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Parte monografica:

I malavoglia
L’opera è stata fatta da Verga nel 1882, 21 anni dopo dall’unità d’Italia (1861).
Il titolo suggerisce già ciò di cui tratterà l’opera stessa. Non vi è un unico protagonista ma ad esserlo
è l’intera famiglia Toscano. Il loro cognome è una scelta in quanto si dovevano sentire italiani e non
parte, ancora, di quel regno diviso delle due Sicilie.
Il nome “Malavoglia” è un’ingiuria data da Capuana tramite una lettera in quanto Verga gli aveva
chiesto aiuto per la scelta del titolo. Il plurale nel titolo è poco usato nella letteratura.
MALA-VOGLIA cattivo desiderio/ desiderio malato
Inizialmente venivano chiamati “PIE DI PAPERA” per colore locale (insieme degli aspetti
caratteristici più peculiari e più pittoreschi di un luogo, tempo, ambiente). Nel linguaggio locale erano
figure indemoniate.
Un altro cognome che gli fu dato era “INDELICATO” che era molto diffuso in Sicilia ma cambia
nelle prime stesure.

Capitolo 1:
1.
“Un tempo” passato indistinto- indefinito
La prima frase ci permette di capire l’ambientazione del romanzo anche se non entra nello specifico.
Pare stia parlando ad un abitante di Acitrezza o dei paesi vicini perciò a coloro che hanno il suo stesso
repertorio di conoscenze.
Le ingiurie sono costruite tramite antifrasi (espressione che definisce in modo opposto al significato
o concetto relativo)
2.
“…avevano sempre avuto delle barche sull’acqua, e delle tegole al sole…”  Proprietari della casa
del Nespolo e della Provvidenza (barca) non sono poverissimi.
Padron N’Toni: capo-famiglia (pater familias)
Padrone- Proprietario indica una condizione sociale.
Adesso…denota un tempo fiabesco
“…Sotto il lavatoio...”  Inizia a delineare spazi e inoltre era importante in quanto una volta non
c’era la lavatrice. Al tempo era un’importante centro di socializzazione femminile. Questa ripetizione
sarà sempre presente.
3.
“…di qua e di là...”  Si ritrova spesso nei Malavoglia.

Spazio di Acitrezza - Spazio esterno

Non viene comunicato dove. Spazio in cui


ci si perde perché si va senza una meta

“…mostrando il pugno chiuso…” Verga vuole che il lettore veda il personaggio o quanto meno lo
immagina. I gesti fanno anche capire gli stati d’animo.
Proverbio 1 “Per menare il remo bisogna che le cinque dita s’aiutino l’un l’altro”
Proverbio 2 “il dito grosso deve far da dito grosso, e il dito piccolo deve far da dito piccolo”.
Padron N’Toni è il dito grosso (comandava le feste e le quarant’ore). Ognuno deve fare ciò che gli
spetta/tocca.

4.
Città: Catania per antonomasia (sostituzione di un nome di persona o cosa con un appellativo o una
perifrasi che lo identifichi inequivocabilmente).
“…filava diritto alla manovra comandata…” obbediva prontamente agli ordini.
“…s’era tolta…” uso scorretto dell’italiano (s’era presa)
Longa piccina: contrasto ironico accentua il valore antifrastico del nomignolo.
‘Ntoni bighellone di vent’anni: era sempre in giro. Importante per la storia dei Malavoglia.
Luca “che aveva più giudizio del grande”
Mena Sant’Agata (patrona di Catania) perché stava sempre al telaio.
Proverbio 3 “donna di telaio, gallina di pollaio, e triglia di gennaio”.
Alessi (Alessio) un moccioso. “Colui” come se lo dicesse padron ‘Ntoni.
Qua fa notare lo STILE INDIRETTO LIBERO tipico dei Malavoglia.
Lia (Rosalia) ancora né carne né pesce: modo di dire. Rosalia è patrona di Palermo.

5.
“motti…antichi” i detti che ci hanno preceduto ne sapevano più di noi, erano più saggi. Per
“antichi” si intendono dei protagonisti di un passato indefinito.
“Fa’ che il mestiere che sai, che se non arricchisci caperai” – “Contentati di quel che t’ha fatto tuo
padre; se non altro non sarai un birbante” sono i più importanti in quanto Verga vuole far capire
che ognuno deve stare al suo posto e che si aspira a fare di più si cade in rovina.
“CONTENTATI” Appartenente alla cultura romantica. Non aspirare a modificare il proprio stato.

6.
“testa quadra”: uomo che fila dritto
“don Silvestro” don è appellativo di dignità. ” Il quale la sapeva lunga” mala lingua; a dirlo
probabilmente era il narratore.
Verga introduce dei personaggi senza presentarli.
Narratariodestinatariocolui che riceve la narrazione
ECLISSI D’AUTORE
“codino marcio” chi si mostra avverso ad ogni idea di progresso; dalla particolare acconciatura del
capo che al tempo della Rivoluzione francese fu il contrassegno dei sostenitori dell’antico regime.
“Franceschello” denominazione popolare di Francesco II di Borbone, ultimo re delle Due Sicilie.
“Padron Ntoni non lo conosceva nemmeno di vista Franceschello” pare ci sia un dialogo con queste
riprese che Verga fa. Da qua si può anche notare l’ignoranza di padron ‘Ntoni in politica.

7.
Dicembre 1863: unica data espressamente indicata nel romanzo; fa pensare ci sia una lettera o
qualcosa che attesta ciò.
Don Giammaria (vicario) ha una posizione politica reazionario.
“gli stava bene”: parole dette dal prete.
“collo sciorinare il fazzoletto tricolore dal campanile” è il giudizio filoborbonico sui moti popolari
che accompagnarono l’arrivo di Garibaldi in Sicilia nel 1860.
Lo speziale (farmacista) è repubblicano

8.
“per l’amor di Dio”: si sente parlare Padron ‘Ntoni
“come se ce l’avesse in tasca”: risposta don Franco
“don Silvestro il segretario si smascellava dalle risa a quei discorsi”: erano tutti insieme
IMPOSTAZIONE CORALE (non è un vero coro come le tragedie greche, questo coro
dialogascontro).
Don Franco
Don Giammaria Pezzi grossi

Lo speziale

Riformarlo: dispensarlo dal servizio militare


“come se ne fabbricano ancora ad Aci Trezza” narratore è di Acitrezza perché è come se si vantasse.
Minima descrizione del ragazzo.

9.
Quartiere: caserma
Abitino della Madonna: scapolare o talismano religioso
Gruppo: si sente il dialetto, nodo
“evitava di guardare in faccia la nuora, quasi ce l’avesse con lei” si nota che è arrabbiato.
“colle scarpe in mano” per far vedere i gesti. Lo stato d’animo dei personaggi si capisce tramite i
gesti.
“colle vecchie stoviglie” ambiente intimo

10.
“finalmente giunse il treno” incongruenza perché il treno non esisteva in quella zona.
“come fanno i buoi quando sono condotti alla fiera” pubblico ridotto perché i milanesi non
conoscono.
Trecastagni: paese a nord di Catania, il 10 Maggio si festeggia il patrono sant’Alfio.

11.
Addio ai monti (Manzoni) VS Addio Malavoglia

Addio silenzioso Addio molto disturbato, c’è confusione

La Zuppidda: la zoppetta
Soffiando: insinuando maliziosamente; si parlavano: amoreggiavano.
Personaggi: nome+cognome+soprannome
12.
“senza sapere il perché” quando qualcuno se ne va e noi restiamo lì aspettando senza sapere il
perché come se volessimo ancora salutarlo.
“si sbrancarono” si furono dileguati, si rivela l’implicita metafora animalesca, che riprende la
precedente (come buoi…)
“come se vostro figlio fosse morto” battuta ironica.
NARRATORE VOYEURspia, guardone

13.
Non pensarci più
Ripresa contrastiva
Ci pensavamo sempre
Amplia descrizione di momenti in cui mancava ‘Ntoni (scodella, ganza, alare una parommella…)
Uno,due, tre telaio e cuore

14.
“Un po’… buscarsi il pane” ritorna al bighellone.
“Quando avrà provato il pane salato che si mangia altrove, non si lagnerà più della minestra di casa
sua” battuta ripresa da Dante:

“Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e com’è duro calle lo scendere e ‘l salire per l’altrui
scale”

16.
“Sicuro!...laggiù”  stuzzica la Longa
Cetriuolo: citrolu in sicilianouomo senza senno.
Verga ci fa capire come nascono i soprannomi.

17.
“Pareva San Michele Arcangelo” il tradizionale ritratto, con il posticcio apparato da studio
fotografico scambiato per arredo lussuoso, viene letto dalla Longa nei termini dell’iconografia sacra
a lei più familiare.
Più copie del ritratto può essere che aveva più storielle o che si voleva far sapere che stava bene.
18.
“aveva pescato un camerata che sapeva di lettere”: sapeva leggere e scrivere.
19.
“Della Locca”: dal siciliano loccu  sciocco.
Proverbio 4 “L’uomo è il fuoco, e la donna è la stoppa: viene il diavolo e soffia”
20.
“Campana di legno” sordità
Negozio: affare
21.
“col violino”: poco per volta
Peppinino: maschera comica siciliana del teatro dei pupi in origine Peppi-e-Ninu, da cui deriverebbe
il nome.

Lezione 8.03

Allorché la Longa seppe del negozio dei lupini, dopo cena, mentre si chiacchierava coi gomiti sulla
tovaglia, rimase a bocca aperta; come se quella grossa somma di qua-rant'onze se la sentisse sullo
stomaco. Ma le donne hanno il cuore piccino, e padron 'Ntoni dovette spiegarle che se il negozio
andava bene c'era del pane per l'inverno, e gli orecchini per Mena, e Bastiano avrebbe potuto andare
e venire in una settimana da Riposto, con Menico della Locca. Bastiano intanto smoccolava la
candela senza dir nulla.

Reazione della Longa


Tra Ntoni e lo zio Crocifisso si era pattuito un affare economico sui lupini. La Longa mentre si
chiacchierava con i gomiti sula tovaglia - Verga non ci dice semplicemente “seduti a tavola” ma ce li
fa vedere nella lor gestualità- “rimase a bocca aperta”: quando i personaggi non parlano, si esprimono
attraverso i gesti. Ma questo gesto di rimanere a bocca aperta, oltre a far capire cosa pensa la Longa,
ci fa capire qualcosa su questo negozio dei lupini. E’qualcosa che la Longa non si sarebbe mai
immaginata, è una cosa grossa. La longa si sorprende per questo affare che i Malavoglia non avevano
mai fatto prima

Era come se avesse tutto il sacchetto con di monete sullo stomaco: non sappiamo quanto siano
“quarant’onze” e nemmeno il lettore milanese poteva saperlo perché in Italia non si usavano le onze
era una moneta siciliana che si usava solo li. In ogni caso capiamo che “quaranta onze” sono tanti
per Acitrezza e per i Malavoglia
“Ma le donne hanno il cuore piccino” è una metafora, quindi anche la Longa ha il cuore piccino.
Avere il cuore grande vuol dire essere coraggiosi: la longa non lo era, perché le donne non erano
coraggiose (il narratore era un po' maschilista, d’altra parte è un mondo contadini. Questo è quello
che si ritiene ad Aci Trezza: nessuno pensa che le donne abbiano il cuore grande e siano coraggiose,
neanche le donne stesse.

“'Ntoni dovette spiegarle che se il negozio andava bene c'era del pane per l'inverno, e gli orecchini
per Mena, e Bastiano avrebbe potuto andare e venire in una settimana da Riposto, con Menico della
Locca”.
E’ un affare vantaggioso secondo Padron Ntoni e qui c’è una discussone critica su questo passo e
anche sul precedente quando si dice che padron Ntoni menare avanti la barca aveva pattuito con zio
crocifisso

Discussione sulla natura dell’affare


Perchè Padron Ntoni aveva fatto questo affare? Per tirare avanti? Perché Ntoni era partito soldato e
quindi non era più possibile andare a pesca senza assumere qualcun altro e avere un costo aggiuntivo?
Oppure combina questo negozio di lupini per guadagnare in una sola giornata tutto il pane
dell’inverno e anche gli orecchini per la dote di Mena?

Verga prima di scrivere si era procurato un’opera di Giuseppe Pitrè, pioniere in Italia della nuova
scienza antropologica che nasce a fine 800’, autore di un libretto sugli usi e i costumi in Sicilia e
quindi probabilmente si era informato anche su come venisse preparata la dote per i matrimoni.

La domanda di fondo è: Padron Ntoni che prima aveva detto “fai il mestiere che sai”, “contentati di
quel che t’ha fatto tuo padre ...” Ora sta pensando di non fare più il suo mestiere per potersi arricchire
in un altro modo oppure sta cercando di arrangiarsi come può visto che la situazione è critica?

C’è questa discussione critica che vede il contrapporsi di due ipotesi:

1. Magari anche Padron Ntoni sbaglia, non è il personaggio perfetto che sembra: forse è anche lui
catturato da questa modernità che vuole che ciascuno si arricchisca
2. oppure sta cercando di fare di necessità virtù: è costretto a cambiare mestiere e quindi la modernità
entra nella sua vita soltanto così, involontariamente
Reazione di Bastianazzo
“Bastiano intanto smoccolava la candela senza dir nulla”
Anche la reazione di questo personaggio viene descritta attraverso un gesto. Bastiano era il figlio di
Padron Ntoni, era quello che materialmente doveva imbarcare per trasportare i lupini e aveva una
grande responsabilità, perché se fosse successo qualcosa sarebbe stato un disastro. Invece si mette a
smoccolare la candela senza dir nulla. Smoccolare vuol dire grattare i righini fatti dalla cera della
candela e questo movimento ci fa capire che prova un certo nervosismo.
E’ preoccupato, non è del tutto convinto: anche per Bastianazzo è un affare grosso e si chiede se è
giusto rischiare cosi. Loro hanno comprato i lupini senza avere i soldi per pagare: secondo il patto
quando arriveranno a Riposto li rivenderanno alla nave in partenza per Trieste - che era in cerca del
carico di lupini, e, una volta rivenduti, con i soldi ricavati pagheranno lo zio crocifisso, il pane per
l’inverno e gli orecchini di Mena. Però è un investimento rischioso: se qualcosa va male hanno un
grande debito da pagare perché devono restituire le quarant’onze allo zio Crocifisso.

 Questa logica del rischio a chi appartiene? Al capitalismo, alla modernità, alla nuova
società: non appartiene ai coltivatori della terra che se hanno i soldi pagano, altrimenti no.
Padron ntoni sta facendo un’operazione di imprenditorialità moderna: si sta comportando
come un commerciante che fa un investimento un pò rischioso, o almeno così viene percepito
dalla Longa e da Bastianazzo.

La provvidenza
“Così fu risoluto il negozio dei lupini, e il viaggio della Provvidenza, che era la più vecchia delle
barche del villaggio, ma aveva il nome di buon augurio.”

Nota bene: questo MA potrebbe essere rovesciato “aveva il nome di buon augurio MA era la piu
vecchia delle barche”

La Provvidenza non è una barca sicura: è la più vecchia tra quelle del villaggio. Ce ne sono
sicuramente altre più buone che reggono meglio il mare ma I Malavoglia non hanno i soldi per
comprarne una nuova. Il nome “provvidenza” è in contrasto con la vecchiaia della barca e noi
sappiamo che nel romanzo questa provvidenza non sarà poi cosi provvidenziale

Maruzza se ne sentiva sempre il cuore nero, ma non apriva bocca, perché non era affar suo, e si
affaccendava zitta zitta a mettere in ordine la barca e ogni cosa pel viaggio, il pane fresco, l'orciolino
coll'olio, le cipolle, il cappotto foderato di pelle, sotto la pedagna e nella scaffetta.”
“Il cuore nero di Maruzza” (vero nome della Longa): il cuore della Longa non solo è piccino ma è
anche nero, è angustiato. C’è già il senso del lutto, della perdita, in contrasto con l’augurio della
provvidenza.

Questo romanzo procede per contrasto: il MA – che abbiamo incontrato sopra- è una cifra dei
Malavoglia. Non ci sono romanzi che hanno così tanti “ma”: nei Malavoglia quando si afferma
qualcosa poi c’è subito il suo contrario. Come se si giocasse su due possibilità

Maruzza è pessimista, è preoccupata e come Bastianazzo anche lei non apriva bocca, sta in silenzio
anche perché e” non era affar suo”, era una cosa da uomini, anzi era di Padron Ntoni (il dito grosso).
Quindi zitta, zitta, si mette a preparare la barca per il viaggio.

Gli uomini avevano avuto un gran da fare tutto il giorno, con quell'usuraio dello zio Crocifisso, il
quale aveva venduto la gatta nel sacco, e i lupini erano avariati. Campana di legno diceva che lui
non ne sapeva nulla, come è vero Iddio!«Quel ch'è di patto non è d'inganno»; che l'anima lui non
doveva darla ai porci! e Piedipapera schiamazzava e bestemmiava come un ossesso per metterli
d'accordo, giurando e spergiurando che un caso simile non gli era capitato da che era vivo; e
cacciava le mani nel mucchio dei lupini e li mostrava a Dio e alla Madonna, chiamandoli a
testimoni. Infine, rosso, scalmanato, fuori di sé, fece una proposta disperata, e la piantò in faccia
allo zio Crocifisso rimminchionito, e ai Malavoglia coi sacchi in mano: - Là! pagateli a Natale,
invece di pagarli a tanto al mese, e ci avrete un risparmio di un tarì a salma! La finite ora, santo
diavolone!- E cominciò a insaccare - In nome di Dio, e uno!

Lo zio crocifisso e i lupini avariati


“Quell’usuraio dello zio crocifisso”: è una definizione forte di questo personaggio. Sicuramente lo
dicono gli uomini o qualcuno del paese. Un usuraio è qualcuno che presta “usura” presta i soldi ma
poi rivuole i soldi con la percentuale di interessi. Quindi presso il paese lo zio Crocifisso non ha una
buona fama.
Gli usurai erano immorali: tanto che Dante li inserisce nell’inferno. Infatti i primi banchieri – che
prestavano l’usura- quando facevano testamento, lasciavano tutto alla Chiesa, per salvarsi l’anima
perché essere stati usurai era un grande peccato. In seguito il prestito con interesse venne
regolamentato da leggi: non era vietato, ad essere vietata era l’usura infatti oggi è un reato. Ma nel
caso di un prestito era comunque lecito chiedere una percentuale, purché non superasse certi limiti.
Quando la percentuale di guadagno sugli interessi superava un certo limite allora si trattava di usura.
Per accusare lo zio crocifisso di essere un usuraio vuol dire che aveva oltrepassato il limite, anche se
lui diceva di essere di buon cuore.
 E’ un usuraio lo zio Crocifisso? Che sia un usuraio lo dicono le malelingue, lui diceva di
essere di buon cuore.
“Aveva venduto la gatta nel sacco”: parla sempre qualcuno con una voce popolare. Questo è un modo
di dire: se si chiude la gatta nel sacco non si può sapere se è di qualità o meno. Significa vendere
qualcosa alla cieca, fregando chi la compra.

“E i lupini erano avariati” Per questo ha venduto la gatta nel sacco. L’unico a non sapere che i
lupini erano avariati era Padron Ntoni

Ricorda: i lupini sono legumi che si conservano sotto sale: forse c’era poco sale e quindi erano
rancidi. Nel catanese i lupini sono anche dei frutti di mare- tipo le vongole- ma in questo caso sono
i legumi, anche perché li prendono con le mani, non si affrettano a venderli (se fossero stati pesci
avrebbero dovuto venderli subito).

“Campana di legno diceva che lui non ne sapeva nulla, come è vero Iddio!«Quel ch'è di patto non è
d'inganno»;
Campana di legno – nomignolo dello Zio Crocifisso- giura su Dio che lui non ne sa nulla. Questo
riprende il discorso sui punti di vista all’interno del romanzo.

Spesso abbiamo 2 punti di vista che si confrontano:


1. Il punto di vista del personaggio su se stessoquindi quello che il personaggio dice di se o
quello di cui si vanta

2. Il punto di vista del paese e della gente di Aci trezzain genere è punto di vista malevolo, di
chi sparla. Gli altri non parlano di Zio Crocifisso ma sparlano.

Il narratore vuole raccontare le cattive azioni dei personaggi. Il romanzo è costruito su questa
malevolenza generale, su questo sparlare. Però dall’altro lato c’è il confronto con il punto di vista
del personaggio, che invece parla bene di se, in contrasto con quello che si dice nel paese.

“diceva che lui non ne sapeva nulla”

 Diceva che introduce un discorso indiretto


 I toni della frasefanno capire che in realtà è sono parole dette direttamente

Inoltre con il “Lui” si sente che il personaggio si chiama in causa, si sente la voce dello zio Crocifisso
in queste parole che sono trascritte in discorso indiretto ma conservano ancora il suono del discorso
diretto.
“Quel che di patto non è di inganno”
Nei Malavoglia ciò è tra virgolette è un proverbio. Lo zio Crocifisso, come Padron Ntoni, parla per
proverbi: tuttavia leggendo ci accorgiamo che i proverbi di zio crocifisso non sono quelli di padron
ntoni. Con questo particolare proverbio Sta cercando di discolparsi.
“che l'anima lui non doveva darla ai porci!”
Prima aveva detto che “L’anima ho da darla a Dio” ora invece dice che “non la deve dare ai proci “:
questo crea una leggere ironia l’anima vuole darla a Dio, non ai porci. Vuole salvarsi l’anima quindi
giura di non sapere nulla sui lupini avariati

“e Piedipapera schiamazzava e bestemmiava come un ossesso per metterli d'accordo, giurando e


spergiurando che un caso simile non gli era capitato da che era vivo; e cacciava le mani nel
mucchio dei lupini e li mostrava a Dio e alla Madonna, chiamandoli a testimoni. Infine, rosso,
scalmanato, fuori di sé, fece una proposta disperata, e la piantò in faccia allo zio Crocifisso
rimminchionito, e ai Malavoglia coi sacchi in mano: - Là! pagateli a Natale, invece di pagarli a
tanto al mese, e ci avrete un risparmio di un tarì a salma! La finite ora, santo diavolone! - E
cominciò a insaccare - In nome di Dio, e uno!”

Il patto che avevano fatto era di pagarli un tot al mese, invece se avessero aspettato fino a Natale
(quindi tre mesi, dato che siamo alla prima domenica di settembre) avrebbero risparmiato qualcosa
nel pagamento Questa scena, come tutto il romanzo, è molto teatrale: descrive Piedipapera che
bestemmiava e schiamazzava, rosso e fuori di se. Questo proprio perché vuole che sia un racconto
molto visivo

“La Provvidenza partì il sabato verso sera, e doveva esser suonata l'avemaria, sebbene la campana
non si fosse udita perché mastro Cirino il sagrestano era andato a portare un paio di stivaletti
nuovi a don Silvestro il segretario; in quell'ora le ragazze facevano come uno stormo di passere
intorno alla fontana, e la stella della sera era già bella e lucente, che pareva una lanterna appesa
all'antenna della Provvidenza.
Maruzza colla bambina in collo se ne stava sulla riva, senza dir nulla, intanto che suo marito
sbrogliava la vela, e la Provvidenza si dondolava sulle onde rotte dai fariglioni come
un’anitroccola. - «Scirocco chiaro e tramontana scura, mettiti in mare senza paura,» diceva
padron'Ntoni dalla riva, guardando verso la montagna tutta nera di nubi. Menico della Locca, il
quale era nella Provvidenza con Bastianazzo, gridava qualche cosa che il mare si mangiò. - Dice
che i denari potete mandarli a sua madre, la Locca, perché suo fratello è senza lavoro; aggiunse
Bastianazzo, e questa fu l'ultima sua parola che si udì.”

Attenzione: la domenica fanno l’accordo, poi partono il sabato successivo. Anche per questo non
possono essere delle vongole, non avrebbero potuto aspettare così tanto. Invece i lupini, pur essendo
avariati, non degenerano ulteriormente
“Doveva essere suonata l’ave Maria”
Quindi sono circa le sette: è il vespro.
Mastro Cirino il sagrestano – un altro personaggio definito con il suo ruolo - anziché suonare la
campana, era andato a portare un paio di stivaletti nuovi a Don Silvestro

“In quell'ora le ragazze facevano come uno stormo di passere intorno alla fontana, e la stella della
sera era già bella e lucente, che pareva una lanterna appesa all'antenna della Provvidenza”

 Il narratore usa dei paragoni che gli sono familiari: vede una grande calca di ragazze e la
paragona ad uno stormo di passere che in quel mondo chissà quante volte hanno visto
 Stella della sera = è la prima stella che compare in cielo e quasi sempre è Venere

“Maruzza colla bambina in collo se ne stava sulla riva, senza dir nulla, intanto che suo marito
sbrogliava la vela, e la Provvidenza si dondolava sulle onde rotte dai fariglioni come un’anitroccola
Non è un’immagine positiva della Provvidenza. La provvidenza si dondola sulle onde, che son rotte
dei faraglioni, ovvero gli scogli che c’erano ad Aci trezza. Il mare non è calmo, ci sono le onde e la
barca balla su di esse come un’anatroccola

“Scirocco chiaro e tramontana scura, mettiti in mare senza paura,» diceva padron'Ntoni dalla riva,
guardando verso la montagna tutta nera di nubi.”
Padron Ntoni si affida, ancora una volta, ad un proverbio che è favorevole: “scirocco chiaro e
tramontana scura”; eppure guarda la montagna tutta nera di nubi che non è affatto un bel presagio

Menico della Locca, il quale era nella Provvidenza con Bastianazzo, gridava qualche cosa che il
mare si mangiò. - Dice che i denari potete mandarli a sua madre, la Locca, perché suo fratello è
senza lavoro; aggiunse Bastianazzo, e questa fu l'ultima sua parola che si udì.
In questa parte finale vediamo il mare che mangia le parole: anche questo è un presagio perché poi il
mare li inghiottirà davvero

“e questa fu l'ultima sua parola che si udì”


Questa battuta, con cui si chiude il capitolo, è un presagio piuttosto inquietante. Cosi come non si
sono sentite più le parole di Menico della Locca, adesso non si sentono più le parole di Bastianazzo
che evidentemente ha una voce più potente.
Il lettore su queste presagio si ferma: anche la fine del capitolo è costruito per produrre un effetto, per
lasciar il lettore con l’ansia di quello che accadrà. Nel capitolo successivo ci aspettiamo di capire
come va questo viaggio e quindi siamo invitati continuare leggere
Anche perché, non i Malavoglia, ma altri romanzi di Verga – come Mastro Don Gesualdo o il marito
di Elena - o di altri scrittori la prima volta che venivano pubblicati, venivano pubblicati a puntate su
delle riviste: quindi finire la con puntata “questa fu l’ultima sua parola che si udì” lasciava il lettore
nella suspense fino all’uscita della puntata successiva

RIFLESSIONI CAPITOLO 1
E’ un capitolo introduttivo della narrazione: mette in scena l’elemento che emette in moto il racconto.
Quasi tutti i romanzi narrativi - che raccontano una vicenda - hanno bisogno che all’inizio ci sia un
evento che faccia scattare il romanzo, senza il quale non ci sarebbe motivo di raccontare la storia.

Esempio
Se nei Promessi sposi i Bravi non fermassero Don Abbondio per impedire il matrimonio, o se don
Abbondio avesse celebrato comunque il matrimonio tra Renzo e Lucia, non ci sarebbe stato nulla da
raccontare: Renzo e Lucia non avrebbero dovuto compiere nessuna peripezia per poter finalmente
ritornare all’obiettivo iniziale e ristabilire l’ordine naturale degli eventi
C’è un evento che turba l’ordine naturale degli eventi. I formalisti russi lo chiamavano – negli anni
20 del 900’ – un EVENTO PERTURBATORE DELL’EQUILIBRIO oppure una catastrofe.

Qui l’evento ancora non c’è l’evento non è tanto l’affare di lupini, ma è il naufragio della
provvidenza che sappiamo ci sarà. Se non naufragasse la Provvidenza, venderebbero i lupini,
riuscirebbero ad avere un guadagno, risolverebbero tutto e l’intera storia non ci interesserebbe,
sarebbe banale

Volendo potremmo individuare anche nella partenza di Ntoni l’evento perturbatore o comunque un
altro evento che partecipa alla perturbazione dell’equilibrio. A volte possono essere anche una serie
di eventi: quasi sempre c’è un fattore inziale che fa scattare il romanzo, altrimenti non si metterebbe
in moto.
Un altro teorico, Peter Brucks ha detto che i romanzi sono caratterizzati da un DESIDERIO
NARRATIVO. Nel caso dei Promessi Sposi il desiderio narrativo è il desiderio di Renzo e Lucia di
sposarsi: è il desiderio di completare il matrimonio che muove il racconto. Tutte le peripezie servono
per cercare di soddisfare quel desiderio che può essere realizzato oppure no. Una volta realizzato il
romanzo cessa di avere ragione di esistere

Il romanzo simbolo che usa Brucks per descrivere questa macchina del desiderio è un romanzo di
Balzac (La Peau de chagrin), la cui traduzione italiana è ambigua. Di solito viene tradotta “la pelle
di zigrino” (chagrin vuol dire sia zigrino – quindi un animale- ma anche dolore angosciante)
Descrive un personaggio che all’inizio del romanzo si vuole suicidare ma, prima di salire sul punte
dal quale si vorrebbe buttare, vede un antiquario che - capendo quello che vuole fare- lo ferma e gli
dice di provare ad indossare la pelle di zigrino che ha un potere miracoloso. Infatti indossandola
poteva esprimere tutti i propri desideri e realizzarli: l’unico rischio era che più venivano espressi i
desideri, più questa pelle si restringeva, fino a scomparire del tutto, causando la morte di chi la teneva
addosso. Ma tanto lui voleva suicidarsi, quindi si convince a comprare questa pelle di zigrino e ad
entrare in questa macchina del desiderio

Il personaggio inizia a desiderare cose fantastiche ma man mano che si accorge che la pelle si restringe
cambia idea: non vuole più morire. Ora la vita è diventata più felice e quindi inizia a cercare delle
strategie per non desiderare: meno desidera, meno si restringe la pelle, più gli si allunga la vita. Il
romanzo quindi è anche un tentativo di porre fine al desiderio, cosa che però si rivela impossibile

Il desiderio narrativo dei Malavoglia sarà quello di ritornare al loro status originario, quindi pagare
il debito per riprendere il loro status sociale di padroni di barche. Anche perché non sono gli ult imi
della società, possiedono qualcosa (cosi come Renzo e lucia che non sono miserissimi). Quindi anche
nei malavoglia c’è un desiderio narrativo e il romanzo non finisce finché non si pone fine a questo
desiderio: o falliscono definitivamente nel recuperare il debito oppure ritorno nella loro pozione
Come avevano detto i formalisti russi alla fine si ritorna all’equilibrio originario. Si ripristina un
equilibrio che è simile a quello che c’era prima che iniziasse il romanzo: tra i due equilibri ovviamente
sono successi dei fatti quindi si possono fare dei paragoni per vedere cos’è cambiato
Ad esempio alla fine dei Promessi Sposi l’equilibrio finale è che Renzo è più ricco rispetto all’inizio:
ha una fabbrichetta, ha dei dipendenti, è diventato un piccolo imprenditore
Quindi
1. C’è una situazione di equilibrio iniziale che precede la vicenda narrativa
2. C’è un evento catastrofico che rompe l’equilibrio
3. Poi ci sono una serie di peripezie - che potrebbero essere viste come il tentativo di esaudire il
desiderio narrativo
4. Alla fine c’è un evento che risolve il caso - nel caso dei promessi sposi il matrimonio

Qualche volta, come nei promessi sposi, c’è una coda narrativa. Quindi una volta risolto il desiderio
si continua a raccontare qualcosa: la trama è finita ma c’ qualcosa che si può aggiunger per completare
il quadro

Ntoni e Padron Ntoni


Se dovessimo giudicare dal primo capitolo il protagonista del romanzo sarebbe padron ntoni, che è
sicuramente protagonista di questo capitolo ma NON del romanzo intero. Alcuni critici, soprattutto
i primi, come ad esempio Luigi Russo (uno dei più grandi critici di Verga), consideravano come
protagonista del romanzo Padron Ntoni.
Luigi Russo è il primo ad aver scritto un libro su Verga quando Verga era ancora vivo (1919): riscrive
questa monografia, che ebbe molta fortuna, tante altre volte, e per lui il protagonista è Padron Ntoni
con i suoi valori, con i suoi proverbi, con la sua idea di società che deve restare immobile, con la sua
rassegnazione al destino.
Invece altri critici più vicini a noi hanno visto come protagonista Ntoni. Tanto che il critico Sipala
ha intitolato il suo saggio sui malavoglia: “il romanzo di Ntoni Malavoglia”.

Altri, come il critico Luperini, hanno fatto notare come Ntoni sia il personaggio MODERNO questo
romanzo, non padron Ntoni.

Padron ntoni è un personaggio che appartiene al mondo del passato, invece Ntoni è un
personaggio moderno perché è un personaggio che Luperini definisce “scisso. E’ un personaggio a
che non ha certezze, come i personaggio moderni del 900’: sono internamente frammentati, tormentati
che non hanno chiaro cosa vogliono
Ntoni è un personaggio ribelle rispetto alla propria condizione ma non sa bene dove vuole andare e
quindi in questo senso sarebbe un personaggio moderno. Tra l’altro Ntoni è quello che interpreta di
più l’idea che c’è nella prefazione del romanzo: cioè che questo è romanzo mosso dall’ansia di
migliorar la propria condizione, l’ansia del benessere

Chi vuole stare meglio non è tanto padron ntoni - che si all’inizio vorrebbe di migliorar un po’ la
condizione della famiglia - ma è soprattutto Ntoni che rifiuta la povertà, la fatica, il lavoro —> rifiuta
una vita che è solo lavoro e fatica. Invece padron Ntoni pensa che solo con la fatica e con il lavoro si
va avanti, continuando quello che qualcuno ha fatto prima di noi “da che mondo era mondo “.

Padron Ntoni è un personaggio che non si pone domande, mentre Ntoni sì. Si chiede “perché la vita
deve essere così? Che senso ha? Invece Padron ntoni non si interroga: per lui la vita è cosi e si
continuerà ad essere così

C’è una contrapposizione tra Padre Ntoni e Ntoni. Tra l’altro non è casuale che manchi un padre: il
padre sarebbe Bastianazzo ma muore subito, quindi Ntoni rimane orfano e può confrontarsi solo con
il nonno. E la differenza di generazione è maggiore rispetto a quella che potrebbe esserci con il padre:
c’è uno stacco più ampio. C’è anche una difficoltà a capirsi tra nonno e nipote perché il nonno è
troppo lontano: manca quel mediatore che sarebbe potuto essere il padre
Ntoni rimane orfano e in quanto tale sarà anche responsabilizzato: il capo famiglia diventa lui. E’
vero che il nonno è il dito grosso ma non ci sono più le braccia di Bastianazzo e Padron Ntoni non ha
più le forze. Invece Ntoni è grand e grosso, ha un bel fisico e quindi c’è questo confronto inevitabile
——> il nonno pur essendo saggio ha bisogno di braccia ma quelle braccia rifiutano la saggezza del
nonno.
Lezione 9 Marzo
Capitolo 2:
Per tutto il paese non si parlava d’altro che del negozio dei lupini, e come la Longa se ne tornava a
casa colla Lia in collo, le comari si affacciavano sull’uscio per vederla passare. – Un affar d’oro! –
vociava Piedipapera, arrancando colla gamba storta dietro a padron ‘Ntoni, il quale era andato a
sedersi sugli scalini della chiesa, accanto a padron Fortunato Cipolla, e al fratello di Menico della
Locca che stavano a prendere il fresco. – Lo zio Crocifisso strillava come se gli strappassero le
penne mastre, ma non bisogna badarci, perché delle penne ne ha molte, il vecchio. – Eh! s’è
lavorato! potete dirlo anche voi, padron ‘Ntoni! – ma per padron ‘Ntoni ei si sarebbe buttato
dall’alto del fariglione, com’è vero Iddio! e a lui lo zio Crocifisso gli dava retta, perché egli era il
mestolo della pentola, una pentola grossa, in cui bollivano più di duecento onze all’anno!
Campana di legno non sapeva soffiarsi il naso senza di lui. Il figlio della Locca udendo parlare
delle ricchezze dello zio Crocifisso, il quale a lui gli era zio davvero, perché era fratello della
Locca, si sentiva gonfiare in petto una gran tenerezza pel parentado. – Noi siamo parenti, ripeteva.
Quando vado a giornata da lui mi dà mezza paga, e senza vino, perché siamo parenti. Piedipapera
sghignazzava. – Lo fa per tuo bene, per non farti ubbriacare, e per lasciarti più ricco quando
creperà. Compare Piedipapera si divertiva a sparlare di questo e di quello, come capitava; ma così
di cuore, e senza malizia, che non c’era verso di pigliarsela in criminale. – Massaro Filippo è
passato due volte dinanzi all’osteria, diceva pure, e aspetta che la Santuzza gli faccia segno di
andarla a raggiungere nella stalla, per dirsi insieme il santo rosario. Oppure al figlio della Locca:
– Tuo zio Crocifisso cerca di rubarle la chiusa, a tua cugina la Vespa; vuol pagargliela la metà di
quel che vale, col darle ad intendere che la sposerà. Ma se la Vespa riesce a farsi rubare qualche
cos’altra, potrai pulirti la bocca della speranza dell’eredità, e ci perdi i soldi e il vino che non ti ha
dato.

La suspense
Verga ci aveva lasciato con la partenza della barca, con le ultime parole che si udivano di Bastianazzo,
quelle di Menico della Locca già mangiate. La Provvidenza è partita e noi lettori eravamo rimasti con
la suspense, lasciata, promettendo di esaudirla. Il capitolo però non riprende subito con la barca: in
un altro romanzo magari saremmo saliti sulla barca che naviga con il maltempo, ma non è questo il
caso. Non salpiamo con la Provvidenza e con Bastianazzo e Menico della Locca. Invece, rimaniamo
ad Aci Trezza, e non usciamo quasi mai da qui (tranne in piccole circostanze). Questo non allontanarsi
dal paese era stato già presente: 'Ntoni se n'è andato da Aci Trezza ma cosa fa lo apprendiamo solo
dalle lettere che si fa scrivere e che gli unici che in paese sanno leggere decifrano ai suoi familiari.
Ugualmente, non sappiamo cosa succede alla Provvidenza quando si allontana dallo specchio d'acqua
che è il mare del paese.

Assistiamo, ad inizio capitolo, ad un chiacchiericcio di paese, che all'inizio sembra riguardare la


Provvidenza – si riprende il tema del capitolo precedente, si accenna all'affare – e poi si inizia a
parlare di altro, cose anche pettegole, si assiste anche a discorsi diversi.
 Al centro della scena è Piedipapera, il garante, il mediatore dell'affare. È il sensale di affare,
con un termine dell'epoca.

Questa tecnica, in scena in tutto il capitolo e non solo all'inizio, per cui c'è aspettativa su un evento,
una situazione narrativa, che però non viene subito esaudita ma al contrario viene dilazionata,
prorogata dal narratore è utile per mantenere l'attenzione del lettore: fa rimanere incuriositi. Questa
tecnica è una caratteristica del romanzo rispetto al racconto, il quale invece risulta essere più veloce,
cerca di arrivare alla risoluzione in maniera più sbrigativa. Questa è una tecnica di rallentamento
rispetto alla vicenda, alla trama.
Queste chiacchiere dei personaggi non sono essenziali per la trama ma servono per capire il paese, la
sua mentalità, i suoi abitanti (il paesino è infatti centrale: è il romanzo di Aci Trezza, non solo dei
Malavoglia). Tuttavia, rimane che dal punto di vista della trama è un diversivo. Anche questa è una
tecnica tipica del romanzo.

 Il formalista russo Victor Šklovski la chiama “tecnica dell'indugio”: è come se il romanzo


se la prendesse comoda.
 Umberto Eco, riprendendo senza esplicitarlo un po' queste teorie, parla del romanzo come una
macchina pigra, una macchina che non corre, che va piano, che non ha voglia di correre,
piuttosto tende a rallentare.

 Per tutto il paese non si parlava d'altro = l'affare è grosso per Padron 'Ntoni ma infondo anche
per il resto del paese, tanto che se ne parla. È la chiacchierata del paese, dove succedono poche
cose importante, per cui questa fa notizia. Abbiamo una messa in scena di quello che è il
narratore del romanzo: nel paese si parla dei Malavoglia, e loro sono significativi per Aci
Trezza: i loro eventi turbano anche l'equilibrio del paesino, dove tutti stanno al loro posto.

 Come la Longa se ne tornava a casa con la Lia in collo = elemento visivo, immaginiamo la
Maruzza con Lia in braccio. Il testo preferisce usare la Longa piuttosto che Maruzza perché
così viene chiamata dagli abitanti del paese. Anche qui c'è la lingua del paese che parla, con
le sue malelingue.

 Le comari si affacciano per vederla passare = non è che ogni volta che la Longa passa per il
vicolo le persone si affacciano: è un caso particolare. Per contestualizzare, possiamo dire che
è l'ora di preparare la cena, siamo a settembre (la Provvidenza è partita al tramonto del 14,
perché la prima domenica è l'8). La Longa ha ascoltato le ultime parole di Bastianazzo (aveva
preparato la nave e poi era andata a salutare il marito – non sappiamo se ci fosse un porto ad
Aci Trezza), era sulla riva da dove la barca è partita: ora sta tornando a casa, più tardi del
solito (le altre comari, alla stessa ora, sono già a casa). Perché le donne escono per vedere
passare la Longa? Viene sottolineato come se di solito non lo facessero, di solito continuano
a fare le loro faccende. Questo è un tema di questo capitolo e del prossimo: le donne erano
curiose, la Longa è oggetto di curiosità, le altre vogliono vedere se è preoccupata: questi
personaggi di Aci Trezza sono dei voyeur, dei guardoni (sono i tipici ambienti di paese in cui
bisogna sapere tutto di tutti). Non si capisce qualcosa perché la Longa parla ma perché la si
vede, si percepisce qualcosa. È con questa mentalità che ragiona il romanzo: lei è oggetto
curioso, crea e suscita attenzioni più del solito.
 Piedipapera ha una gamba zoppa, e questo lo sapevamo già: c'è una ripetizione. Quando i
personaggi si ripresentano hanno sempre le stesse caratteristiche, come con Don Franco con
la sua barba. Questo avveniva anche nella letteratura classica (ogni volta che Achille veniva
presentato si faceva riferimento al fatto che fosse pieveloce).

 Siamo alla fine della giornata di lavoro per tutti, si aspetta la cena e quindi ci si mette sui
gradini della chiesa, che sono un luogo di incontro di Aci Trezza. Ci sono quindi Padron
'Ntoni, Piedipapera, il fratello di Menico della Locca e lo zio Crocifisso.

 Lo zio Crocifisso [...] penne mastre = sono le penne timoniere, quelle più importanti. Non
bisogna badarci: lo dice, alla luce delle parole che seguono, Piedipapera "che delle penne ne
ha molte il vecchio": aggiunge, rafforza, ripete qual è il soggetto (discorso diretto libero).
Quando parliamo usiamo molto le ripetizioni, cosa che nello scritto non si può fare. Qui
invece aumentano le ripetizioni per dare il segno che la lingua è parlata e non scritta. Lo
possiamo tradurre in discorso diretto: si crea enfasi con la ripetizione. Non ci viene detto chi
parla, dobbiamo sempre capirlo noi.

 Il mestolo della pentola = modo di dire. È Piedipapera il mestolo che gira, che fa fruttare la
pentola dello zio Crocifisso. È lui che media gli affari, e lui si vanta, dicendo che fa fare allo
zio Crocifisso gli affari, che gli fa fare quello che vuole. Ma Piedipapera con chi sta? Con
Padron 'Ntoni o con lo zio Crocifisso? Si sta ruffianando Padron 'Ntoni, dice che si butterebbe
per lui da un luogo alto, che è affezionato, ma ha più interesse a far guadagnare lo zio
Crocifisso.

 Lo zio Crocifisso ha due nipoti, poverissimi. La tenerezza è ironica: non prova tenerezza per
lo zio ma per i soldi dello zio (sentendo parlare dei soldi vuole specificare che sono parenti).
Com'è il figlio della Locca? Ingenuo. È figlio della Locca, che abbiamo già incontrato. È detta
così perché è pazza, per cui il figlio non sarà tanto sveglio: la reazione di Piedipapera infatti
è ironica – con la scusa della parentela gli dà metà paga. Infatti Menico preferisce andare a
giornata dai Malavoglia, così da poter guadagnare qualcosa per la madre pazza e il fratello
non molto sveglio, piuttosto che lavorare dallo zio. Lo zio Crocifisso potrebbe avere come
eredi i figli della Locca.
La situazione in Sicilia
 La figura dell'avaro è molto nota (sin da Plauto).
 La figura dell'usuraio era stata oggetto di un’inchiesta parlamentare.

Verga pubblica i Malavoglia nel 1881, tuttavia la stesura era iniziata prima. Nel 1876 viene nominata
commissione d'inchiesta per le condizioni della Sicilia, fatta da due intellettuali e politici siciliani,
Franchetti e Sonnino. Il primo ad individuare la questione meridionale, di cui tanto ancora oggi
sentiamo parlare, è Leopoldo Franchetti. Sono entrambi politici di destra, un po' come Verga,
abbastanza contrari al progresso, conservatori, non liberali. Verga li conosceva: in effetti aveva
pubblicato alcune sue prime opere sulla Rassegna settimanale, rivista di Franchetti e Sonnino.
I due avevano deciso di recarsi in Sicilia per controllare la situazione e per fare qualche legge per
calmierare le situazioni nella regione: facendo qualche legge avrebbero voluto evitare che ci fossero
delle insurrezioni, dei disordini, che avrebbero causato una rivoluzione.

Ad esempio, avevano evidenziato il problema del lavoro minorile (pensiamo alle vicende di Rosso
Malpelo: la realtà era comunque quella), il quale venne poi vietato sotto i 14 anni.

O ancora, si parla di usurai come figure da contrastare politicamente: anche nel caso dei Malavoglia,
non si tratta di restituire quaranta onze perché, se passa il termine fissato per la restituzione del debito,
scatta la percentuale, un interesse, un credito (se non le restituisci per tempo). Loro pagano solo gli
interessi, lavorando, e mai arrivano a pagare le quaranta onze (il loro duro lavoro non consente
comunque di estinguere questo debito): sono diventati degli schiavi, e di questo 'Ntoni si lamenterà.
Era un problema di usura, non solo di avarizia: non c’erano banche che prestavano soldi ad Aci
Trezza, ma di fatto lo zio Crocifisso presta soldi, barche, arnesi per il lavoro della pesca: lui ha di
tutto, tuttavia si fa pagare per questo.

Consideriamo ovviamente che Verga non aveva bisogno di Franchetti e Sonnino per capire che la
situazione nei tanti paesini era quella, che era critica: lui conosceva la realtà della Sicilia. C’è una
controversia sul luogo di nascita di Verga (il quale nasce a Catania), comunque la sua famiglia è
originaria di Vizzini (grosso centro della provincia catanese), ed è questo il luogo dove è ambientato
il Mastro-Don Gesualdo – è esperto di quei luoghi.

 Compare Piedipapera si divertiva a sparlare di questo e di quello, come capitava; ma così di


cuore, e senza malizia, che non c’era verso di pigliarsela in criminale = prima ci viene detto
che sparla, poi lui si giustifica dicendo che lo fa per divertirsi, senza malizia.
 Con un trattino introduce il discorso diretto, con un trattino (a volte usato anche per indicare
uno stacco, per discorso indiretto o per far capire che il discorso diretto libero è di un altro
personaggio). È l'uso del presente che ci chiarisce che era discorso diretto stavolta.

 Massaro Filippo è passato due volte dinanzi all’osteria, diceva pure, e aspetta che la Santuzza
gli faccia segno di andarla a raggiungere nella stalla, per dirsi insieme il santo rosario = in
questa parte viene usato un linguaggio religioso per ironia.

 Santo rosario = perché la Santuzza si presenta come una devota (scopriremo che appartiene
ad un'organizzazione religiosa) – il suo nome è utile alla sua caratterizzazione. Piedipapera si
smentisce immediatamente perché forse parla con una certa malizia (gioca sui doppi sensi).

 Lo zio Crocifisso non ha solo come nipoti Menico e suo fratello: c'è anche la Vespa, e cerca
di farle credere che la sposerà così da estorcere un pagamento a metà prezzo (tra l'altro un
matrimonio strano, tra zio e nipote, tra vecchio e giovane). La chiusa è un appezzamento di
terra recintato. Se effettivamente si sposassero lei diventerebbe ricchissima e non dovrebbe
dividere l'eredità con i cugini, così il fratello di Menico avrà perso tutto quello che lo zio
Crocifisso non gli ha dato.

Allora si misero a quistionare, perché padron ‘Ntoni sosteneva che lo zio Crocifisso alla fin fine
era cristiano, e non aveva dato ai cani il suo giudizio, per andare a sposare la figliuola di suo
fratello. – Come c’entra il cristiano e il turco? ribatteva Piedipapera. È un pazzo, volete dire. Lui è
ricco come un maiale, mentre la Vespa non possiede altro che quella chiusa grande quanto un
fazzoletto da naso. – Lo dite a me che ci ho a limite la vigna, disse allora padron Cipolla
gonfiandosi come un tacchino. – Li chiamate vigna quei quattro fichidindia? rispose Piedipapera. –
In mezzo ai fichidindia ci sono le viti, e se San Francesco ci manderà una buona pioggia, lo vedrete
poi che mosto darà. Il sole oggi si coricò insaccato – acqua o vento. – «Quando il sole si corica
insaccato si aspetta il vento di ponente», aggiunse padron ‘Ntoni. Piedipapera non poteva soffrire
quello sputasentenze di padron Cipolla, il quale perché era ricco si credeva di saper tutto lui, e di
dar a bere le corbellerie a chi non aveva denari. – Chi la vuol cotta e chi la vuol cruda, conchiuse.
Padron Cipolla aspetta l’acqua per la sua vigna, e voi il ponente in poppa alla Provvidenza. Lo
sapete il proverbio «Mare crespo, vento fresco». Stasera le stelle sono lucenti, e a mezzanotte
cambierà il vento; sentite la buffata?

Capitale economico e capitale simbolico


Si torna qui ad alludere alla Provvidenza, che viene rinominata insieme alle condizioni atmosferiche
e i pronostici su come andrà il tempo. Si confrontano tre punti di vista (Padron Cipolla, Padron ‘Ntoni
e Piedipapera) sulla base di tre proverbi diversi. I proverbi dicono cose diverse, possono pronosticare
esiti diversi del tempo. L'altro capitolo si conclude con un proverbio sull’esito positivo del tempo,
nonostante le nubi nere sulla montagna.

Il matrimonio tra zio e nipote ogni tanto avviene nel mondo contadino, ma è un po' illecito. Era legale
ma criticato. Il romanzo è dominato dall'economia, dalla legge del profitto: si dice si ragiona in base
all'interesse e che ciò che viene fatto lo si fa solo per un tornaconto economico: tutti quanti i
personaggi ragionano in questa ottica. Sempre si è creduto che il romanzo avesse questa impostazione
e che tutti i personaggi fossero mossi da questa “sete di denaro”, voglia di accaparrarsi sempre più
ricchezze.
Tuttavia, recentemente Riccardo Castellana ha messo in evidenza un’altra prospettiva. Sostiene che
in realtà si confrontano due forze nel romanzo e che di fatto questo avviene sempre nella società. Le
due forze sono:
1. Capitale economico.
2. Capitale simbolico.

Questi sono due termini che appartengono alla sociologia (sono due termini del sociologo e
antropologo francese Pier Bourdieu): la realtà non è solo dominata dall'economia (come proponeva
la tesi marxista più classica), ma c’è anche il capitale simbolico.
Il Capitale simbolico dice che posso anche fare affari ma se i miei comportamenti gettano discredito
sulla mia persona arrivo ad un punto in cui la gente non fa più affari con me. L’ottica è “non posso
perdere tutta la faccia”, non si può perdere questo Capitale simbolico, altrimenti si perde anche quello
economico.
Lo zio Crocifisso deve tenere conto di questo: se sposasse la nipote tutti sparlerebbero di lui cosa che
fino ad un certo punto gli va anche bene, ma non si può andare troppo oltre perché se fosse
completamente screditato ne avrebbe danno ai profitti economici. Quindi queste malelingue che
sparlano possono condizionare l'agire dei personaggi. Tutti possono fare delle “marachelle”, ma senza
sorpassare un limite.
Questo ci spiega anche perché 'Ntoni se ne va alla fine del romanzo, nonostante Alessi lo inviti a
rimanere, questo perché è stato in galera cinque anni, è un pregiudicato, ha perso il suo capitale
simbolico ad Aci Trezza: nessuno lo sposerà lì, non ha più un futuro lì, può fare solo il “fratello di
Alessi” e la sua presenza avrebbe creato un danno ad Alessi stesso. Hanno perso il loro capitale
simbolico anche i Malavoglia – se ‘Ntoni se ne va non parleranno più di lui, e quindi Alessi potrebbe
smettere di “pagare” questa perdita di capitale simbolico.
‘Ntoni adesso ha capito, sarebbe pronto a lavorare di buona voglia, ha capito che il mondo antico è
migliore, il mondo moderno non è arricchimento facile. Gli piacerebbe tornare ma non può più farlo:
torna troppo tardi, la sua presa di coscienza e il suo pentimento arriva quando ormai non può più
risolvere i problemi creati.

 Il capitale economico è preponderante ma non si può superare questo limite, perdere il capitale
simbolico (sono collegati).
•Lo zio Crocifisso non sposa la Vespa perché non gli conviene secondo Piedipapera: la sposa in
cambio di cosa? Lei non ha nulla.

I tre proverbi "meteorologici"


•Padron Cipolla si offende: si gonfia come un tacchino. I tacchini si gonfiano quando sono aggressivi:
è come se qualcuno stesse insultando le sue vigne, che sono vicine a quelle della Vespa (dicendo che
lei non ha che poco). In effetti poi, nelle battute successive, si difende la sua vigna (si appella proprio
a San Francesco, sperando che faccia piovere).
•Il sole si corica insaccato = si vede ma è offuscato dalle nuvole. A questo punto ci vengono proposti
tre proverbi sempre relativi alla stessa condizione meteorologica.
1. Padron Cipolla dice che ci si aspetta l'acqua, positivamente, perché vorrebbe la pioggia per le
sue vigne.
2. Padron 'Ntoni dice che ci si aspetta il vento di ponente, “vento in poppa” per la Provvidenza,
così che possa raggiungere rapidamente il capo dei mulini, il passaggio critico che deve fare
la nave per andare a riposto. Se la nave passa quella zona prima di mezzanotte Bastianazzo
riuscirà ad arrivare a riposto tranquillamente.
3. Piedipapera non sopportava lo "sputa sentenze" di Padron Cipolla: siccome è ricco pensa di
essere saggio, cosa che non è secondo Piedipapera. Anche lui ci consegna il suo proverbio:
dobbiamo considerare che non è interessato né alla vigna né alla barca, per lui infondo non
cambia nulla se il tempo è buono o meno (potrebbe essere più credibile in questo senso). Dice
che essendo il mare crespo (cosa che abbiamo visto – la Provvidenza barcollava come
un'anatra sul mare), il vento sarà fresco. Questo proverbio non dice nulla. Poi aggiunge che le
stelle sono lucenti, e dice che cambierà il tempo a mezzanotte: quando il cielo è terso cambia
il vento.

La mezzanotte è un orario importante: qui si gioca il destino della Provvidenza.

I proverbi si prestano agli interessi di ciascuno: ognuno sceglie quello che fa comodo. Questi proverbi
esprimono saggezza? Sono, come vuole l'immaginario contadino, cose sagge: “il motto degli antichi
che mai mentì” diceva nel primo capitolo Padron 'Ntoni. Quello che dice Padron 'Ntoni tuttavia non
si realizza, il tempo non sarà favorevole. Verga è scrittore colto, crede nella scienza (siamo nel
positivismo), ma nel mondo contadino si crede alla presunta saggezza popolare che non esprime
verità: si affidano al fatto che c'è il Sole velato, e al proverbio relativo. Verga sa che ci sono scienze
che studiano i fenomeni atmosferici, lo scrittore non crede ai proverbi; tuttavia il narratore sì, e su
essi si basa, come gli altri abitanti. Noi che leggiamo, così come il lettore colto, abbiamo diffidenza
rispetto a questi proverbi.

C'è la saggezza popolare ma sempre legata ad una mentalità contadina. Qui i vecchi sono più saggi
dei giovani, sanno più cose. Oggi invece è saggio chi ha studiato di più, e talvolta gli anziani hanno
perso credibilità, mentre lì (nel mondo contadino) se volevi sapere qualcosa sulle barche dovevi
chiedere all'anziano, che ne sapeva sempre di più, aveva maggiore esperienza. Però questo mondo
contadino sta entrando in contatto con la modernità e va in crisi.
Sulla strada si udivano passare lentamente dei carri. – Notte e giorno c’è sempre gente che va
attorno per il mondo, osservò poi compare Cipolla. E adesso che non si vedeva più né mare né
campagna, sembrava che non ci fosse al mondo altro che Trezza, e ognuno pensava dove potevano
andare quei carri a quell’ora. – Prima di mezzanotte la Provvidenza avrà girato il Capo dei
Mulini, disse padron ‘Ntoni, e il vento fresco non le darà più noia. Padron ‘Ntoni non pensava ad
altro che alla Provvidenza, e quando non parlava delle cose sue non diceva nulla, e alla
conversazione ci stava come un manico di scopa. – Voi dovreste andare a mettervi con quelli della
spezieria, che discorrono del re e del papa; gli diceva perciò Piedipapera. Colà ci fareste bella
figura anche voi! li sentite come gridano? – Questo è don Giammaria, disse il figlio della Locca,
che litiga collo speziale.

•Rumore dei carri = evoca posti lontanissimi quando sembra esistere solo Aci Trezza, soprattutto
quando cala la notte.

 Nella novella Fantasticheria (che in certi aspetti anticipa i Malavoglia) Verga dice che
dobbiamo farci piccini, dobbiamo entrare nella mentalità che non esista nulla ad eccezione di
Aci Trezza (proprio questa è la concezione dei suoi abitanti).

•Padron 'Ntoni spera che prima di mezzanotte la Provvidenza aggiri il Capo dei Mulini, così che la
navigazione (superato quella zona di incertezza), possa continuare tranquillamente.
•Quando non parlava delle cose sue non diceva nulla = Padron ‘Ntoni non partecipava alla
conversazione, stava come un manico di scopa. Questo non dire nulla lo abbiamo già incontrato a
proposito di Maruzza, di Bastianazzo. Ormai sappiamo che il fatto che non dica nulla significa che è
preoccupato. Forse non è poi così sicuro dei suoi pronostici, le parole di Padron Cipolla e di
Piedipapera lo hanno messo in guardia. Sa che la responsabilità è sua perché lui ha scelto di
concludere questo affare e di far partire la barca.

Stiamo assistendo al primo cambio di scena del capitolo: siamo davanti alla chiesa dove c'è un gruppo
di conversazione. Mentre loro parlano qualcuno dice a Padron 'Ntoni che dovrebbe andare a discutere
"del re e del Papa" (ovvero di politica). Piedipapera ha sentito gridare dalla spezieria (l’antica
farmacia): se qualcuno gridava da lì lo si sentiva, e lì c'era un altro gruppo di conversazione. È buio,
non si vede nulla (di base non sappiamo se di giorno si vede la spezieria dai gradini della chiesa, ma
a maggior ragione, essendo notte, non si vede nulla), tuttavia sentono e riconoscono don Giammaria,
che litiga con lo speziale (spesso li troviamo a litigare, come un ritornello, perché l'uno è
filoborbonico e l'altro è repubblicano). In questo mondo non sono abituati a parlare con chi la pensa
come loro ma con chi la pensa al contrario. C'è una sintonia: l'uno e l'altro non possono fare a meno
di litigare, di discutere sempre sugli stessi argomenti. Noi tendiamo a confrontarci solamente con chi
la pensa come noi, e se litighiamo con qualcuno o non parliamo più con costui o non parliamo di
quell'argomento, invece loro continuamente discutono (non ne possono fare a meno). I personaggi
sentono questa conversazione e noi, grazie all'udito, ci spostiamo, spinti dall'onda dell'udito, verso
quest’altro punto di ritrovo.

Lezione 10 Marzo
Lo speziale teneva conversazione sull’uscio della bottega, al fresco, col vicario e qualchedun altro.
Come sapeva di lettere leggeva la gazzetta, e la faceva leggere agli altri, e ci aveva anche la Storia
della Rivoluzione francese, che se la teneva là, a portata di mano, sotto il mortaio di cristallo,
perciò quistionavano tutto il giorno con don Giammaria, il vicario, per passare il tempo, e ci
pigliavano delle malattie dalla bile; ma non avrebbero potuto stare un giorno senza vedersi. Il
sabato poi, quando arrivava il giornale, don Franco spingevasi sino ad accendere mezz’ora, ed
anche un’ora di candela, a rischio di farsi sgridare dalla moglie, onde spiattellare le sue idee, e
non andare a letto a mo’ dei bruti, come compare Cipolla, o compare Malavoglia. L’estate poi non
c’era neppur bisogno della candela, giacché si poteva star sull’uscio, sotto il lampione, quando
mastro Cirino l’accendeva, e qualche volta veniva don Michele, il brigadiere delle guardie
doganali; e anche don Silvestro, il segretario comunale, tornando dalla vigna, si fermava un
momento.

Il cambio di scena, Zola e l'impersonalità


È cambiata la scena: è uno dei passaggi più critici per Verga cambiare le scene perché vige la teoria
dell'impersonalità. Si propone la scomparsa del narratore, vorrebbe che l'opera paia farsi da sé.
Quella dell'impersonalità era una teoria che circolava all'epoca in Europa, molti si facevano promotori
di questa teoria, non solo in Francia e in Italia. Sicuramente i modelli per questa teoria erano i francesi
Flaubert, Zola.
Ci sono diverse lettere che Verga scrive ai suoi amici (Capuana, Felice Camerini, Guido Mazzoni) in
cui a volte si dice entusiasta di Zola, a volte il contrario.
Zola aveva scritto l'Assommoir, che in italiano si traduce come l'Ammazzatoio, cioè il macello, il
luogo dove si ammazzano a colpi di bastone gli animali. Si allude però alla questione operaia: i
protagonisti sono questi lavoratori trattati molto male ed infatti il romanzo è costruito con il punto di
vista degli operai. Zola usa modi di dire, espressioni verbali e quindi coglie un meccanismo che
interessa a Verga. Nella corrispondenza con Capuana entrambi mostrano la loro contentezza
relativamente ai romanzi di Zola.
In altre lettere, tuttavia, Verga critica l'autore francese perché sostiene che egli non abbia portato fino
in fondo l'impersonalità. Dove fallisce Zola secondo Verga nell'impersonalità? Zola non
rinuncia a due elementi, soprattutto uno dei due, che secondo l'autore italiano erano fondamentali.

 Non sempre Zola rinuncia alla descrizione del personaggio preliminarmente: ci dice qualcosa
e si vede che la voce non è più quella del narratore (che fa parte dell'opera) ma dell'autore.
Questa cosa in Verga non avviene: egli fa un ritratto a più voci di un personaggio. Quando ad esempio
descrive Don Franco pare che parli un po' il personaggio stesso (lui è quello che legge gazzette, è
colto), ma poi ci sono le voci più malevoli su di lui, quelle del popolo (che dice che Don Franco
accende la candela di nascosto dalla moglie e questo è tipico dello sparlare del paese: c'è ironia su
questo personaggio che fa tanto il rivoluzionario ma che di fatto è un po' suddito anche in famiglia).
Verga riesce a presentare i personaggi tramite le voci del paese, da un narratore che ha quella
mentalità, giudica e riconosce quei personaggi alla sua maniera. Zola non sempre fa così.

Un'altra cosa che Zola ancora più spesso fa, e che Verga rimprovera, è che fa descrizioni dell'ambiente
(non tanto del paesaggio quanto dell'ambiente in cui poi i personaggi si ritroveranno a muoversi). Ad
esempio, se ci introduce in una cittadina ci dice le condizioni economiche del luogo, che popolazione
c'è, e così via. Ci presenta il quadro delle scene, scene che poi saranno narrate in maniera impersonale.

 Viene detto che tutti gli scrittori europei sono aspiranti sociologi. Verga, che scrive racconti
che parlano delle condizioni del mondo contadino, fa anche il sociologo.

Ci sono, in questo periodo storico, i primi scrittori che ci dicono com'è costruita realtà: il verismo, il
realismo, si proponevano di fare uno studio delle condizioni di vita degli abitanti, di indagare il
territorio.
 Verga, però, vuole nascondere la prospettiva del sociologo.

Rimprovera Zola, sostenendo che abbia descritto come sono fatti i luoghi a priori, senza lasciare che
si "descrivessero da soli", cosa che invece lui fa: com'è fatta Aci Trezza non possiamo dirlo con
precisione – sappiamo che c'è una strada vecchia, non solo sterrata ma con dei sassi, lastricata;
sappiamo che è un paesino sul mare, abbiamo visto che ci si può allontanare fino alla sciara; sappiamo
che c'è un lavatoio con le barche. Abbiamo informazioni sugli scorci ma non ci fa una foto d'insieme.
È come se avessimo tanti dettagli, tanti piccoli scatti (lì dove con Verga abbiamo gli scalini della
chiesa, Zola avrebbe descritto la chiesa di Aci Trezza – Verga ha messo sugli scalini i suoi
personaggi).
 È come se usasse delle metonimie (= parte per il tutto). Gli scalini sono un particolare di Aci
Trezza, ci basta sapere che c'è un lavatoio, che ci sono dei gradini, che la strada vecchia ha
dei sassi.
Questo paesaggio appartiene ai personaggi che non hanno bisogno di descriverselo e descriverlo a
chi ascolta la narrazione, che è pure di Aci Trezza. Verga vuole creare questa situazione,
immedesimarsi, ci tratta come se fossimo di Aci Trezza. A noi lettori la "strada nera" non dice nulla,
mentre tutti gli abitanti di lì sanno qual è. La scelta che fa Verga è di narrare il paese sempre dal punto
di vista dei suoi abitanti.

Parimenti, non sappiamo quali siano le condizioni economiche del paese: i naturalisti o anche Zola ci
avrebbero detto qualcosa in merito. In questo caso, a questa altezza del romanzo, sappiamo che c'è
chi ha la vigna, che c'è chi ha la chiusa (ed è già un piccolo status in questo paese, ha un suo valore
economico), che c'è chi va a giornata in questo paese. È evidentemente un paese povero: il più ricco,
lo zio Crocifisso, ha 200 onze; padron Cipolla è ricco perché ha quattro un appezzamento che talvolta
viene definito "fichi d'India" e una barca. La ricchezza si misura in un altro modo rispetto a quella
che poteva essere di Milano, ma questo lo apprendiamo mano a mano che leggiamo, non a priori.

Come si fa a passare dalla descrizione di una scena da una parte a quella di un'altra? Generalmente
il narratore ci comunica questo spostamento, ad esempio dicendo "nel frattempo di là stava
succedendo quest'altra cosa" Questo cambio di scena è brusco ed esibisce una regia. Ma in questo
caso il racconto è spostato dall'interno, noi siamo insieme ai personaggi, per cui proprio noi, insieme
ai personaggi che stanno ascoltando, vediamo questa scena che si sposta. È un passaggio
impercettibile, con un artificio che troviamo spesso in Verga.
 Due chiacchierano e viene nominato un personaggio, e subito sappiamo altro su questo
personaggio: senza accorgercene la scena si è spostata.

A Verga dava fastidio che i passaggi di scena fossero irruzione dell'autore, che ci fosse distanza tra
autore, lettore e testo: chi fa un quadro sociologico si mostra superiore, produce distanza tra sé e chi
legge perché ne sa di più, e Verga non vuole questa impressione.
 Con Verga la prospettiva è sempre interna; in Zola lo è spesso, a volte però secondo Verga gli
sfuggono dei passaggi, c'è un 2% in cui l'autore viene fuori.

Questo gli dispiace perché distanzia dal racconto, perché questi inserti di autore sono per lui meno
artistici.

"Questo è don Giammaria che litiga con lo speziale", e dopo dice subito "lo speziale" per raccontare
qualcosa su questo personaggio. C'è l'udito, ci si sposta per udito: si sentono le parole e ci si sposta
tant'è che l'ultimo termine del paragrafo è "lo speziale", che è il primo del paragrafo successivo. C'è
la ripresa, la concatenazione.
 Lanci dice che è la concatenazione questo artificio: si crea legame tra le varie parti del
romanzo. Se si parla dello speziale poi egli appare, non solo perché si parla di lui ma perché
poi si aggiunge anche l'elemento dell'udito (lo si sente) che ne giustifica l'apparizione.

La spezieria è l'altro luogo che impariamo a conoscere. Il personaggio viene anche stavolta presentato
con le metonimie, ne cogliamo qualche sfumatura, qualche accenno. Sappiamo già che è un
repubblicano, che è sul fronte opposto rispetto a Don Giammaria. Apprendiamo che si presenta come
colto, come chi sa leggere, cosa che dice con un indiretto libero.

 Prendersi delle malattie dalla bile = modo di dire.


 Non avrebbero potuto stare un giorno senza vedersi = siamo passati ad un altro indiretto
libero, un pettegolezzo di qualcun altro.
 A mo’ dei bruti, come compare Cipolla, o compare Malavoglia = chi lo pensa? Lo speziale,
che è colto, dice che loro sono bruti, questo perché non sanno leggere e scrivere. Abbiamo già
visto che in generale l'opinione su compare Cipolla non è così positiva nel paese (era stato
definito uno sputa sentenze da Piedipapera).
 Don Michele = ora si chiarisce che è il brigadiere delle guardie doganali, e capiamo che ci
sono queste guardie che controllano le merci che entrano ad Aci Trezza (quindi sappiamo che
c'è un porticciolo). La questione della dogana sarà importante in seguito.
 Don Silvestro e Don Michele sono quelli che si aggiungono di tanto in tanto alle conversazioni
abituali, tenute da Don Giammaria e Don Franco. Questi costituiscono una sorta di élite del
paese, sono i "pezzi grossi" (abbiamo visto che sono loro quelli a cui rivolgersi in caso di
necessità).

Allora don Franco diceva, fregandosi le mani, che pareva un piccolo Parlamento, e andava a
piantarsi dietro il banco, pettinandosi colle dita la barbona, con certo sorriso furbo che pareva si
volesse mangiare qualcuno a colezione, e alle volte si lasciava scappare sottovoce delle mezze
parole dinanzi alla gente, rizzandosi sulle gambette, e si vedeva che la sapeva più lunga degli altri,
tanto che don Giammaria non poteva patirlo e ci si mangiava il fegato, e gli sputava in faccia
parole latine. Don Silvestro, lui, si divertiva a vedere come si guastavano il sangue per raddrizzare
le gambe ai cani, senza guadagnarci un centesimo; egli almeno non era arrabbiato come loro, e
per questo, dicevano in paese, possedeva le più belle chiuse di Trezza, – dove era venuto senza
scarpe ai piedi – aggiungeva Piedipapera. Ei li aizzava l’un contro l’altro, e rideva a crepapancia
con degli Ah! ah! ah! che sembrava una gallina. – Ecco don Silvestro che fa l’uovo, osservò il figlio
della Locca. – Don Silvestro fa le uova d’oro, laggiù al Municipio, rispose Piedipapera. – Uhm! –
sputò fuori padron Fortunato – pezzenterie! comare Zuppidda non gli ha voluto dare la figliuola. –
Vuol dire che mastro Turi Zuppiddu preferisce le uova delle sue galline; rispose padron ‘Ntoni. E
padron Cipolla disse di sì col capo. «’Ntroi ‘ntroi, ciascuno coi pari suoi», aggiunse padron
Malavoglia.

 Il punto di vista deforma il personaggio: la sua risata sembra quella di una gallina e subito c'è
un personaggio che fa riferimento a questo.
 Un piccolo parlamento = un saggio scritto sui Malavoglia si chiama così. Questo è un paese
di pettegolezzi, di discussioni, dove si chiacchiera, di liti verbali, dove la parola conta
moltissimo, anche se spesso mente. La definizione data appartiene a Don Franco che è
parlamentarista.
 Abbiamo nuove informazioni anche su Don Silvestro = si costruisce il profilo anche di costui.
Mano a mano si aggiungono dei dettagli, si arricchisce e si completa il ritratto. Alla fine il
personaggio avrà delle caratteristiche e le manterrà – ad esempio la barba: lui è la sua barba.
Il personaggio viene presentato con le sue caratteristiche, che sono metonimiche, ognuno ha
un dettaglio che lo identifica e questo dettaglio ritorna ogni volta che compare il personaggio,
come fosse un suo soprannome, quasi un suo secondo nome. Veniamo ora a sapere che
possedeva le più belle chiuse di Trezza, dove era venuto senza scarpe ai piedi, e lo scopriamo
dal maligno Piedipapera. Capiamo così che forse è più ricco di Padron Fortunato Cipolla.
Questo dettaglio dell'arricchimento di Don Silvestro ritorna più in là.
 Sembra una gallina = è seguito da un discorso diretto, quindi capiamo che è un questo citato
è un indiretto libero.
 Fa ricchezze al municipio = forse è un segretario comunale un po' corrotto. Don Silvestro
forse si è arricchito non solo con il suo lavoro, ma ha fatto anche qualcosa di illegale.

Eravamo passati dallo speziale, e ora siamo sui gradini, nuovamente. Il figlio della Locca sente la
risata: ed ecco che siamo ritornati al nucleo originario dei personaggi. C'è stato nuovamente un
cambiamento di scena.

 Non c'è solo la vista ma c'è anche l'ascolto, non sono solo guardoni ma questi personaggi
origliano pure.

 La Zuppidda è diffidente nei confronti di Don Silvestro: non vuole dare a lui la figlia per
sposarla, seppure egli sia ricco. Perché? Dobbiamo fare riferimento al capitale simbolico. Don
Silvestro non ha capitale simbolico perché è straniero, è un forestiero e non ragiona come gli
abitanti di Aci Trezza, che quindi lo guarda con un po' di diffidenza: è ricco ma non è del
paese.
 Vuol dire che mastro Turi Zuppiddu preferisce le uova delle sue galline = Le galline del paese,
vogliono non quelle straniere ma quelle conosciute, si fidano solo degli abitanti del paese.
 ‘Ntroi 'ntroi, ciascuno coi pari suoi = questo proverbio ha la cantilena. È un proverbio che
ricorda quello relativo al fare il mestiere che si sa. Qui allude anche al fatto che non bisogna
sposare un forestiero. Ci si può chiedere se Padron 'Ntoni sta cercando di far sposare qualcuno
alla pari, se quello di Mena sarà un matrimonio tra pari. C'era stata una parola per un
matrimonio tra Brasi Cipolla, figlio di Fortunato Cipolla e Mena Malavoglia, tra due padroni
di barche. Tuttavia alcuni obiettano che Fortunato Cipolla sia più ricco dei Malavoglia, e che
quindi non sia esattamente un matrimonio tra pari. Però è anche vero che le due famiglie
hanno la stessa mentalità facendo stesso lavoro, la stessa vita.

Piedipapera allora ribatté che se don Silvestro si fosse contentato di stare coi suoi pari a quest’ora
ci avrebbe la zappa in mano invece della penna.
• Don Silvestro si è arricchito, ha cambiato condizione sociale (diviene simbolo di modernità).

– Che ce la dareste voi vostra nipote Mena? disse alfin padron Cipolla volgendosi a padron ‘Ntoni.
• I dialoghi matrimoniali sono importanti: è come se Padron Cipolla e Padron 'Ntoni
discutessero e avessero quasi dei battibecchi su questo argomento.

– «Ognuno all’arte sua, e il lupo alle pecore». Padron Cipolla continuava a dir di sì col capo, tanto
più che fra lui e padron ‘Ntoni c’era stata qualche parola di maritar la Mena con suo figlio Brasi, e
se il negozio dei lupini andava bene, la Mena avrebbe avuto la sua dote in contante, e l’affare si
sarebbe conchiuso presto. – «La ragazza com’è educata, e la stoppa com’è filata», disse infin
padron Malavoglia, e padron Cipolla confermò che tutti lo sapevano in paese che la Longa aveva
saputo educarla la figliuola, e ognuno che passava per la stradicciuola a quell’ora udendo il
colpettare del telaio di Sant’Agata diceva che l’olio della candela non lo perdeva, comare Maruzza.
La Longa, com’era tornata a casa, aveva acceso il lume, e s’era messa coll’arcolaio sul ballatoio,
a riempire certi cannelli che le servivano per l’ordito della settimana. – Comare Mena non si vede,
ma si sente, e sta al telaio notte e giorno, come Sant’Agata, dicevano le vicine. – Le ragazze devono
avvezzarsi a quel modo, rispondeva Maruzza, invece di stare alla finestra. «A donna alla finestra
non far festa».

 Padron Cipolla continuava a dir di sì col capo = vediamo (visualizziamo) il personaggio,


meglio che se gli avesse fatto dire di sì.
 Se pensiamo alla questione relativa al matrimonio capiamo la fretta di Padron 'Ntoni di
procurare gli orecchini a Mena.
 Padron Malavoglia e Padron Cipolla si sfidano ancora con i proverbi, sebbene abbiano la
stessa idea a livello di matrimoni.
 Mena ha un certo capitale simbolico perché nell'opinione del paese è una brava donna, per
cui sarà un brava moglie. È un buon partito al di là della sua condizione economica.
 Tessitura = tipico lavoro contadino.
Ora siamo non più sui gradini della chiesa ma in un altro ambiente: avendo evocato Mena stiamo
passando all'universo femminile del paese, che ha altri spazi e altri luoghi. È ancora presente il solito
espediente narrativo molto utilizzato da Verga.
Abbiamo visto la Longa che è tornata a casa, siamo rientrati nella casa del Nespolo in maniera
discreta, senza che si sia mostrato l'autore in nessun modo, solo con l'evocazione.

 La Longa è sul ballatoio, Mena si mette a lavorare all'aria aperta dato che è settembre e il
tempo consente ancora di farlo.
 A donna alla finestra non far festa = è uno dei proverbi più diffusi nei Malavoglia, ed indica
che le donne non si devono far vedere alla finestra: questo proverbio viene discusso e
commentato e anche ribaltato, ripreso molteplici volte nel romanzo. I luoghi per farsi vedere,
o luoghi di corteggiamento dell'epoca erano la chiesa, durante la messa, e la finestra: un
giovane passava sotto l'abitazione della fanciulla e vedeva se ella si affacciava, lasciando
intendere un interesse ricambiato; così la fanciulla si affacciava per farsi vedere da chi
passava. Secondo questo proverbio chi sta troppo alla finestra pare non voglia lavorare.

– Certune però collo stare alla finestra un marito se lo pescano, fra tanti che passano; osservò la
cugina Anna dall’uscio dirimpetto. La cugina Anna aveva ragione da vendere; perché quel
bietolone di suo figlio Rocco si era lasciato irretire dentro le gonnelle della Mangiacarrubbe, una
di quelle che stanno alla finestra colla faccia tosta.
 La cugina Anna è sull'uscio dirimpetto = si stava davanti alla porta di casa con la sedia finché
non era ora di preparare la cena. Anche oggi nei paesi è usanza.
 Bietolone di suo figlio Rocco = il figlio della cugina Anna è un po' un tipo come 'Ntoni, è
sciocco (la bietola è una verdura, come il cetriolo).

-La questione linguistica


Citrolo fa parte del colore locale, come anche i proverbi hanno: possono rappresentare la Sicilia.
Pitrè, come abbiamo visto, scrive una raccolta di proverbi siciliani. Tuttavia, pare che la maggior
parte dei proverbi che ritroviamo siano tratti dal Dizionario toscano della lingua parlata di Fanfani,
ed è attestato che Verga lo possedeva.
L'autore voleva infatti utilizzare proverbi diffusi in Sicilia, identificativi della regione, e questo è il
colore locale: i proverbi sono di Aci Trezza (più in generale della Sicilia), però al tempo stesso devono
essere comprensibili per il pubblico italiano.

C'è una vecchia questione ancora oggi discussa da alcuni: perché i Malavoglia non scritti in dialetto?
Questi dialoghi non sono autentici, non sono i veri dialoghi che avrebbero fatto Padron Cipolla e
Padron 'Ntoni, i quali senza dubbio avrebbero parlato in dialetto (conoscendo solo quello – al più
questa è una lingua che avrebbe potuto utilizzare Don Franco, che sapeva leggere e scrivere).
 Però, noi che leggiamo, abbiamo l'impressione di un dialogo siciliano perché ha messo colore
locale e modi di dire nella narrazione.

In città sarebbero stati altri i modi di dire, non questi tipici del mondo contadino: si crea
un'impressione, quella di essere immerso nel mondo di Aci Trezza.

Alessio di Giovanni ha tradotto in siciliano i Malavoglia, ma nessuno ha letto l'opera in questo


formato. La versione non ebbe successo perché manca il pubblico: la letteratura ha bisogno del
pubblico, e in questo caso il pubblico avrebbe dovuto leggere e poi tradurre in italiano una lingua
che non conosceva, magari reinventato dei termini. Invece, leggendo il proverbio, magari molto
comune in Sicilia, si deve sì capire cosa vuol dire, ma ci si può arrivare, o magari quei proverbi o
alcuni simili erano registrati anche da altre parti.

Nella prima versione dei Malavoglia (quella che Verga definisce il "Bozzetto Padron 'Ntoni") c'erano
espressioni in siciliano segnalate un corsivo. Poi decise di eliminarle e mantenne al massimo quel
"'ntroi", che è tipico della Sicilia ma si capisce anche da altre parti.

Il problema in che lingua bisogna parlare nelle opere è presente anche nel film ispirato al romanzo di
Verga, La Terra Trema, realizzato da Visconti. Qui i pescatori parlano in siciliano, ma sono presenti
i sottotitoli, che ovviamente Verga non poteva aggiungere alla sua opera. Visconti accusava Verga di
non aver fatto parlare nella loro lingua i pescatori di Aci Trezza.

Il primo grande critico di Verga, Luigi Russo, ha scritto un saggio sulla lingua dei Malavoglia e diceva
che l'autore usava forme dialettali della lingua, ma non dialetto: con queste forme dialettali riproduce
qualcosa, ci fa sentire il fatto che l'ambientazione è siciliana.
 Spesso Verga riproduce la sintassi del dialetto.

Verga fu accusato da Edoardo Scarfoglio (che frequentava gli ambienti romani, di cui faceva parte
ad esempio anche D’Annunzio) di scrivere in maniera sgrammaticata, dicendo che Verga era uno
scrittore che non sapeva scrivere. In un clima in cui c'è Carducci, in cui si è abituati alla lingua
sofisticata della poesia, presa molto più in considerazione del romanzo (all'epoca era la poesia a farla
da padrone, mentre oggi, entrando in una libreria, vediamo molti più romanzi rispetto alla produzione
poetica), era fortemente richiesto un certo registro linguistico.

Verga invece introduce qualcosa che non appartiene alla lingua scritta, cosa che ad alcuni
"bacchettoni" appariva dialetto italianizzato, una lingua lontana da quella che poi i parlanti parlano.
Bisognava inventare una lingua per far parlare i personaggi che fosse più vicina alla lingua reale:
bisogna inserire tanti modi di dire, perché così ci si avvicina alla lingua parlata.

 La cugina Anna aveva fatto una certa osservazione e subito si dice che ella aveva ragione da
vendere: c'è qualcuno che sta rispondendo alla cugina Anna. C'è qui lo stile indiretto libero.
 Ci siamo spostati prima dagli scalini della chiesa alla spezieria, mentre ora siamo nel vicolo
dove c'è la casa del Nespolo.
 Viene detto che le ragazze che stanno alla finestra hanno la "faccia tosta".

Comare Grazia Piedipapera, sentendo che nella strada c’era conversazione, si affacciò anch’essa
sull’uscio, col grembiule gonfio delle fave che stava sgusciando, e se la pigliava coi topi che le
avevano bucherellato il sacco come un colabrodo, e pareva che l’avessero fatto apposta, come se ci
avessero il giudizio dei cristiani; così il discorso si fece generale, perché alla Maruzza gliene
avevano fatto tanto del danno, quelle bestie scomunicate! La cugina Anna ne aveva la casa piena,
da che gli era morto il gatto, una bestia che valeva tant’oro, ed era morto di una pedata di compare
Tino. – I gatti grigi sono i migliori, per acchiappare i topi, e andrebbero a scovarli in una cruna di
ago.

 Il discorso si fece generale = le donne del vicolo discutono, si affacciano davanti alle loro
case. Il loro è uno spazio più ristretto ma pur sempre pubblico, dove si fa conversazione.
 Da che è morto il gatto = sono le parole di Anna.
 I trattini sono usati per indicare che si passa da un discorso indiretto libero al discorso diretto.
-L’uso dei tempi
Nel discorso indiretto libero abbiamo uno stile che è narrativizzato e si usa qui l'imperfetto
L'imperfetto, insieme al passato remoto, è il tempo della narrazione per qualsiasi romanzo (sia esso
ambientato nel passato, nel futuro, dispotico).

Una teoria sull'uso dei tempo è quella di Harald Weinrich, linguista tedesco che ha scritto Tempus
- Le funzioni dei tempi nel testo. Egli è un linguistica testuale che vuole sovvertire alcune tesi che si
basano sulla frase. Se analizziamo una frase troviamo rapporti grammaticali al suo interno, tra le varie
parti; però se la frase è nel contesto più ampio cambiano i significati e si può costruire una
grammatica testuale che è diversa.
Al contrario rispetto al romanzo abbiamo il commento, che invece vuole il tempo presente. Allo stesso
modo il riassunto, che predilige il presente, come il commento. Per cui, se ad esempio dovessimo fare
un riassunto dei Promessi Sposi diremmo "i bravi fermano Don Abbondio", sebbene nel romanzo
potrebbe essere un "fermarono".

Nei dialoghi, invece, si utilizza il presente.

– Ai gatti non conveniva aprire l’uscio di notte, perché una vecchia di Aci Sant’Antonio l’avevano
ammazzata così, che i ladri le avevano rubato il gatto tre giorni avanti, e poi glielo avevano
riportato mezzo morto di fame a miagolare dietro l’uscio; e la povera donna non sentendosi il
cuore di lasciar la bestiola sulla strada a quell’ora, aveva aperto l’uscio, e così s’era ficcati i ladri
in casa. Al giorno d’oggi i mariuoli ne inventano di ogni specie per fare i loro tiri; e a Trezza si
vedevano delle facce che non si erano mai viste sugli scogli, col pretesto d’andare a pescare, e
arraffavano la biancheria messa ad asciugare, se capitava. Alla povera Nunziata le avevano rubato
in quel modo un lenzuolo nuovo. Povera ragazza! rubare a lei che lavorava per dar pane a tutti
quei fratellini che suo padre le aveva lasciato sulle spalle, quando l’aveva piantata per andare a
cercar fortuna ad Alessandria d’Egitto! – Nunziata era come la cugina Anna, quando l’era morto il
marito, e le aveva lasciato quella nidiata di figliuoli, che Rocco, il più grandicello, non le arrivava
alle ginocchia. Poi alla cugina Anna le era toccato di tirar su quel fannullone per vederselo rubare
dalla Mangiacarrubbe.

Si ripassa all'imperfetto (abbiamo abbandonato il discorso diretto), ma abbiamo sempre qualcuno che
risponde.
 Aci Sant’Antonio = ci sono tanti "Aci" nel romanzo, in questo caso c'è Sant'Antonio ma
abbiamo anche incontrato Aci Reale, ad esempio.
 Si entra anche nel mondo della leggenda, quando si fa riferimento a questi ladri, che entrano
nelle case. Noi non sappiamo se le cose raccontate sono vere o meno (ci viene detto che
rubavano i panni).
 Nunziata = sappiamo qualcosa sul suo conto. C'è qualcosa che viene ora detto, è povera, ha
tanti fratellini che il padre le ha lasciato da curare dato che è andato ad Alessandria.
Questo posto appare lontanissimo, quasi fosse un luogo mitologico. Lì si lavorarla per la
costruzione del canale di Suez e infatti tanti italiani erano andati lì a lavorare: ecco perché l'Egitto
compare in tanti modi di dire.
 Nunziata era come la cugina Anna. Anna ha perso il marito, che le ha lasciato i figli a cui
badare, e il più grande è Rocco.

In queste pagine cominciamo ad avere informazioni sui personaggi, che diventano sempre più
numerosi. Il lettore che non si è soffermato sui dettagli viene confuso perché è un costellarsi di
personaggi, nuovi e vecchi (che ricompaiono). Ma Verga era consapevole di questo: lo aveva fatto
appositamente.
 Egli crede che il lettore deve essere proiettato nell'ambiente come se lo conoscesse già.

Arrivati a questo punto possiamo chiederci: ma la Provvidenza? Che fine ha fatto? Siamo entrati nei
pettegolezzi del paese e ci siamo dimenticati che abbiamo lasciato la barca in mare senza sapere il
suo destino. Verga ci sta facendo un quadro ambientale che Zola avrebbe fatto preliminarmente, e lo
sta costruendo attraverso varie voci, senza che noi ce ne accorgiamo e distogliendo dalla trama
principale. Ce ne siamo dimenticati, ma la barca tornerà con il suo tema: come deve essere torna alla
fine del capitolo, così da creare maggiore suspense.

La Provvidenza è evocata a inizio capitolo, è riapparsa con le parole di Padron 'Ntoni e non ce ne
siamo nemmeno accorti che è già da un po' che non viene trattata.

Lezione 15 Marzo
-Lo stile indiretto libero
Lo stile indiretto libero nei Malavoglia non è mai chiaro perché non ci sono dei segnali distinguibili.
Ci sono alcuni elementi che ci fanno dire se esso è presente o meno (modi di dire, puntini sospensivi
e così via) però è discrezionale decidere se c’è o meno lo stile indiretto libero: è il nostro libero
arbitrio a dirci se quello che troviamo può essere considerato indiretto libero o meno.
 Verga applica questo stile in modo molto estremo.
 Talvolta lo ritroviamo anche in Manzoni.
Questo visto è uno dei passi più citati del romanzo, soprattutto da chi ha fatto un’analisi linguistica
dei Malavoglia, ovvero gli studi sulla lingua del romanzo: sono studi importanti in quanto Verga
sperimenta dando vita ad una lingua molto originale. Egli riesce a trascrivere il dialetto nella lingua
della scrittura: non si tratta di trascrivere però semplicemente la lingua parlata. Abbiamo infatti usato
l’espressione colore locale è espressione abusatissima durante il verismo, da Verga, Capuana (teorici
di questo movimento).

Questa espressione ha una sua storia: è stata utilizzata anche in epoca romantica e da Goldoni, che
scrive un’importante opera teatrale dal nome Le baruffe chiozzotte (= Chioggia è borgo di pescatori
vicino a Venezia), scritte in dialetto di Chioggia. Molte commedie di Goldoni sono scritte in
veneziano (non tutte, ma molte). In questo caso viene scritta invece in questo dialetto, quello di
chioggia, così da assaporare ciò che dicevano i pescatori, i quali parlavano un po’ come i campagnoli
quando vengono in città, parlavano cioè una lingua curiosa (che faceva ridere). Uno dei personaggi
più iconici e ironici della commedia, soprattutto a Venezia, è Arlecchino, che in origine non è altro
se non la maschera del bergamasco. Arlecchino è il classico facchino, e come tutti i facchini di
Venezia era bergamasco (erano emigranti, non erano esattamente di Bergamo, ma di zone limitrofe,
di montagna – ce n’erano anche a Genova, a Livorno). Queste persone parlavano una lingua un po’
strana e per questo erano diventati personaggi da commedia (Arlecchino = facchino, servitore di
qualche padrone, spesso un portabagagli, in tante commedie scambia i bauli, come Arlecchino in Il
servitore di due padroni, che è una commedia di Goldoni).

Goldoni voleva caratterizzare questa commedia ambientata a Chioggia con il colore locale: nella
prefazione dice che la commedia doveva avere il sapore di quel borgo e alla fine riporta un dizionario
contenente delle espressioni presenti nelle commedia.

Spesso si dice che Verga abbia un po’ inventato il mondo dei pescatori. Di mondo contadino ce n’è
tanto nella letteratura, non presentato alla maniera di Verga, ma sicuramente presente a causa di
diverse tradizioni, ad esempio quella romantica: c’erano contadini in miseria, che vivevano di stenti.
Erano storie patetiche, lacrimevoli, un po’ come Nedda, novella di Verga che appartiene ancora in
buona parte a questa tradizione e dovevano suscitare un po’ pietà e commozione del pubblico
borghese e incentivare qualche rivolta sociale. Questo era tipico dei romantici, che realizzavano
novelle rusticane (questo genere era molto praticato anche dalle donne, era costume della nobiltà
ottocentesca femminile che si interessava di queste problematiche sociali in un modo che oggi
definiremmo di volontariato, beneficenza – pensiamo a Caterina Percoto, scrittrice che realizza
racconti rusticani).

Questo filone è stato praticato da Verga: il suo primo romanzo, storia di una Capinera, si presenta
come una lettera prefazione di Francesco Dall’Ongaro, scrittore che frequentava questi ambienti
romantici che aveva scritto delle novelle rusticane e che era stato uno dei promotori di Verga, lo aveva
scoperto a Firenze quando lì Verga si era trasferito.
Francesco Dall’Ongaro introduce questo romanzo di Verga, che non è ancora naturalista come lo
sarebbero stati i Malavoglia. Esso parla di una monacazione forzata, un po’ come quella di Gertrude
dei Promessi Sposi. In questo romanzo c’è una prefazione di Francesco Dall’Ongaro che scrive
proprio a Caterina Percoto, la scrittrice più famosa di questi racconti rusticani, a cui raccomanda
questo romanzo. In un primo momento quindi Verga si inserisce in questo filone.

 Tuttavia, da questo racconto contadino di fino Ottocento Verga poi si distacca.

Nel racconto contadino dell’Ottocento si inizia a dare una certa attenzione alla condizioni delle classi
disagiate. Pensiamo anche ai Promessi Sposi: questo romanzo passa per essere quello in cui
finalmente vi era stata l’introduzione nella grande letteratura in modo serio degli umili. Fino a
quel momento, infatti, i più poveri erano stati rappresentati solo nelle commedie, la loro condizione
sociale non era stata presa sul serio ma sbeffeggiata. Ora la situazione cambia, e il mondo contadino
viene ampiamente rappresentato.
Per quanto riguarda il mondo dei pescatori, la situazione è diversa: la letteratura non ne ha mai parlato.
Quindi, in questo senso, i Malavoglia paiono essere una “prima volta” (in greco si direbbe “hàpax”).
Invece, troviamo nelle baruffe chiozzotte i due protagonisti maschili che si chiamano Padron Cipolla
e Padron ‘Ntoni, e sono due proprietari di barche, due pescatori di Chioggia. Forse Verga si è
richiamato a questa tradizione e lì ha trovato questa ricerca linguistica: decide di far parlare questi
pescatori con la lingua del loro territorio, naturalmente con tutte le correzioni necessarie affinché la
lingua fosse comprensibile ad un popolo italiano, non dialettofono.
Anche lì, poi, ci sono molti proverbi che rimandano al mondo dei pescatori, molti paragoni con i
pesci, con la pratica del lavoro di pescatore. Questo per dire quanto anche l’aspetto linguistico sia
fondamentale e quanto questo II capitolo, e in particolare il passo che segue, sia stato importante per
alcune letture critiche, che hanno usato questo capitolo per mostrare l’idea di coro.

-Il coro
Il coro dei Malavoglia è un’espressione già utilizzata da Luigi Russo, ed è una parole che si è
affermata soprattutto dopo un saggio degli anni ’50 che s’intitola L’originalità della narrazione nei
Malavoglia, di Leo Spitzer, linguista austriaco, che parla di coro di parlanti popolari semi-reale.
Ha analizzato questo capitolo e questi dialoghi fra le donne (e prima tra gli uomini) per capire in cosa
consiste questo coro di parlanti popolari.

 Perché coro di parlanti popolari? Perché è costituito da persone popolari.


 Perché semi-reale? Perché in parte è attribuibile ai personaggi, in parte è una voce interna un
po’ anonima, come se ci fosse qualcuno di meno reale a parlare (il narratore).

Forse nei Malavoglia non c’è proprio questo aspetto del coro: la problematica nasce proprio attorno
al concetto di coro: cos’è un coro musicale? È un gruppo di persone che parlano all’unisono, tutti
dicono la stessa cosa contemporaneamente.
Il coro dei Malavoglia ci dà l’impressione che tutti parlino all’unisono esprimendo la mentalità del
paese. Nel romanzo però ognuno si esprime un po’ diversamente, spesso le persone si contraddicono.

In un coro musicale ci si può contraddire? Può esserci il contrappunto? Può esserci un coro polifonico,
e quello dei Malavoglia potrebbe esserlo, come coro in cui si alternano diverse voci che però non
dicono la stessa cosa. Tuttavia, quello del romanzo non è nemmeno un coro polifonico perché non
dicono le stesse cose.
Secondo alcuni critici si può dire che i personaggi dicono la stessa cosa, perché sebbene sia fatto di
voci che si contraddicono comunque è composto da persone che parlano la stessa lingua, che hanno
la stessa mentalità, la quale è diversa da noi, dal pubblico che leggeva e da Verga.
In questo senso potremmo essere di fronte un coro polifonico, ma questa polifonia di voci non toglie
il fatto che queste voci esprimono nell’insieme la stessa mentalità pur contraddicendosi. Potremmo
avere un coro ad un livello superiore: se alziamo il livello, diciamo che sì le voci si contraddicono,
ma anche che ad un certo punto si uniformano ad un livello comune. Solo in questo senso possiamo
concepire il narratore del romanzo come un coro (polifonico, biunivoco, coro che si contraddice e
che si farà anche un “controcanto” – anche se idealmente il controcanto si fa un’altra risposta
espressiva, diversa da quella del coro).

Quando Luigi Russo parla di coro, pensa alle tragedie greche, a quei cori del teatro classico la cui
funzione era il commento e magari il coro veniva utilizzato per narrare quelle azione che non erano
state rappresentate nella scena, si riassumeva qualche evento successo altrove, e si aggiornava il
pubblico su queste questioni.

Nei Malavoglia il coro un po’ commenta, un po’ dice cosa fanno i personaggi fuori da Aci Trezza:
cosa succederà alla Provvidenza lo sapremo attraverso il coro, tramite ciò che apprendono e
intuiscono e interpretano gli abitanti di Aci Trezza. Noi non siamo saliti sulla barca con Bastianazzo,
quindi non sappiamo cos’è capitato, e lo apprendiamo in questo modo.
Ricorda → il narratore dei Malavoglia non si sposta da Aci Trezza.

-Romanzo dialogico o monologico?


Un’altra questione buttata in campo è: questo è un romanzo dialogico o monologico?
 Pier Luigi Pellini sostiene che non sia dialogico, ma monologico.
Dobbiamo dire che questa è una terminologia che ci viene dal più grande teorico del romanzo del
Novecento, che è Michail Bachtin, teorico russo che ha sostenuto che per definizione il romanzo è
un genere dialogico, cioè nel romanzo ci sono più voci (lui spesso usa il termine plurivocità), più
lingue (plurilinguismo), più stili (pluristilismo): il romanzo è un genere che mescola alto e basso,
mescoli anche da un punto di vista sociale. Esso può sfuggire a quelli che sono gli schemi classici
(secondo i quali, ad esempio, la tragedia e l’epica sono alte, la commedia e la stira hanno un registro
basso – non si poteva scrivere una tragedia con una lingua bassa, essa doveva necessariamente avere
un certo tenore; ecco perché Dante quando scrive la Divina Commedia usa uno stile basso per
l’Inferno e mano a mano lo innalza, a seconda della materia trattata la lingua deve essere adatta).

Dice ancora Bachtin che questa pluralità del romanzo fa sì che ci sia anche un pluralismo della
verità: il romanzo non ha una verità ma soprattutto problematizza la verità, ci porta più ipotesi sulla
verità, ci costringe a confrontarci con dei problemi di cui non ci dà una soluzione. Questa è una
caratteristica del romanzo che lo differenzia dal genere epico: nell’epica si sa bene quali sono i valori,
qual è l’eroe giusto e che valori deve portare avanti.

Esempio: Madame Bovary è la storia di un’adultera à l’adulterio, dal punto di vista dei valori dei
lettori dell’Ottocento è moralmente condannabile, ma non possiamo fare a meno di prendere in
considerazione la complessità del personaggio, che è colpevole ma fino ad un certo punto, o forse
non lo è affatto: Zola ci mette davanti ad una adultera su cui non è così facile esprimere un parere; ci
rimanda al problema “ma che giudizio dobbiamo dare di questo personaggio?”. Rimette in
discussione dei valori che sono consolidati, che ci porterebbero a pensare che l’adulterio fosse un
reato, una colpa, che le adultere ricevessero una colpa sociale (magari non la lapidazione come un
tempo; ma sicuramente erano colpevoli).

 Il romanzo complica le nostre valutazioni.

L’emblema del romanzo dialogico per Bachti è proprio Dostoevskij: è il suo autore, e prima di lui
era Blek (Dovber??? – 31 e 40), però dice anche che esistono dei romanzi monologici, non del tutto
romanzeschi, non del tutto romanzi. Fa l’esempio di Tolstoj: qui i valori sono chiari. È come se noi
dicessimo I Promessi Sposi: qui è chiaro cos’è la provvidenza, è chiaro da che parte sta il bene e da
che parte sta il male. Questa decisione non avviene in Dostoevskij: è il lettore che deve decidere, è
invitato dal romanzo a mettere in discussione le sue verità consolidate piuttosto che vedersele
riconfermate. Non abbiamo i valori collettivi, la morale ottocentesca, come invece nei Promessi
Sposi: magari Manzoni ci fa prestare attenzione su certi soprusi ma poi l’idea che questi soprusi
esistano tra gli intellettuali ottocenteschi era già abbastanza diffusa (pensiamo all’Illuminismo, alla
Rivoluzione Francese, Manzoni non problematizza delle questioni: realizza un romanzo monologico,
tant’è che alla fine del romanzo troviamo una morale, che fa dire “alla buona” a Renzo e Lucia ma
che corrisponde in maniera chiara a ciò che il lettore deve cogliere). Arrivando alla fine di un romanzo
di Dostoevskij la questione rimane aperta. Non è un messaggio chiuso ma aperto, 3 o 4 lettori
ricaveranno una morale diversa, e non possiamo dire che alcuni hanno sbagliato rispetto ad altri. Per
cui il romanzo è aperto ad ogni interpretazione perché apre la discussione. Se noi avevamo una certa
morale consolidata per cui adulterio = male, il romanzo ci riapre questa concezione e ci porta a
discutere anche ciò che a noi pareva ovvio, scontato, ci porta a rivalutare, pensare che qualcosa è più
complesso rispetto a come si pensava. C’è una realtà più profonda, che ci sono delle dinamiche sociali
che vanno oltre (adulterio = lato secondario nel romanzo Madame Bovary).

Anche Pirandello ha questa caratteristica, di non fermarsi alla prima impressione ma di costringere il
lettore ad andare oltre.
 Il romanzo è il genere della modernità perché è come se per noi moderni il senso fosse
diventato più problematico.
Non abbiamo dei valori ben definiti come la tradizione epica: se leggiamo l’Eneide, è ovvio che
Enea è l’eroe ed è portatore di alcuni valori. Sono modelli di comportamento: possiamo ispirarci agli
eroi per cercare di essere come loro, sebbene loro siano inarrivabili.
I personaggi del romanzo sono invece il contrario: non sono personaggi-modelli ma sbagliano, uno
stesso personaggio è sia buono che cattivo, sbaglia e diventa quindi più vicino, secondo Bachtin, a
noi: il poema epico è lontano, parla spesso di un mondo delle origini, di quando è nata l’identità
nazionale; il romanzo parla invece del presente, mette in scena personaggi più vicini a noi.

-La tragedia
La tragedia è un genere classico che è stato soppiantato dal romanzo. Alcuni sostengono che i
Malavoglia sia una tragedia moderna, solo che nella tragedia il mondo antico ha messo due valori che
non si possono salvaguardare contemporaneamente: mette l’eroe davanti alla scelta di un valore o di
un altro, che è una scelta tragica perché qualunque venga fatta si perde qualcosa, si lascia un valore.
Nella tragedia i valori sono sempre salvi, la tragedia è sempre una situazione di stallo, dove l’eroe
non può fare nulla, non si ha una via d’uscita. L’eroe che vuole mantenersi puro non può, per cui la
tragedia finisce con la morte di solito, o con un suicidio, o con un sacrificio che viene percepito come
una colpa perché esso è un sacrificio che bisognava evitare ma da cui non si è potuti fuggire. La
tragedia è come un poema epico in cui non è possibile salvaguardare gli eroi e i valori fino alla fine.
Tuttavia i valori sono chiari; è il romanzo che rende complicati i valori.

-Le mentalità
I Malavoglia sono dialogici o monologici?
 Secondo Pellini è romanzo monologico perché ha un unico sistema di valori, che è quello di
Aci Trezza, non ci sono valori che si contrappongono ad essi; c’è una mentalità univoca, come
se fosse un’epica (epos), come poema epico del mondo contadino, come epopea dei primitivi,
dove i valori sono i proverbi, un universo di mentalità che funziona come un elemento unico.

È così oppure c’è un elemento dialogico in questo romanzo? ‘Ntoni con le sue scelte di contrastare i
valori tradizionali introdurrebbe il modello dialogico: lui non ha in realtà dei ruoli alternativi da
proporre, è vago, non sa cosa vuole perfettamente ma sa cosa non vuole, quindi in qualche modo non
aderisce a questo sistema di valori che gli viene proposto dalla tradizione, che risulta incrinata.
Ma forse il lettore sta da un’altra parte, non sta dentro questa mentalità e questo crea dialogo: c’è
sempre comunicazione tra questa mentalità e ciò che potrà pensarne il lettore; in più bisogna
distinguere tra la voce del narratore, che ragiona seconda una certa mentalità, e quello che il romanzo
comunica al lettore che non è necessariamente l’adesione alla mentalità della voce narrante, ai
suoi giudizi. A volte il romanzo ci suggerisce di non essere troppo d’accordo con questa mentalità, di
comprenderla, entrarci dentro, farla nostra, ma non necessariamente approvarla.
La mentalità del paese ci serve per capire come ragionano i personaggi, quali sono i valori e le regole
di questo mondo, per poterlo conoscere meglio. Adottiamo quello che gli antropologi chiamano
(citiamo ancora Riccardo Castellana) “prospettiva emica”: quando si affronta un mondo che non
si conosce, come ad esempio una società primitiva dell’Australia, gli antropologi possono adottare
una prospettiva emica: l’antropologo (magari cristiano) va e analizza questi primitivi e li giudica
(pensa siano strani, selvaggi). È sempre un giudicare dal proprio punto di vista e che mantiene una
certa distanza (“noi siamo gli uomini civili, le popolazioni che studiamo sono antiquate, incivili, da
acculturale, dobbiamo lavorare per farli diventare come noi, civilizzate”). L’atteggiamento più
moderno propone una prospettiva emica, di immedesimazione in quel mondo.

 L’antropologo cerca di capire le regole di funzionamento di quel mondo, le norme di


convivenza con quel mondo, che ruolo hanno le divinità, come risolve i suoi conflitti, che
ruolo ha la magia, che magari in quel mondo serve a far funzionare il sistema. Se non lo
capiamo, non entriamo in quel mondo e manteniamo la distanza, senza capire che c’è una
mentalità completamente diversa dalla nostra.
 Verga adotta questo tipo di prospettiva.

Quando noi dobbiamo studiare un gruppo diverso dal nostro abbiamo bisogno, non soltanto di
osservare quel gruppo, ma anche di qualcuno di quel gruppo che ci faccia da testimone, che ci racconti
quel gruppo, ed è quello che fa Verga: se noi vogliamo capire il mondo de I Malavoglia abbiamo
bisogno che qualcuno di Aci Trezza ce lo racconti e non raccontarlo noi ai lettori con il nostro occhio
da osservatore esterno, pieno delle nostri considerazioni. Dobbiamo sentire il mondo parlare, vedere
come ragiona, come agisce → prospettiva emica (che ci fa entrare dentro la mentalità di questo mondo
e ci fa capire come questo mondo funziona).

Si mettono da parte i giudizi morali, l’atteggiamento vuole essere di tipo scientifico moderno che
Castellani ci dice che gli antropologi contemporanei di Verga non avevano. Verga si astiene ad
esempio dal dire che, quelle dei suoi personaggi, sono credenze: le mette in bocca ai personaggi.
Siamo noi lettori che ascoltiamo ed eventualmente giudichiamo. Egli presenta il “biondo”, come
biondo, senza dirci se è buono o cattivo, cosa che altri non facevano (Pitrè quando ci parla del mondo
contadino a volte ce le presenta come se fossero primitive, non degne di una società progredita, come
si pensava al progresso, all’emancipazione grazie alla cultura rispetto ad alcune credenze).

-L’affidabilità del narratore


Quando parla il narratore ci sarebbe una narrazione di tipo monologico, perché il narratore è portatore
di un sistema di valori che è unitario; il piano si sposta sulla ricezione dove il lettore interagisce sul
piano della narrazione ed il romanzo diventa dialogico.
Il narratore di Verga, non essendo come quello di Manzoni, pone dei problemi nuovi al romanzo. Nel
romanzo di Manzoni, i lettori si affidano al narratore, il narratore esprime un giudizio che il lettore
deve assumere (Don Abbondio si comportava come un ignavo → quello è Don Abbondio, quella
descrizione va presa come “oro colato”). Il narratore rappresenta la verità del romanzo, la morale
finale del narratore dei Promessi Sposi rappresenta la morale del romanzo stesso. Se noi non lo
accettiamo, perché non siamo ideologicamente concordi con Manzoni, dobbiamo comunque
accogliere quel punto di vista, non c’è ne sono altri → Fa parte di un patto narrativo.

Nel caso dei Malavoglia, qual è il patto narrativo? Il patto narrativo è credere a tutto quello che dice
il narratore? È un problema, ma da questo momento in poi nascono dei narratori che non sono così
affidabili. Ci sono dei racconti come quello di Tommaso Landolfi (autore famoso per i racconti
fantastici di inizio ‘900), “Maria Giuseppa”, questo racconto di Landolfi ha come protagonista un
personaggio che fin dall’inizio si classifica come pazzo.

 Se un pazzo parla e racconta una storia, i suoi giudizi saranno veri? Il narratore che si identifica
come pazzo, quindi i suoi giudizi non sono attendibili.

-Lo straniamento
Quello dei I Malavoglia non è pazzo, ma è strano rispetto a noi → tecnica di straniamento.

[Usata anche da Ariosto nell’Orlando Furioso :


Lo strumento di straniamento à consiste nello scollare il lettore da ciò che sta leggendo, quando
noi leggiamo un romanzo tendiamo ad abbandonare la realtà (patto narrativo: noi entriamo all’interno
della storia e crediamo a tutto, siamo dentro alla storia); Ariosto, come fa anche Manzoni nei Promessi
Sposi, interviene continuamente nella narrazione, per ricordarci che è una storia quella che sta
narrando, che siamo quindi dentro una finzione e quindi lui commenta, ironizza, fa delle domande
retoriche. È una tecnica che porta alla riflessione perché ti costringe ad uscire dalla narrazione e a
guardare il personaggio e la vicenda da un altro punto di vista. Si realizza con interventi
metanarrativi come giudizi e commenti maliziosi e sornioni e conseguente perdita
dell'onniscienza. La tecnica ha origini molto antiche e nell'Ottocento sarà ripresa dai russi come
Tolstoj, da Verga e altri veristi.]

Questa tecnica è stata utilizzata nel ‘700, che funziona come una tecnica di ironia, di cui ne parleranno
i formalisti russi (Si usa anche in Rosso Malpelo).

 La parola straniamento vuol dire che ciò che è strano appare normale e viceversa.

“Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo
malizioso e cattivo, che prometteva di riuscire un fior di birbone” → è un’affermazione che presenta
come normale ciò che a noi appare strano: il narratore ci dice che Malpelo si chiama così perché
ha i capelli rossi, per lui è normale ma per noi è strano.

I formalisti russi identificano questa tecnica in certi racconti di Voltaire o in un racconto di Tolstoj,
dove a parlare è un cavallo. Ovviamente il punto di vista del cavallo che descrive gli uomini è un
punto di vista che rovescia completamente la verità. La verità è quella che il cavallo dice degli
uomini? Il cavallo rivela quello che per gli uomini è un automatismo, che per noi umani sembrano
normale e che invece è strano dal punto di vista del cavallo, il quale ci suggerisce che alcune cose
della vita umana possono essere strane → c’è un punto di vista romanzesco, dialogico che
problematizza la realtà.
Lo straniamento è una tecnica che funziona nel testo narrativo perché sposta lo sguardo e ci fa
vedere le cose da un altro punto di vista e ci complica tutto. In Rosso Malpelo ci narra un racconto
dove si prende sul serio la superstizione, quindi Rosso Malpelo non è un racconto monologico, lo è
solo ad un livello elementare, solo al livello di quel mondo che crede alle superstizioni. È un racconto
che ci solleva un problema, che ci pone di fronte ad una realtà in cui qualcuno può anche credere che
avere i capelli rossi significa essere malpelo, ovvero un ragazzo malizioso e cattivo.

Il critico Guido Baldi ha scritto un libro intitolato “l’artificio della regressione” e parla di tecnica
della regressione: Verga regredisce come intellettuale a livello dei suoi personaggi, si immedesima –
quella che Castellani chiamerebbe prospettiva emica.
Verga dice, parlando di Flaubert, che si è messo nella pelle dei suoi personaggi, ed è quello che
devono fare gli scrittori (non solo gli attori di teatro); essere i personaggi → “Madame Bovary c’est
moi” ovvero Madame Bovary sono io. Lo scrittore è colui che deve dire: “La Zuppidda sono io” nel
momento in cui la fa parlare, deve ragionare come loro affinché la loro essenza sia comprensibile al
lettore. Quindi l’autore deve regredire a livello della mentalità della Zuppidda, dei minatori di Rosso
Malpelo e così via.

Lo straniamento è un procedimento ironico: Luperini è il primo critico che ha suggerito di applicare


questo termine a Verga, termine che derivava, come detto in precedenza, dai formalisti russi;
Luperini parla anche di procedimento antifrastico riguardo a Malpelo che non si chiamava così perché
aveva i capelli rossi: non aveva i capelli rossi perché cattivo. Ovvero il procedimento antifrastico è
un procedimento rovesciato che produce un effetto di ironia implicita, che non arriva subito, ma nel
corso del racconto (come ad esempio con i proverbi).

In mezzo a quel chiacchierio saltò su la Zuppidda, la moglie di mastro Turi il calafato, la quale
stava in fondo alla straduccia, e compariva sempre all’improvviso, per dire la sua come il diavolo
nella litania, ché nessuno s’accorgeva di dove fosse sbucata. – Del resto, venne a brontolare,
vostro figlio Rocco non vi ha aiutata neppur lui, ché se si è buscato un soldo è andato subito a
berlo all’osteria. La Zuppidda sapeva tutto quello che succedeva in paese e per questo
raccontavano che andava tutto il giorno in giro a piedi scalzi, a far la spia, col pretesto del suo
fuso, che lo teneva sempre in aria perché non frullasse sui sassi. Ella diceva sempre la verità come
il santo evangelio, questo era il suo vizio, e perciò la gente che non amava sentirsela cantare,
l’accusava di essere una lingua d’inferno, di quelle che lasciano la bava. – «Bocca amara sputa
fiele»; ed ella ci aveva la bocca amara davvero per quella sua Barbara che non aveva potuto
maritare, tanto era superba e sgarbata, e con tutto ciò voleva dargli il figlio di Vittorio Emanuele.
– Bel pezzo, la Mangiacarrubbe, seguitava, una sfacciata che si è fatto passare tutto il paese sotto
la finestra «A donna alla finestra non far festa», e Vanni Pizzuto le portava in regalo i fichidindia
rubati a massaro Filippo l’ortolano, e se li mangiavano insieme nella vigna, sotto il mandorlo, li
aveva visti lei. – E Peppi Naso, il beccaio, dopo che gli spuntò la gelosia di compare Mariano
Cinghialenta, il carrettiere, andava a buttarle dietro l’uscio tutte le corna delle bestie che
macellava, sicché dicevano che andava a pettinarsi sotto la finestra della Mangiacarrubbe.
Quel cuor contento della cugina Anna invece la prendeva allegra. – Don Giammaria dice che fate
peccato mortale a sparlar del prossimo!
– Don Giammaria dovrebbe piuttosto far la predica a sua sorella donna Rosolina, rispose la
Zuppidda, e non lasciarle far la ragazzetta con don Silvestro, quando passa, e con don Michele il
brigadiere, che ci ha la rabbia del marito, con tutti quegli anni e quella carne che ci ha addosso, la
poveraccia!
– Alla volontà di Dio! concluse la cugina Anna. Quando è morto mio marito, Rocco non era più
alto di questa conocchia e le sue sorelline erano tutte minori di lui. Forse che mi son perduta
d’animo per questo? Ai guai ci si fa il callo, e poi ci aiutan a lavorare. Le mie figliuole faranno
come ho fatto io, e finché ci saranno le pietre al lavatoio avremo di che vivere. Guardate la
Nunziata, ora ella ha più giudizio di una vecchietta, e si aiuta a tirar su quei piccini che pare li
abbia fatti lei.
– E dove è la Nunziata che non si vede ancora? domandò la Longa a un mucchio di monelli
cenciosi, messi a piagnucolare sulla soglia della casuccia lì di faccia, i quali al sentir parlare della
sorella alzarono gli strilli in coro.
– L’ho vista che andava sulla sciara a fare due fasci di ginestre, e c’era pure vostro figlio Alessi
che l’accompagnava, rispose la cugina Anna.
I bambini stettero a sentire, e poi si rimisero a pigolare tutti in una volta, e il più grandicello,
appollaiato su di un gran sasso, rispose dopo un pezzetto:
– Non lo so dov’è.
Le vicine avevano fatto come le lumache quando piove, e lungo la straduccia non si udiva che un
continuo chiacchierio da un uscio all’altro. Persino la finestra di compare Alfio Mosca, quello del
carro dell’asino, era aperta, e ne usciva un gran fumo di ginestre. La Mena aveva lasciato il telaio
e s’era affacciata al ballatoio anch’essa.
– Oh! sant’Agata! esclamarono le vicine; e tutte le facevano festa.
– Che non ci pensate a maritar la vostra Mena? chiedeva sottovoce la Zuppidda a comare
Maruzza. Oramai deve compire diciotto anni a Pasqua, lo so perché è nata l’anno del terremoto,
come mia figlia Barbara. Chi vuol pigliarsi mia figlia Barbara, prima deve piacere a me. In questo
momento si udì un fruscio di frasche per la via, e arrivarono Alessi e la Nunziata, che non si
vedevano sotto i fasci di ginestre, tanto erano piccini.
– Oh! la Nunziata! esclamarono le vicine. Che non avevi paura a quest’ora nella sciara?
– C’ero anch’io, rispose Alessi
– Ho fatto tardi con comare Anna al lavatoio, e poi non ci avevo legna per il focolare.
La ragazzina accese il lume, e si mise lesta lesta ad apparecchiare ogni cosa per la cena, mentre i
suoi fratellini le andavano dietro per la stanzuccia, che pareva una chioccia coi suoi pulcini. Alessi
s’era scaricato del suo fascio, e stava a guardare dall’uscio, serio serio, e colle mani nelle tasche.
– O Nunziata! le gridò Mena dal ballatoio; quando avrai messo la pentola a bollire, vieni un po’
qua.
Nunziata lasciò Alessi a custodire il focolare, e corse ad appollaiarsi sul ballatoio, accanto alla
sant’Agata, per godersi il suo riposo anche lei, colle mani in mano.
– Compar Alfio Mosca sta facendo cuocere le fave; osservò la Nunziata dopo un po’.
– Egli è come te, poveraccio! che non avete nessuno in casa che vi faccia trovare la minestra alla
sera, quando tornate stanchi.
– Sì, è vero, e sa pure cucire e si fa il bucato da sé, e si rattoppa le camicie – la Nunziata sapeva
ogni cosa che faceva il vicino Alfio, e conosceva la sua casa come la pianta della mano; – Adesso,
diceva, va a prender la legna; ora sta governando il suo asino – e si vedeva il lume nel cortile, e
sotto la tettoia. Sant’Agata rideva, e la Nunziata diceva che per essere preciso come una donna a
compare Alfio gli mancava soltanto la gonnella.
– Così, conchiudeva Mena, quando si mariterà, sua moglie andrà attorno col carro dell’asino, e lui
resterà in casa ad allevare i figliuoli.
Le mamme, in crocchio nella strada, discorrevano anch’esse di Alfio Mosca, che fino la Vespa
giurava di non averlo voluto per marito, diceva la Zuppidda, perché la Vespa aveva la sua brava
chiusa, e se voleva maritarsi non prendeva uno il quale non possedeva altro che un carro da asino:
«carro cataletto» dice il proverbio. Ella ha gettato gli occhi su di suo zio Campana di legno, la
furbaccia!
Le ragazze fra di loro prendevano le parti di Mosca, contro quella brutta Vespaccia; e la Nunziata
poi si sentiva il cuore gonfio dal disprezzo che gettavano su di compare Alfio, pel solo motivo che
era povero, e non aveva nessuno al mondo, e tutto a un tratto disse a Mena: – Se fossi grande io me
lo piglierei, se me lo dessero.
La Mena stava per dire anche lei qualche cosa; ma cambiò subito discorso.
– Che ci vai tu alla città, per la festa dei Morti?
– No, non ci vado perché non posso lasciar la casa sola.
– Noi ci andremo, se il negozio dei lupini va bene; l’ha detto il nonno.
Poi ci pensò su, e soggiunse:
– Compar Alfio ci suole andare anche lui, a vendere le sue noci. E tacquero entrambe, pensando
alla festa dei Morti, dove compar Alfio andava a vendere le sue noci.
– Lo zio Crocifisso, con quell’aria di Peppinino se la mette in tasca la Vespa! ripigliava la cugina
Anna.
– Questo vorrebbe lei! rispose di botto la Zuppidda, la Vespa non vorrebbe altro, che se la mettesse
in tasca! Ella gli è sempre per casa, come il gatto, col pretesto di portargli i buoni bocconi, e il
vecchio non dice di no, tanto più che non gli costa nulla. Ella lo ingrassa come un maiale, quando
gli si vuol fare la festa. Ve lo dico io, la Vespa vuole entrargli in tasca!
Ognuna diceva la sua dello zio Crocifisso, il quale piagnucolava sempre, e si lamentava come
Cristo in mezzo ai ladroni, e intanto aveva denari a palate, ché la Zuppidda, un giorno che il
vecchio era malato, aveva vista una cassa grande così sotto il letto.
La Longa si sentiva sullo stomaco il debito delle quarant’onze dei lupini, e cambiò discorso, perché
le orecchie ci sentono anche al buio, e lo zio Crocifisso si udiva discorrere con don Giammaria,
mentre passavano per la piazza, lì vicino, tanto che la Zuppidda interruppe i vituperi che stava
dicendo di lui per salutarlo.

Tramite l’udito ci spostiamo dalle donne per poi ritornare in piazza, dove sono gli uomini, dove
eravamo all’inizio à questo crea un effetto circolare, siamo tornati lì dove l’orecchio si è spostato,
abbiamo fatto un giro in cerchio del paese, dalla piazza, alla bottega dello speziale, nel vicolo dove
si trovano le donne e adesso nuovamente nella piazza.

Luigi Russo, il grande critico di Verga, parlava a proposito dei i Malavoglia come una circulata
melodia, come se ci fosse una melodia/musica che periodicamente ritorna su se stessa (ad esempio
vengono riprese delle frasi, dei temi, lasciati in sospeso, come se camminassimo ad anello o a catena
come nelle rime dantesche, dove la rima è incatenata e colleghiamo le strofe all’altra come fosse un
ritmo continuo, ma è un ritmo che torna spesso su se stesso, si riprendono temi lasciati su se stessi,
ritorniamo in una catena che collega i vari elementi – un po’ come la terzina dantesca, incatenata).

 Dice L. Russo effetto come se fosse un’impressione di letture.

 Dialogo delle donne = All’inizio c’era Maruzza, di fronte la cugina Anna, piano piano queste
voci attirano le altre donne del vicolo e si crea un "conciliabolo", ad un certo punto la
discussione si fece generale, finché la Zuppidda interviene come il diavolo, lei che ogni volta
che c’è una discussione si intromette. Da questo chiacchierio generale le donne sparlano delle
altre donne, degli intrighi del paese, dei potenziali matrimoni, di tresche che sono in corso –
La Zuppidda dice: “Li ho visti io”. Il termine sparlare viene nuovamente utilizzato.

 Da questa atmosfera generale a qualcosa di più intimo = si parla di Nunziata che è orfana
di madre, ma ha il padre che se n’è andato via e deve badare ai fratellini. Si deve dare da fare
perché non ha nessuno come Alfio, ovvero questo suo vicino di casa che è un po’ come lei, si
riconosce in lui che è un po’ come lei. C’è anche Mena, e Nunziata parla con Mena di compare
Alfio facendone gli elogi. Si capisce che questi elogi su Mena agiscono. Dice che se fosse più
grande se lo sposerebbe e lo dice a Mena che potrebbe sposarlo (Mena è più grande, è in età
da marito come viene ricordato), glielo sta suggerendo → è un romanzo che ragiona per
messaggi impliciti. Noi lettori non sappiamo adesso che c’è del tenero tra Mena e Alfio, sono
avvertimenti molto sottili che non si capiscono a prima vista. Ed è così che è strutturato il
romanzo, che insinua elementi piano piano affinché il lettore cominci a meditare, a pensare
che forse ci potrebbe essere una tresca tra i personaggi, ma nessuno dirà mai esplicitamente
che tra Mena e Alfio c’è una tresca (insinua). Noi assisteremo soltanto ad alcuni dialoghi tra
i due, e alcune battute su di loro, come degli amici farebbero commentando di due che si
piacciono → è così che ragiona il romanzo: il lettore viene messo lì come se fosse un amico,
un paesano che osserva e un po’ si accorge di qualcosa o si deve accorgere di qualcosa; il
buon lettore dei i Malavoglia è qualcuno che deve avere gli occhi e le orecchie aperte e sa
cogliere gesti e dettagli.
Intuiamo che non c’è un buon capitale simbolico di compare Alfio, anche se viene detto un proverbio
carro cataletto = lui è un carrettiere, e questo non è un buon mestiere perché è il mestiere di chi va
via, di chi viaggia, di chi ora c’è e chi non c’è, di chi potrebbe non tornare (valore del paese =
rimanere). Da un lato è un buon partito perché sa fare anche le faccende domestiche, ed è un buon
marito/partito come Mena è una brava moglie, che è anche una donna lavoratrice (sa portare anche
dei soldi a casa – oltre ad allevare e far figliuoli, l’altro compito delle donne nel mondo contadino) e
compare Alfio oltre che saper lavorare c’è anche questo aspetto. Oltre però a queste allusione c’è
anche allusione a un altro matrimonio → Alfio e la Vespa, ma la Vespa aspira allo zio Crocifisso (c’è
un concorrente per Mena, questa Vespa). Il tema della vespa e di compare Alfio è un tema che ritorna,
le strategie matrimoniali agiscono tantissimo, più di quanto ci si possa aspettare, molti eventi sono
determinati da essi (che si possono, che si devono o che non si devono realizzare).

Lezione 16 Marzo
- LA ZUPPIDDA: UNA SANTA O IL DIAVOLO? In mezzo alla narrazione parla la Zuppidda, è
considerata dalle male lingue del paese come “il diavolo” perché compariva sempre all’improvviso.
La Zuppidda sa tutto quello che succede in paese e lo dice pure. Per questo raccontavano (le voci del
paese) che andava tutto il giorno in giro a piedi scalzi a far la spia (è considerata una guardona, è
curiosa). Dopo le voci del paese è lei che parla bene di se stessa (“lei dice sempre la verità”, come se
stese rispondendo alle male lingue del paese). Il racconto si muove in maniere continuamente
dialogica, sempre in continua contraddizione. La gente a cui non piaceva sentirsi dire la verità, la
accusavano di essere una lingua d’inferno (inferno = male), è lei stessa che lo dice, con un discorso
indiretto libero. La Zuppidda è convinta che la figlia sia una brava ragazza quando in realtà è molto
sgarbata, ha poco capitale sociale. Già prima conoscevamo la Zuppidda ma adesso abbiamo una
duplice visione, quella delle male lingue del paese e la descrizione che la Zuppidda fa di se stessa.
Tra questi due punti di vista siamo noi a dover capire quale sia la più veritiera, giustamente noi diamo
più conto al pensiero malevolo dei cittadini. Verga è come un regista che alterna queste due voci,
quasi come se fosse un battibecco, il punto di vista negativo viene fatto quasi sempre quando la
Zuppidda non sente. Tramite un indiretto libero la Zuppidda parla male della Mangiacarrube, dice
che si è fatta passare tutto il paese sotto la finestra (A donna alla finestra non far festa) e Vanni Pizzuto
le portava in regalo i fichidindia e li mangiavano insieme nella vigna, li aveva visti lei. Peppi Naso il
beccaio (macellaio) era geloso di compare Mariano Cinghialenta e andava a buttarle le corna dietro
l’uscio.

- LE VICINE: La cugina Anna era allegra nonostante fosse vedova, e disse Don Gianmaria diceva
fosse peccato parlare degli altri, la Zuppidda rispose che Don Gianmaria avrebbe dovuto fare la
predica a sua sorella donna Rosalina che faceva la ragazzetta con Don Silvestro e don Michele il
brigadiere, nonostante fosse “grassa” e avanti con l’età. Anna disse che quando è morto suo marito
Rocco non era più alto di questa canocchia (che non si sa cosa sia, è qualcosa che dobbiamo
immaginare) e le sorelline erano tutte minori di lui ,ma non si era persa d’animo per questo perché ai
guai ci si fa il callo. Anna si rifà nella Nunziata che è molto giudiziosa e guarda i fratellini come se li
avesse fatti lei. Passiamo quindi a parlare della Nunziata, la Longa domanda dove lei sia ai suoi fratelli
che stavano piangendo, non sappiamo perché. Abbiamo un’anticipazione della relazione tra Alessi e
Nunziata che anche se sono ancora giovani sembrano andare molto d’accordo. I bambini rispondono
e facendolo vengono paragonati a degli uccelli (pigolano), tramite una metafora prolungata, chiamata
così perché una volta che li paragona ad essi verrà fatto per tutto il romanzo. Le vicine fanno come le
lumache quando piove (escono di casa), perfino la finestra di compare Alfio Mosca era aperta.
Sappiamo a questo punto che ha un carro trainato da un asino (presto scopriremo che chi aveva un
carro trainato da un asino era più povero di quelli che ne avevano uno trainato da un mulo). La Mena
aveva lasciato il telaio e si era affacciata al ballatoio, la Zuppidda le chiede a bassa voce quando
avrebbe maritato la figlia Mena che doveva compire 18 anni a pasqua. La figlia della Zuppidda,
Barbara, era nata l’anno del terremoto (18 anni prima, l’anno dei moti del 48) e dice che chi avesse
voluto sposarla sarebbe prima dovuto piacere a lei.

- L’ARRIVO DI ALESSI E NUNZIATA: Nello stesso momento arrivarono Alessi e Nunziata che
erano andati a prendere le frasche e ne avevano portate così tante che non si vedevano bene nemmeno
loro. Le vicine le chiedono se non avesse avuto paura a rimanere fino a tardi e Alessi spavaldo dice
che c’era lui a proteggerla. Nunziata spiega che aveva fatto tardi perché era rimasta con comare Anna
al lavatoio. Nunziata allora entra in casa e si mette ad apparecchiare la tavola per la cena, i fratellini
la guardavano come dei pulcini con la mamma chioccia. Alessi la guardava con le mani in tasca (che
nel romanzo in realtà ha una connotazione negativa perché vuol dire che non si sta lavorando). La
Mena chiama Nunziata e lei lascia in custodia il focolare ad Alessi (notiamo già una grande solidarietà
tra di loro).

- COMPARE ALFIO: La Nunziata nota che compare Alfio e lo elogia (dice che sa cucine, sa fare
il bucato da se), è pettegolezzo ma non uno negato come quello della Zuppidda, dicono infatti che per
essere una donna gli sarebbe mancata solo la gonnella. La Vespa però ne parla male e dice che lei
non aveva voluto sposarlo (dicendo anche che aveva il carro d’asino, quindi era povero). Le ragazze
presero le parti di Mosca e dissero che loro lo avrebbero sposato se non fossero state così giovani.
Anche Mena stava per rispondere che anche lei lo avrebbe sposato però decise di evitare perché forse
era sconveniente. Si cominciò a parlare della festa dei Morti, qualcosa che sarebbe avvenuta mesi
dopo, come se fosse un grande evento. Mena pensa a Compare Alfio che sarebbe andato a vendere le
noci (in realtà stava solo pensando che ci sarebbe voluta andare lei con lui).

- LA VESPA E ZIO CROCIFISSO: Per il paese c’è il pettegolezzo che zio Crocifisso e la Vespa
si sarebbero sposati, perché lei lo voleva e lui voleva la sua chiusa, l’appezzamento di terreno (se
fosse stato possibile l’avrebbe voluta anche senza sposarla). La Vespa era sempre a casa a preparargli
da mangiare per portargli “buoni bocconi”, e con questa scusa era sempre a casa sua come il gatto.
Ognuno diceva la sua su zio Crocifisso che nonostante fosse ricco (la Zuppidda dice di aver visto una
cassa di denaro sotto il suo letto), si lamentava come Cristo in mezzo ai ladroni. La Longa si sentiva
sullo stomaco il debito dei lupini e quindi fece di tutto per cambiare discorso, non sappiamo cosa
disse perché non lo sentiamo dato che si udiva lo Zio Crocifisso discutere con Don Gianmaria.

- CAMBIO DI SCENA: Siamo passati dalla Bottega dello speziale alla Piazza, il passaggio avviene
grazie alle voci, grazie all’udito. Come se il lettore si spostasse per ascoltarli, si è fatto buio però,
quindi possiamo solo sentirli e non più vederli. Li avevamo lasciati all’imbrunire, non è passato così
tanto tempo ma questo si conta grazie alla luce del sole.
- LA CONFUSIONE DEL CAPITOLO: Dell’affare dei lupini continuiamo a non sapere nulla, tutto
il capitolo è un grande indugio, come se avesse messo in pausa quella situazione. Cominciamo a
sapere però molte nuove cose sulle persone del paese. Qual è lo scopo di questo capitolo? E’ un
indugio al tema della provvidenza, come per far capire al lettore che nel paese non si parla solo di
questo ma anche di molto altro, altri chiacchiericci. Il lettore piano piano è stato spinto alla realtà
paesana. Un lettore tradizionale dell’800 restava un po’ stranito da questo capitolo, vengono
presentati tantissimi personaggi che lo avrebbero potuto confondere. Verga però aveva voluto e
cercato questa confusione per far abituare il lettore alla confusione di paese.

- VERGA E L’INDUSTRIA CULTURALE: La maggior parte dei lettori aveva addirittura


abbandonato il romanzo, tant’è che Verga dopo la pubblicazione in una lettera aveva esordito con “I
Malavoglia è stato un fiasco”. Si tratta però di un romanzo nuovo, per questo ha fatto il fiasco,
Capuana addirittura lo definisce “miglior romanzo italiano”, e molti altri autori del periodo lo
considerano straordinario. Nel 1894 scrive Don Candeloro e Ci (il professore ha un’edizione del 1916,
quindi possiamo immaginare quante copie avessero stampato). Dei Malavoglia al tempo non furono
stampate così tante copie, “Storia di una Capinera” aveva avuto 27 mila copie, “I Malavoglia” solo 7
mila. Si preferiva ripubblicare i primi romanzi, forse più simpatici. Isotta Piazza, una studiosa, ha
scritto un libro sul rapporto tra Verga e l’industria culturale, anche Verga stesso sapeva che doveva
vendere, nelle lettere con Capuana leggiamo che preferisce editori ad altri solo perché pagavano di
più. Un ennesimo aneddoto è che quando Vega scrive “Le Novelle Rusticane”, non pubblicato con
Treves (perché ci aveva litigato) ma con Treves. C’è un illustratore famoso, Montalti, che fa dei
disegni delle novelle. L’editore gli invia queste novelle e gli chiede di scrivere alcune righe perché le
pagine erano quasi vuote. Cosa fa Verga? Avrebbe potuto allungare il brodo (ma non sarebbe stato
più così saporito) e invece aggiunge 5 o 6 righe che sono decisive, delle battute che stravolgono quasi
il senso del racconto. Da qui si vede il rapporto tra un grande scrittore e il mercato culturale.

Lezione 17 Marzo
- ZIO CROCIFISSO E DON GIANMARIA CONSERVATORI: Abbiamo quindi cambiato scena,
grazie all’udito. La Zuppidda sente zio Crocifisso e si ferma per salutarlo. Sentiamo Don Silvestro
ridere come una gallina, facendo arrabbiare lo speziale. Lo zio Crocifisso torna a parlare di politica,
Don Gianmaria rispondeva irato allo zio Crocifisso, gli dice che lui non pagava i soldi della
Confraternita. Per provocare Don Gianmaria, Don Franco cercava di imitare la risata di don Silvestro.
Lo zio Crocifisso è un conservatore del mondo antico (ai miei tempi si stava meglio), cosa che gli
garantisce di farsi gli affari suoi. Come emerge da alcune novelle di Verga il 1960 rappresenta uno
spartiacque per la divisione del potere. Intanto la Chiesa perde parte del potere perché diventa uno
stato laico, le campagne politiche erano orientate in senso laico, non c’era un partito cattolico. Don
Gianmaria è un borbonico, anche lo zio Crocifisso preferisce il vecchio sistema perché garantisce la
stabilità delle classe sociali. Se ci fossero stati i borboni, Ntoni non sarebbe partito per andare al
militare e non ci sarebbe stato Don Silvestro come maestro delle elementari. Anche in un luogo così
piccolo si sta modificando un po’ l’equilibrio economico di questo mondo di pescatori. Lo zio
Crocifisso fa una metafora “il mio catechismo lo so, per non restare in debito”, parla di quello degli
affari.
- IL PETTEGOLEZZO DI DON GIANMARIA: Anche Don Gianmaria appare un pettegolo, uno
sparlatore come tutti gli altri che abbiamo visto (a dispetto della sua condizione di prete), parla male
con lo zio Crocifisso del lumaio che rubava l’olio, di don Silvestro che chiudeva un occhio, del
sindaco “Giufà”, non è il suo vero nome, è il personaggio più famoso della tradizione popolare,
Calabrese ma anche Araba e Turca, alcuni dei suoi caratteri sono simili alla maschera di arlecchino,
è contemporaneamente sciocco e furbo, si fa fregare ma poi gli va tutto bene comunque. Il sindaco si
chiama così perché anche lui si fa facilmente bindolare. Campana di legno rispondeva sempre di si
con il capo nonostante loro non si vedessero in faccia, Don Gianmaria parla di Piedipapera e parla
della sua gamba storta (che è propria del diavolo), dicendo poi che faceva parte della setta (la
massoneria), lo zio Crocifisso rispose che lui era un galantuomo e non voleva entrarci. Parlò di Padron
Cipolla come un pallone di vento (un pallone gonfiato), il tema del vento sarà molto importante
- “I PESCI SONO MALIZIOSI”: Il gruppo si sta per separare, si è fatto tardi, un’ora dopo il
tramonto, stanno tutti per rientrare. Appare compare Tino e sputava sentenze (come faceva Padron
Fortunato Cipolla). Possiamo sottolineare questo primo discorso sui “pesci” fatto da compare Tino,
adesso i tempi sono cambiati, i pesci non si fanno pescare come prima. Fino a qualche anno prima
della rivoluzione (del 60, il periodo in cui arrivò Garibaldi) i pesci si pescavano facilmente. Si apre
una discussione sui pesci e su come alcuni non si facessero mai pescare facilmente. Si nomina il Capo
dei Mulini, il passaggio critico che deve fare la provvidenza, dopo averlo passato non ci sarebbero
stati più tanti problemi. Compare Fortunato dice che la colpa è data dai battelli a vapore che disturbano
i pesci e li allontanano. Si nomina anche la ferrovia, un elemento della modernità che ha sconvolto
l’equilibrio economico di Aci Trezza. Il discorso sui pesci finisce con lo scapaccione al figlio della
Locca (trattato così solo perché era figlio di una “pazza”). Ma è effettivamente vero che il pesce non
si fa più pescare dopo la rivoluzione, in realtà non è molto plausibile, sembra di ascoltare delle
credenze contadine. La rivoluzione viene vista come un totale cambiamento ad Aci Trezza: non
c’erano le scuole e il lampioni, la cassa della Buona Morte (la cassa dei funerali) e i pesci si facevano
pescare. Era un’età dell’oro che non era mai esistita, era tutta una credenza probabilmente falsa.

- LA CECITA’ DELLO ZIO SANTORO: Compare Tino fa una battuta a Don Gianmaria dicendo
che avrebbe mangiato “vermicelli fritti “(potevano essere spaghetti) e lui si arrabbia perché era come
se gli stesse contando i bocconi. Don Gianmaria salutò Piedipapera perché in quel periodo ci si doveva
tenere amici anche “le buone lane” era un ossimoro che identificava i cattivi soggetti e si arrabbia con
don Michele il brigadiere, facendoci capire come sia corrompibile. Si reca poi all'osteria, un luogo
del paese che non abbiamo ancora incontrato. C'è poi una ripetizione lunga da parte di compare Tino,
anch'egli un voyeur: parla con lo zio Santoro, padre di Santuzza. Chi è alle dipendenze del re deve
sapere i fatti di tutti, e lo zio Santoro sa tutto di tutti, anche se è cieco ma viene visto come uno che
vede più degli altri (è un thopos letterario, come Tiresia). Nel Mastro Don Gesualdo c’è Nanni l’Orbo
che è cieco ma è l’unico che si accorge che durante l’incendio qualcuno era scappato. Santoro non ci
sente solo quando Massaro Filippo va a recitare il rosario con la Santuzza

- L’IDILLIO DI ALFIO E MENA: il capitolo sta per finire, è anche questo è un finale soffuso,
quasi sottinteso, possiamo notare che si chiarisce un po’ implicitamente qualcosa tra compare Alfio
e Mena, i due continuano a dialogare anche quando il vicolo si è reso silenzioso, è come se fossero
rimasti soli (Mena sul ballatoio e compare Alfio di fronte). I due dialogano, questo passo è considerato
un po’ un idillio ma non c’è nulla di esplicito. Parlano di cose comuni e pratiche, di cose materiali
che non dovrebbero essere oggetto di un idillio amoroso (le noci alla festa dei morti). Si percepisce
però una certa partecipazione tra le battute dei due. C’è alla fine una battuta della Nunziata, cioè che
va in città a cercare marito. La Mena potrebbe essere preoccupata e gelosa ma Alfio fa una battuta
che ci fa intuire come l’amore per lui potrebbe essere più vicino di quanto si pensa, non è nulla di
concreto ed esplicito. Si capisce che c’è un ostacolo economico tra i due. Compare Alfio sa che
sarebbe difficile aspirare a Mena, c’è un po’ di amarezza nella sua voce. Solo attraverso il lavoro
potrà diventare un partito apprezzabile ma si lamenta delle noci della festa dei morti. Mena cambia
discorso e mantiene comunque un tema idillico (gli dice di guardare le stelle che brillano). La mena
cerca sempre di cambiare discorso ogni volta che Alfio parla di mogli e lei dice “Buonasera”, si
notano le stelle che sono sempre più lucenti, “i tre re” (sono i nomi delle costellazioni, la cintura
d’Orione). Oltre al mare che russava si sentiva a lunghi intervalli si sentiva il rumore dei carri. Anche
questa evocazione del carro ci fa pensare all’immagine che ha Mena del mondo esterno (non è quasi
mai uscita da Aci Trezza), uno dei passi che sono più commentati nel romanzo perché alcuni hanno
visto a mano di Verga nelle parole della ragazza (anche se tutti i termini, come i tre re, fanno parte
del vocabolario di Mena). Mena pensa anche al carro di compare Alfio che va per il mondo, è come
se mena lo volesse seguire. Mena riflette su come nonostante loro facciano così attenzione a tutti quei
particolari (la festa dei Morti, la Provvidenza, il carro di Alfio), le persone in altri paesi non ci pensano
minimamente 8 fa riferimento ai lettori).

- IL RITORNO AL TEMA DELLA PROVVIDENZA: Nelle battute finali c’è ancora un altro tema
che ritorna, quello della provvidenza. Padron Ntoni nota le stelle, anche Alfio e Mena le notano. Tutto
ciò è un particolare curioso. Padron Cipolla prima aveva detto che “stasera le stelle sono lucenti,
stasera cambierà il vento”. Il lettore pensa alla provvidenza. Il mare “russava” infondo alla
stradicciola, ci chiediamo se il tempo cambierà o no. Padron Ntoni si affaccia due o tre volte sul
ballatoio e nota che le stelle luccicano troppo, pensa male, comincia a dare ragione a Piedipapera e
ha paura per la provvidenza. Esordisce con un proverbio incompleto «Mare amaro!», il proverbio
completo è «Mare amaro!, il marinaio muore in mare”. Come se Verga volesse lasciarci in sospeso
sulla fine che farà la provvidenza

- ROCCO SPATU E LA CHIUSURA IN MINORE: Il capitolo finisce con le parole di Rocco


Spatu, dicendo un proverbio: «Chi ha il cuor contento sempre canta» conchiuse padron ‘Ntoni. E’
una chiusura in minore, si abbassano i temi, come se Verga volesse stemperare questa tragedia, è una
chiusura ironica. Mentre c’è il mare amaro qualcuno ha il cuore contento. Il fatto che la fine del capito
sia fatta da Rocco Spatu è un riferimento all’ultimo capitolo che si chiude anch’esso con lui.

CAPITOLO 3

- IL TEMPO DELLA NARRAZIONE E IL TEMPO DI LETTURA, VERGA SCRITTORE


MODERNO: Il capitolo si apre con la conferma di tutti i presagi fatti nel precedente. Il mare
comincia a fare il diavolo esattamente dopo la mezzanotte, uno spartiacque per il destino della barca.
Il lettore non sa più se può dare credito ai proverbi di Padron Ntoni. Verga fa la descrizione del
paesaggio, il che è un problema dal punto di vista dell’impersonalità, Verga tende a limitare l’uso,
preferisce il dialogo. Lo scorso capitolo era più di parole che di fatti, non succede quasi nulla (tranne
preparare la cena). E’ un capitolo di rallentamento del tempo, ci si mette a leggerlo quasi lo stesso
tempo che passa all’interno della storia. E’ un elemento interessante perché di solito i romanzi hanno
solitamente più velocità rispetto al tempo della lettura (possono passare mesi o addirittura anni e noi
li leggiamo in ore o qualche giorno). Si tratta quindi di un romanzo sperimentale, per sfidare questa
convenzione. La notte ad Aci Trezza non succede nulla, non c’è molto da raccontare. Il tempo poi
salta, a differenza del capitolo precedente, molto lento (un po’ di presentazione), la notte passa
velocemente e si passa direttamente alla mattina. Un esempio celebre in cui il tempo del romanzo
corrisponde al tempo della lettura è “Gita al faro”di Virginia Wolf, descrive 12 ore e volendo lo si
potrebbe leggere in 12 ore. Anche il Gattopardo (di Giuseppe Tommasi di Lampedusa) avviene
qualcosa di simile, si racconta una giornata del nonno, proprio durante lo sbarco di Garibaldi. Verga
appare come uno scrittore moderno, come se anticipasse romanzi più contemporanei.
Lezione 22 Marzo
- VERISMO E IMPRESSIONISMO: Il secondo capitolo è uno dei più lunghi, altri più lunghi di
questo sono soltanto il nono e il dodicesimo. Il terzo invece è uno dei più corti. Cosa lo determina?
Si tratta di un’unità del tempo della lettura e di coerenza narrativa. Il secondo capitolo è tutto giocato
sulla quella serata, sulle chiacchiere del paese mentre la Provvidenza si è imbarcata e noi per un po’
non ne sappiamo più nulla. In questo capitolo ci ha presentato il paese, cosa che un altro scrittore
avrebbe fatto grazie ad un narratore esterno, Verga invece lo fa fare direttamente ai protagonisti, noi
siamo immersi direttamente in questo quadro. E’ qualcosa che cercarono di fare anche gli
impressionisti esponenti di un movimento artistico contemporaneo a Verga, Monet diceva che un
quadro è bello quando provi a entrarci.
- IL RITORNO ALLA PROVVIDENZA E LA PREOCCUPAZIONE DELLE DONNE: Dopo
la mezzanotte si ritorna al tema della Provvidenza. Prosegue dicendo che tutte le barche sono ben
tirate sulla spiaggia, ammarrate sotto il lavatoio affinché il vento non possa sganciarle e buttata in
mare inavvertitamente. Gli altri pescatori avevano ben pensato al fatto che ci sarebbe stato bel tempo
ciò non è vero, manca la Provvidenza e qualche altra vela sbrindellata (che non governa più il vento)
che sembrava avesse il diavolo in poppa. Le donne si fanno il segno della croce pensando alle navi in
mare, la stessa cosa dovrebbe farla il lettore pensando al destino della Provvidenza. Maruzza della
Longa non diceva nulla (com’è giusto che fosse dato che le donne non dovevano esprimersi), non si
faceva nemmeno il segno della croce per quanto era preoccupata. Andava di qua e di là, quasi come
se fosse una gallina che stava per fare l’uovo.
- ALTRI LUOGHI DI ACI TREZZA: Vengono indicati altri luoghi di Aci Trezza. Gli uomini
erano nell’osteria e nella bottega di Pizzuto, (il barbiere), o sotto la tettoia del beccaio (il macellaio
del paese) per proteggersi dalla pioggia. Avevano il naso in aria perché osservano il tempo.
- LE MALE LINGUE DEL VILLAGGIO: PADRON CIPOLLA: Una mala lingua descrive
Padron Ntoni sulla spiaggia e dice che aveva paura di perdere i lupini, aggiunge inoltre che c’era
anche il figlio della Locca che non aveva nulla da perdere se non il fratello Menico (come se i parenti
non fossero cose importanti). Padron Fortunato Cipolla, mentre gli facevano la barba parla della
Provvidenza e della figura di Padron Ntoni, dice che ormai chiunque vuole fare il negoziante, come
se non fosse qualcosa che spettasse a Padron Ntoni. Aggiunge che quando hanno perso la mula vanno
a cercare la cavezza (le redini con cui si regge la mula). Probabilmente Padron Cipolla stava parlando
in questo modo perché si era accorto che l’affare non sarebbe andato a buon fine e che quindi che
Mena avrebbe perso la dote.
- LA BOTTEGA DELLA SANTUZZA: C’è una cricca di persone nella bottega di Mariangela la
Santuzza: Tino Piedipapera, mastro Turi Zuppiddu, compare Mangiacarrubbe, don Michele e
compare Mariano Cinghialenta. Sappiamo da questi Mastro Turi Zuppiddu è un calafato, colui che
ripara le barche, Compare Cinghialenta è un carrettiere (proprio come compare Alfio). Turi Zuppiddu
dice che la Santuzza e la figlia quel giorno avrebbero guadagnato tanti soldi, dato che piove e quindi
un sacco di persone sarebbero entrate lì per ripararsi. Si fa un accenno a Bastianazzo Malavoglia, le
persone del villaggio erano moderatamente preoccupati per lui. Si parla del fatto che fosse Domenica
(un sacco di persone si stanno sbarbando per andare in Chiesa) e qualcuno dice che i Malavoglia quel
giorno non sarebbero andati in Chiesa perché troppo preoccupati e arrabbiati per la Provvidenza.

- LA SCENA COMICA CHE SPEZZA LA TENSIONE: Il vento faceva volare le gonne e Vanni
Pizzuto (il barbiere) invece di star attento alla barba dei suoi clienti guarda le ragazze che devono
sgambettare per evitare le pozzanghere. E’ una scena comica che spezza con la tensione e il pensiero
della Provvidenza. La Zuppidda stava passando con la figlia e le dice che se si fosse voltata per
guardare Don Silvestro (che a quanto pare non aveva una grande reputazione) le avrebbe dato uno
schiaffo, a lei non piaceva.
- IL PETTEGOLEZZO NELLA CHIESA: Lo Zio Santoro non doveva andare a messa, doveva
rimanere all’osteria a “tenerla d’occhio” (anche se era cieco). Adesso parla Piedipapera, dice che
nonostante ci sia cattivo tempo e ci sia vento, le calze della Santuzza, non le aveva viste nessuno,
tranne massaro Filippo l’ortolano. La Zuppidda lì vicino “abburattava avemaria” (abburattare vuol
dire impastare il pane), vuol dire che stava pregando ma non con molta convinzione. Si comincia a
parlare delle persone che erano in Chiesa e chi invece no, persino la madre di Menico c’era, sebbene
non sapesse far altro che veder volare le mosche (era sempre distratta), la Longa però non c’era,
nonostante avesse un figlio in mare e questo stupisce la Zuppidda. La Santuzza e la Zuppidda parlano
e guardano male le persone in chiesa e ad un certo punto la Santuzza la rimprovera dicendo che mentre
si è in chiesa non bisogna sparlare del prossimo. La Zuppidda dice all’orecchio alla Vespa che La
Santuzza ma farebbe meglio a non tenere in peccato mortale massaro Filippo l’ortolano, che ha
moglie e figliuoli. Si fa pettegolezzo sul fatto che la Vespa non avesse trovato marito (lo dice lei
stessa, con tanto di pungiglione). Dice che lei non è come quelle che si tirano dietro gli uomini anche
in chiesa, colle scarpe verniciate, e quelli altri colla pancia grossa (quello con le scarpe verniciate è
don Silvestro, quello con la pancia grossa è Padron Cipolla). Ciascuno non poteva a meno di pensare
che quell’acqua e quel vento erano per i Cipolla; così vanno le cose di questo mondo, che i Cipolla,
adesso che ave- vano la paranza bene ammarrata, si fregavano le mani vedendo la burrasca; mentre i
Malavoglia diventavano bianchi e si strappavano i capelli, per quel carico di lupini che avevano preso.
C’è lo zio crocifisso in ginocchio che prega, lui è un grande credente, quest’immagine fa quasi ridere
per l’idea che ci siamo fatti di lui. Anche lui è preoccupato per ciò che sarebbe accaduto alla
Provvidenza. Nell’ottica di Padron Cipolla i Malavoglia erano i primi ad aver violato “l’ideale
dell’ostrica”. Ci sono tanti segnali che ci fanno pensare che il paese pensa male di quello che
succederà a Bastianazzo. “Il fatto è, conchiuse compare Zuppiddu, che sarà una brutta giornata pei
Malavoglia”. – “Per me, aggiunse Piedipapera, non vorrei trovarmi nella camicia di compare
Bastianazzo”.
- SALTO TEMPORALE: Si arriva alla sera, abbiamo passato il pranzo. Si comincia a dire che
chiunque è in casa sta bene, mangia e riposa al caldo. Rocco Spatu continuava a ripetere che lo zio
Santoro, il mendicante stava sicuramente meglio di Bastianazzo. Contemporaneamente Padron Ntoni
va avanti e indietro (come faceva Maruzza). Lo Speziale lo prende anche in giro, gli dice “Bella
Provvidenza”, è una battuta intelligente perché lo speziale è protestante, sicuramente non ci crede
nemmeno alla provvidenza. Il passo ci invita ad una riflessione alla provvidenza Manzoniana, non si
tratta più di quella, qui la provvidenza è qualcosa di materiale e come tale la Provvidenza dei
malavoglia risiede in essa, nel loro lavoro. Questa però finirà annegata.
- LA MORTE DI BASTIANAZZO: Adesso nemmeno lo zio Crocifisso ha una buona sensazione
nei confronti della Provvidenza dice al figlio della Locca che se il fratello fosse morto lui sarebbe
diventato il padrone della casa. Maruzza è sulla sciara ad aspettare e piange, come se percepisse la
preoccupazione della madre. Tutto il paese si avvicina alla Longa che ha la bimba stretta al petto. Ad
un certo punto qualcuno, forse il più compassionevole, la prende per il braccio e la accompagna a
casa. Lei si mette a invocare la Vergine Maria. Molti la vedono arrivare da lontano e la guardano in
un modo diverso. Tutti sapevano che da moglie stava per diventare vedova e le vedove si guardano
con sguardo compassionevole. Lo zio Santoro diceva Requiem eternam (che si dice a qualcuno è che
morto). La Longa non sa ancora di essere vedova, il narratore (qualcuno del villaggio) invece si, e la
guarda con sguardo compassionevole. Le vicine hanno smesso di parlare, le si avvicinano con le mani
al ventre (segno di lutto). La Longa si mette le mani nei capelli con un grido disperato, corre in casa.
Aveva capito ormai di essere vedova. La morte non ci è stata detta, non abbiamo un cadavere e non
abbiamo visto la nave. Il lettore però sa che è morto.
- LA BATTUTA FINALE: – Che disgrazia! dicevano sulla via. E la barca era carica! Più di
quarant’onze di lupini! La disgrazia è molto grande a causa della morte ma lo è ancora di più perché
si sono persi i soldi dell’affare dei lupini. Si dà più importanza al denaro che alle vite umane. Il lettore
moderno si stupisce ma si deve entrare nella mentalità del paese ma ancora di più in quella dei
Malavoglia. La perdita dei lupini segnerà la decadenza economica della famiglia, la perdita del loro
capitale simbolico.

Lezione 23 Marzo
ROMANZO DI PAROLE: In questi primi tre capitoli il lettore ha potuto intuire come il romanzo
sia più “di parole” che “di fatti”. Alcuni personaggi si presentano con determinate parole ma poi si
comportano in modo diverso. E’ il lettore a dover interpretare le azioni dei singoli personaggi (Mena
e Compare Alfio, le donne che vanno incontro a la Longa).
- LE BATTUTE FINALI DEI PAESANI: I capitoli finiscono tutti in modo simile, con una battuta
finale. Sia nel terzo capitolo che nel secondo, la battuta finale spetta ad un paesano e non a qualcuno
dei Malavoglia. Molti scrittori avrebbero cercato di imporre quasi retoricamente la tragedia al lettore,
per Verga non funziona così, è il lettore che deve intuirlo da sé.

CAPITOLO 4
- TEMA DEL DEBITO: Il peggio è che i lupini li avevano presi a credenza e lo zio Crocifisso non
si accontentava delle parole, voleva i soldi in contanti. Per questo è una campana di legno (una
campana che non suona), infatti non ci sente da un orecchio. Lui diceva che al debito che si era fatto
ci si darebbe dovuto pensare prima, ora non sarebbero stati più affari suoi. Viene introdotto il tema
del debito non da parte dei Malavoglia ma dal punto di vista dello Zio Crocifisso. Si tratta di una
scelta stilistica di Verga, ci fa infatti vedere la situazione dagli occhi di qualcun altro e non da parte
dei protagonisti, giusto per evitare che il lettore provi compassione per i Malavoglia.
- LO ZIO CROCIFISSO: SANTO O DIAVOLO? Questo è un inizio celebre perché è il ritratto
dello zio Crocifisso, ne abbiamo sentito sparlare nei capitoli precedenti ma adesso si hanno quasi due
pagine di descrizione. La descrizione non è dall’alto ma lo fanno attraverso le sue stesse azioni. Il
ritratto è fatto secondo un doppio punto di vista, secondo quello che dice lui stesso (ovviamente a suo
favore, si ritiene buono, generoso) e quello contrastivo, malevolo, che dice tutto il contrario. Questo
punto di vista arriva a degli estremi, lo Zio Crocifisso si presenta quindi quasi come un crocifisso,
(con le stigmate), il punto di vista malevolo lo ritiene addirittura un diavolo. Non è facile fare la
descrizione di un personaggio negativo, nei promessi sposi Don Rodrigo non parla bene di se stesso.
Lo Zio Crocifisso parla di se stesso solo per quanto riguarda il capitale economico ma lui cerca di
accreditarsi un minimo di consenso nel paese, definendo il suo ruolo di “gentile” prestatore. Cerca di
rivendicare il suo capitale simbolico.
“Egli era un buon diavolaccio”, si capisce che è lui che parla, ovviamente si tratta di un ossimoro,
insieme ad “accio”, un accrescitivo negativo, che dovrebbe ancora di più aggravare la situazione.
“Viveva imprestando agli amici”, è ancora lui che parla, ma di che amici si tratta? Dai versi
successivi il lettore viene a sapere che non faceva nulla tranne che stare con le mani in tasca, con la
schiena appoggiata al muro della chiesa, in piazza (possiamo notare la prossemica, le azioni e la
mimica). Guardandolo nessuno avrebbe pensato che fosse ricco (si vestiva come un pezzente), ma in
realtà aveva molti soldi. Se qualcuno andava a chiedergli 12 tarì lui glieli prestava subito (mette subito
in luce la sua generosità), ma poi voleva un pegno (ecco che subito si passa alla visione contraria, non
era generoso, era solo tirchio).
Riprendendo le parole che la Vespa aveva detto precedentemente, dice: «chi fa credenza senza
pegno, perde l’amico, la roba e l’ingegno». Si tratta uno degli ennesimi proverbi pronunciati da lui
in un’unica pagina (anche Padron Ntoni parla con proverbi ma sono diversi, i suoi sono prodighi a se
stesso, quelli dello zio Crocifisso sono da affarista). Prestava quindi i soldi ma poi pretendeva
“l’argento colle colonne”, gli interessi, “perché con l’interesse non c’è l’amicizia”. Ecco che si
smentisce e contraddice, poco prima aveva detto che viveva prestando soldi agli amici. Comprava la
pesca tutta in una volta, solo per pagarla di meno, e soprattutto quando il poveretto che l’aveva
comprata aveva bisogno di denaro. Semplicemente perché non avrebbe contrattato, avrebbe venduto
il pesce a basso prezzo. Addirittura gli faceva pesare la pesca con le sue bilance che erano false (come
Giuda). Qui è come se lui rispondesse che quest’ultima affermazione viene fatta da chi non è mai
contento e continua dicendo che hanno un braccio lungo e uno corto, come San Francesco di Paola.
Anticipava la spesa per la ciurma, prendeva solo il denaro anticipato (qui è lui che parla, come se si
vantasse), e un rotolo di pane a testa, e mezzo quartuccio di vino (qui è come se la smentita venisse
dalle male lingue del villaggio), “e non voleva altro, ché era cristiano e di quel che faceva in questo
mondo avrebbe dovuto dar conto a Dio” (ecco che torna lui a rispondere).
- METAFORA PROVVIDENZA - ZIO CROCIFISSO: Insomma era la provvidenza (di nuovo
lui che parla di se stesso). In questo verso abbiamo un’altra indicazione sulla Provvidenza, lui si
definisce così come se fosse una battuta blasfema. Infondo un po’ lo è, egli è una provvidenza terrena
cattiva. La provvidenza è l’unica cosa a cui possono appigliarsi quei poveracci, un minimo guadagno
che gli entra e gli permette di sopravvivere. Se non ci fosse lo Zio Crocifisso i poveri pescatori non
venderebbero a nessuno il pesce (anche se a basso prezzo). Tra l’altro della figura degli usurai se ne
parla nell’inchiesta di Franchetti e Sonnino, anche nella logica del capitalismo moderno, sono delle
figure che stanno con le spalle al muro.
- LO ZIO CROCIFISSO SI FA “I FATTI SUOI” Insomma era la provvidenza e aveva inventato
cento modi per “aiutare il prossimo”. Senza essere un uomo di mare aveva barche e attrezzi, si
mangiava tutto il guadagno di chi andava nel mare, con la sua “barca del diavolo”. Quando gli
chiedevano perché non ci andasse lui stesso in mare a rischiare la vita, lui rispondeva che “si faceva
i fatti suoi”. Era inutile cercare di andargli contro perché non solo era sordo (campana di legno), era
anche scarso di cervello e non sapeva dire altro che «Quel che è di patto non è d’inganno», oppure
«Al giorno che promise si conosce il buon pagatore». I suoi nemici intanto almeno potevano prenderlo
in giro per l’affare dei lupini che era andato in malora. Lo Zio Crocifisso non poteva fare altro che
recitare il deprofundis per l’anima di Bastianazzo, insieme ai confratelli della Buona Morte (con la
testa nel sacco, un capello che quelli della setta indossavano).

- IL FUNERALE: Il lettore se non lo aveva ancora intuito, ora lo capisce, sono al funerale di
Bastianazzo, un altro salto temporale. Siamo nella chiesa, dai quali vetri che luccicano si vede il mare
che non sembrava nemmeno quello che aveva ucciso Bastianazzo. Capiamo che lo zio Crocifisso
proprio mentre recita il deprofundis continua a fare tutti questi pensieri negativi. Quelli della
confraternita avevano fretta di andarsene, ora il tempo era buono, i Malavoglia erano seduti davanti
al cataletto, la bara e avevano riempito il pavimento di lacrime, tanto che sembrava che il morto fosse
davvero nella tomba con tutti i lupini al collo. In tutto questo lo zio Crocifisso pensa che nonostante
Bastianazzo sia morto, Padron Ntoni forse non avrebbe pagato il debito e si lamentava tra se e se
pensando che sarebbe andato in galera. Segue una riflessione su quanto Padron Ntoni avrebbe dovuto
spendere prima di tutto per il temporale e poi per ripagare il debito-
- CAMBIO DI SCENA: la casa del Nespolo era piena di gente. Tutti quelli che passavano davano
della poverina alla Longa, ora iniziavano i guai per lei. Gli amici portavano tanta roba da mangiare,
ma ovviamente nessuno aveva fame. Era arrivato persino compare Alfio che cercava di rincuorare
Mena dicendole che sarebbe voluto essere stato lui al posto del padre (non sarebbe mancato a nessuno,
anche se in realtà sarebbe mancato proprio a Mena). La poverina sentiva il cuore battere velocemente,
come le bestie che aveva in mano (non sappiamo se Mena faccia così per quello che ha detto compare
Alfio, per la morte del padre oppure al pensiero della sua dote, che se n’è andata con la provvidenza).
Si animalizzano dei personaggi che stanno sull’uscio senza aver aperto bocca, come dei baccalà.
Sappiamo che sono passati due giorni, lo dice qualcuno dal popolo. Compare Cipolla raccontava
che il prezzo delle acciughe era aumentato. Era presente anche il sindaco, Mastro Croce Callà, “Baco
da seta”, detto anche Giufà. Lui se ne stava con il naso in aria, come se stesse cercando una foglia
(come il baco da seta, una metafora prolungata). Don Silvestro intanto non solo rideva ma cercava di
fare ridere gli altri (cosa molto strana, siamo ad un funerale). Cominciò a parlare successione di
compar Bastianazzo, e ci ficcò così una barzelletta che aveva sentito dal suo avvocato, e gli era
piaciuta tanto (probabilmente su una tassa che nel periodo dei borboni non c’era). La moglie dello
speziale torceva il naso di fronte a quegli schiamazzi e si comportava come se avesse il morto davanti
(anche se in realtà non c’era), si comportava come una Signora. Don Silvestro faceva il gallo con le
donne e si muoveva per fare scricchiolare le sue scarpe appena verniciate. Don Silvestro viene
associato quelli delle tasse perché non era di Trezza e rappresenta lo stato in quanto segretario
comunale, una figura come lo “stato”, come Don Michele. Comare la Zuppida si lamentava a
proposito delle tasse e diceva che li avrebbero dovuti bruciare quelli delle tasse, immagina i pensieri
dei personaggi che vogliono prendere in sposa le figlie solo per il denaro. Segue il dialogo tra Turi
Zuppiddu e la Zuppidda e lei è come se lo stesse mettendo in riga. C’è Piedipapera che suggerisce
a Padron Cipolla di sposare Barbara Zuppidda così non sarebbe finita nelle mani di quegli “italiani”.
Donna Rosalia (la sorella del curato), definisce la situazione “una vera porcheria”, lei era rossa come
un tacchino. Si nota una ricerca del lirismo popolare, dei canti Siciliani, “rossa come un tacchino”.
Verga rende patrimonio disponibile tutte le tradizioni popolari per renderle un grandissimo romanzo.
La donna si faceva vento con il fazzoletto e se la prendeva con Garibaldi che è l’unificatore dell’Italia
nel loro immaginario popolare.
- VERGA E IL RISORGIMENTO: Verga nel 1860 ha 20 anni, aveva un po’ seguito l’onda dei
tempi in cui i giovani parteggiavano per Garibaldi e non per i borboni. Ricordiamo addirittura uno
dei suoi primi romanzi, “i carbonari della montagna”. Dopo un primo periodo capisce che gli ideali
del risorgimento sono solo parole vuote.
- LA COLPA DI PADRON NTONI: Donna Rosalia non è tanto desiderata (è un po’ grassa) ma
cerca di farsi guardare grazie alla sua dote (che mostra a Don Silvestro). Lei è una donna forte e non
una con i capelli lunghi e il cervello corto come Maruzza. Ci siamo persi di nuovo in questo
pettegolezzo di paese che ci siamo quasi scordati che sia morto Bastianazzo. La Santuzza riflette sul
fatto che Bastianazzo fosse morto in un giorno segnato (giorno festivo). Ecco che ricompare Maruzza
di cui si è appena parlato, seduta ai piedi del letto, pallida e disfatta come un “cencio messo al bucato”
che sembrava la Madonna Addolorata (sarà spesso paragonata a lei, addirittura nella testa del lettore
diventa l’”addolorata”). Padron Ntoni la guardava, scrollando il capo e non sapeva che dirle. Perché
guarda Maruzza? C’è qualcosa di strano nel suo comportamento, non sta solo piangendo per la morte
di Bastianazzo ma si incolpa della morte. Guarda Maruzza come se si sentisse lui l’artefice della sua
morte e portasse questo fardello in più rispetto alla ragazza.
Compare Piedipapera dice che la Santuzza ha il miele in bocca e la Zuppidda risponde che «Chi non
sa l’arte chiuda bottega, e chi non sa nuotare che si anneghi» E’ uno scenario con cui il dramma è
nascosto, messo un secondo da parte

Lezione 24 Marzo
LA SANTUZZA E LA LUPA: Eravamo arrivati al punto in cui c’era un battibecco tra la Zuppidda
e la Santuzza. Viene detto che quest’ultima parla con la bocca stretta, come se volesse fare la persona
elegante. Verga dirà che parla con lo “squinci e linci”. Viene fatta una descrizione della Santuzza, ci
si concentra maggiormente sulla sua sessualità, una descrizione del genere venne fatta da Verga anche
nella “Lupa”, una novella della raccolta vita dei campi. Dice che ha la medaglia con il simbolo di
figlia di Maria ma che sul suo “petto prepotente” non ci vuole proprio stare (la stessa descrizione
della lupa), come se volesse fare un contrasto tra la sua figura sessuale e la religione. Viene fatta una
descrizione, inoltre, dello stato moderno, dell’Italia. Un luogo che a causa delle tasse rende difficile
il lavoro. Si fa un accenno alla tassa sul sale (che avrebbero potuto mettere).
L’ILARITA’ DEI PAESANI AL FUNERALE: Padron Cipolla disse che con la cattiva annata che
si stava preparando, non pioveva da Santa Chiara che è il 12 Agosto, il temporale che ha fatto
affondare la provvidenza è stato “provvidenziale”, ha fatto si che il paese non morisse di fame.
Ognuno parlava dei suoi guai, cercavano di confortare i Malavoglia e non farli pensare a ciò che era
successo a loro. Padron Cipolla esordì con qualcosa di molto ridicolo “Non piove più̀ perché́ hanno
messo quel maledetto filo del telegrafo, che si tira tutta la pioggia, e se la porta via” che provocò
ovviamente ilarità e fece ridere tantissimo don Silvestro, che era acculturato. Padron Cipolla a quel
punto si arrabbia e se la prende con gli “ignoranti”, dicendo che il telegrafo trasportava non solo le
notizie ma anche la pioggia delle nuvole. Don Silvestro di fronte a ciò, forse perché la situazione
stava diventando davvero ridicola, non seppe più cosa dire.
LA CASA DEI MALAVOGLIA: La casa dei Malavoglia era sempre stata una delle prime a Trezza,
erano una famiglia conosciuta. Ma ora che la Provvidenza era affondata, Bastianazzo morto, Ntoni
soldato, Mena da maritare e tutti quei bambini, “facevano acqua da tutte le parti”, come si sarebbero
ripresi? Tutti cominciarono a pensare a quanto potesse valere la loro casa e iniziarono ad osservarla,
compreso l’orto, come se non bastasse si fecero anche i conti con le mani. Tutto questo discorso viene
fatto mentre erano ancora nella casa, dove nell’altra stanza si stava piangendo il morto. Don Silvestro
diceva di sapere più di tutti gli altri. Si viene a sapere grazie alle sue parole che la casa del Nespolo
non è di Padron Ntoni ma di Maruzza, è lei che l’ha portata in dono alla famiglia. Si deduce quindi
che né la casa e né la barca si sarebbero potute vendere perché c’era su la dote di Maruzza. Compare
Cola allora riflette sul fatto che il peggio fosse per lo zio Crocifisso perché nessuno gli avrebbe pagato
il debito. Quest’ultimo era venuto anche lui al funerale, per “politica”, si voleva mostrare amico
perché sperava ancora che lo avrebbero potuto pagare. Stava intanto guardando il soffitto come se
stesse guardando le tegole e stesse pensando a quanto potesse valere la casa.
BASTIANAZZO: UNA FOGLIA NEL VENTO Le comari cominciano a spettegolare come
sempre e dicevano comare Maruzza avrebbe dovuto concludere il matrimonio della Mena,
ovviamente lei aveva tutt’altro per la testa. I Malavoglia rimasero presto da soli nel cortile, padron
Ntoni disse che “erano rovinati” ed era meglio per Bastianazzo che er morto e non ne sapeva niente.
Maruzza si mise a piangere e i bambini fecero lo stesso (anche se il padre era morto da tre giorni).
Padron Ntoni disse che nonostante fossero diventati poveri non dovevano umiliarsi (perdere il loro
capitale simbolico) e che avrebbero comunque pagato il debito allo zio Crocifisso. Vi è una breve
descrizione del paesaggio: “vento porta quelle foglie di qua e di là” da Padron Ntoni, tutto ciò era
un’allusione al suo comportamento nei confronti di Bastianazzo, era lui ad averlo mandato in mare,
come il vento che spinge le foglie, aggiunge che “se gli avessi detto di buttarsi dal fariglione con una
pietra al collo, l’avrebbe fatto senza dir nulla”, Bastianazzo quindi avrebbe fatto tutto quello che
Padron Ntoni gli avesse ordinato. Da queste parole traspare ovviamente il fatto che si sente in colpa.
Aggiunge alla fine “Uomo povero ha i giorni lunghi”, alludendo al fatto che lui era vecchio ma era
ancora vivo. Maruzza come al solito non diceva nulla ma rimuginava su cosa potesse essere accaduto
quella notte a Bastianazzo.
LA LIRICA DEI MALAVOGLIA: Si sentiva Mastro Cola Zuppiddu che cantava a squarciagola
mentre “picchiava con la malabestia”, il nonno mormorava “poveretta” alla Mena che piangeva, nella
stesso verso si ripete due volte la parola “freddo freddo”, è un artificio stilistico che fa capire come si
trattasse di un romanzo lirico. Ci fa pensare alla poesia, dove c’è bisogno delle rime, delle ripetizioni,
nella prosa non è qualcosa di corretto. Verga al contrario sta cercando di costruire una prosa ritmica.
Ecco che ritorna la “Circolata melodia”.
LA PERDITA DELLA LOCCA: Padron Ntoni intanto, mentre parla, va a toccare tutti i suoi
attrezzi. Forse ha paura che anche quelli sarebbero stati persi e che sarebbero andati nelle mani dello
zio Crocifisso. Intanto guarda da lontano Luca, con i vestiti di Bastianazzo e pensa tristemente che
lui non avrebbe potuto prendere il posto di Bastianazzo, era troppo giovane. Gli disse però che lui
avrebbe dovuto lavorare, più di tutti per potersi sdebitare. Maruzza si tappa le orecchie per non sentire
la Locca piangere dal ballatoio, anche lei aveva perso un figlio, e non ha solo un debito, non potrà
proprio più sopravvivere da sola. La cugina Anna disse a tal proposito “fa così perché ha fame”, e
continua dicendo che i vicini avrebbero dovuto fare come le tegole del tetto, e darsi acqua a vicenda
(alludendo al fatto che tra vicini ci si sarebbe dovuti aiutare).
LA CHIUSA IN MINORE: Il capitolo ha una chiusa in minore, con dei personaggi che sono un po’
fuori dalla scena principale. Alessi aiuta la mamma a tenere a bada i più piccoli. Si viene a sapere che
la nunziata ha il capitale simbolico della cugina Anna, è una moglie che promette che con il suo lavoro
si sarebbe potuta “guadagnare” il marito, e avrebbe offerto delle prospettive economiche pur non
avendo un capitale economico materiale a disposizione

CAPITOLO 5
IL SALTO TEMPORALE DI INIZIO CAPITOLO: Il capitolo inizia con Mena, il quarto si era
ambientato all’inizio nella Chiesa e successivamente nella casa del Nespolo. Era diventata quasi una
piazza, qui abbiamo assistito a tutti i discorsi che nel secondo capitolo si erano fatti nella piazza.
Quando se n’erano andati tutti via erano rimaste solo le persone intime. Ora vi è un po’ un salto
temporale, Verga utilizza lo stacco tra un capitolo e l’altro che suggerisce al lettore un passaggio.
LA MENA DEVE SPOSARSI? La Mena quindi non sapeva che l’avrebbero voluta maritare con
Brasi di padron Cipolla, era stato Alfio Mosca a dirglielo. Alla notizia lei continuava dire che non
fosse vero e arrossiva pensando al fatto che stesse parlando del suo matrimonio proprio con Alfio
(che le piaceva). Anche Compare Alfio però a tal proposito è a disagio, come gesto di nervosismo
tocca convulsamente i bottoni e si dondolava prima su un piede e dopo sull’altro. Disse che lui non
ne aveva colpa e che lo aveva sentito Dore nel cortile dello Zio Crocifisso mentre stava spaccando il
carrubo che era stato spaccando il giorno del temporale di Santa Chiara. Alfio allora chiese alla Mena
il perché si stesse facendo rossa e lei in cuor suo non lo sapeva, sembrava quasi una scenata di gelosia
ma non c’è nulla di esplicito. Tutte le ragazze desideravano Brasi Cipolla e Mena, come nello scorso
capitolo, cambia discorso quando è in imbarazzo, lo saluta e se ne va nell’orto. Alfio si infuria perché
aveva litigato con lei e va a lamentarsi con la Vespa. Lei gli rispose che non gli aveva detto una bugia
e che glielo aveva detto lo Zio Crocifisso, lui però contemporaneamente nega tutto, dice che non
gliene importa nulla del fatto che si sarebbero sposati, voleva solo la sua roba.
LA VESPA E LO ZIO CROCIFISSO: Viene fatta un’allusione al fatto che lo zio Crocifisso avesse
fatto una mezza promessa alla Vespa sul fatto che l’avrebbe sposata, lei quasi come se lo minacciasse,
gli fa notare che lei doveva sbrigarsi a sposare qualcuno, mentre lui non aveva fretta. Continua
dicendo che se non si fosse deciso, lei avrebbe potuto trovarsi qualcun altro, alla fine lei “la sua roba
ce l’ha”. Lo zio Crocifisso si difende dicendo che lui sapeva che lei fosse una ragazza di giudizio e
che le voleva bene. Lei però pensa il contrario e si struscia su di lui come se nulla fosse continuando
a ripetere che a lui di lei non interessava nulla. Lo Zio Crocifisso, offeso, rimurgina sul fatto che se
la Vespa non fosse nata, il fratello dello zio Crocifisso avrebbe lasciato a lui la dote. Il rivale dello
zio Cricifisso adesso sembra Alfio Mosca che abita nella stessa via della vespa e a tal proposito lei
cerca di farlo ingelosire. Ci riesce e infatti esclama “Sicuro che son geloso! esclamò lo zio Crocifisso,
geloso come una bestia!”, avrebbe pagato 5 lire per fargli rompere le ossa, non lo faceva solo perché
era cristiano. Queste ultime sono però parole sue, faceva di tutto per apparire a tutti come un uomo
di fede, la Provvidenza del paese.
LO ZIO CROCIFISSO E’ LA VITTIMA? Lo zio Crocifisso fa il “viaggio” alla casa del Nespolo,
ci fa il pellegrinaggio, come quelli che hanno fatto il voto ad un Santo. Tutto ciò per chiedergli una
“grazia”, quella di pagargli il debito. Questi lo ripagavano semplicemente salutandolo e i bambini
appena lo vedevano per la strada correvano via come se avessero visto il “bau bau”, il mostro. Egli
andava a sfogarsi con Piedipapera che lo aveva messo in quell’imbroglio. Piedipapera gli ricorda
che i lupini erano tutti fradici e che avrebbe dovuto lasciare stare i Malavoglia che avevano perso
tutto. Lo zio Crocifisso non ne sapeva nulla, sapeva solo che il suo sangue fosse nelle mani di Dio. Il
“dibattito” viene fatto da Piedipapara con il discorso diretto, mentre da zio Crocifisso con l’indiretto
libero. Zio Crocifisso appare al lettore in questo momento come la “vittima”, I Malavoglia lo evitano,
la Vespa che lo stressa perché lo vuole sposare, Piedipapera gli rinfaccia che i lupini fossero marci.
Se la prende adesso, di nuovo con compare Alfio e lo chiama “fannullone”, anche se così
effettivamente non è.

MENA E ALFIO: Va all’osteria a lamentarsi con lo Zio Santoro, vengono spesso usati i verbi del
“vedere” con lui, nonostante non vedesse. Lo Zio Santoro gli rivela che a Compare Alfio non importi
nulla della Vespa ma che al contrario probabilmente gli interessasse solo la Mena. Si notavano gli
sguardi che le riservava, era molto timido e le parole che si scambiavano erano tutte sul lavoro, si
vantava del suo asino e Mena spesso lo accarezza. E’ un gesto simbolico che ci fa capire che
probabilmente Mena avrebbe voluto accarezzare lui, infatti quello quasi come se capisse, rideva. Si
fa un’allusione di un matrimonio tra i due e la Mena riflette sul fatto che sarebbe stato meglio se la
sua famiglia avesse fatto il carrettiere, il padre non sarebbe morto. Viene fatta una citazione al secondo
capitolo: «Il mare è amaro, ripeteva, ed il marinaro muore in mare».

Lezione 29 Marzo
Forse, se Mena fosse provenuta da una famiglia di carrettieri, si sarebbe potuto combinare un
matrimonio con Alfio, facendo con lui uguale mestiere.

Alfio che aveva fretta d’andare a scaricare il vino della Santuzza, non sapeva risolversi a partire, e
rimaneva a chiacchierare della bella cosa che era il fare l’oste, un mestiere col quale si ha sempre il
suo guadagno, e se aumenta il prezzo del mosto basta crescere l’acqua nei barili. – Lo zio Santoro
si è fatto ricco in tal modo, ed ora chiede l’elemosina per passatempo.
– E voi ci guadagnate bene, coi carichi del vino? domandò la Mena.
– Sì, nell’estate, quando si può andare anche di notte; allora mi busco una bella giornata. Questa
povera bestia se lo guadagna il pane. Quando ci avrò messi da parte un po’ di soldi comprerò un
mulo, e potrò tirarmi su a fare il carrettiere davvero, come compare Cinghialenta.

 L'oste ar vino c'ha messo l'acqua è anche una canzone popolare romana.
 Zio Santoro = mendica perché cieco ma in realtà lo fa per passatempo, ha altra fonte di reddito
 Se ci guadagna bene potrebbe diventare un buon partito, non che lei fosse interessata al
risvolto economico, ma forse lo è la sua famiglia.
 Ognuno pensa che il mestiere dell'altro sia migliore, ma forse in questo mondo non ci sono
mestieri veramente migliori.
 Giornata del carrettiere = dura più a lungo d'estate.
 Come compare Cinghialenta = non tutti i carrettieri hanno lo stesso status sociale, compare
Alfio aspira ad essere come compare Cinghialenta che passa il tempo sotto la bettola della
Santuzza a guardare in aria, la domenica, senza lavorare. Compare Alfio non c'era all'osteria,
lui al più va lì per lavoro, non per passatempo, come si permettono o i vagabondi o gli uomini
agiati. La stessa cosa vale per i pescatori, non sono tutti uguali: i Malavoglia vanno in barca
a pescare, padron Cipolla invece può permettersi di lasciare la barca ammarrata – lui è
proprietario di barca, ma non pescatore: ci manda qualcun altro a pescare, tant'è che i
Malavoglia andranno a pescare con la Paranza per conto suo, un po' come lo zio Crocifisso
si prendono una parte della pesca.

La ragazza era tutta intenta a quello che diceva compare Alfio, e intanto l’ulivo grigio stormiva
come se piovesse, e seminava la strada di foglioline secche accartocciate. – Ecco che se ne viene
l’inverno, e tutto ciò non si potrà fare prima dell’estate, osservò compar Alfio. Mena cogli occhi
seguiva l’ombra delle nuvole che correva per i campi, come fosse l’ulivo grigio che si dileguasse;
così correvano i pensieri della sua testa, e gli disse: – Sapete, compare Alfio, di quella storia del
figlio di padron Fortunato Cipolla non ce n’è nulla, perché prima dobbiamo pagare il debito dei
lupini.
– Io ci ho piacere, rispose Mosca, ché così non ve ne andate dal vicinato.
– Ora poi che torna ‘Ntoni da soldato, col nonno e tutti gli altri, ci aiuteremo per pagare il debito. La
mamma ha preso della tela da tessere per la Signora.
– Bel mestiere anche quello dello speziale! osservò Mosca.
 Quando l'ulivo perde le foglie = è inverno. Lo stesso lavoro di compare Alfio sarà meno
proficuo, quindi non potrà comprare il mulo, non potrà subito arricchirsi.
 Vediamo l'ulivo grigio che si confonde con le nuvole, è una bella immagine.

Paradosso del romanzo → il debito dei lupini è causa del fallimento del matrimonio e del ritorno di
una speranza affettiva per Mena, che è interessata a compare Alfio. Questo contrasto lo avevamo
preannunciato quando Mena guardava le stelle che ammiccavano, che potevano essere segnale felice
per gli innamorati, però al tempo stesso le stelle che luccicano non sono buone perché indicano che
il tempo sta per cambiare, ed è una cosa negativa.

Anche qui, mentre sprofonda la situazione sociale dei Malavoglia, c'è speranza per Mena.
 Mena e Compare Alfio sono due spasimanti molto timidi, non dicono nulla, è tutto implicito.
 La signora = moglie di Don Franco.
 Bel mestiere quello dello speziale = facciamo quasi la classifica dei mestieri, abbiamo già
visto l'oste, il carrettiere, il marinaio e così via.
In questa spuntò nella viottola comare Venera Zuppidda, col fuso in mano. – Oh! Dio! esclamò
Mena, vien gente! e scappò dentro.

 La Zuppidda spunta sempre, qualche capitolo prima "come il diavolo nella litania". Anche
qui sembra spuntare, interrompe quello che potrebbe essere un idillio. Lei con la scusa di
portare oltre fuso in mano va in realtà a spettegolare di qua e di là.
 Mena non si fa vedere, in particolare dalla Zuppidda, pettegola, con compare Alfio.
 Alfio non se ne va: anche prima voleva farlo. Questo è tipico, lo troviamo in altre circostanze:
non se ne va perché vuole stare con Mena.

– Oh compare Alfio, che fretta avete? gli disse la Zuppidda; volevo domandarvi se il vino che
portate alla Santuzza è della stessa botte di quello della settimana scorsa.
– Io non lo so; il vino me lo danno nei barili.
– Aceto da fare l’insalata! rispose la Zuppidda, un vero veleno; così si è fatta ricca la Santuzza, e
onde gabbare il mondo si è messo sul petto l’abitino di Figlia di Maria. Belle cose che copre
quell’abitino! Al giorno d’oggi per andare avanti bisogna fare quel mestiere là; se no si va indietro
al modo dei gamberi, come i Malavoglia. Ora hanno pescato la Provvidenza, lo sapete?
– No, io non ci sono stato qui; ma comare Mena non sapeva nulla.
– Hanno portato adesso la notizia, e padron ‘Ntoni è corso verso il Rotolo, per vederla che stanno
rimorchiandola verso il paese, e pareva che ci avesse le gambe nuove, il vecchio. Adesso colla
Provvidenza i Malavoglia potranno tirarsi su un’altra volta, e la Mena sarà di nuovo un bel partito.

 La Santuzza, secondo le malelingue, si è arricchita non solo allungando il vino con l’acqua
ma anche spacciando l'aceto per vino. Lei ha preso in giro il mondo, con la scusa che fa la
santa. L'abitino della Santuzza copre il suo seno prosperoso, ed è un segno malevolo per dire
che tale non è, infatti va a sedurre l'ortolano.
 Mestiere = fregare il prossimo. Sembra quasi un invito ai Malavoglia a farsi furbi. Con i
lupini si sarebbero ripresi, mentre ora pare che stiano regredendo. Anche lo zio Crocifisso ha
venduto l'aceto per il vino: ha venduto dei lupini avariati per lupini.
 Neanche Mena sa che è stata ritrovata la Provvidenza = la Zuppidda è così impicciona che lo
scopre prima di Mena, che è diretta interessata.
 Pareva avesse le gambe nuove = padron 'Ntoni si è affrettato. È una bella notizia per padron
'Ntoni e pare essere “ringiovanito”.
 La Zuppidda è malalingua, dice che Mena sarà di nuovo un buon partito proprio a compare
Alfio.

La barca può tornare ad essere provvidenza, può permettere loro di tirarsi su nuovamente, può essere
provvidenziale. Sappiamo che la Provvidenza ha significato antifrastico: fa naufragio → messaggio
di provvidenza che non esiste. Se quella dei Promessi Sposi naufragasse Renzo e Lucia non si
sposerebbero mai, c'è un giustizia divina che fa sì che don Rodrigo faccia brutta fine, e i buoni
ottengono qualcosa grazie alla provvidenza. Qui pare essere naufragata ma viene ritrovata: essa
rinasce, torna ad essere una possibilità di fortuna per i Malavoglia di riconquistare il proprio stato.

Alfio non rispose, perché la Zuppidda lo guardava fisso, co’ suoi occhietti gialli, e disse che aveva
fretta di andare a consegnare il vino alla Santuzza. – A me non vuole dir nulla! borbottò la
Zuppidda. Come se non li avessi visti co’ miei occhi. Vogliono nascondere il sole colla rete.

 Alfio non rispose = il silenzio in questo romanzo è importante, lo abbia visto per
Bastianazzo, per Maruzza, per padron 'Ntoni: quando il personaggio non ha voglia di parlare
vuol dire che le cose non stanno andando per il verso giusto. La battuta della Zuppidda gli fa
male, per questo non risponde.
 La Zuppidda li ha visti = la sua battuta era maligna, qui ne abbiamo conferma.
 Nascondere il sole con la rete = per dire che è impossibile.

Il ritrovamento della barca


Evocata la Provvidenza, ora ci spostiamo dove essa è presente, lasciamo il vicolo di questi personaggi
e passiamo alla Provvidenza.

La Provvidenza l’avevano rimorchiata a riva tutta sconquassata, così come l’avevano trovata di là
dal Capo dei Mulini, col naso fra gli scogli, e la schiena in aria. In un momento era corso sulla riva
tutto il paese, uomini e donne, e padron ‘Ntoni, mischiato nella folla, guardava anche lui, come gli
altri curiosi. Alcuni davano pure un calcio nella pancia della Provvidenza, per far suonare com’era
fessa, quasi non fosse più di nessuno, e il poveretto si sentiva quel calcio nello stomaco. – Bella
provvidenza che avete! gli diceva don Franco, il quale era venuto in maniche di camicia, e col
cappellaccio in testa, a dare un’occhiata anche lui, fumando la sua pipa.
– Questa ora è buona da ardere, conchiuse padron Fortunato Cipolla; e compare Mangiacarrubbe, il
quale era pratico del mestiere, disse pure che la barca aveva dovuto sommergersi tutt’a un tratto, e
senza che chi c’era dentro avesse avuto tempo di dire «Cristo aiutami!» perché il mare aveva
scopato vele, antenne, remi e ogni cosa; e non aveva lasciato un cavicchio di legno che tenesse
fermo.
 Erano riusciti a superare il capo dei mulini ma la tempesta li aveva travolta ugualmente, o
forse li aveva beccati proprio al capo dei mulini.
 Barca con la schiena in aria = personificazione per dirci che era capovolta. Poi si cita la
pancia: continua la metafora dell'umanizzazione.
 Prendere a calci la barca = è come se non fosse di nessuno.
 Don Franco è ebreo e protestante, non ci crede nelle provvidenze = dice che hanno una bella
provvidenza.
 È buona da ardere = è buona per il fuoco, non c'è niente da ricavare.
Si ritrova la barca ma nient'altro, né vele né un pezzettino di legno che tenesse fermo qualche oggetto
bloccato nella barca. Abbiamo trovato la barca, ma i barcaioli che fine hanno fatto? Il racconto non
si sta preoccupando delle vittime del naufragio: abbiamo accolto il ritrovamento della barca con la
gioia di Padron 'Ntoni che va a vedere se si è salvata. Poi le vittime compaiono, ma in un secondo
momento.

– Questo era il posto del babbo, dove c’è la forcola nuova, diceva Luca il quale s’era arrampicato
sulla sponda, e qui sotto c’erano i lupini.
Ma di lupini non ne rimaneva uno solo, ché il mare aveva tutto lavato e ripulito. Per questo Maruzza
non si era mossa di casa, e non voleva più vedere la Provvidenza finché ci aveva gli occhi aperti.
– La pancia è buona, e se ne può ancora fare qualche cosa, sentenziò alfine mastro Zuppiddu il
calafato, e dava anche lui dei calci coi suoi piedacci nella Provvidenza. Con quattro lapazze ve la
metto in mare un’altra volta. Non sarà più una barca che potrà resistere al mare grosso, un’ondata di
fianco la sfonderebbe come una botte fradicia. Ma per la pesca di scoglio, e per la buona stagione
potrà servire ancora. Padron Cipolla, compare Mangiacarrubbe, e compare Cola stavano ad
ascoltare senza dir nulla.
– Sì, conchiuse infine padron Fortunato gravemente. Piuttosto che buttarla sul fuoco…

I lupini non ci sono, come non c'era il padre. Il racconto predilige sempre i lupini, lascia implicito
l'altro dramma, quello più forte. Come Mena e Alfio non si dicono mai che cosa provano ma è
tutto implicito, qui che sono morti non ci viene detto, dobbiamo noi capirlo.

Maruzza ce l'aveva, secondo il paese del terzo capitolo, con il nome di Dio. Ora pare avercela con la
Provvidenza, ma forse non solo con la barca. Il racconto pare avere preso sul serio questo, anche se
di fatto così non è: non vuole vedere la barca per il ricordo, non perché irata con essa. Lei è l'unica
che pare avere preso sul serio la morte di Bastianazzo, che è l’unica cosa che le importa.

Non si parla proprio di Menico della Locca, il fratello non è tanto sveglio, la madre è pazza: nessuno
lo va a cercare.

 Mastro Zuppiddu è un omone ed è una voce importante: è calafato, ripara le barche, è l'uomo
che potrà mettere mano alla Provvidenza.
 Quattro lapazze = quattro tavole, giunture.
 La Provvidenza non ha mai resistito al mare grosso, era la barca più vecchia del paese, quindi
il fatto che ora dicano che d’ora in poi non resisterà sembra ironico.

– Io ci ho piacere! diceva lo zio Crocifisso ch’era lì anche lui a vedere, colle mani dietro la schiena.
Siamo cristiani, e bisogna godere del bene altrui; il proverbio dice: «Augura bene al tuo vicino, ché
qualche cosa te ne viene».
I ragazzi s’erano istallati nella Provvidenza insieme agli altri monelli che volevano arrampicarvisi
anche loro. – Quando avremo rattoppata per bene la Provvidenza, diceva Alessi, sarà come la
Concetta dello zio Cola; – e si davano un gran da fare e sbuffavano e si affannavano a tirare e a
spingere anche loro la barca davanti alla porta di mastro Zuppiddu il calafato, dove c’erano i sassi
grossi per tener su le barche, e il ramaiuolo pel catrame, e una catasta di coste e di fasciame
appoggiate al muro.
Alessi era sempre accapigliato coi ragazzi che avrebbero voluto montare nella barca, e aiutare a
soffiare nel fuoco sotto la caldaia della pece anche loro, e quando le buscava minacciava
piagnucolando:
– Ora che viene mio fratello ‘Ntoni da soldato!…
 Ha piacere perché è cristiano = è sempre l'immagine che vuole dare di sé lo zio Crocifisso.
Cosa gliene viene? Che il guadagno che i Malavoglia potranno fare con la barca rattoppata
andrà a lui, come in seguito lamenterà 'Ntoni.
 Le barche venivano sistemate in alto così che il calafato potesse sistemarle anche sotto.
 Si mette in scena ancora una volta Alessi, che è il figlio piccolo, che avrà 15 anni al massimo.
La prima volta aiutava la Nunziata a portare i fasci di ginestre, ora monta su la nave: ha un
atteggiamento positivo, quasi da adulto, in tutte e due le scene.

Infatti ‘Ntoni s’era fatto mandare le carte, e aveva ottenuto il suo congedo, sebbene don Silvestro il
segretario avesse assicurato che se ci stava altri sei mesi a fare il soldato, avrebbe liberato suo
fratello Luca dalla leva. Ma ‘Ntoni non voleva starci più nemmeno sei giorni, ora che gli era morto
il padre; Luca avrebbe fatto come lui, che s’era pianta la sua disgrazia laggiù dove si trovava, e
avrebbe voluto non far più niente, quando gli recarono la notizia del babbo, se non fosse stato per
quei cani di superiori.
– Per me, disse Luca, ci vado volentieri a fare il soldato, in cambio di ‘Ntoni. Così, come tornerà
lui, potrete mettere in mare la Provvidenza, e non ci sarà più bisogno di nessuno.
– Questo è proprio un Malavoglia nato sputato! osservava padron ‘Ntoni gongolante. Tutto suo
padre Bastianazzo, che aveva un cuore grande come il mare, e buono come la misericordia di Dio.

 Evocato, entra in scena 'Ntoni rispetto alla barca.

Il ritorno di ‘Ntoni
'Ntoni è stato chiamato soldato, ma essendo morto il padre egli è nuovo capo famiglia. Gli orfani non
andavano in leva, quindi teoricamente Luca, da orfano, potrebbe evitare la leva (ha 17 anni, quindi è
prossimo alla partenza). Ma a quel punto, se ‘Ntoni torna, diventa lui il capofamiglia e gli altri fratelli
possono essere chiamati a fare la leva. Questo mette già in cattiva luce il personaggio di 'Ntoni agli
occhi del lettore.
 Don Silvestro assicura che se ‘Ntoni non torna subito possono evitare la leva per Luca, ma
forse i Malavoglia non lo sanno o non ci credono.
 'Ntoni non ci vuole stare perché è morto il padre = in realtà lui sente la responsabilità di essere
padre famiglia. Nelle lettere si vantava della vita da soldato, non si lamentava, ma ora sente
la responsabilità della famiglia e vuole tornare a casa.
 Luca avrebbe fatto come 'Ntoni, e quest'ultimo lamenta di aver pianto la morte del padre da
solo. I superiori sono cani perché, nonostante fosse morto il padre, gli hanno fatto fare tutti i
lavori. Anche in questa circostanza, sebbene motivato dalla morte del padre, c'è il suo non
voler far niente.
 C'è differenza tra 'Ntoni e Luca = il primo è in grado di mettere in mare la Provvidenza, può
guidare da solo la barca, è grande e grosso come il padre; Luca non può ancora farlo, non è
forte.

Una sera, dopo che tornarono le barche dal mare, padron ‘Ntoni arrivò in casa trafelato, e disse: –
C’è qui la lettera; me l’ha data or ora compare Cirino, mentre andavo a portare le nasse in casa dei
Pappafave. – La Longa si fece bianca come un fazzoletto, dalla contentezza, e corsero tutti in cucina
a veder la lettera.
‘Ntoni arrivò col berretto sull’orecchio, e la camicia colle stelle, che la mamma non sapeva saziarsi
di toccargliela, e gli andava dietro in mezzo a tutti i parenti e gli amici, mentre tornavano dalla
stazione; in un momento la casa e il cortile si riempirono di gente, come quando era morto
Bastianazzo, tempo addietro, che nessuno ci pensava più. A certe cose ci pensano sempre soltanto i
vecchi, quasi fosse stato ieri – tanto che la Locca era sempre lì davanti alla casa dei Malavoglia,
seduta contro il muro, ad aspettare Menico, e voltava il capo di qua e di là per la straduccia, ad ogni
passo che sentiva.
Abbiamo uno stacco brusco, senza nessun passaggio, non ci sono elementi esterni che sottolineano
questo passaggio. Nel romanzo o c'è un passaggio per allusione, quando il personaggio viene
nominato, o con il luogo, o perché si ascoltano le parole, o perché c'è un paragone. Qui c'è passaggio
brusco, radicale. Salta il tempo → non sappiamo esattamente quando siamo, se dopo un mese o se è
passata solo una settimana. Questo modo di gestire il tempo è tipico di Aci Trezza: avevano il
calendario con la festa dei morti, con Natale, con la festa di santa Lucia (molto importante), con le
scadenze religiose ma non con i giorni. Ci sono delle date che contano in questo mondo arcaico.

 Compare Cirino = sagrestano.


 Nasse = rete da pesca.
 Pappafave = appena nominati nel romanzo, nuovi personaggi.
 Lettera = annunciava il ritorno di 'Ntoni da soldato. Non ci viene detto esplicitamente
successivamente, nel capoverso successivo non ci viene detto quanto tempo è passato.
 Cappello di tre quarti = si usava per essere spavaldi. Arriva anche con la divisa.
 Sono andati a prenderlo alla stazione = siamo andati ad Aci Castello. Pare che questi siano i
confini geografici dei Malavoglia.

'Ntoni che torna da soldato è una curiosità, per diverse ragioni. Prima la leva non c'era e lui è stato
via tanto tempo: avrà tante cose da raccontare, c'è un mondo diverso fuori da Aci Trezza.

 La casa si era riempita di gente come quando era morto Bastianazzo = sembra il punto di vista
di Padron 'Ntoni, forse lui ci pensa ancora perché si sente ancora responsabile. Ma ci pensa,
oltre ai vecchi, anche la Locca, che pensa a Menico che non è più tornato (ogni passo sembra
ricordarle il figlio).
È il quinto capitolo che si chiude con Menico della Locca, insieme al secondo. Anche questo capitolo
si chiude con lui, che è un personaggio che è stato completamente dimenticato durante il ritrovamento
della Provvidenza. Abbiamo visto evocato Bastianazzo, abbiamo visto la Longa che non voleva
vedere la barca o i figli che ricordano dove stava il padre; ora invece viene ricordata la seconda
vittima, cosa che prima non era stata fatta. La Locca sembra essersi persa nella strada e non si muove
più da lì: nell'immaginario la Locca va lì sempre, è una chiusura fiabesca. C'è la chiusura con un
effetto particolare.

Il sesto capitolo invece si apre proprio con il ritorno di 'Ntoni.

CAPITOLO 6
‘Ntoni era arrivato in giorno di festa, e andava di porta in porta a salutare i vicini e i conoscenti,
sicché tutti stavano a guardarlo dove passava; gli amici gli facevano codazzo, e le ragazze si
affacciavano dalle finestre; ma la sola che non si vedesse era Sara di comare Tudda.
 Giorno di festa = non sappiamo quando, probabilmente è domenica perché altrimenti ci
sarebbe stato scritto quando è arrivato, se una festa specifica.
 Sara di comare Tudda = era quella che faceva finta di essere andata a mietere vicino alla
stazione per salutarlo, è quella a cui era stato rivolto l'ultimo saluto e la Longa si era ingelosita.
'Ntoni si guarda attorno, saluta tutti ma lei è l'unica che manca.

C'è sempre una anticipazione che evoca la situazione: il lettore viene tenuto per un attimo in sospeso.
Viene subito chiarita, ma prima viene evocata questa situazione.

– Se n’è andata ad Ognina con suo marito, gli disse la Santuzza. Ha sposato Menico Trinca, il quale
era vedovo con sei figliuoli, ma è ricco come un maiale. Si è maritata che non era compiuto il mese
dacché a Menico Trinca gli era morta la prima moglie, e il letto era ancora caldo, Dio liberi!
– Uno che è vedovo è come uno che vada soldato, aggiunse la Zuppidda. «Amore di soldato poco
dura, a tocco di tamburo addio signora». E poi, s’era persa la Provvidenza.

 Forse è anche vecchio, avendo 6 figli.


 La Zuppidda mette sempre il dito nella piaga, fa riferimento al ruolo del soldato.

Oh e poi s'era persa la Provvidenza = cosa c'entra? 'Ntoni non era più un buon partito. Menico Trinca
si era voluto sposare subito, ma anche la Sara di comare Tudda si era voluta sposare, anche perché
‘Ntoni, persa la barca e avendo la sua famiglia contratto il debito, non era più un buon partito. Non è
una cosa in più ma la motivazione principale. Appare invece sempre in secondo piano, il centro della
scena compare in secondo luogo, sebbene argomento principale. Non è in aggiunta, ma la
motivazione per cui si era sposata.

Comare Venera, la quale era alla stazione, quando era partito ‘Ntoni di padron ‘Ntoni, per vedere se
Sara di comare Tudda fosse andata a salutarlo, ché li aveva visti parlare dal muro della vigna,
voleva godersi la faccia che avrebbe fatto ‘Ntoni a quella notizia. Ma era passato del tempo anche
per cotesto, e si suol dire «lontan dagli occhi, lontan dal cuore». ‘Ntoni ora portava il berretto
sull’orecchio. – Compare Menico vuol morire becco! disse egli per consolarsi, e questo le piacque,
alla Mangiacarrubbe, che l’aveva chiamato «cetriolo» ed ora vedeva che era un bel cetriolo, e
l’avrebbe barattato volentieri con quel disutilaccio di Rocco Spatu, il quale non valeva niente, e
l’aveva preso perché non c’era altri.
– A me non mi piacciono quelle fraschette che fanno all’amore con due o tre per volta, disse la
Mangiacarrubbe, tirandosi sul mento le cocche del fazzoletto da testa, e facendo la madonnina. Se
volessi bene ad uno, non vorrei cambiarlo nemmeno per Vittorio Emanuele, o Garibaldi, vedete!
– Lo so a chi volete bene! disse ‘Ntoni col pugno sul fianco.
– No che non lo sapete, compare ‘Ntoni, e vi hanno detto delle chiacchiere. Se qualche volta poi
passate dalla mia porta, vi racconterò ogni cosa.
– Ora che la Mangiacarrubbe ha messo gli occhi addosso a ‘Ntoni di padron ‘Ntoni, la sarà una
provvidenza per la cugina Anna, diceva comare Venera.
 La Zuppidda va non per salutare 'Ntoni ma per confermare la tresca: è così pettegola che va
solo a questo scopo. Vuole vedere la faccia che aveva fatto 'Ntoni, ma è la Santuzza che dà la
notizia che la Sara si era sposata (la Santuzza era un po’ gelosa di ‘Ntoni).
 Il tempo era passato anche per 'Ntoni: anche lui aveva guardato le altre ragazze, anche per lui
era stata lontana dal cuore perché aveva guardato le ragazze di Napoli.
 Portava il cappello = ora 'Ntoni fa l'uomo che la sa lunga. È come se fosse minaccioso.
 La Mangiacarrubbe si era incapricciata di Rocco Spatu, ma lo aveva fatto perché 'Ntoni aveva
occhi per Sara. Ora diventa nuovamente appetibile perché 'Ntoni non può stare con Sara.
 Fa la madonnina = ma in realtà prima ci provava con Rocco Spatu, ora con 'Ntoni.
 Sarà una provvidenza per la cugina Anna perché la mangiacarrubbe non sposa Rocco Spatu,
che è suo figlio. Questa frase è ambigua perché può essere intesa sia in senso letterale che in
senso ironico: da un lato la cugina Anna non vedrà suo figlio sposarsi con la Mangiacarrubbe;
dall’altro però forse non troverà chi lo sposa. Ricordiamo che la cugina Anna è povera. Come
vive Rocco Spatu? Qualche soldo in tasca lo ha, ha dato le elemosine davanti all’osteria, ma
non sappiamo com'è messo: certo però non ha una buona fama. Avere perso l'opportunità di
sposare la Mangiacarrubbe, figlia di un pescatore, non è una cosa buona perché comunque lei
avrebbe portato una dote.

‘Ntoni se ne andò tutto borioso, dondolandosi sui fianchi, con un codazzo di amici, e avrebbe voluto
che tutti i giorni fosse domenica, per menare a spasso la sua camicia colle stelle; quel dopopranzo si
divertirono a prendersi a pugni con compare Pizzuto, il quale non aveva paura nemmeno di Dio,
sebbene non avesse fatto il soldato, e andò a rotolare per terra davanti all’osteria, col naso in
sangue; ma Rocco Spatu invece fu più forte, e si mise ‘Ntoni sotto i piedi.
– Per la madonna! esclamarono quelli che stavano a vedere. Quel Rocco è forte come mastro Turi
Zuppiddu. Se volesse lavorare se lo buscherebbe il pane!
– Io le mie devozioni so dirmele con questo qui! diceva Pizzuto mostrando il rasoio, per non darsi
vinto.

 Borioso = si vanta, è al centro dell'attenzione.


 Dondolandosi sui fianchi = è andatura un po' da bullo.
 Domenica = viene rievocata, ora sappiamo che è domenica. Il vestito buono viene riservato
alla domenica.
 Vanni Pizzuto = il barbiere. Lui rotola a causa di 'Ntoni. Non è la prima scazzottata, ce ne
sono già state. Compare Pizzu non teme nessuno, però ‘Ntoni è più forte.
 Rocco Spatu = è fannullone, ma se c'è da fare a botte lui forse è il più forte.
 Se volesse lavorare = Rocca Spatu, cugino di 'Ntoni e suo coetaneo (è figlio della cugina
Anna, cugina dei Malavoglia), oltre che rivale nella possibilità di matrimonio verso la
Mangiacarrubbe, va a costituire un contraltare: c'è come un parallelismo. Si picchiano e Rocco
Spatu è più forte. Ma lui è anche l'emblema della malavoglia, se c'è un personaggio che non
vuole lavorare è proprio lui.

Insomma ‘Ntoni si divertì tutta la giornata; però la sera, mentre stavano attorno al desco a
chiacchierare, e la mamma gli domandava di questo e di quello, e i ragazzi, mezzo addormentati, lo
stavano a guardare con tanto d’occhi, e Mena gli toccava il berretto e la camicia colle stelle, per
vedere com’eran fatti, il nonno gli disse che gli aveva trovato d’andare a giornata nella paranza di
compar Cipolla, con una bella paga.
 Ci viene detto che si è divertito, ma dopo il divertimento viene turbato dal fatto che debba
andare a lavorare, e per di più deve farlo per conto di padron Cipolla. I Malavoglia non sono
mai andati a giornata, non ne hanno mai avuto bisogno perché avevano la loro barca. Questo
fa decadere quella festa di cui 'Ntoni ha goduto all'inizio del capitolo, in cui tutti hanno fatto
festa per lui e per il suo ritorno.

– Li ho presi per carità, diceva padron Fortunato a chi voleva sentirlo, seduto davanti alla bottega
del barbiere. Li ho presi per non dir di no, quando padron ‘Ntoni è venuto a dirmi, sotto l’olmo, se
ci avessi bisogno di uomini per la paranza. Di uomini io non ne ho mai bisogno; ma «carcere,
malattie, e necessità, si conosce l’amistà»; con padron ‘Ntoni poi, che è tanto vecchio, ci si perde
quel che gli si dà!…
– È vecchio ma sa il mestiere, rispose Piedipapera; non ce li perdete i danari; e suo nipote poi è un
ragazzo che tutti ve lo ruberebbero.
– Quando mastro Turi avrà messo in ordine la Provvidenza, armeremo la nostra barca, e non
avremo più bisogno d’andare a giornata; diceva padron ‘Ntoni.

 In carcere, malattie e necessità si riconoscono gli amici, e lui si vuol far vedere amico dei
Malavoglia. Confermiamo che questo personaggio è portatore di proverbi insieme ad altri.
Parla con proverbi, è anche lui adulto.

Anche se nel romanzo sembrano coetanei e amici, padron Cipolla e padron ‘Ntoni non sono coeatani:
il primo ha un figlio grande quanto quello di Bastianazzo, quindi padron Cipolla è piuttosto grande
quanto Bastianazzo che quanto padron 'Ntoni. Loro sono piuttosto adulti per il tempo, hanno tra 40 e
50 anni. Padron 'Ntoni invece ne avrà più di 60, quindi è lui il vecchio del villaggio.

 Ci si perde ciò che gli di dà = ha preso anche padron 'Ntoni sulla barca, non solo 'Ntoni. Il
primo è vecchio, quanto lavoro potrà portare? Al tempo stesso ‘Ntoni è un vero uomo di mare,
non avrebbe bisogno di nessuno sulla barca.
 Piedipapera interviene: difende i Malavoglia, quindi forse è stato mediatore anche di questo
affare.
 Finché non c'è la Provvidenza sono regrediti fino a “iurnatari”, lavoratori a giornata. È una
condizione abbastanza disagiata, ed è anche questa una di quelle registrare da Franchetti e
Sonnino. Anche quelli che lavoravano nei campi erano spesso lavoratori a giornata: se non
c'era bisogno non lavoravano, se pioveva non venivano pagati.

La mattina, quando egli andò a svegliare il nipote, ci volevano due ore per l’alba, e ‘Ntoni avrebbe
preferito starsene ancora un po’ sotto le coperte; allorché uscì fuori nel cortile sbadigliando, il Tre
bastoni era ancora alto verso l’Ognina, colle gambe in aria, la Puddara luccicava dall’altra parte, e il
cielo formicolava di stelle, che parevano le monachine quando corrono sul fondo nero della padella.
– È la stessa cosa come quand’ero soldato, che suonava la diana nei traponti, borbottava ‘Ntoni.
Allora non valeva la pena di tornare a casa!
– Sta zitto, ché il nonno è lì a mettere in ordine gli attrezzi, e si è alzato un’ora prima di noi, gli
rispose Alessi. Ma Alessi era un ragazzo che somigliava tutto a suo padre Bastianazzo, buon’anima.
Il nonno colla lanterna andava e veniva pel cortile; fuori si udiva passare la gente che andava al
mare, e passava a picchiare di porta in porta, per chiamare i compagni. Però, come giunsero sul lido,
davanti al mare nero, dove si specchiavano le stelle, e che russava lento sul greto, e si vedevano qua
e là le lanterne delle altre barche, anche ‘Ntoni si sentì allargare il cuore.
– Ah! esclamò stirandosi le braccia. È una bella cosa tornare a casa sua. Questa marina qui mi
conosce. – Già padron ‘Ntoni diceva sempre che un pesce fuori dell’acqua non sa starci, e chi è nato
pesce il mare l’aspetta.
Nella paranza lo canzonavano perché la Sara l’aveva piantato, mentre serravano le vele, e la
Carmela vogava in tondo lenta lenta, lasciandosi dietro le reti come la coda di un serpente. – «Carne
di porco ed uomini di guerra durano poco», dice il proverbio, per questo Sara ti ha piantato.

 Questi pescatori si alzano molto presto. Siamo già quasi in inverno, l'ulivo aveva perso le
foglie, quindi sarà molto presto.
 Trebastoni = nome della costellazione. Ancora si vedevano le stelle. È la costellazione di
Orione. Poi viene citata anche un'altra costellazione, definita Puddara.
 Monachine = goccioline d'acqua che rimangono quando si fa asciugare l'acqua sul fuoco.
 Non valeva la pena di tornare a casa = è quasi un'allusione al lettore, come se dicesse che
non può fare ciò che vuole, per lui la vita non è cambiata.
La mattina prima dell'alba i pescatori si chiamano da una porta all'altra = è un'immagine che
rivedremo alla fine del romanzo. Bisogna essere pronti prima dell'alba ad andare in mare, bisogna
preparasi prima che sorga il sole.

 Il mare russa = non si è ancora svegliato: ancora una volta è personificato.

➔'Ntoni ritrova qualcosa che gli è familiare, ovvero il mare ancora nero al mattino, il rumore del
mare. C'è questo rapporto tra 'Ntoni e il mare anche nell'ultima scena del romanzo: si ripetono tante
situazioni nel romanzo. Lui ha nostalgia del mare e l'ha avuta anche quando era soldato: la cosa che
gli fa allargate il cuore è rivedere il mare nel silenzio del mattino, non alzarsi al mattino presto. Tra
l’altro non è lui che riconosce il mare ma il mare che riconosce lui: c’è questo rapporto.

 I marinai sono come dei pesci, che non sanno stare lontano dal mare. Chi è nato pesce il mare
lo aspetta = è un modo più carino per dire che si rischia la morte in mare, un po' come il
proverbio visto prima (“il mare è amaro e il marinaio muore in mare”).
 Carmela = nome della barca di Fortunato Cipolla.
 Uomini di guerra = durano poco, si dimenticano presto. I proverbi sui marinai infedeli sono
valsi per Sara, che si è sposata uno più ricco di quanto non lo sia ora 'Ntoni, dopo la perdita
dei lupini.

Lezione 30 Marzo
Anche sulla barca assistiamo al pettegolezzo, di cui 'Ntoni è oggetto. Qualcuno degli altri marinai
imbarcati sulla Paranza di padron Fortunato recita un proverbio a lui rivolto.

– «Allora la donna è fedele ad uno, quando il turco si fa cristiano»; aggiunse lo zio Cola.
– Delle innamorate ne ho quante ne voglio, rispose ‘Ntoni; a Napoli mi correvano dietro come i
cagnolini.
– A Napoli ci avevi il vestito di panno, e il berretto collo scritto, e le scarpe ai piedi, disse Barabba.
– Che vi son delle belle ragazze come qui, a Napoli?
– Le belle ragazze di qui non sono degne di portargli le scarpe, a quelle di Napoli. Io ne avevo una
colla veste di seta, e nastri rossi nei capelli, il corsetto ricamato, e le spalline d’oro come quelle del
comandante. Un bel pezzo di ragazza così, che portava a spasso i bambini dei padroni, e non faceva
altro.

 Sulla barca c'è lo zio Cola, Barabba, padron 'Ntoni e ovviamente 'Ntoni.
 Si ragiona sempre sui mestieri che sono migliori: anche fare la serva dei padroni è un mestiere
più bello, e quello di portare a spasso i figli dei padroni e non far nulla. L'aspirazione di 'Ntoni
pare essere non lavorare che lavorare.
Bello stare deve essere da quelle parti! osservò Barabba.
– A voi di sinistra! fermi i remi! gridò padron ‘Ntoni.
– Sangue di Giuda! che mi fate andare la paranza sulle reti! cominciò a strillare lo zio Cola al
timone. La volete finire colle chiacchiere; stiamo qui a grattarci la pancia, o a fare il mestiere?
– È la maretta che ci accula; disse ‘Ntoni.
– Staglia da quella parte, figlio di porco, gli gridò Barabba; colle regine che ci hai in testa ci fai
perdere la giornata!
– Sacramento! rispose allora ‘Ntoni col remo in aria, se lo dici un’altra volta, te lo do sulla testa.
– Che novità è questa? saltò su lo zio Cola dal timone, l’hai imparato da soldato, che non si può dire
più una parola?
– Allora me ne vado; rispose ‘Ntoni.
– E tu vattene, che coi suoi denari padron Fortunato ne troverà un altro.
– «Al servo pazienza, al padrone prudenza» disse padron ‘Ntoni.

 Lo zio Cola e Padron 'Ntoni sono i più vecchi sulla barca.


 Figlio di porco = riprende il "carne di porco" di prima.

Visione tradizionalista vs visione rivoluzionaria


Al servo pazienza, al padrone prudenza = è un altro proverbio che viene recitato in questa pagina. Il
padrone deve stare attento a non far ribellare il servo, ma il servo deve sottostare al padrone. Mostra
ancora la filosofia di padron 'Ntoni, in cui ognuno deve stare nel suo ruolo e svolgerlo con dei valori,
che sono quelli del mondo tradizionale. Dove sono i servi che portano pazienza e i padroni prudenti?
Questo è l'invito che fa il proverbio ma la realtà non sempre rispetta questo principio.

Certamente padron 'Ntoni non è un rivoluzionario → la sua logica è quella della rassegnazione, il
destino è crudele, la vita del pescatore è misera ma bisogna accettarla perché non c'è possibilità di
trasformazione sociale, il servo deve continuare ad agire con pazienza mentre il padrone con
prudenza. Non c'è possibilità che il mondo possa cambiare, sempre ci saranno servi e padroni. Verga
però inserisce, tramite 'Ntoni, un'idea di speranza, l'idea che forse si possano cambiare le cose. Si
stavano diffondendo le idee socialiste.

➔I romanzi di Zola hanno già operai rivoluzionari, alfabetizzazione.

➔Il manifesto del partito comunista è del 1848.


La logica di padron 'Ntoni = è arcaica, non conosce le novità del mondo. Chi le conosce? Chi porta
le novità? Don Franco che legge il giornale, che è infatti repubblicano, rivoluzionario, anticlericale,
non va a messa – secondo il paese egli è protestante ed ebreo perché non va in chiesa (ma forse è ateo
– alla fine dell’'800 anticlericalismo e ateismo sono molto diffusi, governano i laici, vengono
distribuite le terre della Chiesa, vengono espropriati le terre; sarà nel '900 che nascono i partiti
cattolici, sarà in seguito che si pongono i problemi con la Chiesa).

➔Il paese è intessuto di politica religiosa.

Le novità sono portate da Don Silvestro, politicamente, e da Don Michele in quanto viene da fuori e
nel paese viene identificato come elemento di rottura rispetto a quella che è la mentalità del paese.

‘Ntoni continuò a remare brontolando, perché non poteva andarsene a piedi, e compare
Mangiacarrubbe, per metter la pace, disse che era ora di far colazione.
In quel momento spuntava il sole, e un sorso di vino si beveva volentieri, pel fresco che s’era
messo. Allora quei ragazzi si misero a lavorare di mascelle, col fiasco fra le gambe, mentre la
paranza mareggiava adagio adagio fra il largo cerchio dei sugheri.
– Una pedata per di dietro a chi parla per il primo! disse lo zio Cola.
Per non buscarsi la pedata tutti si misero a masticare come buoi, guardando le onde che venivano
dal largo, e si rotolavano senza spuma, quelle otri verdi che in un giorno di sole fanno pensare al
cielo nero e al mare color di lavagna.
– Padron Cipolla le lascerà correre quattro bestemmie stasera; saltò su lo zio Cola; ma non ci
abbiamo che fare. Col mare fresco non se ne piglia pesci.
Prima compare Mangiacarrubbe gli sferrò una pedata, perché lo zio Cola che aveva fatta la legge
aveva parlato pel primo; e poi rispose: – Intanto ora che siamo qui, aspettiamo a tirare le reti.
– La maretta viene dal largo, e a noi ci giova; aggiunse padron ‘Ntoni.

 Masticare come i buoi = ancora una volta un paragone animale. I buoi nel loro masticare
diventano emblematici, proverbiali.
 Cielo nero e mare color lavanda = sono quelli che si sono portati via Bastianazzo. Pensano al
suo destino, al destino che può toccare al marinaio.
 Mare fresco = c'è vento, e quando c'è vento i pesci non vengono in superficie, e quindi è più
difficile beccarli.
 Non è ancora arrivato il vento fresco che porta la maretta.

– Ahi! borbottava intanto lo zio Cola.


Ora che il silenzio era rotto, Barabba chiese a ‘Ntoni Malavoglia: – Me lo dai un mozzicone di
sigaro?
– Non ne ho, rispose ‘Ntoni, senza pensare più alla quistione di poco prima, ma te ne darò mezzo
del mio.
Gli uomini della paranza, seduti sul fondo, colla schiena contro il banco e le mani dietro il capo,
cantavano delle canzonette, ognuno per suo conto, adagio adagio, per non addormentarsi, che infatti
socchiudevano gli occhi sotto il sole lucente; e Barabba faceva scoppiettare le dita, come i cefali
sguizzavano fuori dell’acqua.

● 'Ntoni si è già riappacificato con Barabba.

— Essi non hanno nulla da fare, diceva ‘Ntoni, e si divertono a saltare.

●Tutto sembra quasi meglio che fare il loro mestiere.

– Buono questo sigaro! rispose Barabba, ne fumavi a Napoli, di questi?


– Sì, ne fumavo tanti.
– Però i sugheri cominciano ad affondare, osservò compare Mangiacarrubbe.
– Lo vedi dove si è persa la Provvidenza con tuo padre? disse Barabba; laggiù al Capo, dove c’è
l’occhio del sole su quelle case bianche, e il mare sembra tutto d’oro.
– Il mare è amaro e il marinaro muore in mare; rispose ‘Ntoni.

 Quando il sughero affonda significa che il pesce ha abboccato.


 Adesso sbatte il sole, laddove invece aveva sbattuto la tempesta la Provvidenza.
 Il mare è amaro e il marinaio muore in mare = è quasi un ritornello nei Malavoglia.

Barabba gli passò il suo fiasco, e dopo si misero a brontolare sottovoce dello zio Cola, il quale era
un cane per gli uomini della paranza, quasi padron Cipolla fosse là presente, a vedere quel che
facevano e quel che non facevano.
– Tutto per fargli credere che senza di lui la paranza non andrebbe, aggiunse Barabba. Sbirro!
– Ora gli dirà che il pesce l’ha preso lui, per l’abilità sua, con tutto il mare fresco. Guarda come
affondano le reti, i sugheri non si vedono più.
– O ragazzi! gridò lo zio Cola, vogliamo tirare le reti? perché se ci arriva la maretta ce le strappa di
mano.
– Ohi! oohi! cominciarono a vociare gli uomini della ciurma passandosi la fune.
– San Francesco! esclamava lo zio Cola, ei non par vero che abbiamo preso tutta questa grazia di
Dio, colla maretta.

 Lo zio Cola è come se controllasse per conto di Fortunato Cipolla. Tra l'altro lo zio Cola ha
una barca, e il romanzo non ci dice perché va anche lui a giornata.

Le reti formicolavano e scintillavano al sole a misura che s’affacciavano dall’acqua, e tutto il fondo
della paranza sembrava pieno d’argento vivo. – Padron Fortunato ora sarà contento, mormorò
Barabba, tutto rosso e sudato, e non ci rinfaccerà quei tre carlini che ci dà per la giornata. – Questo
ci tocca a noi! aggiunse ‘Ntoni, a romperci la schiena per gli altri; e poi quando abbiamo messo
assieme un po’ di soldi, viene il diavolo e se li mangia.
– Di che ti lagni? gli disse il nonno, non te la dà la tua giornata compare Fortunato?

 Formicolavano = erano ricche di pesci. È una giornata provvidenziale per la pesca, è il


contrario di quella di Bastianazzo. Questo romanzo è ambientato in un luogo di pescatori, e
questa è la prima giornata di pesca a cui assistiamo.
 Viene il diavolo e se lo mangia = a che serve questa fatica se poi devono dare questi soldi? Il
diavolo è lo zio Crocifisso, che si mangia i loro soldi perché ormai sono indebitati. Loro
quando cambieranno il loro stato? Quando miglioreranno la loro condizione? Mai, perché
non lavorano per loro. Da che mondo è mondo hanno tegole al sole e barche in mare, si sono
sempre difesi: ora la situazione è cambiata.

I Malavoglia si arrabattavano in tutti i modi per far quattrini. La Longa prendeva qualche rotolo di
tela da tessere, e andava anche al lavatoio per conto degli altri; padron ‘Ntoni coi nipoti s’erano
messi a giornata, s’aiutavano come potevano, e se la sciatica piegava il vecchio come un uncino,
rimaneva nel cortile a rifar le maglie alle reti, a raccomodar nasse, e mettere in ordine degli attrezzi,
ché era pratico di ogni cosa del mestiere.

 La Longa è retrocessa a fare come le figlie della cugina Anna, che lavano i panni per gli altri.
 Come uncino = la metafora di padron 'Ntoni così piegato ritornerà, è il suo ritornello. Lui è
piegato perché è vecchio, ma conosce dove va il pesce, i venti, e così via. Non sarà più in
grado di tirare le reti, ma sa il mestiere.
Luca andava a lavorare nel ponte della ferrovia, per cinquanta centesimi al giorno, sebbene suo
fratello ‘Ntoni dicesse che non bastavano per le camicie che sciupava a trasportar sassi nel corbello;
ma Luca non badava che si sciupava anche le spalle, e Alessi andava a raccattar dei gamberi lungo
gli scogli, o dei vermiciattoli per l’esca, che si vendevano a dieci soldi il rotolo, e alle volte arrivava
sino all’Ognina e al Capo dei Mulini, e tornava coi piedi in sangue. Ma compare Zuppiddu si
prendeva dei bei soldi ogni sabato, per rabberciare la Provvidenza, e ce ne volevano delle nasse da
acconciare, dei sassi della ferrovia, dell’esca a dieci soldi, e della tela da imbiancare, coll’acqua
sino ai ginocchi e il sole sulla testa, per fare quarant’onze!

 Nuovamente 'Ntoni pare dire che non serve a niente il loro lavorare.
 Ognina e capo dei mulini = sono ancora i confini geografici.
-Ognina = in direzione di Catania,
-Capo dei mulini = quasi fosse le colonne d'Ercole.
 Piedi in sangue = vanno scalzi, solo la domenica si mettono le scarpe, poi figuriamoci Alessi,
che è un ragazzino.
 I Malavoglia devono pagare anche compare Zuppiddu. Per fare queste quarant'onze bisogna
fare dei lavori straordinari, che prima del naufragio della Provvidenza non facevano.

I Morti erano venuti, e lo zio Crocifisso non faceva altro che passeggiare per la straduccia, colle
mani dietro la schiena, che pareva il basilisco.

 Ai morti bisognava cominciare a fare qualcosa allo zio Crocifisso, pagare.


 Basilisco = personaggio leggendario della tradizione popolare. Avere gli occhi di basilisco
significava avere degli occhi minacciosi addosso.

– Questa è storia che va a finire coll’usciere! andava dicendo lo zio Crocifisso con don Silvestro e
con don Giammaria il vicario.
– D’usciere non ci sarà bisogno, zio Crocifisso, gli rispose padron ‘Ntoni quando venne a sapere
quello che andava dicendo Campana di legno. I Malavoglia sono stati sempre galantuomini, e non
hanno avuto bisogno d’usciere.
– A me non me ne importa; rispose lo zio Crocifisso colle spalle al muro, sotto la tettoia del cortile,
mentre stavano accatastando i suoi sarmenti: Io non so altro che devo esser pagato.
Finalmente, per intromissione del vicario, Campana di legno si contentò di aspettare a Natale ad
esser pagato, prendendosi per frutti quelle settantacinque lire che Maruzza aveva raccolto soldo a
soldo in fondo alla calza nascosta sotto il materasso.

 Usciere = lo zio Crocifisso potrà rivolgersi a chi potrebbe pignorare qualcosa dei Malavoglia.
L'arrivo dell'usciere significa non essere in grado di rispettare la parola data da Padron 'Ntoni,
quindi piuttosto bisogna ammazzarsi di lavoro. Se arriva l'usciere si perderebbe il capitale
simbolico.
 Io non so altro se non che devo essere pagato = qui è campana di legno.
 Intromissione = il vicario non intercede, ma si intromette.
 Si accontentò = tutto ciò che i Malavoglia avevano raccolto non serve per pagare le
quarant’onze, ma per ricominciare a pagare, semplicemente il termine è Natale (lo zio
Crocifisso si fa pagare per spostare il termine). Adesso hanno fatto la pesca abbondante, ma
ora arriva l'inverno, forse non pescheranno più come prima.

– Ecco com’è la cosa! borbottava ‘Ntoni di padron ‘Ntoni; lavoriamo notte e giorno per lo zio
Crocifisso. Quando abbiamo messo insieme una lira, se la prende Campana di legno.
Il nonno, colla Maruzza, si consolavano a far castelli in aria per l’estate, quando ci sarebbero state le
acciughe da salare, e i fichidindia a dieci un grano, e facevano dei grandi progetti d’andare alla
tonnara, e per la pesca del pesce spada, dove si buscava una buona giornata, e intanto mastro Turi
avrebbe messo in ordine la Provvidenza. I ragazzi stavano attenti, col mento in mano, a quei
discorsi che si facevano sul ballatoio, o dopo cena; ma ‘Ntoni che veniva da lontano, e il mondo lo
conosceva meglio degli altri, si annoiava a sentir quelle chiacchiere, e preferiva andarsene a
girandolare attorno all’osteria, dove c’era tanta gente che non faceva nulla, e anche lo zio Santoro, il
quale era il peggio che ci potesse essere, faceva quel mestiere leggiero di stendere la mano a chi
passava, e biascicare avemarie; o se ne andava da compare Zuppiddu, col pretesto di vedere a che
stato fosse la Provvidenza, per far quattro chiacchiere con Barbara, la quale veniva a metter frasche
sotto il calderotto della pece, quando c’era compare ‘Ntoni.

 A che serve lavorare? Tutto ciò che riescono a guadagnare se lo prende Campana di Legno.
 Anche la Barbara si avvicina quando c'è compare 'Ntoni.

Le lamentele di 'Ntoni sulla nuova condizione


'Ntoni inizia ad essere diverso dalla famiglia: la famiglia fa sogni, progetti, fa castelli in aria,
mentre 'Ntoni è come se non ci credesse a tutte queste chiacchiere. Per lui quelle della sua famiglia
sono chiacchiere, questi progetti a lui non sembrano sufficienti come progetto di vita. Saranno
sufficienti per pagare il debito del lupini? Si chiede anche questo. Non era meglio fare come lo zio
Santoro? Non ci sono condizioni migliori? Anche quella di chi chiede l'elemosina a lui sembra una
condizione migliore. Abbiamo visto già questo ritornello sui mestieri, e anche la mendicanza, il
peggiore dei lavori appare come più bello di quello dei Malavoglia. Perché? Quella dei Malavoglia
è condizione di schiavitù, lavorano e il frutto del loro lavoro lo mangiano altri, non resta niente a
loro. Lui si rifiuta davanti a questa condizione, per cui quando partono questi discorsi se ne va
all'osteria.

– Voi siete sempre in faccende, comare Barbara, le diceva ‘Ntoni, e siete il braccio destro della
casa; per questo vostro padre non vi vuol maritare.
– Non mi vuol maritare con quelli che non fanno per me, – rispondeva Barbara, «pari con pari e
statti coi tuoi».
Io ci starei anch’io coi vostri, per la madonna! se voleste voi, comare Barbara…
– Che discorsi mi fate, compare ‘Ntoni. La mamma è a filare nel cortile, e sta a sentirci.
– Dicevo per quelle frasche che son verdi, e non vogliono accendere. Lasciate fare a me.
– Che è vero che venite qui per vedere la Mangiacarrubbe, quando si affaccia alla finestra?
– Io ci vengo qui per tutt’altro, comare Barbara. Ci vengo per vedere a che stato è la Provvidenza.
– È a buon stato, e il babbo ha detto che per la vigilia di Natale la metterete in mare.

 Ancora una volta c'è la rivendicazione che i matrimoni si fanno tra persone con le stesse
condizioni sociali.
 Assistiamo al corteggiamento rude di 'Ntoni, quasi una bestemmia.
 Barbara fa la gelosa, perché per la strada per arrivare dalla Zuppidda si passa per la
Mangiacarrubbe. Queste qua sono donne alla finestra.

Come s’avvicinava la novena di Natale i Malavoglia non facevano altro che andare e venire dal
cortile di mastro Turi Zuppiddu. Intanto il paese intero si metteva in festa; in ogni casa si ornavano
di frasche e d’arance le immagini dei santi, e i fanciulli si affollavano dietro la cornamusa che
andava a suonare davanti alle cappellette colla luminaria, accanto agli usci. Solo in casa dei
Malavoglia la statua del Buon Pastore rimaneva all’oscuro, mentre ‘Ntoni di padron ‘Ntoni correva
a fare il gallo di qua e di là, e Barbara Zuppidda gli diceva:
– Almeno ci penserete che ho squagliata la pece per la Provvidenza, quando sarete in mare?
Piedipapera predicava che tutte le ragazze se lo rubavano.
– Chi è rubato son io! piagnucolava lo zio Crocifisso. Voglio un po’ vedere d’onde prenderanno i
denari dei lupini, se ‘Ntoni si marita, e se devono anche dare la dote alla Mena, col censo che hanno
sulla casa, e tutti quegli imbrogli dell’ipoteca che son saltati fuori all’ultimo. Il Natale eccolo qua,
ma i Malavoglia ancora non li ho visti.
Padron ‘Ntoni tornava a cercarlo in piazza, o sotto la tettoia, e gli diceva: – Cosa volete che si faccia
se non ho denari? Spremete il sasso per cavarne sangue! Aspetta temi sino a giugno, se volete farmi
questo favore, o prendetevi la Provvidenza e la casa del nespolo. Io non ci ho altro.
– Io voglio i miei danari, ripicchiava Campana di legno colle spalle al muro. Avete detto che siete
galantuomini, e che non pagate colle chiacchiere della Provvidenza e della casa del nespolo.

 Novena = nove giorni prima di Natale.


 Chi è rubato sono io, piagnucolava lo zio Crocifisso = sembra essere ancora una volta lui la
vittima.
 Ipoteca = per la vendita della casa c'è bisogno del consenso di Maruzza.
 Si sta avvicinando Natale ma ancora non hanno pagato.

➔Con le spalle al muro = come se lui fosse con le spalle al muro, ma di fatto è protetto. È anche
atteggiamento di chi non fa nulla, quasi in posizione di riposo. Ha più valori.
Egli ci perdeva l’anima ed il corpo, ci aveva rimesso il sonno e l’appetito, e non poteva nemmeno
sfogarsi col dire che quella storia andava a finire coll’usciere, perché subito padron ‘Ntoni mandava
don Giammaria o il segretario, a domandar pietà, e non lo lasciavano più venire in piazza, per gli
affari suoi, senza metterglisi alle calcagna, sicché tutti nel paese dicevano che quelli erano danari
del diavolo.

●Denari del diavolo = ancora una volta il diavolo è lo zio Crocifisso.

Anche lo zio Crocifisso ha a che fare con il capitale simbolico, non può mica mandare l'usciere così.
Si deve mostrare in un certo modo, e il fatto che chiedano pietà per conto dei Malavoglia lo mette in
difficoltà, perché poi deve scusarsi con tutto il paese.

Con Piedipapera non poteva sfogarsi perché gli rimbeccava subito che i lupini erano fradici, e che
egli faceva il sensale. – Ma quel servizio lì potrebbe farmelo! disse a un tratto fra di sé – e non
dormì più quella notte, tanto gli piacque la trovata – e andò a trovare Piedipapera appena fatto
giorno, che ancora si stirava le braccia e sbadigliava sull’uscio. – Voi dovreste fingere che mi
comprate il mio credito, gli disse, così potremo mandare l’usciere dai Malavoglia, e non vi diranno
che fate l’usuraio, se volete riavere il vostro denaro, né che è danaro del diavolo. – Vi è venuta
stanotte la bella idea? sghignazzò Piedipapera, che mi avete svegliato all’alba per dirmela? – Son
venuto a dirvi pure per quei sarmenti; se li volete potete venire a pigliarveli. – Allora potete
mandare per l’usciere, rispose Piedipapera; ma le spese le fate voi.

●Lo zio Crocifisso ha pensato a qualcosa, ad un servizio che potrebbe fargli Piedipapera.

Quella buona donna di comare Grazia s’era affacciata apposta in camicia per dire a suo marito: –
Cosa è venuto a confabulare con voi lo zio Crocifisso? Lasciateli stare quei poveri Malavoglia, che
ne hanno tanti di guai! – Tu va a filare! rispondeva compare Tino. Le donne hanno i capelli lunghi
ed il giudizio corto. – E se ne andò zoppicando a bere l’erbabianca da compare Pizzuto.

●Se ne va zoppicante = il piede di Piedipapera era un po' a papera, e aveva il piede del diavolo. Ora
se ne va zoppicando come il diavolo. Si sottolinea ancora questo aspetto.

– Vogliono dargli il cattivo Natale a quei poveretti, mormorava comare Grazia colle mani sulla
pancia.

●Tra i Piedipapera c'è differenza di giudizio, compare Grazia parteggia per i Malavoglia. È anche
loro vicina di casa.
Davanti a ogni casa c’era la cappelletta adornata di frasche e d’arance, e la sera vi accendevano le
candele, quando veniva a suonare la cornamusa, e cantavano la litania che era una festa per ogni
dove. I bambini giocavano ai nocciuoli, nella strada, e se Alessi si fermava a guardare colle gambe
aperte, gli dicevano:
– Tu vattene, se non hai nocciuoli per giocare. – Ora vi pigliano la casa.
Infatti la vigilia di Natale venne apposta l’usciere in carrozza pei Malavoglia, talché tutto il paese si
mise in subbuglio; e andò a lasciare un foglio di carta bollata sul canterano, accanto alla statua del
Buon Pastore.

●Cominciano ad insinuarsi queste battute sul pignoramento della casa.

– L’avete visto l’usciere che è venuto pei Malavoglia? andava dicendo comare Venera. – Ora stanno
freschi!
Suo marito, che non gli pareva vero di aver ragione, allora cominciò a gridare e a strepitare.
– Io l’avevo detto, santi del Paradiso! che quel ‘Ntoni a bazzicare per la casa non mi piaceva!
– Voi state zitto che non sapete nulla! gli rimbeccava la Zuppidda. Questi sono affari nostri. Le
ragazze si maritano così, se no vi restano sulla pancia, come le casseruole vecchie.
– Che maritare! ora che è venuto l’usciere!
Allora la Zuppidda gli piantava le mani sulla faccia.
– Che lo sapevate che doveva venire l’usciere? Voi abbaiate sempre a cose fatte, ma un dito, che è
un dito, non lo sapete muovere. Infine l’usciere non se la mangia, la gente.

Statua del buon pastore = la statua del buon pastore dei Malavoglia non era ornata, al contrario del
paese. Ora si orna di queste carte. Ancora una volta i Malavoglia si contrappongono al paese:
quando tutte le barche erano ammarrate, l'unica che mancava era proprio la Provvidenza, ora questa
contrapposizione avviene nuovamente.

 L'usciere viene chiamato da Piedipapera per conto dello zio Crocifisso, perché il primo finge
di accollarsi il debito. L'usciere non viene se non è chiamato.
 Subito la Zuppidda continua a spettegolare.
 Anche il matrimonio tra Barbara e 'Ntoni salta, perché i Malavoglia perdono il loro capitale
simbolico e inoltre non hanno più la casa.

L’usciere è vero che non si mangia la gente, ma i Malavoglia erano rimasti come se li avesse presi
un accidente tutti in una volta, e stavano nel cortile, seduti in cerchio, a guardarsi in viso, e quel
giorno dell’usciere non si misero a tavola in casa dei Malavoglia.
Il narratore risponde alla Zuppidda, dialoga direttamente con il personaggio.

– Sacramento! esclamava ‘Ntoni. Siamo sempre come i pulcini nella stoppa, ed ora mandano
l’usciere per tirarci il collo.
– Cosa faremo? diceva la Longa.
Padron ‘Ntoni non lo sapeva, ma infine si prese in mano la carta bollata e andò a trovare lo zio
Crocifisso coi due nipoti più grandicelli, per dirgli di prendersi la Provvidenza, che mastro Turi
l’aveva rattoppata allora allora, e al poveraccio gli tremava la voce come quando gli era morto il
figlio Bastianazzo. – Io non so niente, gli rispose Campana di legno. Io non c’entro più. Ho venduto
il mio credito a Piedipapera e dovete sbrigarvela con lui.
Piedipapera appena li vide venire in processione cominciò a grattarsi il capo. – Cosa volete che ci
faccia? rispose lui; io sono un povero diavolo e ho bisogno di quei denari, e della Provvidenza non
so che farne, perché non è il mio mestiere; ma se la vuole lo zio Crocifisso vi aiuterò a venderla. Or
ora torno.
Quei poveracci rimasero ad aspettare seduti sul muricciolo, e senza aver coraggio di guardarsi in
faccia; ma gettavano occhiate lunghe sulla strada donde s’aspettava Piedipapera, il quale comparve
finalmente adagio adagio – ma quando voleva sapeva arrancare speditamente colla sua gamba
storpia. – Dice che è tutta rotta come una scarpa vecchia, e non sa che farsene; gridò da lontano; –
mi dispiace, ma non ho potuto far nulla. Così i Malavoglia se ne tornarono a casa colla carta bollata
in mano.

 I pulcini stanno nel nido, non riescono ad uscire. Ancora devono crescere e già viene a tirarli
fuori.
 Ora è morta anche la Provvidenza, gli trema la voce come quando era morto Bastianazzo.
 Piedipapera si gratta la testa, non sa che fare.

Pure qualche cosa bisognava fare, perché quella carta bollata lì, posata sul canterano, avevano
inteso dire, si sarebbe mangiato il canterano, la casa e tutti loro.
– Qui ci vuole un consiglio di don Silvestro il segretario, suggerì Maruzza. Portategli quelle due
galline là, e qualche cosa vi saprà dire.
Don Silvestro disse che non c’era tempo da perdere, e li mandò da un bravo avvocato, il dottor
Scipioni, il quale stava di casa in via degli Ammalati, di faccia allo stallatico dello zio Crispino, ed
era giovane, ma quanto a chiacchiere ne possedeva da mettersi in tasca tutti gli avvocati vecchi che
pretendevano cinque onze per aprir la bocca, mentre lui si contentava di venticinque lire.

 Portare al segretario comunale dalle galline, che è un po' come l'avvocato del paese, ricorda
il portare i quattro capponi di Renzo all'Azzeccagarbugli.
 Anche l'avvocato va pagato, quindi ecco qui un altro debito. Non bastano le due galline che
sono servite per don Silvestro.
L'avvocato Scipioni è un personaggio dei Malavoglia, ma nel piano del Ciclo dei Vinti, di cui fa parte
il romanzo, sarebbe stato il protagonista del quarto romanzo del ciclo. I romanzi sarebbero stati 5:
1. I Malavoglia.
2. Mastro-Don Gesualdo.
3. La duchessa di Leyra.
4. L'onorevole Scipioni.
5. L'uomo di lusso.

Il ciclo prevedeva di raccontare:


1. Prima il mondo contadino, quello dei pescatori.
2. Dopo il racconto della classe emergente, quella borghese.
3. Verga poi ha scritto un capitolo e una pagina del mondo dell'aristocrazia, della duchessa, figlia
di mastro don Gesualdo.
4. Poi il mondo della politica: avrebbe scritto un romanzo parlamentare, cosa che molti
facevano all’epoca. Il protagonista è l'avvocato Scipioni, ma sarà questo un personaggio già
presente nel Mastro-Don Gesualdo: la figlia di Mastro-Don Gesualdo, Bianca, rimane incinta
prima di sposarsi, ma non del futuro marito. Quindi il figlio che cresce di nascosto da lui è
l'avvocato Scipioni.
5. L'ultimo romanzo avrebbe parlato degli artisti e della mercificazione dell'arte, ormai ridotta
ad industria.

Qui, già nei Malavoglia, compariva Scipioni come avvocato emergente, che lavora per questi piccoli
comuni – non viene detto dove sta, ma sappiamo che non è un personaggio di Aci Trezza. Bisogna
allontanarsi per arrivare da lui: vanno in via degli ammalati (nome che non promette bene) davanti
allo zio Crispino, non personaggio di Aci Trezza ma sicuramente lì noto. Forse sta ad Aci Reale, forse
ad Aci Castello o forse a Catania.

➔Zio = nomignolo che, come succede ancora nel mondo contadino, si attribuisce a persone con certa
autorevolezza e certa età.

L’avvocato Scipioni stava facendo delle spagnolette, e li fece andare e venire due o tre volte prima
di dar loro pratica; il bello poi era che andavano tutti in processione, l’un dietro l’altro, e da
principio ci si accompagnava anche la Longa colla bimba in collo, per aiutare a dire le proprie
ragioni, e così perdevano tutti la giornata. Quando poi l’avvocato ebbe letto le carte, e poté capire
qualche cosa dalle risposte ingarbugliate che doveva strappare con le tenaglie a padron ‘Ntoni,
mentre gli altri se ne stavano appollaiati sulle loro scranne senza osare di fiatare, si mise a ridere di
tutto cuore, e gli altri ridevano con lui, senza sapere perché, per ripigliar fiato. – Niente, rispose
l’avvocato; non c’è da far niente; – e siccome padron ‘Ntoni tornava a dire che era venuto l’usciere,
– L’usciere lasciatelo venire anche una volta al giorno, così il creditore si stancherà più presto di
rimetterci le spese. Non potranno prendervi nulla, perché la casa è dotale, e per la barca faremo il
reclamo in nome di mastro Turi Zuppiddu. Vostra nuora non c’entra nella compera dei lupini.

 Spagnolette = sigarette spagnole, le stava arrotolando. Stava entrando la moda delle sigarette,
in un mondo in cui si usava il sigaro. L'avvocato si presenta già come importante, e si fa
percepire come tale anche facendoli tornare due o tre volte prima di riceverli.
 Al posto di lavorare, andavano tutti in processione.
 Padron 'Ntoni sulle questioni legali non sa rispondere: si rivela la sua ignoranza in materia.
 Stavano appollaiati = ancora torna questo tema.
 Anche far venire l’usciere costava.
 Già don Silvestro ce lo aveva detto, la casa dei Malavoglia è di Maruzza.
 Anche mastro Turi Zuppiddu può pretendere che la barca valga per le sue riparazioni, la
potrebbero dare a lui.

L’avvocato seguitò a parlare senza sputare, senza grattarsi il capo, per più di venticinque lire,
talmente che padron ‘Ntoni e i suoi nipoti si sentivano venire l’acquolina in bocca di parlare anche
loro, di spifferare la loro brava difesa che si sentivano gonfiare in testa; e se ne andarono intontiti,
sopraffatti da tutte quelle ragioni che avevano, ruminando e gesticolando le chiacchiere
dell’avvocato per tutta la strada. Maruzza che stavolta non era andata, come li vide arrivare colla
faccia rossa e gli occhi lucenti, si sentì sgravare di un gran peso anche lei, e si rasserenò in viso
aspettando che dicessero quel che aveva detto l’avvocato. Ma nessuno apriva bocca e stavano a
guardarsi l’un l’altro

 L'avvocato parla con sicurezza, senza sputare = senza agitarsi.


 Quando arrivano a casa, tacciono. La Longa non riesce nemmeno a capire cos'è successo.

– Ebbene, domandò infine Maruzza la quale moriva d’impazienza.


– Niente! non c’è paura di niente! rispose tranquillamente padron ‘Ntoni.
– E l’avvocato?
– Sì, l’avvocato l’ha detto lui che non ci è paura di niente.
– Ma cosa ha detto? insisté Maruzza.
– Eh, lui sa dirle le cose; un uomo coi baffi! Benedette quelle venticinque lire! – Ma infine cos’ha
detto di fare? Il nonno guardò il nipote, e ‘Ntoni guardò il nonno.
– Nulla, rispose alfine padron ‘Ntoni. Ha detto di non far nulla.
– Non gli pagheremo niente, aggiunse ‘Ntoni più ardito, perché non può prenderci né la casa né la
Provvidenza… Non gli dobbiamo nulla.
– E i lupini?
– È vero! e i lupini? ripeté padron ‘Ntoni.
– I lupini?… Non ce li abbiamo mangiati, i suoi lupini; non li abbiamo in tasca; e non può prenderci
nulla lo zio Crocifisso; l’ha detto l’avvocato, che ci rimetterà le spese.
Allora successe un momento di silenzio; intanto Maruzza non sembrava persuasa.
– Dunque ha detto di non pagare? ‘Ntoni si grattò il capo, e il nonno soggiunse:
– È vero, i lupini ce li ha dati, e bisogna pagarli.
Non c’era che dire. Adesso che l’avvocato non era più là, bisognava pagarli. Padron ‘Ntoni
scrollando il capo borbottava:
– Questo poi no! questo non l’hanno mai fatto i Malavoglia. Lo zio Crocifisso si piglierà la casa, e
la barca, e tutto, ma questo poi no! Il povero vecchio era confuso; ma la nuora piangeva in silenzio
nel grembiule.

●Che ci rimetterà le spese lo ha detto 'Ntoni, non l'avvocato.


●’Ntoni si grattò il capo, al contrario dell'avvocato.

La decisione per salvaguardare il capitale simbolico


I Malavoglia sono solo ignoranti che non hanno capito il consiglio dell'avvocato? Padron 'Ntoni
sbaglia di nuovo? L'avvocato parla bene, non si gratta il capo, mostra un certa sicurezza che li
persuade finché sono lì, ma dopo perdono sicurezza quando non è lì, ma dopo non li persuade fino in
fondo.

C'è da fare anche un discorso sul capitale simbolico: di non rispettare la parola data non lo hanno mai
fatto i Malavoglia. Non vogliono passare per disonesti agli occhi del paese: c'è una questione di
onore, non semplicemente una cosa astratta ma uno degli elementi fondamentali del capitale
simbolico.

Il galantuomo paga, e se loro non pagano smettono di essere galantuomini. 'Ntoni pare essere per non
pagare, ma davanti alla possibilità che il non far niente risulti non pagare rimane anche lui perplesso,
perde la solidarietà con l'avvocato e si gratta la testa.

●Non c'era che dire = lo pensano tutti, davanti alle parole del nonno.

– Allora bisogna andare da don Silvestro; conchiuse padron ‘Ntoni.


E di comune accordo, nonno, nipoti e nuora, persino la bimba, andarono di nuovo in processione dal
segretario comunale, per chiedergli come dovevano fare per pagare il debito, senza che lo zio
Crocifisso mandasse dell’altre carte bollate, che si mangiavano la casa, la barca e tutti loro. Don
Silvestro, il quale sapeva di legge, stava passando il tempo costruendo una gabbia a trappola che
voleva regalare ai bambini della Signora. Ei non faceva come l’avvocato, e li lasciò chiacchierare e
chiacchierare, seguitando ad infilar gretole nelle cannucce. Infine disse quel che ci voleva: – Orbè,
se la gnà Maruzza ci mette la mano, ogni cosa si sarebbe aggiustata. La povera donna non sapeva
indovinare dove dovesse mettere la sua mano. – Dovete metterla nella vendita, le disse don
Silvestro, e rinunziare all’ipoteca della dote, quantunque i lupini non li abbiate presi voi. – I lupini li
abbiamo presi tutti! mormorava la Longa, e il Signore ci ha castigati tutti insieme col prendersi mio
marito.

➔Pagare don Silvestro con le galline, lui che ha la risata da gallina, è un'ironia del romanzo.

 Don Silvestro = conosce la legge, d'altronde fa il segretario comunale.


 Don Silvestro sta preparando un giocattolo per i figli di Don Franco. Pare che non abbia nulla
da fare, così come l'avvocato che girava le sigarette.
 Ci mette la mano = sottoscrive lei, rinuncia all'ipoteca. Il punto legale della questione è che
lei non ha preso i lupini, non ha firmato il debito.
 Loro sono stati puniti per aver preso i lupini, lei non era persuasa dal prenderli.

Quei poveri ignoranti, immobili sulle loro scranne, si guardavano fra di loro, e don Silvestro intanto
rideva sotto il naso. Poi mandò a chiamare lo zio Crocifisso, il quale venne ruminando una castagna
secca, giacché aveva finito allora di desinare, e aveva gli occhietti più lustri del solito.

 Anche Don Silvestro ride, stavolta non come una gallina ma sotto il naso. Sta pensando che
sono sciocchi i Malavoglia, perché devono pagare il debito.
Anche il lettore, che non è di Aci Trezza, come del resto non lo è Don Silvestro, pensa che
al posto loro non pagherebbe. Ma i Malavoglia hanno da rispettare un'etica che impone questo
pagamento.
 Lo zio Crocifisso ha gli occhi più lustri del solito, è contento. Da questo gesto capiamo che sa
che ora avrà qualcosa dai Malavoglia e ne è lieto.

Dapprincipio non voleva sentirne nulla, e diceva che lui non ci entrava più, e non era affar suo. – Io
sono come il muro basso, che ognuno ci si appoggia e fa il comodo suo, perché non so parlare come
un avvocato, e non so dire le mie ragioni; la mia roba par roba rubata, ma quel che fanno a me lo
fanno a Gesù Crocifisso che sta in croce; e seguitava a borbottare e brontolare colle spalle al muro,
e le mani ficcate nelle tasche; né si capiva nemmeno quel che dicesse per quella castagna che ci
aveva in bocca. Don Silvestro sudò una camicia per fargli entrare in testa che infine i Malavoglia
non potevano dirsi truffatori, se volevano pagare il debito, e la vedova rinunziava all’ipoteca. – I
Malavoglia si contentano di restare in camicia per non litigare; ma se li mettete colle spalle al muro,
cominciano a mandar carta bollata anche loro, e chi s’è visto s’è visto. Infine un po’ di carità
bisogna averla, santo diavolone! Volete scommettere che se continuate a piantare i piedi in terra
come un mulo, non avrete niente?
 Recita come se non sapesse nulla, e questo gli serve per mantenere agli occhi del paese
l'immagine di un galantuomo.
 La sua roba è roba rubata = è espressione particolare, c'è consonanza, suona. Potremmo dire
che è anche vera questa espressione perché la roba dello Zio Crocifisso è davvero rubata.
 A Gesù crocifisso che sta in croce = il suo nome viene da lui utilizzato come nome nomen,
lui si auto presenta come tale, ma così non è. Il personaggio si presenta come Crocifisso che
sta in croce, ribadisce sebbene sia pleonastico.
 Mani nelle tasche = emblema di chi non lavora.

E lo zio Crocifisso allora rispondeva: – Quando mi prendono da questo lato non so più che dire; e
promise di parlarne a Piedipapera. – Per riguardo all’amicizia io farei qualunque sacrificio. –
Padron ‘Ntoni poteva dirlo, se per un amico avrebbe fatto questo ed altro; e gli offrì la tabacchiera
aperta, fece una carezza alla bimba, e le regalò una castagna. – Don Silvestro conosce il mio debole;
io non so dir di no. Stasera parlerò con Piedipapera, e gli dirò di aspettare sino a Pasqua; purché
comare Maruzza ci metta la mano. – Comare Maruzza non sapeva dove bisognava metterla, la
mano, e rispose che ce l’avrebbe messa anche subito. – Allora potete mandare a prendervi quelle
fave che mi avete chiesto per seminarle; – disse poi lo zio Crocifisso a don Silvestro, prima di
andarsene.
– Va bene, va bene, rispose don Silvestro; lo so che per gli amici avete il cuore grande quanto il
mare.

 Dice che promette di parlare con Piedipapera: ancora mantengono la finzione.


 Lo zio Crocifisso si contraddice perché prima aveva pronunciato un proverbio sull'amicizia,
negativamente.
 Lo zio Crocifisso ha il tabacco da fiuto, non si fa le sigarette.
 Aspettare fino a Pasqua = non fanno festa, ogni festa è una scadenza.
 Anche Don Silvestro è stato pagato con le fave.

Piedipapera davanti alla gente non voleva sentir parlare di dilazione; e strillava e si strappava i
capelli, che lo volevano ridurre in camicia, e volevano lasciarlo senza pane per tutto l’inverno, lui e
sua moglie Grazia, dopo che l’avevano persuaso a comprare il debito dei Malavoglia, e quelle erano
cinquecento lire l’una meglio dell’altra, che s’era levate di bocca per darle allo zio Crocifisso. Sua
moglie Grazia, poveretta, spalancava gli occhi, perché non sapeva di dove li avesse presi quei
denari, e metteva buone parole pei Malavoglia, i quali erano brava gente, e tutti li avevano sempre
conosciuti per galantuomini nel vicinato. Lo zio Crocifisso adesso prendeva anche lui la parte dei
Malavoglia. – Han detto che pagheranno, e se non potranno pagare vi lasceranno la casa. La gnà
Maruzza ci metterà la mano anche lei. Non lo sapete che al giorno d’oggi per avere il fatto suo
bisogna fare come si può? – Allora Piedipapera s’infilò il giubbone di furia, e se ne andò via
bestemmiando, che facessero pure come volevano, lo zio Crocifisso e sua moglie, giacché lui non
contava per nulla in casa.
●Anche Piedipapera fa la sceneggiata. E la moglie spalanca gli occhi, mette una buona parola per i
Malavoglia (richiama il primo capitolo, in cui si era detto che i Malavoglia erano brava e buona gente
di mare).

Piedipapera sbatte la porta e chiude anche il capitolo, ci lascia fuori.

Lezione 30 Marzo
Questo capitolo (il 6) ci ha fatto vedere la retrocessione dei Malavoglia, fino alla lettera del
pignoramento che ne ha turbato la Pasqua. Nella Cavalleria Rusticana di Verga si parla della "mala
Pasqua": nell'immaginario popolare la Pasqua non sempre è positiva, è pur sempre morte, sebbene si
celebri la Resurrezione. Anche nei Malavoglia non è un momento di festa, sebbene potrebbe esserlo.
Ora siamo a Natale, ma vedremo anche il contesto della Pasqua.
Poi abbiamo visto la bella pesca ma insufficiente, e i Malavoglia alle prese con il loro mestiere;
abbiamo visto come sono burloni e come litigano i marinai sulla barca.
Nel finale torna il tema del debito, con Piedipapera che recita fino in fondo la sua parte. Lo zio
Crocifisso è astuto: finge di convincere Piedipapera a dilazionare il debito, si sono invertiti i ruoli
perché finge di fare il sensale. Ma è una perfetta finzione.

CAPITOLO 7
Il settimo capitolo attacca sottolineando questa contraddizione, questa rottura tra i Malavoglia e il
resto del paese. Si stanno creando delle situazioni che non corrispondono alla norma, che è quella
che il Natale sia un giorno felice. Per loro è iniziata una fase in cui la famiglia si presenta in maniera
anomala, non è più come le altre, non ha più lo status che aveva prima.

Quello fu un brutto Natale pei Malavoglia; giusto in quel tempo anche Luca prese il suo numero
alla leva, un numero basso da povero diavolo, e se ne andò a fare il soldato senza tanti piagnistei,
che oramai ci avevano fatto il callo. Stavolta ‘Ntoni accompagnando il fratello col berretto
sull’orecchio, talché pareva fosse lui che partisse, gli diceva che non era nulla, e anche lui aveva
fatto il soldato. Quel giorno pioveva, e la strada era tutta una pozzanghera.

Un'altra volta ha già piovuto nei Malavoglia, ed è successa una disgrazia, quando le donne del paese
saltellavano per le pozzanghere. Anche ora la pioggia è un segnale di cattiva fortuna.

 All'epoca si sorteggiava, la lega non era per tutti. Chi estraeva un numero basso partiva, chi
un numero alto no.
 Poveri diavoli = parla la malalingua. È come se ci dicesse che i numeri venivano manipolati,
che chi non doveva fare la leva prendeva un numero alto.
 Abbiamo un ulteriore indizio sul carattere di 'Ntoni: non sappiamo cosa pensa ma lo
accompagna, lo rincuora. Abbiamo visto sia 'Ntoni che non ha voglia di lavorare, che è ribelle,
che non vuole lavorare per lo zio Crocifisso, sia un 'Ntoni affezionato alla sua famiglia, e lo
vediamo in questa scena. 'Ntoni non è un fannullone egoista come potremmo pensare di Rocco
Spatu, che non si preoccupa di lavorare e aiutare la cugina Anna e le sorelline.

– Non voglio che mi accompagniate – ripeteva Luca alla mamma; – già la stazione è lontana. – E
stava sull’uscio a veder piovere sul nespolo, col suo fardelletto sotto il braccio. Poi baciò la mano al
nonno e alla mamma, e abbracciò Mena e i fratelli.
Così la Longa se lo vide partire sotto l’ombrello, accompagnato da tutto il parentado, saltando sui
ciottoli della stradicciuola ch’era tutta una pozzanghera, e il ragazzo siccome era giudizioso quanto
il nonno, si rimboccò i calzoni sul ballatoio, sebbene non li avrebbe messi più, ora che lo vestivano
da soldato.
– Questo qui non scriverà per danari, quando sarà laggiù, pensava il vecchio; e se Dio gli dà giorni
lunghi, la tira su un’altra volta la casa del nespolo. Ma Dio non gliene diede giorni lunghi, appunto
perché era fatto di quella pasta; – e quando giunse più tardi la notizia che era morto, alla Longa le
rimase quella spina che l’aveva lasciato partire colla pioggia, e non l’aveva accompagnato alla
stazione.
L’anticipazione
Qui abbiamo un'anticipazione: veniamo a sapere che Luca morirà soldato. Questa morte di Luca
soldato sarà più avanti, ne avremo dopo la notizia: qui sta solo partendo. Facciamo un salto in avanti
nel tempo. È una tecnica che appartiene alla tradizione del romanzo, non c'è suspense sul fatto che
Luca morirà. Qualcuno ha scambiato questo per intervento di autore, l'autore ci fa già sapere che
morirà, è un artificio. Ma questa battuta lo possiamo associare a "queste furono le ultime parole che
si udirono" → ci fa capire che il narratore del romanzo è più avanti nel tempo, racconta a cose
fatte. La narrazione ha quasi sempre un punto di vista memoriale: quando noi siamo narratori di
qualcosa quel qualcosa lo raccontiamo quando già sappiamo inizio e fine, si racconta quasi sempre a
cose fatte.

➔ Anche il narratore popolare racconta a cose fatte.

Non appartiene al romanzo senza narratore di cui parlava Giovannetti ma c'è un narratore che
organizza da un tempo futuro il tempo passato, ciò che è successo. Come i narratori popolari, anche
questo narratore anticipa qualcosa.

●Fatto di quella pasta = è un modo di dire di questo narratore che si fa riconoscere da questo punto
di vista, è sempre un paesano che parla.

Il narratore popolare e il linguaggio


I narratori popolari siciliani, nell'Ottocento, sapevano narrare. Non mancava loro la capacità
espressiva, la fantasia, usi metaforici. Non dobbiamo pensare al narratore contadino solo perché
incolto → come uno che non sappia incantare, che non sappia fare le voci, i versi, il registro alto
quando fa parlare il re e quello basso per il popolano. Questi narratori, raccontatori popolari, quelli
bravi, sanno mantenere la suspense. E Verga quando deve utilizzare il suo raccontatore popolare
pensa ad un narratore che abbia “qualche numero”.

Nei paesi c'era il narratore popolare, che sapeva raccontare. Si andava ad ascoltare da loro. Ci sono i
cantastorie, che stendevano un cartellone e spostavano le pagine per fare vedere le scene. Esiste l'arte
del raccontare, che a volte diventa arte del raccontare con la chitarra.

A fine Ottocento gli antropologi che guardano a questi canti popolari, che hanno poesia e lirica.
Possono essere trasportati nella letteratura e portare qualcosa di inedito, di straordinario. Verga a
questo pensa quando pensa al mondo contadino.

L'opera sembra essersi fatta da sé = è un uomo di questo mondo contadino che racconta, ma
racconta in modo che questa possa diventare letteratura. Usa questi modi che appartengono al modo
di raccontare del mondo contadino, ma non sono moduli ingenui. I contadini non sono ingenui, e
anche questi artisti hanno da tramandare qualcosa, che comporta conoscenza, sapere. Questo mondo
nel Novecento si è riscoperto, Gramsci ha detto tanto su questo.

Ciò che si era detto prima, fino a quel momento, con alto e basso, si è scarpinato. Faceva comodo
dire alle persone di ceti sociali alti che erano migliori, più sapienti. Il sapere delle classi basse viene
spesso svalutato, ma anche sapere fare un tavolo è conoscenza. Qui c'è un sapere che sfida il sapere
dei "classici", che imitano invece Ariosto, Tasso.

➔Verga recupera quindi questo modo di narrare, imita e osserva questo racconto.
Le fonti di Verga non sono Manzoni e altri autori, ma i vecchi di paese che ha sentito raccontare.
In questo romanzo è difficile trovare dei modelli – abbiamo evocato le Baruffe Chiozzotte, utili per i
nomi dei personaggi; Zola; nelle galline che vengono portate come omaggio il riferimento ai capponi
di cui ci parla Manzoni.

Tutti gli scrittori di fine Ottocento scoprono lo stile indiretto libero, che i personaggi possono parlare
come si parla in strada, cosa fino ad allora bandita; Verga contesta le parole della letteratura: ora
entrano nella letteratura gli umili, i più bassi, non più trattati come personaggi comici, utili a far
ridere: ora entrano come personaggi seri, come personaggi le cui vicende esistenziali possono essere
prese sul serio. Ma entrano come serie anche le loro parole, la loro lingua. È un contesto comune
che avviene a fine ottocento nell'Europa.
➔Francia = paese guida, pensiamo a Zola e Flaubert. La Francia precede nella produzione letteraria
gli altri paesi, soprattutto nel romanzo.

Zola usa un parlare del mondo degli operai, che usano un gergo, che connota il romanzo. Verga prova
a fare qualcosa di analogo: i personaggi parlano con i proverbi.

➔Prende da Zola non la lingua ma il metodo con cui bisogna agire: spostandosi di ambiente sociale
cambia la lingua, questa è la teoria di Verga.

Nel Mastro-Don Gesualdo sarà in ambiente sofisticato, ci sono dei nobili che sono protagonisti e
coprotagonisti. Ad Aci Trezza anche il più ricco, lo zio Crocifisso, parla come Padron 'Ntoni, per cui
usa una lingua di quel tipo.

Vizzini = luogo dove la famiglia Verga aveva dei possedimenti. È un grosso borgo di provincia dove
c'erano dei nobili, baroni, duchi, un ceto nobiliare e uno emergente, di affaristi, e un ceto popolare,
contadino. C'erano più lingue → quindi il Mastro-Don Gesualdo sarà un romanzo con più lingue e
più aspettative.

Nei Malavoglia ci sono delle aspettative diverse, un conto è essere usuraio, un conto forestiero, un
conto è essere proprietari di barca, un conto è essere pescatori e così via. Ci sono stati sociali diversi,
però non c'è nessun salto di qualità estremo. Vediamo comunque i livelli sociali in un mondo che
appare più uniforme: anche in questo paese esistono delle gerarchie.

Con la Duchessa di Leyra saremmo entrati nei palazzi, l'aristocrazia della capitale (Palermo = non
capitale, ma molto ricca), non più contaminata dal mondo contadino come Vizzini. È un mondo che
affiora nel Mastro-Don Gesualdo, entriamo già alla fine del romanzo nel palazzo del duca di Leyra.

Poi ci sarebbe stato il problema di fare un verismo delle classi sociali più alte, bisognava far parlare
i nobili con lo squincellinci (modo di dire siciliano), parlano in un certo modo. Verga in una lettera
dice che i popolari sono diretti, esprimono subito i loro sentimenti, invece i nobili mentono due
volte quando parlano. Se hanno mal di testa non dicono che hanno emicrania, ma dicono altro.
Vedendo agire o sentendo parlare i nobili è più difficile capire cosa intendono: non è elegante far
vedere le proprie emozioni. Se un nobile si arrabbia non lo dice; se un povero si arrabbia gesticola,
lo si vede. La gentildonna non gesticola sebbene arrabbiata. Verga lì si arena, questa lingua non è
così felice ed espressiva, non è originale per chi la leggeva per la prima volta alla fine dell'ottocento.
Questo non ebbe subito successo, solo pochi colsero qualcosa di straordinario.
➔Conversione al verismo = in realtà non c'è una vera e propria conversione, quanto un
cambiamento di ambiente e la scoperta di un metodo, quello zoliano, che si può applicare
al mondo contadino e si può provate ad applicarlo ad altri mondi. All’inizio, mentre Verga
era in vita, venivano maggiormenti letti i romanzi di Verga del pre-verismo; solo pochi
capirono subito il valore delle altre opere di Verga.

Federico de Roberto, amico di Verga e autore dei ViceRé (che parla di ambienti aristocratici), si
differenzia da Verga (con cuo discute di questi problemi): ritiene che l’autore possa fare il monologo
interiore; egli deve entrare nella testa del personaggio, può farci sentire il personaggio che ragiona
con sé, che pensa.

➔Il personaggio per Verga, invece, deve essere sempre visto dall'esterno, il personaggio è sempre
altro rispetto all'osservatore.
Noi ci immedesimiamo in chi vede i personaggi, siamo sempre un occhio che si muove, sia origliatori,
voyeur, un po' come la Zuppidda: siamo invitati ad osservare. Questo accade anche in De Roberto,
che però a volte sceglie di entrare nel personaggio, farci vedere cosa pensa e come soffre. Verga è
radicale, rimprovera in delle lettere De Roberto, più giovane di Verga di 20 anni (quasi coetaneo di
Pirandello — quest’ultimo legge Verga, ed era legatissimo a Capuana, del quale recensiva anche le
opere).
-1905 = Verga da qui in poi non scrive più nulla, lavora solo per guadagnare.
-1920 = Verga compie ottant'anni, viene nominato senatore a vita e c'è una celebrazione in suo nome
al teatro Bellini, ad un chilometro e mezzo da casa di Verga. Pirandello fa un discorso in suo onore,
ma Verga non va, Pirandello allora va a trovarlo a casa – del resto, con l’idea dell’autore che
scompare, è come se Verga dicesse che bisogna celebrare l'opera, non l'autore).

– Mamma! disse Luca tornando indietro, perché gli piangeva il cuore di lasciarla così zitta zitta sul
ballatoio, come la Madonna addolorata; quando tornerò vi avviserò prima, e così verrete ad
incontrarmi tutti alla stazione.

 Maruzza sta sempre zitta, è un ritornello.


 Madonna Addolorata = Maruzza è emblema della maternità in questo romanzo, come la
Madonna lo è in generale.

– E quelle parole Maruzza non le dimenticò finché le Giovanni chiusero gli occhi;

 Anche questa è un'anticipazione.


e sino a quel giorno si portò fitta nel cuore quell’altra spina che il suo ragazzo non assisteva alla
festa che si fece quando misero di nuovo in mare la Provvidenza, mentre c’era tutto il Paese, e
Barbara Zuppidda s’era affacciata colla scopa per spazzar via i trucioli.

 Non si è affacciata per spazzare, ma nel paese bisogna sempre cercare una scusa per
“impicciarsi”.
 Che la barca si rimetta in mare è un buon segno perché indica la ripresa – forse pensa che si
possa riparlare del matrimonio con 'Ntoni.

– Lo faccio per amor vostro; aveva detto a ‘Ntoni di padron ‘Ntoni; perché è la vostra Provvidenza.
– Voi colla scopa in mano sembrate una regina: rispose ‘Ntoni. – In tutta Trezza non c’è una brava
massaia come voi! – Ora che vi portate via la Provvidenza non ci verrete più da queste parti,
compare ‘Ntoni.

 Prima aveva l'occasione di vedere Barbara tutti i giorni, perché la barca era da Turi Zuppiddu,
ora invece non più.

– Sì che ci verrò. E poi per andare alla sciara questa è la strada più corta. – Ci verrete per vedere la
Mangiacarrubbe, che si mette alla finestra quando passate.

 Ritorna sempre la questione della donna alla finestra.

– La Mangiacarrubbe gliela lascio a Rocco Spatu, ché ci ho altro pel capo. – Chissà quante ce ne
avete in testa, delle belle ragazze di fuori regno, non è vero? – Qui ce n’è pure delle belle ragazze,
comare Barbara, e lo so io.
– Davvero?
– Per l’anima mia!
– O a voi che ve ne importa? – Me ne importa, sì! ma ad esse non gliene importa di me, perché ci
hanno i zerbinotti che passeggiano sotto le finestre, colle scarpe inverniciate.

 Con le scarpe verniciate sono quelli abbienti, forse Don Michele e sicuramente Don Silvestro.
È anche questo un ritornello: gli abitanti di Aci Trezza non hanno le scarpe verniciate, non si
fa sfoggio di ricchezza.
– Io non le guardo nemmeno, le scarpe inverniciate, per la Madonna dell’Ognina!

 Si scambiano frecciatine, fanno i gelosi.

La mamma dice che le scarpe inverniciate son fatte per mangiarci la dote e ogni cosa; e qualche bel
giorno vuole uscire fuori sulla strada, colla rocca in mano, a fare una commedia con quel don
Silvestro, se non mi lascia in pace.

 Don Silvestro la corteggia.

– Che lo dite sul serio, comare Barbara?


– Sì, davvero!
– Questa cosa mi piace! disse ‘Ntoni.
– Sentite, andateci il lunedì alla sciara, quando mia madre va alla fiera.
– Al lunedì il nonno non mi lascerà pigliar fiato, ora che mettiamo in mare la Provvidenza.
Appena mastro Turi disse che la barca era in ordine, padron ‘Ntoni venne a pigliarsela coi suoi
ragazzi, e tutti gli amici, e la Provvidenza, mentre camminava verso la marina, barcollava sui sassi
come avesse il mal di mare, in mezzo alla folla.

 Che la Provvidenza barcolli non è un buon segno.

– Date qua! gridava più forte di tutti compare Zuppiddu; ma gli altri sudavano e gridavano per
spingerla sui regoli, quando la barca inciampava nei sassi.

 Regoli = assi di legno che si usano per sistemare la barca.

– Lasciate fare a me; se no me la piglio in braccio come una bambina, e ve la metto nell’acqua tutta
in una volta.

 Mastro Turi Zuppiddu è molto forte, lo abbiamo già visto.


– Compare Turi è capace di farlo, con quelle braccia! dicevano alcuni. Oppure: – Adesso i
Malavoglia si mettono di nuovo a cavallo.
– Quel diavolo di compare Zuppiddu ci ha le fate nelle mani! esclamavano. Guardate come l’ha
ridotta, che prima sembrava una scarpaccia vecchia addirittura!
E davvero adesso la Provvidenza sembrava tutt’altra cosa, lucente della pece nuova, e con quella
bella fascia rossa lungo il bordo, e sulla poppa il san Francesco colla barba che sembrava di
bambagia, talché persino la Longa si era riconciliata colla Provvidenza, da quando era tornata senza
suo marito, e aveva fatto la pace per la paura, ora che era venuto l’usciere.

 Adesso anche la Longa si affida di nuovo alla Provvidenza.

– Viva san Francesco! gridava ognuno come vedeva passare la Provvidenza, e il figlio della Locca
gridava più forte degli altri, per la speranza che adesso padron ‘Ntoni prendesse a giornata anche
lui.
 San Francesco = protettore della barca.

Mena si era affacciata sul ballatoio, e piangeva un’altra volta dalla contentezza, e fin la Locca si
alzò e andò colla folla anche lei dietro i Malavoglia.
– O comare Mena, questa deve essere una bella giornata per voi altri; le diceva Alfio Mosca dalla
sua finestra dirimpetto; dev’essere come quando potrò comprare il mio mulo.
– E l’asino lo venderete?
– Come volete che faccia? Io non sono ricco come Vanni Pizzuto; se no, in coscienza, non lo
venderei.
– Povera bestia!
– Se avessi a dar da mangiare a un’altra bocca prenderei moglie, e non starei solo come un cane!
disse Alfio ridendo.

 Parla sempre di moglie.

Mena non sapeva che dire, ed Alfio aggiunse poi: – Ora che ci avete in mare la Provvidenza, vi
mariteranno con Brasi Cipolla.
 Alfio continua a pensare al matrimonio. Quando ha detto che era una bella giornata, ha pensato
che loro si risollevano e lei si potrebbe sposare con Brasi Cipolla.
– Il nonno non mi ha detto nulla.
– Ve lo dirà dopo. Ancora c’è tempo. Da ora a quando vi mariterete chissà quante cose
succederanno, e per quali strade andrò col mio carro? Mi hanno detto che alla Piana, al di là della
città, c’è da lavorare per tutti alla ferrovia. Ora la Santuzza s’è intesa con massaro Filippo, pel
mosto nuovo, e non avrò più nulla da far qui.

 Piana = tra Catania e Siracusa, dove si sta costruendo la ferrovia.


 Il vino che prima portava compare Alfio ora lo porterà massaro Filippo. Questo conferma ciò
che le malelingue, la Zuppidda e Piedipapera, dicevano, cioè che c'era una relazione

Padron Cipolla invece, malgrado che i Malavoglia si fossero messi di nuovo a cavallo, continuava a
scrollare il capo, e andava sentenziando che era un cavallo senza gambe; lui lo sapeva dove erano le
magagne, nascoste sotto la pece nuova.
 La metafora del cavallo continua.
 La barca è stata rattoppata, non è nuova.

– Una Provvidenza rattoppata! – sogghignava lo speziale – sciroppo d’altea, e mucillaggine di


gomma arabica, come la monarchia costituzionale.
 Gli speziali preparavano le miscele e avevano i ricettari con le dosi.
 Per lui anche la monarchia è rattoppata.

Vedrete che gli faranno pagare anche la ricchezza mobile, a padron ‘Ntoni.

 Metteranno una tassa sulla barca.

– Fin l’acqua che si beve ci faranno pagare. Ora dice che metteranno il dazio sulla pece.

 Se lo mettevano prima, dovevano paragone anche il dazio sulla pece.

Per questo padron ‘Ntoni si è affrettato a far allestire la sua barca; contuttoché mastro Turi
Zuppiddu avanza ancora cinquanta lire da lui.

 C'è ancora un debito.

– Chi ha avuto giudizio è stato lo zio Crocifisso, che ha venduto a Piedipapera il credito dei lupini.
– Ora, se la ruota non gira pei Malavoglia, la casa del nespolo se la piglia Piedipapera; e la
Provvidenza torna da compare Zuppiddu.

 50 lire = non sono state pagate, se non le pagano compare Turi si riprende la Provvidenza.

Intanto la Provvidenza era scivolata in mare come un’anitra, col becco in aria, e ci sguazzava
dentro, si godeva il fresco, dondolandosi mollemente, nell’acqua verde, che le colpettava attorno ai
fianchi, e il sole le ballava sulla vernice.

 Evocata la barca, ora la rivediamo in mare.


 Anitra = perché barcolla. Come barcollava sui sassi, barcolla anche ora. Ha il becco, e non la
prua.

La barca è animalizzata, pare contenta di essere tornata in mare. Ma in realtà sono i Malavoglia ad
essere contenti: è una figura retorica per cui si proietta questo sentimento di contentezza verso la
barca.

Padron ‘Ntoni, se la godeva anche lui, colle mani dietro la schiena e le gambe aperte, aggrottando
un po’ le ciglia, come fanno i marinai quando vogliono vederci bene anche al sole, che era un bel
sole d’inverno, e i campi erano verdi, il mare lucente, e il cielo turchino che non finiva mai.

 C'è una sintonia tra l'ambiente, il tempo, e i sentimenti dei personaggi.

Così tornano il bel sole e le dolci mattine d’inverno anche per gli occhi che hanno pianto, e li hanno
visti del color della pece, e ogni cosa si rinnova come la Provvidenza, che era bastata un po’ di pece
e di colore, e quattro pezzi di legno, per farla tornare nuova come prima, e chi non vede più nulla
sono gli occhi che non piangono più, e sono chiusi dalla morte.

 Chi non vede nulla è Bastianazzo. Ritorna questo ricordo: è vero che ogni cosa si rinnova, ora
la Provvidenza è in acqua, è tornata viva, chi non è tornato è Bastianazzo. Qui non viene
nominato, ma subito dopo c'è l'occasione per il racconto.

– Compare Bastianazzo non poté vederla questa festa! pensava fra di sé comare Maruzza andando
innanzi e indietro davanti all’orditoio, a disporre la trama, che quei regoli e quelle traverse glieli
aveva fatti tutti suo marito colle sue mani, la domenica o quando pioveva, e li aveva piantati lui
stesso nel muro.
 Orditoio = trama del tessuto.

Ogni cosa in quella casa parlava ancora di lui, e c’era il suo paracqua d’incerata in un cantuccio e le
sue scarpe quasi nuove sotto il letto.
Mena, mentre imbozzimava l’ordito, aveva il cuore nero anch’essa, pensando a compare Alfio, il
quale se ne andava alla Bicocca, e avrebbe venduto il suo asino, povera bestia!

 Bicocca = luogo della Piana.

ché i giovani hanno la memoria corta, e hanno gli occhi per guardare soltanto a levante; e a ponente
non ci guardano altro che i vecchi, quelli che hanno visto tramontare il sole tante volte.

 Hanno visto tramontare il sole = sono i vecchi.

– Ora che hanno rimesso in mare la Provvidenza, disse infine Maruzza, vedendo la figliuola
pensierosa, tuo nonno ha ripreso ad andare con padron Cipolla; li ho visti insieme anche stamattina
dal ballatoio, davanti alla tettoia di Peppi Naso.
– Padron Fortunato è ricco e non ha nulla da fare, e se ne sta in piazza tutto il giorno; rispose Mena.
– Sì, e suo figlio Brasi ne ha della grazia di Dio.

 Maruzza sonda il terreno.

Ora che abbiamo la nostra barca, e i nostri uomini non dovranno andare a giornata, ci trarremo fuori
dalla stoppa anche noi; e se le anime del Purgatorio ci aiutano a levarci il debito dei lupini, si potrà
cominciare a pensare alle altre cose. Tuo nonno non ci dorme, sta tranquilla, e quanto a questo non
ve lo farà sentire che avete perso il padre, ché è come un altro padre, lui.

 L'immagine che abbiamo di padron 'Ntoni è più di un padre che di un nonno.

Poco dopo arrivò padron ‘Ntoni carico di reti, che pareva una montagna, e non gli si vedeva la
faccia.
 Abbiamo già visto un altro personaggio carico tanto da non vedersi, ovvero Alessi. È "tutto
suo nonno colui" era stato detto.

– Son venuto a riprenderle dalla paranza, disse, e bisogna rivedere le maglie giacché domani
armeremo la Provvidenza.

 Bisogna controllare che non ci siano problemi.

– Perché non vi siete fatto aiutare da ‘Ntoni? gli rispose Maruzza tirando per un capo, mentre il
vecchio girava in mezzo al cortile come un arcolaio, per dipanare le reti che non finivano più, e
pareva un serpente colla coda.

 Lo abbiamo già visto con un uncino, è sempre curvo.

– L’ho lasciato di là da mastro Pizzuto. Povero ragazzo, ha da lavorare tutta la settimana! E’ fa


caldo anche in gennaio con quel po’ di roba sulle spalle.

 Cosa ci fa 'Ntoni da mastro Pizzuto? O si fa la barba o si va a bere l'erba bianca. Come tutti i
barbieri, faceva degli intrugli (rivale degli speziali). Scopriremo che quello di Vanni Pizzuto
è un circolo, è luogo di socializzazione in barbiere.

Alessi rideva del nonno, vedendolo così rosso e curvo come un amo, e il nonno gli disse: – Guarda
che qui fuori c’è quella povera Locca; suo figlio è in piazza senza far nulla, e non hanno da
mangiare.

 Ora Padron 'Ntoni è un amo.

– Maruzza mandò Alessi dalla Locca, con quattro fave, e il vecchio, asciugandosi il sudore colla
manica della camicia, soggiunse: – Ora che ci abbiamo la nostra barca, se arriviamo all’estate,
coll’aiuto di Dio, lo pagheremo il debito.

 D'estate si pesca bene.

– Ei non sapeva dir altro, e guardava le sue reti, seduto sotto il nespolo, come se le vedesse piene.
– Adesso bisogna far la provvista del sale, prima che ci mettano il dazio, se è vero – andava dicendo
colle mani sotto le ascelle.

 Si minaccia anche il dazio sul sale.

Compare Zuppiddu lo pagheremo coi primi denari, ed egli mi ha promesso che allora ci darà a
credenza la provvista dei barilotti. – Nel canterano ci sono cinque onze della tela di Mena; aggiunse
Maruzza.

 La tela che ha tessuto Maruzza vale cinque onze.

– Bravo! con lo zio Crocifisso non voglio farci più debiti, perché non me lo dice il cuore, dopo
l’affare dei lupini; ma trenta lire ce le darebbe per la prima volta che andiamo in mare con la
Provvidenza.

 Devono riarmare la Provvidenza.

– Lasciatelo stare! esclamò la Longa, i danari dello zio Crocifisso portano disgrazia! Anche stanotte
ho sentito cantare la gallina nera!

 Maruzza aveva sentito la gallina nera cantare anche prima della partenza di Bastianazzo. È
un segno di cattivo augurio. I Malavoglia probabilmente hanno una gallina nera.

– Poveretta! esclamò il vecchio sorridendo al vedere la gallina nera che passeggiava pel cortile colla
coda in aria e la cresta sull’orecchio, come se non fosse fatto suo. Essa fa pure l’uovo tutti i giorni.
Allora Mena prese la parola e si affacciò sull’uscio. – Ce n’è un paniere pieno di uova, aggiunse, e
lunedì, se compare Alfio va a Catania, potete mandare a venderle al mercato.

 Come le formichine, nominate in Fantasticheria, devono cercare di prendere ogni cosa:


devono raggranellare di qua e di là come possono.

– Sì, anche queste aiutano a levare il debito! disse padron ‘Ntoni; ma voi altri dovreste mangiarvelo
qualche uovo, quando avete voglia.
– No, non ne abbiamo voglia, – rispose Maruzza, e Mena soggiunse: – Se le mangiamo noi,
compare Alfio non avrà più da venderne al mercato; ora metteremo le uova di anitra sotto la
chioccia, e i pulcini si vendono otto soldi l’uno.
Il nonno la guardò in faccia e le disse: – Tu sei una vera Malavoglia, la mia ragazza!
Le galline starnazzavano nel terriccio del cortile, al sole, e la chioccia, tutta ingrullita, colla sua
penna nel naso, scuoteva il becco in un cantuccio; sotto le frasche verdi dell’orto, lungo il muro,
c’era appeso su dei piuoli dell’altro ordito ad imbiancare, coi sassi al piede.
– Tutta questa roba fa danari, ripeteva padron ‘Ntoni; e colla grazia di Dio, non ci manderanno più
via dalla nostra casa. «Casa mia, madre mia».

 Ci sono le tele da colorare.


 La casa è come la madre.

– Ora i Malavoglia devono pregare Dio e san Francesco perché la pesca riesca abbondante, diceva
intanto Piedipapera.
– Sì, colle annate che corrono! esclamò padron Cipolla, ché in mare ci devono aver buttato il colèra
anche per i pesci!

 Leggende popolari che si ritrova chi semina il colera. Anche nei Promessi Sposi è presente
questa questione.

Compare Mangiacarrubbe diceva di sì col capo, e lo zio Cola tornava a parlare del dazio del sale
che volevano mettere, e allora le acciughe potevano starsene tranquille, senza spaventarsi più dalle
ruote dei vapori, ché nessuno sarebbe più andato a pescarle.

 Acciuga = si può salare, senza sale il deperimento è veloce.

– E ne hanno inventata un’altra! aggiunse mastro Turi il calafato, di mettere anche il dazio sulla
pece.
Quelli a cui non gliene importava della pece non dissero nulla; ma lo Zuppiddu seguitò a strillare
che egli avrebbe chiuso bottega, e chi aveva bisogno di calafatare la barca poteva metterci la
camicia della moglie per stoppa. Allora si levarono le grida e le bestemmie. In questo momento si
udì il fischio della macchina, e i carrozzoni della ferrovia sbucarono tutt’a un tratto sul pendio del
colle, dal buco che ci avevano fatto, fumando e strepitando come avessero il diavolo in corpo.
– Ecco qua! conchiuse padron Fortunato: – la ferrovia da una parte e i vapori dall’altra. A Trezza
non ci si può più vivere, in fede mia!
La modernità
Ferrovia e vapori sono la modernità, e la modernità che rompe il paesaggio di Aci Trezza viene
percepita come qualcosa che cambia le abitudini e il paesaggio, ma sono anche un nemico. Da un
lato non fanno più pescare il pesce, i vapori disturbano il pesce (veniva detto durante la visita di lutto
ai Malavoglia), dall'altro il treno è visto come diabolico, come quello che sputa fuoco.

➔Il treno è visto come ordigno della modernità, è visto come un pericolo, ed è un topos nella
letteratura di fine Ottocento.

Lezione 12 Aprile
Dopo aver visto i dialoghi paesani, un po' sprovveduti su quelle che erano le novità del momento.

Il romanzo si deve adattare al pubblico


Malavoglia = ambientato nel 1863, forse nel 1865 quando 'Ntoni ritorna – pubblicato nel 1881, parla
di fatti di 16 anni prima, del presente di Verga, della generazione dei lettori adulti: è un romanzo
diverso rispetto a quelli a cui il pubblico era abituato, per esempio ai Promessi Sposi – non
necessariamente il lettore del 1826 deve conoscere quei luoghi né tantomeno le vicende tipiche del
secolo per comprendere l’opera. I Promessi Sposi è un romanzo storico, e il romanzo storico ha
successo in Italia: se nel 1820 i romanzi francesi invece vanno più al contemporaneo, ai personaggi
che hanno fatto la rivoluzione, in Italia questo ambientare nel presente arriva dopo.

Solo d’ora in poi si racconta di fatti di cronaca e non tanto di storia, si parla di cose che il lettore di
30 e 40 anni conosce per esperienza personale e non perché ha studiato. Il lettore dei Promessi Sposi
se sa qualcosa sul Seicento è già parecchio, non era un periodo conosciuto – si tende più a parlare del
Medioevo nei romanzi storici, perché qui l'Italia non è dominata ma ci sono i comuni.

I tempi sono uguali per tutti i lettori ma lo spazio cambia: se ambiento il romanzo in Sicilia sposto lo
sguardo rispetto al lettore. I lettori colti sono al più a Napoli, in generale non tanto al Sud: il grande
pubblico è settentrionale (Milano, Venezia, Torino, Roma in certe fasce sociali, come del resto
Napoli). Non abbiamo produzione editoriale, se non minima, nel meridione, alla fine dell'Ottocento.
I primi editori significativi vengono fuori con Capuana, ad esempio, che fa pubblicare a De Roberto,
ma siamo già nel verismo. Scrittori come Verga e Capuana, per diventare scrittori, devono trasferirsi
(Verga va prima a Firenze, poi nemmeno gli basta e deve andare a Milano, dove c'è Treves, il più
grande editore italiano – questa editoria ebbe lungo successo fino agli anni Venti, per poi essere
inglobato da Mondadori).
Il romanzo non è solo opera d'arte: deve essere letto, se ciò non avviene esso perde l'aurea dell'opera
d'arte. Entra sulla scena la borghesia, una nuova classe sociale che è quella che costituisce il pubblico
dei romanzi (prima era quello aristocratico): la diffusione ora ha altro pubblico. Prima c'era il
mecenatismo del principe, qui invece diventa decisivo convincere i lettori: se prima era prassi inserire
una lettera a personaggio influente che avallasse l'opera letteraria, dall'Ottocento il romanzo, per la
prima volta, si rivolge direttamente al lettore. Adesso c'è distinzione tra prodotto commerciale e non,
ma l'opera d'arte moderna deve per forza essere commerciale in una certa misura: bisogna persuadere
una larga fetta di lettori che possano leggere e garantire il successo.

Dieci e vent'anni dopo la stesura dell'opera, i Malavoglia avevano tirato poche copie, erano più
commerciali Storia di una capinera, Eva, Eros, Tigre Reale. C’è anche Il marito di Elena, ancora una
volta un romanzo sentimentale, tra l’altro scritto l'anno dopo rispetto ai Malavoglia, ed ebbe molto
più successo di quest’ultima.

Verga cerca di avere successo commerciale e si fa forte del successo già ottenuto sperando che
qualche lettore lo segua verso questo nuovo romanzo. C'è anche il problema di educare il lettore ad
uno stile più sofisticato ma senza osare: anche oggi avviene, il regista non può usare uno stile troppo
nuovo perché non attirerebbe più produttori. C'è questo circuito, complesso e nuovo, dell'industria
culturale.

I rapporti possono essere anche conflittuali: l'autore deve difendere la sua opera ma anche andare
incontro al lettore. Il pubblico rimane scioccato davanti alle prime pagine del romanzo di Verga
perché si aspetta un ritratto del personaggio, un romanzo che lo accompagna. Ma superata la
difficoltà, il lettore si sente dentro al paese. Da un lato c'è chi, respinto, non continua a leggere,
dall'altro molti critici apprezzano l'opera. Alcuni critici parlano di un Verga che scrive in maniera
sgrammaticata (Verga usa il “che polivalente”, che non concorda come invece dovrebbe perché la
grammatica dei parlanti del romanzo è elementare), altri critici invece apprezzano la novità di un
romanzo che parla della Sicilia: fino ad allora la letteratura grande si era occupata di altro, non di usi
e costumi non facilmente riconoscibili: il mondo di pescatori e contadini era poco conoscibile. Non
dobbiamo capire dove siamo nel tempo ma come funziona la vita in un posto più sperduto, che non
ha diritto alla storia e alla letteratura.

Microstoria = Carlo Ginzburg è esponente di questa corrente (che si concentra sulla storia di piccoli
luoghi), con il libro Il formaggio e i vermi, che è la storia di un mugnaio. Attraverso la storia di un
mugnaio sensibile alle riforme religiose in Italia lui pur parlando di un uomo qualunque, non Calvino
o Lutero, può fare storia, e lo fa partendo da un luogo periferico per fare grande storia. Questo lo
aveva fatto anche Manzoni che aveva deciso di parlare di Renzo e Lucia, che possono sembrare niente
ma che in realtà sono la vera storia. I Malavoglia è un romanzo che ci racconta la storia del presente
in un mondo così lontano da noi lettori, dagli ipotetici lettori milanesi.
Il mondo moderno è vissuto da queste persone che vivono ad Aci Trezza: cosa ne penserà un pescatore
del telegrafo? Ci sono queste novità considerate diaboliche che sono state introdotte dopo l'unità
d'Italia, in un mondo che fino a qual momento era stato borbonico. In questo mondo però ci possono
essere poche persone interessate, gli altri sono personaggi pre-politici, sono fuori dell'orizzonte
politico, che invece è l'orizzonte del lettore che si confronta con personaggi che non appartengono
all'universo politico e se lo fanno vi appartengono solo per collocazione sociale (i pochi personaggi
che sanno di politica sono Don Franco, Don Giammaria e così via – anche il più ricco di tutti, lo zio
Crocifisso, bada agli affari suoi; Padron 'Ntoni dice di non conoscere nemmeno di vista
Franceschiello).

Nel villaggio successe una casa del diavolo quando volevano mettere il dazio sulla pece.

Il dazio sulla pece è elemento significativo in questo piccolo mondo perché serve per riparare le
barche. Inoltre, capiamo che un altro elemento che viene individuato come elemento di novità, sono
le tasse dei Savoia. Queste nuove tasse incidono sull'economia del territorio, che è piccolo. Ci sono
dei piccoli elementi che ci fanno capire che questo mondo arcaico e contadino si scontra con la
modernità: troviamo un palo del telegrafo e così via, e questo turba un equilibrio percepito dalla
comunità come eterno (da che mondo era mondo ad Aci Trezza si era fatto così). Anche il naufragio
della Provvidenza era stato turbamento non solo per la famiglia Malavoglia: da che mondo era mondo
avevano avuto la barca; ma anche l'equilibrio del paese viene rotto: lo zio Crocifisso deve farsi
ripagare il pubblico rispettando le dinamiche del paese. Si muove qualcosa che scompagina le carte
in un mondo che appariva fisso, chi racconta ci fa percepire questa fissità. In realtà noi abbiamo letto
che nel paese sono già successi degli eventi che hanno diramato rispetto all'ordine del paese
(sappiamo che altri Malavoglia se ne sono andati, che il padre di Nunziata è andato via e così via) ma
chi racconta avvolge il paese in un ordine immutabile, non soggetto al tempo, quello all'inizio definito
con "un tempo" e come tale doveva essere per sempre. Aci Trezza di oggi non è più quella di una
volta: qui il narratore è uno degli anziani che nota che quello non è più il tempo di una volta.

La Zuppidda, colla schiuma alla bocca, salì sul ballatoio, e si mise a predicare che era un’altra
bricconata di don Silvestro, il quale voleva rovinare il paese, perché non l’avevano voluto per
marito: non lo volevano nemmeno per compagno alla processione, quel cristiano, né lei né sua
figlia!

 In realtà la tassa sulla pece non rovina il paese ma il marito della Zuppidda. I personaggi
hanno una coscienza deviata, pensano che quello che è l'interesse loro sia quello del paese.

➔Giufà = è il nome del sindaco (presente nella tradizione araba, nel sud fino alla Toscana, dove
diventa Gianni). È personaggio che si lega ad Arlecchino: è come se il sindaco fosse sciocco e furbo.
Il paese dimostra di non credere nel sindaco chiamandolo così, a comandare non sembra lui ma Don
Silvestro. Per la Zuppidda è lui a comandare.
Comare Venera, quando parlava del marito che doveva prendere sua figlia, pareva che la sposa
fosse lei.

 Con stile indiretto libero è come se ci fosse un personaggio che risponde alla Zuppidda.

Mastro Turi avrebbe chiuso bottega, diceva, ma voleva vedere poi come avrebbe fatto la gente a
mettere le barche in mare, che si sarebbero mangiati per pane gli uni cogli altri. Allora le comari si
affacciarono sull’uscio, colle conocchie in mano a sbraitare che volevano ammazzarli tutti, quelli
delle tasse, e volevano dar fuoco alle loro cartacce, e alla casa dove le tenevano. Gli uomini, come
tornavano dal mare, lasciavano gli arnesi ad asciugare, e stavano a guardare dalla finestra la
rivoluzione che facevano le mogli.

 Ora assistiamo alle discussioni delle donne che vogliono ribellarsi alle tasse.

– Tutto perché è tornato ‘Ntoni di padron ‘Ntoni, seguitava comare Venera, ed è sempre là, dietro le
gonnelle di mia figlia.
 Siccome 'Ntoni corteggia la figlia, Don Silvestro per vendetta mette la tassa sulla pece: questa
è la logica.

– Ora gli danno noia le corna, a don Silvestro. Infine se non lo vogliamo, cosa pretende? Mia figlia
è roba mia, e posso darla a chi mi pare e piace.

 È un mondo in cui il matrimonio lo decidono le madri, i padri, i nonni, all'insaputa dei figli.
Pensiamo a Mena che viene a sapere del suo matrimonio da Alfio, l'ultimo che dovrebbe
saperlo.
Gli ho detto di no chiaro e tondo a mastro Callà, quand’è venuto a fare l’ambasciata in persona, l’ha
visto anche lo zio Santoro.

 Lo zio Santoro, pur se cieco, sa tutto: è una voce pubblica del paese. Potrebbe essere quasi il
narratore, tra l’altro è pure cieco, come Omero, ha una sua aurea.

Don Silvestro gli fa fare quel che vuole, a quel Giufà del sindaco; ma io me ne infischio del sindaco
e del segretario.

Sappiamo, tramite le parole della Zuppidda, qual è la persona che davvero comanda nel paese.
Ora cercano di farci chiudere bottega perché non mi lascio mangiare il fatto mio da questo e da
quello! Che razza di cristiani, eh? Perché non l’aumentano sul vino il loro dazio? o sulla carne, che
nessuno ne mangia? ma questo non piace a massaro Filippo, per amore della Santuzza, che sono in
peccato mortale tutti e due, e lei porta l’abitino di Figlia di Maria per nascondere le sue porcherie, e
quel becco dello zio Santoro non vede nulla.

 Il dazio sul vino avrebbe colpito la Santuzza: c'è sempre questa rivalità tra la Zuppidda e la
Santuzza.
 Si gioca sempre sulla cecità dello zio Santoro. Lui è padre della Santuzza ma se ne parla come
cornuti per la tresca che la figlia ha.

Ognuno tira l’acqua al suo mulino, come compare Naso, che è più grasso dei suoi maiali! Belle
teste che abbiamo! Ora vogliamo fargli la festa a tutte coteste teste di pesce della malannata.

A Bronte, grosso borgo della cintura dell'Etna, nel 1860, quando Garibaldi sbarcava in Sicilia,
avevano deciso, qui come in altri piccoli paesi, di ribellarsi: avevano organizzato delle rivolte dopo
l'arrivo di Garibaldi così da requisire le terre dei ricchi per darle ai contadini (le terre ai contadini =
slogan dei sinistreggianti, trai quali Pisacane). Si pensa di fare una rivoluzione.
Verga ha raccontata questo evento in Libertà, una novella in cui si dice che quelli con il cappello
vengono uccisi uno di seguito all’altro da chi ha il berretto finché non si instaura un nuovo regime
interrotto dal generale Nino Bixio, che fa ammazzare anche alcuni dei rivoltosi. C'è anche un film di
nome Bronte; anche Gramsci ne ha discusso sostenendo che il Risorgimento sia stato una mancata
rivoluzione agraria. Quindi l’evento che ha visto protagonista questo borgo è molto noto. Le frange
democratiche, mazziniane, di sinistra, pensavano che si dovesse distribuire la ricchezza. Da un lato
si pensa che possa diventare una reazione scomposta delle masse contadine, dall'altro che possa
avvenire una trasformazione sociale oltre che politica. Questi sono piccoli riflessi che avvengono
anche ad Aci Trezza, dove si pensa che con una rivolta si può fare fuori Don Silvestro.

Mastro Turi Zuppiddu si dimenava sul ballatoio colla malabestia ed il patarasso in pugno, che
voleva far sangue, e non l’avrebbero trattenuto nemmen colle catene. La bile andava gonfiandosi da
un uscio all’altro come le onde del mare in burrasca.

 C'è sempre un paragone tratto dalla mentalità del paese, e noi il mare lo abbiamo visto evocato
e in azione nel romanzo.
Don Franco si fregava le mani, col cappellaccio in capo, e diceva che il popolo levava la testa; e
come vedeva passare don Michele, colla pistola appesa sulla pancia, gli rideva sul naso.

 Colla pistola appesa alla pancia = ritornello di Don Michele.

Anche gli uomini, a poco a poco si erano lasciati riscaldare dalle loro donne, e si cercavano l’un
l’altro per mettersi in collera;

 Sono le donne che istigano.

e perdevano la giornata a stare in piazza colle mani sotto le ascelle, e la bocca aperta, ad ascoltare il
farmacista il quale predicava sottovoce, perché non udisse sua moglie ch’era di sopra, di fare la
rivoluzione, se non erano minchioni, e non badare al dazio del sale o al dazio della pece, ma casa
nuova bisognava fare, e il popolo aveva ad essere re.

 Che si voleva fare la rivoluzione lo si dice sottovoce non per non farsi sentire dal sindaco ma
dalla moglie (sudditanza alla moglie).

Invece certuni torcevano il muso e gli voltavano le spalle, dicendo: – Il re vuol essere lui. Lo
speziale è di quelli della rivoluzione, per affamare la povera gente!

 Le opinioni di Don Franco non sono considerate sincere politicamente.

E se ne andavano piuttosto all’osteria della Santuzza, dove c’era buon vino che scaldava la testa, e
compare Cinghialenta e Rocco Spatu facevano per dieci. Ora che si ricominciava la canzone delle
tasse si sarebbe parlato nuovamente di quella del pelo, come la chiamavano la tassa sulle bestie da
soma, e di aumentare il dazio sul vino.

 Tassa sul pelo = tassa sul bestiame.

– Santo diavolone! stavolta andava a finir male, per la madonna! Il vino buono faceva vociare, e il
vociare metteva sete, intanto che non avevano ancora aumentato il dazio sul vino; e quelli che
avevano bevuto levavano i pugni in aria, colle maniche della camicia rimboccate, e se la
prendevano persin colle mosche che volavano.

 Santo diavolone = battuta anonima, in discorso diretto o indiretto? La possiamo attribuire a


Rocco Spatu o Cinghialenta, che abbiamo già incontrato. Forse è uno di loro che si lamenta.
Persino le battute in discorso diretto non sono attribuite, per non contare quelle in discorso
indiretto libero. Andava a finir male = tipico dell'indiretto libero. Il trattino che usa Verga crea
ambiguità, non ci fa capire se siamo in indiretto o diretto perché entrambi possono essere
introdotti da trattino.
 Maniche delle camicie rimboccate = i personaggi si accendono, si preparano a qualcosa, e lo
vediamo con i gesti.

– Questa è come una festa per la Santuzza! dicevano.

 Lo dice uno, non tutti, ma viene attribuito a una voce generale, una vox populi.

Il figlio della Locca, il quale non aveva denari per bere, gridava lì fuori dell’uscio che voleva farsi
ammazzare piuttosto, ora che lo zio Crocifisso non lo voleva più nemmeno a mezza paga, per quel
suo fratello Menico che s’era annegato coi lupini.
 Lo zio Crocifisso non è solidale con i suoi familiari.

Vanni Pizzuto aveva anche chiuso la bottega, perché nessuno andava più a farsi radere, e portava il
rasoio in tasca, e vomitava improperi da lontano, e sputava addosso a coloro che se ne andavano pei
fatti loro, coi remi in collo, stringendosi nelle spalle.
– Quelli sono carogne, che non gli importa un corno della patria! sbraitava don Franco, tirando il
fumo dalla pipa come se volesse mangiarsela. Gente che non muoverebbe un dito pel suo paese. –
Tu lasciali dire! diceva padron ‘Ntoni a suo nipote, il quale voleva rompere il remo sulla testa a chi
gli dava della carogna; colle loro chiacchiere non ci danno pane, né ci levano un soldo di debito
dalle spalle.

 Non abbiamo scoperto subito chi aveva il remo sulle spalle: viene rimandato il momento. Poi
però scopriamo che era 'Ntoni.

Lo zio Crocifisso, il quale era di quelli che badano ai fatti propri, e quando gli cavavano sangue
colle tasse si masticava la sua bile dentro di sé, per paura di peggio, adesso non si faceva più vedere
in piazza, addossato al muro del campanile, ma stava rintanato in casa, al buio, a recitare paternostri
e avemarie per digerire la collera contro quelli che strillavano, ed era gente che voleva mettere a
sacco e a fuoco il paese, e andare a svaligiare chi ci aveva quattro soldi in casa.
 Lo zio Crocifisso teme che se fanno la rivoluzione possono andare a casa sua a distribuire le
ricchezze al popolo.

– Lui ha ragione, dicevano in paese, perché dei soldi deve averne a palate.
– Ora ci ha pure le cinquecento lire dei lupini che gli ha dato Piedipapera!
 Lire dei lupini = quelle del falso accordo.

Ma la Vespa, la quale aveva tutta la sua roba al sole, e non temeva che gliela rubassero,

 La chiusa non può essere rubata, è all’aria aperta, dunque la Vespa è tranquilla.

andava gridando per lui, colle mani in aria, nera come un tizzone, e coi capelli al vento, che suo zio
se lo mangiavano vivo ogni sei mesi, colla fondiaria, e voleva cavargli gli occhi colle sue mani
all’esattore, se tornava da suo zio.

●Fondiaria = tassa sui beni immobili, una sorta di patrimoniale che a quanto pare si pagava ogni sei
mesi.

– Adesso ella ronzava continuamente da comare Grazia, dalla cugina Anna e dalla Mangiacarrubbe,
ora con un pretesto ed ora con un altro, per vedere come se la intendessero compare Alfio colla
Sant’Agata, ed avrebbe voluto annichilire la Sant’Agata con tutti i Malavoglia;

●Andava dalle vicine di casa di Alfio e Sant'Agata, che abbiamo già visto parlare nel vicolo.

perciò andava dicendo che non era vero che Piedipapera avesse comprato il credito dei lupini,
perché Piedipapera non le aveva mai possedute cinquecento lire, e i Malavoglia avevano sempre sul
collo i piedi di suo zio Crocifisso, il quale poteva schiacciarli come formiche, tanto era ricco, ed ella
aveva avuto torto a dirgli di no, pei begli occhi di uno il quale non ci aveva che un carro da asino,
mentre lo zio Crocifisso le voleva bene come alla pupilla degli occhi suoi, sebbene in quel momento
non volesse aprirle l’uscio, per timore che gli entrassero in casa a fare sacco e fuoco.

Ci viene rivelato un particolare che poi avrà senso nel seguito del romanzo: la Vespa corteggia lo zio
Crocifisso e compare Alfio – se lo zio Crocifisso non la sposa poi si può sposare con compare Alfio
e questo creerà rivalità perché lo zio Crocifisso non vuole sposare la Vespa ma non vuole che lei si
sposi perché significherebbe perdere la chiusa, che andrebbe al marito. Sono intrighi che si collegano
tra di loro. La Vespa pare ingelosita perché Alfio corteggia Mena e quindi va a controllare.
Chi ci aveva da perdere qualcosa, come padron Cipolla o massaro Filippo l’ortolano, stava tappato
in casa, con tanto di catenaccio, e non metteva fuori nemmeno il naso; per questo Brasi Cipolla si
era buscato un potente ceffone da suo padre, quando l’aveva trovato sulla porta del cortile a
guardare in piazza come un baccalà.

 Le persone che hanno qualcosa da perdere si chiudono in casa.


 Come un baccalà = paragone che rispetta il mondo dei pescatori.

I pesci grossi stavano sott’acqua durante la maretta, e non si facevano vedere, anche quelli che
erano teste di pesce, e lasciavano il sindaco col naso in aria a cercare la foglia.

●Abbiamo altri modi di dire tipici dei pescatori. Baco da seta = cerca la foglia – il sindaco non sa che
pesci prendere, avrebbe bisogni di consultare i pezzi grossi che però stanno chiusi, lui non sa come
gestire il popolo che aspira alla rivolta.

– Non lo vedete che si servono di voi come di un burattino? gli diceva sua figlia Betta coi pugni sui
fianchi.

 La figlia fa la forte, lo mette in riga come invece per altri fa la moglie.

Ora che vi hanno messo nell’impiccio vi voltano le spalle, e vi lasciano solo a sgambettare nel
pantano; ecco quel che vuol dire farsi menare pel naso da quell’imbroglione di don Silvestro. – Io
non mi lascio menar per il naso da nessuno! saltava su Baco da seta. Il sindaco lo faccio io, e non
don Silvestro. Don Silvestro diceva invece che il sindaco lo faceva sua figlia Betta, e mastro Croce
Callà portava i calzoni per isbaglio. Così, fra tutt’e due, il povero Baco da seta stava fra l’incudine e
il martello.

 Il Baco da seta è un po' come don Abbondio.

Adesso poi che era venuta la burrasca, e tutti lo lasciavano a strigliare quella mala bestia della folla,
non sapeva più da che parte voltarsi. – A voi cosa ve ne importa? gli gridava Betta. Fate anche voi
come fanno gli altri; e se non vogliono il dazio della pece, don Silvestro ci penserà lui a trovare
qualche altra cosa.

 Si capisce che il dazio sulla pece era idea di Don Silvestro.


Don Silvestro, invece, era più fermo; andare attorno, con quella faccia tosta; e Rocco Spatu e
Cinghialenta, come lo vedevano, rientravano in fretta nell’osteria per non fare uno sproposito, e
Vanni Pizzuto bestemmiava forte toccando il rasoio dentro la tasca dei calzoni.
Don Silvestro, senza badarci, andava a far quattro chiacchiere collo zio Santoro, e gli metteva due
centesimi nella mano.

●Parlare con lo zio Santoro significava sapere cosa succedeva in paese. Qui vediamo che fa la spia,
che pare vederci.

– Sia lodato Dio! esclamava il cieco, questo è don Silvestro il segretario, ché nessun’altri di tutti
quelli che vengono qui a gridare e a pestare i pugni sulle panche fa un centesimo di limosina per le
anime del Purgatorio, e vengono a dire che vogliono ammazzarli tutti, il sindaco e il segretario;
l’hanno detto Vanni Pizzuto, Rocco Spatu, e compare Cinghialenta. Vanni Pizzuto s’è messo ad
andare senza scarpe, per non essere conosciuto; ma io lo riconosco egualmente, che striscia sempre
i piedi per terra, e fa levar la polvere come quando passano le pecore.
– A voi che ve ne importa? gli diceva sua figlia, appena don Silvestro se ne andava. Questi non
sono affari nostri. L’osteria è come un porto di mare, chi va e chi viene, e bisogna essere amici con
tutti, e fedeli con nessuno; per questo l’anima l’abbiamo ciascuno la sua, e ognuno deve badare ai
suoi interessi, e non fare giudizi temerari contro il prossimo. Compare Cinghialenta e Spatu
spendono del denaro in casa nostra. Non dico di Pizzuto che vende l’erbabianca e cerca di levarci
gli avventori.

●Erbabianca = il liquorino che vende Pizzuto e così diventa rivale della Santuzza.

Don Silvestro poi andava a fermarsi dallo speziale, il quale gli piantava la barba in faccia, e gli
diceva che era tempo di finirla, e buttar tutto a gambe in aria, e far casa nuova. – Volete
scommettere che questa volta va a finir male? ribatteva don Silvestro, mettendo due dita nel
taschino del farsetto per cavar fuori il dodici tarì nuovo. Non c’è tasse che bastano, e un giorno o
l’altro bisognerà finirla davvero. S’ha a mutar registro con Baco da seta che si lascia metter la
gonnella dalla figlia, e il sindaco lo fa lei; – a massaro Filippo poi non gliene importava un cavolo, e
padron Cipolla, aveva la superbia di non voler fare il sindaco neanche se l’accoppavano.
– Tutti una manica di borbonici della consorteria; dei minchioni che oggi dicono bianco e domani
nero, e l’ultimo che parla ha ragione lui. La gente fa bene a strillare con questo governo che ci
succhia il sangue peggio di una mignatta; ma i denari devono venir fuori per amore o per forza. Qui
ci vorrebbe un sindaco di testa e liberale come voi.

 Parla Don Silvestro che fa delle avance a Don Franco, gli propone di fare il sindaco, “sindaco
di testa” perché ha studiato, inoltre è liberale. Don Franco accende la miccia, per cui Don
Silvestro potrebbe calmare le acque.
Lo speziale allora cominciava a dire quel che avrebbe fatto lui, e come aggiustava ogni cosa; e don
Silvestro stava ad ascoltarlo zitto ed intento che pareva fosse alla predica. Bisognava pensare anche
a rinnovare il consiglio; padron ‘Ntoni non ce lo volevano, perché egli aveva la testa stramba, ed era
stato causa della morte di suo figlio Bastianazzo,

 Il paese scrive e interpreta ciò che è successo.

– un uomo di giudizio colui, se fosse stato vivo! –

 Forse si poteva fare Bastianazzo segretario comunale, se fosse stato vivo.

poi in quell’affare dei lupini aveva fatto mettere la mano nel debito a sua nuora, e l’aveva lasciata in
camicia. Se gli interessi del comune li faceva a quel modo!… Ma intanto se la Signora si affacciava
alla finestra, don Franco cambiava discorso, e gridava: – Bel tempo, eh? – ammiccando di nascosto
a don Silvestro, per fargli capire quel che ci aveva nello stomaco da dire. – Andate a fidarvi di quel
che vuol fare uno che ha paura della moglie! pensava fra di sé don Silvestro.

 Mentre il sindaco ha paura della figlia, Don Franco della moglie.

– Padron ‘Ntoni era di quelli che si stringevano nelle spalle e se ne andavano coi remi in collo; e al
nipote, il quale avrebbe voluto correre in piazza anche lui, a vedere quel che si faceva, gli andava
ripetendo: – Tu bada ai fatti tuoi, ché tutti costoro gridano ognuno pel suo interesse, e l’affare più
grosso per noi è quello del debito.
Anche compare Mosca era di quelli che badavano ai fatti propri,

Tramite l'associazione si passa da un personaggio ad un altro: tramite chi pensa agli affari propri
(prima avevano il remo in spalle 'Ntoni è Padron 'Ntoni, che ha invitato il nipote a farsi i fatti propri)
si passa da un personaggio ad un altro.

e se ne andava tranquillamente, insieme al suo carro, in mezzo alla gente che gridava coi pugni in
aria. – A voi non ve ne importa se mettono la tassa del pelo? gli domandava Mena, come lo vedeva
arrivare coll’asino tutto ansante e colle orecchie basse.
– Sì che me ne importa, ma bisogna camminare per pagarla, la tassa; se no si pigliano il pelo con
tutto l’asino, e il carro pure.

 È il buon contadino, che lavora per cercare di pagare le nuove tasse, non si lamenta. L'animale
ha le orecchie basse perché ha lavorato tanto.
– Dice che vogliono ammazzarli tutti, Gesummaria! Il nonno ha raccomandato di tenere la porta
chiusa, e non aprire se non tornan loro. Voi andrete ancora via domani? – Io andrò a prendere un
carico di calce per mastro Croce Callà! – O cosa ci andate a fare? non lo sapete che è il sindaco, e vi
ammazzeranno anche voi? – Egli dice che non gliene importa a lui; che fa il muratore, e deve
allestire quel muro della vigna per conto di massaro Filippo, e se non vogliono il dazio della pece,
don Silvestro ci penserà lui a qualche altra cosa.

Muratore non è solo il mestiere di mastro Croce Callà, ma è anche il mestiere di un personaggio di
un altro romanzo, ovvero Mastro-Don Gesualdo – più che lui lo era suo padre. Non è tale ad Aci
Trezza ma a Vizzini, ed è non solo muratore ma piccolo muratore-edile, fa parte del ceto emergente,
non ripara barche ma ripara case, sebbene piccole case di paese.

– Ve l’aveva detto io ch’è tutta roba di don Silvestro! sclamava la Zuppidda la quale era sempre lì, a
soffiare nel fuoco colla conocchia in mano.

 Gira con la conocchia in mano, quasi volesse più girare che lavorare.

È roba di ladri e di gente che non ha nulla da perdere, e non paga nulla col dazio della pece, perché
non ha mai avuto nemmeno un pezzo di tavola in mare. – La colpa è di don Silvestro, seguitava
poscia a sbraitare di qua e di là, per tutto il paese, e di quell’imbroglione di Piedipapera, il quale non
ha barche, e vive alle spalle del prossimo, tiene il sacco a questo e a quello.

 Tiene il sacco = è complice. Lui è complice dello zio Crocifisso e anche la zuppidda ha
acquisito l'informazione della Vespa secondo cui quella dell'acquisizione del debito è una
falsa acquisizione, una farsa.

– Volete saperne una? Non è vero niente che ha comprato il credito dello zio Crocifisso! È tutta una
finzione fra lui e Campana di legno, per spogliare quei poveretti. Piedipapera non li ha mai visti
cogli occhi cinquecento lire!

 Sembra una teoria convincente.

Don Silvestro, per sentire quello che dicevasi di lui, andava spesso a comprare qualche sigaro
all’osteria, e allora Rocco Spatu, e Vanni Pizzuto, uscivano fuori bestemmiando; o si fermava a
chiacchierare collo zio Santoro, tornando dalla vigna, e così venne a sapere tutta la storia della finta
compera di Piedipapera; ma lui era «cristiano» con uno stomaco fondo come un pozzo, e metteva
tutto là dentro.

 Metteva tutto in uno stomaco fondo come un pozzo = non parla, nasconde tutto.

Egli sapeva il fatto suo, e come Betta l’accoglieva colla bocca spalancata peggio di un cane
arrabbiato, e mastro Croce Callà s’era lasciato scappare il detto che a lui non gliene importava,
rispose: – Volete scommettere che ora vi pianto? – e non si fece più vedere in casa del sindaco; così
ci avrebbero pensato loro a cavarsi d’impiccio, e la Betta non avrebbe potuto più dirgli sul
mostaccio che voleva rovinare suo padre Callà, e i suoi consigli erano quelli di Giuda, che aveva
venduto Cristo per trenta denari, e così egli voleva riescire a buttar giù il sindaco pei suoi fini, e fare
il gallo in paese.

●C'è la voce di Betta.

Sicché la domenica in cui doveva radunarsi il consiglio, don Silvestro, dopo la santa messa, andò a
ficcarsi nello stanzone del municipio, dove c’era prima il posto della Guardia Nazionale, e si mise
tranquillamente a temperare le penne, davanti alla tavola d’abete, per ingannare il tempo, mentre la
Zuppidda e le altre comari vociferavano nella strada, filando al sole, e volevano strappare gli occhi
a tutti loro.

●C'era ancora il calamaio.


Nel paese si diffonde la voce, grazie a chi origlia, a chi sa, dell'affare del debito. Chi non sa è proprio
Padron 'Ntoni, e continua a non sapere e a pensare di dover pagare a Piedipapera il debito dei lupini.
La Zuppidda dice davanti a Mena queste cose: è risaputo. Non sanno quanto la notizia sia credibile,
lo è fino ad un certo punto; apprendiamo però che padron 'Ntoni ha qualche ingenuità, che il paese
sottolinea: ha fatto morire il figlio e ha fatto mettere la mano alla nuora per la casa, un gesto da alcuni
ritenuto non necessario.

Lezione 13 aprile
In seguito all'ipotesi di mettere la tassa sulla pece vediamo cosa ne pensa il paese. Le forme di
tassazione causano un clima di tensione a partire dalle donne, e a seguire da parte degli uomini, tra i
quali i frequentatori dell'osteria che valgono per 10 (Rocco Spatu e Compare Cinghialenta), Vanni
Pizzuto si aggira con il rasoio in tasca.

Tasche = chi non fa nulla sta con le mani nelle tasche, e anche chi sfrutta il lavoro degli altri (lo
abbiamo visto per lo zio Crocifisso). Qui Vanni Pizzuto non ha clienti a cui fare la barba perché quelli
più benestanti – che magari si fanno la barba tutti i giorni – sono nascosti e quindi nelle tasche mette
il rasoio, come se non lo dovesse usare per radere la barba ma magari usarlo come arma contro
qualcuno.

Siamo arrivati alla parte in cui la domenica, in cui doveva riunirsi il consiglio, Don Silvestro si era
nascosto in una stanza del comune.

Baco da seta, come corsero a chiamarlo dal muro della vigna di massaro Filippo, s’infilò il
giubbone nuovo, si lavò le mani, si spolverò dalla calce, ma non volle muoversi se prima non gli
chiamavano don Silvestro.
Betta aveva un bel sgridarlo, e spingerlo per le spalle fuori dell’uscio, dicendogli che chi l’aveva
preparata la minestra l’avrebbe mangiata, e lui doveva lasciar fare agli altri, purché lo lasciassero
star sindaco. Stavolta mastro Callà aveva visto quella folla davanti al municipio, colle conocchie in
mano, e puntava i piedi in terra, restio peggio di un mulo.

 Conocchie in mano = è la folla delle donne che protesta davanti al municipio.

– Non ci vado se non viene don Silvestro! ripeteva cogli occhi fuori della testa; – don Silvestro lo sa
trovare, un ripiego.
– Il ripiego ve lo trovo io, – rispondeva Betta. – Non lo vogliono il dazio sulla pece? E voi lasciatelo
stare.
– Brava! e i denari di dove si prendono?
– Di dove si prendono? Fateli pagare a chi ne ha, allo zio Crocifisso, a mo’ d’esempio, o a padron
Cipolla, o a Peppi Naso.

Sono i ricchi del paese: per assecondare la folla l'unico modo è far pagare i ricchi, far diventare il
sindaco un socialista. Ma mastro Callà non può farlo, sono i ricchi quelli che lo hanno fatto sindaco.
Lui è un Giufà, è prestanome di chi il sindaco non vuole farlo.

– Brava! se sono loro i consiglieri! – Allora mandateli via e chiamatene degli altri; già non saranno
loro che vi faranno restare sindaco quando tutti gli altri non vi vorranno più. Voi dovete far contenti
quelli che sono in maggior numero.
– Ecco come discorrono le donne! Quasi fossero quelli che mi tengono su! Tu non sai nulla. Il
sindaco lo fanno i consiglieri, e i consiglieri non possono essere che quelli e non altri. Chi vuoi che
facciano? i pezzenti di mezzo alla strada?
– Allora lasciate stare i consiglieri e mandate via il segretario, quell’imbroglione di don Silvestro.
– Brava, e chi lo fa il segretario? chi lo sa fare? Tu o io, o padron Cipolla? sebbene sputi sentenze
peggio di un filosofo!
Allora la Betta non seppe più che dire, e si sfogò a scaricare ogni sorta d’improperi alle spalle di
don Silvestro, ch’era il padrone del paese, e se li teneva tutti in tasca.

Il quadro politico del paese è bloccato, il segretario deve restare al suo posto perché è l'unico in grado
di svolgere quel compito, i consiglieri non possono che essere quelli, il sindaco è un prestanome.

– Brava, soggiunse Baco da seta. Ecco, se non c’è lui io non so cosa dire. Vorrei vederci te nei miei
panni! Finalmente arrivò don Silvestro, colla faccia più dura del muro, le mani dietro la schiena, e
zufolando un’arietta.

●Finge sicurezza canticchiando.

– Eh, non vi perdete d’animo, mastro Croce, che non casca il mondo per questa volta! – Mastro
Croce da don Silvestro si lasciò menar via e metter alla tavola d’abete del consiglio, col calamaio
davanti; ma dei consiglieri non c’erano altri che Peppi Naso il macellaio, tutto unto e colla faccia
rossa, che non aveva paura di nessuno al mondo, e compare Tino Piedipapera.

●Il macellaio non ha paura di nulla, sa usare i coltelli.

– Quello lì non ha nulla da perdere! vociava dall’uscio la Zuppidda, e ci viene per succhiare il
sangue alla povera gente, peggio di una sanguisuga, perché vive alle spalle del prossimo, e tiene il
sacco a questo e a quello per fare le birbonate! Razza di ladri e di assassini!

●Abbiamo già visto Piedipapera che tiene nel sacco lo zio Crocifisso.

Piedipapera, sebbene volesse far l’indifferente, pel decoro della carica, finì col perdere la pazienza,
e si rizzò sulla gamba storta, gridando a mastro Cirino, l’inserviente comunale, il quale era
incaricato del buon ordine, e per questo ci aveva il berretto col rosso quando non faceva il
sagrestano:

 Piedipapera → ha la gamba storta.


 Mastro Cirillo è anche sagrestano, oltre che inserviente comunale.

– Fatemi tacere quella linguaccia là.


– Eh, a voi vi piacerebbe che nessuno parlasse, eh! compare Tino?
– Come se tutti non lo sapessero il mestiere che fate, che poi chiudete gli occhi quando ‘Ntoni di
padron ‘Ntoni viene a parlare con vostra figlia Barbara.

 Abbiamo cominciato a conoscere i personaggi, sappiamo cosa diranno in una certa situazione.
Qui Verga non ci dice chi parla.

– Gli occhi li chiudete voi, becco che siete! quando vostra moglie fa il comodino alla Vespa, la
quale viene tutti i giorni a mettersi sulla vostra porta per cercare Alfio Mosca, e voi altri tenete il
candeliere.

 È come se dicesse che la moglie fa la ruffiana.


 Tenete il candeliere = sarebbe reggere la candela, fare il moccolo. Le coppie non si potevano
vedere in pubblico, quindi c'era sempre un terzo.

Bel mestiere! Ma compare Alfio non vuol saperne, ve lo dico io; ci ha pel capo Mena di padron
‘Ntoni, e voi altri ci perdete l’olio della lucerna, se la Vespa ve l’ha promesso.

 La metafora del reggere il moccolo continua.

– Ora vengo a romperti le corna! minacciò Piedipapera, e cominciò ad arrancare dietro la tavola
d’abete.
 Piedipapera vuole correre, ma ha la gamba storta → questo rende comica la vicenda.

– Oggi va a finir male! borbottava mastro Croce Giufà.


– Ohè! ohè! che maniere son queste, vi par d’essere in piazza! urlava don Silvestro.
– Volete scommettere che vi caccio fuori tutti a calci? Ora l’aggiusto io questa faccenda.
La Zuppidda non voleva sentirne affatto d’aggiustarla, e si dibatteva contro don Silvestro il quale la
spingeva fuori tirandola pei capelli, e poi se la menò in disparte dietro il rastrello della chiusa.
– Infine che volete? le disse come furono soli, a voi che ve ne importa se mettono il dazio sulla
pece? forse che lo pagate voi o vostro marito? o non devono pagarlo piuttosto quelli che hanno
bisogno di far accomodare le loro barche? Sentite a me: vostro marito è una bestia ad essere in
collera col municipio, e a far tutto questo chiasso. Ora si devono fare gli assessori nuovi, in cambio
di padron Cipolla o di massaro Mariano,

 Massaro Mariano è più benestante di compare Alfio. Evidentemente è assessore. Don


Silvestro cerca di comprare il consenso della Zuppidda.
La politica in queste realtà di paese meridionale funziona con piccole forme di consenso. La più
infervorata è la Zuppidda, parla davanti al consiglio: viene lei chiamata in disparte e la si "compra"
per sottrarla dal controllo delle masse.

che non valgono niente, e si potrebbe metterci vostro marito.


– Io non ne so nulla, rispose la Zuppidda, calmatasi tutt’a un tratto.
– Io non me ne immischio negli affari di mio marito. So che si mangia le mani dalla collera. Io non
posso far altro che andare a dirglielo, se la cosa è certa.

●La Zuppidda vuole garanzia.

– Andate a dirglielo, è certo come è certo Dio, vi dico! Siamo galantuomini o no? santissimo
diavolo!

●Quest'ultima battuta sembra quasi una bestemmia.

La Zuppidda partì correndo a prendere suo marito, il quale stava rincantucciato nel cortile a cardar
stoppa, pallido come un morto, e non voleva escire per tutto l’oro del mondo, gridando che gli
facevano fare qualche sproposito, santo Dio!
Per aprire il sinedrio,

●Sinedrio = riunione religiosa ebraica, qui presa in giro, con uso ironico perché diventa il consiglio
comunale.

e vedere che pesci si pigliavano, ci mancava ancora padron Fortunato Cipolla, e massaro Filippo
l’ortolano, i quali non spuntavano mai,

●Non c'è il numero legale per aprire il consiglio.

sicché la gente incominciava ad annoiarsi, tanto che le comari s’erano messe a filare lungo il
muricciuolo della chiusa. Infine mandarono a dire che non venivano perché avevano da fare; e il
dazio, se volevano, avrebbero potuto metterlo senza di loro.
– Il discorso di mia figlia Betta tale e quale! brontolava mastro Croce Giufà.
– Allora fatevi aiutare da vostra figlia Betta! esclamò don Silvestro. Baco da seta non fiatò più e
continuò a masticarsi fra i denti il suo brontolio. – Ora, disse don Silvestro, vedrete che i Zuppiddi
verranno loro stessi a dire che mi danno la Barbara, ma voglio farmi pregare, io.

●Don Silvestro ha una strategia doppia: minaccia il dazio e promette di rendere mastro Turi Calafà
assessore, ma forse c'è anche qualche altra richiesta – vuole la Barbara.

La seduta fu sciolta senza concludere nulla. Il segretario voleva un po’ di tempo per prender lume;
in questo mentre era suonato mezzogiorno e le comari se n’erano andate leste leste. Le poche che
erano rimaste, come videro mastro Cirino chiudere la porta e mettersi la chiave in tasca, se ne
andarono anch’esse pei fatti loro di qua e di là, chiacchierando degli improperii che s’erano detti
Piedipapera e la Zuppidda.

Il chiacchiericcio ci permette di collegarci con la parte successiva. Eravamo a mezzogiorno, ora c'è
un salto temporale e si arriva alla sera – generalmente passiamo la notte, qui invece la lacuna è del
pomeriggio.
La sera ‘Ntoni di padron ‘Ntoni

●Non è 'Ntoni di Bastianazzo ma di Padron 'Ntoni, che è chi comanda e comandava nella loro
famiglia.

seppe quelle chiacchiere, e sacramento! voleva fargli vedere che era stato soldato, a Piedipapera!

●Padron 'Ntoni ha saputo quello che la Zuppidda ha messo in giro, ovvero che il debito non è di
Piedipapera ma è ancora dello zio Crocifisso.

Lo incontrò giusto che veniva dalla sciara, vicino alla casa dei Zuppiddi, con quel suo piede del
diavolo, e cominciò a dirgli il fatto suo, che era una carogna, e si guardasse bene dal dir male dei
Zuppiddi e di quel che facevano, che lui non ci aveva nulla a vedere. Piedipapera non aveva la
lingua in tasca.

 Sciara = terreno lavico.


 'Ntoni difende gli Zuppiddi, lui aspira a Barbara (in indiretto libero).

– O che ti pare che sei venuto da lontano a fare lo spaccamontagne, qui?


– Son venuto a rompervi le corna, se aggiungete altro.
– Alle grida la gente si era affacciata sugli usci, e si era radunata una gran folla; sicché si
azzuffarono perbene,

 Vincerebbe 'Ntoni, ma Piedipapera, che ha la gamba del diavolo, ne sa una più del diavolo e
per non combattere con 'Ntoni si butta a terra con lui per rotolare (come fanno i giocatori di
wrestling – ora non più chi ha le gambe più forti).

e Piedipapera, il quale ne sapeva più del diavolo, si lasciò cadere a terra tutto in un fascio con
‘Ntoni Malavoglia, che così non valevano a nulla le gambe buone, e si avvoltolarono nel fango,
picchiandosi e mordendosi come i cani di Peppi Naso,

 Come si mordono i cani di Peppi Naso? Lo sa chi vive nel paese, sono diventati proverbiali
ad Aci Trezza.

tanto che ‘Ntoni di padron ‘Ntoni dovette ficcarsi nel cortile dei Zuppiddi, perché aveva la camicia
tutta stracciata, e Piedipapera lo condussero a casa insanguinato come Lazzaro.
– Sta a vedere! strepitava ancora comare Venera, dopo che ebbero chiusa la porta sul naso ai vicini,
sta a vedere che in casa mia non sono padrona di fare quello che mi pare e piace. Mia figlia la do a
chi vogl’io.
La ragazza, tutta rossa, s’era rifugiata in casa, col cuore che gli batteva come un pulcino.
– Ti ha mezzo strappata quest’orecchia! diceva compare Turi versando adagio adagio dell’acqua
sulla testa di ‘Ntoni. Morde peggio di un cane corso, compare Tino!
‘Ntoni aveva ancora il sangue agli occhi, e voleva fare un precipizio.

 Fare un precipizio = fare gran casino.

– Sentite, comare Venera, disse allora davanti a tutto il mondo, per me se non mi piglio vostra figlia
non mi marito più.

 Disse davanti a tutto il mondo = è un francesismo (tout le monde).

– E la ragazza sentiva dalla camera. – Questi non son discorsi da farsi ora, compare ‘Ntoni; ma se
vostro nonno dice di sì, io per me non vi cambio per Vittorio Emanuele.
– Compare Zuppiddu intanto stava zitto e gli dava un pezzo di salvietta per asciugarsi; dimodoché
‘Ntoni quella sera se ne andò a casa tutto contento. Ma i poveri Malavoglia, come avevano saputo
della sua rissa con Piedipapera, si aspettavano di momento in momento l’usciere che venisse a
scacciarli dalla casa,

 I Malavoglia temono che arrivi l'usciere perché Piedipapera, incavolato con 'Ntoni, potrebbe
mandare l'usciere per ripicca.

giacché Pasqua era lì vicina, e dei denari del debito, a gran stento, ne avevano raccolto appena una
metà.

 Ci giunge una notizia importante di soppiatto: del debito che dovevano pagare ad Aprile
non hanno raccolto quanto dovevano. Succede ancora una volta: nel capitolo ci dimentichiamo
della questione importante, ma essa compare all'inizio o alla fine del capitolo. Qui dall'inizio
si è parlato di altro, e ora arriva la notizia importante.

– Vedi quel che vuol dire bazzicare dove ci son ragazze da marito! diceva a ‘Ntoni la Longa. Ora
tutta la gente parla dei fatti vostri. E mi dispiace per la Barbara.

 Inizia a diffondersi la notizia del fidanzamento. E mi dispiace per la Barbara = perché se poi
non si sposano la Barbara, già donna alla finestra, lo sarà ancora di più.

– Ed io me la piglio! disse allora ‘Ntoni.


– Te la pigli? esclamò il nonno. – Ed io chi sono? e tua madre non conta per nulla? Quando tuo
padre prese moglie, ed è quella che vedi là, me lo fece dire a me prima. Allora viveva tua nonna, e
venne a parlarmene nell’orto, sotto il fico. Ora non si usano più queste cose, e i vecchi non servono
a nulla. Un tempo si soleva dire «ascolta i vecchi e non la sbagli». Prima deve maritarsi tua sorella
Mena; lo sai questo?
– Maledetta la mia sorte! cominciò a gridare ‘Ntoni strappandosi i capelli e pestando i piedi. Tutto il
giorno a lavorare! all’osteria non ci vado! e in tasca non ho mai un soldo! Ora che mi son trovata la
ragazza che mi ci vuole, non posso prenderla. Perché son tornato dunque da soldato?
– Senti! gli disse il nonno rizzandosi su a stento pei dolori che gli mangiavano la schiena. – Va a
dormire che è meglio. Questi discorsi non dovresti farceli mai davanti a tua madre!
– Mio fratello Luca sta meglio di me a fare il soldato! brontolò ‘Ntoni nell’andarsene.

La vita da soldato di 'Ntoni forse era anche meglio di quella che faceva ad Aci Trezza. Qui ha buon
motivo di lamentarsi, e dice che sarebbe stato meglio fare il soldato. Tuttavia, questa battuta, letta
con il senno di poi – di chi sa che Luca morirà soldato – non è positiva. Appena scoppia il 1866, con
la guerra di indipendenza, Luca finisce coinvolto nella battaglia di Lissa, battaglia navale, e muore
soldato.
CAPITOLO 8
Luca, poveretto, non ci stava né meglio né peggio;

È come se il narratore rispondesse esplicitamente a quanto detto da 'Ntoni. Comincia qui il racconto
che riguarda Luca, e questo ci conferma come Verga gestisce i passaggi di scena: il narratore dialoga
con il personaggio che ha appena parlato e ha pensato al personaggio nominato, per cui ci narra di
quest'ultimo.

faceva il suo dovere laggiù, come l’aveva fatto a casa sua, e si contentava. Non scriveva spesso, è
vero – i francobolli costavano venti centesimi – né aveva ancora mandato il ritratto, perché da
ragazzo lo canzonavano che aveva le orecchie d’asino; e invece di tanto in tanto metteva nella
lettera qualche biglietto da cinque lire, che trovava modo di buscarsi servendo gli ufficiali.

Questo piccolo brano ci fa capire la differenza tra 'Ntoni e Luca, il quale riesce persino a guadagnare
qualcosa: è lui che spedisce i soldi, non la famiglia che li spedisce a lui.

Il nonno aveva detto: «Prima deve maritarsi la Mena».

Perché prima deve maritarsi la Mena? Perché a lei serve la dote, per cui serve la risorsa economica,
che per i Malavoglia sono le loro stesse braccia. Se 'Ntoni ha da crescere la sua famiglia, non può
aiutare a pagare i debito e a procurare la dote alla sorella.
Le donne si sposano prima degli uomini nel mondo contadino. Alla fine del romanzo si pone il
problema se Mena sarà ancora in età da marito, cosa che invece non avviene per gli uomini – prima
bisogna assicurare il futuro alla figlia.

Ancora non ne parlava, ma ci pensava sempre, e adesso che tenevano nel canterano qualcosuccia
per pagare il debito,

 Se si paga il debito non ci sarà più l'ipoteca della casa, per cui potrà portare in dote – come
aveva fatto Maruzza – la casa del Nespolo.

aveva fatto il conto che colla salatura delle acciughe si sarebbe pagato Piedipapera, e la casa restava
libera per la dote della nipote. Perciò erano stati qualche volta a chiacchierare sottovoce con padron
Fortunato, sulla riva, mentre aspettavano la paranza, o seduti al sole davanti la chiesa, quando non
c’era gente. Padron Fortunato non voleva far torto alla sua parola, se la ragazza aveva la dote, tanto
più che suo figlio Brasi gli dava sempre dei grattacapi, a correre dietro le ragazze che non avevano
nulla, come un baccalà che era.

 Brasi era stato definito bietolone, qui invece è un baccalà, che rimane a guardare a bocca
aperta le ragazze che non hanno dote. Dunque meglio maritarlo con la Mena piuttosto che con
quelle donne che non hanno dote.

– «L’uomo per la parola, e il bue per le corna», tornava a ripetere.

Nel mondo contadino la conoscenza delle bestie permettere di fare questi paragone. Padron Cipolla,
se Mena ha la dote, deve rispettare la parola data perché fa parte del suo capitale simbolico. Questo
ci consente di passare a Mena, che apprende le voci.

Il bilancio del romanzo


Siamo a metà del romanzo. Cos'è successo ci è chiaro, Padron 'Ntoni ha fatto un debito con lo zio
Crocifisso relativo al carico di lupini, che ha fatto naufragio. Ora i Malavoglia sono impegnati per
recuperare il debito. Prima devono lavorare da padroni, come ciurma, ora invece hanno di nuovo una
barca, si stanno risollevando, hanno recuperato metà debito e pensano che, con la salatura delle
acciughe, potrebbero farcela. Qui la situazione si sta riequilibrando.

Ma abbiamo anche un'impressione più complessiva del romanzo. Chi è il protagonista della prima
metà del romanzo? L'impressione è che c’è un protagonismo del paese, che abbiamo visto in scena
nel secondo e nel terzo capitolo – perfino quando c'è il funerale sentiamo parlare il paese, abbiamo
molte informazioni non sulla vicenda principale ama sulle trame del paese sui rapporti tra Zuppidda
e Santuzza, Zuppizza e Don Silvestro, su tutti i possibili intrecci matrimoniali che riguardano tanti
personaggi collaterali, a cui un altro scrittore non avrebbe prestato attenzione.

C’è un moto centrifugo al posto di moto centripeto (verso l’esterno piuttosto che verso
l’interno). non si concentra unicamente sulla vicenda principale, che emerge solo all’inizio o
alla fine del capitolo, come se lavorasse sottotraccia. È un romanzo che rispetto allo
svolgimento della trama, indugia parecchio, cioè fa perdere tempo. La vicenda principale
emerge alla fine, come lavorasse sottotraccia. Pellini dice che la maggior parte della
narrazione è occupata da divagazioni. Indugia parecchio, fa perdere tempo.

Le differenze tra il romanzo e il racconto


Umberto Eco riprendendo una tesi dei formalisti russi dice che il romanzo è caratterizzato
dall’indugio, rispetto al racconto, quest’ultimo deve arrivare, infatti, subito alla conclusione della
storia. La sua brevità fa si che la vicenda sia concentrata (è come lo sparo di un proiettile che mira
subito all’obiettivo). La trama del romanzo non è concentrata come quella del racconto, nel romanzo
si può divagare, sostare su argomenti, fare digressioni che non sono legate alla trama principale.
Ad esempio Manzoni si può fermare quando racconta di Fra Cristoforo e narrarci tutti gli episodi
della sua vita passata: sono divagazioni rispetto al “Renzo e Lucia si sposeranno?”. Si possono fare
ampie descrizioni nei romanzi, allargare il quadro. I romanzi tendono di più a descrivere l’ambiente,
a costruire un quadro, dentro il quale si muovono i personaggi, mentre dentro il racconto il quadro
viene lasciato sottinteso.
La novella ha pochi protagonisti – se il paese è protagonista abbiamo racconto sociologico, senza
trama. La trama con più personaggi si può fare con il romanzo, dove si possono intrecciare più
personaggi si possono intrecciare più trame, più vicende e infatti stiamo vedendo come la vicenda dei
Malavoglia si stia intrecciando con le vicende del paese.
Le storie, le questioni matrimoniali sono intrecciate tra di loro, se la Mena si sposa con il figlio di
padron Fortunato, Alfio potrebbe spostare lo sguardo sulla Vespa e allora a quel punto, zio Crocifisso
continuerebbe a non sposare la Mena? → intrigo per cui le storie sono tutte intrecciate, le divagazioni
servono dunque a creare un contesto che fa vedere come tutti i personaggi sono in relazione tra loro.
Lo stesso impoverimento dei Malavoglia fa sì che padron Cipolla sia in difficoltà.

Si può dunque parlare di romanzo d’ambiente: a Verga non interessa tanto la storia di ‘Ntoni e
padron ‘Ntoni, quanto descrivere come funziona l’ambiente contadino.
Noi acquistiamo l’impressione che il protagonista sia il paese, le loro chiacchiere, la mentalità e
l’antropologia/sociologia di questo paese. È un romanzo plurale, già dal titolo si comprende che
parlerà di più persone, di una famiglia. Non tutte le vicende del romanzo riguardano i Malavoglia,
ma il paese.

➔I personaggi dei Malavoglia in tutto sono all’incirca 42.


Se prendiamo i promessi sposi ci sono più di 42 personaggi, nel senso di personaggi nominati, ma nei
Promessi Sposi non si avverte la sensazione di una folla, di tanti personaggi, come si avverte
all’interno dei Malavoglia. Il romanzo ottocentesco tendenzialmente ha più personaggi dei
Malavoglia, eppure noi abbiamo l’impressione che quest’ultimo sia un romanzo con tantissimi
personaggi, perché i personaggi sono tutti sullo stesso piano.

➔ È tutta un’unica scena, in cui continuamente sono in scena tutti.

Siamo nel paese, noi non entriamo dentro le case. Nella casa dei Malavoglia siamo entrati soltanto
quando tutto il paese era lì per il funerale, e quindi la casa è diventata il paese; non siamo entrati in
chiesa, ma abbiamo solo accompagnato i personaggi fino alla chiesa; siamo invece entrati nell’osteria,
poiché entriamo nei luoghi pubblici, come anche nel vicolo, davanti la soglia delle case, dove le donne
mettevano le sedioline fuori, oppure davanti il ballatoio o alla finestra, ovvero nei luoghi dove si sta
più fuori che dentro. Gli spazi dei Malavoglia sono aperti, persino gli spazi femminili che solitamente
sono chiusi, il posto delle donne è solitamente chiuso all’interno delle case, come voleva il costume
dell’epoca, sono all’aperto.
➔Il privato c’è ma è pubblico, viene messo in piazza.
Ad esempio, noi non vediamo direttamente la storia di massaro Filippo e la Santuzza, non li vediamo
insieme, non entriamo in casa dove magari si saranno incontrati qualche volta, come suggeriscono la
Zuppidda e Piedipapera, eppure sappiamo che hanno un storia, la loro vita privata è stata messa in
pubblico, il pettegolezzo del paese trasforma tutto in qualcosa di pubblico, se c’è qualcosa di privato
lo intuiamo nel rapporto tra Mena e Alfio → qualcosa che potrebbe essere privato ma che è sempre
oggetto delle chiacchiere del paese. Lo abbiamo visto in questo capitolo: è la Zuppidda che ci dice
che Alfio preferisce Mena alla Vespa. Abbiamo delle notizie pubbliche e poi, Verga si ferma davanti
al privato; non entra dentro la mente dei personaggi, dei quali ci fa vedere i gesti, le azioni e le parole
dalle quali comprendiamo ed empatizziamo con i personaggi.

Ci sono delle eccezioni, in cui entra nella testa del personaggio, come quella di Mena in cui guarda
le stelle – eccezioni sottolineate dalla critica, che si è domandata se Verga riesca a mantenere la sua
idea sull’impersonalità o ci sono dei momenti in cui entra nella testa del personaggio. Ci entra quando
il personaggio si espone: ad esempio lo zio Crocifisso dice di essere un santo, non ci viene riferito
che lo pensa, potrebbe non pensarlo e dirlo lo stesso, quindi Verga non ci mostra il pensiero intimo
di Zio Crocifisso → è un personaggio religioso o fa il religioso?
Nei Malavoglia spesso i personaggi dicono cose che non pensano realmente, perché dire è anche
apparire, di presentarsi e rivendicare una propria identità che magari non corrisponde alla verità.
Piedipapera mente dicendo di essersi accollato il debito dei lupini; i personaggi recitano, a volte, una
parte.

➔Il lettore deve ricostruire la vera psicologia e personalità dei personaggi.


Verga attraverso i commenti e pettegolezzi ci dà vari punti di vista sui personaggi, ci mostra le loro
azioni, tutte cose che ci permettono di farci una nostra idea sui personaggi, perché lo vediamo. È un
romanzo di ciò che si vede, per questo non si entra nelle case, perché se non ci entrano gli altri, se il
paese non entra.
Il romanzo è visto dalla dimensione pubblica. Questa possibilità che ci permette di dire che il
protagonista a metà romanzo è l’intero paese è funzionale a questa voce pubblica, non c’è un narratore
ma solo delle voci, punti di vista, parole che si alternano e si possono sempre collegare a qualcuno,
anche di ignoto, che ha formulato quel giudizio e non quindi un pensiero espresso dal narratore.

➔È un romanzo che si ricollega anche al modo di vivere nei paesi un tempo, in cui si viveva,
si passava la maggior parte del tempo fuori; in casa si stava solo per dormire, anche perché le
case erano anguste, piccole e si viveva fuori, si stava in piazza.

Il personaggio principale: ‘Ntoni o Padron ‘Ntoni?


A proposito del romanzo ci siamo chiesti se il protagonismo appartiene a Padron Ntoni o Ntoni.
Il principale attore finora è Padron ‘Ntoni, perché è lui che compie le scelte, è il motore della trama:
è lui che ha deciso per l’affare dei lupini, che cerca di risollevarsi dal debito, decide che si deve
sposare prima Mena, mentre ‘Ntoni non ha particolare rilievo, è andato al militare e tornato un po’
facendo il gallo, ora non può sposarsi con Barbara come vorrebbe. ‘Ntoni non è ancora autonomo;
non è soddisfatto di lavorare al contrario di padron ‘Ntoni che dopo il lavoro è felice perché sente di
aver fatto ciò che doveva fare; mentre ‘Ntoni è più dubbioso, meno contento à è un personaggio non
del tutto organico all’idea della famiglia, ma è ancora un figlio, accondiscende alle decisioni di padron
‘Ntoni (sottomesso all’autorità patriarcale di padron ‘Ntoni).
Si allude anche al fatto che ‘Ntoni ha visto un altro mondo, ha visto come altre persone vivono e
quindi adesso può fare un paragone. Ad un certo punto il paese non lo chiamerà più di ‘Ntoni di
padron ‘Ntoni ma solo ‘Ntoni, quando decide di partire, perché assume una sua personalità.

A questa altezza il lettore potrebbe pensare che il Malavoglia possano completare il debito. Qui
pagano gli interessi sul debito che non il debito nella prima fase.
________________________________________

Mena aveva spesso il cuore nero

Che Mena ha il cuore nero è qualcosa che il paese vede in Mena, il paese è curioso: ha visto Padron
'Ntoni e Padron Cipolla parlare e va a vedere Mena, che palesa il suo status. Non si sa, ma è questo il
punto di vista di chi osserva.

mentre tesseva, perché le ragazze hanno il naso fine,

 Le ragazze hanno il naso fine = modo di dire di chi vive ad Aci Trezza. È la stessa voce che
ha notato che Mena ha il cuore nero e quindi lo riferisce al lettore.

ed ora che il nonno era sempre a confabulare con compare Fortunato, e in casa si parlava spesso dei
Cipolla, ci aveva sempre la stessa cosa davanti agli occhi, come quel cristiano di compar Alfio fosse
incollato sui panconi del telaio, colle immagini dei santi.
 Mena ha un altro santino.

Una sera aspettò sino a tardi per veder tornare compare Alfio insieme al carro dell’asino, colle mani
sotto il grembiale, perché faceva freddo e tutte le porte erano chiuse, e per la stradicciuola non si
vedeva anima viva; così gli diede la buona notte dall’uscio.
 Nonostante faccia freddo lei si è messa fuori per salutare compare Alfio. Si è messa le mani
sotto il grembiale per proteggersi dal freddo.

– Che ve ne andate alla Bicocca al primo del mese? gli disse finalmente.
– Ancora no; ci ho più di cento carichi di vino per la Santuzza. Dopo ci penserà Dio.
– Ella non sapeva più che dire, intanto che compar Alfio si affaccendava nel cortile a staccare
l’asino, e ad appendere gli arnesi al piuolo, e portava la lanterna di qua e di là.
– Se ve ne andate alla Bicocca chi sa quando ci vedremo più! disse infine Mena che le mancava la
voce.

 Bicocca = zona tra Catania e Siracusa. Andrà lontano rispetto alla geografia che conosciamo,
rispetto alla geografia di Aci Trezza.

– O perché? Ve ne andate anche voi?

 Dove può andarsene Mena? Con Brasi. Questo è l'unico posto dove può andare, le donne non
si muovono dal paese quindi al più può cambiare casa. Forse quando Alfio tornerà lei non sarà
più in quella casa. C'è un linguaggio cifrato che usano i personaggi, ma si capiscono
(corteggiamento mai esplicito).

La poveretta stette un pezzetto senza rispondere, sebbene fosse buio e nessuno potesse vederla in
viso.

 Che sta zitta fa parte del personaggio.

Di tanto in tanto si udivano i vicini parlar dietro gli usci chiusi, e piangere i bambini, e il rumore
delle scodelle, dove stavano cenando, sicché nessuno poteva udire.

 Ora abbiamo un dialogo segreto, gli altri mangiano, i bambini piangono, non ci sono la
Zuppidda o la Mangiacarrubbe che ascoltano.

– Ora dei denari che ci vogliono per Piedipapera ne abbiamo la metà, e alla salatura delle acciughe
pagheremo anche il resto.
Alfio a quel discorso lasciò l’asino in mezzo al cortile, e venne sulla strada.
– Allora vi maritano dopo Pasqua?
 Se a Pasqua pagano il debito, dopo c'è la pattuizione del matrimonio.

Mena non rispose. – Ve l’avevo detto io! aggiunse compare Alfio. – Li ho visti parlare io padron
‘Ntoni con padron Cipolla.

 Anche compare Alfio, che è un personaggio positivo, è un guardone. È sospettoso, vede i due
parlare e capisce che parlano del matrimonio. Fa parte della logica del paese comportarsi in
questo modo, guardare e ascoltare per capire che succede.

– Sarà come vuole Dio! disse poi Mena. A me non importava di maritarmi, purché mi avessero
lasciata stare qui.

 Stare qui = stare davanti a compare Alfio.

– Che bella cosa, aggiunse Mosca, quando uno è ricco come il figlio di padron Cipolla, che può
prendersi la moglie che vuole, e può stare dove gli piace!
– Buona notte, compare Alfio; disse poi Mena,

 Appartiene alla logica del personaggio, è timida per cui taglia il discorso quando si tocca un
certo argomento.

dopo essere stata un altro pezzetto a guardare la lanterna appesa al rastrello, e l’asino che andava
abboccando le ortiche pel muricciolo. Compare Alfio diede la buona notte anche lui, e se ne tornò a
mettere l’asino nella stalla.
– Quella sfacciata di Sant’Agata, brontolava la Vespa, la quale era a tutte l’ore dai Piedipapera,

 Anche quando è sera la Vespa va dai Piedipapera.

col pretesto di farsi prestare dei ferri da calza, o per venire a regalare qualche pugno di fave che
aveva raccolto nella chiusa, – quella sfacciata di Sant’Agata è sempre a stuzzicare compare Mosca.
Non gli lascia un momento per grattarsi il capo! Vergogna! – e brontolava ancora per la strada,
mentre Piedipapera chiudeva l’uscio, tirandole dietro tanto di lingua. – La Vespa è infuriata come
fossimo in luglio! sghignazzava compare Tino.
 La Vespa è come una vespa, infuriata a luglio.
– A lei che gliene importa? chiese comare Grazia.
– Gliene importa perché ce l’ha con tutti quelli che si maritano, e ora sta covando cogli occhi Alfio
Mosca.
– Tu dovresti dirglielo, che a me non mi piace di tenere il candeliere. Come se non si vedesse che
sta qui per compar Alfio, e poi la Zuppidda va spargendo che noi ci troviamo il nostro conto a fare
questo mestiere.

Le malelingue condizionano poi i comportamenti. Comare Grazia perde di capitale simbolico se


continua ad ospitare la Vespa.

– La Zuppidda farebbe meglio a grattarsi la sua testa, perché ci è da grattare!

 Grattarsi la testa = avere le corna.

Con quella porcheria di tirarsi in casa ‘Ntoni di padron ‘Ntoni, mentre il vecchio e tutti fanno il
diavolo, e non ne vogliono sapere. Chiudi la finestra.

 Chiudere la finestra = per dire qualcosa senza che sentano gli altri.

Oggi sono stato mezz’ora a godermi la commedia che facevano ‘Ntoni con la Barbara, che mi
dolgono ancora le reni dallo stare chinato dietro il muro, per sentire quello che dicevano. ‘Ntoni era
scappato dalla Provvidenza, col pretesto di andare a pigliare la fiocina grande pei cefali; e le diceva:
– Se il nonno non vuole, come faremo? – Faremo che scapperemo insieme, e poi quando la cosa è
fatta dovranno pensarci loro a maritarci, e saranno costretti a dir di sì per forza, rispondeva lei; e sua
madre era lì dietro ad ascoltare, ci giuocherei tutt’e due questi occhi!

 Fuitina = sistema per non pagare la dote. Verga lo spiega bene nel marito di Elena, un altro
romanzo. Si tratta di ostacolare il vincolo matrimoniale legato alla dote. Comare Venera era
d'accordo, magari era proprio lei ad aver proposto.

Bella la parte che rappresenta quella strega! Ora voglio far ridere tutto il paese. Don Silvestro come
gliela raccontai, disse che scommetteva di fare cascare la Barbara coi suoi piedi, come una pera
matura. Non ci mettere il saliscendi all’uscio, perché aspetto Rocco Spatu che deve venire a
parlarmi.

 Non fa chiudere la porta. Ancora a tarda sera ci sono dei movimenti nel paese.
Don Silvestro, per far cascare comare Barbara coi suoi piedi ne aveva almanaccata una, che il frate
il quale dà i numeri del lotto, non l’avrebbe trovata. – Voglio levarmi davanti, aveva detto, tutti
quelli che cercano di prendermi la Barbara. Quando non avrà più nessuno da sposare, allora
dovranno pregarmi loro, e farò i patti grassi, come s’usa alla fiera, quando i compratori sono scarsi.

 A quel punto si farà alzare la dote.

Fra quelli che cercavano di prendersi la Barbara c’era stato Vanni Pizzuto, allorché andava a far la
barba a mastro Turi che aveva la sciatica,

 Lo andava a trovare a casa.

ed anche don Michele, il quale si annoiava a passeggiare colla pistola appesa alla pancia, senza far
nulla, quando non era dietro il banco della Santuzza, e faceva l’occhietto alle belle ragazze, per
ingannare il tempo.

 Barbara = bella ragazza, corteggiata da mezzo paese.

La Barbara da principio aveva risposto all’occhietto; ma poi, dopo che sua madre le aveva detto che
quelli eran tutti mangiapani a ufo, più birri che altro, e i forestieri vanno frustati, gli aveva sbattuta
la finestra sul naso, così baffuto e col berretto gallonato com’era, e don Michele se n’era mangiato il
fegato, e per dispetto seguitava a passare e ripassare per la via, attorcigliandosi i baffi, e col berretto
sugli occhi. La domenica poi si metteva il cappello colla piuma, e andava a scaricarle
un’occhiataccia dalla bottega di Vanni Pizzuto, mentre la ragazza andava a messa colla mamma.
Don Silvestro prese ad andare a farsi radere anche lui, fra quelli che aspettavano la messa, e a
scaldarsi al braciere per l’acqua calda, e scambiare le barzellette.
– Quella Barbara gli lascia addosso gli occhi a ‘Ntoni Malavoglia, andava dicendo. Volete
scommettere dodici tarì che se la piglia lui? Lo vedete che s’è messo ad aspettarla, colle mani nelle
tasche?

 Don Silvestro ha appena messo in scena una strategia per far sì che Barbara non se la prenda
'Ntoni in matrimonio, ma scommettere che lei si sposerà proprio con 'Ntoni: lo fa per sobillare
Vanni Pizzuto e don Michele che forse capiscono lei si potrebbe sposare con 'Ntoni. Don
Silvestro, come abbiamo già appreso, è interessato alla Barbara.

Vanni Pizzuto allora lasciò don Michele colla saponata sulla faccia, e si affacciò all’uscio: – Che
pezzo di ragazza, per la madonna! E come cammina col naso nella mantellina, che pare un fuso!
Pensare poi che deve papparsela quel cetriolo di ‘Ntoni Malavoglia! – Se Piedipapera vuol essere
pagato, ‘Ntoni non se la pappa; ve lo dico io. I Malavoglia avranno altro da grattarsi, se Piedipapera
si piglia la casa del nespolo.

Don Silvestro aizza gli altri aspiranti alla Barbara per creare una situazione in cui magari qualcuno
possa non far pagare il debito. Se ad Aprile tutto si risolve poi Mena sposa Brasi e, dopo che questo
matrimonio è avvenuto, 'Ntoni può sposare Barbara. Tutto può risolversi ma c'è chi rema contro C'è
l'interesse affinché non si riprendano.

In che mese siamo? Non lo sappiamo, fa ancora freddo in Sicilia.

Lezione 14 Aprile
Don Silvestro, anima nera di questa parte del romanzo, mette in campo delle trame particolari per
impedire che 'Ntoni si prende la Barbara Zuppidda, per non dover rinunciare magari a doverla sposare
lui: abbiamo capito che Barbara è la più ambita, anche se donna alla finestra. Don Silvestro solletica,
provoca, punzecchia gli altri possibili pretendenti della Zuppidda, ovvero Vanni Pizzuto e don
Michele, e abbiamo assistito a qualche dialogo.

 Vanni Pizzuto lascia i suoi clienti insaponati per andare a guardare la Barbara.

In quest'ultimo passaggio Don Silvestro avanza un'ipotesi, oltre che la sua intenzione: don Silvestro
ha intenzione che i Malavoglia non riescano a pagare il debito.

➔Se Piedipapera si prende la casa, il capitale economico viene meno: Mena non può portare
ma casa in dote a Brasi Cipolla e quindi poi 'Ntoni non può sposare Barbara.
Per impedire il matrimonio questo non deve avvenire.

Inoltre, se mantengono la casa, Alfio rimane solo e sposa la Vespa, e lo zio Crocifisso rimane
danneggiato. I matrimoni sono tutti intrecciati, per cui Don Silvestro non ci sta e fa qualcosa per
impedire questo matrimonio. Con delle battute provoca, alla bottega di Vanni Pizzuto, dei
suggerimenti, suggerisce di collaborare per rendere impossibile questo matrimonio.

Vanni Pizzuto tornò a prendere pel naso don Michele.

 Torna a prendere per il naso Don Michele, torna a fare il suo lavoro.
L'umorismo in Verga
Prendere per il naso vuol dire anche altro, e qui si gioca sul doppio senso che produce un senso di
ironia. È un gioco che produce un po' di umorismo.

➔Verga non è scrittore comico, non ci fa ridere ma muove le situazioni con elementi di ironia,
disturbo.
➔Non prendere sul serio i personaggi, che possiamo percepire con umorismo, con del
grottesco.

Don Michele, il brigadiere, è stato lasciato con il naso in aria, c'è elemento di caricatura, c'è eccesso
nelle descrizioni.

Questo elemento nel Mastro-Don Gesualdo diventa esorbitante: si parla di espressionismo – come le
pitture espressionistiche. I Malavoglia sono più impressionisti (di Monet, ad esempio):
nell'impressionismo il pittore dà dei colpetti di pennellata, non c'è pittura liscia, nitida, il paesaggio
si restituisce con colpi di pennello che illuminano dei dettagli – fa come Verga, che non ci ritrae il
personaggio ma ci dà delle pennellate. Il confine tra figura umana e paesaggio è limitato, mentre nel
Rinascimento il contorno è più nitido – distinguiamo dove finisce un colore e ne inizia un altro – ora
non è più nitido. In Italia ci sono i macchiaioli → le macchie di colore indicano che in quella macchia
c'è un fiorellino, c'è qualche erba già secca, se osserviamo il paesaggio esso non ha più colori pastello.

Nasce poi l'espressionismo – con Van Gogh ad esempio, o Munch – non è più realistico come
l'impressionismo, che trasmette realtà non nitida ma comunque reale. Ora abbiamo una realtà
deformata.
I personaggi di Mastro-Don Gesualdo sono eccessivi, deformati (eccessivamente arrabbiati
eccessivamente di corsa, mai fermi). Il loro ritratto diventa in movimento, si deforma l'aspetto fisico.
Nella pittura classica il soggetto, come in una fotografia classica, di inizio Novecento, il personaggio
è fermo, in posa. Verga non vuole questo, per cui nel Mastro-Don Gesualdo c'è movimento: la prima
scena del romanzo è l'incendio del palazzo dei Trao di notte. I personaggi che accorrono si vedono
nel buio, ogni tanto sono rossi, ogni tanto gialli, sono più simili ai personaggi di Van Gogh. Oppure,
ad un certo punto, Mastro-Don Gesualdo viene invitato nella casa Sganci (una delle tante case
aristocratiche) e qui, durante la processione, ci sono i fuochi d'artificio e i colori ci segnalano con
qualche tocco di pennello un volto illuminato dai bagliori del fuoco d'artificio, in quanto la luce ha
illuminato un dettaglio. C'è sempre una tendenza, anche quando il personaggio è seduto perché sta
assistendo alla processione, a rendere caricaturale il ritratto. Tante altre scene saranno fatte in
momento di rivolta, sempre in situazioni in cui sono scomposti, diversamente da quanto viene
richiesto da un pittore o da quanto un fotografo vorrebbe – dobbiamo aspettare il Futurismo per vedere
il flusso, il movimento.
Verga è verista, è oggettivo, ma si muove nel corso del racconto: la psicologia non è statica, gli stati
d'animo cambiano l'atteggiamento del personaggio – sebbene vediamo tornare sempre i dettagli fisici,
quelli psicologici possono cambiare.
➔Nel Mastro-Don Gesualdo sono personaggi della vita frenetica moderna.
➔Ad Aci Trezza possiamo vederli ancora con le mani in tasca e con la schiena appoggiata, li
possiamo vedere in riposo dal lavoro (persino i Malavoglia che lavorano molto si riposano di
domenica), in Mastro-Don Gesualdo questo non c'è, il suo tempo è tutto produttivo, non c'è
mai il tempo di riposo perché è troppo impegnato nel suo accumulare capitalistico.

Verga nel frattempo si è trasferito a Milano e vede il mondo moderno, diverso da quello della Sicilia
o da quello di Vizzini, dove andava in vacanza: ora vede le industrie, le fabbriche – a Milano nella
metà dell'Ottocento si sviluppa la vita moderna, con tante luci, tante pubblicità.

 ➔Benjamin, uno studioso e filosofo tedesco, parla di questo passaggio alla modernità.

Il ritmo di vita si fa sempre più frenetico (per noi è quotidiano, all'epoca non lo era). Verga vuole
descrivere il nuovo modo di vivere e prima lo fa ad Aci Trezza, quando non è ancora assoluto ma si
sta trasformando, nel Mastro-Don Gesualdo lo coglie nel cuore. Anche i luoghi di periferia diventano
ipertecnologici, pur non essendo come quelli di Milano.

➔Mastro-Don Gesualdo = polemica – a che serva accumulare tutta quella roba? Muore il
personaggio che ha accumulato averi e muore anche la roba perché finirà nelle mani di chi
non saprà amarla come colui che l'ha fatta – perché lui ha il sentimento di chi l'ha dovuta
costruire, la fatica.

Anche il servizio militare obbligatorio è modernità: viene introdotto nel 1861, non c'era prima, nel
regno delle due Sicilie. Già questo è modernità.

➔In Verga c'è una visione antirinascimentale.

In Italia c'era una prosopopea sull'unità d'Italia – a scuola si insegnava giustizia e libertà. Lo stato
unitario però produce la sottrazione di braccia a lavoro, il carrettiere non può più lavorare perché è
stata costruita la ferrovia o la strada asfaltata. Questo è lo stato unitario, produce contraccolpi, risvolti
negativi.
________________________________________

– Eh? che ne dite, don Michele? Anche voi le avete fatto il cascamorto. Ma quella è una ragazza che
fa mangiare agro di limone. Don Michele non diceva nulla, si spazzolava, si arricciava i baffi, e si
metteva il cappello davanti allo specchio.
 I gesti ci fanno capire che pensa Don Michele.

– Ci vuol altro che cappelli colla penna per quella lì! sogghignava Pizzuto.

 Verga ci fa vedere la scena. Il cappello di Don Michele è con la penna, si sta pavoneggiando,
e Vanni Pizzuto dice che serve altro per conquistare la Barbara. Anche queste sono
provocazioni, Vanni Pizzuto rigira il coltello nella piaga.

Finalmente una volta don Michele disse: – Santo diavolone! se non fosse pel cappello colla penna,
gli farei tenere la candela io, a quel ragazzaccio di Malavoglia.

 Come Grazia Piedipapera era stata accusata di tenere la candela a Alfio e Mena, ora ritorna
questo tema.

Don Silvestro ebbe la premura di andare a raccontare ogni cosa a ‘Ntoni, e che don Michele il
brigadiere, era un uomo il quale non si lasciava posare le mosche sul naso;

 Quelli che si lasciano posare la mosca sul naso sono quelli che non reagiscono, che accettano
tutti, senza reagire.

e doveva avercela con lui. – Io gli rido sul mostaccio, a don Michele il brigadiere! rispose ‘Ntoni.
Lo so perché ce l’ha con me; ma per stavolta può pulirsi la bocca, e farebbe meglio a non sciuparsi
le scarpe per passare e ripassare davanti alla Zuppidda, col berretto gallonato, come se ci avesse la
corona in capo; che la gente se ne impipa di lui e del suo berretto.
E se lo incontrava lo guardava bene in faccia, ammiccando gli occhi, come deve fare un giovanotto
di fegato che è stato soldato,

 Lo abbiamo già visto che portava il berretto da soldato, lo abbiamo visto che si azzuffava con
Piedipapera, ora fa nuovamente il bulletto.

e non si lascia portar via il suo berretto in mezzo alla folla.

Il tema del rubare il berretto in mezzo alla folla è stato già trattato in Confessioni d'un italiano (che
probabilmente Verga non conosce – ma ci fa capire che è tema comune) di Nievo, pubblicato nel
1867, postumo – dopo la spedizione dei mille, infatti l'autore muore in quell'anno.
➔Nievo è considerato il più grande romanziere con Verga, Manzoni e De Roberto.
Scrivi questo romanzo a trent'anni e viene pubblicato postumo, ma non ha subito successo. Viene
riscoperto negli anni Novanta dell'Ottocento. C'è qui la scena di qualcuno che ti porta via il berretto
nella folla: quelli che non sono uomini di fegato, si fanno portare via il berretto in mezzo alla folla, è
questo il senso che troviamo in Verga.

 Sia Don Michele che 'Ntoni si atteggiano a bulletti, don Michele passa per la strada di
proposito.

Don Michele continuava a passare dalla straduccia per puntiglio, per non darla vinta a lui, ché se lo
sarebbe mangiato come il pane, se non fosse stato pel cappello colla penna.

 Se non fosse brigadiere, gliela farebbe vedere = si protegge dietro la divisa (come quelli che
dicono di non fare a botte perché portano gli occhiali), giustifica sé per evitare lo scontro. Lui
ha paura di 'Ntoni ma si racconta questa scusa per giustificare sé, si deve dimostrare non
debole agli occhi del paese passando per quella strada.

– Si mangiano! diceva Vanni Pizzuto a tutti coloro che andavano a farsi radere la barba, o venivano
a comprare dei sigari, o delle lenze, o degli ami da pescare, o dei bottoni d’osso di quelli da cinque
un grano.

 È un po' un emporio, si può comprare di tutto qui.

– Don Michele e ‘Ntoni Malavoglia un giorno o l’altro si mangiano come il pane! È quel benedetto
cappello colla penna che gli lega le mani a don Michele. Egli pagherebbe qualche cosa a
Piedipapera se glielo levasse davanti, quel cetriolo di ‘Ntoni.

 Piedipapera può prendersi la casa del nespolo e così cacciare 'Ntoni di mezzo.

– Tanto che il figlio della Locca, il quale era sempre a gironzare tutto il giorno, colle braccia
penzoloni, allorché li incontrava si metteva loro alle calcagna, per vedere come finiva.
Piedipapera, quando andava a farsi la barba, e sentiva che don Michele gli avrebbe dato qualche
cosa per levargli davanti gli occhi ‘Ntoni Malavoglia, si gonfiava come un gallo d’India, ché così lo
tenevano da conto nel paese.
 Lo tenevano da conto = ha acquistato dei punti, c'è gente che è disposto a pagarlo. È diventato
arbitro del paese.

Vanni Pizzuto tornava a dirgli: – Il brigadiere pagherebbe qualunque cosa per avere in pugno i
Malavoglia come li tenete voi. O perché gliel’avete fatta passar liscia quella storia dei pugni che vi
ha dato ‘Ntoni?

 'Ntoni aveva fatto a botte con Piedipapera precedentemente.

Piedipapera alzava le spalle e seguitava a scaldarsi le mani sul braciere. Don Silvestro si metteva a
ridere e rispondeva per lui: – A mastro Vanni gli piacerebbe levar le castagne dal fuoco collo
zampino di Piedipapera. Già sapete che comare Venera non vuole né forestieri né berretti gallonati;
così quando si sarebbe levato d’attorno ‘Ntoni Malavoglia, resterebbe lui solo a far l’asino alla
ragazza.

 La Zuppidda dice che stranieri non ne vuole, e dunque, se non 'Ntoni, la Barbara potrebbe
sposare Don Silvestro.
 Fare l'asino = fare lo scemo.

Vanni Pizzuto non disse nulla, ma ci pensò su tutta la notte.


– Non sarebbe poi una cosa sbagliata! ruminava fra di sé;

 Anche lui capisce che converrebbe persino a lui fare fuori 'Ntoni.

tutto sta a prendere Piedipapera per il collo, e in un giorno buono. Il giorno buono venne a
proposito,

 Ripetizione nei Malavoglia (si ripete "il giorno buono").

che una sera Rocco Spatu non si era fatto vivo, Piedipapera era venuto due o tre volte, ad ora tarda,
a chieder di lui, colla faccia bianca e gli occhi stravolti, e le guardie doganali s’erano viste correre di
qua e di là, tutte in faccende, col naso a terra come cani da caccia, e don Michele insieme a loro
colla pistola sulla pancia, e i calzoni infilati negli stivali.

Piedipapera aveva detto che doveva venire Rocco Spatu a casa sua, probabilmente alle dieci di sera,
e aveva detto alla moglie di non chiudere la porta. Perché? Rocco Spatu poi si fa vivo tutte le sere
invece stavolta no, e quindi vediamo come ci sia una relazione tra Piedipapera e Rocco Spatu, che
qui viene introdotta. Cosa c'entrano le guardie doganali? Perché sono affaccendate?

– Voi potreste fargli un gran servizio a don Michele, col levargli davanti ‘Ntoni
Malavoglia – tornò a dire Pizzuto a compare Tino, mentre costui per comprare un
sigaro andava a cacciarsi nell’angolo più oscuro della botteguccia. Gli rendereste un
famoso servizio, e ve lo fareste amico per davvero!

 Piedipapera si nasconde.

– Magari! sospirò Piedipapera, ché gli mancava il fiato quella sera, e non aggiunse altro.
Nella notte si udirono delle fucilate verso il Rotolo, e lungo tutta la spiaggia, che pareva la caccia
alle quaglie.

 Rotolo = altro confine geografico di Aci Trezza, vicino al mare.

– Altro che quaglie! mormoravano i pescatori rizzandosi sul letto ad ascoltare. E’ son quaglie a due
piedi, di quelle che portano lo zucchero e il caffè, e i fazzoletti di seta di contrabbando.

 Ci sono uomini che portano in contrabbando zucchero e caffè. Non cercano quaglie ma altri
uomini.

Don Michele ier sera andava per la strada coi calzoni dentro gli stivali e la pistola sulla pancia!

Don Michele, capo delle guardie doganali, era allerta per prendere questi uomini. Ci potrebbe essere,
tra di loro, Rocco Spatu, che tutto il giorno non fa nulla mentre stasera non si fa vedere, al contrario
di com'è uso fare. Piedipapera è spaventato perché forse anche lui è coinvolto, e quindi Vanni Pizzuto
ha detto a Piedipapera che gli servirebbe farsi amico Don Michele, che altrimenti lo potrebbe mettere
in prigione.

Piedipapera stava nella bottega di Pizzuto a bere il bicchierino, prima dell’alba,

➔Il bicchierino si beve prima dell'alba = lo ritroveremo alla fine del romanzo.

che c’era ancora il lanternino davanti all’uscio;


 L'osteria è chiusa, ma da Vanni Pizzuto è possibile farlo, ed è segnalato.

ma stavolta aveva la faccia di un cane che ha rotta la pentola; non diceva le solite barzellette, e
domandava a questo e a quello cos’era stato quel diavolio, e se si erano visti Rocco Spatu e
Cinghialenta,

 Rotta nella pentola = come per dire che ha la coda tra le gambe, come un cane ha fatto qualcosa
che non doveva fare e il padrone lo bastonerà.
 Anche Cinghialenta fa parte del gruppo, a quanto pare.

e si sberrettava con don Michele, il quale aveva gli occhi gonfii e gli stivali polverosi, e voleva
pagargli per forza il bicchierino.
Ma don Michele era già stato all’osteria, dove la Santuzza gli diceva, mescendogliene di quel
buono: – Dove siete stato a rischiar la pelle, santo cristiano? Non lo sapete che se chiudete gli occhi
voi, vi portate nella fossa anche degli altri?
– E il mio dovere dove lo lasciate? Se li coglievo colla pasta in mano stanotte c’era un bel guadagno
per noi, sangue di un cane!
– Se vogliono farvi credere che egli era massaro Filippo, che tentava di far entrare il suo vino di
contrabbando, non ci credete, per quest’abito benedetto di che ci ho sul petto, indegnamente! Tutte
bugie di gente senza coscienza, che si danna l’anima a volere il male del prossimo.

 La Santuzza difende massaro Filippo perché ha con lui una tresca.

– No, lo so cos’era! erano tutti fazzoletti di seta, e zucchero e caffè, più di mille lire di roba, corpo
della madonna!

 Don Michele aveva avuto una soffiata.


 Corpo della madonna = è una bestemmia. Di per sé non lo è ma Verga probabilmente non
poteva scrivere altro – nel mondo contadino era usanza bestemmiare.

che mi son sgusciati di mano come anguille; ma li ho sott’occhio tutti quelli della combriccola, e
un’altra volta non mi scapperanno! Piedipapera poi gli diceva: – Bevetelo un bicchierino, don
Michele, che vi farà bene allo stomaco, col sonno che avete perso. Don Michele era di cattivo
umore e sbuffava. – Giacché vi dice di prenderlo, prendetelo, aggiungeva Vanni Pizzuto. Se
compare Tino paga lui vuol dire che ne ha da spendere. Denari ne ha, il furbaccio! tanto che ha
comprato il debito dei Malavoglia; ed ora lo pagano a bastonate. Don Michele si lasciò tirare a
ridere un po’. – Sangue di Giuda! esclamò Piedipapera, battendo il pugno sul banco, e fingeva di
mettersi in collera davvero. A Roma non voglio mandarlo, quel ragazzaccio di ‘Ntoni, a fare
penitenza!

 Vuole che qui faccia penitenza.

– Bravo! appoggiò Pizzuto. – Io non me la sarei lasciata passare liscia di certo. Eh? don Michele?
Don Michele approvò con un grugnito.

 Grugnito = paragone animalesco.

– Ci penserò a ridurre come si deve ‘Ntoni e tutta la sua parentela! minacciava Piedipapera. – Non
voglio farmi ridere sul naso da tutto il paese. Potete star tranquillo, don Michele! E se ne partì
zoppicando e bestemmiando come se non ci vedesse più dagli occhi, mentre andava dicendo fra di
sé «Convien tenerseli amici tutti, questi birri qui!»; e ruminando come potesse fare a tenerseli amici
andò all’osteria, dove lo zio Santoro gli disse che non s’erano visti né Rocco Spatu né Cinghialenta,
e passò dalla cugina Anna,

 Passa dalla cugina Anna per vedere se Rocco Spatu è a casa sua.

la quale poveretta non aveva dormito, e stava sulla porta guardando di qua e di là, colla faccia
pallida. Lì davanti incontrò pure la Vespa, la quale veniva a vedere se comare Grazia ci avesse un
po’ di lievito, per caso.

 La Vespa va a vedere se Alfio è tornato, con una scusa, come sempre.

– Ho incontrato or ora compare Mosca; disse allora lui per far quattro chiacchiere. – Era senza il
carro, e scommetto che andava a ronzare nella sciara, dietro l’orto della Sant’Agata. «Amare la
vicina è un gran vantaggio, si vede spesso e non si fa viaggio».
– Bella santa da attaccarsi al muro, quella Mena! cominciò a sbraitare la Vespa, la vogliono dare a
Brasi Cipolla, e seguita a civettare con questo e con quello!

 Compare Mosca si è pluralizzato, diventa questo e quello.

– Puh! che porcheria!


– Lasciatela fare! lasciatela fare! così gli altri conosceranno che roba è, e apriranno gli occhi. Ma
non lo sa compare Mosca che vogliono darle Brasi Cipolla?
– Sapete come sono gli uomini, se c’è una fraschetta che li guarda, le corrono tutti dietro per
divertirsi. Ma poi, quando vogliono far sul serio, cercano una come m’intendo io.

 Ovvero lei, la Vespa.

– Compare Mosca dovrebbe prendere una come voi.


– Io non ci penso per ora a maritarmi; ma certo che da me si troverebbe quel che ci vuole. A buon
conto il mio pezzo di chiusa ce l’ho, e nessuno ci tiene le unghie addosso, come la casa del nespolo,
che se soffia la tramontana se la porta via. Questa sarebbe da vedere, se soffia la tramontana!
– Lasciate fare! lasciate fare! che non è sempre bel tempo, e il vento se le porta all’aria le frasche.
Oggi ho da parlare con vostro zio Campana di legno, per quell’affare che sapete.
Campana di legno

 Passaggio di scena.

era proprio ben disposto per parlare di quell’affare che non finiva più, «e le cose lunghe diventano
serpi». Padron ‘Ntoni gli cantava sempre che i Malavoglia erano galantuomini, e avrebbero pagato,
ma ei voleva poi vedere di dove li avrebbero scavati i denari. Già nel paese si sapeva quel che
possedeva ciascuno, fino all’ultimo centesimo, e quei galantuomini dei Malavoglia, magari a
vendersi l’anima al turco, non avrebbero potuto pagare nemmeno la metà, di lì a Pasqua; e per
prendersi la casa del nespolo ce ne voleva della carta bollata, e delle altre spese, questo lo sapeva, e
avevano ragione don Giammaria e lo speziale quando parlavano del governo ladro; lui, com’è vero
che si chiamava zio Crocifisso, ce l’aveva non solo con quelli che mettevano le tasse, ma anche con
quelli che non le volevano, e mettevano talmente in subbuglio il paese che un galantuomo non era
più sicuro di starsene in casa sua colla sua roba, e quando erano venuti a domandargli se voleva fare
il sindaco, egli aveva risposto: – Bravo! e i miei affari chi me li fa? Io bado ai fatti miei.

 Ritorna sempre il ritornello dello zio Crocifisso che si fa gli affari suoi.

– Intanto padron ‘Ntoni pensava a maritare la nipote, che l’avevano visto andare attorno con
compare Cipolla – l’aveva visto lo zio Santoro – e aveva visto anche Piedipapera che faceva il
mezzano alla Vespa, e serviva di comodino a quello spiantato di Alfio Mosca, il quale voleva
arraffarsi la sua chiusa.

 Anche lo zio Crocifisso non vuole che si consumi il matrimonio tra Mena e Brasi, per cui,
anche se c'è da pagare la carta bollata, potrebbe risultargli conveniente.
– Ve lo dico io che ve l’arraffa! gli gridava Piedipapera nell’orecchio per persuaderlo. – Avete un
bel strillare e fare il diavolo per la casa. Vostra nipote è cotta come una pera per colui, e gli sta
sempre alle calcagna. Io non posso mica chiuderle l’uscio sul muso, quando viene a far quattro
chiacchiere con mia moglie, per riguardo vostro, che infine è sempre vostra nipote e sangue vostro.
– Bel riguardo che mi avete! Così mi fate perdere la chiusa, col riguardo! – Sicuro che la perdete!
Se la Malavoglia si marita con Brasi Cipolla, compare Mosca non avrà più che fare, e si prende la
Vespa e la chiusa, per mettersi il cuore in pace.
– Che se la pigli anche il diavolo! esclamò alfine lo zio Crocifisso stordito dalle chiacchiere di
compare Tino.
– A me non me ne importa nulla; son più i peccati che mi ha fatto fare, quella scomunicata, che
altro. Io voglio la roba mia, che l’ho fatta col sangue mio come il sangue di Gesù Cristo che c’è nel
calice della messa, e par roba rubata, che tutti fanno a chi piglia piglia, compare Alfio, la Vespa e i
Malavoglia. Ora incomincio la lite e mi piglio la casa.
– Voi siete il padrone. Se dite di far la lite la faccio subito.
– Ancora no. Aspettiamo a Pasqua; «l’uomo per la parola e il bue per le corna»; ma voglio esser
pagato sino all’ultimo centesimo, e non darò più retta a nessuno per accordare dilazioni.
La Pasqua infatti era vicina. Le colline erano tornate a vestirsi di verde, e i fichidindia erano di
nuovo in fiore. Le ragazze avevano seminato il basilico alla finestra, e ci si venivano a posare le
farfalle bianche; fin le povere ginestre della sciara avevano il loro fiorellino pallido.

 La Pasqua era il primo aprile.

➔Qui abbiamo una descrizione, elemento raro nei Malavoglia, quando si descrive qualcosa.

La mattina, sui tetti, fumavano le tegole verdi e gialle, e i passeri vi facevano gazzarra sino al
tramonto. Anche la casa del nespolo sembrava avesse un’aria di festa; il cortile era spazzato, gli
arnesi in bell’ordine lungo il muricciuolo e appesi ai piuoli, l’orto tutto verde di cavoli e di lattughe,
e la camera aperta e piena di sole che sembrava contenta anch’essa, e ogni cosa diceva che la
Pasqua si avvicinava. I vecchi si mettevano sull’uscio verso mezzogiorno, e le ragazze cantavano al
lavatoio. I carri tornavano a passare nella notte, e la sera si udiva un’altra volta il brusio della gente
che chiacchierava nella stradicciuola.
– Comare Mena la fanno sposa, si diceva. Sua madre ha tutta la roba del corredo per le mani. Era
passato del tempo, e il tempo si porta via le cose brutte come le cose buone.

 Cose brutte = morte di Bastianazzo e naufragio della Provvidenza. Con la Pasqua si


riprendono, si preannuncia un matrimonio (mentre il Natale era stato definito un brutto Natale
per i Malavoglia, ora la Pasqua si preannuncia positivamente).
Adesso comare Maruzza era tutta in faccende a tagliare e cucire della roba,

 Maruzza prepara il corredo.

e Mena non domandava nemmeno per chi servisse; e una sera le avevano condotto in casa Brasi
Cipolla, con padron Fortunato suo padre, e tutto il parentado.
– Qui ci è compare Cipolla che è venuto a farvi una visita; disse padron ‘Ntoni, facendoli entrare,
come se nessuno ne sapesse niente, mentre nella cucina c’era preparato il vino ed i ceci abbrustoliti,

 Ceci = si abbrustoliscono nella sabbia bollente. Si abbrustoliscono come si fa con le castagne.

e i ragazzi e le donne avevano i vestiti della festa. Mena sembrava davvero Sant’Agata, con quella
veste nuova e quel fazzoletto nero in testa, talché Brasi non le levava gli occhi d’addosso, come il
basilisco,
 Basilisco = animale della tradizione popolare, con gli occhi che fissano.

e stava appollaiato sulla scranna, colle mani fra le gambe, che se le fregava di tanto in tanto di
nascosto dalla contentezza.
– È venuto con suo figlio Brasi, il quale adesso si è fatto grande – seguitava padron ‘Ntoni.
– Sicuro, i ragazzi crescono, e ci spingono per le spalle nella fossa, rispose padron Fortunato.
– Ora bevete un bicchier di vino che è di quello buono, aggiunse la Longa, e questi ceci qui li ha
abbrustoliti mia figlia. Mi dispiace che non sapevo niente, e non vi ho fatto trovare cose degne del
vostro merito.
– Eravamo qui vicino di passaggio, rispose padron Cipolla, ed abbiamo detto: andiamo a vedere
comare Maruzza.

 Evidentemente anche Mena è una bella ragazza.


 Fanno finta che sia tutto casuale.

Brasi si riempì le tasche di ceci, guardando la ragazza, e dopo i monelli diedero il sacco al tondo,
che invano la Nunziata colla bambina in collo cercava di trattenerli, parlando basso come se fosse in
chiesa.

 La Nunziata cercava di tenere i bambini a bada.


I vecchi in questo tempo si erano messi a discorrer fra di loro, sotto il nespolo, colle comari che
facevano cerchio e cantavano le lodi della ragazza, com’era brava massaia, che teneva quella casa
meglio di uno specchio. «La figliuola com’è avvezzata, e la stoppa com’è filata».
– Anche la vostra nipote è cresciuta, osservò padron Fortunato – e sarebbe tempo di maritarla.
– Se il Signore le manda un buon partito noi non vogliamo altro, rispose padron ‘Ntoni. –
«Matrimonii e vescovadi dal cielo sono destinati» aggiunse comare la Longa.
– «A buon cavallo non gli manca sella» – conchiuse padron Fortunato; ad una ragazza come vostra
nipote un buon partito non può mancare. Mena stava seduta accanto al giovanotto, com’è l’uso, ma
non alzava gli occhi dal grembiule, e Brasi si lamentava con suo padre, quando se ne andarono, che
ella non gli avesse offerto il piatto con i ceci.
– Che ne volevi ancora! gli diè sulla voce padron Fortunato, quando furono lontani; se non si
sentiva rosicare altri che te, come ci fosse un mulo davanti a un sacco d’orzo! Guarda che ti sei
lasciato cascare il vino sui calzoni, Giufà! e mi hai rovinato un vestito nuovo!

 Brasi è personaggio molto screditato nel romanzo, non ha detto nemmeno una parola e ha
mangiato ceci tutto il tempo.

Padron ‘Ntoni tutto contento si fregava le mani, e diceva alla nuora: – Non mi par vero d’essere in
porto, coll’aiuto di Dio! La Mena non avrà nulla da desiderare, ed ora aggiusteremo tutte le altre
nostre cosucce e potrete dire «Lasciò detto il povero nonno, il riso con i guai vanno a vicenda».

 Riso e guai si alternano, se ci sono stati i guai deve esserci il riso.

Quel sabato, verso sera, la Nunziata venne a prendere un pugno di fave per i suoi bambini e disse: –
Compare Alfio se ne va domani. Sta levando tutta la sua roba. Mena si fece bianca e smise di
tessere.
Nella casa di compar Alfio c’era il lume, e ogni cosa sottosopra. Egli venne a picchiare all’uscio
poco dopo, e aveva la faccia in un certo modo anche lui, e faceva e disfaceva dei nodi alla frusta che
teneva in mano.

 Abbiamo già visto compare Alfio fare dei gesti nervosi con le mani.

– Sono venuto a salutarvi tutti, comare Maruzza, padron ‘Ntoni, i ragazzi, e anche voi, comare
Mena. Il vino di Aci Catena è finito.

 Aci Catena = un altro dei tanti borghi attorno ad Aci Castello e Aci Reale.
Ora la Santuzza ha preso quello di massaro Filippo. Vado alla Bicocca, dove c’è da fare col mio
asino. Mena non diceva nulla; sua madre sola aprì la bocca per rispondere: – Volete aspettarlo
padron ‘Ntoni? che avrà piacere di salutarvi. Compar Alfio allora si mise a sedere in punta alla
scranna, colla frusta in mano, e guardava intorno, dalla parte dove non era comare Mena.

 Non osa guardare Mena.

– Ora quando tornate? domandò la Longa.


– Chi lo sa quando tornerò? Io vado dove mi porta il mio asino. Finché dura il lavoro vi starò; ma
vorrei tornar presto qui, se c’è da buscarmi il pane.
– Guardatevi la salute, compare Alfio. Alla Bicocca mi hanno detto che la gente muore come le
mosche, dalla malaria.

➔Come le mosche = lui si chiama Mosca – ci sono sempre questi cortocircuiti nel romanzo.

Alfio si strinse nelle spalle, e disse che non poteva farci nulla.
– Io non vorrei andarmene, ripeteva, guardando la candela. E voi non mi dite nulla, comare Mena?
La ragazza aprì la bocca due o tre volte per dire qualche cosa, ma il cuore non le resse.
– Anche voi ve ne andate dal vicinato, ora che vi maritano, aggiunse Alfio. Il mondo è fatto come
uno stallatico, che chi viene e chi se ne va, e a poco a poco tutti cambiano di posto, e ogni cosa non
sembra più quella. – Così dicendo si fregava le mani e rideva, ma colle labbra e non col cuore.
– Le ragazze, disse la Longa, vanno come Dio le ha destinate. Ora son sempre allegre e senza
pensieri, e com’entrano nel mondo cominciano a conoscere i guai e i dispiaceri.
Compar Alfio, dopo che furono tornati a casa padron ‘Ntoni e i ragazzi, e li ebbe salutati, non
sapeva risolversi a partire, e rimaneva sulla soglia, colla frusta sotto l’ascella, a stringere la mano a
questo e a quello, anche a comare Maruzza, e ripeteva, come si suol fare quando uno se ne va
lontano, e non si sa bene se ci si rivede più: – Perdonatemi se ho mancato qualche volta. – La sola
che non gli strinse la mano fu Sant’Agata, la quale stava rincantucciata vicino al telaio. Ma le
ragazze si sa che devono fare così.
Era una bella sera di primavera, col chiaro di luna per le strade e nel cortile, la gente davanti agli
usci, e le ragazze che passeggiavano cantando e tenendosi abbracciate. Mena uscì anche lei a
braccetto della Nunziata, ché in casa si sentiva soffocare.
– Ora non si vedrà più il lume di compar Alfio, alla sera, disse Nunziata, e la casa rimarrà chiusa.
Compar Alfio aveva caricato buona parte delle sue cosuccie sul carro, e insaccava quel po’ di paglia
che rimaneva nella mangiatoia, intanto che cuocevano quelle quattro fave della minestra.
– Partirete prima di giorno, compar Alfio? gli domandò Nunziata sulla porta del cortile.
– Sì, vado lontano, e quella povera bestia bisogna che si riposi un po’ nella giornata.
Mena non diceva nulla, e stava appoggiata allo stipite a guardar il carro carico, la casa vuota, il letto
mezzo disfatto, e la pentola che bolliva l’ultima volta sul focolare.
– Siete là anche voi, comare Mena? – esclamò Alfio appena la vide, e lasciò quello che stava
facendo. Ella disse di sì col capo, e Nunziata intanto era corsa a schiumare la pentola che riversava,
da quella brava massaia che era.

 Riversava = traboccava.

– Così son contento, che posso dirvi addio anche a voi! disse Alfio.
– Sono venuta a salutarvi, – disse lei, e ci aveva il pianto nella gola.
– Perché ci andate alla Bicocca se vi è la malaria?
Alfio si mise a ridere, anche questa volta a malincuore, come quando era andato a dirle addio.
– O bella! perché ci vado? e voi perché vi maritate con Brasi Cipolla? Si fa quel che si può, comare
Mena. Se avessi potuto fare quel che volevo io, lo sapete cosa avrei fatto!…
– Ella lo guardava e lo guardava, cogli occhi lucenti.
– Sarei rimasto qui, che fino i muri mi conoscono, e so dove metter le mani, tanto che potrei andar a
governare l’asino di notte, anche al buio; e vi avrei sposata io, comare Mena, ché in cuore vi ci ho
da un pezzo, e vi porto meco alla Bicocca, e dappertutto ove andrò. Ma questi oramai sono discorsi
inutili, e bisogna fare quel che si può. Anche il mio asino va dove lo faccio andare.
– Ora addio, concluse Mena; anch’io ci ho come una spina qui dentro… ed ora che vedrò sempre
quella finestra chiusa, mi parrà d’avere chiuso anche il cuore, e d’averci chiusa sopra quella
finestra, pesante come una porta di palmento. Ma così vuol Dio. Ora vi saluto e me ne vado. La
poveretta piangeva cheta cheta, colla mano sugli occhi, e se ne andò insieme alla Nunziata a pianger
sotto il nespolo, al chiaro di luna.

Lezione 19 Aprile
È uno dei passi più intensi del romano, è commovente perché c'è l'addio tra i personaggi, ribadito
dalle parole di compare Alfio (che dice proprio "addio").

L’addio tra Mena e Alfio


Come gestisce Verga questo addio? Come gestisce il terreno dei sentimenti? Abbiamo visto che c'è
il problema di non entrare nella testa del personaggio e rivelarci che prova davvero, e anche in questo
episodio questa idea emerge, questa poetica che prescrive l'impossibilità di entrare nella mente dei
personaggi. L'autore impersonale non può entrare nella testa dei personaggi ma può solo
ascoltarli, vederli – e dunque intuire, osservare.

➔La curiositas può arrivare a illazioni, ma si parte dal fare la prossemica: gesti e movimenti
dell'individuo, sono per Verga importantissimi.
Dobbiamo infatti distinguere tra:
 Gesto = esplicito.
 Prossemica = abbassare gli occhi, spostare lo sguardo, alzare le spalle. Comprende la mimica
del personaggio, che diventerà indizio di ciò che il personaggio prova ma non dice; può essere
indizio che quando il personaggio dice qualcosa indica qualcos'altro (come se ci fosse ironia).

In questo addio ci siamo commossi perché abbiamo capito che si amano, ma non ce lo dicono, e non
se lo dicono. Alla fine Alfio si propone (dice che avrebbe preso Mena in sposa, se avesse potuto), ma
lo dice ora che non c'è più speranza, ora che Mena è promessa in sposa a Brasi, ed è impossibile.

Narratore e personaggi non ci dicono nulla, non ci dicono che i due sono innamorati ma vediamo solo
che le parole di Mena sono impastate di lacrime, che la sua non è voce normale, che Alfio fa dei gesti
come per ritardare il momento dell'addio.

➔Sono i gesti che ci danno qualche impressione.

Cos'altro ci colpisce di questo addio? "Alfio si strinse nelle spalle e disse che non poteva farci nulla"
(rischio di prendere la malaria → partendo potrebbe morire, non tornare più). È un po' come la
partenza di 'Ntoni, come quella di Luca. Il personaggio dice che non vuole andarsene, eppure, non
avendo più lavoro ad Aci Trezza, deve andarsene (la Santuzza avrà il vino procurato da Massaro
Filippo l'ortolano).
Mena ricorda le parole della madre, che diceva che lì c’era il rischio di prendere la malaria. Ma lui
deve andare alla Bicocca, che si trova nella pianura di Lentini, dove effettivamente in quell’epoca era
attestata questa malattia; inoltre questo è ambiente di tantissime novelle di Verga, tra cui Malaria, che
fa parte delle Novelle Rusticana. Il rischio di prendere la malaria in queste zone c'era.

Il valore del silenzio nell’addio


Alfio poi chiede a Mena se lei non gli dice nulla = è qui che capiamo che lui prova qualcosa e vorrebbe
una rivelazione nel momento in cui sta partendo. La ragazza aprì la bocca per due o tre volte = ci
immedesimiamo in chi guarda, lei fa il gesto di dire. Mena alla fine non dice nulla – “il cuore non le
resse” potrebbe essere incursione del lettore o il punto di vista di Alfio, quello che un osservatore
attento potrebbe notare (Verga non entra nel cuore del personaggio, quanto osserva).
Mena non dice nulla = la cosa importante è il silenzio, non le parole che si dicono. Le parole non ci
dicono che è successo. Qualsiasi altro romanziere, davanti all'addio dei due innamorati, avrebbero
usato parole effusive, i due si sarebbero detti qualcosa. Ma sarebbero state parole scontate,
prevedibili, retoriche: c'era il rischio che questa scena divenisse retorica, una scena che con le parole
fa piangere il lettore. Qui invece Verga lavora, come sempre, per sottrazione: è scrittore implicito,
non dice, c'è sempre qualcosa che non viene detto. Dietro le parole, nel pettegolezzo, si nasconde la
verità non detta con chiarezza. Dobbiamo aguzzare la vista e l'ingegno per capire le dinamiche che si
mettono in moto e lo abbiamo visto dalle situazioni del paese.
➔Verga è un autore "omertoso" = il narratore di Verga non sa tutto e dice per gesti,
ammiccamenti, mezze parole. Lui parlava di mezzetinte dei mezzi-sentimenti: lo scrittore si
ferma a metà, non dice tutto, spetta al lettore capire il resto.

A colpire nella scena d'addio è il silenzio. Ma Mena non sta zitta perché non ha niente da dire,
piuttosto è bloccata. Noi vediamo che nel blocco di Mena c'è emozione = ci restituisce ancora di più
lo stato d'animo di Mena piuttosto che se dicesse qualcosa, che non ci restituirebbe la profondità
psicologica e il pudore del personaggio, che non esterna mai i sentimenti (così come non dice a padron
'Ntoni che preferisce compare Alfio a Brasi). Da questi gesti abbiamo la psicologia del personaggio
anche implicitamente. Siamo rimasti commossi per il silenzio perché vediamo due persone che si
lasciano, sanno che non possono che lasciarsi e non c'è altra soluzione – sanno che quando Alfio
tornerà lei non vivrà nemmeno lì, non si vedranno più tutti i giorni. L'amore sta nei "buonanotte", che
diventavano necessari per istituire quotidianità tra i personaggi.

Romanzo di parole = in cui si parla continuamente, c'è pochissima narrazione didascalica della
scena, fotografie, paesaggi. Non abbiamo visto dettagli della piazza, non conosciamo la sua forma
geometrica; sappiamo che c'è un nespolo vicino alla casa dei Malavoglia ma non sappiamo com'è,
non ci viene dato un disegno del paesaggio quanto piuttosto le parole. Non ci dice niente perché tutti
a Trezza lo sanno, fa come se tutti capissero. Aci Trezza non va descritta perché tutti la conoscono,
va piuttosto descritto il bel mondo di Napoli dove si mangiano le pizze, le donne vestono eleganti e
così via. I dettagli vengono solo segnalati → le stelle lucenti sono un dettaglio, ma non descrizione,
per esempio. Nel romanzo prevalgono le parole, c'è anche indiretto libero, ci sono parole parlate,
prevale l'oralità.

➔Ci sono i silenzi che a volte dicono più delle parole.

Ci accorgiamo dei silenti perché essi rallentano → il racconto rimane in sospensione adesso, e questo
avviene alla fine di un capitolo che è stato pieno di parole. C'è un capitolo dedicato alle parole, ma
quando volgiamo alla sera quando tutti tacciono, e loro (i protagonisti di questo passo) tacciono
perché sono timidi, hanno pudore a usare parole.
Ad esempio è Nunziata a dire che la casa rimarrà chiusa, ci sono ancora gli occhi del paese. Lo dice
a Mena, che probabilmente lo ha già notato ma che non osa dirlo perché più coinvolta.

 La sola che non gli strinse la mano fu Sant’Agata = addirittura è l'unica che non lo saluta,
quasi che tutto avvenga per negazione nel romanzo: con l'addio si negano le parole e anche
il saluto, che è implicito.
 Siete là anche voi, comare Mena? = Mena non dice nulla, guarda, ma Alfio si è reso conto
che lei c'è. Ella disse di sì col capo = Lei dice di sì con un gesto, non parla (amplifica
elemento di silenzio).
 Nunziata intanto era corsa a schiumare la pentola che riversava, da quella brava massaia
che era = Anche Nunziata si è allontanata (la scena si è ristretta ulteriormente).
Il saluto che Mena gli ha negato in pubblico avviene ora in privato, sempre sulla strada ma quando
non c'è nessuno.

 Con il pianto nella gola = unica rivelazione del fatto che a Mena dispiaccia della partenza di
Alfio. Il saluto detto con le lacrime agli occhi vuole dire tanto anche se il romanzo non dice.

Verga si rifiuta di raccontare troppo, rifiuta ora questo stile e fa parlare la situazione senza far parlare.
 Perché ci andate alla Bicocca se vi è la malaria? = Mena ha registrato le parole della Longa,
e ora chiede questo ad Alfio.
 Se avessi potuto fare quel che volevo io, lo sapete cosa avrei fatto! = il romanzo è allusivo →
dice che sa che avrebbe fatto, e noi lo capiamo.
 Occhi lucenti = perché ha pianto.

Le ultimissime parole sono più esplicite: è il momento in cui dice addio. Non dice che la ama, ma che
la ha in cuore da un pezzo.
 Alfio è come l'asino, che va dove il mondo lo fa andare, non è arbitro del proprio destino –
spesso nel romanzo ci sono paragone con il mondo animale.
 Come una spina qui dentro = non dice che lo ama ma che il cuore è chiuso nella casa. C'è
linguaggio allusivo da cogliere, anche quando non c'è nessun altro.
 Porte di palmento = pesanti, che non si possono più riaprire o che è difficile aprire.
 Ma così vuol Dio = espressione siciliana.

Idillio o anti-idillio
A partire è Alfio ma se ne va Mena, quasi come se l'addio riguardasse entrambi. Mena non aspetta
che Alfio parta ma è lei la prima ad andarsene, tutto questo quando c'è il chiaro di luna, che era stato
già segnalato qualche rigo prima. Rimanda al topos romantico dell'idillio amoroso. Ma è un idillio?
Questo è strano perché tragico, di solito idillio non è addio ma incontro, momento in cui due
innamorati si incontrano, qui c'è il silenzio, c'è la solitudine dei protagonisti ma è quello in cui si
dicono che forse non si vedranno mai più, in parte si dicono che si ameranno ancora (“in cuore vi ci
ho da un pezzo, e vi porto meco alla Bicocca, e dappertutto ove andrò” e “ed ora che vedrò sempre
quella finestra chiusa, mi parrà d’avere chiuso anche il cuore, e d’averci chiusa sopra quella finestra,
pesante come una porta di palmento”) ma è come se non si potranno amare più. È un addio, non
corrisponde esattamente al modello dell'idillio: è idillio e anti-idillio allo stesso tempo perché
manca la felicità dell'idillio amoroso.
Partenze = sempre tragiche in questo romanzo, c'è sempre un addio – ricordiamo che ci sono dei
ritorni, come quello di ‘Ntoni, e anche Alfio torna. Questo è alla fine del capitolo 8, centrale nel
romanzo, infatti esso ha 7 capitoli prima e 7 dopo. Il topos dell'addio appartiene alla letteratura,
appartiene anche ai Promessi Sposi.

L’addio nei Promessi Sposi


Anche nell’addio ai monti manca qualcosa: non c'è solo Lucia, che immagina di dire addio ai monti,
al paese natio, come se andasse in esilio dalla sua terra, ma c’è anche il saluto tra i due promessi sposi.
Quello che succede subito dopo è l’addio tra Renzo e Lucia, altrettanto tragico come quello tra Alfio
e Mena (forse quello dei Malavoglia lo è ancora di più perché mentre Mena va in sposa a Brasi, Renzo
e Lucia possono ancora sperare che la situazione migliori – siamo nella parte in cui Lucia deve andare
dalla monaca di Monza mentre Renzo in un convento, raccomandato da Fra Cristoforo). Tuttavia,
nemmeno qui c'è addio tradizionale, anzi, esso non ci viene raccontato, viene eclissato da Manzoni.
Verga lo racconta, mentre Manzoni fa l'addio al paese e poi i due si separano, e null’altro c’è, non si
dicono alcuna parola.

Nella prima versione, mai pubblicata (Fermo e Lucia) l’autore aveva spiegato perché i due non si
salutano e fa intervenire il lettore, che rimprovera il narratore chiedendosi perché li ha separati così,
dopo aver detto che sono innamorati. Manzoni risponde rifiutando questo addio: sostiene che nel
romanzo non bisogni far passare troppi sentimenti, altrimenti il lettore potrebbe essere indotto alle
passioni, ai sentimenti che potrebbero diventare pericolosi (esempio: se un prete leggesse questi passi,
oppure una vecchia zitella, e così via).

Infatti, Manzoni (fortemente cattoli) non inserisce nessun momento vagamente erotico. Se nei
Malavoglia, nel passo di addio tra Mena e Alfio, anche se non c'è niente di fisico percepiamo che c'è
qualcosa di erotico (sono davanti alla casa di Alfio), nei Promessi Sposi questo non avviene mai:
Renzo e Lucia non si toccano mai, l'unico momento è quando vogliono fare matrimonio a sorpresa e
lei è titubante perché pensa non sia giusto, che sia un peccato, per cui Renzo la afferra per un braccio
(e anzi lei se ne vergognerà). Manzoni è cattolico e decide che alcuni argomenti devono rimanere
fuori dal romanzo. All’inzio, nel romanzo non si entrava mai nella camera da letto, era censurato;
mano a mano inizia ad essere presente anche questo elemento: per esempio in Cento anni, di Rovani
(degli anni 50 dell’Ottocento) troviamo questo elemento, come del resto anche in Confessioni d’un
italiano di Nievo.

Per Manzoni questo va evitato perché non bisogna suggerire al lettore di imitare i personaggi
(romanzo = educa). Il romanzo come genere letterario nasce come letteratura amorosa → la storia
tipica è la storia d'amore. In origine quasi tutti i romanzi hanno come tema una vicenda sentimentale,
poi la cosa si evolve.

➔ Nei Promessi Sposi c'è una distanza, si percepisce una vicenda lontano da questi aspetti.
CAPITOLO 9
Né i Malavoglia, né alcun altro in paese sapevano di quel che stavano almanaccando Piedipapera
collo zio Crocifisso. Il giorno di Pasqua padron ‘Ntoni prese quelle cento lire che ci erano nel
canterano, e si mise il giubbone nuovo per andare a portarle allo zio Crocifisso.
– Che son tutte qui? disse costui.
– Tutte non ci possono essere, zio Crocifisso; voi lo sapete quel che ci vuole a far cento lire. Ma
«meglio poco che nulla» e «chi dà acconto non è cattivo pagatore». Ora viene l’estate, e coll’aiuto
di Dio pagheremo ogni cosa.
– A me perché venite a contarmela? Sapete che non c’entro, ed è affare di compare Piedipapera.

 Quasi tutto il paese sa che l'affare non è di Piedipapera, ma evidentemente non lo sa Padron
'Ntoni.

– È tutta una cosa, perché il debito mi pare di avercelo sempre con voi, quando vi vedo.

 C'è ironia, si gioca sull'ambiguità (il debito teoricamente è di Piedipapera, nella pratica dello
zio Crocifisso ma padron ‘Ntoni non lo sa, eppure sente di dover pagare a lui).

A voi compare Tino non vi dirà di no, per aspettare sino alla Madonna dell’Ognina.

 Madonna dell’Ognina = prima domenica di settembre, a eccezione del primo settembre.

– Queste qui non bastano per le spese! ripeteva Campana di legno, facendo saltare i denari nella
mano. Andate a dirglielo voi se vuole aspettarvi; perché non è più affar mio.
Piedipapera cominciò a bestemmiare e a buttare il berretto per terra, al solito suo, dicendo che non
aveva pane da mangiare, e non poteva aspettare nemmeno sino all’Ascensione.

 Ascensione = 40 giorni dopo Pasqua, quando il corpo di Gesù ascende al cielo.

– Sentite, compare Tino, gli diceva padron ‘Ntoni colle mani giunte come dinanzi al Signore Iddio,
se non mi volete aspettare sino a san Giovanni,

 San Giovanni = 24 giugno – data in cui si rinnovano i contratti agricoli, si compravano le


bestie per la nuova stagione.
Qui non si usano le date, siamo in un tempo premoderno quando le date sono scandite dalle feste. Il
mondo è scandito dalle feste religiose e qui Padron 'Ntoni chiede la dilazione di un anno.

ora che sto per maritare mia nipote, è meglio che mi date un colpo di coltello addirittura. – Santo
diavolone! gridò compare Tino, mi fate fare quello che non posso, maledetto sia il giorno e il
minuto in cui mi misi in quest’imbroglio! e se ne andò stracciando il berretto vecchio.

 Berretto vecchio = non strappa il berretto nuovo. È simbolo di finzione del personaggio,
recita la parte di un uomo incavolato. C'è ironia con cui Verga scrive, il berretto vecchio rivela
qualcosa della teatralità. Piedipapera finge di essere arrabbiato, c'è quindi la prossemica.
Finge qualcosa ma prova tutt'altro, se avesse avuto il berretto nuovo non lo avrebbe rotto.

Padron ‘Ntoni tornò a casa ancora pallido, e disse alla nuora: – Ce l’ho tirato, ma ho dovuto
pregarlo come Dio, – e tremava ancora il poveretto.

 Pregarlo come Dio = continua il paragone, dato che prima si era detto che aveva le mani
giunte.

Però era contento che padron Cipolla non ne sapesse nulla, e il matrimonio della nipote non andasse
in fumo.
La sera dell’Ascensione, mentre i ragazzi saltavano attorno ai falò, le comari si erano riunite di
nuovo dinanzi al ballatoio dei Malavoglia, ed era venuta anche comare Venera la Zuppidda a sentir
quello che si diceva, e a dir la sua.

 La Zuppidda va sempre a dire la sua.

Oramai come padron ‘Ntoni maritava la nipote, e la Provvidenza s’era rimessa in gambe,

 La Provvidenza è antropizzata, mentre invece spesso i personaggi vengono animalizzati.

tutti tornavano a far buon viso ai Malavoglia, che non sapevano nulla di quel che ci aveva nello
stomaco Piedipapera, nemmeno comare Grazia, sua moglie, la quale chiacchierava con comare
Maruzza quasi suo marito non ci avesse niente di male nello stomaco.
 Nello stomaco Piedipapera ha qualcosa che ci viene detto all'inizio, qualcosa che sa anche lo
zio Crocifisso e basta, e non sa nemmeno (40 giorni dopo) la moglie di questo. Non sappiamo
se la dilazione è stata ottenuta da Padron 'Ntoni, se esse è fissata per il 24 giugno o per
l'ascensione, se ha ottenuto quanto voleva. Piedipapera cova nello stomaco, rispetta
l'impressione che vuole dare di sé, uno che reagisce di pancia quando invece è estremamente
calcolatore.

‘Ntoni andava ogni sera a far quattro chiacchiere colla Barbara e le aveva confidato che il nonno
aveva detto: Prima deve maritarsi la Mena. – E dopo vengo io! – conchiuse ‘Ntoni.
La Barbara perciò aveva mandato in regalo alla Mena il vaso del basilico, tutto ornato di garofani, e
con un bel nastro rosso, che era l’invito di farsi comari;
 Comare di basilico = modo di dire siciliano.

e tutti le facevano festa a Sant’Agata, persino sua madre s’era levata il fazzoletto nero,

 Fazzoletto nero = per Bastianazzo.

perché dove ci sono sposi è di malaugurio portare il lutto; e avevano scritto anche a Luca, per dargli
la notizia che Mena si maritava. Ella sola, poveretta, non sembrava allegra come gli altri, e pareva
che il cuore le parlasse e le facesse vedere ogni cosa in nero, mentre i campi erano tutti seminati di
stelline d’oro e d’argento, e i ragazzi infilavano le ghirlande per l’Ascensione, ed ella stessa era
salita sulla scala per aiutare sua madre ad appendere le ghirlande all’uscio e alle finestre.

 Antitetisi → tra il paese che si prepara a festa e Mena che è triste, ma questo lo abbiamo già
incontrato: anche prima c'era il chiaro di luna mentre i due si dicono addio.

Mentre tutte le porte eran fiorite, soltanto quella di compar Alfio, nera e sgangherata, stava sempre
chiusa, e non c’era più nessuno che appendesse i fiori dell’Ascensione.

 Queste potrebbero essere le parole di Mena, che nota che la casa di compare Alfio è l’unica
non addobbata. La porta è nera, come è nero il cuore di Mena che è chiuso lì dentro (continua
il paragone di prima).
– Quella civetta di Sant’Agata! andava dicendo la Vespa colla schiuma alla bocca, tanto ha detto e
tanto ha fatto che ha mandato via del paese compar Alfio!

 Forse è anche per questo che Alfio se n'è andato.

Intanto a Sant’Agata le avevano messa la veste nuova, e aspettavano la festa di san Giovanni per
toglierle la spadina d’argento dalle trecce, e spartirle i capelli sulla fronte, prima d’andare in chiesa,
sicché ognuna al vederla passare diceva: – Beata lei!

 Spadina d'argento = simbolo matrimoniale. Anche Lucia mette la spadina come promessa
sposa di Renzo.
 Beata lei = è il contrario di quanto pensa Mena di sé, c'è ironia.

La mamma invece, poveretta, si sentiva dentro tutta in festa, perché la sua ragazza andava in una
casa dove non le sarebbe mancato nulla, e intanto ella era sempre in faccende a tagliare e cucire.
Padron ‘Ntoni voleva vedere anche lui, quando tornava a casa la sera, e teneva la tela e la matassa
del cotone, e ogni volta che andava alla città portava qualche cosuccia.
Il cuore tornava ad aprirsi col bel tempo, i ragazzi guadagnavano tutti, chi più chi meno, e la
Provvidenza si buscava il pane anch’essa,

 Provvidenza = come uno dei ragazzi, personificata.


e facevano il conto che coll’aiuto di Dio a san Giovanni si sarebbero cavati d’imbarazzo. Padron
Cipolla allora stava delle sere intere seduto sugli scalini della chiesa con padron ‘Ntoni, a discorrere
di quel che aveva fatto la Provvidenza. Brasi girandolava sempre per la straduccia dei Malavoglia,
col vestito nuovo; e poco dopo si seppe per tutto il paese che quella domenica comare Grazia
Piedipapera andava lei a spartire i capelli della sposa, e a levarle la spadina d’argento, perché Brasi
Cipolla era orfano della madre, e i Malavoglia avevano invitato apposta la Piedipapera per
ingraziarsi suo marito; e avevano anche invitato lo zio Crocifisso, e tutto il vicinato, e tutti gli amici
e parenti, senza risparmio.
– Io non ci vengo! borbottava lo zio Crocifisso a compare Tino, colle spalle all’olmo della piazza.

 Sempre nell'atto di non far nulla è lo zio Crocifisso, con le spalle al muro o appoggiate.

Ho mangiato troppa bile e non voglio dannarmi l’anima. Andateci voi che non ve ne importa niente,
e non si tratta della roba vostra. Ancora c’è tempo per mandare l’usciere; l’ha detto l’avvocato.
 Allo zio Crocifisso importava nella misura in cui la Vespa poteva sposare Alfio, ma che ora
se n'è andato non ha nessun interesse nel far saltare il matrimonio tra Brasi e Mena. Gli
conviene farsi pagare poco alla volta, magari con gli interessi, non gli serve la casa.

– Voi siete il padrone, e farò come dite voi. Adesso non ve ne importa più perché Alfio Mosca se ne
è andato. Ma vedrete che appena si marita Mena, egli torna qui e si piglia vostra nipote. Comare
Venera la Zuppidda faceva il diavolo perché avevano invitato comare Grazia a pettinare la sposa,
mentre sarebbe toccato a lei, che stava per diventare parente dei Malavoglia, e la sua figliuola s’era
fatta comare di basilico con la Mena, tanto che aveva fatto cucire alla Barbara in fretta e furia la
veste nuova, ché non se lo aspettava quell’affronto. ‘Ntoni ebbe un bel pregarla e scongiurarla di
non attaccarsi a quel pelo, e lasciar correre.
Comare Venera, tutta pettinata, e colle mani intrise di farina, che s’era messa apposta ad impastare
il pane, per far veder che non le importava più d’andare al convito dei Malavoglia, rispondeva: –
Avete voluto la Piedipapera? tenetevela! O lei o io! Tutte e due al mondo non possiamo starci. I
Malavoglia lo sapevano bene di aver preferito comare Grazia per amore di quei denari che
dovevano a suo marito. Adesso erano tutti una cosa con compare Tino, dopo che padron Cipolla gli
aveva fatto fare la pace con ‘Ntoni di padron ‘Ntoni nell’osteria della Santuzza, per quell’affare dei
pugni. – Gli leccano le scarpe perché gli devono quei soldi della casa! andava borbottando la
Zuppidda. – Anche a mio marito gli devono più di cinquanta lire per la Provvidenza. Domani voglio
farmeli dare. – Lasciate stare, mamma! lasciate stare! supplicava la Barbara. Ma anch’ella aveva
tanto di muso, perché non aveva potuto mettere la veste nuova, e quasi quasi si pentiva dei soldi
spesi pel basilico che aveva mandato a comare Mena; e ‘Ntoni il quale era venuto a prenderle, lo
rimandarono mogio mogio, che il giubbone nuovo gli cascava di dosso.

 Gli cascava di dosso per le spalle basse.

Madre e figlia poi stavano a guardare dal cortile, mentre infornavano il pane, la babilonia che c’era
in casa dei Malavoglia, tanto che le voci e le risate si udivano fin là, per farle arrabbiare
maggiormente.
La casa del nespolo era piena di gente, come quando era morto compare Bastianazzo;

 Il giorno di festa viene paragonato a questo giorno triste, e poi si parla di Mena.

e Mena, senza spadina d’argento e coi capelli spartiti sulla fronte, pareva tutt’altra, talché tutte le
comari le facevano ressa intorno, e non si sarebbe sentita una cannonata dal cicaleccio e dalla festa.
Piedipapera sembrava che facesse il solletico alle donne, tante ne diceva, mentre l’avvocato stava
preparando le carte, giacché a mandare l’usciere c’era tempo, aveva detto lo zio Crocifisso; persino
padron Cipolla si lasciò andare a dir delle barzellette, alle quali rideva soltanto suo figlio Brasi; e
tutti parlavano in una volta, mentre i monelli si disputavano le fave e le castagne fra le gambe della
gente.
La stessa Longa, poveretta, aveva dimenticato i suoi guai dalla contentezza; e padron ‘Ntoni, seduto
sul muricciuolo, diceva di sì col capo, e rideva tutto solo.
– Bada a non dar da bere ai tuoi calzoni, come l’altra volta, che non hanno sete, diceva al figlio
compare Cipolla; e diceva pure che si sentiva in gamba meglio della sposa e voleva ballare la fasola
con lei.

 Fasola = ballo popolare ottocentesco.

– Allora io non ho più nulla da far qui, e me ne posso andare! rispondeva Brasi il quale voleva dire
le sue barzellette anche lui, e gli seccava che lo lasciavano in un cantuccio come un minchione, e
non gli dava retta nemmeno comare Mena. – La festa si fa per comare Mena, diceva la Nunziata,
ma essa non è contenta come tutti gli altri.
Allora la cugina Anna finse che le scappasse di mano il boccale, nel quale c’era ancora più di un
quartuccio di vino, e cominciò a gridare: – Allegria! allegria! «Dove ci sono i cocci ci son feste», e
il vino che si spande è di buon augurio.
– Un altro po’ me lo versava sui calzoni anche questa volta! brontolò Brasi, il quale dacché gli era
accaduta quella disgrazia sul vestito stava guardingo.
Piedipapera s’era messo a cavalcioni sul muro, col bicchiere fra le gambe, che sembrava il padrone,
per quell’usciere che poteva mandare, e disse: – All’osteria non c’è nemmeno Rocco Spatu, oggi
tutta l’allegria è qui, e pare di essere dalla Santuzza.
– Qui è meglio assai! osservò il figlio della Locca, il quale era venuto in coda alla folla, e l’avevano
fatto entrare per dare da bere anche a lui. Dalla Santuzza se ci andate senza denari non vi danno
niente.
Piedipapera dal muro stava guardando un piccolo crocchio di persone che discorrevano fra di loro
vicino alla fontana, colla faccia seria come se fosse per cascare il mondo. Alla spezieria c’erano i
soliti sfaccendati, che si dicevano le orazioni, col giornale in mano, o si piantavano le mani sulla
faccia, chiacchierando, quasi volessero accapigliarsi; e don Giammaria rideva e ci tirava su una
presa, che si vedeva di là il piacere che gli faceva.

 Presa = tabacco da fiuto che si tira su con il naso.

C'è un passaggio di scena particolare, seguendo Piedipapera. Cosa sta succedendo alle spezierie? Ci
sono delle persone che discorrono come se fosse per star cascare il mondo. Da dove c'è una festa
come se si fosse dalla Santuzza, Piedipapera sposta lo sguardo e vede la spezierie con i soliti
sfaccendati che si dicevano le orazioni con il giornale in mano, dirsi orazioni = discutono di politica
(è metafora ironica).
– O perché non sono venuti il vicario e don Silvestro? domandò Piedipapera. – Gliel’ho detto anche
a loro, ma vuol dire che hanno da fare, rispose padron ‘Ntoni. – Son là, alla spezieria, che sembra ci
sia quello dei numeri del lotto. O cosa diavolo è successo?

 Piedipapera ci invita a pensare a cosa è successo. C'è una vecchia che si strappa i capelli come
se avesse ricevuto una cattiva notizia.

Una vecchia andava strillando per la piazza, e si strappava i capelli, quasi le avessero portata la
malanuova; e davanti alla bottega di Pizzuto c’era folla come quando casca un asino sotto il carico,
e tutti si affollano a vedere cos’è stato, talché anche le donnicciuole guardavano da lontano colla
bocca aperta senza osare d’accostarsi. – Io, per me, vado a vedere cos’è successo; disse Piedipapera,
e scese dal muro adagio adagio. In quel crocchio, invece dell’asino caduto, c’erano due soldati di
marina, col sacco in spalla e le teste fasciate, che tornavano in congedo.
Intanto si erano fermati dal barbiere a farsi dare un bicchierino d’erbabianca. Raccontavano che si
era combattuta una gran battaglia di mare, e si erano annegati dei bastimenti grandi come Aci
Trezza, carichi zeppi di soldati; insomma un mondo di cose che parevano quelli che raccontano la
storia d’Orlando e dei paladini di Francia alla Marina di Catania, e la gente stava ad ascoltare colle
orecchie tese, fitta come le mosche.

Passo significativo → la battaglia di mare è quella di Lissa. Viene così chiamata, arriva così la notizia
ad Aci Trezza. Raccontano due soldati che forse hanno partecipato alla battaglia e la gente ascolta
attentamente, paragonata a un narratore popolare che a Marina di Catania racconta di Orlando e dei
reali di Francia. Quando Verga parla dei narratori popolari pensa a una figura che esiste, ai cantastorie
siciliani. C'è la tradizione del racconto fatto in dialetto davanti ad un pubblico che si affretta per
ascoltare: gli antropologi raccoglievano notizie, c'è messa in scena del narratore, i soldati raccontano
come questi narratori.

– Il figlio di Maruzza la Longa ci era anche lui sul Re d’Italia, osservò don Silvestro, il quale si era
accostato per sentire.

 Don Silvestro è colto, non parla la lingua dei soldati. Il Re d'Italia è una delle due balestre
affondate. Prima dallo speziale forse anche lui c'era e ha letto il giornale con le informazioni.

– Ora vado a dirlo a mia moglie! saltò su mastro Turi Zuppiddu, così si persuaderà ad andarci da
comare Maruzza, ché i musi lunghi non mi piacciono, fra vicini ed amici.
Ma intanto la Longa non ne sapeva nulla, poveraccia! e rideva ed era in festa coi parenti e gli amici.

La festa spesso si rivolta in tragedia: all'apice del momento festivo si riversa nel suo contrario. Già
c'era il cuore nero di Mena che sembra non essere al centro della scena nella festa che si fa per lei, è
un oggetto, le tolgono lo spadino: non c’è lei che agisce. Questa festa, in particolare per Maruzza, si
rovescia nel suo contrario. Questa notizia avrà delle conseguenze.

Lezione 20 Aprile
I matrimoni come affari
Abbiamo visto la parte in cui si svolgono i preparativi per il matrimonio di Mena. Abbiamo assistito
alla festa per l'assunzione nella prima parte del capitolo e quasi sotto traccia continua ad essere
presente il debito con le relative proroghe. C'è poi la facciata dei Malavoglia, che presentano al paese
due matrimoni. In qualche modo lo stato dei Malavoglia sembra quasi riabilitato, sembra quasi che
non ci sia questo deficit economico che pesa sulla famiglia. I Malavoglia vengono dati in grado di
mettersi in piedi e un ruolo centrale lo svolge la casa del nespolo, che diventa la nuova dote di Mena,
e le dilazioni rispetto al pagamento consentono a Padron ‘Ntoni di presentarsi come un pater familias,
che può aspirare a un matrimonio che è quasi una premiazione sociale: Mena non avrà più da
tribolare sposando Brasi – sposando Alfio avrebbe avuto difficoltà; in più lui sarebbe stato
continuamente in viaggio, con il rischio di morire alla Bicocca, quindi lei avrebbe corso il rischio di
diventare vedova, magari con dei figli, e fare la fine della cugina Anna. Ovviamente tutti i lettori
parteggiano per Mena e Alfio, ma dobbiamo entrare nella logica di questo mondo: dobbiamo fare un
ragionamento economico e di sopravvivenza: la perdita dei lupini è ragione di sopravvivenza, sposare
Brasi è garanzia (lui non va a lavorare, ma anche se dovesse morire Mena resterebbe con dei beni; se
sposasse Alfio questa garanzia non la avverrebbe, lui ha capitale simbolico perché non è un
fannullone, lavora, potrebbe migliorare la sua condizione però non è cosa certa). Mena ha visto
compare Alfio e si è riconosciuta nelle sue fatiche, e si è innamorata di lui. In questo mondo però la
regola è che i matrimoni li gestiscono i genitori e questo appartiene a una antropologia in cui i
matrimoni sono affari, contratti, prevedono una dote che è pagamento (sarebbe un “quanto mi
dai se sposo tua figlia?”), gli affari servono per mantenere o migliorare lo status, ecco che viene fuori
il detto “ciascuno tra i pari suoi”, così c'è equilibrio nel contratto matrimoniale. Oggi non abbiamo
questa concezione, la società è mobile, si può cambiare la condizione. Invece in questo mondo piccoli
cambiamenti si possono fare con una oculata gestione delle transazioni matrimoniali. Padron 'Ntoni
non si comporta come oppressivo ma cerca di garantire un futuro alla propria famiglia, cerca di
procurare il miglior matrimonio alla nipote.

➔I sentimenti non entrano in campo, anche per altri personaggi.

La Vespa è innamorata di compare Alfio? Si vuole sposare, lei non ha bisogno dei beni di un marito
perché ne ha di propri: lo usa piuttosto per fare ingelosire lo zio Crocifisso, ma sempre con un
interesse di tipo economico, non perché sia interessata – come del resto non è innamorata di campana
di legno. Barbara è innamorata di 'Ntoni? Le piace, è un bel giovanotto, è forte (si fa valere quando
fa a botte, ed è un valore in questo tipo di mondo), ma anche Barbara sa badare all'interesse
economico. 'Ntoni è innamorato di Barbara? Ha un valore aggiunto, è bella, è corteggiata, ma non è
proprio innamorato.
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Abbiamo intravisto, attraverso lo sguardo di Piedipapera, un grande origliatore e guardone, la folla.


Lui ha anche scavalcato il muretto del cortile della casa del nespolo e si è recato in piazza a sentire, e
abbiamo visto due soldati che la folla sta ascoltando come se narrassero le storie dei reali di Francia,
di Carlomagno, di Orlando.

 Maruzza è definita poveraccia = commento del racconto, ma non un commento di Verga. Il


romanzo è piano di commenti narrativi, fatti da qualche voce, magari dal narratore.

Il soldato non finiva di chiacchierare con quelli che volevano ascoltarlo, giocando colle braccia
come un predicatore.
– Sì, c’erano anche dei siciliani;

 È forse Don Silvestro che ha domandato se c'erano siciliani. La domanda è quasi sottintesa, è
una risposta ad una domanda avvenuta magari qualche rigo prima.

ce n’erano di tutti i paesi.

● Il lettore si chiede: anche di Aci Trezza?

Del resto, sapete, quando suona la generale nelle batterie, non si sente più né scia né vossia, e le
carabine le fanno parlar tutti allo stesso modo.

Prima con il parlato si distinguevano gli uni dagli altri, poi non più, quando suona la generale
dell'ufficiale. C'è un racconto di Federico de Roberto, La paura, che è un racconto di guerra nelle
trincee della prima guerra mondiale: lì non succede quasi nulla finché non c'è scontro militare.
Ognuno parla il dialetto del suo territorio: questa era l'Italia, era fatta da tante persone ma ognuno
parlava il proprio dialetto. In seguito c'è stata la scolarizzazione, ma prima nessuno sa leggere e
scrivere se non i colti del paese (i ricchi nemmeno, lo zio Crocifisso è analfabeta).
Bravi giovanotti tutti! e con del fegato sotto la camicia. Sentite, quando si è visto quello che hanno
veduto questi occhi, e come ci stavano quei ragazzi a fare il loro dovere, per la Madonna! questo
cappello qui lo si può portare sull’orecchio!

 Quei soldati potrebbero portare il cappello sul serio, perché hanno veramente dimostrato
fegato. Lo porta 'Ntoni per fare il bullo, ma lo avrebbe potuto portare Luca, che invece non lo
ha mai fatto (lui ha dimostrato coraggio).

Il giovanotto aveva gli occhi lustri, ma diceva che non era nulla, ed era perché aveva bevuto.

 Si commuove perché rievoca qualcosa che ha visto.

– Si chiamava il Re d’Italia, un bastimento come non ce n’erano altri, colla corazza, vuol dire come
chi dicesse voi altre donne che avete il busto, e questo busto fosse di ferro, che potrebbero spararvi
addosso una cannonata senza farvi nulla. È andato a fondo in un momento, e non l’abbiamo visto
più, in mezzo al fumo, un fumo come se ci fossero state venti fornaci di mattone, lo sapete?

 Questo soldato si trovava su un altro bastimento, che si è salvato.

– A Catania c’era una casa del diavolo! aggiunse lo speziale.


– La gente si affollava attorno a quelli che leggevano i giornali, che pareva una festa.
– I giornali son tutte menzogne stampate! sentenziò don Giammaria.

 Non smettono di litigare nemmeno in questa circostanza.

– Dicono che è stato un brutto affare; abbiamo perso una gran battaglia, disse don Silvestro.
Padron Cipolla era accorso anche lui a vedere cos’era quella folla.
– Voi ci credete? sogghignò egli alfine. Son chiacchiere per chiappare il soldo del giornale.
– Se lo dicono tutti che abbiamo perso! – Che cosa? disse lo zio Crocifisso mettendosi la mano
dietro l’orecchio.
– Una battaglia.
– Chi l’ha persa?
– Io, voi, tutti insomma, l’Italia; disse lo speziale.
– Io non ho perso nulla! rispose Campana di legno
 Qui c'è il patriottismo dello zio Crocifisso, forse anche quello di Aci Trezza (che è nullo).

stringendosi nelle spalle; adesso è affare di compare Piedipapera e ci penserà lui;

 Lo zio Crocifisso ha perso i lupini, non la battaglia, come gli italiani.


 Al più ha perso Piedipapera = continua la finzione.

e guardava la casa del nespolo, dove facevano baldoria.

 A lui dà fastidio che festeggino.

– Sapete com’è? conchiuse padron Cipolla, è come quando il comune di Aci Trezza litigava pel
territorio col Comune di Aci Castello. Cosa ve n’entrava in tasca, a voi e a me?
– Ve n’entra! esclamò lo speziale tutto rosso. Ve n’entra… che siete tante bestie!…
– Il guaio è per tante povere mamme! s’arrischiò a dire qualcheduno; lo zio Crocifisso che non era
mamma alzò le spalle.

 Non ci viene detto per che mamma era il guaio, ma iniziamo a pensare a Maruzza che presto
subirà il passaggio improvviso da contentezza a tristezza (già si era fatto riferimento a lei).

– Ve lo dico io in due parole com’è, raccontava intanto l’altro soldato. È come all’osteria, allorché
ci si scalda la testa, e volano i piatti e i bicchieri in mezzo al fumo ed alle grida. L’avete visto? Tale
e quale! Dapprincipio, quando state sull’impagliettatura colla carabina in pugno,

 In posizione di combattimento, riparati dietro la nave.

in quel gran silenzio, non sentite altro che il rumore della macchina, e vi pare che quel punf! punf!
ve lo facciano dentro lo stomaco: null’altro.

 Dentro lo stomaco perché c'è tensione, e il cuore batte forte.

Poi, alla prima cannonata, e come incomincia il parapiglia, vi vien voglia di ballare anche voi, che
non vi terrebbero le catene, come quando suona il violino all’osteria, dopo che avete mangiato e
bevuto, e allungate la carabina dappertutto dove vedete un po’ di cristiano, in mezzo al fumo. In
terra è tutt’altra cosa. Un bersagliere che tornava con noi a Messina ci diceva che non si può stare al
pinf panf delle fucilate senza sentirsi pizzicar le gambe dalla voglia di buttarsi avanti a testa bassa.
Ma i bersaglieri non sono marinari, e non sanno come si fa a stare nel sartiame col piede fermo sulla
corda e la mano sicura al grilletto,

 Sartiame = corde delle navi a cui si aggrappavano i soldati e nel frattempo dovevano sparare.

malgrado il rollio del bastimento, e mentre i compagni vi fioccano d’attorno come pere fradicie.
– Per la madonna! esclamò Rocco Spatu. Avrei voluto esserci anch’io a far quattro pugni!

 Rocco Spatu è fannullone, ma quando c'è da fare a pugni è sempre pronto.

Tutti gli altri stavano ad ascoltare con tanto d’occhi aperti. L’altro giovanotto poi raccontò pure in
qual modo era saltata in aria la Palestro,

 Palestro = altro bastimento.

– la quale ardeva come una catasta di legna, quando ci passò vicino, e le fiamme salivano alte sino
alla penna di trinchetto. Tutti al loro posto però, quei ragazzi, nelle batterie o sul bastingaggio. Il
nostro comandante domandò se avevano bisogno di nulla.
– No, grazie tante, risposero. Poi passò a babordo e non si vide più.
– Questa di morire arrostito non mi piacerebbe, conchiuse Spatu; ma pei pugni ci sto. E la Santuzza
come tornò all’osteria gli disse: – Chiamateli qua, quei poveretti, che devono aver sete, dopo tanta
strada che hanno fatto, e ci vuole un bicchiere di vino schietto. Quel Pizzuto avvelena la gente colla
sua erbabianca, e non va a confessarsene. Certuni la coscienza l’hanno dietro le spalle, poveretti
loro!
– A me mi sembrano tanti pazzi, costoro! diceva padron Cipolla soffiandosi il naso adagio adagio.
Che vi fareste ammazzare voi quando il re vi dicesse: fatti ammazzare per conto mio?
– Poveracci, non ci hanno colpa! osservava don Silvestro. Devono farlo per forza, perché dietro
ogni soldato ci sta un caporale col fucile carico, e non ha a far altro che star a vedere se il soldato
vuol scappare, e se il soldato vuol scappare il caporale gli tira addosso peggio di un beccafico.

 Ecco chiarito perché fanno gli eroi (c’è qualcuno che li tiene in riga).

– Ah! così va bene! Ma è una bricconata bell’e buona!


Abbiamo la descrizione attraverso i due soldati e i commenti su com'è andata la famosa battaglia di
Lissa, tema di grandissima attualità, molto nota e infatti tuttora viene evocata nei libri di storia quando
si fa riferimento alla guerra di indipendenza (iniziata nel 1861 – la battaglia di Lissa = 20 Luglio
1866). All'epoca, quando Verga pubblica il romanzo (1881), era una sconfitta recente, di 15 anni
prima.
– Da un lato ci sono i soldati che raccontano la storia come a Catania si potrebbe raccontare di
Orlando, come se i soldati fossero dei paladini;
– Dall’altro ci sono i commenti di Padron Cipolla e di Don Silvestro, che demistificano il
patriottismo (dicendo che sono pazzi a morire al posto del re e che in realtà avrebbero paura,
ma hanno il generale pronto a sparare loro se dovessero disobbedire).

C’è infatti spesso l’idea di bambini-eroi, i valori della patria, che sono anche valori militari oltre che
di sofferenza. Spesso siamo abituati a pensare a questi soldati un po’ come ce li racconta De Amicis,
coraggiosi, ma non è così, probabilmente hanno avuto paura.

➔Qui invece ci chiediamo se questi personaggi di Aci Trezza sarebbero capaci di combattere
a Lissa: lo zio Crocifisso si sarebbe nascosto, Rocco Spatu dice che per picchiare era pronto
ma per finire bruciato in quel modo no di certo, è uno sbruffone che sarebbe partito alla
baraonda, come molti altri di quel mondo contadino.

Ce lo fa vedere anche de Roberto nel racconto La Paura, come di fronte alla concretezza della
morte in guerra il soldato non può mostrare coraggio, non c'è sacrificio possibile.

 È una bricconata bella e buona è il commento finale.

Tutta la sera si rise e si bevette nel cortile dei Malavoglia,

 Cambio di scena = ora si beve anche da Vanni Pizzuto è all'osteria, come se ci fossero tre
luoghi di bevuta.

con un bel chiaro di luna;

 Il chiaro di luna non è mai positivo

e sul tardi poi, quando tutti erano stanchi, e ruminavano lentamente le fave abbrustolite,
 Ruminavano = verbo usato per i buoi

e alcuni anche cantarellavano sottovoce, colle spalle al muro, vennero a raccontare la storia che
avevano portato in paese i due congedati. Padron Fortunato se n’era andato di buon’ora, e aveva
condotto via Brasi col vestito nuovo.

Dai movimenti capiamo cos'è successo, i Malavoglia sono impegnati e non sono andati a vedere che
è successo. Sono gli attori principali della casa. Ma ad un certo punto arriva la notizia, e cosa succede?
La reazione di padron Fortunato è decisiva. Padron Cipolla conduce via il figlio di buon ora, quando
invece sarebbero dovuti andar via all'ultimo, essendo coprotagonista della festa, parte del matrimonio.
Con il suo andare via si porta via la festa e si porta via il matrimonio: è un gesto che suggerisce
che il racconto, se viene percepito nei singoli dettagli, anticipa. Noi lettori non sappiamo se Luca è
morto, ma nel dubbio padron Cipolla è andato via presto, perché forse il matrimonio potrebbe saltare.
Se Luca è morto c'è una persona in meno che aiuta la famiglia. Per capire bene le implicazioni però
dobbiamo andare avanti.

➔È anomalia che lui vada via presto, a meno che non ci sia motivazione, qui non data.

– Quei poveri Malavoglia, diceva incontrando sulla piazza Campana di legno, Dio gliela mandi
buona! Hanno la iettatura addosso!
 È il commento di padron Cipolla.

Lo zio Crocifisso stava zitto e si grattava la testa.

 Si gratta la testa perché pensa.

Lui non c’entrava più, se n’era lavate le mani. Ora era affare di Piedipapera; ma gli dispiaceva, in
coscienza.
Il giorno dopo cominciò a correre la voce che nel mare verso Trieste ci era stato un combattimento
tra i bastimenti nostri e quelli dei nemici,

➔Chi sono i nemici ad Aci Trezza non si sa, non si sa che ci sono gli austriaci.

che nessuno sapeva nemmeno chi fossero, ed era morta molta gente; chi raccontava la cosa in un
modo e chi in un altro, a pezzi e bocconi, masticando le parole. Le vicine venivano colle mani sotto
il grembiule a domandare se comare Maruzza ci avesse il suo Luca laggiù, e stavano a guardarla
con tanto d’occhi prima d’andarsene.
 Le comari vanno a curiosare, un po' come quando Bastianazzo era in mare.

La povera donna cominciava a star sempre sulla porta, come ogni volta che succedeva una
disgrazia, voltando la testa di qua e di là, da un capo all’altro della via, quasi aspettasse più presto
del solito il suocero e i ragazzi dal mare. Le vicine le domandavano pure se Luca avesse scritto, o
era molto che non riceveva lettera di lui. – Davvero ella non ci aveva pensato alla lettera; e tutta la
notte non poté chiudere occhio, e aveva sempre la testa là, nel mare verso Trieste, dov’era successa
quella ruina;

 Ruina = disastro, rovina.

e vedeva sempre suo figlio, pallido e immobile, che la guardava con certi occhioni sbarrati e lucenti,
e diceva sempre di sì, come quando l’avevano mandato a fare il soldato – talché sentiva anche lei
una sete, un’arsura da non dirsi.

 Ha sete come immaginava che abbia sete Luca.

– In mezzo a tutte le storie che correvano pel villaggio, e che erano venuti a raccontargliele, le era
rimasto in mente di uno di quei marinari, che l’avevano pescato dopo dodici ore, quando stavano
per mangiarselo i pescicani, e in mezzo a tutta quell’acqua moriva di sete. Allora la Longa, come
pensava a quell’uomo che moriva di sete in mezzo a tutta quell’acqua, non poteva stare dall’andare
ad attaccarsi alla brocca, quasi ce l’avesse avuta dentro di sé quell’arsura, e nel buio spalancava gli
occhi, dove ci aveva sempre stampato quel cristiano.

➔Il racconto della reazione della Longa avviene tramite le immagini impresse nella sua
memoria e i gesti che ci fanno capire la partecipazione a quello che potrebbe essere successo
al figlio.

Coll’andare dei giorni però, nessuno parlava più di quello che era successo; ma come la Longa non
vedeva spuntare la lettera, non aveva testa né di lavorare né di stare in casa; era sempre in giro a
chiacchierare di porta in porta, quasi andasse cercando quel che voleva sapere. – Avete visto una
gatta quando ha perso i suoi gattini? dicevano le vicine. La lettera non veniva però. Anche padron
‘Ntoni non s’imbarcava più e stava sempre attaccato alle gonnelle della nuora come un cagnolino.
Alcuni gli dicevano: – Andate a Catania che è paese grosso, e qualcosa sapranno dirvi.

 Catania = chiamato paese grosso.


Nel paese grosso il povero vecchio si sentiva perso peggio del trovarsi in mare di notte, e senza
sapere dove drizzare il timone. Infine gli fecero la carità di dirgli che andasse dal capitano del porto,
giacché le notizie doveva saperle lui. Colà, dopo averlo rimandato per un pezzo da Erode a Pilato,

 Da Erode a Pilato è modo di dire.

si misero a sfogliare certi libracci e a cercare col dito sulla lista dei morti. Allorché arrivarono ad un
nome, la Longa che non aveva ben udito, perché le fischiavano gli orecchi, e ascoltava bianca come
quelle cartacce, sdrucciolò pian piano per terra, mezzo morta.

 La Longa si identifica in quelle carte, è bianca come loro.


 Sdrucciolare = cadere lento per terra.

Che Luca è morto non ci viene detto, ma ci viene fatto vedere che l'ufficiale scorre tra le carte e che
la Longa si accascia a terra lentamente.

– Son più di quaranta giorni – conchiuse l’impiegato, chiudendo il registro. Fu a Lissa; che non lo
sapevate ancora?

L’implicito
Il narratore non dice che è morto, dice che era 40 giorni fa a Lissa: la parola decisiva rimane quasi
nascosta. La strategia di lasciare intuire al lettore senza esplicitare è utile per evitare la retorica,
che è sempre data dalle parole esplicite. Quando si devono raccontare cose di massima tensione si
rischia di cadere nel retorico. Anche facendoci vedere l'immagine di quel marinaio in mare che muore
di sete capiamo lo stato d'animo di Maruzza.

➔Verga stesso dice che la sua tecnica è quella del “di sbieco”, le cose non sono mai messe
di fronte, ci giriamo intorno.

Sono arrivati i soldati, hanno divagato fino al giorno dopo, arrivano tante notizie frastagliate, poi
apprendiamo di Maruzza che non dorme, assistiamo alle altre comari che chiedono. Dopo un indugio
la famiglia si reca a Catania per chiedere informazioni: sono diverse le tappe attraverso cui la morte
di Luca giunge ad Aci Trezza.

La Longa la portarono a casa su di un carro, e fu malata per alcuni giorni. D’allora in poi fu presa di
una gran devozione per l’Addolorata che c’è sull’altare della chiesetta, e le pareva che quel corpo
lungo e disteso sulle ginocchia della madre
 La statua della Madonna addolorata raffigura Maria con il corpo di Cristo morto.

colle costole nere e i ginocchi rossi di sangue, fosse il ritratto del suo Luca, e si sentiva fitte nel
cuore tutte quelle spade d’argento che ci aveva la Madonna. Ogni sera le donnicciuole, quando
andavano a prendersi la benedizione, e compare Cirino faceva risuonare le chiavi prima di chiudere,
la vedevano sempre lì, a quel posto, accasciata sui ginocchi, e la chiamavano anche lei la madre
addolorata

➔Ecco come nascono i soprannomi = Maruzza diventa madre addolorata. Verga non solo
attribuisce nomignoli ma a volte ci fa vedere anche le modalità con cui avvengono i processi
di denominazione.

– Ha ragione – dicevano nel paese. – Luca sarebbe tornato fra breve, e i suoi trenta soldi al giorno
se li sarebbe guadagnati. «A nave rotta ogni vento è contrario».

 Le voci del paese pronunciavano dei proverbi.

Avete visto padron ‘Ntoni? aggiungeva Piedipapera; dopo la disgrazia di suo nipote sembra un gufo
tale e quale. – Adesso la casa del nespolo fa acqua davvero da tutte le parti,

 La casa del nespolo è diventata una barca, fa acqua da tutte le parti.

come una scarpa rotta, e ogni galantuomo bisogna che pensi ai suoi interessi. La Zuppidda era
sempre con tanto di muso, e borbottava che ora tutta la famiglia rimaneva sulle braccia di ‘Ntoni!
Questa volta una ragazza ci penserà prima di pigliarselo per marito.
– Cosa ci hai con quel povero giovane? domandava mastro Turi.
– Voi tacete, ché non sapete nulla; gli gridava la moglie. I pasticci non mi piacciono! Andate a
lavorare che non sono affari vostri – e lo mandava fuori dell’uscio colle braccia penzoloni e quella
malabestia di dieci rotoli in mano.

 Piedipapera minaccia di pensare ai suoi interessi.

La prima conseguenza della morte di Luca è che tutta la famiglia rimarrà sulle braccia di 'Ntoni: se si
sposa con Barbara dovrà mantenere anche i Malavoglia oltre che la nuova famiglia. Le braccia sono
denaro per i Malavoglia, 'Ntoni non può non pensare alla famiglia di origine.
 Gli gridava la moglie = Mastro Turi Zuppiddu è un po' come Grazia Piedipapera rispetto al
marito = una parte della coppia è cattiva, l'altra è buona. Qui chi comanda è la Zuppidda (nei
Malavoglia decide il matrimonio Padron 'Ntoni, non Maruzza, invece per i Piedipapera è la
moglie a comandare e non il marito).
 Malabestia di dieci rotoli in mano = lo strumento di lavoro, pericoloso, diventa innocuo
davanti alla moglie.

Barbara, seduta sul parapetto del terrazzo, a strappare le foglioline secche dei garofani, colla bocca
stretta anche lei, faceva cascare nel discorso che «maritati e muli vogliono star soli» e che «fra
suocera e nuora ci si sta in malora».

 Barbara si siede sul parapetto del terrazzo, lei è sempre esposta più del dovuto.

Cosa vogliono dire i due proverbi – «maritati e muli vogliono star soli» e «fra suocera e nuora ci si
sta in malora» – dal punto di vista di Barbara? Lei non vuole stare con un marito e una suocera, non
vuole che 'Ntoni abbia due famiglie, la nuova e la vecchia. Maritati e muli devono stare soli = devono
stare da soli, non con la vecchia famiglia.

– Quando Mena si sarà maritata, rispondeva ‘Ntoni, il nonno ci darà la camera di sopra.

 'Ntoni invece dice che staranno alla casa del nespolo. Lei invece non ci vuole stare nella stanza
dei colombi: la stanza più in alto era quella meno nobile.

– Io non ci sono avvezza a star nella camera di sopra, come i colombi! tagliava corto la Barbara;
tanto che suo padre, ch’era suo padre! diceva a ‘Ntoni, guardandosi attorno, mentre se ne andavano
per la straduccia: – Verrà tutta sua madre, la Barbara; pensa a non farti mettere il basto da principio,
se no ti succede come a me. Però comare Venera aveva dichiarato: – Prima che mia figlia vada a
dormire nella stanza dei colombi bisogna sapere a chi resta la casa, e voglio stare a vedere dove
finisce questo affare dei lupini.
Andava a finire che Piedipapera stavolta voleva essere pagato, santo diavolone! San Giovanni era
arrivato, e i Malavoglia tornavano a parlare di dare degli acconti, perché non avevano tutti i denari,
e speravano di raggranellare la somma alla raccolta delle ulive. Lui se l’era levati di bocca quei
soldi, e non aveva pane da mangiare, com’è vero Dio! non poteva campare di vento sino alla
raccolta delle ulive.
– A me mi dispiace, padron ‘Ntoni; gli aveva detto: ma che volete? Bisogna che pensi ai miei
interessi. San Giuseppe prima fece la sua barba e poi quella di tutti gli altri.
 Raccolta delle ulive = tra settembre e novembre.
 A me mi = Verga lo usa perché sono le parole di Piedipapera. I primi critici di Verga
obiettarono che lui scrivesse male.
 San Giuseppe prima fece la sua barba e poi quella di tutti gli altri = è un proverbio popolare
che sta a significare che prima bisogna badare ai propri interessi.

– Presto compie l’anno! aggiungeva lo zio Crocifisso, quand’era solo a brontolare con compare
Tino – e non si è visto un grano d’interessi – quelle duecento lire basteranno appena per le spese.
Vedrete che al tempo delle ulive vi diranno di aspettarli sino a Natale, e poi sino a Pasqua. Così
vanno in rovina le case. Ma io la roba mia l’ho fatta col sudore della fronte. Adesso uno è in
paradiso, l’altro vuole la Zuppidda; non possono menare innanzi quella barca rotta, e cercano di
maritare la ragazza. Costoro non pensano ad altro che a maritarsi; hanno la rabbia, come mia nipote
la Vespa. Adesso che Mena si marita, vedrete che compare Mosca torna qui, per chiapparsi la
chiusa della Vespa.

 Costoro non pensano ad altro che a maritarsi = maritarsi è l'unica cosa a cui non pensa lo zio
Crocifisso, e non è un caso che sia lui a pronunciare queste parole.
 Come mia nipote la Vespa = Anche la Vespa non pensa ad altro che a maritarsi.

In conclusione se la prendevano coll’avvocato, il quale non finiva mai di scrivere le sue carte prima
di mandare l’usciere

Il pignoramento della casa e la perdita del capitale economico e simbolico


Hanno deciso di mandare l’usciere: non ci sono quindi altre vie d'azione per i Malavoglia ma non ci
viene detto esplicitamente, piuttosto il narratore si concentra su altro, e infatti ci dice che se la
prendono con l'avvocato.

– Ci sarà stato padron ‘Ntoni a dirgli di andare adagio; soggiungeva Piedipapera; con un rotolo di
pesce se ne comprano dieci di avvocati.

 Padron 'Ntoni ora viene accusato di comprarsi l'avvocato, lui che invece prima non gli aveva
dato retta.

Stavolta egli l’aveva rotta sul serio coi Malavoglia, perché la Zuppidda era andata a togliere la roba
di comare Grazia dalla sponda del lavatoio, e ci aveva messa la sua: di quelle soperchierie che fanno
montare la mosca al naso; la Zuppidda si fidava perché le dava di spalla quel cetriolo di ‘Ntoni
Malavoglia, il quale faceva il bravaccio.

 La Zuppidda la difendeva 'Ntoni.


Una manica di carogne, quei Malavoglia, e non voleva vederli più nel battesimo porco che
quell’altro porco di don Giammaria gli aveva messo in fronte.

 Battesimo porco = non li voleva vedere in fronte, che è dove si battesimano le persone.

Le carte bollate allora cominciarono a piovere, e Piedipapera diceva che l’avvocato non doveva
esser rimasto contento del regalo di padron ‘Ntoni per lasciarsi comprare, e questo provava che
razza di stitici essi fossero; se ci era da fidarsi quando promettevano che avrebbero pagato.

 Statici = tirchi.

Padron ‘Ntoni tornò a correre dal segretario e dall’avvocato Scipioni; ma questi gli rideva sul naso,
e gli diceva che «chi è minchione se ne sta a casa», che non doveva lasciarvi mettere la mano alla
nuora, e poiché aveva fatto il pasticcio se lo mangiasse. «Guai a chi casca per chiamare aiuto!».
– Sentite a me, gli suggerì don Silvestro, piuttosto dategli la casa, se no se ne va in spese perfino la
Provvidenza e i capelli che ci avete in testa; e ci perdete anche le vostre giornate, coll’andare e
venire dall’avvocato. – Se ci date la casa colle buone, gli diceva Piedipapera, vi lasceremo la
Provvidenza, che potrete sempre guadagnarvi il pane, e resterete padroni, e non verrà l’usciere colla
carta bollata. Compare Tino non aveva fiele in corpo, e andava a parlare a padron ‘Ntoni come se
non fosse fatto suo, passandogli il braccio attorno al collo, e gli diceva: – Scusatemi, fratello mio, a
me mi dispiace più di voi, di cacciarvi fuori dalla vostra casa, ma che volete? sono un povero
diavolo; quelle cinquecento lire me le son levate dalla bocca, e san Giuseppe prima fece la sua
barba. Fossi ricco come lo zio Crocifisso non ve ne parlerei nemmeno, in coscienza mia!

 L'avvocato è sempre quello, Scipioni. Costui gli ricorda che non avrebbe perso la casa se
Maruzza non avesse messo la mano.
 Compare Tino parla come se non fosse fatto suo = perché non lo è di fatto.
 E san Giuseppe prima fece la sua barba = ritorna il ritornello di San Giuseppe.

Il povero vecchio non aveva il coraggio di dire alla nuora che dovevano andarsene colle buone dalla
casa del nespolo, dopo tanto tempo che ci erano stati, e pareva che fosse come andarsene dal paese,
espatriare, o come quelli che erano partiti per ritornare, e non erano tornati più, che ancora c’era lì il
letto di Luca, e il chiodo dove Bastianazzo appendeva il giubbone. Ma infine bisognava sgomberare
con tutte quelle povere masserizie, e levarle dal loro posto, che ognuna lasciava il segno dov’era
stata, e la casa senza di esse non sembrava più quella. La roba la trasportarono di notte, nella
casuccia del beccaio che avevano presa in affitto, come se non si sapesse in paese che la casa del
nespolo oramai era di Piedipapera, e loro dovevano sgomberarla, ma almeno nessuno li vedeva
colla roba in collo.
 Dire alla nuora che dovevano andarsene = bisogna dire anche a Maruzza che devono
andarsene → ecco un’altra partenza, come se n'è andato compare Alfio prima, ora i
Malavoglia devono partire.
 Ognuna lasciava il segno dov’era stata = toglievano i mobili e restava il segno.

➔Il trasloco avviene di notte perché è elemento del capitale simbolico. Se nessuno li vede è
come se se ne rendessero conto di meno.

Quando il vecchio staccava un chiodo, o toglieva da un cantuccio un deschetto che soleva star lì di
casa, faceva una scrollatina di capo. Poi si misero a sedere sui pagliericci ch’erano ammonticchiati
nel mezzo della ra, per riposarsi un po’, e guardavano di qua e di là se avessero dimenticato qualche
cosa; però il nonno si alzò tosto ed uscì nel cortile, all’aria aperta. Ma anche lì c’era della paglia
sparsa per ogni dove, dei cocci di stoviglie, delle nasse sfasciate, e in un canto il nespolo, e la vite in
pampini sull’uscio.

Nel cortile c'è una sorta di casa rotta, ci sono i cocci delle stoviglie e gli strumenti del pescatore
sfasciati. Non ci è mai stato detto che il cortile dei Malavoglia è disordinato, pieno di cose rotte.
Questo è simbolo della barca che fa acqua da tutte le parti, abbiamo gli oggetti rotti.

– Andiamo via! diceva egli. Andiamo via, ragazzi. Tanto, oggi o domani!… e non si muoveva.

È simile a compare Alfio che dice che doveva andarsene ma non si muoveva. Lo ritroveremo anche
con 'Ntoni, nell'ultimo capitolo, al momento della partenza.

➔ Non vuole andarsene per questo non si muove si ferma a guardare perché vorrebbe rimanere.
Il personaggio dice che devono andare ma con i gesti fa intendere ciò che vorrebbe ma può avere.

Maruzza guardava la porta del cortile dalla quale erano usciti Luca e Bastianazzo, e la
stradicciuola per la quale il figlio suo se ne era andato coi calzoni rimboccati, mentre
pioveva, e non l’aveva visto più sotto il paracqua d’incerata. Anche la finestra di compare
Alfio Mosca era chiusa, e la vite pendeva dal muro del cortile che ognuno passando ci dava
una strappata. Ciascuno aveva qualche cosa da guardare in quella casa, e il vecchio,
nell’andarsene posò di nascosto la mano sulla porta sconquassata, dove lo zio Crocifisso
aveva detto che ci sarebbero voluti due chiodi e un bel pezzo di legno.

 Acqua = sembra essere il simbolo di Luca, che se n'è andato con la pioggia, è morto in mare
e viene evocato mentre cerca di salvarsi mentre muore di sete.
 Porta = sconquassata, vecchia, da rattoppare.
Lo zio Crocifisso era venuto a dare un’occhiata insieme a Piedipapera, e parlavano a voce alta nelle
stanze vuote, dove le parole si udivano come se fossero in chiesa. Compare Tino non aveva potuto
durarla a campare d’aria sino a quel giorno, e aveva dovuto rivendere ogni cosa allo zio Crocifisso,
per riavere i suoi denari.

 Evocato lo zio Crocifisso viene subito presentato e la scena si sposta verso di lui.
 La casa sembra una chiesa da quanto è vuota – in chiesa, dato che è in prevalenza vuota, c'è
eco, come ora nella casa del nespolo.
 Aveva dovuto rivendere ogni cosa allo zio Crocifisso = la casa è diventata di nuovo dello zio
Crocifisso, hanno costruito un raggiro Piedipapera e lo zio Crocifisso.

– Che volete, compare Malavoglia? gli diceva passandogli il braccio attorno al collo. Lo sapete che
sono un povero diavolo, e cinquecento lire mi fanno! Se voi foste stato ricco ve l’avrei venduta a
voi. – Ma padron ‘Ntoni non poteva soffrire di andare così per la casa, col braccio di Piedipapera al
collo.

Passandogli il braccio attorno al collo = è già la seconda volta che Piedipapera fa questo gesto a
Padron 'Ntoni → è come l'ultimo bacio di Giuda a Gesù, un tradimento di un traditore che finge
invece di essere buoni.

 Lo sapete che sono un povero diavolo = diavolo lo è, povero no.

Ora lo zio Crocifisso ci era venuto col falegname e col muratore, e ogni sorta di gente che
scorrazzavano di qua e di là per le stanze come fossero in piazza, e dicevano: – Qui ci vogliono dei
mattoni, qui ci vuole un travicello nuovo, qui c’è da rifare l’imposta, – come se fossero i padroni; e
dicevano anche che si doveva imbiancarla per farla sembrare tutt’altra.

La casa, diventata prima una scarpa rotta, poi una barca, ora è piazza, dove tutti possono passare, una
casa invasa.

➔La casa è simbolo di proprietà privata, di intimità, di famiglia; invece ora è piazza dove
possono scorrazzare le persone e viene quasi disprezzata.

Ne parlano come di una casa da rifare, da ricostruire → non deve essere più la casa del nespolo, non
ricorderà più ciò che era stata per i Malavoglia. La casa viene fatta nuova e se i Malavoglia torneranno
non sarà la stessa di quando l'hanno lasciata.
Lo zio Crocifisso andava scopando coi piedi la paglia e i cocci, e raccolse anche da terra un pezzo
di cappello che era stato di Bastianazzo, e lo buttò nell’orto, dove avrebbe servito all’ingrasso.

Raccolse anche da terra un pezzo di cappello che era stato di Bastianazzo = anche questi cimeli ci
fanno capire la situazione: essi potrebbero, per i Malavoglia, essere un simbolo di Bastianazzo, invece
per lo zio Crocifisso quel cappello è niente. Il dolore dei Malavoglia lo vediamo nelle parole di quelli
a cui non frega nulla.

➔La strategia che Verga ha messo in moto è, attraverso l'impersonalità, coinvolgere il lettore.
Persino il lettore distratto impara ad identificare i personaggi (se magari all'inizio non ha
prestato attenzione ora invece li conosce e li riconosce, Verga li ha più volte fatti vedere con
quelle loro caratteristiche peculiari). Ora il lettore partecipa anche alla minima vicenda.

 Capelli = non in materiale sintetico, ma se gettati nell'orto fanno concime.

Il nespolo intanto stormiva ancora, adagio adagio, e le ghirlande di margherite, ormai vizze, erano
tuttora appese all’uscio e le finestre, come ce le avevano messe a Pasqua delle Rose.

 Ghirlande di margherite = erano quelle dell’Ascensione.


 Pasqua delle rose = perché si usano le ghirlande della scionsione

La Vespa era venuta a vedere anche lei, colla calzetta al collo, e frugava per ogni dove, ora che era
roba di suo zio. – Il «sangue non è acqua» – andava dicendo forte, perché udisse anche il sordo. A
me mi sta nel cuore la roba di mio zio, come a lui deve stare a cuore la mia chiusa.

 Roba di suo zio = roba sua, è questo il ragionamento che fa.


 Campana di legno si finge sordo, per cui lei urla così che anche lui senta.

Lo zio Crocifisso lasciava dire e non udiva, ora che dirimpetto si vedeva la porta di compare Alfio
con tanto di catenaccio.

➔Lasciava dire e non udiva = è ossimoro, se lascia dire vuol dire che ha udito, ma non udiva
perché finge.
– Adesso che alla porta di compare Alfio c’è il catenaccio, vi metterete il cuore in pace, e lo
crederete che non penso a lui! diceva la Vespa all’orecchio dello zio Crocifisso.
– Io ci ho il cuore in pace! rispondeva lui: sta tranquilla.

 Finché compare Alfio non c'è può star tranquillo.

D’allora in poi i Malavoglia non osarono mostrarsi per le strade né in chiesa la domenica, e
andavano sino ad Aci Castello per la messa, e nessuno li salutava più, nemmeno padron Cipolla, il
quale andava dicendo: – Questa partaccia a me non la doveva fare padron ‘Ntoni. Questo si chiama
gabbare il prossimo, se ci aveva fatto mettere la mano di sua nuora nel debito dei lupini!
– Tale e quale come dice mia moglie! aggiungeva mastro Zuppiddu. Dice che dei Malavoglia
adesso non ne vogliono nemmeno i cani.

➔Abbiamo qui gli effetti del crollo del capitale economico dei Malavoglia, cosa che si
combina con la questione di quello simbolico, in quanto comunque lui aveva dato la sua parola
che avrebbe ripagato il debito.

Però quello scimunito di Brasi pestava i piedi e voleva la Mena, che gliel’avevano promessa, come
fa un ragazzo davanti alle baracche dei balocchi alla fiera.
– Ti pare che io l’abbia rubata la tua roba, bietolone! gli gridava il babbo, per andarla a buttare con
chi non ha niente!
Gli avevano ripreso persino il vestito nuovo a Brasi, ed ei si sfogava ad andare a stanare le lucertole
nella sciara, o a mettersi a cavalcioni sul muricciuolo del lavatoio, e giurava di non far più nulla,
neanche se l’ammazzavano, ora che non volevano dargli la moglie, e gli avevano ripreso persino il
vestito nuovo delle nozze; per fortuna la Mena non poteva vederlo più così vestito com’era, perché i
Malavoglia stavano sempre colla porta chiusa ancor essi, poveretti, nella casuccia del beccaio che
avevano presa in affitto, nella strada del Nero, vicino ai Zuppiddi, e se accadeva di vederli da
lontano, Brasi correva a nascondersi dietro il muro, o tra i fichidindia.

 Bietolone = sempre riferito a Brasi.

Mena ora non ha la dote, Padron Cipolla se n'era andato prima perché aveva dubbi se ce l'avessero
fatta senza Luca.

 Strada del Nero = luogo che non conoscevamo. È luogo di lutto, infatti il suo è nome proprio
che diventa anche nome simbolico → il nome evoca qualcosa, come anche "casa del Beccaio"
può evocare qualcosa di lugubre.
Non solo il paese prende le distanze dei Malavoglia, ma sono loro stessi che prendono le distanze
dal paese, che si chiudono in casa e vanno addirittura a messa ad Aci Castello. Padron 'Ntoni aveva
messo anche la parola su che avrebbe restituito il debito – cosa che ha fatto con la casa, ma nel paese
è come se avesse rivelato l'incapacità di affrontare la situazione.

La cugina Anna che scopriva ogni cosa dal greto dove era a stendere la tela, diceva con comare
Grazia: – Ora quella povera Sant’Agata resta in casa, peggio di una casseruola appesa al muro, tale
e quale come le mie figliuole che non hanno dote. – Poveretta! rispondeva comare Grazia, e le
avevano perfino spartito i capelli!

 Anche Mena ora rimane senza dote, dopo che le avevano anche organizzato la festa del
matrimonio.

Mena però era tranquilla, e s’era rimessa la spadina d’argento nelle trecce da se stessa, senza dir
nulla.

 Mena però era tranquilla = l'unica che può avere un barlume di felicità è Mena.

Adesso aveva tanto da fare nella casa nuova dove bisognava mettere ogni cosa a un altro posto, e
non si vedeva più il nespolo e la porta della cugina Anna e della Nunziata.

 Cos'altro si vedeva che non veniva nominato? La casa di comapre Alfio, che era chiusa, quindi
non si vede il risvolto negativo.

Sua madre la covava cogli occhi, mentre lavorava accanto a lei, e l’accarezzava col tono della voce,
quando le diceva: – dammi la forbice, o, tienmi la matassa – che se la sentiva nelle viscere, la sua
figliuola, ora che tutti le voltavano le spalle; ma la ragazza cantava come uno stornello, perché
aveva diciotto anni, e a quell’età se il cielo è azzurro vi ride negli occhi, e gli uccelli vi cantano nel
cuore.

 Stornello = è un uccello.

Per altro il cuore non ce lo aveva mai avuto per quel cristiano, lo disse all’orecchio della mamma,
mentre ordivano la trama. La madre era la sola che le aveva letto in cuore, e che ci avesse lasciata
cascare una buona parola in quell’angustia. – Almeno se ci fosse compar Alfio, non ci avrebbe
voltate le spalle anche lui. Ma quando sarà il tempo del vino nuovo tornerà qui.
Solo adesso Mena confessa che non le piaceva Brasi, quando ormai il matrimonio è saltato. Nel
disastro dei Malavoglia si riapre la possibilità per l'idillio tra Mena e compare Alfio, quando ci sarà
il tempo del vino nuovo e lui tornerà.

Le comari, poverette, non avevano voltate le spalle ai Malavoglia. Ma la cugina Anna era sempre in
faccende, con tutto quello che aveva da fare per tirare innanzi con le sue figliuole, che le erano
rimaste in casa peggio di casseruole appese,

Casseruole appese = questa immagine era stata già presentata. Luigi Russo chiamava circulata
melodia questa tecnica → si prende nuovamente una nota che abbiamo lasciato poche pagine prima.

➔È costruito sulla logica musicale, in cui si parla di tema e variazione: il tema ritorna ma
variato.

Ad esempio, il tema dell'affare dei lupini (uno dei più importanti) torna periodicamente ma con
delle variazione nel romanzo, come tornano parole ripetute nello stesso modo, o certi epiteti che
tornano con il personaggio o quasi a riproporre lo stesso. Un altro tema riguarda il rapporto tra Mena
e Alfio, che ritorna con continue variazioni, o ancora la dilazione o meno del debito, con usciere che
arriva o non arriva.

e comare Piedipapera si vergognava di farsi vedere per quel tiro che compare Tino aveva fatto ai
poveri Malavoglia. Ella aveva il cuore buono, la gnà Grazia, e non diceva come suo marito: –
Lasciali stare coloro, che non hanno più né re né regno. Cosa te ne importa? – La sola che si
vedesse di tanto in tanto era Nunziata, col piccino in collo, e tutti gli altri dietro; ma anche lei
doveva badare ai fatti suoi.

 Anche Grazia, che ere intima dei Malavoglia, che era stata comare di basilico, si vergogna
(perché quella situazione è stata causata dal marito).

Così va il mondo. – Ciascuno deve badare ai fatti suoi: quello che diceva a ‘Ntoni di padron ‘Ntoni
comare Venera. – Ciascuno deve pensare alla sua barba prima di pensare a quella degli altri. Tuo
nonno non ti dà nulla; dunque che obbligo hai verso di loro? Se ti mariti, vuol dire che fai casa da
te, e quel che guadagni, lo guadagni per la tua casa. «Cento mani Dio benedisse, ma non tutte in un
piatto!».

 Ognuno, in questo mondo di Aci Trezza, deve badare ai fatti suoi, e lo dice il narratore
popolare.
 'Ntoni di Padron 'Ntoni = retrocesso a figlio di nuovo (quando si doveva sposare era
semplicemente 'Ntoni), anche se Padron 'Ntoni non è vero padre, ma è come se lo fosse per i
nipoti.
Dobbiamo capire che ciò che dice compare Venera è di badare agli affari suoi, di mettere casa per
conto suo, e usa ancora la metafora della barba, che abbiamo capito essere quella di San Giuseppe,
ma non c'è bisogno di dirlo perché già specificato altrove, altre volte.

Gli sta proponendo di fare casa per sé, di lasciar perdere la famiglia Malavoglia: 'Ntoni è ancora
sposabile, in quanto ha le braccia e può guadagnare. Lo provoca con questa idea.

– Bella cosa, rispondeva ‘Ntoni. Ora che i miei parenti sono in mezzo alla strada mi dite di piantarli
anch’io! Come se la caverà il nonno a far andare la Provvidenza e a dar da mangiare a tanti, se lo
lascio solo?

'Ntoni non lo può fare, e vediamo che è comunque personaggio affettivo, oltre che un personaggio
che ha bisogno di qualche scappellotto dal nonno, oltre che un po' spavaldo.

– Allora sbrigatevela tra voi altri! esclamava la Zuppidda voltandogli le spalle per andare a frugare
nei cassetti, o in cucina, buttando in aria ogni cosa per darsi da fare, onde non guardarlo in faccia.

 La Zuppidda volta le spalle = ha anche significato simbolico. Anche lei non lo guarda in
faccia, come altri che non volevano guardare in faccia i Malavoglia.

Mia figlia io non l’ho rubata! Si potrebbe chiudere gli occhi se non avete nulla, perché siete
giovane, e ci avete sempre la salute da lavorare, e siete del mestiere, tanto più che adesso i mariti
sono scarsi, con questa leva del diavolo che ci scopa via tutti i giovanotti del paese; ma se devono
darvi la dote per papparvela con tutti i vostri, è un’altra cosa! Marito voglio dargliene uno solo alla
mia figliuola, e non cinque o sei, e metterle sulle spalle due famiglie.
Barbara nell’altra stanza fingeva di non udire, e seguitava a far girare l’arcolaio lesto lesto. Ma
appena ‘Ntoni si affacciava sull’uscio chinava gli occhi sui cannelli, e allungava il muso anche lei.
Talché il poveraccio si faceva giallo e verde e di cento colori, e non sapeva che fare, perché Barbara
lo teneva invischiato come un passerotto, con quegli occhioni neri, e gli diceva poi: – Vuol dire che
a me non mi volete bene come ai vostri! e si metteva a piangere nel grembiule quando non c’era la
mamma.
– Sacramento! esclamava ‘Ntoni, vorrei tornare a fare il soldato! – E si strappava i capelli e si dava
dei pugni nella testa, ma non sapeva risolversi a pigliare la risoluzione che ci voleva, da vero
cetriolo che era. – Allora, diceva la Zuppidda, «’Ntrua, ‘ntrua! ciascuno a casa sua!». E suo marito
le ripeteva: – Te l’avevo detto che a me i pasticci non mi piacciono! – Voi andatevene a lavorare!
rispondeva lei, che non sapete nulla.
Le toccherà forse ricorrere a Don Silvestro ora che salta il matrimonio con 'Ntoni.

 Da vero cetriolo = è sempre la Zuppidda che parla.


 ’Ntrua, ‘ntrua! ciascuno a casa sua! = è un po' come 'ntroi, 'ntroi, ciascuno coi pari suoi. È un
proverbio siciliano.

Il litigio tra la Zuppidda e il marito stempera un po' il clima di estrema tensione di questo capitolo.

Lezione 4 maggio

‘Ntoni non è un personaggio traviato ma ha anche un profondo aspetto psicologico. Egli cerca di
costruire un futuro migliore non come Padron ‘Ntoni che si è limitato durante tutta la sua attività
lavorativa.

CAPITOLO 10
Verga l’aveva pubblicato prima della pubblicazione ufficiale dei Malavoglia come un’anteprima; ciò
è servito per incuriosire il lettore alla lettura.
Cambia qui l’ambientazione, non siamo ad Acitrezza ma sulla barca nel bel mezzo della tempesta. Si
assiste così ad un cambio di prospettiva. Questo episodio avrà dei testimoni (‘Ntoni, Padron ‘Ntoni
ed Alessi) a differenza di quanto accaduto con Bastianazzo di cui non si è saputo nulla.
Questa scena può essere definita d’azione perché si danno da fare (arrampicano ecc…) fino a che la
barca, con l’ultimo sbalzo delle onde, sbatte sugli scogli. Padron ‘Ntoni rimane privo di sensi mentre
gli altri due si danno da fare. Egli resterà malato a lungo ma ciò non lo porterà alla morte e perciò
tornerà in mare.
Don Michele (che corteggia la Barbara) comincia a ricevere attenzioni da lei. La Vespa, invece, cerca
di avere Brasi Cipolla (liberato da Mena).
Da notare che i personaggi sono sempre gli stessi che ruotano intorno alle situazioni e creano intrecci
sempre più incalzanti.
In un’altra scena si nota che riempiono la barca di acciughe che vengono salate e poi vendute. Padron
‘Ntoni si fa furbo e ha preferito non metterle subito in vendita in quanto aspettava che salisse il prezzo.
Ciò gli serviva affinché la famiglia potesse tornare al loro status iniziale (grandi imprenditori).
Secondo alcuni critici a partire da questo capitolo si noterà IL PROTAGONISMO DI ‘NTONI.
Nella seconda parte quindi non sarà più Padron ‘Ntoni il pater familias e ‘Ntoni invece inizia a
contestarlo (si noterà che lui inizia a manovrare il timone cosa che prima era riservata all’anziano).
CAPITOLO 11
‘Ntoni vuole andare via dal paese perché aveva fatto un altro tipo di esperienza e soprattutto aveva
visto la vita fuori di Acitrezza quando andò al militare.
A fine ‘800 era molto diffusa l’emigrazione verso il Sud America e non verso il Nord-Italia come ora.
Non viene riferito il luogo in cui andrà ma sappiamo solamente che farà ritorno.
Ci sono delle liti che si risolveranno quando Maruzza lo convince a restare dicendogli che potrà
andare via alla sua morte. Il caso vuole che inizia a diffondersi il colera e Maruzza ne resterà colpita
quando andò ad Acicastello. SFORTUNA
—>le morti sempre fuori da Acitrezza
—> morirà da sola perché con il colera non si poteva fare altro
Fu proprio in quel momento che ‘Ntoni partì non avendo più vincoli.
La sfortuna colpirà ancora la famiglia quando crolla Il prezzo delle acciughe e quindi i Malavoglia
rimpiangeranno di non averle vendute prima.

Il romanzo tiene continuamente conto dell’ECONOMIA.

Con l’emigrazione di Ntoni rimangono Alessi e Padron ‘Ntoni che devono tenere su la barca. Essi
sono costretti a prendere qualcuno a giornata ma i costi non lo permetteranno. Decidono così di
vendere la Provvidenza per farne profitto. A comprarla sarà Zio Crocifisso e viene acquistata “ad un
pezzo di pane”.

Chi si prenderà cura di Lia (che non ha la madre)?


Per la strada del nero, dove si sono trasferiti ì Malavoglia, continua a passare don Michele (va a
trovare Barbara ma anche Lia).
Alessi e nunziata crescono e iniziano a fare progetti matrimoniali.

CAPITOLO 12
‘Ntoni torna in quanto non aveva trovato fortuna. Tornare povero era una perdita anche del capitale
simbolico.
Spesso entra in conflitto col nonno ma trova un modo individualistico di “sbarcare il lunario” (diventa
familiare e amante della Santuzza).
—> Santuzza ha bisogno di qualcuno che la difenda dopo essersi lasciata con Massaro Filippo e
sceglie ‘Ntoni.
—> ‘Ntoni è sempre più arrabbiato con Don Michele che gli ha soffiato la Barbara tanto che finiranno
in una rissa (nel capitolo 13).
CAPITOLO 14
Questo è un capitolo decisivo in cui ‘Ntoni, Cinghialetta e Rocco Spatu concordano qualcosa di non
molto legale. Arriverà una barca con una merce di contrabbando.
‘Ntoni quella sera è uscito e non farà più ritorno tornerà poiché pugnalò Don Michele.
Nel frattempo Lia è sputtanata e decise così di scappare dal paese.
Anche questo capitolo si conclude con una partenza.

Lezione 10 Maggio
C’è stato il processo a ‘Ntoni e torna avvocato Scipioni. Per salvarlo da un’accusa grave (con Don
Michele) gli farà avere uno sconto di pena. Don Michele sta importunando Lia.
Lia viene messa in ombra.

In quel momento ‘Ntoni usciva dall’altra porticina anche lui, pallido, in mezzo ai carabinieri,
ammanettato come un Cristo.
La gnà Grazia si mise a correre verso il paese, arrivò prima degli altri, con tanto di lingua fuori,
perché la malanuova la porta l’uccello. Appena vide Lia la quale aspettava sull’uscio, come
un’anima del purgatorio, le disse prendendole le mani, e tutta sottosopra anche lei:
– Cosa avete fatto, scellerata! che al giudice hanno detto che ve l’intendete con don Michele, e a
vostro nonno gli è venuto un accidente!
Lia non disse nulla, come non avesse udito, o non gliene importasse niente. Rimase a guardarla
cogli occhi sbarrati e la bocca aperta. Infine adagio adagio cadde sulla sedia, e parve che le
avessero rotto le gambe in un colpo. Poi, dopo che fu stata un gran pezzo a quel modo, senza
muoversi e senza dire una parola, che comare Grazia le gettava l’acqua sulla faccia, cominciò a
balbettare: – Voglio andarmene! non voglio starci più qui! e l’andava dicen- do al canterano, e alle
seggiole, come una pazza, che invano sua sorella le andava dietro piangendo: – Te l’aveva detto! te
l’aveva detto! e cercava di afferrarla un’altra volta per le mani. La sera, come portarono il nonno
sul carro, e Mena era corsa ad incontrarlo, che oramai non si vergognava più della gente, Lia uscì
nel cortile e poscia nella strada, e se ne andò davvero, e nessuno la vide più.

Non si cita l’addio di Lia. Ella va via in quanto aveva perso il capitale simbolico. Da notare che nei
finali ci sono sempre addii. In questo caso il finale è fiabesco in quanto non si vedrà più.
Ripete le parole di ‘Ntoni quando è andato via. PARALLELO TRA LIA E NTONI.
Gli oggetti quotidiani si conoscono e riconoscono.
I Malavoglia non avevano niente da perdere perché avevano già perso il capitale simbolico.
Padron Ntoni si è accasciato. A rimanere vi è solo Alessi, Mena e padron Ntoni.
La gente diceva che la Lia era andata a stare con don Michele; già i Malavoglia non avevano più
niente da perdere, e don Michele almeno le avrebbe dato il pane. Padron ‘Ntoni adesso era
diventato del tutto un uccellaccio di camposanto, e non faceva altro che andare intorno, rotto in
due, e con quella faccia di pipa, a dir proverbi senza capo e senza coda: “Ad albero caduto
accetta! accetta!” – “Chi cade nell’acqua è forza che si bagni” – “A cavallo magro, mosche”. – E
a chi gli domandava perché andasse sempre in giro, diceva che “la fame fa uscire il lupo dal
bosco”, e “cane affamato non teme bastone”; ma di lui non volevano saperne, ora che era ridotto
in quello stato.

—>non vogliono più averlo in giro come marinaio.

Ognuno gli diceva la sua, e gli domandava cosa aspettasse colle spalle al muro, lì sotto il
campanile, che pareva lo zio Crocifisso quando aspettava d’imprestare dei denari alla gente,
seduto a ridosso delle barche tirate in secco, come se ci avesse in mare la paranza di padron
Cipolla; e padron ‘Ntoni rispondeva che aspettava la morte, la quale non voleva venire a
prenderselo, perché “lo sfortunato ha i giorni lunghi”. Della Lia nessuno parlava più in casa,
nemmeno Sant’Agata, la quale se voleva sfogarsi andava a piangere di nascosto, davanti al
lettuccio della mamma, quando in casa non c’era nessu- no. Adesso la casa era grande come il
mare, e ci si perdevano dentro.

—> si erano perse notizie della Lia


La casa è “grande come il mare” perché era grande ma vuota.

I denari se n’erano andati con ‘Ntoni; Alessi era sempre lontano, per guadagnarsi il pane, di qua e
di là; e la Nunziata faceva la carità di venire ad accendere il fuoco, quando la Mena doveva andare
a prendere il nonno per mano, verso l’avemaria, come un bambino, perché di sera non ci vedeva
più, peggio di una gallina.

—> il processo di ‘Ntoni è costato

Don Silvestro, e gli altri del paese, dicevano che Alessi avrebbe fatto meglio a mandare il nonno
all’Albergo dei poveri, ora che non era più buono a nulla; ma questa era la sola cosa che facesse
paura al poveraccio. Ogni volta che la Mena andava a metterlo al sole, conducendolo per mano, e
ci stava per tutta la giornata ad aspettare la morte, credeva che lo portassero all’Albergo, talmente
era diventato un cucco, e balbettava: – La morte non viene mai! tanto che certuni andavano a
chiedergli ridendo dove fosse arrivata.
Alessi tornava a casa il sabato, e gli veniva a contare i denari della setti- mana, come se il nonno
avesse ancora giudizio. Egli rispondeva sempre di sì, col capo; e bisognava che andasse a
nascondere il gruzzoletto sotto il materasso, e gli diceva, per farlo contento, che ci voleva poco a
mettere insieme un’altra volta i denari della casa del nespolo, e fra un anno o due ci sarebbero.
Ma il vecchio scrollava il capo, colla testa dura, e ribatteva che adesso non avevano più bisogno
della casa; e meglio che non ci fosse mai stata al mondo la casa dei Malavoglia, ora che i
Malavoglia erano di qua e di là.
Una volta chiamò in disparte la Nunziata, sotto il mandorlo, nel momento in cui non ci era
nessuno, e pareva dovesse dirle qualcosa di grosso; però muoveva le labbra senza parlare, e stava
cercando le parole guardando di qua e di là. – È vero quella cosa che hanno detto di Lia? chiese
infine.
– No! rispondeva Nunziata, colle mani in croce, no! per la Madonna dell’Ognina, non è vero!
Egli si mise a tentennare il capo, col mento sul petto. – Allora perché se n’è fuggita anche lei?
perché se n’è fuggita?
E l’andava cercando per la casa, fingendo di aver perso il berretto; toc- cava il letto e il canterano,
e si metteva a sedere al telaio, senza dir nulla. – Lo sai? chiese infine; lo sai dove se n’è andata? –
Ma alla Mena non disse nulla.
La Nunziata non lo sapeva, in coscienza, né nessun altro del paese.

—> incoscienza

Una sera si fermò nella strada del Nero Alfio Mosca, col carro, che ci aveva attaccato il mulo
adesso, e per questo aveva acchiappato le febbri alla Bicocca, ed era stato per morire, tanto che
aveva la faccia gialla e la pancia grossa come un otre; ma il mulo era grasso e col pelo lucente.

—> torna Alfio Mosca (dopo 4 capitoli)


—> faccia gialla perché hai preso la malaria

– Vi rammentate quando sono partito per la Bicocca? diceva lui, che stavate ancora nella casa del
nespolo? Ora ogni cosa è cambiata, ché “il mondo è tondo, chi nuota e chi va a fondo”.
—> proverbi da marinaio

– Stavolta non potevano dargli nemmeno un bicchiere di vino, pel ben tornato. Compar Alfio lo
sapeva dov’era Lia; l’aveva vista coi suoi occhi, ed era stato come se avesse visto comare Mena
quando stavano a chiacchierare da una finestra all’altra.

—> solo uno sa dov’è Lia


Perciò guardava di qua e di là i mobili e le pareti, come se ci avesse il carro carico sullo stomaco,
e sedette anche lui senza dire una parola accanto al desco dove non c’era nulla, e nessuno sedeva
più a mangiare la sera.

Non una bella visione in quanto fa capire che sono a digiuno.


Da notare che Alfio sa dov’è Lia ma non lo dice (forse manco a Mena).
Altra cosa importante è la prima battuta (vi rammentate …stavate ancora nella casa del nespolo)—>
significativa perché c’è un ritornello.
Acitrezza uguale a se stessa (RITMO CICLICO).

– Ora me ne vado, – ripeteva lui, vedendo che non gli dicevano nulla. – Quando uno lascia il suo
paese è meglio che non ci torni più, perché ogni cosa muta faccia mentre egli è lontano, e anche le
faccie con cui lo guardano son mutate, e sembra che sia diventato straniero anche lui.

—> destino di Ntoni


Lo sta dicendo a Mena che non ha lo stesso sguardo.

Mena continuava a star zitta. Intanto Alessi gli raccontò che voleva pigliarsi la Nunziata, quando
avrebbe raccolto un po’ di denari, ed Alfio gli rispose che faceva bene, se la Nunziata aveva un po’
di denari anche lei, ché era una buona ragazza, e tutti la conoscevano in paese.

—Capitale simbolico ed economico della Nunziata

Così anche i parenti dimenticano quelli che non ci sono più, e ognuno a questo mondo è fatto per
pensare a tirare la carretta che gli ha data Dio, come l’asino di compar Alfio, che adesso faceva
chissà cosa, dopo che era andato in mano altrui.

—Dimenticano Luca, Lia, Bastianazzo, Ntoni


Compare Alfio non è più con asino ma col mulo —> SALITO NELLA SCALA SOCIALE
La Nunziata ci aveva la sua dote anche lei, dacché i suoi fratellini cominciavano a buscarsi
qualche soldo, e non aveva voluto comprarsi né oro né roba bianca, perché diceva che quelle cose
son fatte per i ricchi, e la roba bianca non era bene di farsela intanto che cresceva ancora.

—Ragazza che può ancora crescere.

Era cresciuta infatti una ragazza alta e sottile come un manico di scopa, coi capelli neri, e gli occhi
buoni buoni, che quando si metteva a sedere sulla porta, con tutti quei monelli davanti, pareva che
pensasse ancora a suo padre nel giorno che li aveva piantati, e ai guai in mezzo ai quali aveva
sgambettato sino allora, coi suoi fratellini appesi alle gonnelle. Al vedere come se n’era tirata fuori
dai guai, lei e i suoi fratellini, così debole e sottile al pari di un manico di scopa, ognuno la
salutava e si fermava volentieri a far quattro chiacchiere con lei.

—>Ripetizione “manico di scopa”

– I denari ce li abbiamo, disse a compar Alfio, il quale era quasi un parente, da tanto che lo
conoscevano. – A Ognissanti mio fratello entra garzone da massaro Filippo, e il minore prenderà il
suo posto da padron Cipolla. Quando avrò collocato anche Turi, allora mi mariterò; ma bisogna
aspettare che io abbia gli anni, e che mio padre mi dia il consenso.

—>Anche il fratello di Nunziata può lavorare

– O che tuo padre pensa più che sei al mondo! disse Alfio.
– S’egli tornasse ora, – rispose Nunziata con quella voce dolce, e così calma, colle braccia sulle
ginocchia, – ei non se ne andrebbe più, perché adesso i denari li abbiamo.

—> il padre era andato via perché non si avevano soldi

Allora compar Alfio tornò a dire ad Alessi che faceva bene a prendersi la Nunziata, se ci aveva
quel po’ di denari.

—>Capitale economico sempre importante


– Compreremo la casa del nespolo, aggiunse Alessi; e il nonno starà con noi. Quando torneranno
gli altri ci staranno pure; e se tornerà il padre della Nunziata ci sarà posto anche per lui.

—> logica della grande famiglia che vuole ricostruire Alessi

Di Lia non fecero parola; ma ci pensavano tutti e tre, mentre stavano a guardare il lume, colle
braccia sui ginocchi.
Finalmente compare Mosca si alzò per andarsene, perché il suo mulo scuoteva la sonagliera, quasi
l’avesse conosciuta anch’esso colei che compar Alfio aveva incontrata per la strada, e che adesso
non l’aspettavano più nella casa del nespolo.
—> anche il mulo ha riconosciuto Lia (forse).
—>A questi discorsi Alfio dice di andarsene ma non si apprende nulla circa Lia.

(Lo zio Crocifisso si è spostato con la Vespa ma non ha fatto una buona riuscita. )

Lo zio Crocifisso invece aspettava da un pezzo i Malavoglia per quella casa del nespolo che
nessuno la voleva, come se fosse scomunicata, e gli era rimasta sulla pancia; sicché appena seppe
che era tornato in paese Alfio Mosca, quello cui voleva far rompere le ossa a bastonate, quand’era
geloso della Vespa, andò a pregarlo che s’intromettesse coi Malavoglia per fargli conchiudere il
negozio. Adesso quando l’incontrava per le strade lo salutava, e cercava di mandargli anche la
Vespa per parlargli di quell’affare, chissà che non si fossero rammentati dell’amore antico, nello
stesso tempo, e compare Mosca non riescisse a levargli quella croce di su le spalle.
Ma quella cagna della Vespa non voleva sentir parlare di compar Alfio, né di nessuno, adesso che
ci aveva il suo marito ed era padrona in casa, e non avrebbe cangiato lo zio Crocifisso con Vittorio
Emanuele in carne ed ossa, neanche se l’avessero tirata pei capelli. – Mi toccano tutte a me, le
disgrazie! – si lamentava lo zio Crocifisso; e andava a sfogarsi con compare Alfio, e si picchiava il
petto come davanti al confessore, di aver pensato a pagare dieci lire per fargli rompere le ossa a
bastonate.
– Ah! compare Alfio! se sapeste che rovina è capitata nella mia casa, che non dormo né mangio
più, e non faccio altro che della bile, e non sono più padrone di un baiocco del fatto mio, dopo aver
sudato tutta la vita ed essermi levato il pan di bocca per raggranellarlo a soldo a soldo. Ora mi
tocca vederlo in mano di quella serpe, la quale fa e disfà come vuole lei! e non mi riesce nemmeno
di levarmela d’addosso per via del giudice, che non si lascerebbe tentare neanche da Satanasso! e
mi vuol tanto bene che non me la leverò d’addosso prima di crepare, se non chiudo gli occhi dalla
disperazione!
– Quello che stavo dicendo qui a compare Alfio, – seguitava lo zio Crocifisso vedendo accostarsi
padron Cipolla, il quale andava bighellonando per la piazza come un cane di macellaio, dacché gli
era entrata in casa quell’al- tra vespa della Mangiacarrubbe. – Non possiamo più stare nemmeno
in casa per non schiattare dalla bile! Ci hanno scacciato fuori di casa nostra, quelle carogne!
hanno fatto come il furetto col coniglio. Le donne son messe al mondo per castigo dei nostri
peccati. Senza di loro si starebbe meglio. Chi ce l’avrebbe detto, eh? padron Fortunato! Noi che
avevamo la pace degli angeli! Guardate com’è fatto il mondo! C’è gente che va cercando questo
negozio del matrimonio colla lanterna, mentre chi ci si trova vorrebbe levarsene.
Padron Fortunato stette un po’ a fregarsi il mento, e poi lasciò andare: – Il matrimonio è come una
trappola di topi; quelli che son dentro vorrebbero uscire, e gli altri ci girano intorno per entrarvi.

– A me mi sembrano pazzi! Vedete don Silvestro, cosa gli manca? e s’è messo in testa di far
cascare la Zuppidda coi suoi piedi, vanno dicendo; e se comare Venera non trova di meglio,
bisogna che la lasci cascare.
Padron Cipolla continuò a fregarsi il mento e non disse altro. – Senti- te, compare Alfio, – seguitò
Campana di legno, – fatemelo conchiudere quel negozio della casa coi Malavoglia, finché ci hanno
quei soldi, che vi regalerò poi da comprarvi le scarpe, per i passi che farete.
Compare Alfio tornò a parlare ai Malavoglia; ma padron ‘Ntoni ora scuoteva il capo, e diceva di
no. – Adesso della casa non abbiamo che farne, perché Mena non si può più maritare, e dei
Malavoglia non ci è nessuno! Io ci sono ancora perché gli sfortunati hanno i giorni lunghi.

—> Mena non si può sposare perché non ha capitale simbolico ed economico

Ma quando avrò chiuso gli occhi, Alessi piglierà la Nunziata e se ne andrà via dal paese.

—> ora Ntoni dice così perché i Malavoglia non hanno più futuro ad Acitrezza.
La condanna di Ntoni va presa non solo come ciò che ha spinto Lia a partire ma anche perché i
Malavoglia diventano familiari di un detenuto. Ora la famiglia non è Più ben vista.

Anch’egli stava per andarsene. Il più del tempo lo passava in letto, come un gambero sotto i
ciottoli, abbaiando peggio di un cane: – Cosa ci ho a far qui io? – balbettava; e gli pareva di rubar
la minestra che gli davano. Invano Alessi e la Mena cercavano di dissuaderlo. E’ rispondeva che
rubava loro il tempo e la minestra, e voleva che gli contassero i denari messi sotto la materassa, e
se li vedeva squagliare a poco a poco, borbottava: – Almeno se non ci fossi io non spendereste
tanto. Ora non ho più niente da far qui, e potrei andarmene.

—>Anche padron Ntoni potrebbe andarsene (potrebbe anche morire)


Don Ciccio, il quale veniva a tastargli il polso, confermava che era meglio lo portassero
all’ospedale, perché lì dov’era si mangiava la carne sua e quella degli altri, senza utile. Intanto il
poveraccio stava a vedere quello che dicessero gli altri, cogli occhi spenti, e aveva paura che lo
mandassero all’Albergo.

Don Ciccio= Medico

Alessi non voleva sentirne parlare di mandarlo all’Albergo, e diceva che finché ci era del pane, ce
n’era per tutti; e la Mena, dall’altra parte, diceva di no anch’essa, e lo conduceva al sole, nelle
belle giornate, e si metteva accanto a lui colla conocchia, a raccontargli delle fiabe, come ai
bambini, e a filare, quando non aveva da andare al lavatoio.

Mena racconta fiabe ai bambini come faceva il nonno. In quel periodo le fiabe le raccontavano solo
le donne. Nel mondo popolare le fiabe non sono solo racconti per bambini ma anche per adulti
(passatempo per tutti)

Gli parlava pure di quel che avrebbero fatto quando arrivava un po’ di provvidenza, per fargli
allargare il cuore; gli diceva che avrebbero comprato un vitellino a San Sebastiano, ed ella
bastava a procurargli l’erba e il mangime per l’inverno. A maggio si sarebbe venduto con
guadagno; e gli faceva vedere pure le nidiate di pulcini che aveva messo, e venivano a pigolare
davanti ai loro piedi, al sole, starnazzando nella polvere della strada. Coi denari dei pulcini
avrebbe anche comperato un maiale, per non perdere le bucce dei fichidindia, e l’acqua che
serviva a cuocere la minestra, e a fin d’anno sarebbe stato come aver messo dei soldi nel
salvadanaio. Il vecchio, colle mani sul bastone, approvava del capo, guardando i pulcini. Ci stava
così attento, poveretto, che arrivava fino a dire che se avessero avuto la casa del nespolo si poteva
allevarlo nel cortile, il maiale, giacché quello era un guadagno sicuro con compare Naso. Nella
casa del nespolo c’era pure la stalla pel vitello, e la tettoia pel mangime, e ogni cosa; se ne andava
ricordando a poco a poco, cercando qua e là cogli occhi morti e col mento sul bastone.

Occhi morti= non ci vede più

Poi domandava sottovoce alla nipote: – Cosa ha detto don Ciccio dell’ospedale? – Mena allora lo
sgridava come si fa coi bambini, e gli rispondeva: – Perché pensate a quelle cose? – Egli stava
zitto, e ascoltava cheto cheto tutto quello che diceva la ragazza. Ma poi tornava a ripetere: – Non
mi ci mandare all’ospedale, perché non ci sono avvezzo.

Padron ‘Ntoni paragonato ad un bambino


Infine non si alzava più dal letto, e don Ciccio disse che era proprio finita, e non ci era più bisogno
di lui, ché là in quel letto dove era, poteva starci anche degli anni, e Alessi o la Mena ed anche la
Nunziata dovevano perdere le loro giornate a far la guardia; se no se lo sarebbero mangiato i
porci, come trovavano l’uscio aperto.
Padron ‘Ntoni intendeva benissimo quello che si diceva, perché guardava tutti in viso ad uno ad
uno, con certi occhi che facevano male a vedere; ed appena il medico se ne fu andato, mentre stava
a parlare ancora sull’uscio con Mena che piangeva, e Alessi il quale diceva di no e batteva i piedi,
fece segno alla Nunziata di accostarsi al letto, e le disse piano:
– Se mi mandate all’ospedale sarà meglio: qui ve li mangio io i denari della settimana. Mandami
via quando non ci saranno in casa la Mena e Alessi. Direbbero di no perché hanno il buon cuore
dei Malavoglia; ma io vi mangio i soldi della casa, e poi il medico ha detto che posso starci degli
anni qui dove sono. E qui non ci ho più nulla da fare. Però non vorrei camparci degli anni, laggiù
all’ospedale.
La Nunziata si metteva a piangere anch’essa e diceva di no, tanto che tutto il vicinato sparlava di
loro, che volevano fare i superbi senza aver pane da mangiare. Si vergognavano di mandare il
nonno all’ospedale, mentre ci avevano tutti gli altri di qua e di là, e dove poi!

—> non si sa dov’è la Lia

E la Santuzza baciava la medaglia che portava sul petto, per ringraziare la Madonna che l’aveva
protetta dal pericolo dove era andata a cascare la sorella di Sant’Agata, come tante altre.

– Quel povero vecchio dovrebbero mandarlo all’ospedale, per non fargli avere il purgatorio prima
che muoia, –diceva.
Almeno lei non gli faceva mancar nulla a suo padre, adesso che era invalido, e se lo teneva
sull’uscio. – E vi aiuta anzi! aggiungeva Piedipapera. – Quell’invalido lì vale tanto oro quanto
pesa! Par fatto apposta per la porta di una osteria, così cieco e rattrappito com’è! E dovreste
pregare la Madonna che vi campi cent’anni. Già, cosa vi costa?
La Santuzza aveva ragione di baciare la medaglia; nessuno poteva dire nulla dei fatti suoi; dacché
don Michele se n’era andato, massaro Filippo non si faceva veder più nemmeno lui, e la gente
diceva che colui non sapeva stare senza l’aiuto di don Michele.

—> Don Michele non è più ad Acitrezza per questo pensano sia con Lia.
Massaro Filippo non sa gestire la Santuzza senza don Michele.
Santuzza non ha più amanti perciò non si può sparlare di lei.
Ora la moglie di Cinghialenta veniva di tanto in tanto a fare il diavolo davanti all’osteria, coi
pugni sui fianchi, strillando che la Santuzza le rubava il marito, e perciò quando costui tornava a
casa ella si buscava delle frustate colle redini della cavezza, dopo che Cinghialenta aveva venduto
il mulo, e non sapeva che farsene delle redini, che la notte i vicini non potevano chiuder occhio
dalle grida.

—> Cinghialenta non ha più mulo

– Questo non va bene! dice- va don Silvestro, la cavezza è fatta per il mulo. Compare Cinghialenta
è un uomo grossolano.
—> egli picchia la moglie

– Egli andava a dire queste cose quando c’era comare Venera, la Zuppidda, la quale dopo che la
leva si portava via i giovanotti del paese, aveva finito per addomesticarsi un po’ con lui.
– Ognuno sa gli affari di casa sua, rispondeva la Zuppidda; – se lo dite per ciò che vanno
predicando le male lingue, che io metto le mani addosso a mio marito, vi rispondo che non sapete
un corno, tuttoché sapete di lettera. Del resto ognuno in casa sua fa quel che gli pare e piace. Il
padrone è mio marito.

—> Zuppidda come Cinghialenta che mena il marito

– Tu lasciali dire, – rispondeva suo marito. – Poi lo sanno che se vengono a toccarmi il naso ne
faccio tonnina!
La Zuppidda adesso predicava che il capo della casa era suo marito, ed egli era il padrone di
maritare la Barbara con chi gli piaceva, e se voleva darla a don Silvestro voleva dire che gliela
aveva promessa, e aveva chinato il capo; e quando suo marito aveva chinato il capo, era peggio di
un bue.
– Già! sentenziava don Franco colla barba in aria, – ha chinato il capo perché don Silvestro è di
quelli che tengono il manico del mestolo.

—> quelli che comandano

Dacché era stato al tribunale in mezzo a tutti quegli sbirri, don Franco era più arrabbiato di prima,
e giurava che non ci sarebbe tornato più neanche in mezzo ai carabinieri.
—> don Franco aveva testimoniato
Allorché don Giammaria alzava la voce per discutere, ei gli piantava le unghie negli occhi,
rizzandosi sulle gambette, rosso come un gallo, e lo cacciava in fondo alla bottega. – Lo fate
apposta per compromettermi! – gli sputava in faccia colla schiuma alla bocca; e se due
quistionavano nella piazza, correva a chiudere l’uscio acciò non lo chiamasse- ro per testimonio.
Don Giammaria era trionfante; quell’asparagio verde (Don Gianmaria) aveva del coraggio quanto
un leone, perché ci aveva la tonaca sulle spalle, e sparlava del Governo, pappandosi la lira al
giorno, e diceva che se lo meritavano quel Governo, giacché avevano fatto la rivoluzione, e ora
venivano i forestieri a rapire le donne e i denari della gente.
—> sono Don Silvestro (rapisce la Barbara) e forse don Michele con Lia

Ei sapeva di chi parlava, che gli era venuta l’itterizia dalla collera, e donna Rosolina era dimagrita
dalla bile, massime dopo che se n’era andato don Michele, e s’erano sapute tutte le porcherie di
quest’altro. Adesso non faceva che andare a caccia di messe e di confessori, di qua e di là, sino
all’Ognina e ad Aci Castello, e trascurava la conserva dei pomidoro e il tonno sott’olio, per darsi a
Dio.
—>Donna Rosolina si era sentita tradita Don Silvestro

Don Franco allora si sfogava mettendosi a ridere come una gallina, all’uso di don Silvestro,
rizzandosi sulla punta dei piedi, coll’uscio spalancato a due battenti, che per questo non c’era
pericolo d’andare in prigione; e diceva che finché ci sarebbero stati i preti era sempre la stessa
cosa, e bisogna- va fare tavola rasa, s’intendeva lui, trinciando colla mano in giro.
– Io per me li vorrei tutti arsi! rispondeva don Giammaria, che intendeva anche lui di chi parlava.
Ora lo speziale non teneva più cattedra; e quando veniva don Silvestro, andava a pestare i suoi
unguenti nel mortaio, per non compromettersi.

CAMBIAMENTI AVVENUTI NEL PAESE

Già tutti quelli che bazzicano col Governo, e mangiano il pane del re, son tutta gente da
guardarsene. E si sfogava soltanto con don Giammaria, e con don Ciccio il medico, quando
lasciava l’asinello alla spezieria per andare a tastare il polso a padron ‘Ntoni, e ricette non ne
scriveva, perché diceva che erano inutili, con quella povera gente che non aveva denari da buttar
via.
– Allora perché non lo mandano all’ospedale, quel vecchio? tornavano a dire gli altri, – e perché
se lo tengono in casa a farselo mangiare dalle pulci? Tanto che, pesta e ripesta, il medico ripeteva
che andava e veniva per niente, e faceva il viaggio del sale, e allorché c’erano le comari davanti al
letto del malato, comare Piedipapera, la cugina Anna o la Nunziata, predicava sempre che se lo
mangiavano le pulci. Padron ‘Ntoni non osava più fiatare, colla faccia bianca e disfatta. E come le
comari cinguettavano fra di loro, e fino alla Nunziata cascavan le braccia, un giorno che Alessi
non c’era, disse infine: – Chiamatemi compare Mosca, che lui me la farà la carità di portarmi
all’ospedale sul suo carro.
Così padron ‘Ntoni se ne andò all’ospedale sul carro di Alfio Mosca, il quale ci aveva messo la
materassa ed i guanciali, ma il povero malato, sebbene non dicesse nulla, andava guardando
dappertutto, mentre lo portavano fuori reggendolo per le ascelle, il giorno in cui Alessi era andato
a Riposto, e avevano mandato via la Mena con un pretesto, che se no non l’avrebbero lasciato
partire.
—> anche padron ‘Ntoni va via

Sulla strada del Nero, nel passare davanti alla casa del nespolo, e nell’attraversare la piazza,
padron ‘Ntoni continuava a guardare di qua e di là per stamparsi in mente ogni cosa.

Addio padron Ntoni ad Acitrezza

Alfio guidava il mulo da una parte, e Nunziata, la quale aveva lasciato in custodia a Turi il vitello, i
tacchini, e le pollastre, veniva a piedi dall’altro lato, col fagotto delle camicie sotto il braccio. Al
veder passare il carro ognuno si affacciava sulla porta, e stava a guardare; e don Silvestro disse
che avevano fatto bene, per questo il Comune pagava la sua rata all’ospedale; e don Franco
avrebbe anche spifferata la sua predica, che ce l’aveva in testa bella e fatta, se non ci fosse stato lì
presente don Silvestro. – Almeno quel povero diavolo va a stare in pace, conchiuse lo zio
Crocifisso.
– “Necessità abbassa nobiltà”, rispondeva padron Cipolla; e la Santuzza disse un’avemaria pel
poveretto. Solo la cugina Anna e comare Grazia Piedipapera si asciugavano gli occhi col
grembiule, come il carro se ne andava lentamente sobbalzando sui sassi. Ma compare Tino
rimbeccò alla moglie: – O perché mi fai il piagnisteo? Che son forse morto io? A te che te ne
importa?

Verga abbassa il tono quando potrebbe creare una sorta di empatia con il lettore. Per questo motivo
crea scene patetiche.

Alfio Mosca, mentre guidava il mulo, andava raccontando alla Nunziata come e dove avesse vista
la Lia, ch’era tutta Sant’Agata, e ancora non gli pareva vero a lui stesso che l’avesse vista coi suoi
occhi, tanto che la voce gli mancava nella gola, mentre ne parlava per ingannare la noia, lungo la
strada polverosa.
—> ritornello della Lia

– Ah Nunziata chi l’avrebbe detto, quando stavamo a chiacchierare e da un uscio all’altro, e c’era
la luna, e i vicini discorrevano lì davanti, e si udiva colpettare tutto il giorno quel telaio di
Sant’Agata, e quelle galline che la conoscevano soltanto all’aprire che faceva il rastrello e la
Longa che la chiamava pel cortile, che ogni cosa si udiva da casa mia come se fosse stato proprio
là dentro! Povera Longa! Adesso, vedi, che ci ho il mulo, e ogni cosa come desideravo, che se fosse
venuto a dirmelo l’angelo del cielo non ci avrei creduto, adesso penso sempre a quelle sere là,
quando udivo la voce di voialtre, mentre governavo l’asino, e vedevo il lume nella casa del nespolo,
che ora è chiusa, e quando son tornato non ho trovato più niente di quel che avevo lasciato, e
comare Mena non mi è parsa più quella. Uno che se ne va dal paese è meglio non ci torni più. Vedi,
ora penso pure a quel povero asino che ha lavorato con me tanto tempo, e andava sempre, sole o
pioggia, col capo basso e le orecchie larghe. Adesso chissà dove lo cacciano, e con quali carichi, e
per quali strade, colle orecchie più basse ancora, ché anch’egli fiuta col naso la terra che deve
raccoglierlo, come si fa vecchio, povera bestia!
Padron ‘Ntoni, disteso sulla materassa, non udiva nulla, e ci avevano messo sul carro una coperta
colle canne, sicché sembrava che portassero un morto. – Per lui è meglio che non oda più nulla,
seguitava compare Alfio. L’angustia di ‘Ntoni già l’ha sentita, e un giorno o l’altro gli toccherebbe
anche di sentire come è andata a finire la Lia.

—> ancora fa capire che Lia è finita male

– Me lo domandava spesso, quando eravamo soli, rispose la Nunziata. – Voleva sapere dove fosse.
– È andata dietro a suo fratello. Noi poveretti siamo come le pecore, e andiamo sempre con gli
occhi chiusi dove vanno gli altri. Tu non glielo dire, né lo dire a nessuno del paese, dove ho visto la
Lia, ché sarebbe un colpo di coltello per Sant’Agata. Ella mi riconobbe di certo, mentre passavo
davanti all’uscio, perché si fece bianca e rossa nella faccia, ed io frustai il mulo per passare presto,
e son certo che quella poveretta avrebbe voluto piuttosto che il mulo le fosse camminato sulla
pancia, e la portassero distesa sul carro come portiamo adesso suo nonno. Ora la famiglia dei
Malavoglia è distrutta, e bisogna rifarla di nuovo tu e Alessi.

—> messaggio di compare Alfio


—> Lia dietro suo fratello ma non in galera

– E denari per la roba ci sono già; a San Giovanni venderemo anche il vitello.

—> hanno comprato il vitello che dovevano prendere a gennaio


Il tempo passa velocemente in questi ultimi capitoli

– Bravi! così, quando ci avrete i denari da parte, non c’è pericolo che vi sfumino in un giorno,
come accadrebbe se il vitello venisse a morire, Dio liberi! Ora siamo alle prime case della città, e
tu potrai aspettarmi qui, se non vuoi venire sino all’ospedale.
– No, voglio venire anch’io; così almeno vedrò dove lo mettono, ed egli pure mi vedrà sino
all’ultimo momento.
Padron ‘Ntoni poté vederla sino all’ultimo momento, e mentre la Nunziata se ne andava via con
Alfio Mosca, adagio adagio, pel camerone che pareva d’essere in chiesa al camminare, li
accompagnava cogli occhi; poi si voltò dall’altra parte e non si mosse più.
—> ancora riprese

Compar Alfio e la Nunziata risaliro- no sul carro, arrotolarono la materassa e la coperta, e se ne


tornarono senza dir nulla, per la lunga strada polverosa.
Alessi si dava i pugni nella testa e si strappava i capelli, come non trovò più il nonno nel suo letto,
e vide che gli riportavano la materassa arrotolata; e se la prendeva colla Mena, quasi fosse stata
lei a mandarlo via. Ma compar Alfio gli diceva: – Che volete? La casa dei Malavoglia ora è
distrutta, e bisogna che la facciate di nuovo voi altri.

—> ripetizione della battuta che aveva fatto prima

Egli voleva tornare a fargli il conto della roba e del vitello, di cui avevano chiacchierato lungo la
strada colla ragazza; ma Alessi e Mena non gli davano retta, colla testa nelle mani e gli occhi fissi
e lucenti di lagrime, seduti sulla porta della casa dove oramai erano soli davvero. Compar Alfio in
questo mentre cercava di confortarli col rammentar loro com’era prima la casa del nespolo,
quando stavano a chiacchierare da un uscio all’altro, colla luna, e si udiva tutto il giorno il
colpettare del telaio di Sant’Agata, e le galline che chiocciavano, e la voce della Longa che aveva
sempre da fare. Adesso tutto era cambiato, e quando uno se ne va dal paese, è meglio che non ci
torni più, perché la strada stessa non sembrava più quella, dacché non c’era più quel passeggio per
la Mangiacarrubbe, e don Silvestro non si faceva veder nemmeno lui, aspettando che la Zuppidda
cascasse coi suoi piedi, e lo zio Crocifisso s’era chiuso in casa a guardarsi la sua roba, o ad
accapigliarsi colla Vespa, e persino non si udiva quistionar tanto nella spezieria, dacché don
Franco aveva visto la giustizia nel mostaccio, ed ora andava a rincantucciarsi per leggere il
giornale, e si sfogava a pestare nel mortaio tutto il giorno per passare il tempo. Anche padron
Cipolla non ci stava più a schiacciare gli scalini davanti la chiesa, dacché aveva perso la pace.

TUTTO È CAMBIATO

Un bel giorno corse la notizia che padron Fortunato si maritava, perché la sua roba non se la
godesse la Mangiacarrubbe, alla barba di lui; per questo non ci stava più a schiacciare gli scalini,
e si pigliava la Zuppidda. – E mi diceva che il matrimonio è come una trappola di topi! andava
brontolan- do allora lo zio Crocifisso.

—> Mangiacarrube è una donna che comanda


Padron cipolla prende in sposa la Zuppidda
– Ora state a fidarvi degli uomini?
Le ragazze invidiose dicevano che la Barbara sposava suo nonno. Ma la gente di proposito, come
Peppi Naso, e Piedipapera, ed anche don Franco, mormoravano: – Questa l’ha vinta comare
Venera contro don Silvestro; è un gran colpo per don Silvestro, ed è meglio che se ne vada dal
paese.

Un altro che deve andare via

Già i forestieri, frustali! e qui non ci hanno messo mai radici i forestieri. Con padron Cipolla non
ardirà mettercisi a tu per tu don Silvestro.
– O che credeva? sbraitava comare Venera colle mani sui fianchi, – di prendersi mia figlia colla
carestia? Stavolta comando io! e gliel’ho fatta capire a mio marito! Chi è buon cane mangia al
trogolo; forestieri non ne vogliamo per la casa.

Si ha un riepilogo un po’ di quanto accaduto

Una volta in paese si stava meglio, quando non erano venuti quelli di fuori a scrivere sulla carta i
bocconi che vi mangiate, come don Silvestro, o a pestare fiori di malva nel mortaio,
-Don Franco -
e ingrassarsi col sangue di quei del paese. Allora ognuno si conosceva, e si sapeva quel che faceva,
e quel che avevano sempre fatto suo padre e suo nonno, e perfino quel che mangiava, e quando si
vedeva passare uno si sapeva dove andava, e le chiuse erano di quelli che c’erano nati, e il pesce
non si lasciava prendere da questo e da quello. Allora la gente non si sbandava di qua e di là, e non
andava a morire all’ospedale.
—> I Malavoglia erano sbandati ed ora ce l’hanno con Padron ‘Ntoni che è andato a morir in ospedale

Giacché tutti si maritavano, Alfio Mosca avrebbe voluto prendersi comare Mena, che nessuno la
voleva più, dacché la casa dei Malavoglia s’era sfasciata, e compar Alfio avrebbe potuto dirsi un
bel partito per lei, col mulo che ci aveva; così la domenica ruminava fra di sé tutte le ragioni per
farsi animo, mentre stava accanto a lei, seduto davanti alla casa, colle spalle al muro, a sminuzzare
gli sterpolini della siepe per ingannare il tempo.

—> Gesti che attestano che compare Alfio è nervoso

Anche lei guardava la gente che passava, e così facevano festa la domenica: – Se voi mi volete
ancora, comare Mena, disse finalmente; io per me son qua.
La povera Mena non si fece neppur rossa, sentendo che compare Alfio aveva indovinato che ella lo
voleva, quando stavano per darla a Brasi Cipolla, tanto le pareva che quel tempo fosse lontano, ed
ella stessa non si sentiva più quella.
– Ora sono vecchia, compare Alfio, rispose, e non mi marito più.
– Se voi siete vecchia, anch’io sono vecchio, ché avevo degli anni più di voi, quando stavamo a
chiacchierare dalla finestra, e mi pare che sia stato ieri, tanto m’è rimasto in cuore. Ma devono
esser passati più di otto anni. E ora quando si sarà maritato vostro fratello Alessi, voi restate in
mezzo alla strada.

—> resterete sola

Mena si strinse nelle spalle, perché era avvezza a fare la volontà di Dio, come la cugina Anna; e
compare Alfio, vedendo così, riprese:
– Allora vuol dire che non mi volete bene, comare Mena, e scusatemi se vi ho detto che vi avrei
sposata. Lo so che voi siete nata meglio di me, e siete figlia di padroni; ma ora non avete più nulla,
e se si marita vostro fratello Alessi, rimarrete in mezzo alla strada.
—> ripetizione della battuta

Io ci ho il mulo e il mio carro, e il pane non ve lo farei mancare giammai, comare Mena. Ora
perdonatemi la libertà!
– Non mi avete offesa, no, compare Alfio; e vi avrei detto di sì anche quando avevamo la
Provvidenza e la casa del nespolo, se i miei parenti avessero voluto, che Dio sa quel che ci avevo in
cuore quando ve ne siete andato alla Bicocca col carro dell’asino, e mi pare ancora di vedere, quel
lume nella stalla, e voi che mettevate tutta la vostra roba sul carretto, nel cortile; vi rammentate?
– Sì, che mi rammento! Allora perché non mi dite di sì, ora che non avete più nulla, e ci ho il mulo
invece dell’asino al carretto, e i vostri parenti non potrebbero dir di no?
– Ora non son più da maritare; tornava a dire Mena col viso basso, e sminuzzando gli sterpolini
della siepe anche lei. – Ho ventisei anni, ed è passato il tempo di maritarmi.

—>Tornano gli sterpolini della siepe

– No, che non è questo il motivo per cui non volete dirmi di sì! ripeteva compar Alfio col viso basso
come lei. – Il motivo non volete dirmelo! – E così rimanevano in silenzio a sminuzzare sterpolini
senza guardarsi in faccia. Dopo egli si alzava per andarsene, colle spalle grosse e il mento sul
petto.
Mento sul petto= Modo diverso di dire testa bassa
Mena lo accompagnava cogli occhi finché poteva vederlo, e poi guardava al muro dirimpetto e
sospirava.
Come aveva detto Alfio Mosca, Alessi s’era tolta in moglie la Nunziata, e aveva riscattata la casa
del nespolo.

Lezione 11 Maggio

Una donna di 26 anni poteva sposarsi e Verga lo sottolinea come se ci fosse altro sotto. Infatti compare
Alfio non ci crede che è quello il motivo.
Ci dà indicazioni temporali (sono passati 8 anni) e ciò fa capire anche che ‘Ntoni sta per uscire dal
carcere.
L’obiettivo del romanzo è di recuperare lo status originale della famiglia (Alessi si sposa e riscatta la
casa del nespolo). Nonostante questo non è la stessa cosa ma riconquistare la casa del nespolo era
importante perché solo loro potevano averla.

– Io non son da maritare, aveva tornato a dire la Mena; – maritati tu che sei da maritare ancora; e
così ella era salita nella soffitta della casa del nespolo, come le casseruole vecchie, e s’era messo il
cuore in pace, aspettando i figliuoli della Nunziata per far la mamma.

—>Il capitolo ripete le stesse parole


Casseruole vecchie: brutta immagine che intende far capire che Mena non è più buona per essere
sposata.
Si prepara a fare la mamma dei propri nipoti.

Ci avevano pure le galline nel pollaio, e il vitello nella stalla, e la legna e il mangime sotto la
tettoia, e le reti e ogni sorta di attrezzi appesi, il tutto come aveva detto padron ‘Ntoni;
Obiettivo: recuperare un po’ tutto per il loro status

e la Nunziata aveva ripiantato nell’orto i broccoli ed i cavoli, con quelle braccia delicate che non si
sapeva come ci fosse passata tanta tela da imbiancare, e come avesse fatti quei marmocchi grassi e
rossi che la Mena si portava in collo pel vicinato, quasi li avesse messi al mondo lei, quando faceva
la mamma.

—>Alterna fortuna che caratterizza il romanzo che si chiude con il recupero dello status.
Verga fa saltare 3-4 anni senza farceli percepire. Questo fa parte della tecnica
dell’IMPERSONALITÀ.
Compare Mosca scrollava il capo, mentre la vedeva passare, e si volta- va dall’altra parte, colle
spalle grosse. – A me non mi avete creduto degno di quest’onore! le disse alfine quando non ne
poté più, col cuore più grosso delle spalle. – Io non ero degno di sentirmi dir di sì!
– No, compar Alfio! – rispose Mena la quale si sentiva spuntare le lagrime. – Per quest’anima pura
che tengo sulle braccia! Non è per questo motivo. Ma io non son più da maritare.

—> ancora ritorna la battuta “Questo matrimonio non s’adda fare “


I romanzi di formazione finiscono sempre con un matrimonio o con il fallimento. Verga gioca molto
su questo topos. Mena non si sposa, Alessi invece sì. Alessi sposa Nunziata ed è l’unico matrimonio
felice.
—>Nei romanzi del secondo ‘800 la storia inizia con il matrimonio e finisce con la morte (mastro-
don Gesualdo/ Madame Bovary). Romanzo più biografico.

Perché non siete più da maritare comare Mena?


Esplicita la domanda

– No! no! – ripeteva comare Mena, che quasi piangeva. – Non me lo fate dire, compar Alfio! Non
mi fate parlare! Ora se io mi maritassi, la gente tornerebbe a parlare di mia sorella Lia, giacché
nessuno oserebbe prendersela una Malavoglia, dopo quello che è successo.

Ecco spiegato il motivo. Nessuno vorrebbe prendere un Malavoglia e inizierebbero a sparlare di loro.
Con Lia il capitale simbolico è venuto meno.

Voi pel primo ve ne pentireste. Lasciatemi stare, che non sono da maritare, e mettetevi il cuore in
pace.
– Avete ragione, comare Mena! rispose compare Mosca; – a questo non ci avevo mai pensato.
Maledetta la sorte che ha fatto nascere tanti guai!

—> a questo argomento Alfio non ha una risposta nel codice di Acitrezza. Destino amato-avverso
che non permettono all’uomo di auto determinarsi.
Se stanno nel loro piccolo nessuno sparlerebbe di loro e perciò evita tante cose proprio per evitare di
tornare sulla bocca della gente. Non tanto per Alfio quanto per Alessi che si sposò e Mena che era
sua sorella.
Così compare Alfio si mise il cuore in pace, e Mena seguitò a portare in braccio i suoi nipoti quasi
ci avesse il cuore in pace anche lei,
—> prima Mena si era messa il cuore in pace, ora dice “quasi”. Anche per lei è maledetta sorte.

e a spazzare la soffitta, per quando fossero tornati gli altri, che c’erano nati anche loro, –come se
fossero stati in viaggio per tornare! – diceva Piedipapera.

Altri: Lia e Ntoni. Si aspettano nonostante siano responsabili della perdita di autorevolezza e onore
(CAPITALE SIMBOLICO detto da Castellana).
Luigi Russo la chiamava “LEGGE DELL’ONORE”.

Invece padron ‘Ntoni aveva fatto quel viaggio lontano, più lontano di Trieste (dov’era finito Luca)
e d’Alessandria d’Egitto (dove si stava costruendo il canale di Suez; è un luogo anche un po’
mitico) , dal quale non si ritorna più;

—>Pudore nel dire le parole perché fa riferimento alla morte ma si dice con il linguaggio implicito.

e quando il suo nome cadeva nel discorso, mentre si riposavano, tirando il conto della settimana e
facendo i disegni per l’avvenire, all’ombra del nespolo e colle scodelle fra le ginocchia, le
chiacchiere morivano di botto,

—>Anche padron Ntoni deve tornare

che a tutti pareva d’avere il povero vecchio davanti agli occhi, come l’avevano visto l’ultima volta
che erano andati a trovarlo in quella gran cameraccia coi letti in fila, che bisognava cercarlo per
trovarlo, e il nonno li aspettava come un’anima del purgatorio, cogli occhi alla porta, sebbene non
ci vedesse quasi, e li andava toccando, per accertarsi che erano loro, e poi non diceva più nulla,
mentre gli si vedeva in faccia che aveva tante cose da dire, e spezzava il cuore con quella pena che
gli si leggeva in faccia e non la poteva dire. Quando gli narrarono poi che avevano riscattata la
casa del nespolo, e volevano portarselo a Trezza di nuovo, rispose di sì, e di sì, cogli occhi, che gli
tornavano a luccicare, e quasi faceva la bocca a riso, quel riso della gente che non ride più, o che
ride per l’ultima volta, e vi rimane fitto nel cuore come un coltello.

—> ultimo sorriso di padron Ntoni.


Così successe ai Malavoglia quando il lunedì tornarono al carro di compar Alfio per riprendersi il
nonno, e non lo trovarono più.

Il nonno ha fatto in tempo a sapere che la famiglia è tornata al suo posto ma non vi fece più ritorno
lui. Per Padron ‘Ntoni non c’è un lieto fine.
La lotta che ha compiuto nel romanzo è riuscita ma non appartiene a lui partecipare di questa
realizzazione.

Rammentando tutte queste cose lasciavano il cucchiaio nella scodella, e pensavano e pensavano a
tutto quello che era accaduto, che sembrava scuro scuro, come ci fosse sopra l’ombra del nespolo.

—> evoca il finale dei promessi sposi perché anche quando Renzo e Lucia si sposano loro pensano e
ripensano alla loro storia. (IL SUGO DELLA STORIA)
Anche noi lettori pensiamo e ripensiamo perché ripensiamo un po’ a tutta la storia del romanzo.
La morale non è non ficcarsi nei guai ma durante la vita i guai arrivano. La felicità non esiste nella
vita terrena manco se ci si sposa. Manzoni questo lo fa vedere.
I guai arrivano e bisogna sopportare e scegliere di stare dalla parte del bene sempre.

Ora, quando veniva la cugina Anna a filare un po’ con le comari, aveva i capelli bianchi, e diceva
che aveva perso il riso della bocca,

—> la cugina Anna è sempre quella col sorriso sulla bocca e invece adesso lo perde. Anche lo zio
crocifisso ha perso la pace insieme a padron Cipolla e Silvestro.
Anche i personaggi che parevano stabili, crollano.
Il finale migliore lo ha Alessi che sposa la nunziata.

perché non aveva tempo di stare allegra, colla famiglia che aveva sulle spalle, e Rocco che tutti i
giorni bisognava andare a
cercare di qua e di là, per le strade e davanti la bettola, e cacciarlo verso casa come un vitello
vagabondo. Anche dei Malavoglia ce n’erano due vagabondi; e Alessi si tormentava il cervello a
cercarli dove potevano essere, per le strade arse di sole e bianche di polvere, che in paese non
sarebbero tornati più, dopo tanto tempo.
—> hanno fatto la fine del padre di Nunziata
Una sera, tardi, il cane si mise ad abbaiare dietro l’uscio del cortile, e lo stesso Alessi, che andò ad
aprire, non riconobbe ‘Ntoni il quale tornava colla sporta sotto il braccio, tanto era mutato,
coperto di polvere, e colla barba lunga.

—>il primo a non riconoscere Ntoni è il cane.


Si ricorda la scena di Ulisse che quando tornò fu riconosciuto subito dal cane.
C’è una discussione sul cambiamento perché tante cose mutano nel romanzo.

Come fu entrato e si fu messo a sedere in un cantuccio, non osavano quasi fargli festa. Ei non
sembrava più quello, e andava guardando in giro le pareti, come non le avesse mai viste; fino il
cane gli abbaiava, ché non l’aveva conosciuto mai. Gli misero fra le gambe la scodella, perché
aveva fame e sete, ed egli mangiò in silenzio la minestra che gli diedero, come non avesse visto
grazia di Dio da otto giorni, col naso nel piatto; ma gli altri non avevano fame, tanto avevano il
cuore serrato. Poi ‘Ntoni, quando si fu sfamato e riposato alquanto, prese la sua sporta e si alzò
per andarsene.
Alessi non osava dirgli nulla, tanto suo fratello era mutato. Ma al vedergli riprendere la sporta, si
sentì balzare il cuore dal petto, e Mena gli disse tutta smarrita:
–Te ne vai?
– Sì! rispose ‘Ntoni.
– E dove vai? chiese Alessi.
– Non lo so. Venni per vedervi. Ma dacché son qui la minestra mi è andata tutta in veleno.

Battute implicite ma perché?


Nel romanzo si gioca sulla conoscenza in quanto si sapeva tutto di tutti. Com’era trasparenza e non
si aveva il rischio di fraintendere.

Per altro qui non posso starci, ché tutti mi conoscono, e perciò son venuto di sera. Andrò lontano,
dove troverò da buscarmi il pane, e nessuno saprà chi sono.

Andare in un paese dove nessuno conosce ma ha anche effetti negativi.


Finirà per essere un qualcosa di negativo.
Gli altri non osavano fiatare, perché ci avevano il cuore stretto in una morsa, e capivano che egli
faceva bene a dir così. ‘Ntoni continuava a guardare dappertutto, e stava sulla porta, e non sapeva
risolversi ad andarsene.

—>Nei suoi gesti capiamo che non vuole andare via.

– Ve lo farò sapere dove sarò; disse infine, e come fu nel cortile, sotto il nespolo, che era scuro,
disse anche:
– E il nonno?
Alessi non rispose; ‘Ntoni tacque anche lui, e dopo un pezzetto:

I silenzi nei malavoglia parlano da soli

– E la Lia, che non l’ho vista?


E siccome aspettava inutilmente la risposta, aggiunse colla voce tremante, quasi avesse freddo: – È
morta anche lei?

Il primo silenzio ha fatto capire a ‘Ntoni che il nonno era morto.


—> un po’ come le tragedie quando l’eroe viene messo tra due scelte ma non sa cosa scegliere. Non
si ha possibilità di ricomporsi.
Partire per Ntoni è il miglior male anche perché salverebbe l’onore della famiglia. Permettere a chi
rimane di recuperare il capitale simbolico.

Alessi non rispose nemmeno; allora ‘Ntoni che era sotto il nespolo, colla sporta in mano, fece per
sedersi, poiché le gambe gli tremavano, ma si rizzò di botto, balbettando:
– Addio addio! Lo vedete che devo andarmene?

—>Deve andarsene quando si parla della Lia perché la colpa della fine della Lia è anche colpa sua.

Prima d’andarsene voleva fare un giro per la casa, onde vedere se ogni cosa fosse al suo posto
come prima; ma adesso, a lui che gli era bastato l’animo di lasciarla e di dare una coltellata a don
Michele, e di starsene nei guai, non gli bastava l’animo di passare da una camera all’altra se non
glielo dicevano.

—>Come se si volesse fermare in ogni camera.


Alessi che gli vide negli occhi il desiderio, lo fece entrare nella stalla, col pretesto del vitello che
aveva comperato la Nunziata, ed era grasso e lucente; e in un canto c’era pure la chioccia coi
pulcini; poi lo condusse in cucina, dove avevano fatto il forno nuovo, e nella camera accanto, che
vi dormiva la Mena coi bambini della Nunziata, e pareva che li avesse fatti lei. ‘Ntoni guardava
ogni cosa, e approvava col capo, e diceva: – Qui pure il nonno avrebbe voluto metterci il vitello;
qui c’erano le chiocce, e qui dormivano le ragazze, quando c’era anche quell’altra...

—>non la nomina nemmeno

Ma allora non aggiunse altro, e stette zitto a guardare intorno, cogli occhi lustri. In quel momento
passava la Mangiacarrubbe, che andava sgridando Brasi Cipolla per la strada, e ‘Ntoni disse: –
Questa qui l’ha trovato il marito; ed ora, quando avranno finito di quistionare, andranno a dormire
nella loro casa.

—>Verga stacca un momento di tanta tristezza e il paese torna.


La Mangiacarrube era una delle sue possibili prede.
C’è invidia persino di questi due personaggi che non hanno un matrimonio felice. Ntoni non può
avere più un matrimonio ad Acitrezza.

Gli altri stettero zitti, e per tutto il paese era un gran silenzio, soltanto si udiva sbattere ancora
qualche porta che si chiudeva; e Alessi a quelle parole si fece coraggio per dirgli: – Se volessi
anche tu ci hai la tua casa. Di là c’è apposta il letto per te.
– No! rispose ‘Ntoni. Io devo andarmene. Là c’era il letto della mamma, che lei inzuppava tutto di
lagrime quando volevo andarmene. Ti rammenti le belle chiacchierate che si facevano la sera,
mentre si salavano le acciughe? e la Nunziata che spiegava gli indovinelli? e la mamma, e la Lia,
tutti lì, al chiaro di luna, che si sentiva chiacchierare per tutto il paese, come fossimo tutti una
famiglia? Anch’io allora non sapevo nulla, e qui non volevo starci, ma ora che so ogni cosa devo
andarmene.

—>Acitrezza era una grande famiglia.


Questa è un’immagine mitica come quei vecchi che dicono “ai miei tempi”. Si ha una nostalgia della
gioventù o della vita che ormai sta sfinendo.
Noi non l’abbiamo vista in questo modo.
Ci vuole restituire un’immagine idilliaca del paese. Si pensa pure al mondo prima che arrivassero gli
stranieri in terra altrui quindi ci si rifà al mondo moderno.
In quel momento parlava cogli occhi fissi a terra, e il capo rannicchiato nelle spalle. Allora Alessi
gli buttò le braccia al collo.
– Addio, ripetè ‘Ntoni. Vedi che avevo ragione d’andarmene! qui non posso starci. Addio,
perdonatemi tutti.

—>Ntoni ha imparato ma non si dice che ha capito. Prima voleva solamente andarsene ora deve ma
non vuole più.
In questo punto finiscono ì Malavoglia. La pagina successiva è stata aggiunta in un secondo momento.
La continuazione è importante perché Verga aggiunse in quanto qualcosa mancava.
Dopo l’addio alla casa, Ntoni fa una passeggiata.

E se ne andò colla sua sporta sotto il braccio;

Sporra—> segno del viaggiatore

poi, quando fu lontano, in mezzo alla piazza scura e deserta, che tutti gli usci erano chiusi, si fermò
ad ascoltare se chiudessero la porta della casa del nespolo, mentre il cane gli abbaiava dietro, e gli
diceva col suo abbaiare che era solo in mezzo al paese.
Soltanto il mare gli brontolava la solita storia lì sotto, in mezzo ai fariglioni, perché il mare non ha
paese nemmeno lui, ed è di tutti quelli che lo stanno , ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e
muore il sole , anzi ad Acitrezza ha un un modo tutto suo di brontolare, e si riconosce subito al
gorgogliare che fa tra quegli scogli nei quali si rompe, e par la voce di un amico.

Sente di essere come il mare, senza patria e senza paese.


Di qua e di là—> ripresa di Vagabondaggio
Mare= amico e nemico

Allora ‘Ntoni si fermò in mezzo alla strada a guardare il paese tutto nero, come non gli bastasse il
cuore di staccarsene, adesso che sapeva ogni cosa, e sedette sul muricciuolo della vigna di massaro
Filippo.

—>Le luci nelle case si sono spente, ed è buio.


Massaro Filippo era il suo antagonista per la Maruzza.
Così stette un gran pezzo pensando a tante cose, guardando il paese nero, e ascoltando il mare che
gli brontolava lì sotto.

Anche se sa tutto continua a pensare


Il mare che brontola non è positivo.

E ci stette fin quando cominciarono ad udirsi certi rumori ch’ei conosceva, e delle voci che si
chiamavano dietro gli usci, e sbatter d’imposte, e dei passi per le strade buie.

—>Sono dei pescatori perché sono ì mattinieri

Sulla riva, in fondo alla piazza, cominciavano a formicolare dei lumi. Egli levò il capo a guardare i
Tre Re che luccicavano, e la Puddara che annunziava l’alba, come l’aveva vista tante volte.

—>Sono le costellazioni che già sono viste ad inizio che preannunciavano il tempo.

Allora tornò a chinare il capo sul petto, e a pensare a tutta la sua storia. A poco a poco il mare
cominciò a farsi bianco, e i Tre Re ad impallidire, e le case spuntavano ad una ad una nelle vie
scure, cogli usci chiusi, che si conoscevano tutte, e solo davanti alla bottega di Pizzuto c’era il
lumicino, e Rocco Spatu colle mani nelle tasche che tossiva e sputacchiava.

Vede la bottega di pizzuto che ha rappresentato il luogo dove c’è stato il contrabbando e dove si
andava quando chiuse la bottega della Santuzza.

– Fra poco lo zio Santoro aprirà la porta, pensò ‘Ntoni, e si accoccolerà sull’uscio a cominciare la
sua giornata anche lui. –Tornò a guardare il mare, che s’era fatto amaranto, tutto seminato di
barche che avevano cominciato la loro giornata anche loro, riprese la sua sporta, e disse: – Ora è
tempo d’andarsene, perché fra poco comincierà a passar gente. Ma il primo di tutti a cominciar la
sua giornata è stato Rocco Spatu.

-Nel finale si ritrova spesso il verbo “cominciare”.


-Vengono visti Rocco Spatu, Zio Santoro (voce del paese) e Vanni pizzuto.
-La stessa battuta ripetuta più volte (che deve andare via)
-Il MA non fa capire se rientra con le parole di ‘Ntoni o se è il narratore AMBIGUITÀ.
-in tutto il romanzo Rocco Spatu è “colle mani in tasca” poiché non fa niente. Egli tossisce e
sputacchia (onomatopeico) perché è ubriacone. È un refrain.

Cosa vuol dire la battuta finale?


L’emblema del paese non è il lavoro (quindi padron ‘Ntoni col suo messaggio per alzarsi a faticare)
ma anche il paese di Rocco Spatu e quindi dei fannulloni.
L’ultimo forse a finire la giornata precedente non quello che si è svegliato all’alba.
Termina con l’inizio della giornata e quindi si riapre l’epoca di sempre oppure si chiude la giornata?
Non esiste più il mondo arcaico ma tutto è divenuto moderno.
No realtà contadina di prima.

Ntoni che sa ogni cosa —> ha capito la lezione del nonno. Lui era il colpevole e quindi l’errore perché
bisognava rispettare il mondo così com’era e lasciarlo immutabile.
Lui infatti cercava di cambiarlo ed ha combinato guai.

Ntoni e Rocco Spatu vengono spesso paragonati.

FINALE IN SORDINA —> abbassare il tono che era un po’ lirico.


La modernità ha trasformato i luoghi lirici oppure non sono mai esistiti.
Nel mondo di prima le cose cambiano.

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