuova elezione pontificia necessitasse da allora in poi
della conferma imperiale. Il primo a fare le spese di questo provvedimento fu lo stesso Giovanni
XII, accusato di condotta licenziosa e dissoluta, che venne rimpiazzato da un altro pontefice.
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Ottone II e Ottone III
Ottone I si trovò a dover legittimare in qualche modo il suo romano impero, in quanto un erede
diretto nell'impero di Roma nel mondo medievale c'era già ed era l'impero bizantino. In
Occidente tale continuità si era interrotta nel 476 con la deposizione di Romolo Augusto ed era
stata forzosamente e ambiguamente ripresa nell'800 con l'incoronazione di Carlo Magno, anche
se Bisanzio negava, a ragione, legami tra il Sacro Romano Impero e l’Impero romano. Gli
imperatori romano-germanici tentarono in vario modo di farsi accettare da quelli bizantini come
loro pari, ma i sovrani di Costantinopoli continuarono a chiamarli soltanto “re dei tedeschi”.
Ottone I pensò quindi di poter ricorrere alla diplomazia, facendo sposare il figlio, Ottone II, con la
principessa bizantina Teofane. Questo non servì a far sì che l'orgoglioso imperatore bizantino
riconoscesse il re tedesco come suo pari né che l'Italia passasse sotto il controllo germanico. In
Germania la lontananza del sovrano finì col nuocere gravemente al suo potere, mentre in Italia i
più scontenti erano i principi laici che vedevano con disappunto l'alleanza tra imperatore e
gerarchia ecclesiastica. Ottone I morì nel 973 e gli succedette il figlio che faticò non poco a placare
una ribellione divampata nel Regno di Germania e a mantenere sotto controllo la città di Roma
agitata dall’aristocrazia sediziosa. Egli fu sempre interessato al meridione d’Italia, in mano a
Bisanzio, ma non riuscì ad impossessarsene. In quest’ottica si impegnò in una spedizione contro
i musulmani in Sicilia, fu da questi duramente sconfitto nel 982 (Battaglia di Colonna, tra Crotone
e Punta Stilo) e morì l'anno successivo lasciando a Roma il figlio, Ottone III, di appena tre anni
sotto la reggenza della madre. La battaglia contro i saraceni fu di ispirazione per molte opere, tra
le quali si ricorda il Chronicon e i Monumenta Germaniae Historica (MGH). Ottone III, cresciuto
dalla madre e dalla nonna Adelaide, fu affascinato dagli ideali ascetici impersonati da un eremita
che incarnava la spiritualità orientale San Nilo di Rossano. Ottone III nel 996 scese in Italia per
farsi incoronare imperatore, ma a differenza dei suoi predecessori che cercavano di continuare il
programma di Carlo Magno, per lui, ammiratore di Costantino e profondamente permeato di
cultura romana e greca, Roma era il centro del mondo dal quale l'imperatore avrebbe dovuto
regnare (renovatio imperii). Egli pensò, inoltre, di poter assoggettare la Chiesa estremizzando al
massimo la politica di Ottone I, orientata verso un marcato cesaropapismo di matrice orientale.
La sua politica non piacque né ai nobili tedeschi, intenzionati a mantenere la Germania al centro
dell’impero, né all’aristocrazia di Roma, mal disposta a sottomettersi ai vincoli imperiali e ad
abbandonare la presa sul pontificato, motivo per il quale fu espulso dai nobili suoi nemici da Roma
nel 1001, morendo nel 1002 nel tentativo di rientrare nella città
Silvestro II
Tra il X e lo XI secolo la situazione della Chiesa occidentale era particolarmente complessa e
problematica:
- l'elezione dei vescovi di ciascuna diocesi era un ottimo pretesto per le aristocrazie di
imporsi;
- la fondazione di chiese private da parte di grandi signori feudali;
- la diffusione di pratiche quali la simonia, ovvero la vendita delle cariche, termine derivato
da Simon Mago e il nicolaismo, la trasmissione delle cariche ai parenti prossimi. La stessa
carica papale ben lungi dall'essere veramente elettiva ed era di fatto appannaggio delle
fazioni aristocratiche detentrici del potere a Roma.
Sotto l'impero di Ottone III il rapporto con il papato si era rafforzato e venne eletto pontefice uno
degli uomini più colti del suo tempo che scelse, secondo la volontà di legittimare il programma
dell’imperatore, di farsi chiamare Silvestro II. Egli era nato in Aquitania verso la metà del X secolo
e vissuto come monaco in Catalogna. La sua predilezione per la matematica e l'astronomia aveva
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fatto nascere leggende che lo dipingevano come un mago o in combutta col diavolo per
apprendere le vie che conducevano ai tesori sepolti sotto Roma. Promosse l'evangelizzazione
delle genti slave e sostenne l'istituzione delle loro chiese nazionali. Fu costretto a lasciare Roma
insieme al suo imperatore ma vi fece ritorno alla sua morte, raggiungendolo l'anno successivo.
1.L’impero di Ottone
I
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I Normanni
Normanni (propriamente “uomini del Nord”) erano una popolazione originaria della penisola
scandinava (Svedesi, Norvegesi, Danesi). Nel 911 ottennero il ducato di Normandia, in Francia. Si
convertirono al cristianesimo e accolsero le istituzioni feudali, ma non abbandonarono mai
l’innato spirito di avventura e di conquista. Nel 1066 Guglielmo il Conquistatore a seguito della
Battaglia di Hastings riuscì a occupare l’Inghilterra e la sua conquista fu decisiva per la storia
inglese dei secoli posteriori Nella prima metà dell’XI secolo i Normanni scesero nel Mezzogiorno
d’Italia, caratterizzato da un quadro politico incerto e dalla debole presenza bizantina, dove
cominciarono a insediarsi stabilmente. L'espansionismo normanno prese avvio da Melfi, fino alla
conquista dell'Italia meridionale, Sicilia compresa.
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CAPITOLO 11
Oratores, bellatores, laboratores
La società europea intorno all'anno 1000 era tripartita in oratores, bellatores, laboratores. Ai
primi spettava a pregare per la stabilità e la sicurezza del mondo cristiano, ai secondi combattere
perché il mondo potesse godere della sicurezza, ai terzi mantenere i due precedenti ordini con la
propria opera, principalmente agricola. Poiché all'ordine degli oratores è affidato il compito di
mantenere vive, e dunque per iscritto, le memorie dei popoli, la funzione della preghiera appare
essere quella più importante. Gli oratores, per il loro ruolo prioritario, fungevano da intermediari
per gli altri ordini, uno schema questo che sottintendere ebbe un'antica rivalità tra funzione
sacerdotale e funzione guerriera, visibile nella lotta tra sacerdotium e imperium. Questa
tripartizione iniziò, con il tempo, a non essere più così netta (es. ordini religioso-militari / nascita
di mansioni non legate all’agricoltura).
Chierici e laici
All'interno della società cristiana vi era un'altra divisione: chierici (che non erano soggetti alla
giustizia dei laici e potevano appartenere sia al clero secolare che a quello regolare) e laici.
Nonostante la base della vita religiosa monastica restasse la regola di Benedetto da Norcia, tra il
X e l’XI secolo le mutate esigenze religiose, sociali ed economiche avevano determinato la nascita
di nuovi ordini che affiancarono alla benedettina nuove regole; si ebbe così la nascita di
cluniacensi, camaldolesi, certosini, cistercensi. Il laicato conosceva al suo interno una
diversificazione basata sulla condizione giuridica e sull'ordine di appartenenza. Pensare ad un
alto medioevo costituito da masse di servi della gleba è fuorviante in quanto per servitù si
intendeva generalmente l'obbligo di prestazioni lavorative gratuite (corvées) dovute a un signore
da coloro che vivevano e lavoravano sulle terre che gli appartenevano. Tutti gli uomini liberi
potevano essere potenziali guerrieri, ma le mutate condizioni belliche resero necessari l'uso del
cavallo e di equipaggiamenti più costosi, provocando da un lato una sorta di disarmo di massa,
dall’altro la nascita di un gruppo di specialisti, i milites. Nacquero a partire dall’ XI secolo anche i
nuovi ceti di mercanti, banchieri, artigiani, notai, medici. La cronistica iniziò ad essere utilizzata
per scrivere le memorie cittadine. Non si può ancora parlare di borghesia in quanto nel latino del
tempo burgerenses indicava semplicemente coloro che abitavano all'interno di un borgo.
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concessione delle armi e una leggera ferita rituale. Altro gesto simbolo era lo schiaffo che si dava
al soldato, che nel rito cristiano della cresima (che rende soldati di Cristo) si è trasformato in una
carezza.
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CAPITOLO 12
Il califfato degli abbasidi
Il califfato omayyade di Damasco (Siria) si era ormai trasformato in una sorta di impero
ereditario, cosa che provocò non pochi dissidi, soprattutto con gli sciiti. Era inoltre nato un forte
contrasto tra questa dinastia e la famiglia degli abbasidi, che aveva il centro del proprio potere
nel Khorasan (nord-est Iran). Gli abbasidi avevano attirato le simpatie degli sciiti conducendo una
campagna di propaganda in nome dei discendenti della famiglia del profeta. Quando nel 749 il
califfato di Damasco fu rovesciato, venne eletto califfo un membro della famiglia degli abbasidi,
discendente da uno zio di Maometto. Gli abbasidi spostarono il califfato a Baghdad (Iraq), sul
fiume Tigri. Il luogo da essi scelto indicava che ormai il baricentro della nuova dinastia non
sarebbe stato più nell'area mediterranea e prossima a Costantinopoli, bensì nell'area
mesopotamico-persiana; era così sottinteso un programma di asiatizzazione del califfato.
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persone con cui alimentare il commercio degli schiavi, altre volte l'impianto di una sede che
fungeva da colonia commerciale e militare. Capitò, tuttavia, che queste incursioni dessero vita a
veri e propri insediamenti, come nel caso della Sicilia. Le lotte dinastiche che portarono all’ascesa
dei fatimidi in Maghreb ed Egitto ebbero ripercussioni anche sull’isola. In quel periodo la Sicilia
fu anche terra di immigrazione per molti musulmani sunniti. Il tentativo fatimide di appropriarsi
dell'isola fu contrastato i primi decenni del X secolo, con lo scoppio di scontri tra sunnismo
siciliano e sciismo africano. Il conflitto si risolse a favore dei fatimidi nel 917 con la capitolazione
di Palermo. La ribellione contro i fatimidi provocò una serie di carestie che indebolirono l'isola e
soltanto nel 948 un nuovo emiro, facente parte della dinastia kalbita, riuscì a sedare dissensi. La
fedeltà della dinastia kalbita ai fatimidi determinò una maggiore autonomia del governatorato
della Sicilia.
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Il califfato (imamato) sciita dei fatimidi in Egitto
Lo spostamento del califfato a Baghdad aveva lasciato una sostanziale autonomia di scelta nei
territori occidentali di cui ne approfittarono il Maghreb e l'Egitto. In quest’ultimo territorio, dopo
anni turbolenti, si impose la dinastia dei fatimidi, che si proclamavano discendenti di Fatima, figlia
del profeta Maometto. Sebbene l'Egitto fosse sunnita, era percorso da predicatori sciiti. Al-
Muizzin e le sue truppe entrarono trionfanti nel 969 e di lì a breve vi fondarono la nuova capitale,
Il Cairo, proclamando un califfato sciita che durò fino al 1171. Il califfato sunnita di Baghdad. dal
quale dipendevano almeno formalmente le dinastie precedenti, non riuscì neppure a tentare una
controffensiva, tale era la era la forza dell'avanzata fatimide. Sotto la nuova dinastia i centri urbani
egiziani ebbero un forte slancio economico, dovuto alla posizione tra l'oceano indiano e
Mediterraneo e il Cairo agli inizi dell'anno Mille fu il centro commerciale musulmano più grande
dell'epoca. Le vicende fatimidi interessarono anche la Sicilia, la quale era rimasta fedele alla
dinastia da poco estinta. Essendosi i fatimidi spostati in Egitto, il governo della Tunisia venne
affidato agli ziriti. Inizialmente la politica degli ziriti si mantenne fedele alla dinastia fatimida, ma
col tempo si palesò un'istanza politica più autonoma che condurrà aa a frequenti tensioni con il
Cairo. Da una costola zirita nacque una nuova dinastia berbera e sciita destinata ad avere un ruolo
importante: gli hammadidi. Gli hammadi fecero ritorno alla sunna, bruciando le insegne sciite,
anche se più che religiosa si trattò di una mossa politica. Solo l'Egitto fatimida rimaneva sciita.
L'Africa subsahariana
L’Africa bagnata dal Mediterraneo e quella subsahariana hanno conosciuto storie differenti,
almeno a partire dal quarto millennio a.C., cioè da quando l'inaridimento del Sahara rese più
difficili i collegamenti. La quasi totale mancanza di testimonianze scritte ha reso difficile una
ricostruzione della storia dell'Africa subsahariana.
L'islam in Asia
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Il potere musulmano era soggetto a una continua frammentazione a lotte dinastiche continue.
Quella samanide può essere considerata l'età dell'oro per l'islam dell'Asia centrale, sviluppatasi
principalmente in Persia. Sotto il controllo della dinastia i commerci si estendevano dalla Cina
fino alla Svezia, come testimoniato dalla presenza di monete rinvenute in queste regioni. Anche
lo sfruttamento minerario e l'agricoltura conobbero grandi progressi. L'avanzata di una nuova
etnia islamizzata, quella turca, pose fine a questa esperienza. Il declino L’Asia rivestì sempre un
ruolo di rilievo nei commerci: l'organizzazione mercantile prevedeva che singoli convogli
facessero soltanto percorsi brevi di oasi in oasi, per poi affidare ai carichi ad altri convogli dello
stesso, mentre le merci pesanti e poco costose tendenzialmente si trasportavano via mare. Sulla
via della seta, oltre alla seta stessa, transitavano altre merci di pregio, come ad esempio l'oro e
l'argento, il bambù, l'incenso, rubini e zaffiri, spezie (pepe, noce moscata, chiodi di garofano, ecc.).
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CAPITOLO 13
L’impero bizantino tra il VII e l’XI secolo
Fallita nella seconda metà del VI secolo l'unificazione del territorio dell’Impero Romano tentata
da Giustiniano, l'impero d'oriente aveva sempre più sviluppato la sua influenza sia sull'Asia sud
occidentale, dove però era stato duramente contrastato dall'islam, sia sulle sull'Europa orientale,
dove la chiesa greca aveva condotto una lunga opera di cristianizzazione. Nonostante qualche
eccezione, le relazioni con l'Europa occidentale, nella quale si era intanto imposta l'egemonia del
patriarca di Roma, erano sempre più scarse, escluse Italia meridionale, Sicilia e Sardegna
controllate da Bisanzio. L'impero pur conservando leggi e istituzioni romane, si era orientalizzato
nella struttura geopolitica e cosmopolita. La sua armata era in gran parte costituita da mercenari
barbari, il suo ceto dirigente da grandi famiglie aristocratiche con possedimenti in Asia, la sua
lingua era il greco. La pressione dell'islam aveva provocato una forte militarizzazione dell'impero
e l’abbandono della balcanica, ormai divenuta indifendibile. Tra il 674 e il 678 gli arabi giunsero
ad attaccare la stessa Costantinopoli. Nel VII secolo la potenza arabo-musulmana strappò
all'impero nel giro di pochi mesi Siria, Palestina ed Egitto. Intanto tutte le conquiste giustiniane
nel bacino occidentale del Mediterraneo venivano gradualmente abbandonate.
La crisi iconoclasta
La fine della dinastia eracliana era stata causa di oltre un ventennio di instabilità e di guerre civili
che avevano visto avvicendarsi sul trono ben sei basileis, fino alla nomina nel 717 di Leone III, che
è ristabilì l'ordine e liberò la capitale dall'assedio arabo. Anche conosciuto come Isaurico in
quanto fondatore di una nuova dinastia imperiale i cui membri provenivano da una regione al
confine tra l'Anatolia e la Siria. Fu lui a proibire in tutto l'impero il culto delle immagini sacre che
per decreto imperiale furono soggette a distruzione (iconoclastia). Questo provvedimento fu
all'origine di una lunga crisi che si trascinò lungo tutto l’VIII e a partire dal IX secolo. L'imperatore
fu considerato soprattutto in Occidente un eretico a causa della lotta iconoclasta da lui promossa.
La Bibbia contiene diverse proibizioni riguardo alla fabbricazione e al culto delle immagini. La
prima chiesa cristiana aveva condotto un dibattito tra quanti volevano attenersi a quei divieti e
coloro che consideravano importanti le immagini a fini didattici. Non sono del tutto chiare le
ragioni che portarono a questa scelta, la quale andava a colpire soprattutto la capitale dove
prosperavano sia i monaci che traevano ricchezze dal culto delle immagini, sia un ampio numero
di artisti. In Occidente esso inferse un altro colpo ai già compromessi rapporti tra la chiesa greca
e la chiesa latina, che andarono ulteriormente distanziandosi. L'atto formale con cui si avviò la
campagna iconoclasta fu la deposizione e la distruzione dell'icona di Cristo affissa sopra la porta
di bronzo che serviva da ingresso principale al palazzo imperiale di Costantinopoli nel 727.
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essere originari di zone al confine tra le attuali Bielorussia e Ucraina e i loro idiomi appartenevano
a un ramo del gruppo linguistico indoeuropeo. Essi si distinguevano per affinità linguistiche ed
etniche in tre gruppi: slavi orientali (es. ucraini), slavi occidentali (es. polacchi) e slavi meridionali
(es. sloveni).
Lo scisma di Fozio
Nell'867 il patriarca Fozio avviò un vero e proprio scisma nei confronti della Chiesa romana,
accusandola di aver manipolato le conclusioni del Concilio di Nicea del 325, aggiungendo al
documento conclusivo di esso, ovvero il Credo (symbolon) una formula secondo la quale lo Spirito
Santo procedeva non solo dal padre ma anche dal figlio (questione del filioque). Scomunicato dal
patriarca di Roma, Fozio poté riprendere a distanza di anni il suo ruolo ma venne nuovamente
scomunicato, fino alla definitiva deposizione. Ulteriore momento di crisi si ebbe nella seconda
metà del X secolo, quando l'opera del re di Germania Ottone I determinò un rinnovamento della
funzione imperiale in Occidente, sgradito a Bisanzio. Per il momento si rimedio voi con un
matrimonio tra l'erede al trono germanico è la principessa bizantina; tuttavia, questa lunga serie
di contrasti avrebbe portato allo scoppio dello scisma d'oriente (XI secolo).
La dinastia macedone
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Dopo la dinastia amoriana, la sovranità su Bisanzio passò a una famiglia proveniente dal nord
dell'impero, detta macedone. Tra il X e il XIII secolo il Mediterraneo si presentava diviso tra
l’egemonia bizantina e i vari califfati musulmani, a cui vanno aggiunte a partire dall’XI secolo le
città marinare italiche. Ovviamente, va sottolineato che Bisanzio era una compagine statale
organica, le dinastie musulmane pur unite nella lingua, nella cultura e nell'economia avevano
perso il centro politico e religioso dopo la fine del califfato omayyade di Damasco. Basilio I, detto
“il macedone”, santo per la chiesa greca, inaugurò un'era caratterizzata da forte centralismo, dopo
un lungo periodo di lotte nell’impero. Tanto Basilio I, quanto il successore Leone VI, misero mano
a una riforma del diritto giustinianeo, mediante alcune nuove raccolte di leggi, e dovettero
affrontare i problemi ecclesiastici sollevati da Fozio. Essi agirono con energia per il recupero del
controllo dell'Italia meridionale, ma persero totalmente quello della Sicilia. Nella capitale
risiedevano, onde evitare spinte autonomiste, i reggenti dei 32 distretti in cui era diviso l’impero
(tomi). La capitale diveniva così una metropoli costosa ed improduttiva. Nel clima di perenne
sospeso tra intrighi di corte e rischio di una sommossa popolare, il potere imperiale dovette
incentrare tutta la sua politica sul favore all'esercito.
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CAPITOLO 14
La nascita dei comuni in Italia
L'Europa mediterranea nel corso del X secolo usciva da una lunga crisi climatica, demografica e
sociale. Le incursioni vichinghe, ungare e saracene furono uno dei fattori di rinascita dei centri
urbani: le esigenze relative all'organizzazione e alla sicurezza condussero a ripopolare e a
fortificare centri urbani, alcuni dei quali a lungo abbandonati. Protagonisti di questa rinascita si
fecero i vescovi, che nelle città avevano il centro della loro diocesi, attorno ai quali crebbe il potere
di una aristocrazia abile militarmente (milites) e di una proto-borghesia, composta da
cambiavalute, mercanti, artigiani, medici, notai (boni homines). Le oligarchie cittadine dettero
luogo al sorgere di magistrature collegiali, variamente riconosciute e legittimate dall'autorità
episcopale del luogo, i cui membri presero il nome di consules. Essi venivano eletti numero e per
un periodo variabile da città a città e provenivano dalle famiglie più ricche e potenti. Si può, in
linea generale, dire che il comune medievale si iniziò a diffondere nell’Europa occidentale e
centrale fra l’XI e il XIV secolo e raggiunse un alto livello di sviluppo soprattutto nell'Italia centro
settentrionale (Veneto e Toscana), quella porzione di territorio che dal X ai primi del XIX secolo
sarebbe rimasta istituzionalmente e, almeno formalmente, collegata al regno di Germania e al
Sacro Romano impero. Accanto al comune, già a partire dal Duecento in alcune aree come la
Romagna si affermarono le signorie. Alquanto problematica è la questione dei comuni italo-
meridionali, in parte soffocati dal centralismo regio normanno-svevo-angioino.
L'organizzazione consolare
La primitiva organizzazione consolare era composta da un governo ristretto. Termini come
“Comune” e “cittadinanza” non coincidevano: i membri del Comune dominavano la cittadinanza,
mentre la cittadinanza partecipava alla vita del Comune in modo passivo. Il regime consolare era
espressione di un assetto cittadino aristocratico ed elitario, dove i ceti subalterni non avevano
voce. I potenti controllavano anche la chiesa cittadina, in quanto da loro derivavano i membri del
clero che avrebbero contribuito all'elezione del vescovo. Un momento fondamentale nella vita di
tutti i comuni urbani fu l'espansione dell'autorità cittadina nei singoli contadi circostanti, che
condusse in un primo tempo una serie di conflitti. Questo stato di cose dette luogo nella metà del
XII secolo alla convocazione da parte di Federico Barbarossa di due diete: quella di Roncaglia del
1154 è del 1158. Durante queste l'imperatore aveva avocato a sé i diritti pubblici, tra cui una
quantità di dazi e di dogane, mentre dopo trent'anni di contese giuridiche e di lotte armate nel
1183 con la pace di Costanza dovette riconoscere i comuni, inserendoli tuttavia nell'ordine
feudale. Da allora in poi l'impero trattò le autorità comunali nel loro complesso come feudatari, i
consoli dovevano così giurare fedeltà al sovrano. Nel patrimonium petri la massima autorità era,
invece, il pontefice. I comuni dovettero sempre tener conto dell'autorità superiore dalla quale
formalmente traevano legittimità, pur avendo nel tempo ricorso a diplomi e atti di concessione
pagati profumatamente. Per porre rimedio alle ostilità tra le famiglie più ricche nella gestione
della città, a partire dalla seconda metà del XII secolo si diffuse la prassi di affidare il governo a
un solo funzionario, di solito forestiero, detto podestà. Tale governo, tuttavia, non risolse i
problemi delle città, le quali nel frattempo si erano date a guerreggiare tra loro. Nacquero le
rivalità che avrebbero caratterizzato la storia comunale: tra Firenze e Pisa, tra Firenze e Siena, tra
Bologna e Modena, tra Genova e Pisa, tra Venezia e Genova.
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La città medievale si propose come centro di produttori, teso a instaurare con il territorio
circostante un rapporto di integrazione ed egemonia. Secondo la diversa situazione delle varie
aree del mondo europeo, la storia della città medievale assume contorni volta per volta differenti.
L'elemento che distingue la civiltà comunale italiana da quella d'oltralpe fu la differenza tra
consules e burgenses, che in Francia, in Fiandra e in Germania ottennero in genere l'autonomia,
concessa dai principi o dai prelati cui spettava il legittimo governo. L'aristocrazia feudale franco-
settentrionale o tedesca diffidava in genere dai centri urbani, le città in quelle aree infatti si
affermarono come fenomeno essenzialmente legato ai ceti imprenditoriali e mercantili,
permettendo alle corporazioni commerciali (gilde) di accentrare il potere, ricorrendo ai diplomi
di autonomia. In Fiandra la città acquistò autonomia politica sulla base di patti fra le compagnie
di mercanti e l'autorità signorile alla quale ufficialmente sarebbe spettato il governo della città. I
comuni nella Francia del nord invece erano guidati da scabini, esperti di diritto, spesso
provenienti dall'entourage dei signori. Nel sud della Francia, invece, le cosiddette “villes de
consulat” vissero una prima fase simile a quella italiana. L città tedesche giunsero a uno stato
intermedio tra le città vescovili e quelle comunali
Città di frontiera
Mentre il Mediterraneo era divenuto un lago musulmano e bizantino e la Spagna rimase ai
musulmani, il mondo cristiano si andava espandendo in verso l'Europa settentrionale e orientale.
Nacquero così nuove città, in genere città organizzate attorno a due castelli, uno signorile dove
sorgeva anche la cattedrale e un'area mercantile. La ripresa demografica e la messa a coltura di
sempre nuovi spazi determinò il nascere di centri urbani nuovi, tra i quali si ricordano Amburgo
e Brema in Germania. In questi anni si concretizzò anche la cristianizzazione della Scandinavia e
della Svezia, non senza reazioni pagane. Anche sul Baltico furono fondate colonie mercantili
importanti, come Haithabu, Vineta (la cui esistenza è leggendaria) e Birka. Non è chiaro perché
molte di queste attive e popolose colonie siano declinate a partire dall’XI secolo. Gli Ottoni
avevano creato una rete di città lungo la frontiera cristiana orientale, la più importante fra tutte
Magdeburgo, attiva sin dagli inizi del IX, secolo come centro commerciale. Da qui partirono gruppi
di missionari cristiani volti alla colonizzazione degli slavi
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CAPITOLO 15
Il monachesimo cluniacense
La chiesa tra il X e l'XI secolo si era profondamente rinnovata anche grazie all’intervento degli
imperatori germanici. In una parte del mondo ecclesiastico cresceva la preoccupazione per il
problema della Libertas ecclesiae che era contemporaneamente sia liberazione delle istituzioni
ecclesiali dai condizionamenti dei ceti laici, sia liberazione dei prelati stessi dalle preoccupazioni
e dalle abitudini mondane. Proprio contro la chiesa mondana si erano già levate voci di protesta
che si erano incanalate nella fondazione di nuovi ordini, come quello eremitico dei camaldolesi
promosso da San Romualdo e quello dei cluniacensi. Il monastero di Cluny era stato fondato nel
910 da Guglielmo duca d’Aquitania a affidato all'abate Bernone il quale, pur rifacendosi alla regola
benedettina, dava maggiore rilievo alla preghiera e allo studio. L’abbazia intendeva essere
indipendente dai poteri temporali, per questo non solo il duca rinunciò al patronato su di essa,
ma la affidò alla sede pontificia. Sul suo modello sorsero in tutta Europa monasteri che rifiutarono
qualsiasi forma di patronato che non derivasse da quello pontificio. L'imperatore Enrico II, pur
essendosi impegnato per la moralizzazione della Chiesa, era diffidente nei confronti di Cluny.
Saranno i cluniacensi a promuovere il pellegrinaggio al santuario di Santiago di Compostela in
Spagna e a istituire la pax Dei, che segnalava i giorni e i luoghi nei quali la guerra e contro quali
categorie di persone non si potessero compiere violenze, pena la scomunica.
La riforma di Niccolò II
Morto Enrico III nel 1056, lasciando per erede un bambino, si creò un vuoto di potere, di cui
approfittarono i riformatori per scegliere i pontefici. Tra di loro spicca Niccolò II, il quale durante
un sinodo nel 1059 impose che da allora in poi il Papa, in quanto vescovo di Roma, sarebbe stato
scelto da un collegio di preti e diaconi della città di Roma e cardinali. Nessun ecclesiastico avrebbe
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più potuto accettare cariche da un laico, imperatore compreso. Il celibato ecclesiastico sarebbe
divenuto obbligatorio. Il secondo punto non solo danneggiava l'imperatore, ma applicato
retrospettivamente condannava l'intera Chiesa, andando a rendere nulli (secondo alcuni) i
sacramenti concessi dai simoniaci. Il tutto provocò l’opposizione dei vescovi tradizionalisti.
I cistercensi
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Durante gli anni della lotta contro l'impero erano nati nuovi ordini monastici, come i camaldolesi
e i certosini, che avevano fatto riscoprire agli occidentali quell’eremitismo che fino ad allora era
proprio dell'oriente. Ispirandosi alla regola di Benedetto da Norcia, ma radicalizzando il
messaggio, nacque l'ordine cistercense. Era prevista sia l'assidua preghiera, sia il lavoro manuale
durissimo (disboscamento e edificazione di chiese). Contro i ricchi cluniacensi, i cistercensi
indossavano cappe di tessuto grezzo e lavoravano duramente; edificavano in luoghi isolati grandi
abbazie prive di abbellimenti. Principale esponente del monachesimo Sisters fense fu Bernardo
di Clairvaux, che lottò duramente contro l'eresia e la mondanità del clero. Il suo ideale era una
società cristiana che disprezzasse il mondo per puntare al cielo guidata da una chiesa pura e
povera. Verso la fine del secolo alcuni elementi del discorso di Bernardo furono ripresi dal
monaco calabrese Gioacchino da Fiore, fondatore di una comunità sulla Sila è autore di varie
opere a carattere mistico apocalittico.
La cura animarum
Molto presto gli stessi vertici ecclesiastici individuarono la necessità di porre un freno al rilievo
assunto dagli ordini monastici. Una mossa in questa direzione venne compiuta in relazione al
tema della predazione pubblica nel corso del Concilio Lateranense I, nel quale venne negata ai
monaci la possibilità di celebrare pubblicamente le cerimonie liturgiche, compresa l'attività
omiletica. Tuttavia era necessario uno sforzo nei confronti della predicazione pubblica,
soprattutto nelle campagne dove era presente una sorta di cristianesimo popolare, ricco di
tradizioni pagane. Altrettanto necessaria fu una riforma morale e culturale dei preti, che stavano
a diretto contatto con i fedeli.
Il movimento patarino
Nel corso del tempo il clero si era addossato una parte nel governo temporale, da un lato diretta
conseguenza dell'indebolimento dei poteri pubblici cui le gerarchie ecclesiastiche furono spesso
chiamate a supplire, dall’altro perché spesso i vescovi erano espressione delle medesime famiglie
aristocratiche alle quali i poteri pubblici erano affidati. Nei primi decenni dell'XI secolo i
riformatori più intransigenti ricorsero spesso all'ausilio dei laici istigati contro il clero contrario
alla riforma o contro quanti venivano accusati di simonia e concubinato. Tali movimenti erano
particolarmente diffusi nelle città più popolose della Toscana e a Milano, dove sorsero i patarini
(lett. straccioni). Non mancarono da parte dei patarini episodi di profanazione dei sacramenti
giacché essi rifiutavano di considerare valida la consacrazione eucaristica fatta da un prete
simoniaco. Quando questi si resero conto che la chiesa che desideravano, depurata e fatta di
poveri, non era realizzabile, alcuni si adattarono, altri si allontanarono definitivamente. Nacque
così il passaggio dalla pataria all'eresia verificatosi durante il XII secolo.
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CAPITOLO 16
La Francia e la nascita dei capetingi
Durante i secoli XI e XII in vari paesi dell’Europa occidentale si avviò un processo di
riorganizzazione dei poteri della corona che, tuttavia, non cancellò la rete dei feudi, portando alla
nascita di monarchie dette feudali. Erano così chiamate poiché inserivano il sistema feudale nella
loro logica istituzionale di governo. In Francia, durante il X secolo, la corona fu contesa tra i
discendenti di Carlo Magno e quelli di Eude, conte di Parigi, finché nel 987 Ugo Capeto,
discendente da Eude, riuscì ad impossessarsi del potere, fondando la dinastia dei capetingi. Sin
dai primi anni dell'XI secolo i capetingi erano stati in grado di regnare effettivamente solo sui
diretti possessi della corona; quindi, su una porzione ristretta della Francia (ile de France),
mentre il resto del regno era diviso in ducati (es. Normandia, Bretagna) o contee (es. Fiandra). La
Normandia, nata dall'insediamento di alcuni normanni, divenne sempre più francesizzata
culturalmente e linguisticamente, avanzando mire espansionistiche che portarono, nel 1066 il
duca Guglielmo a diventare re d’Inghilterra. Con ciò si era creata una situazione paradossale: egli
era feudalmente soggetto al re di Francia nei territori francesi e suo pari in Inghilterra.
L'Inghilterra
Dalla fine del IX secolo grazie ad Alfredo il grande, re del Wessex, la tradizionale divisione
dell'isola in vari regni cominciò a cedere il passo ad una monarchia unitaria. Può essere questo
considerato l'atto di nascita dell’Inghilterra in senso moderno. Innamorato del sapere romano e
della cultura antica, gli si attribuiscono una serie di traduzioni e sembra sia da lui partita la
redazione della Cronaca anglosassone, prima originale sintesi storiografica di quel mondo. Alla
sua morte, i sovrani inglesi che gli succedettero non furono in grado di arginare l'avanzata danese
a tal punto dover fuggire dall'altra parte della manica. Tra i sovrani danesi che governarono in
Inghilterra, non si può non menzionare Canuto (XI secolo), che favorì la fusione dell’elemento
danese con quello anglosassone, rimanendo in buoni rapporti con la chiesa inglese. Alla morte di
Canuto, tra i figli si aprirono lotte per la successione, dando una possibilità a Edoardo il
confessore, discendente di Alfredo il grande. Egli, però, incontrò la resistenza di danesi e
normanni, fino alla cattura da parte di Godwin, conte di Wessex, il cui figlio, Aroldo, divenne re di
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Inghilterra. Nel frattempo, il duca di Normandia Guglielmo, sicuro per un precedente accordo del
suo diritto di succedere a Edoardo, mosse contro Aroldo, che venne sconfitto nella battaglia di
Hastings del 1066. Guglielmo, sottomessa la vecchia aristocrazia anglosassone, ebbe cura che
feudi restassero piccoli e, quindi, più facilmente controllabili. Egli divide il suo territorio in
circoscrizioni locali, dirette da funzionari regi, grazie alle quali nel 1086 gli fu possibile ordinare
un catasto, il Doomsday book. L'equilibrio raggiunto da Guglielmo, poi detto il conquistatore,
venne meno con i suoi successori. Scoppiò una guerra civile alla quale pose fine Enrico d'Angiò,
che aveva da poco sposato Eleonora.
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unitario a partire dal 1130 sotto Ruggero II, nipote di Roberto. La conquista della Sicilia fu resa
possibile dalla fragilità dell'emiro di Palermo, che cadde nel gennaio del 1072. L'ingresso dei
vincitori avvenne senza strage la moschea fu trasformata in un tempio dedicato alla Vergine.
All'atto della conquista l'isola era abitata totalmente da arabo-berberi, pochissime erano le
comunità greco cristiane, motivo per il quale Ruggero assicurò a tutti la libertà di culto e mise
molti musulmani nel suo esercito, ma al tempo stesso lavoro a un ripopolamento di cristiani latini
nell'isola.
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CAPITOLO 17
I turchi selgiuchidi
I territori invasi dai musulmani tra l’XI e il XII secolo erano numerosi: la penisola iberica,
un'enorme area del continente africano, l’Asia occidentale. Non vi era, però, alcuna unità politica,
frutto non solo della divisione in diversi potentati, ma anche di quella più profonda tra sunniti
(più numerosi) e sciiti. In questo mondo già complesso, a partire dall'XI secolo si introdussero i
turchi. Appartenevano a un ceppo uralo-altaico, affine al mongolo, e parlavano una lingua
appartenente alla famiglia ugro-finnica, originari dell'Asia nordorientale. Nel corso dell'XII secolo
una tribù turca, che dal nome del loro signore chiamiamo “selgiuchide”, si convertì all’islam e
diede man forte al califfo di Baghdad, soprattutto militarmente. Il loro capo aveva assunto il titolo
di sultano e risiedeva a Baghdad, affiancando in una sorta di diarchia al califfo. I turchi erano
divenuti famosi anche in Europa in seguito al 1071 quando avevano battuto l'esercito bizantino
la battaglia di Manzikert.
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Le vittorie di Alfonso VI, che puntava all’Andalusia, preoccuparono il ceto dirigente musulmano
della regione, a tal punto da rivolgersi al capo della confraternita degli almoravidi. Gli almoravidi
sbarcarono in Spagna e, dopo aver sconfitto i castigliani nel 1086 (una delle più grandi sconfitte
della storia cristiana), imposero la loro autorità. Gli anni del loro governo furono prosperi e
sereni, in questo periodo la Spagna musulmana e l’Africa nord-occidentale furono parti di un
unico immenso dominio che portò allo sviluppo di centri quali Marrakech e Fez. Le monete d'oro
coniate nelle zecche delle città almoravidi erano dappertutto apprezzate e ricercate. Tuttavia, il
potere almoravide andò a deteriorarsi sia a causa della riscossa militare dei regni cristiani di
Spagna, sia a causa della diffusione di una nuova corrente teologica, sviluppatasi nel Maghreb a
partire dalla metà del XII secolo, quella degli almohadi. Nel 1147 gli almohadi conquistarono
Marrakech e, nel frattempo, i castigliani si impadronirono di Almeria. Almohadi e castigliani si
scontrarono: i primi ebbero la meglio. Il potere almohade fu più duro e restrittivo, portando
all'esilio di Averroè.
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CAPITOLO 18
Santuari e pellegrinaggi
La rinnovata mobilità del continente europeo a partire dalla fine del X secolo non riguardava solo
i commerci, ma anche i viaggi per ragioni religiose. Anche in età alto medievale ci si muoveva per
ragioni religiose, due erano le tipologie di pellegrinaggio: il pellegrinaggio devozionale, diffuso
sin dagli esordi del cristianesimo, frutto della volontà di cambiare vita e di liberarsi dalle
tentazioni del mondo; il pellegrinaggio penitenziale, di origini più tarde. I sovrani carolingi
avevano più volte emanato direttiva per scoraggiare il pellegrinaggio, adducendo ragioni d'ordine
pubblico. Il tema del pellegrinaggio era dibattuto all'interno della Chiesa stessa. Essendo Roma,
insieme a Gerusalemme e Santiago, una delle principali città di riferimento, sempre più spesso
peccatori e comuni pellegrini si confondevano tra di loro e, con il tempo, le due forme di
pellegrinaggio si sovrapposero. D'altro canto, i pellegrini si affiancano a girovaghi, mercanti,
ambulanti, contadini in cerca di nuove terre. Accanto ai santuari cominciarono a svilupparsi dei
mercati aperti in occasione soprattutto delle feste dei patroni locali, mentre associazioni
volontarie mantenevano aperti lungo la strada degli ospizi dove i pellegrini venivano accolti. Ai
pellegrinaggi partecipavano anche numerosi cavalieri, tendenzialmente appartenenti ai rami
cadetti della nobiltà, con il compito di difendere i viandanti e con la volontà di fare carriera.
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Il capo spirituale della spedizione era il legato pontificio Ademaro di Monteil. L'idea di arrivare in
Terra Santa e conquistare Gerusalemme dovette maturare pian piano. Le truppe vinsero
ripetutamente i turchi che avevano senza dubbio sottovalutato la loro potenza e nel 1098 i franchi
(come li chiamavano i bizantini e i musulmani) riuscirono a impadronirsi di Antiochia. Un
elemento di successo dei franchi, che ignoravano la geografia e il clima del vicino Oriente, fu la
rivalità fra i capi turchi e arabi, fra sunniti e sciiti. Altro fattore di successo fu la confusione
strategica dei crociati, la loro mancanza di un obiettivo chiaro. Questo ordine di guerrieri armati
e di pellegrini si abbatté su Gerusalemme nel 1099 e la città fu espugnata nel luglio di quell'anno.
I franchi massacrarono quasi tutti gli abitanti musulmani ed ebrei.
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Il sultano di Baghdad, il califfo del Cairo e gli emiri arabi in Siria, il più forte dei quali era Damasco,
andavano costituendo un ampio fronte ostile a Zenqi. Sarebbe stato sufficiente per i cristiani
allearsi con i musulmani; tuttavia, la cosa non avvenne poiché in Europa la propaganda aveva
diffuso idee come la difesa della cristianità e la diffusione del Vangelo, a cui si aggiunsero le mire
espansionistiche delle città marinare che si arricchivano con guerre e commerci. Per papa
Eugenio III si rese necessario l’invio di altri uomini, una seconda crociata. Il pontefice coinvolse
Corrado III, re dei romani1, e il re di Francia Luigi VII. La grande spedizione fallì principalmente a
causa di Luigi VII, il quale non solo non riuscì a trovare un accordo con gli altri partecipanti e con
il basileus Manuele Comneno, ma, abbagliato dal miraggio della conquista della ricca capitale della
Siria, assediò Damasco. Ciò portò la città ad avvicinarsi verso quelli che avrebbero dovuto essere
i suoi naturali nemici a causa dell’espansionismo di Aleppo.
Il Saladino
Al servizio dei turchi selgiuchidi di Aleppo militava un uomo di origine curda, noto in Occidente
come Saladino. Egli nel 1168 era stato inviato nell’Egitto dei fatimidi, dove era scoppiata una
grave. Il califfo egiziano fatimida nominò Saladino suo visir, ma questi lo depose assumendo il
titolo di sultano e avviando la dinastia degli ayyubidi. Saladino non solo sottomise Damasco, ma
maturò l'idea di espellere i franchi da Gerusalemme. Intanto il regno di Gerusalemme stava
precipitando a causa di dissidi per la successione al trono, mentre ordini-militari e città marinare
si combattevano tra di loro per interessi. A quel punto tra i franchi si erano andati determinando
due partiti: l'uno, guidato dalle famiglie di vecchio radicamento in Terrasanta, tendeva al
mantenimento dello status quo, l'altro, formato da principi giunti di recente e desiderosi di nuove
conquiste, sosteneva che era il caso di sfidare Saladino e di provocare una nuova mobilitazione
della Chiesa occidentale. Prevalse il secondo schieramento e nell'estate del 1187 Saladino invase
dalla Siria il territorio del regno e l'esercito franco mosse da Gerusalemme per fermarlo, con
scarso successo (battaglia di Hattin). Gli occidentali evacuarono Gerusalemme senza subire
perdite grazie ad un accordo stretto con Saladino ed egli vi entrò trionfante il 2 ottobre.
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modo da poter negoziare, in cambio del ristabilimento del commercio, la liberazione di
Gerusalemme. Nel marzo 1202 i crociati si ritrovarono a Venezia per la partenza, ma molti di
meno rispetto al previsto. La richiesta dei veneziani per i costi dell'allestimento delle navi non
venne soddisfatta dai crociati, i quali si trovarono ridotti sul lastrico. Si giunse ad un accordo il
doge Enrico Dandolo, il quale chiese ai crociati, durante l'attraversamento dell’Adriatico, di
intimorire le città della costa sottomesse a Venezia ma riottose e di riprendere Zara, che si era
pochi anni prima ribellata e alleata con l’Ungheria. Tuttavia, il re d'Ungheria aveva preso la croce
e un attacco contro le sue terre significava infrangere i voti presi dai crociati, pena la scomunica.
La maggior parte dei crociati parteciparono comunque all’impresa e Zara venne assediata. In un
primo momento, Innocenzo III scomunicò tutti coloro che avevano partecipato, ma poco dopo
tolse la scomunica lasciandola solo ai veneziani. A capo della crociata vi era Bonifacio I di
Monferrato, il quale, mentre Zara cadeva, si era recato alla corte Sveva dal fratello di Federico
Barbarossa, nonché suo cugino, dove aveva incontrato Alessio IV Angelo, in fuga da
Costantinopoli, dove suo zio Alessio III lo aveva imprigionato. Il principe prometteva il pagamento
del debito ai veneziani e molti altri compensi in cambio dell'aiuto a tornare sul trono. Venne
quindi stipulato un accordo e nel giugno del 1203 la flotta si presentò dinanzi al porto di
Costantinopoli. Dopo diversi attacchi, Alessio III abbandonò la città e Alessio IV poté prendere il
trono, ma la ricompensa per i latini era al di là delle sue possibilità economiche. Ordinò, quindi,
che fossero prelevati i materiali preziosi che si potevano trovare in città, inclusi oggetti religiosi,
per essere fusi suscitando il malcontento del popolo. Privo di appoggi, Alessio IV fu ucciso e il suo
potere passò ad un nobile Alexios Doukas, il quale si rifiutò di pagare i debiti dell'ex sovrano. Per
tutta risposta, i latini dettero l'assalto definitivo a Costantinopoli nell'aprile del 1204. Il clero
latino non fece nulla per fermarli e lo stesso Innocenzo, che formalmente aveva condannato il
saccheggio, accettò parte del bottino. Sul trono si insediò Baldovino, conte di Fiandra, mentre i
veneziani beneficiarono di numerose concessioni territoriali, specialmente degli scali navali più
importanti. Nasceva così l'impero latino di Costantinopoli. In realtà i crociati non furono mai in
grado di organizzare un vero e proprio stato e dopo qualche decennio l'impero entrò in crisi. Si
succedettero diversi sovrani e diverse dinastie, fino alla caduta di Costantinopoli del 1453 e la
conquista da parte degli ottomani.
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CAPITOLO 19
I catari (o albigesi)
Il XII secolo fu quello del trionfo delle cattedrali e delle università, della Chiesa di Roma come asse
dell’Europa cristiana, ben lontana da quella che nel secolo precedente aveva promosso una
riforma morale e spirituale, che avrebbe dovuto condurre a una più stretta adesione con lo spirito
cristiano. È per questo molti fedeli delusi e amareggiati se ne allontanarono. Nel corso del secolo
dai Pirenei fino alla pianura padana e alla Toscana vi fu l’invasione di un nuovo modo di intendere
il cristianesimo, che si presentava come semplice e puro e prende il nome di catarismo,
discendente dal dualismo manicheo, praticato nella zona della penisola balcanica. I catari
concepivano il mondo come dominato dalla lotta tra due principi: quello dello spirito è quello
della materia. Poiché il demiurgo aveva imprigionato nella materia delle creature frammenti di
spirito, era necessario liberare l'involucro materiale che li avvolgeva. Il buon credente doveva
quindi astenersi da qualunque contatto sessuale, rifiutare qualunque tipo di cibo che fosse frutto
d'accoppiamento carnale (carne, uova, latte e derivati) e poi quando fosse stato pronto lasciarsi
morire attraverso un digiuno totale. I catari non credevano nel libero arbitrio. Molti fra i credenti
catari conducevano una vita normale, frequentando anche le chiese e aderendo al credo ufficiale,
ma servivano da supporto ai perfetti, i quali conducevano una vita austera. Nel corso del XII secolo
le gerarchie della Chiesa si resero conto che le dottrine dei catari avevano guadagnato molti fedeli,
soprattutto nel sud della Francia (Albi) e ciò portò alla loro scomunica nel 1119, durante il
Concilio di Tolosa. A partire dal 1179, durante il III concilio lateranense, si decretò la confisca dei
beni degli eretici e la loro riduzione in schiavitù.
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che si stavano creando a livello popolare, accettandoli nel tessuto ecclesiale per facilitare il loro
controllo. Durante il IV concilio la lateranense svoltosi nel 1215 (uno dei più importanti della
Chiesa di Roma), Innocenzo III dichiarò definitivamente la chiesa superiore a qualsiasi altro
potere, unica mediatrice tra Dio e gli uomini. Si introduceva l'inquisizione come strumento di
controllo e ci si preoccupava dell'istruzione dei fedeli, legittimando l'esistenza degli ordini
mendicanti. Era un programma ai limiti del paradosso: da un lato si voleva elevare la chiesa,
dall'altro si intendeva parlare in mezzo ai cristiani farla vivere tra di loro. Il pontefice morì l'anno
dopo.
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Domenico e l'ordine dei predicatori (ordine mendicante)
I seguaci di Domenico, un chierico aragonese, assunsero il nome di frati predicatori in quanto egli
aveva scelto di contrastare gli eretici non solo con la povertà di vita, ma anche con la parola. I
domenicani avevano quindi bisogno di prepararsi culturalmente molto bene. Egli ottenne che la
confraternita diventasse ordine nel 1215 Francescani e domenicani furono detti ordini
mendicanti, in quanto la loro povertà non era solo personale, ma investiva anche gli ordini come
tali. Essi si chiamavano semplicemente fratelli, da cui frati. Essi non abitavano in monasteri ai
quali erano legati sempre come i monaci, ma in semplici conventi eretti nelle città, che erano solo
punti d'appoggio temporanei. Il loro scopo era quello di dimostrare che, a differenza di quanto
sostenevano gli eretici, si poteva vivere in povertà e restare nella perfetta ortodossia. Il successo
riscosso da francescani e domenicani indusse la formazione di numerosi nuovi ordini nel
Duecento e, per controllare il fenomeno, durante il concilio di Lione del 1274 venne stabilito il
riconoscimento solo di carmelitani e agostiniani.
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CAPITOLO 20
L'ascesa di Federico I Barbarossa
Alla morte di Enrico V di Franconia, che aveva sottoscritto il concordato di Worms con Papa
Callisto II, la nobiltà tedesca si divise in una fazione favorevole ai duchi di Baviera, detta guelfa, e
una favorevole ai duchi di Svevia, detta ghibellina. Il titolo di re venne assegnato a Lotario di
Supplimburgo, che regnò circa una decina d'anni ma non soddisfece la nobiltà tedesca perché
troppo arrendevole nei confronti del pontefice. Nel 1137 i nobili tedeschi preferirono scegliere il
successore nella persona del suo avversario Corrado di Svevia, ma anche questi deluse le loro
aspettative, soprattutto a causa dell'esito della seconda crociata. Corrado individuò un
collaboratore di grande qualità in suo nipote Federico di Hohenstaufen, detto Barbarossa. Anche
Federico aveva partecipato alla seconda crociata, evento durante il quale si era sviluppata una
forte inimicizia tra il contingente francese e quello tedesco, portando il re di Germania ad
avvicinarsi all'imperatore di Costantinopoli e il re di Francia a quello normanno di Sicilia.
All'indomani del ritorno del re Corrado III, la tensione tra le due fazioni era ricominciata e quando
questi, nel 1152, inaspettatamente morì, affidò le insegne regali e la tutela del piccolo figlio a suo
nipote Federico. I principi tedeschi accettarono la scelta del loro sovrano, che non aveva fatto in
tempo ad essere incoronato imperatore, ed elessero re dei romani Federico. Egli, consapevole
degli scontri presenti all'interno della nobiltà tedesca, si rese conto di avere bisogno dell'appoggio
di un principe potente, suo cugino Enrico il Leone, duca di Sassonia e capo della casata Welf, che
era da parecchi mesi in rivolta poiché desiderava rientrare in possesso della Baviera. Non
consegnare il territorio significava perpetuare la guerra civile e inimicarsi una buona parte
dell’elettorato, fedele ad Enrico. La sola ragionevole soluzione consisteva nel negoziare il suo
appoggio in cambio dei ducati di Sassonia e di Baviera, pur consapevole che questo avrebbe dato
vita ad una sorta di diarchia. L'incoronazione di Federico si tenne nel marzo del 1152. Il pontefice
appoggiò l'elezione di Federico, consapevole di aver bisogno di un alleato nella lotta contro
Arnaldo da Brescia, che stava fomentando una riforma del clero caratterizzata da un rigoroso
moralismo. Riorganizzata la situazione interna, il re scese in Italia (1054).
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Federico si sposò in seconde nozze con Beatrice, ereditiera della contea di Borgogna, cosa che gli
consentiva di aggregarsi il territorio. L'unione fra Federico e Beatrice segnò una svolta in quel
territorio compreso fra il Reno ed il Po sul quale l'imperatore intendeva costruire il nucleo di un
potere familiare. Si rese quindi necessario pianificare una seconda discesa in Italia, dove nuove
difficoltà si affacciavano nei rapporti con il pontefice sul tema della supremazia del papato
rispetto all'impero e con le città lombarde, specie Milano. Alla fine del giugno 1158 Federico
intraprese la sua seconda discesa in Italia. Federico, per punire Milano, assediò Brescia, sua
alleata, ottenendo nel frattempo il giuramento di fedeltà da parte di alcune città quali Verona,
Mantova, Cremona e Pavia. All'inizio di settembre anche Milano capitolò. L'accordo prevedeva
che i milanesi avrebbero dovuto giurare fedeltà al sovrano; rinunciare ai diritti giuridici e fiscali
che spettavano al sovrano; innalzare per lui un palazzo; pagare una forte indennità in denaro;
liberare tutti i prigionieri delle città lombarde; fornire all'imperatore dei cittadini in ostaggio. I
milanesi avrebbero potuto continuare ad eleggere i loro consoli, ma questi avrebbero dovuto
giurare fedeltà all'imperatore. Dopo Milano, Federico inaugurò ancora una volta a Roncaglia una
nuova dieta del Regno d'Italia, durante la quale vennero ridefiniti i rapporti fra il potere regio e
le realtà politiche italiche. I legati imperiali si recarono a Milano per imporre il pieno rispetto
dell'accordo e delle decisioni di Roncaglia, ma sembra che un tumulto popolare li costrinse alla
fuga. Federico proclamò Milano ribelle all'impero e a luglio iniziò l'offensiva con l’assedio di
Cremona (1159), fedele alleata di Milano. Frattanto Papa Adriano era morto ed erano stati eletti
due pontefici dalle diverse fazioni: Alessandro III e Vittore IV. Federico convocò dunque un
Concilio a Pavia nel 1160, al quale si presentò solo Vittore che venne confermato pontefice
dall’imperatore. Alessandro non perse tempo e qualche giorno più tardi scomunicò Vittore.
Federico e i vescovi che avevano partecipato al concilio. I re di Francia e d'Inghilterra avevano
finito per schierarsi con Alessandro, mentre i signori tedeschi e gli alleati italici di Federico per
Vittore. Intanto Federico era impegnato nella pianura lombarda, dove ricevette una sconfitta dai
milanesi. Egli chiese allora aiuto in Germania e solo nella primavera del 1161 i rinforzi tedeschi
arrivarono, portando alla resa di Milano. A negoziati quasi conclusi scoppiò un nuovo tumulto.
Nel marzo 1162 i consoli milanesi comparivano a Lodi con le spade appese al collo in segno di
umiliazione e si gettavano come rei di tradimento ai piedi del sovrano implorando clemenza. Pur
potendo punirli con la condanna a morte, Federico decise di farli semplicemente imprigionare. A
distanza di qualche giorno Milano venne evacuata e iniziarono i lavori di demolizione, eseguiti dai
nemici di Milano con tale foga che neppure le chiese furono risparmiate e lo stesso Federico
dovette intervenire per impedire la profanazione di alcune reliquie. Intanto Federico volgeva lo
sguardo alla Sicilia, ma per piegare il Regno di Guglielmo aveva bisogno dell'aiuto di Genova e di
Pisa, allora in lotta tra loro. Federico non intendeva pacificarle, gli bastava che entrambe si
adattassero ai suoi programmi. Concedeva dunque privilegi e faceva a entrambe promesse di
future conquiste nel regno meridionale. Inoltre, il progressivo affermarsi di Alessandro III contro
Vittore e il la sua vicinanza con la Francia e l'Inghilterra preoccupava l'imperatore. Alessandro III
convocò a Tours nel 1163 un concilio, la cui partecipazione fu numerosa, prova che la chiesa
alessandrina si andava imponendo.
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tornare a Pavia e poi in Germania, a causa di gravi problemi interni. Federico vedeva Roma e la
Sicilia sfuggirgli, Papa Alessandro III trionfare su Pasquale, i comuni avversari rialzare la testa e
quelli fedeli cedere. Il re di Sicilia, il pontefice ed il basileus erano sempre più vicini, a tal punto
che quest’ultimo propose l'occupazione militare bizantina di Ancona. Si dette quindi a preparare
una nuova discesa in Italia nel 1166. L'imperatore divise in tre parti il suo esercito: un contingente
al suo diretto comando avrebbe puntato su Ancona, altri due avrebbero dovuto puntare su Roma,
cacciare Alessandro e insediarvi Pasquale. L'assedio di Ancona durò tre settimane si concluse con
la resa della città. Federico puntava alla Puglia, ma non appena ebbe abbandonato l'Italia
settentrionale, scoppiò una nuova rivolta, persino Cremona (lega cremonese), che con Lodi e
Pavia era la prediletta di Federico, ora insorgeva contro di lui. Pur gioendo il pontefice per la
reazione delle città settentrionali, egli temeva l'ingresso dell'esercito imperiale e gli appelli inviati
al re di Sicilia restavano vani. A luglio Barbarossa giungeva sotto le mura di Roma: la città leonina
fu espugnata e Alessandro si salvò per un pelo, venendo accolto a Benevento da Guglielmo II.
Federico, il cui esercito era stato colpito da un’epidemia, si apprestava a rientrare a Pavia, dove
fu informato della ribellione delle città lombarde. Federico riunì l'esercito e andò in direzione
Milano, con lo scopo di saccheggiare il milanese, ma i milanesi lo costrinsero a chiudersi a Pavia e
lo assediarono. Nel dicembre 1167 i rappresentanti di 16 città, tra cui quelle della lega veronese
e della lega cremonese, si incontrarono e stabilirono di convergere in una sola organizzazione: la
Lega lombarda. Federico decise di abbandonare Pavia, ormai divenuta essa stessa infida, e si
diresse nelle terre di Monferrato. Alla fine dell'inverno, Pasquale III era stato insediato a Roma e
l'Italia centrale e la Toscana sembravano essere ancora leali a Federico, ma a Benevento
Alessandro tramava con i comuni lombardi, il re di Sicilia e il basileus Manuele contro il
Barbarossa. Il sovrano decise di rientrare in Germania per riorganizzarsi e qui vi rimase fino al
1174.
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La pace di Costanza
Federico era rientrato in Germania nell'autunno del 1178. A novembre indisse a Spira una dieta,
durante la quale venivano presentate le querele contro Enrico, che si era servito dello scisma per
appropriarsi di vasti domini ecclesiastici. I fatti emersi durante la dieta dettero a Federico il
pretesto per togliere di mezzo una volta per tutte il potere che aveva trasformato il Regno tedesco
in una sorta di diarchia. Sistemate le questioni in Germania, Federico si rivolse all’Italia, dove la
tregua stipulata con la Lega lombarda stava per scadere. La Lega si era sviluppata grazie
all'appoggio di Papa Alessandro, che era morto, del re di Sicilia e del basileus Manuele, anche lui
morto. Il nuovo pontefice, invece, si mostrava molto conciliante con l'impero. In queste condizioni
la cosa più saggia era trasformare la tregua in una vera e propria pace, che venne siglata a
Costanza nel 1183. Il sovrano concedeva ai comuni certe libertà e certa regalia, riservandosene
naturalmente altri; accettava di investire dei pubblici poteri i rettori della città (membri della
lega) e questi avrebbero dovuto prestargli fedeltà. A fronte di questo ampio riconoscimento
dell'autorità imperiale, le città si vedevano riconosciuto il diritto di avere fortificazioni e di
mantenersi strette in una Lega. Si è notato che l'intento di Federico fosse quello, come aveva fatto
in Germania, di costruire in Italia una sorta di monarchia feudale.
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CAPITOLO 21
Una dinastia normanno-sveva
Negli ultimi anni di vita, Federico Barbarossa aveva promosso un'alleanza con i Normanni di
Sicilia attraverso il fidanzamento del figlio Enrico con la principessa Costanza e il successivo
matrimonio. L'unione mirava all'alleanza non alla successione, ma quando Guglielmo II si trovò
senza eredi, ne approfittò Enrico VI che divenne re di Sicilia e imperatore alla morte del padre. La
sua elezione imperiale non era stata contrastata, soprattutto grazie al prestigio di Barbarossa,
aumentato dalla morte avvenuta durante la crociata. Diversa la situazione siciliana, dove il trono
gli veniva conteso da un nobile, Tancredi di Lecce, appoggiato dalle forze locali. La morte
improvvisa di quest'ultimo gli consentirono nel 1194 di prendere la corona in via definitiva.
L'incoronazione ebbe luogo a Palermo nel Natale del 1194 e il giorno successivo divenne padre
di Federico Ruggero. Enrico morì appena trentenne in circostanze non chiare, lasciando il figlio
di soli tre anni. Innocenzo III appoggiò immediatamente Federico come re di Sicilia (1198),
ricordandogli che in quanto tale egli era vassallo del papato, ma diversa fu la scelta per il Regno
di Germania, dove si stava riproducendo il vecchio scontro tra guelfi e ghibellini. Venne nominato
Ottone IV che, per evitare che il Papa appoggiasse il rivale, rassicurò il pontefice sulla libertà della
Chiesa nei territori imperiali. Quando nel 1208 il suo rivale fu assassinato, sentendosi libero,
cominciò a venir meno ai suoi impegni con il pontefice e si avvicinò al re d'Inghilterra; il pontefice,
d'altro canto, si avvicinava al re di Francia. Egli decise di appoggiare i nobili tedeschi che avevano
in odio Ottone e auspicare a un nuovo re che venne visto nella persona di Federico II. Egli venne
eletto re dei romani nel 1212 e l'anno successivo garantì a sua volta al Papa che mai si sarebbe
intromesso nelle questioni ecclesiastiche tedesche, né avrebbe mai promosso un'unione tra il
Regno di Sicilia e l'impero, sebbene le due corone gravassero sulla sua fronte. L'esercito di
Federico e dei suoi sostenitori riportò un’importante vittoria a Bouvines nel luglio del 1214
contro gli eserciti di Ottone.
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che Federico partisse immediatamente e, poiché la spedizione pronta per l'autunno del 1227 non
poté avere inizio a causa di un'epidemia scoppiata tra le truppe, lo scomunicò. La scomunica
scioglieva i sudditi di un sovrano da qualunque obbligo di fedeltà nei suoi confronti e ciò costrinse
Federico a partire nel 1228 (VI). Egli aveva sposato qualche anno prima l'ereditiera della corona
di Gerusalemme, Isabella, quindi si presentava in Palestina come legittimo pretendente al trono.
Nei confronti dell'imperatore il sultano d’Egitto si mostrò sempre incline alla moderazione, a tal
punto che i due stipularono trattato in base al quale Gerusalemme veniva ceduta, priva di mura,
ma con l'esclusione dell'area della moschea di Umar. A Gerusalemme, nella basilica della
resurrezione, Federico cinse solennemente la corona di quel regno (1229). Qui vi rimase per
qualche mese, cercando di mettere ordine nella situazione del Regno, senza riuscirci. Il pontefice
non poteva che essere adirato dall'esito della crociata: Gerusalemme era passata di nuovo ai
cristiani ma non era stata conquistata, inoltre uno scomunicato aveva osato cingere nella Città
Santa la corona. Il Papa rispose bandendo una crociata contro lo stesso Federico, i cui partecipanti
presero il nome di clavigeri, dalle chiavi di Pietro come segno distintivo. Invasero il regno
costringendo l'imperatore a rientrarvi in fretta. Federico riuscì ad arrestare l'offensiva nemica,
ma dovette scendere a patti con il pontefice. Fu quindi siglato il trattato di Ceprano nell'estate del
1230, secondo il quale Federico forniva ampie garanzie sulla libertà del clero e il Papa lo liberava
o dalla scomunica.
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a Fiorentino in Puglia. La propaganda guelfa diffuse la notizia calunniosa che egli fosse stato
ucciso dal suo stesso figlio Manfredi, che gli era succeduto sul trono di Sicilia.
Federico e l'Islam
Le notizie di ambiente musulmano che riguardano Federico testimoniano che a Palermo era stato
allevato dai capi della comunità musulmana, mentre le fonti occidentali assicurano che oltre al
latino parlava greco e arabo. I cronisti arabi riferiscono che durante la sua visita alla città Santa
non perse occasione per esprimere ammirazione e simpatia per l'islam, mentre manifestò astio e
disprezzo nei confronti del mondo ecclesiastico latino, fino a chiedere di ascoltare l'appello alla
preghiera lanciato dal muezzin nella notte.
La Sicilia di Manfredi
Il potere di Manfredi sulla Sicilia e sull'Italia meridionale fu saldo, nonostante ben presto fu
scomunicato da Papa Alessandro IV, che gli rimproverava di proseguire nella linea di Federico
per quel che riguardava l'atteggiamento nei confronti del papato. Egli era disinteressato alla
corona imperiale, ma voleva imporsi in tutta l’Italia. Intervenne quindi con forza nelle questioni
dell'Italia comunale, collegandosi ad alcune città di tradizioni di ghibellina. Alleatosi anche con
principati greci sopravvissuti alla conquista Latina di Costantinopoli, contribuì in modo
determinante con Genova, sua alleata, alla caduta dell'impero Latino di Costantinopoli (creazione
veneziana). Nel frattempo, cercò alleanze anche con il re di Aragona. Nel 1260, con il suo
appoggio, i senesi e i ghibellini fiorentini batterono a Montaperti in Toscana l'esercito di Firenze
espressione di un governo di banchieri e di imprenditori appoggiati dal Papa. Sconfitta la rivale,
Siena rimaneva il primo centro finanziario dell'Italia comunale, i cui capitali finanziavano la
politica di Manfredi. Egli riuscì a penetrare fino a Rima, facendosi eleggere dall'aristocrazia
romana senatore del Comune. A questo punto il pontefice Urbano IV, avvalendosi del diritto per
il quale il re di Sicilia era vassallo della Santa Sede, lo depose e affidò il trono al fratello di Luigi IX
re di Francia, Carlo I d'Angiò. Con la morte di Manfredi nella battaglia di Benevento del 1266 e
l'esecuzione a Napoli di Corradino di due anni più tardi si chiudeva l'avventura Sveva in Italia in
Sicilia.
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CAPITOLO 22
Conflitti e mutamenti istituzionali nel Regno d'Italia
La lotta fra papato e impero che infuriò sia il tempo di Federico II che sotto suo nipote Federico
II, sembrò dividere l'Italia in guelfi (favorevoli al Papa) e ghibellini (favorevoli all'imperatore). In
realtà queste fazioni non erano schieramenti coerentemente contrapposti, né si entrava a far
parte dell’uno o dell’altro per etica, ma seconda che i propri avversari appartenessero a questa o
a quella parte. Le alleanze tra guelfi/ghibellini tra città vicine aumentarono il numero di scontri.
Fu questa elevata conflittualità che condurrà alla crisi del sistema consolare e all'affermarsi di
quello podestarile. Nel corso di queste lotte, nuovi ceti si erano andati costituendo e già alla fine
del XII secolo i rappresentanti maggiori di essi, tenuti fuori dal Comune in quanto non
appartenenti alle aristocrazie cittadine, chiedevano di poter entrare in politica. Spesso si trattava
di ceti medi rurali inurbati, ecco quindi che al movimento di conquista del contado da parte della
città, corrispondeva un movimento inverso. In tutti i centri il sempre più vorticoso bisogno di
moneta liquida favoriva l'attività dei prestatori di denaro, che ben presto si trasformarono in
imprenditori e banchieri. Inoltre, la richiesta di beni di produzione sui mercati europei
incoraggiava l'attività manifatturiera, in particolar modo quella tessile, che aveva bisogno di
manodopera specializzata. La città era così in grado di offrire molto lavoro. In tutta Italia centro-
settentrionale si era costituito un ceto articolato, composto da banchieri, imprenditori, mercanti,
artigiani, medici, riuniti in corporazioni (Artes). Questi cittadini erano originariamente detti
semplicemente populares, privi della possibilità di entrare nel Comune. Tuttavia, a partire dai
primi del XIII secolo vediamo nascere una propria organizzazione, il popolo, parallela al comune.
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Veneto (Scaligeri a Verona), in area umbro-marchigiana (Montefeltro a Urbino). Molto di meno
ciò avvenne nelle città marinare e in Toscana, dove gli imprenditori erano più forti e attivi.
Le repubbliche marinare
In un contesto in cui si andava affermando il commercio, ad avere la meglio furono i centri
affacciati sul mare che godevano di autonomia politica. Vediamo quindi svilupparsi alcune città
marinare nelle quali l'attività economica e l’autonomia politica si datavano già all'alto medioevo
(Venezia e Amalfi); altre meno fortunate e in parte soffocate da un forte potere centrale (Bari,
Messina, Napoli); altre ancora che si avvantaggiarono della crisi dei poteri centrali (Genova e Pisa,
formalmente soggette al Regno d'Italia). Si vide l’affermarsi del sistema delle compagnie, che
permetteva di mettere in comune capitali allo scopo di realizzare precisi guadagni. Poiché i grandi
commerci si svolgevano per vie marittime, le città marittime si riempiono di cantieri per la
costruzione di navi. L'accresciuta mobilità marittima non condusse sul momento a sostanziali
modifiche nei tipi nautici. Tra le città marinare spesso sorsero scontri ed inimicizie, emblematica
quella tra Genova e Pisa. Anche molte importanti scelte di politica internazionale erano dettate
dalle esigenze della navigazione. I veneziani, ad esempio, erano contrari alla prima crociata in
quanto non vedevano di buon occhio le navi genovesi e pisane che fino ad allora non usavano
navigare nel bacino orientale del Mediterraneo imporsi sempre di più in quella parte di mare. O
ancora, nonostante la tradizionale amicizia nei confronti dell'imperatore bizantino, i veneziani si
opposero alla sua politica di appoggio ad Ancona contro Barbarossa, temendo che Ancona potesse
divenire una rivale tanto potente da contrastare l'egemonia adriatica. Allo stesso modo le
conquiste della IV crociata si inquadravano bene in quella lotta per il predominio delle rotte. Nel
1137 Pisa pose fine alla vita marittima di Amalfi, che con le celebri tavole amalfitane aveva dato
al mondo il primo grande codice del diritto marittimo.
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CAPITOLO 23
La domenica di Bouvines
Nel corso dei decenni centrali del XII secolo il re di Francia Luigi VII aveva lavorato al
consolidamento del potere della monarchia; la sua opera fu portata avanti dal figlio Filippo
Augusto. Era per quest'ultimo prioritario risolvere il problema costituito dal fatto che re
d'Inghilterra era signore di gran parte del territorio francese. In Inghilterra, nel frattempo, il
regno di Enrico II aveva posto fine a un periodo di lotte, che ripresero con i figli Riccardo cuor di
Leone e Giovanni Senzaterra. I due si erano ripetutamente ribellati al padre durante il suo regno,
ma erano anche in vivissima discordia tra di loro. Entrambi erano privi dell’abilità strategica del
padre. Filippo Augusto colse l'occasione e nel 1202 dichiarò il sovrano Giovanni Senzaterra
colpevole di fellonia (delitto del quale si macchiava il vassallo infedele) e lo privò formalmente di
tutti i suoi feudi francesi, Aquitania esclusa. Giovanni sembrò accettare per il momento, ma
durante la battaglia di Bouvines (1214) i due sovrani si scontrarono: il re di Francia appoggiava
Federico II di Svevia, il re d’Inghilterra Ottone IV. La vittoria diede modo a Filippo Augusto di
avviare una politica di unificazione dei possedimenti francesi.
La monarchia francese
Mentre Filippo Augusto trionfava sulla corona inglese, aveva anche appoggiato la crociata contro
gli albigesi lanciata da Innocenzo III, che investì principalmente il sud della Francia. L’obiettivo
del re era l’eliminazione della volontà autonomistica dei feudatari meridionali. Alla morte di
Filippo Augusto gli succedette il figlio Luigi VIII ma, vista l’età, la reggenza venne assunta dalla
madre Bianca che condusse un'energica politica di alleanze (es. conte di Tolosa). Il suo
successore, Luigi IX, tentò di evitare che le tendenze centrifughe della nobiltà francese andassero
incontro al re d'Inghilterra, per questo cercò di sottomettere i grandi feudatari, portando allo
scoppio di una serie di battaglie. Dopo tali episodi si andò affermando una lunga tregua nel paese.
Ristabilita la situazione in Francia, il re poté mettersi a capo della crociata del 1248 (VII). Tuttavia,
questa non ebbe fortuna e lo stesso Luigi fu preso prigioniero dei saraceni. Rientrato in Europa,
non si intromise nel conflitto tra l'imperatore Federico II e il papato, nonostante il Regno di Sicilia,
strappato a Manfredi, fosse stato assegnato a suo fratello Carlo d'Angiò. Desideroso di riprendere
la lotta contro i musulmani, venne prima persuaso dal fratello ad assediate Tunisi, dove morì. Gli
succedette Filippo III l'ardito, morto nella rivolta dei Vespri, alla quale aveva partecipato per
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difendere gli angioini dagli aragonesi. A lui succedette il figlio Filippo IV il bello, la cui politica
portò al decollo dei comuni e all’incamerazione dei beni dell’ordine templare. La sua
spregiudicata politica di allargamento portò a uno scontro con le città manifatturiere delle
Fiandre: il re intendeva divenire signore di quelle città per regolare i loro rapporti con
l'Inghilterra; sovrano inglese individuava nell'appoggio alle città fiamminghe un modo per
intromettersi negli affari francesi. Ne derivò una guerra iniziata nel 1298 che culminò con la
sconfitta francese. Il re francese riconosceva un feudo inglese, ma il re inglese si impegnava ad
abbandonare la politica di appoggio ai fiamminghi. Questi, lasciati a sé stessi, dovettero
sottomettersi al re di Francia.
La penisola iberica
Erano passati otto anni dalla sconfitta di Hattin e dalla presa musulmana di Gerusalemme e
Innocenzo III era ben deciso ad ottenere sotto controllo almeno la situazione della penisola
iberica. Gli aquitani, che avevano fatto voto di partire per una crociata in Terra Santa, furono
autorizzati a commutare il voto in una spedizione iberica. Alla campagna parteciparono i re di
Castiglia e d'Aragona. Nel luglio del 1212 la spedizione si concluse con la grande vittoria di Las
navas de Tolosa (vicino l’Andalusia). La vittoria apriva ai cristiani le porte del sud della regione
dell'Andalusia, portando alla caduta di Cordoba, capitale del califfato. La reconquista poteva dirsi
grossomodo compiuta, rimaneva in mano ai musulmani solo l'emirato di Granada (fino al 1492).
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La riconquista cristiana non segnò l'avvio di una stagione positiva: i musulmani nei circa cinque
secoli del loro dominio in terra iberica avevano stabilito un clima di pace e armonia tra tutte le
comunità, perfino quelle cristiane e quelle ebraiche, oltre che di crescita economica. I sovrani di
Castiglia, invece, non incoraggiarono né l'agricoltura, né l'artigianato, né il commercio, che anzi
contribuirono ad ostacolare perseguitando musulmani ed ebrei che ne erano il nerbo. Il ceto
nobiliare castigliano era caratterizzato da una religiosità sentita innanzitutto come lotta contro
gli infedeli. Ben diverso il destino del regno di Aragona, dal 1137 unito con la contea di Catalogna,
la quale continuava comunque a formare un'entità distinta dal mondo ispano-cristiano.
Barcellona era uno dei più fiorenti porti mediterranei e l’economia catalana poneva le sue basi
sul mare e nei commerci. I mercanti catalani si insediarono stabilmente nei porti della Sicilia,
all'indomani della rivolta dei vespri appoggiata dal loro re, e confermarono il loro ruolo nell'isola
dopo il trattato di Caltabellotta. Gli aragonesi riuscirono a conquistare anche la Sardegna. Le
Baleari e ricevettero in feudo il ducato di Atene, conquistato nei primi anni del XIV secolo da alcuni
mercenari catalani. Il Mediterraneo veniva egemonizzato dalla monarchia aragonese,
direttamente o indirettamente, ai danni delle altre città marinare.
La Germania
La Germania intanto non trovava pace: si aprì un lungo periodo di interregno (1256-1272), nel
quale guelfi e ghibellini affidavano la corona a principi non tedeschi nella speranza che questi
fossero interessati al prestigio e al fascino della corona imperiale, la quale ormai aveva perso tutto
il suo potere. Durante questo periodo si andò affermando il crescente potere di un casato feudale
del Sud, quello dei conti di Asburgo e nel 1273 la corona venne cinta da Rodolfo d'Asburgo, il quale
qualche anno dopo si insediò in Austria, facendone il centro della potenza ereditaria familiare. I
nuovi re tedeschi erano comunque fortemente limitati sia dell'aristocrazia feudale, sia dalle città
mercantili e non provarono neppure ad intromettersi nella politica italiana. Si occuparono
principalmente di un'espansione a nord-est (es. conquista della Prussia) e della fondazione
dell'Hansa, o lega anseatica, una federazione commerciale e militare tra alcune città mercantili
del Mare del Nord e del Baltico che riuscì a monopolizzare il commercio tra Russia, penisola
scandinava ed Europa.
Le monarchie centro orientali e settentrionali
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A partire dal IX e XI secolo nelle regioni centro orientali e settentrionali di Europa si erano formati
regni che avevano conosciuto una progressiva cristianizzazione e un avvicinamento alle vicende
delle monarchie di più antica fondazione.
- Bulgaria: regione originariamente popolata di slavi ma occupata nel VII secolo da popolazioni
mongole, aveva formato un regno indipendente negli anni successivi con la fusione dei due
elementi etnici ormai cristianizzati. Ai primi del X secolo erano stati sottomessi dai bizantini, per
poi riacquistare l'autonomia nel XII secolo.
- Serbia: sottoposta al governo di bulgari e dei bizantini, nei primi anni del XIII secolo si rese
indipendente e inglobò la Macedonia e l’Albania. Nel corso del XIV secolo tanto la Bulgaria quanto
la Serbia vennero inglobata dall'avanzata turca.
- Ungheria: a cavallo tra XI e XII secolo riuscì ad inglobare Dalmazia e Bosnia dopo una lunga lotta
con Bisanzio. Tuttavia, nel XIII secolo sarebbe stata travolta dall'avanzata mongola e il potere
regio ristabilito solo molti decenni più tardi sotto la casata degli Angiò.
- Boemia: a partire dal X secolo si era dichiarata vassalla del sacro romano impero e grazie
all'ordine teutonico il sovrano di Boemia era riuscito ad annettere una serie di regioni, tra cui
l'Austria. Tale era il potere raggiunto da farlo ambire anche alla corona imperiale.
- Polonia: a partire dal X secolo era in stretto contatto con la Germania. Il regno condusse una
politica di espansione verso nord-est a danno delle tribù slave ancora pagane. Il XIII secolo fu
caratterizzato dall'invasione mongola e dall'avanzata tedesca sul Baltico. I lettoni furono i primi
ad accettare la conversione, più tenace fu l'opposizione dei prussiani; più tardi balti vennero
costretti a stipulare un trattato in cui accettavano di abbandonare i costumi tradizionali. Solo i
lituani riuscirono a mantenere un po’ più a lungo la propria indipendenza.
- da Kiev a Mosca: Tra il IX e l’XI secolo l'elemento slavo aveva dato vita a un grande principato, il
cui centro era Kiev. Tuttavia, verso la metà del XII secolo, alla decadenza del grande principato si
accompagnò la crescita di Mosca grazie anche alla figura di Ivan I, che riuscì a rendere
indipendente il principato di Mosca, procedendo alla riunificazione delle terre russe.
- regni scandinavi: già nel corso del X secolo vi si erano distinti i tre regni di Danimarca, Norvegia
e Svezia, cristianizzati sommariamente nel corso del secolo successivo. Nel corso del XIII secolo i
marinai norvegesi furono protagonisti di esplorazioni e colonizzazioni di nuove terre come
l’Islanda e la Groenlandia.
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CAPITOLO 24
Il continente asiatico
Nel corso del XIII secolo il mondo europeo occidentale entrò in contatto con l'Asia profonda, fino
ad allora ignorata nonostante dal suo interno provenissero molte merci. Alla fine del 1000 a.C. la
Cina era stata unificata dalla dinastia Chin. Ovviamente lotte ed invasioni avevano portato alla
successione delle dinastie regnanti e a divisioni interne. Così come l'Europa, anche la Cina aveva
conosciuto un incremento economico all'alba del secondo millennio (1000d.C.): espansione
dell'agricoltura (specie del riso), del commercio, incremento demografico (100 milioni), della
produzione tessile, dell'artigianato, delle attività minerarie. La vasta rete commerciale consentì
che questi prodotti circolassero tutto l'impero e oltre.
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i cinesi. Il Codice penale mostra profondamente i tratti di questa discriminazione. Le vie di mare
rimasero intatte rispetto al passato e, lungo quelle di terra, i commerci incrementarono grazie
anche alla continuità territoriale consentita dal dominio mongolo ( pax mongolica). Questi
rapporti tra mongoli e mercanti europei non erano destinati a durare molto a lungo già nel
territorio persiano alla fine del XIII secolo vennero quasi completamente aboliti, lo stesso
avvenne nel XIV secolo in Cina.
Tamerlano
Altro grande condottiero mongolo ma vissuto nel XIV secolo fu Tamerlano, il quale scelse di
assumere il titolo di emiro, con l'intenzione di sottolineare la sua pietas musulmana. Egli scelse
come capitale del suo impero Samarcanda, città nota poiché vi aveva soggiornato Alessandro
Magno e per un importante emporio. Tamerlano, richiamando la travolgente ondata mongola di
un secolo e mezzo prima, riaccendeva nei cristiani le speranze di un'alleanza, questa volta contro
la potenza ottomana, unica a fargli concorrenza nell'egemonia sul mondo urlalo-altaico.
All'alleanza si unirono il basileus di Costantinopoli, il re di Francia. e Genova. Nel luglio del 1402,
presso Ankara, mongoli e ottomani si scontrarono, la vittoria arrise ai primi. Da qui Tamerlano
decise di partire alla conquista dell'impero cinese, ma morì inaspettatamente e il suo immenso
impero si frammentò in tanti potentati ostili tra loro. L'avanzata ottomana contro Bisanzio e
l'Europa poteva riprendere.
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CAPITOLO 25
La nascita della logica e della scolastica
Gli scambi con il ricco Oriente e lo slancio della vita cittadina imposero un rinnovamento della
cultura. Allo studio delle Sacre Scritture si affiancò quello della natura e della scienza, fino ad
allora considerate profane e secondarie. Era viva la convinzione che la scienza dei moderni
potesse superare quella degli antichi, non perché migliore, ma poiché suscettibile ad ampliarsi e
approfondirsi. Una nuova scienza stava assurgendo al rango di chiave del sapere: la logica Alla
base di questo rinnovamento c'era l'opera di Pietro Abelardo, un prete che insegnò a Parigi e che
tra le sue opere redasse Sic et Non, un manuale di logica nel quale dimostrava come la ragione
umana potesse pervenire a risultati importanti senza necessariamente l’appoggio della Sacra
Scrittura e elaborava i fondamentali principi di identità e di non contraddizione, contribuendo
così alla nascita della filosofia scolastica nel corso del Duecento, di cui ricordiamo come esponente
Tommaso d'Aquino. La novità e l'arditezza dei metodi e delle idee di Abelardo ne fecero una
specie di simbolo e del suo fascino si giovò per sedurre una giovane intelligente fanciulla Eloisa,
da cui ebbe un figlio. La situazione, tuttavia, non poteva essere tollerata dallo zio di Eloisa che si
vendicò facendo evirare Abelardo e obbligando la nipote a chiudersi in un monastero Non fu
tuttavia per la relazione con Eloisa, quanto per le sue idee e la sua attività di maestro che Abelardo
fu duramente perseguitato dalla Chiesa.
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I rinnovati contatti con il mondo bizantino e con la cultura arabo-islamica riversarono
all'occidente una quantità di testi e di conoscenze, la maggior parte dei quali appartenevano
all'antichità greco-romana ma, mentre Bisanzio e il mondo musulmano avevano conservato
questo patrimonio, in Occidente era caduto nell'oblio. Esso tornava in Europa arricchito anche
dalle cognizioni provenienti dalla Persia e dall'India, mediate dall'islam, molto importanti
soprattutto nel campo medico, astronomico e matematico. La matematica araba fu introdotta in
Occidente da Leonardo Fibonacci tra il XII e il XIII secolo. Egli pubblicò il liber abaci , una specie di
enciclopedia di algebra dove venivano introdotte le cifre arabe. Il mondo comunale era
profondamente laico, senza che naturalmente ciò costituisse causa di allontanamento dalla fede.
I ceti dirigenti amavano sfoggiare un genere di vita nobile, ciò li conduceva ad apprezzare la
cultura cortese fatta di poemi epici, composizioni poetiche a carattere erotico e romanzi
cavallereschi. Fu così che, specie nelle città toscane, si andarono creando cenacoli poetici e
letterari, alcuni dei quali diedero vita a vere e proprie nuove forme espressive. Nel Duecento si
fece sempre più largo uso del volgare, già adottato da Francesco d'Assisi, usato anche per tradurre
trattati scientifici (altrimenti in latino) e renderli alla portata di banchieri e mercanti. Infine, il
comune necessitava di una sua memoria storica, che venne realizzata con il ricorso alla cronistica
in volgare. Nonostante l'importanza della cultura nel mondo cittadino, i Comuni non misero mai
a punto un sistema vero e proprio di istruzione pubblica. Nel Duecento vi erano messi privati che
tenevano una specie di scuola, in genere nelle loro stesse abitazioni, dove si insegnavano i primi
rudimenti del leggere e dello scrivere e la lingua latina. Tali messi erano spesso sovvenzionati dal
Comune.
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diffusori di questo stile in Europa. Solo l'Italia, inizialmente scettica sulle forme gotiche, si
avvicinerà a questo stile nel XIII secolo. Non bisogna dimenticare soprattutto a partire dal XIII
secolo i vasti programmi di edilizia pubblica avviati nelle città. Il progetto più importante fu quello
pensato per la città di Firenze.
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CAPITOLO 26
Bonifacio VIII
Nel XIII secolo le pretese universalistiche dell'impero erano state messe in crisi dallo scontro con
il papato e dalle realtà locali emergenti, ma nel secolo successivo anche le mire espansionistiche
del papato un furo ridimensionamento a causa della Francia. Dopo il trionfo di Carlo d'Angiò nel
Regno di Napoli e la scomparsa di Luigi IX, i rapporti fra chiesa e angioini si erano fatti difficili.
Carlo I d'Angiò si era assunto il ruolo di difendere l'autorità pontificia dal pericolo ghibellino,
arrivando con il tempo a ricattarla quasi. L'impero, nel frattempo, era preda di un lungo
interregno L’alternarsi nella seconda metà del 1200 sul soglio pontificio di Papi filoangioini e
antiangioini mostrò con chiarezza quanto fosse profondo il disorientamento. Quando nel 1292 si
spense il pontefice, per due anni non si riuscì a nominare un successore, fino a quando l'eremita
Pietro da Morrone non profetizzò gravi sciagure sulla Chiesa qualora la crisi non si fosse risolta.
Tanta l'autorità morale dell'eremita che il conclave rispose eleggendolo Papa nel 1294 con il
nome di Celestino V. Il nuovo Papa, tuttavia, non aveva alcuna competenza né teologica, né
politica, né giuridica, tant’è che per la pressione decide di abdicare dopo qualche mese. Gli
succedette Bonifacio VIII, il quale si prodigò per difendere l'autorità papale. A Roma e
nell'entroterra romano i suoi avversari erano i Colonna, che propugnavano l'invalidità
dell'elezione papale di Bonifacio, ai quali rispose bandendo una vera e propria crociata contro di
loro. Nel frattempo, la Sicilia rimaneva contesa tra angioini e aragonesi, tra i quali egli intervenne
con il trattato Anagni (1295), il quale provocò lo scoppio di violente rivolte in Sicilia. Ciò rese
necessario per il Papa collegarsi più strettamente alla dinastia angioina e al Regno di Francia e
chiedere il soccorso economico dei banchieri fiorentini appartenenti alla fazione guelfa. Questi
ultimi erano divisi in neri, intransigenti, e bianchi, sostenitori di una politica di cautela nei
confronti del papato. Al fine di spezzare la resistenza dei bianchi, Bonifacio si appellò a Carlo di
Valois, fratello del re di Francia Filippo IV, affidandogli il ruolo di paciere. Tuttavia, egli si macchiò
di violenze nei confronti dei bianchi (es. esilio Dante, 1302).
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La cattività avignonese (1309-1377)
La rovina di Bonifacio si era potuta verificare perché molti erano coloro che propendevano per
un rafforzamento dei legami tra papato e Regno di Francia, che in quel momento significava un
asservimento del Papa al re. A ciò si aggiunse che i territori di Roma erano insicuri e preda della
confusione. A distanza di qualche anno, venne scelto Clemente V il quale, condizionato dalla
volontà del re francese, non si pose neppure il problema del rientro a Roma e scelse come nuova
sede la cittadina di Avignone. Durante questo arco temporale i pontefici furono tutti francesi, ma
solo nei primi anni realmente assoggettati al re. Di lì a poco sarebbe iniziata la Guerra dei
cent’anni, che avrebbe impedito ai sovrani francesi di esercitare sui Papi una vera influenza.
Nonostante lo spostamento della sede, i pontefici si prodigarono per la gestione dello Stato
pontificio. Nonostante l’avversione della storiografia, Avignone divenne un centro economico e
culturale di grande importanza, tuttavia si concretizzò una perdita di contenuti ecumenici in tutta
la società del tempo. Fino al Trecento la cristianità, pur fra crisi profonde, non aveva mai dubitato
del suo essere una entità unitaria guidata da due autorità universali: il pontefice e l’imperatore.
Ma, la crisi dell'impero dopo la morte di Federico II e quella del papato dopo Bonifacio VIII
avevano dimostrato che le cose stavano mutando. Le monarchie feudali, che si stavano evolvendo
in regni nazionali assoluti, avevano imposto la loro presenza, così che i rispettivi sudditi
guardassero prima di ogni cosa ai loro sovrani, i quali cercavano in ogni modo di controllare
sempre di più l'autorità ecclesiastica. Per esempio, i tribunali inquisitori che avrebbero dovuto
dipendere direttamente dal Papa subivano spesso l'influenza dei poteri laici.
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Il conciliarismo e il piccolo scisma (1439-1449)
Questo articolarsi della compagine ecclesiale portò alla nascita di una nuova tendenza: il
conciliarismo. Si trattava dell'affermarsi di una tesi secondo la quale la Chiesa avrebbe dovuto
essere amministrata dall'assemblea dei vescovi periodicamente riunita e chiamata a decidere
sulle questioni teologiche più importanti. L'ultimo grande concilio si era riunito a Vienne
(Provenza), nel 1312, da allora le grandi decisioni erano state prese dal Papa. Facendo leva su
queste tesi e sfruttando la scarsa autorevolezza dei tre pontefici nel 1414 il re di Germania indisse
a Costanza un concilio, durante il quale si sarebbe dovuto dibattere: la composizione dello scisma;
la riforma delle istituzioni gerarchiche e dei costumi della Chiesa; l'organizzazione di una nuova
crociata per fermare l'avanzata dei turchi. All'autorità di questo concilio, appoggiato un po’ 'da
tutti i grandi governi europei, si sottomisero i tre Papi e al loro posto fu eletto Martino V. Un
decreto impose il principio della superiorità del Concilio sul Papa e del controllo di esso all'intera
Chiesa, mentre un altro decreto stabilì che il Concilio avrebbe dovuto essere convocato ogni 5
anni. Tanto parte della Chiesa, quanto Martino non erano favorevoli a queste tesi, ma il pontefice
era ben conscio delle gravi difficoltà relative al funzionamento del sistema conciliaristico. Ad
esempio, era arduo riunire un alto numero di prelati con periodicità tanto ravvicinata, inoltre i
lavori conciliari andavano sempre per le lunghe. Tra i concili riunitisi si ricorda quello di Firenze
del 1439, dove accorsero anche molti prelati delle chiese cristiane d'oriente preoccupati per
l'avanzata dei turchi. Il pontefice rispose promettendo una nuova crociata, a patto che gli orientali
accettassero di ricomporre lo scisma e di riconoscere la superiorità la suprema autorità del Papa.
I delegati sul momento accettarono, ma ciò provocò indignazione a Bisanzio. Nel frattempo, si
stava profilando un nuovo scisma, causato da alcuni vescovi riunitisi qualche anno prima a Basilea
e restii ad abbandonarla (piccolo scisma d’Occidente). A causa del piccolo scisma d'occidente, le
teorie conciliari persero credibilità, private anche dall'appoggio dei sovrani europei. Si arrivò
dunque al concordato tra i loro paesi e la Santa Sede, che permetteva ai sovrani di negoziare con
il Papa una certa libertà nella gestione delle Chiese nazionali (es. proporre la nomina dei vescovi).
Nascevano in questo modo la chiesa gallica (Francia) e anglicana (Inghilterra), istituzionalmente
semplici sezioni della Chiesa Latina, non chiese separate.
Lollari e hussiti
Atteggiamenti di critica alla mondanizzazione della Chiesa si erano andati addensando nel corso
del Trecento, Molti chiedevano di ritornare ad una Chiesa di umili, lontana dal potere terreno e
culturalmente più vicina al popolo (es. adozione di idiomi volgari, lettura diretta delle Scritture).
L'esempio dato dalla Chiesa durante il grande scisma d'occidente aveva allontanano
ulteriormente i fedeli. Il sacerdote inglese Wyclif sosteneva che le scritture fossero sufficienti a
ciascun fedele per intendere la volontà di Dio e che sacramenti (tranne eucaristia), indulgenze e
culto dei santi fossero inutili dal momento che Dio aveva già predestinato chi si sarebbe salvato.
Ne derivava che la Chiesa non aveva alcun diritto a svolgere una funzione di mediatrice tra Dio e
fedeli. Wyclif ebbe in Inghilterra molti seguaci, detti lollari. Le sue idee si diffusero soprattutto in
Boemia, dove il professor Hus elaborò una dottrina basata sulla lettura delle Scritture da parte di
ciascun e sulla necessità che la Chiesa tornasse povera. Egli diede vita al movimento hussita. La
sua condanna come eretico portò allo scoppio di proteste e radicalizzazioni del suo pensiero. Si
giunse quindi ad un’alleanza che consentì agli hussiti di organizzare una chiesa nazionale boema,
dotata di proprie consuetudini ma ligia al Papa. La diffusione di queste idee avrebbe posto le basi
per la riforma luterana del secolo successivo.
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CAPITOLO 27
Filippo IV e l’ordine templare
Come già visto, nel corso del tempo numerosi erano stati principi europei che si erano rivolti
all'ordine templare per donargli terre o affidargli in custodia denaro. Questi avevano quindi
sviluppato un grande potere e in Europa era sorto un tessuto strettissimo di loro monasteri,
particolarmente in Francia. Filippo IV, la cui politica era estremamente dispendiosa, pensò bene
di incamerarne i beni utilizzando la stessa tecnica adottata contro Bonifacio: prima si misero in
circolazione gravi dicerie sui templari, già invisi per la loro ricchezza, poi si ottenne dal Papa
avignonese Clemente V il permesso di aprire contro di loro un vero processo. Dopo 7 anni di
processo, nel 1312, Clemente emanò una bolla che scioglie l'ordine, senza tuttavia esprimere nei
suoi confronti una condanna formale, consapevole che si trattava di bugie orchestrate dal
sovrano.
Regalismo e universalismo
Il re di Francia era affiancato da abili consiglieri, come Pietro Dubois e Guglielmo di Nogaret, che
posero le basi del regalismo, rompendo definitivamente con la tradizione cristiana, che voleva la
cristianità riunita in un solo corpo sociopolitico. Il regalismo affermava che i re non riconoscono
alcun superiore al di sopra di loro, neppure l'imperatore, ne consegue che i poteri imperiali
appartengono al re all'interno del territorio del suo Regno. Ci si stava avvicinando alla concezione
moderna di stato assoluto. Le teorie dei giuristi poterono trovare terreno fertile in quanto Filippo,
diffidente da quella nobiltà feudale che aveva sempre limitato le prerogative della corona, aveva
preferito circondarsi di una nuova nobiltà che traeva dal ceto dei giuristi e dei funzionari di corte
(nobiltà di toga). Questi nuovi nobili non avevano alle spalle illustri lignaggi e dovevano la loro
fortuna al sovrano, per questo gli erano fedeli. Per contro si affermarono tesi che riprendevano la
bolla Unam sanctam. Ad esempio, Egidio Colonna affermava che l'autorità temporale doveva
essere sempre e comunque in posizione subordinata a quella spirituale e che le autorità temporali
erano chiamate a obbedire alla Chiesa, non solo nelle questioni spirituali, anche in quelle
temporali. Diversamente, Dante Alighieri nel De Monarchia tentava un'estrema conciliazione tra
papato e impero, senza tener conto del fatto che si trattasse di due poteri che stavano cambiando.
Dante le riconosceva la dignità dei poteri imperiali e la loro autonomia da quelli spirituali, sempre
nel quadro di una comune dipendenza dalla volontà di Dio, la fonte leggittimatrice di qualunque
potere.
Le sorti dell'impero
Alla morte del re di Germania nel 1308, Filippo IV aveva avanzato la candidatura di suo fratello
Carlo di Valois, ma i principi tedeschi, timorosi di una egemonia francese, avevano scelto come re
Enrico VII, conte di Lussemburgo. considerato debole e favorito anche da Clemente V, al quale
aveva promesso una nuova crociata. Egli, pur presentandosi in Italia come pacificatore, non
disponendo di sufficienti forze militari, dovette appoggiarsi ai ghibellini, che se ne servirono per
i loro fini. Contro di lui si creò immediatamente un fronte guelfo i cui capisaldi erano Firenze e il
Regno di Napoli. Dopo l'incoronazione (1313), la prima dopo Federico II, l'imperatore risalì la
penisola ma Firenze gli si oppose. Enrico si precipitò nella fedelissima Pisa, da dove ordì la discesa
a Napoli ma, una volta partito, morì improvvisamente a causa di un attacco di malaria. Alla sua
morte la Germania ricadde in una guerra civile. Prevalse Ludovico IV il Bavaro, candidato poco
gradito al pontefice Giovanni XXII, che si fece incoronare re di Germania senza chiedere alcuna
ratifica pontificia e discese in Italia in appoggio ai Visconti di Milano. Il Papa lo scomunicò, ma
questi rispose accusandolo di abuso di potere, in quanto usurpava funzioni temporali che non gli
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competevano, di eresia e di magia. Nel gennaio del 1327 Ludovico si fece incoronare a Roma dal
senatore della città, Sciarra Colonna, fu poi riunito un Concilio che depose Giovanni XXII. Al pari
di Filippo IV, le tesi di Ludovico il Bavaro erano maturate grazie al contributo di grandi pensatori
a lui vicini: Marsilio da Padova e Guglielmo d’Ockham. Secondo quest'ultimo fra autorità religiosa
e autorità civile la distinzione doveva essere netta, in quanto diversi sono i fini di ciascuna. Allo
stesso modo era necessario distinguere fede e ragione: da una parte nessuna verità rivelata
poteva essere oggetto di dimostrazione scientifica, dall'altra la filosofia era fondata sull'uso della
ragione e sulla dimostrazione empirica che non poteva venire influenzata dalla fede.
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vendetta una flotta inglese aveva attaccato una normanna. Filippo a quel punto aveva convocato
Edoardo I, re d’Inghilterra, in qualità di suo vassallo: il Parlamento di Parigi lo aveva dichiarato in
difetto e l'aveva condannato all’esproprio dei suoi diritti feudali sul territorio di Francia. Nel 1294
l'esercito inglese sbarcò in Guienna. Nonostante l’iniziale successo inglese, i due eserciti non
riuscivano a sconfiggersi definitivamente. Nel frattempo il re di Francia firmava un'alleanza con
il re di Scozia, che sfruttò l'occasione per tradire il re d’Inghilterra. Mentre la situazione scozzese
si evolveva verso la fondazione di un regno autonomo rispetto all’Inghilterra, il Parlamento
inglese (che da lì a poco sarebbe stato organizzato in Camera dei Lord e Camera dei comuni)
approfittava delle debolezze del sovrano per strappargli sempre più concessioni. Di fronte alle
dispute interne tra Inghilterra e Scozia e a una guerra costosa verso la quale i baroni inglesi
avevano poco interesse, Edoardo decise di accettare un accordo (1297) con la Francia, ritirando
il suo sostegno alle Fiandre. La scelta venne accolta con piacere anche da Filippo, il quale si
trovava in difficoltà con i fiamminghi. I negoziati, protrattasi comunque per sei anni, avevano
previsto anche alcune unioni matrimoniali, che sarebbero state la causa dello scoppio della guerra
dei Cent’anni.
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Filippo il buono. Enrico proponeva di sposare Caterina, figlia di Carlo VI, alla morte del quale
avrebbe regolarmente ereditato anche il trono di Francia. Questo trattato aveva però trascurato i
diritti di Carlo Delfino di Francia, cioè principe ereditario in quanto figlio di Carlo VI. Nel 1422
scomparvero sia Carlo VI di Francia che Enrico V d'Inghilterra, le due corone passarono quindi
ad Enrico VI, ma gli avversari proclamarono il delfino re, che assunse il nome di Carlo VII. Tutto
sembrava propendere a favore di Enrico, che aveva dalla sua prestigiosi duchi, ma la guerra prese
una piega inaspettata, in parte dovuta alla misteriosa figura di Giovanna d'Arco. Durante la
giovinezza questa cominciò a sentire delle voci (da lei identificate con quella dell'arcangelo
Michele) che la incitavano a mettersi al servizio di Carlo VII per liberare la Francia degli inglesi.
La donna riuscì a convincere il seguito del sovrano e le vennero affidati degli uomini con i quali
essa riuscì a liberare Orléans, assediata da Enrico VI. La guerra riprese allora con un nuovo vigore
e si giunse all'incoronazione nel luglio del 1429 di Carlo VII di Valois. Dopo questi eventi, Carlo
cominciò a intravedere la possibilità di guadagnarsi l'intero paese con le trattative e Giovanna,
che incarnava l’idea di un patriottismo mistico, era ormai diventata un personaggio scomodo.
Ostacolata in ogni modo, tentò una iniziativa personale che tuttavia portò alla sua cattura. Venne
venduta agli inglesi che montarono contro di lei un processo inquisitoriale per eresia e
stregoneria. Venne bruciata come eretica nel maggio del 1431. A distanza di qualche anno venne
aperta l'inchiesta relativa a Giovanna, che culminò con un processo di riabilitazione e nel 1920
divenne Santa. Morta Giovanna, Carlo si accordò con il trattato di Arras (1435) con Filippo il
buono, duca di Borgogna, e nel 1444 giunse a siglare a Tours una tregua con il re d’Inghilterra. Le
ostilità ripresero qualche anno dopo a causa della presenza inglese in Normandia e Guienna e si
protrassero fino al 1453, anno in cui agli inglesi era rimasta in Francia soltanto Calais. La Guerra
dei cent’anni si andò spegnendo dopo il 1453 senza un vero e proprio trattato di pace.
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L’Inghilterra dopo la guerra
In Inghilterra l'andamento sfavorevole dell'ultimo periodo della Guerra dei cent’anni avevi
indebolito la corona. La moglie di Enrico VI, Margherita d’Angiò, aveva cercato allora di
mantenere il potere alleandosi con il casato di Lancaster e con quello di Beaufort, sollevando le
reazioni di Riccardo, duca di York, il quale aveva finito col mettere in discussione il titolo dei
Lancaster al trono. Ne seguì una lunga guerra, detta delle due rose (1455-1485). La guerra si
concluse con la sconfitta dei Lancaster e la nomina a re di Edoardo IV, figlio di Riccardo di York.
Ad aggravare la crisi inglese si aggiungevano intanto le intromissioni di Luigi XI di Francia in
appoggio ai Lancaster e di Carlo duca di Borgogna in appoggio agli York. Gli inglesi, ormai stanchi
della guerra, cercavano un sovrano che potesse porre fine alle discordie; venne individuato in
Enrico Tudor, discendente dei Lancaster e sposato con una York. Forte dell'appoggio francese,
Enrico batté l'avversario nella battaglia di Bosworth (1485) e poté ascendere al trono
d'Inghilterra col nome Enrico VII. Anche Enrico si rese conto che se la corona avesse voluta essere
forte avrebbe dovuto eliminare le resistenze feudali. Egli governò, quindi, con l'aiuto di due
consigli il cui compito era quello di fornire appoggi giuridici e amministrativi atti a ridurre al
minimo i poteri dei ceti feudali. Si occupò inoltre di aumentare l'estensione delle terre
direttamente soggette alla corona e incoraggiare lo sviluppo di una gentry, cioè di una nuova
piccola nobiltà di origine borghese che forniva al re i funzionari.
Il ducato di Borgogna
Filippo il buono, duca di Borgogna, era riuscito a creare
quello che molti storici definiscono uno “stato
borgognone". Alla sua morte, gli succedette Carlo il
temerario, che tentò di reprimere le interruzioni delle
Fiandre e rafforzò le difese dei suoi domini, con il chiaro
intento di trasformarli in un regno, inimicandosi Luigi XI.
Durante alcune rivolte il temerario giunse addirittura a
rinchiuse il sovrano nelle mura cittadine, facendolo di
fatto prigioniero; temendo per la sua vita il re firmò un
trattato alle condizioni richieste. Nel 1468 anche diverse
città della zona renana vennero cedute a Carlo dagli
Asburgo, bisognosi di rimpinguare le finanze. Nel
frattempo, continue erano rivolte a causa della sua
politica finanziaria. Nel 1471 Carlo si dichiarò affrancato
dalla sovranità regia, rendendo evidente che lo stato
borgognone era sulla via di non essere più un vassallo, ma
sovrano a pieno titolo. Questa mossa pose Carlo in una
situazione pericolosa anche nei rapporti con l'impero, del
quale era per alcuni territori vassallo. Anche gli ultimi anni del suo regno furono costellati da
rivolte, proprio durante una di queste egli trovò la morte (1477). Morto senza eredi maschi, il re
di Francia si impossessò di larga parte dei territori del ducato di Borgogna, mentre il matrimonio
della figlia di Carlo, Maria, con il figlio dell'imperatore, Massimiliano, portò all'impero il
Lussemburgo ed alcune province fiamminghe. Nelle aree meridionali la Confederazione elvetica,
forte delle vittorie militari, poté invece dare inizio alla sua tradizione di indipendenza La
Federazione borgognona si frantumò definitivamente con il trattato di Arras del 1483.
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La Svizzera
Dalla crisi dell’Impero Romano-germanico, era nata nel corso del Trecento una nuova
organizzazione federale, la Svizzera; termine originariamente indicante l'area contadina di
Schwyz. Questa dipendeva direttamente dall'impero, ma si sentiva minacciata dal potere degli
Asburgo, pertanto ne nacque una lega, costituita da popolazioni di altre aree limitrofe (cantoni).
La lega elvetica dovette prima scontrarsi con gli Asburgo, poi, nel corsdel Quattrocento,
fronteggiare le mire espansionistiche dei duchi di Borgogna. Nel 1499 la pace di Basilea avrebbe
sancito definitivamente l'indipendenza della Confederazione.
La penisola iberica
Uscita da un periodo di guerre civili, la Spagna era
divisa in tre regni: quello di Castiglia, occupato
innanzitutto nell'opera di reconquista, quello di
Aragona e l'emirato di Granada. L’espansione
castigliana non aveva troppo giovato né alla cultura, né
all'economia iberica: nelle città musulmani ed ebrei
erano obbligati dalle autorità a vivere in quartieri
speciali (ghetti) e vessati in ogni modo; le campagne,
che i contadini arabo-africani avevano trasformato in
giardini, erano state convertite per l'allevamento di
ovini dai cristiani, riportando pascoli magri e desolati.
Il compito di cristianizzare i territori liberati era demandato a una severa inquisizione guidata dai
domenicani. Anche nel Regno di Castiglia l'autorità iniziava a comprendere che per dare forza alla
corona era necessario ridurre il potere della nobiltà, che aveva voce nelle cortes, una specie di
Parlamento. Per far ciò il re si appoggiò alle città, offrendo loro poteri giurisdizionali e favorendo
la creazione di federazione cittadine (hermandades). Ben diverso era il clima dell’Aragona,
soprattutto a Sud, che si allineava tra le potenze commerciali e marittime del tempo. Nel 1469 i
due eredi ai troni di Castiglia e d'Aragona, rispettivamente Isabella e Ferdinando, si sposarono. I
due non fusero Castiglia e Aragona in un unico stato, ma lo governarono mantenendo ciascuno i
rispettivi costumi e tradizioni. La reconquista venne ultimata nel 1492 con la presa di Granada.
Oltre ai regni dei re cattolici, nella penisola iberica restava il Regno del Portogallo, interessato alle
vie marittime verso l'Africa e l'oriente.
- Ascendeva nel frattempo il principato di Mosca, nato attorno la metà del XII secolo e
cristianizzato secondo la confessione ortodossa. I principi di Mosca, che nel 1439
rifiutarono di riconoscere la, peraltro, breve unione della chiesa cattolica con quale
ortodossa, si posero a capo di una chiesa nazionale russo-ortodossa. Alla caduta
dell'impero bizantino, del quale erano vassalli, presero ad atteggiarsi a suoi eredi,
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proclamando la loro capitale Mosca la terza Roma. Nel 1462 Ivan III, sposata la
principessa bizantina Zoe, si autoproclamò imperatore (czar) di tutte le russie.
- Nel corso del Trecento, l'Hansa aveva cresciuto il suo potere commerciale tra Baltico e
mare del Nord, monopolio che andava a danno delle città scandinave. Per resistere a ciò
nel 1389 i regni di Svezia, Norvegia e Danimarca dettero vita all'unione di Kalmar, che si
dissolse nel 1523.
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CAPITOLO 28
Agricoltura in crisi
Dall’XI al XIII secolo la popolazione europea conobbe un incremento sostanziale, la mortalità ebbe un
regresso, furono fondate nuove città e i traffici conobbero uno straordinario sviluppo. Oggi si tende a
considerare che in questo processo un ruolo importante sia stato rivestito dal clima. Il fatto che la crisi
demografica del Trecento si sia manifestata attraverso la fame assai prima che attraverso la peste ha
indotto la maggioranza degli studiosi a ritenere che la sua causa sia da rintracciare innanzitutto in un
rapporto sfavorevole tra l'aumento della popolazione e la mancanza di prodotti. In assenza di una vera
e propria rivoluzione nei metodi agricoli, infatti, per rispondere alla crescente domanda erano state
estese le superfici coltivabili, che tuttavia verso la fine del Duecento terminarono. La precarietà di
questo equilibrio si rivelò drammatica quando nei primi decenni del Trecento il continente europeo
dovette affrontare una fase di raffreddamento e peggioramento climatico, che favorirono la fame e la
proliferazione di malattie. Il primo sintomo di difficoltà è rappresentato dalla grande carestia del 1315-
1317 che colpì la maggior parte dell'Europa. I prezzi dei cereali aumentarono vertiginosamente,
provocando la morte di persone e bestiame. A ciò è da aggiungere uno stallo della moneta in oro con
conseguente fallimento delle banche, spesso favorito dalla mancata restituzione dei prestiti da parte dei
sovrani europei.
La peste e le guerre
Il tracollo del continente europeo raggiunse l’apice con l’epidemia di peste del 1347-1350. Si pensa sia
stata portata in Europa dalla Cina da navi genovesi, per poi diffondersi da Messina a tutto il
Mediterraneo. La quasi unanimità degli studiosi identifica la peste nera come un'infezione sostenuta da
Yersinia pestis, batterio che si trasmette generalmente dai ratti agli uomini per mezzo delle pulci. Ciò
spiegherebbe la sua rapida diffusione nella primavera del 1348. Delle epidemie apparse nel corso della
storia, solo la peste di Giustiniano del 542 è confrontabile con l'epidemia del Trecento. La sua diffusione
fu favorita dall'indebolimento della popolazione, causa denutrizione, e dalla mancanza di igiene nei
centri urbani, spesso sovrappopolati. Si registrano aree, come in Italia, dove i decessi colpirono il 30-
35% della popolazione. L'epidemia scomparve nel corso del 1350, pur continuando a serpeggiare per il
continente in successive ondate durante il XV-XVI sedicesimo secolo, fino alla successiva epidemia
del 1630. Sarebbe stato necessario attendere fino al Settecento perché i vuoti causati dal tracollo
trecentesco si riempissero. Questa grave situazione non deve essere imputata soltanto alla peste, ma
anche agli scontri che devastarono l’Europa nel corso del Quattrocento. Più che gli scontri in campo
aperto, queste guerre erano fatte di razzie, di incendi ai danni di campi coltivati, di interruzioni delle vie
commerciali.
Le rivolte
Molti contadini privi di sostentamento cercavano rifugio nelle città, dove alcune istituzioni caritatevoli
assicuravano loro un minimo di sopravvivenza giornaliera. Questo afflusso di sventurati all'interno delle
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mura urbane minacciava i ceti subalterni di cittadini, in quanto provocava un sovrappiù di manodopera.
Da qui il dilagare di rivolte nelle città, spesso ai danni degli emarginati. Le rivolte erano
prevalentemente motivate da disagio nei confronti della classe dirigente, come testimoniato dalla rivolta
detta jacquerie (lavoratori della terra), o quella dei ciompi (1378), insorta tra Perugia, Siena e Firenze.
I ciompi erano coloro che producevano i panni di lana, tenuti in bassissima considerazione sociale, che
insorsero per ottenere potere decisionale e che l'Arte della lana non avesse più giurisdizione su di loro.
Nonostante l’istituzione di tre nuovi Arti, definite del popolo di Dio, queste durarono solo quattro anni.
Le compagnie di ventura
Il susseguirsi di guerre locali rendevano obsolete le vecchie milizie cittadine, occorrevano milizie ben
addestrate che facessero della guerra un'occupazione permanente, senza sottrarre forza lavoro. Nacque
così la compagnia di ventura, una specie di società commerciale i cui componenti erano armati ed esperti
in guerra. Essi si ponevano al seguito di un capo e venivano assoldati, come mercenari, dai governi
secondo un contratto detto condotta (condottiero). I soldati (assoldare) non avevano alcun interesse né
a condurre guerre sanguinose, né nei confronti delle cause che erano chiamati a servire, ecco perché
spesso accusati di tradimento. Inoltre, essi cercarono in ogni modo di impedire una pace duratura
dandosi al saccheggio se disoccupati. La loro assunzione nasceva spesso dalla necessità di impedirne
gli eccessi.
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CAPITOLO 29
Il paradosso italiano
La crisi del Trecento, culminata nella peste, colpì principalmente l'Italia settentrionale, sede di
istituzioni comunali floride. A ciò si aggiunse un crescente malessere causato dalla contrapposizione
tra sfruttati e privilegiato, che portò a numerose rivolte. Intanto scomparivano molti stati comunali
minori conquistati o aggregati agli stati maggiori. Tale processo finì col determinare l'ascesa di forti
personalità, detentrici della forza militare, che si imposero ora nel nome di una parte guelfa o ghibellina
che fosse, ora presentandosi come pacieri. Questi signori per governare si appoggiavano a titoli di
legittimazione che venivano loro assegnati dal popolo, divenendo podestà o capitani del popolo. Per
rafforzare il loro ruolo necessitavano di una legittimazione superiore, tale da trasformarli in vicari
imperiali (o pontifici). Fu questo il passaggio dalla Signoria al Principato. Vi furono città che tuttavia
riuscirono a rimanere repubbliche, come Firenze e Venezia. Questo processo di passaggio dallo stato
cittadino allo stato regionale si compiva in sincronismo con il processo delle grandi monarchie
nazionali. Nonostante l'Italia facesse parte dell'impero, l'idea di una regalità italica era molto sentita già
alla fine del Duecento e nel corso del secolo successivo non mancarono signori che ambirono a diventare
anche re d'Italia. Contrariamente a quanto si pensava in età risorgimentale, in questo periodo non è
possibile rintracciare un antenato dell'unità italiana, ma un sistema che, se si fosse affermato, avrebbe
portato l’Italia ad avere una organizzazione federale.
Milano
In Lombardia l'egemonia milanese era maturata sin dai primi del XVI secolo grazie alle sue manifatture
metallurgiche e tessili. L’egemonia sulla città era contesa tra i Della Torre (guelfi) e i Visconti
(ghibellini). Prevalsero i secondi, grazie ad Enrico VII che insignì Matteo Visconti del titolo di vicario
imperiale. Il suo progetto fu continuato dall'arcivescovo Giovanni, che divenne temporaneamente
padrone di Genova e di Bologna. La volontà di creare un una Signoria nord-occidentale venne dissipata
dai nipoti, che si spartirono lo stato. Le fortune della casa Visconti vennero rialzate da Gian Galeazzo,
che intraprese una decisa politica espansionistica verso la pianura padana, la Toscana e la stessa Italia
centrale. Era evidente che ambisse a formare un grande stato delle Alpi fino alle porte di Roma. Nel
1395 l'imperatore romano-germanico concesse a Gian Galeazzo la corona ducale di Milano, in questo
modo egli poté mutare la Signoria in Principato. Naturalmente il Ducato lombardo non venne costituito
in stato unitario; le singole città mantennero in genere le loro tradizioni e i loro usi, salva l'obbedienza
e la fedeltà al duca. Alla morte di Gian Galeazzo il dominio da lui costituito parve infrangersi. La
situazione si rialzò quando il potere passò nelle mani di Filippo Maria Visconti, il quale si era
imparentato anche con i Savoia in modo da assicurarsi buoni rapporti con i vicini. L’atteggiamento
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espansionistico del Visconti provocò le preoccupazioni di Firenze e di Venezia, anch'esse impegnate in
una politica di acquisizioni territoriali. Seguì una lunga guerra terminata nel 1433 con la pace di Ferrara.
Il conflitto riprese subito dopo quando il Visconti volle inserirsi nella lotta angioino-aragonese per il
Regno di Napoli, appoggiando prima gli angioini, poi gli aragonesi. Questo voltafaccia causò
l'immediata discesa in campo contro di lui di Ferrara di Firenze, tradizionalmente filoangioina. Alla
morte di Filippo Maria si tentò di instaurare un regime comunale aristocratico detto “aurea Repubblica
ambrosiana". L'esperimento repubblicano durò tre anni. La vicina Repubblica di Venezia intendeva
approfittare della crisi milanese per ingrandire i suoi domini e i Lombardi commisero l'ingenuità di
affidarsi per la difesa del loro stato al condottiero Francesco Sforza, genero di Filippo Maria. Francesco
rivendicò l'eredità viscontea e si fece incoronare duca. Lo Sforza di era nel frattempo alleato con i
Medici di Firenze, provocando un cambiamento dell’asse delle alleanze.
Venezia
La riforma del governo cittadino in senso oligarchico, detta “serrata del maggior consiglio” (1297)
aveva conferito alla città un assetto più stabile, sancendo che da allora in poi la l'accesso al supremo
organo di governo della Repubblica sarebbe stato riservato a un ristretto numero di famiglie. I ceti
subalterni tentarono in seguito di recuperare in tutto o in parte le loro posizioni appoggiandosi al potere
del doge. Questi tentativi furono trattati alla stregua delle ribellioni, facendo sì che il governo
oligarchico instaurasse appositi organi. La crisi del Trecento aveva messo in ginocchio numerose
famiglie veneziane, che cercarono di risollevarsi investendo nella gestione di beni fondiari. Ciò provocò
il contrasto all'interno del ceto di governo fra due tendenze: quella che stimava più importante riprendere
e mantenere il dominio dei mari orientali e, quindi, condurre lo scontro con Genova; quella che riteneva
più importante consolidare il dominio nell'entroterra. La prima direzione espansionistica dei veneziani
riguardò l'arco alpino e le pianure fra Adige e Po. Intanto, continuava lo scontro con Genova per
l'egemonia sui traffici dell'Egeo e del Mar Nero (guerra di Chioggia). Ai primi del Quattrocento, con la
scomparsa di Gian Galeazzo Visconti, i veneziani credettero giunto il momento di espandersi sulla
terraferma. Per frenare la potenza milanese, Venezia creò una lega anti-viscontea che condusse ad una
guerra terminata con la pace di Ferrara (1433), che portò nuovi territori a Venezia. Furono proprio i
successi conseguiti dall'energia politica veneziana a consigliare i fiorentini a trasferire il loro appoggio
allo Sforza.
Firenze
Nel primo Trecento fiorentini erano governati da una oligarchia di grandi imprenditori che si
riconoscevano nella fazione guelfa nera, espressione delle Arti Calimala (importatori di lana o di
tessuti), Lana (produttori di panni di lana) e Cambio (banchieri). La stabilità della Repubblica era
sorvegliata da un'organizzazione in mano ad alcune famiglie del popolo grasso che includeva tuttavia
alcuni esponenti della vecchia aristocrazia, i magnati. Nella prima metà del secolo i fiorentini subirono
dure sconfitte da parte dei signori ghibellini di Pisa, Lucca e Pistoia e furono pertanto costretti ad
affidare il governo a Roberto d’Angiò re di Napoli e a suo figlio Carlo di Calabria, che inaugurò un
primo tentativo di Signoria cittadina. Successivamente un tentativo di Signoria fu portato avanti da
Gualtieri VI di duca d'Atene, ma durò pochi mesi. Dopo il crac finanziario causato dalla peste, banchieri
e mercanti ripresero il controllo della situazione e ressero da allora in poi il governo, pur contendendosi
il potere, giacché erano divisi in due fazioni: Albizzi, sostenuti dalla Lana e dagli aristocratici; Ricci,
poi sostituiti dai Medici, sostenuti dai ceti medi e popolari. Intanto Firenze acquisiva progressivamente
il dominio delle città toscane, attuando il passaggio da stato cittadino a stato regionale. La guerra contro
Filippo Maria Visconti esasperò l'opinione pubblica soffocata dalle spese. Ne derivò un inasprirsi delle
lotte cittadine che, in un primo momento, condussero alla vittoria degli Albizzi e all'esilio di Cosimo
de Medici (1433)., ma già l’anno dopo venne richiamato in patria. Cominciò allora per Firenze un
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nuovo esperimento definito criptosignorile. A Firenze si era abituati a contrapporre tirannia e repubblica
e Cosimo, ben conscio di ciò, si guardò dall’atteggiarsi a conquistatore, limitandosi a recitare la parte
del saggio e moderato consigliere privato del governo comunale, che rimase inalterato nelle sue
tradizionali forme repubblicane. Raramente assunse cariche pubbliche e quando lo fece curò sempre
che fossero secondarie. L'unica prerogativa che Cosimo aveva lasciato per sé era la revisione delle liste
elettorali, ciò significava che tra il 1434 e il 1464 (morte) non vi fu governo cittadino che non fosse
espressione più o meno in diretta della sua volontà. Cosimo fu anche uno dei più decisi protagonisti del
rovesciamento delle alleanze, preoccupato dalla politica espansionistica del doge e del suo
l'avvicinamento in funzione anti-milanese al sovrano aragonese di Napoli.
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dalla parte guelfa della penisola. Egli favorì i banchieri fiorentini dei quali permise l'installazione a
Napoli e in tutto il suo Regno. Oltre che governare l'Italia meridionale peninsulare, egli aveva il potere
sulla Provenza (antico feudo della sua casa) e su parte del Piemonte, inoltre si fregiava del titolo, sia
pur solo nominale, di re di Gerusalemme. Tanta potenza era però più apparente che reale: i suoi domini
provenzali e piemontesi erano minacciate, il regno meridionale era preda di forze feudali,
l'assoggettamento dell'economia napoletana al potere finanziario dei banchieri fiorentini impedì lo
sviluppo di una forte borghesia meridionale. Le cose peggiorarono con la scomparsa di Roberto,
provocando lotte per la successione. La corona andò alla figlia di Carlo, duca di Calabria, la regina
Giovanna che tuttavia commise l'errore di lasciarsi coinvolgere una serie di scandali, venendo
scomunicata. Il Regno tornò ad essere conteso tra diversi familiari, ne derivò una guerra civile fino a
quando non salì al trono Ladislao. Egli, sfruttando il grande scisma e appoggiandosi al Papa di Roma,
poteva attuare un programma espansionistico che giunse ai confini della stessa Repubblica di Firenze.
Alla sua morte continuarono le lotte tra angioini e aragonesi, fino alla vittoria di Alfonso V di Aragona,
anche grazie ai Visconti. Il suo trionfo apriva la prospettiva di un autentico impero aragonese nel
Mediterraneo, il che preoccupava sia Venezia sia Genova, minacciate nella loro politica marina, ma
anche Firenze tradizionalmente filo-angioina. Nacque una risistemazione dell'asse europeo e italiano
delle alleanze: da un lato Aragonesi e Visconti, dall’altro Genova e Venezia. Alla morte di Filippo
Maria Visconti, Alfonso tentò di impadronirsi del Ducato di Milano, ciò spinse Firenze ad appoggiare
la candidatura dello Sforza. Si delineò così un nuovo asse di alleanze: i genovesi si riavvicinarono a
Milano e a Firenze, mentre i veneziani preferirono appoggiare gli aragonesi.
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Carlo VIII a scendere in Italia, approfittando della precaria situazione del regno meridionale, per
rivendicare l'eredità angioina. Il Moro reggeva il Ducato di Milano per conto del nipote ancora
minorenne; avrebbe voluto a questi sostituirsi ma ne era impedito dal fatto che il nipote aveva sposato
la nipote di Ferdinando I di Napoli e ne aveva avuto un figlio. L’unica possibilità per il Moro consisteva
nell'eliminazione dell'ipoteca napoletana. Con la discesa di Carlo VIII in Italia si chiusa la fase
dell'equilibrio e si inaugurò un duro periodo di contese.
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CAPITOLO 30
L’ascesa degli ottomani
Mentre la maggior parte delle monarchie occidentali erano avviate al consolidamento, si facevano strada
in Anatolia (Turchia) i nuovi protagonisti della storia islamica nel Mediterraneo, prendendo il posto del
sultanato d'Egitto. La dinastia ayyubide non seppe mantenere l'unità del suo immenso sultanato; i
successori del Saladino si divisero l'eredità in due sultanati, con rispettiva capitale Damasco e Il Cairo.
Il primo di essi si frammentò nel corso della prima metà del XIII secolo, il secondo venne travolto nel
1250 da un colpo di stato organizzato dalle sue guardie del corpo, i mamelucchi. Questi si sostituirono
sul trono fino al 1518, allora che l'Egitto sarebbe entrato a far parte dell'impero degli ottomani. Si
trattava di una tribù turca che nel terzo decennio del XIII secolo, spinta dall'Asia centrale verso ovest
dall'espansione mongola, si era posta al servizio di alcuni sultani, che le avevano assegnato un piccolo
territorio non lontano da Costantinopoli. A partire dalla fine del Duecento, sfruttando le crisi che
colpirono le zone circostanti, riuscirono ad ingrandire i loro possedimenti. Troppo tardi Bisanzio si era
accorta che questa nuova potenza stava circondando e quasi strangolando la capitale. I turchi riuscirono
a penetrare nei Balcani impossessandosi di Adrianopoli (Turchia), che divenne la nuova capitale.
Attorno alla corte nacque un centro di cultura dove venivano coltivati l'arabo, il persiano ed il turco.
Dal punto di vista militare si affidarono alla leva forzata di ragazzi cristiani educati alla fede islamica.
Questi erano acquartierati in appositi monasteri-caserme, obbligati al celibato e allevati in una ferrea
disciplina: nacquero così i giannizzeri.
La reazione europea
Il basileus si rendeva conto che si stava ormai approssimando per il suo impero la stretta definitiva. Nel
1437 egli intraprese un viaggio in Europa per chiedere soccorso ai capi della Chiesa Latina riuniti in un
nuovo Concilio a Basilea (Svizzera). Sapeva, tuttavia, che l'aiuto latino sarebbe costato la sottomissione
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della Chiesa greca e la fine dello scisma. Sapeva altresì che molti preferivano la dominazione ottomana,
che avrebbe lasciato in pace i cristiani greci, alla sottomissione latina. L'unione tra le due chiese fu
comunque solennemente annunciata nel luglio del 1439 a Firenze. Nel frattempo, i turchi conquistavano
la Transilvania e la Serbia. Ai primi del 1443 un’enclitica generale di Papa Eugenio IV invitava tutti i
prelati a pagare una decima sui loro proventi per la guerra contro i turchi. Tutte le premesse sembravano
positive ma in Occidente l'appello crociato cadde come al solito nel vuoto: In Francia la Guerra dei
cent’anni non era finita, in Italia si era chiuso da poco il conflitto tra angioini e aragonesi per il possesso
di Napoli, Genova Venezia e Firenze non avevano granché voglia di compromettere i loro buoni
rapporti col sultano, il nuovo re di Germania Federico III d’Asburgo non intendeva imbarcarsi in questa
impresa. I pochi crociati salparono comunque ma vennero sconfitti. L'anno successivo dalla Polonia e
dall'Ungheria partì un esercito con lo scopo di cacciare i turchi dall’Europa, anche questo sconfitto. A
distanza di quattro anni le truppe ungheresi tentarono una nuova azione militare che si risolse in un
insuccesso.
La caduta di Costantinopoli
Nel 1451, morto Murad, gli successe il figlio Maometto II. La crisi provocata dalla morte del grande
sultano provocò nel mondo cristiano una ventata di euforia. Il basileus continuava con gli appelli
all'occidente e qualche concreto piano di intervento era stato proposto da Alfonso il magnanimo, re di
Napoli, il quale desiderava impossessarsi dell'Albania, che gli avrebbe consentito il pieno controllo del
canale d’Otranto, e cingere la corona imperiale di Costantinopoli. Ma egli non si sentiva troppo sicuro
sulle questioni italiche e non possedeva una flotta. Nel frattempo, il sultano cominciava a rafforzare gli
stretti, che permettevano il controllo dei commerci, ma genovesi e veneziani si trovarono impossibilitati
a reagire in modo unitario perché in conflitto tra loro e perché nessuna delle due intendeva rischiare di
guastare del tutto i rapporti con i contendenti. Il pontefice, pur volendo intervenire, si mostrava rigoroso
sull'unione delle due chiese che avrebbe dovuto precedere la crociata. Stavolta il ricatto romano doveva
essere accettato e il 12 dicembre del 1452 la fine dello scisma veniva solennemente celebrata in Santa
Sofia, anche se la cosa provocò accese rivolte. Fu in questo clima che alla fine del maggio 1453 il
sultano entrò in Costantinopoli. Due principali fattori avevano provocato la caduta di Costantinopoli: il
debolissimo aiuto dell'occidente e la cattiva disposizione dell'opinione pubblica greca, che ai latini
preferiva gli ottomani.
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più tardi e i lavori non condussero affatto ai risultati sperati, mentre anche la Serbia cadeva nelle mani
turche e qualche anno più tardi la Bosnia. Nel giugno del 1464 Papa Pio in persona si recò al porto di
Ancona, da dove sarebbe salpata la flotta cristiana, ma una violenta epidemia decimò la popolazione
locale e i già pochi aspiranti crociati. Il doge di Venezia salpò solo nei primi di agosto, giungendo al
porto di Ancona appena in tempo per incontrare il Papa che morì pochi giorni più tardi. La presa da
parte dei turchi di Negroponte (isola di Eubea) suscitò uno sgomento per certi versi superiore a quello
provocato dalla caduta di Costantinopoli. Papa Sisto IV, Venezia e Napoli misero insieme una flotta
che riuscì a portare a qualche risultato, ma estremamente modesto se paragonato a quelli turchi, ormai
padroni dei Balcani meridionali. Nel 1479 arrivarono sia in Friuli, sia ad Otranto, che venne presa
d'assalto, massacrando una parte della popolazione dopo averla messa al bivio tra la conversione
all'islam e la morte. Veneziani e fiorentini, in guerra in quegli anni con il re di Napoli, furono sospettati
(non senza fondamento) di aver incoraggiato l'attacco turco. La morte di Maometto II nel 1481 e le
contese per la successione allentarono per un istante la pressione turca. Otranto poté essere liberata e
Venezia restituì al re Ferdinando di Napoli i centri pugliesi nel frattempo occupati. Il Quattrocento si
chiudeva con un paradosso: il sultano turco padrone del sud-est balcanico e del Mediterraneo orientale
e la Spagna completamente ripulita dalla presenza araba (1492, caduta Granada).
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CAPITOLO 31
Umanesimo e Rinascimento
Il XV secolo è considerato una cerniera nella quale termina il medioevo e inizia l'età moderna. Il termine
rinascimento venne coniato nell'Ottocento e faceva riferimento alla rinascita di civiltà, culture e arti
dopo la parentesi medievale. Si è abituati a definire “umanistica” la cultura italiana del Quattrocento,
caratterizzata da una volontà di distacco rispetto alle tradizioni medievali e da un rapporto privilegiato
con la civiltà classica greco-romana, intesa come un modello al quale ispirarsi. Col V secolo in effetti
non era finito nulla: l’Impero Romano continuava con un successore a Costantinopoli, dappertutto si
seguiva la chiesa cristiana nata nell'impero di Costantino e si studiava usando il latin. La sensazione che
in realtà l'età antica fosse terminata si fece strada nei ceti colti durante il XIV secolo: Roma era stata
abbandonata dai papi, l’Impero romano-germanico si avviava a diventare un regno tedesco, quello
bizantino era ormai divenuto un piccolo regno greco minacciato dai turchi, problematici erano i rapporti
anche con il latino.
- La letteratura: l'intreccio tra volontà estetica e istante politiche che presiede i tempi nuovi si
coglie in alcuni rappresentanti del cosiddetto “preumanesimo”: Francesco Petrarca, Giovanni
Boccaccio Cola di Rienzo. Intanto si cominciava a frugare nelle biblioteche alla ricerca di
antichi codici che venivano trascritti, commentati e analizzati: nasce così la filologia. Fu alla
luce della filologia che l'umanista Lorenzo Valla riuscì a stabilire che la donazione di
Costantino, con la quale si diceva che l'imperatore Costantino avesse donato ritirandosi a
Costantinopoli Roma e l'Italia al Papa erano un falso dell'VIII secolo. Si tende a parlare anche
di “umanesimo civile” poiché la cultura antica non serviva in senso puramente estetico, bensì
a creare cittadini più responsabili.
- La filosofia: l'aristotelismo sul quale si incardinata la filosofia di San Tommaso entrò in crisi.
Ora l'uomo era al centro del mondo e doveva osare se voleva cogliere i frutti del suo coraggio
e della sua intelligenza. La filosofia adatta a questo modo di pensare era il neoplatonismo del
II-III d.C. Essa insegnava che l'universo è il macrocosmo, l'uomo è il microcosmo, l'universo
concentrato. Ecco perché gli umanisti privilegiarono le conoscenze magiche e astrologiche,
convinti che con la conoscenza delle norme secondo le quali il cosmo era governato avrebbe
permesso di dominarle.
- L'arte e la scienza: indagine artistica e indagine scientifica sono strettamente connesse, come
si vede negli studi sulla prospettiva condotti alla luce delle ricerche matematiche, oppure sui
lavori architettonici dell'Alberti e di Brunelleschi, o ancora nella figura di Leonardo da Vinci.
Al di fuori dell'Italia fu specialmente la Borgogna, con la pittura fiamminga, ad offrire esempi
eccelsi di arte con Van Eyck.
- La società: gli umanisti pongono le loro conoscenze anche al servizio della fede; la loro stessa
investigazione scientifica non giunge mai, almeno esplicitamente, a intaccare il dogma
religioso. L'amore per l'antichità romana e greca non portò alla volontà di restaurare gli antichi
dèi. In genere il continuo riferimento alla mitologia antica si accorda con il cristianesimo
attraverso una lettura allegorica dei simboli e dei miti che rinvia a valori cristiani. Il lavoro degli
umanisti non è né gratuito né disinteressato, al contrario sono spesso persone di umile origine
che, necessitando di mezzi, si rivolgono a mecenati e protettori che trovano nei grandi principi
del tempo. Dal poeta e dall'architetto che egli protegge e finanzia, il principe si aspetta celebrità
e gloria. Raramente lo studioso è puro intellettuale da tavolino, più sovente è anche artigiano
nel cui lavoro inventiva e tecnologie si incontrano. Questo legame fra cultura ed esercizio del
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potere spiega come nel corso del Quattrocento sia stata perfezionata l’arma da fuoco con
polvere da sparo e la stampa, con l’invenzione dei caratteri mobili.
Le esplorazioni geografiche
Sul piano pratico le navigazioni
esplorative presero inizialmente la
strada dall'Africa, in vista di una sua
possibile circumnavigazione. Nel 1487
il portoghese Bartolomeo Diaz
varcava il capo di buona speranza,
aprendo così la via verso l’oceano
Indiano. A dieci anni di distanza
salpava da Lisbona Vasco da Gama
che sarebbe giunto alle coste dell'India.
Il grande organizzatore delle prime
straordinarie imprese marittime era il principe portoghese Enrico il navigatore, che oltre che marinaio,
era anche politico e religioso e cullava da anni il sogno di una crociata che avrebbe debellato l'islam e
riconquistato la Terra Santa. Ciò lo avvicino alle leggende che parlavano di un misterioso re cristiano
delle profondità dell'Asia, il prete Gianni, disposto ad aiutare i cristiani d'occidente contro i musulmani.
L'impresa più importante e rivoluzionaria del secolo fu però la scoperta dell’America. Cristoforo
Colombo, figlio di un mercante genovese, si stabilì in Portogallo e ben presto cominciò a inseguire
l'idea di un viaggio che attraversasse l'oceano per raggiungere la Cina. Egli aveva elaborato un sistema
cosmografico coerente, ma caratterizzato da numerosi errori, poiché riteneva la terra molto più piccola
della realtà, cosa che lo portò a pensare di poter raggiungere il Giappone con un viaggio di appena 5000
km, mentre l'effettiva distanza è di 20000 km. Non vedendosi finanziato dal re Giovanni di Portogallo,
si trasferì in Spagna. Le sue pretese irritarono i consiglieri di Ferdinando d'Aragona, preoccupati per gli
altri costi e per la difficoltà della sua impresa. Una commissione di dotti riunita in Salamanca esaminò
le due tesi e le confutò una per una. Il fatto è che sia quelli che questo ignoravano la presenza di un
continente intermedio posto tra Europa ed Asia, che si collocavano non lontano dal punto nel quale
Colombo sosteneva ci fossero le coste della Cina. Finché visse Colombo non ammise mai di aver
sbagliato i calcoli e che le terre che aveva scoperto non fossero una parte del continente asiatico. Forse
per l’intercessione della regina Isabella, il 3 agosto del 1492 riuscì a salpare dal porto di Palos con tre
navi. Il 12 ottobre Colombo giungeva in vista di un'isola a cui impose il nome di San Salvador.
L'America precolombiana
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I territori americani erano stati popolati in età remote attraverso lo stretto di Bering, ma questa situazione
sarebbe mutata all'indomani dell'ultima glaciazione verso l'8000 a.C. L'assenza di scrittura, lo scarso
popolamento e la vita prevalentemente nomade rende pressoché impossibile dettagliare
cronologicamente la loro storia precedente all'arrivo degli europei, che ne provocherà il quasi totale
genocidio. Diverso il discorso per i popoli dell’America che oggi chiamiamo latina. La più antica
popolazione è quella dei Maya, sorta tra il IV e il VII secolo. I Maya erano costruttori di grandi templi
in pietra e conoscevano una scrittura ideografica, oggi in larga parte decifrata. Il loro culto astrale li
aveva condotti a sviluppare profonde cognizioni matematiche e astronomiche. La loro ultima città cadde
per mano europea nel XVII secolo. Il popolo con cui vennero immediatamente in contatto i
conquistadores di Hernan Cortez agli inizi del Cinquecento furono gli Aztechi, una civiltà di forte
impronta guerriera, la cui capitale era Tenochtitlan (Città del Messico). Si ricordano anche gli Incas, la
cui capitale era Cuzco, che promossero la costruzione di una fitta rete di collegamenti stradali. Erano
privi di scritture e tenevano la contabilità attraverso un sistema di cordicelle colorate di nodi.
Il Nuovo Mondo
Colombo compirà tra il 1492 il 1504 quattro successivi viaggi tra la Spagna e quello che veniva ormai
chiamato il Nuovo mondo. La sua attività come governatore non fu felice: non seppe mantenere la
disciplina tra i coloni spagnoli e commise crudeltà contro gli indigeni. Siccome sin dai primi anni
successivi alla grande scoperta di Colombo era stato chiaro che le terre toccate non erano quelle
dell'Asia, si scatenò tra le potenze cristiane la corsa alla loro appropriazione. Entrarono in gara
soprattutto Spagna e Portogallo, che prima con una bolla papale, poi con il trattato di Tordesillas del
1494, stabilivano la raya (confine) delle rispettive conquiste: a est i territori portoghesi, a ovest quelli
spagnoli. Intanto il veneziano Giovanni Caboto, al servizio dell’Inghilterra, era giunto in vista delle
coste di Terranova: aveva inizio così anche il capitolo delle esplorazioni dell'America settentrionale.
Quanto al nome America esso risale al fiorentino Amerigo Vespucci che nel 1502 esplorando le coste
sudamericane per conto del re di Portogallo rafforzò la certezza che non si potesse trattare dell'Asia.
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