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Introduzione alla storia bizantina.

Giorgio Ravegnani

Riassunto di:
Andrea Cenerelli

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Capitolo I: La storia di Bisanzio.

La nozione di storia bizantina


L’uso del termine Bizantini in riferimento agli abitanti dell’impero d’Oriente è di origine moderna e
on trova riscontro nelle fonti se non per indicare i cittadini della capitale. I Bizantini si ritenevano
Roman. Fino al XV secolo si parla di Rhomania con riferimento all’impero di Costantinopoli.
Anche gli stranieri li definivano in tal modo, ad esempio la Romagna deriva il suo nome dall’antico
dominio dei Romani intorno a Ravenna, contrapposto a quello dei Longobardi della Lombardia.
La definizione di Greci o di Elleni era ritenuta dispregiativa a Bisanzio, in quanto ellenismo era
associato al paganesimo. Quando in occidente i sovrani germanici rivendicavano il titolo di
imperatori romani, recavano affronto a Costantinopoli il cui sovrano si riteneva l’unico depositario
del titolo imperiale e rifiutava di riconoscere gli emuli dell’Occidente. L’idea di romanità era alla
base anche del sistema politico dei Bizantini, e per tutto il millennio l’impero venne considerato la
continuazione di Roma con diritto alla sovranità su tutti i territori a questa appartenuti; l’eventuale
dominazione straniera era considerata illegale e frutto di usurpazione.
A questa componente politica si aggiunse dal fin dalla prima epoca l’aspetto religioso: l’impero era
un disegno di Dio che aveva eletto il popolo cristiano come depositario della sua volontà. Eterno in
quanto voluto da Dio e universale in quanto romano. Non poteva esistere altro imperatore dopo
quello di Costantinopoli, che da Dio riceveva il potere perpetuando l’autorità delegata a Costantino
I, il primo monarca cristiano.

La periodizzazione.
La storia bizantina termina al momento della caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi (29
maggio 1453) che mise fine alla serie degli imperatori. L’inizio è tuttavia più incerto, per il fatto
che nei primi tempi la storia bizantina si fonde con quella romana. Sono state individuate diverse
date collegabili a una cesura epocale: tra queste il 324 o il 330, la prima si riferisce all’inizio del
governo di Costantino I come unico sovrano e alla costruzione di Costantinopoli, l’altra
all’inaugurazione ufficiale della città. Altra data è il 395 quando, dopo la morte di Teodosio I, le
due parti dell’impero vennero divise per non essere mai più riunificate in seguito. Altra data è il
476, con la caduta dell’Impero romano d’Occidente. Il VI secolo offre un’altra data simbolica, il
365 anno della morte di Giustiniano I, con cui si esaurisce la fase romana del diritto rappresentata
dal Corpus Iuris Civilis che segna il punto di arrivo della produzione legislativa classica. Il tema
dell’origine ora non fa più parte del dibattito storiografico e si accetta come “bizantino” quanto
appartiene al mondo romano a partire dal IV secolo. In secondo luogo l’impero bizantino non fu
creato ex-novo come ad esempio quello carolingio e altro non è che l’evoluzione storica del
dominio romano in Oriente. Infine la fisionomia di Bisanzio che fin dall’inizio e per tutta la sua
durata presenta tre caratteristiche costanti: la struttura statale romana, la cultura greca e la religione
cristiana. Lo stato tardo romano o alto bizantino si basa infatti sull’assetto istituzionale che si
definisce nel III secolo e ha come aspetti principali la burocratizzazione e l’assolutismo imperiale.
Bisanzio sarà sempre uno stato di burocrati retto da un sovrano assoluto.

Le premesse.
L’assetto politico-amministrativo dell’impero bizantino del primo periodo ebbe origine dalle
riforme attuate da Diocleziano (284-305), che cercarono di arrestare il processo di disfacimento del
mondo antico alterandone profondamente la struttura. I cambiamenti si basarono essenzialmente su
cinque punti: il potere assoluto del sovrano, la centralizzazione della burocratizzazione
dell’apparato amministrativo, le riforme del sistema di tassazione, dell’esercito e della successione
al trono. L’imperatore divenne un “dominus”, assai diverso dal “primus inter pares” di età antica, e
assunse i connotati di un monarca orientale più che di un magistrato romano; Diocleziano assimilò

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se stesso alla divinità pretendendo di essere “dominus et deus” e facendosi chiamare Iovius (figlio
di Giove). Il sovrano di Costantinopoli si considerò per tutto il millennio scelto da Dio e i suoi
poteri erano almeno in teoria assoluti: comandante in capo dell’esercito, giudice supremo, unico
legislatore e protettore della chiesa. Furono dunque limitate le autonomie periferiche e venne
ulteriormente ridotto il potere del senato, da cui spesso era venuta una forte opposizione ai sovrani.
L’imperatore, attraverso una rete capillare di funzionari controllò tutto lo stato. La burocrazia fu
considerevolmente ampliata; le province passarono da cinquanta a cento al tempo di Diocleziano; si
istituirono circoscrizioni amministrative più ampie dette diocesi che comprendevano più province e,
sotto Costantino l’impero venne ulteriormente diviso in prefetture, in modo che ognuna contenesse
più diocesi e ogni diocesi più province. L’amministrazione si complicò dunque, e assunse una
struttura piramidale che partiva dal governo centrale e arrivava all’ultimo anello del sistema
costituito dalle città, passando appunto per prefetture, diocesi e province.
Il sistema delle prefetture si stabilizzò alla fine del IV secolo formando due grandi circoscrizioni
amministrative : la prefettura di Oriente costituita da cinque diocesi che comprendeva i territori
dalla Libia e la Tracia (diocesi d’Egitto, Oriente, Ponto, Asia e Tracia) e la prefettura di Illirico con
le diocesi di Dacia e Macedonia (cioè la Grecia e la parte centrale della penisola balcanica). A capo
di ogni prefettura si trovava un prefetto del pretorio, uno dei più alti funzionari imperiali.
Il prefetto del pretorio di Oriente risiedeva a Costantinopoli ed era di rango più elevato di quello di
Illirico, con sede a Tessalonica.
Le diocesi erano rette da vicari e a capo delle province vi erano dei funzionari dalle qualifiche
differenti, mentre il governo delle città dipendeva da funzionari municipali e da consigli, le curie,
di cui facevano parte i cittadini più benestanti. Le diocesi iniziarono a scomparire nel VI secolo e il
sistema delle prefetture venne abolito nel VII.
La riforma del sistema di tassazione fu attuata attraverso l’introduzione dell’annona, l’imposta
fondiaria in natura che, a causa del deprezzamento della moneta verificatosi nel III secolo, sostituì
l’antico tributo in denaro. Il nuovo dispositivo di tassazione era costituito da un ciclo annuale di
imposizione basato sul meccanismo della capitatio-iugatio ovvero fra la corrispondenza tra la
persona fisica (caput) e l’appezzamento di terreno (iugum), che venivano considerati
complementari agli effetti del prelievo; ne conseguì una tendenza ampia da parte dello stato a legare
i contadini alla terra per assicurare il pagamento del tributo. Nel mondo bizantino, tuttavia
l’economia monetaria tornò forte già verso il IV secolo con l’introduzione del solido ad opera di
Cosatantino I, una nuova moneta aurea.
La riforma militare fu avviata da Diocleziano e perfezionata da Costantino e consisteva nella
separazione tra autorità militare e civile. L’esercito fu poi diviso in unità più piccole per evitare la
concentrazione di un potere eccessivo nelle mani di un unico comandante. Vennero poi realizzati da
Costantino con una suddivisione, l’esercito di frontiera i limitanei e un esercito di manovra
acquartierato in profondità dentro i confini i comitatenses, questo fino al VII secolo quando si
instaurò il regime dei temi.
Con la tetrarchia invece si regolò la successione al trono, secondo tale sistema ai due imperatori
anziani, gli augusti dovevano subentrare automaticamente due cesari da loro scelti
preventivamente, e i nuovi augusti avrebbero a loro volta riscelto i due cesari.
Diocleziano mise in pratica la riforma e nel 305 rinunciò al suo rango di augusto costringendo
Massimiano a fare lo stesso, e vennero sostituiti dai cesari Costanzo e Galerio che nominarono a
loro volta cesari Massimino Daia e Flavio Valerio Severo. Venuta a mancare la personalità di
Diocleziano il sistema di successione si rivelò un fallimento e venne abbandonato. Sopravvisse solo
nella forma ma svuotato di sostanza in quanto i sovrani in carica erano chiamati augusti mentre i
loro probabili successori ricevevano il titolo di cesare. Dopo la tetrarchia dioclezianea non vi furono
più seri tentativi per stabilire una regola per la successione al trono. Il potere supremo era
teoricamente elettivo ma nella pratica si fece strada la successione determinata dalla cooptazione,

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per cui il sovrano in carica si associava uno o più colleghi, da cui si originarono numerose dinastie a
partire già dall’epoca di Costantino I.

Capitolo II: Da Roma a Bisanzio (324-610).

Costantino I.
LA crisi della tetrarchia fu già evidente nel 307, quando sei augusti si contesero il trono con una
serie di guerre civili terminate con la vittoria di Costantino. Costantino I (324-337) fu proclamato
cesare in Occidente nel 306 come erede del padre Costanzo Cloro; nel 312 vinse il rivale Massenzio
alla battaglia di Ponte Milvio e nel febbraio dell’anno successivo, a Milano, promulgò il famoso
editto di tolleranza del culto cristiano. Nel 324 sconfisse in Oriente l’ultimo dei suoi rivali, Licinio,
e divenne unico imperatore. Subito dopo pensò alla scelta di una nuova capitale e la scelta cadde su
Bisanzio, inaugurata l’11 maggio del 330.
Costantinopoli era destinata a crescere e a divenire una capitale stabile per una serie di fattori
favorevoli; la posizione strategica che consentiva di sorvegliare le invasioni nei Balcani e di
sbarrare l’accesso alle ricche regioni dell’Asia Minore, inoltre aveva grande rilievo come centro
commerciale, in quanto controllava i traffici fra Europa e Asia e il transito marittimo dal mar Nero
all’Egeo.
Nel 451 con il concilio di Calcedonia venne stabilita l’eguaglianza fra le due sedi episcopali. In
origine suffraganeo di Eraclea di Tracia, l’episcopato di Costantinopoli acquisì il rango di sede
metropolitana e, insieme a Roma, Alessandria, Gerusalemme e Antiochia, fu annoverata fra i più
importanti centri ecclesiastici comunemente definiti patriarcati.
La libertà di culto accordata ai cristiani condusse a una veloce affermazione della nuova religione,
creando dissidio con il superstite elemento pagano che da persecutore finì per divenire perseguitato.
I contraccolpi per la religione pagana non furono immediati e Costantino si limitò a eliminare alcuni
aspetti cultuali che offendevano la morale cristiana, facendo abbattere il tempio di Asclepio ad
Aigai di Cilicia, noto per le cure miracolose, e quelli di Afrodite, in Fenicia, in cui si praticava la
prostituzione sacra. In aggiunta a ciò proibì alcune manifestazioni del paganesimo, come
l’aruspicina privata e la magia, ordinò la rimozione dei doni votivi dai templi, emise leggi a favore
dei cristiani e, infine abolì i giochi gladiatori.
Al concilio di Nicea nel 325, convocato dall’imperatore per risolvere questioni di fede, importante
fu il ruolo di quest’ultimo nella direzione dei lavori e quindi per l’esito dello stesso; Costantino si
poneva così a capo della chiesa cristiana, sottolineando il ruolo che questa aveva nella vita del suo
impero. Il concilio di Nicea è il primo dei concili che posero le basi dell’ortodossia religiosa; segna
anche l’inizio del legame fra stato e chiesa, tipico del mondo bizantino. A Nicea venne inoltre
condannata la teoria del prete alessandrino Ario, che negava l’identità tra Padre e Figlio,
sostenendo che Cristo era stato creato dal Padre. La dottrina ariana fu messa al bando e si affermò il
dogma della consustanzialità, cioè della perfetta identità tra padre e figlio. (L’arianesimo sebbene
messo al bando non scomparve, ottenne il sostegno di Costanzo II e di Valente tra gli imperatori
successivi, e divenne la religione predominante tra i Goti).

Da Costanzo II a Valente.
Costantino lasciò l’impero ai tre figli Costante, Costanzo e Costantino e ai nipoti Dalmazio e
Annibaliano, ma, dopo la sua morte i soldati di Costantinopoli si ammutinarono uccidendo
Dalmazio e Annibaliano insieme ad altri membri della famiglia. Dei superstiti Costanzo II (337-
361) ottenne il governo dell’Oriente e divenne titolare unico dell’impero dopo aver eliminato
Magnenzio che aveva usurpato il trono del fratello Costante in Gallia. Giuliano (361-363) figlio del
fratellastro di Costantino I, Giulio Costanzo, morto durante gli assassinii della famiglia imperiale,

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fu risparmiato e venne nominato nel 355 cesare in Occidente dove respinse con successo gli attacchi
dei barbari e nel 360, a Parigi fu acclamato augusto dalle truppe. Costanzo II non accettò
l’usurpazione, rendendo inevitabile la guerra civile, ma lo scontro fu evitato dalla sua improvvisa
morte il 3 novembre del 361, mentre Giuliano marciava alla volta dell’Oriente.
Giuliano non appena giunto a Costantinopoli restaurò gli antichi culti pagani, ritenendo il
cristianesimo responsabile del disfacimento del mondo romano.
Morì combattendo contro i Persiani che aveva attaccato nel loro territorio, e con lui finì la dinastia
di Costantino.
I generali dopo la sua morte, nominarono Gioviano (363-364), il quale concluse una pace onerosa
con i Persiani per il ritiro delle truppe. Morì comunque dopo pochi mesi e l’esercito scelse
Valentiniano I, un’ufficiale di origine pannonica, che divise l’impero associandosi come augusto il
fratello Valente (364-378) e destinandolo a governare le regioni orientali.
La maggiore preoccupazione in politica estera per Valente fu rappresentata dal popolo germanico
dei Visigoti in territorio romano, un fenomeno di portata epocale da cui ebbero inizio le grandi
invasioni barbariche destinate a travolgere l’Occidente un secolo più tardi.
Nel 376 i Visigoti, spinti dagli Unni, chiesero di potersi stabilire all’interno dell’impero superando
la frontiera danubiana e Valente accordò loro il permesso nella speranza di poterli usare a proprio
vantaggio. I rapporti tra Visigoti e Romani si fecero tesi in Tracia a causa delle vessazioni che
imponevano i funzionari imperiali, così i Visigoti rafforzati da contingenti ostrogoti si ribellarono.
Valente decise di affrontarli di persona, senza attendere rinforzi dall’Occidente e il 9 agosto del 378
subì una disastrosa sconfitta in prossimità di Adrianopoli perdendo la vita in battaglia. Il disastro fu
tale che i vincitori s spinsero fino a Costantinopoli, ma qui furono respinti.
La sede di Costantinopoli restò vacante fino a che l’imperatore d’Occidente Graziano , figlio e
successore di Valentiniano I, si associò come augusto Teodosio, un valoroso generale di origine
spagnola affidandogli il governo delle regioni orientali.

Teodosio I
Teodosio I (379-395) cercò di rimettere in privo un esercito applicando una rigorosa coscrizione,
ma non ottenne le forze necessarie per sottomettere i Visigoti, e concluso così con essi un trattato in
forza del quale si sarebbero stanziati nella parte settentrionale della diocesi tracica, mantenendo una
piena autonomia, senza imposte ma con il compito di difendere l’impero come “alleati” foederati.
Si verificava così il primo insediamento massiccio di popolazioni barbariche all’interno del
territorio dell’impero romano.
L’Occidente romano cadde preda a contese dinastiche con l’uccisione di Graziano nel 383 ad opera
dell’usurpatore Magno Massimo, che fece fuggire anche il figlio di Graziano Valentiniano II con la
sua discesa in Italia dalla Gallia dove si era insediato. Teodosio sconfisse il sovrano usurpatore e
rientrò a Costantinopoli nel 391, ma tre anni più tardi torno in Occidente per l’assassinio di
Valentiniano II per mano di Arbogaste il suo magister militum, questo successivamente fece
proclamare imperatore Eugenio un maestro di retorica.
Ma Teodosio ottenne contro Arbogaste una vittoria decisiva alla battaglia del Frigido in prossimità
di Aquileia il 6 settembre del 394, al seguito della quale riunificò per l’ultima volta lo stato romano.
Teodosio morì pochi mesi dopo a Milano, da qui l’impero tornò diviso.
Teodosio fu un cristiano convinto, noto è l’editto di Tessalonica del 380, i cui decreti furono
attuati completamente solo nel 392 con il divieto di ogni forma del culto pagano. Diede ampio
impulso alla cristianizzazione ed eliminò il titolo di pontifex maximus, legato alla più antica
tradizione romana e venne rimossa dall’aula del senato romano la statua della Vittoria. Prima del
392 furono chiusi i templi e proibiti i sacrifici.

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La dinastia di Teodosio.
Teodosio I inaugurò in Oriente l’usanza di associarsi l trono come augusti i figli, una prassi che
rispondeva all’esigenza di rafforzare la successione ereditaria, benché poteva portare al trono figli
molto giovani e dunque invitabili lotte per l’esercizio effettivo del potere.
In effetti quando Teodosio morì, il trono passò ai figli ancora molto giovani, Arcadio in Oriente e
Onorio in Occidente avevano rispettivamente diciassette e dieci anni.
Arcadio (395-408) fu un sovrano di capacità modeste e subì fortemente l’influsso dapprima del
prefetto del pretorio Rufino, dopo l’assassinio di questi del Eutropio un dignitario di palazzo e
infine dalla moglie Eudossia e questa animò le discordie con il vescovo di Costantinopoli Giovanni
Crisostomo che aveva assunto una posizione contro il lusso della corte, sfruttando le sue ostilità con
il vescovo di Alessandria Teofilo, che riuscì a farlo condannare dal cosiddetto sinodo di Quercia e
convinse Arcadio a farlo esiliare.
Ma i difficili rapporti tra Oriente e Occidente erano già messi a dura prova dalla crisi seguita alla
ribellioni dei Goti stanziati in Tracia. Violando i patti conclusi con Teodosio I, i foederati presero le
armi guidati da Alarico, devastando la regione e spingendosi fino a Costantinopoli per spostarsi in
Grecia.
Dopo la morte di Teodosio il controllo effettivo dell’Occidente era passato al magister militum
Stilicone, il generale semibarbaro al quale il defunto sovrano aveva affidato la tutela di Onorio. La
pretesa di estendere la sua influenza all’Oriente in contrasto con i favoriti di Arcadio e la contesa
per le diocesi di Macedonia e Tracia, rivendicate dalle due parti, suscitavano contro Stilicone
l’ostilità del governo orientale e questa si fece sentire con tutta forza al momento della sollevazione
dei Visigoti. Contro il volere di Costantinopoli infatti il magister militum Stilicone andò ad
affrontarli in Tessaglia, ma Arcadio ordinò di non provvedere a tale decisione , in quanto conscio
della volontà di Stilicone di aumentare in oriente la propria influenza, così e i Visigoti proseguirono
così fino al Peloponneso.
Arcadio decise poi di allearsi con Alarico e lo fece stanziare con il grado di magister militum per
l’Illyricum, con il quale ebbe il comando di tutte le forze imperiali della regione, con il quale ebbe il
comando di tutte le forze imperiali della regione. Di qui, nel 401, Alarico si mosse alla volta
dell’Italia, dove venne affrontato da Stilicone che nel 402 lo sconfisse a Pollenza e poi Verona.
Onorio lasciata Milano si rifugiava intanto nella fortezza di Ravenna. L’uccisione di Stilicone nel
408 offrì ad Alarico la possibilità di riprendere l’offensiva e attaccare di nuovo l’Italia
saccheggiando Roma nel 410. Morì poco dopo a Cosenza, il successore Ataulfo nel 412
abbandonò la penisola per trasferirsi in Gallia e poi in Spagna agli inizi del VI secolo.
L’allontanamento dei Visigoti dall’Oriente fu un successo per Costantinopoli che in questo modo si
liberò della prima massiccia ondata di barbari con cui aveva forzatamente convissuto dopo
Adrianopoli, e venne inoltre messa a freno la germanizzazione dell’esercito.
Arcadio morì all’età di trentuno anni lasciando sul trono di Costantinopoli il figlio, Teodosio II
(408-450), nato nel 401, la reggenza fu esercitata dapprima da Antemio, poi dalla sorella
dell’Imperatore, Pulcheria, proclamata augusta nel 414. Oltre a quest’ultima, esercitò su Teodosio
una forte influenza anche Atenaide, moglie dell’imperatore sposata nel 421; figlia di un maestro di
retorica si convertì al cristianesimo per sposare il sovrano assumendo il nome di Eudocia. Questa fu
la maggiore ispiratrice della ristrutturazione dell’università di Costantinopoli, già fondata da
Costantino I. Altrettanto importante per la vita pubblica fu il Codex Theodosianus del 438
contenente la raccolta delle leggi imperiali dai tempi di Costantino in avanti concepita per mettere
fine con un testo al grande disordine legislativo del tempo. Il codice fu emesso da Costantinopoli a
nome dell’imperatore Teodosio II e del collega occidentale Valentiniano III (423-455)
riaffermando idealmente per lo meno l’unità delle due parti.
Il ripristino dei normali rapporti portò Costantinopoli a intervenire nelle vicende d’Occidente. Nel
423 infatti furono inviate truppe per abbattere l’usurpatore Giovanni e portare sul trono

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Valentiniano III, figlio della sorella di Onorio, Galla Placidia, che rappresentava la continuità della
dinastia teodosiana.
A parte due brevi guerre con i Persiani nel 421 e nel 441,il problema più pressante fu la disastrosa
invasione degli Unni di Attila rovesciatisi dapprima sull’Oriente per poi prendere la via
dell’Occidente. Attila divenuto re degli Unni nel 434 aveva riunificato in un grande impero le tribù
unne e gli altri popoli barbarici che vivevano al di là del Danubio. Nel 441 saccheggiò in barba al
trattato che lo legava all’Oriente l’Illirico e la Tracia giungendo fin sotto le mura di Costantinopoli.
Come Alarico preferì non portare alle estreme conseguenze il suo attacco e dal 447 preferì rivolgere
il suo attacco verso l’Occidente che verteva in uno stato di debolezza. L’occasiane gli fu fornita da
un comportamento irresponsabile di Onoria sorella di Valentiniano III da cui ricevette una richiesta
di aiuto per rancori contro il sovrano. Onoria inviò il proprio anello da Costantinopoli, dove era
stata confinata, e il re unno interpretò il gesto come una promessa di matrimonio rivendicando il
dominio sull’Occidente. Quando le sue richieste furono rifiutate, attaccò in forza la Gallia dove
venne affrontato dal magister militum Ezio che, con un esercito composto da truppe nazionali e
alleati barbarici, nel 451 lo sconfisse sanguinosamente ai Campi Catalaunici costringendolo a
ritirarsi. Fu l’ultima grande vittoria di Roma. L’anno successivo Attila entrò nuovamente in Italia
conquistando Aquileia e devastando altre città, per poi ritirarsi verso il Danubio a seguito degli
accordi con papa Leone I. Morì nel 453, e con lui si disgregò l’impero unno.
Sotto Teodosio II fu proseguita la politica di liquidazione del paganesimo e nello stesso tempo si
acutizzarono le controversie interne alla chiesa cristiana per la definizione dell’ortodossia. I
successori di Teodosio I mantennero la sua linea di ostilità ai vecchi culti, e Teodosio II comminò la
pena dell’esilio per chi avesse sacrificato nel 423, nel 435 dispose che i tempi fossero trasformati in
chiese e istituì la pena di morte per i trasgressori.
Le controversie per la definizione del dogma cristiano suscitarono nuovi e più forti dissidi in
rapporto alla questione della natura di Cristo, che si accompagnavano a lotte per l’affermazione di
una o l’altra dottrina fra le grandi sedi patriarcali da cui erano sostenute. La prima eresia
cristologica del V secolo fu il Nestorianesimo, da Nestorio un vescovo siriano divenuto vescovo di
Costantinopoli. Il nestorianesimo accettato da Antiochia e rifiutato da Alessandria, riteneva che in
Cristo esistessero due nature distinte e che la divinità avesse scelto come proprio vaso Cristo, figlio
di Maria, da considerarsi quindi madre di Cristo e non di Dio. Nestorio sebbene appoggiato da
Teodosio II venne sconfitto al terzo concilio ecumenico tenutosi a Efeso nel 431 in cui prevalse il
partito alessandrino.
Un’altra eresia di proporzioni più ampie fu il monofisismo, mono-unico physis-natura, sostenuto da
Alessandria contro Costantinopoli e Roma, riteneva che in Cristo vi fosse la sola natura divina. La
teoria fu formulata da Eutiche, un abate di Costantinopoli. Nel 449 al concilio di Efeso, la
maggioranza dei vescovi era favorevole al monofisismo e, di conseguenza condannarono le
decisioni di Costantinopoli e Roma.

Da Marciano ad Anastasio I.
Dopo Teodosio morto il 28 luglio del 450 per una caduta da cavallo senza lasciare eredi, la scelta
del successore passò al senato che scelse sotto l’influenza del potente magister militum Aspar, un
alano di fede ariana, Marciano (450-457). Marciano decise di rivedere le decisioni fatte ad Efeso e
nel 451 convocò un nuovo concilio a Calcedonia, il quarto concilio ecumenico con il quale si
ottenne la condanna al monofisismo, mettendo fine alle controversie cristologiche e si sancì con il
canone 28 l’equiparazione tra le sedi vescovili di Costantinopoli e Roma.
Aspar esercitò una forte influenza su Marciano sia sul successore di questi Leone I (457-474).
Questo fu un momento di ripresa dell’elemento germanico nelle istituzioni di Costantinopoli. Leone
primo riuscì ad emanciparsi maggiormente da Aspar, appoggiandosi alla forza antagonista degli
Isauri, una popolazione semibarbarica, e con l’aiuto di un’ufficiale isaurico Tarasicodissa, riuscì a
destituire Ardabur, figlio di Aspar e magister militum per Orientem, allentando le pressioni sul

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trono. Tarasicodissa, che cambiò il proprio nome in Zenone, ottenne in cambio il comando degli
eserciti di Tracia e la mano di Ariadne, figlia di Leone I. I due alla fine ebbero la meglio sullo
schieramento di Aspar alleato con Basilisco il cognato di Leone I.
Alla morte di Leone I, l’erede designato fu Leone II, il nipote, figlio di Ariadne e di Zenone, ma
questi morì pochi mesi più tardi e Zenone gli subentrò nella carica.
Zenone (474-475 e 476-491 [nel mezzo c’è la breve usurpazione del trono da parte di Basilisco]),
esercitò un autorità molto precaria tra le quali la congiuntura di Basilisco (4775-476). Nella fase
acuta di crisi di Costantinopoli si compì il destino dell’altra parte dell’impero, quando nel 476, il
capo dei mercenari germanici in Italia Odoacre, depose il giovane sovrano Romolo Augusto. Dato
che Costantinopoli continuava ad essere considerata legalmente la sede del governo romano,
Odoacre richiese la sua legittimazione dell’Oriente e inviò un’ambasceria a Zenone per ottenere la
dignità di patrizio e l’amministrazione dell’Italia, ma trovò un rifiuto.
Essendovi il problema degli Ostrogoti in Tracia in guerra tra loro con le fazioni di Teodorico
Strabone e Teodorico l’Amalo, e di questi con la stessa Costantinopoli, terminate nel 481, gli
Ostrogoti di Teodorico l’Amalo si insediarono tranquillamente in Tracia e infine con la partenza di
questi per l’Italia nel 488, inviati da Zenone per cacciare Odoacre, l’impero d’Oriente prese “due
piccioni con una fava”.
Il regno di Teodorico (493-526) segnò una fase di ripresa, almeno parzialmente, per la civiltà
romana in Occidente.
Forti erano poi i problemi di natura religiosa e Zenone, che aveva simpatie monofisite, cercò di
porre fine alle controversie pubblicando nel 482, d’intesa con il patriarca di Costantinopoli Acacio,
l’Henotikón, o editto di unione, destinato a conciliare le due dottrine monofisita e ortodossa.
L’editto accettava le conclusioni dei primi tre concili e non entrava in merito a quelle del quarto,
deluse entrambe le parti e papa Felice III scomunicò il patriarca di Costantinopoli Acacio che, a sua
volta si oppose al papa romano e si avviò lo Scisma di Acacio durato per una trentina di anni.
Alla morte di Zenone, rimase in vita da parte imperiale la vedova Ariadne, alla quale fu delegata dal
senato la scelta del successore, che fu un anziano funzionario di corte, Anastasio.
Anastasio I (491-518), originario di Durazzo, godeva di una elevata reputazione a corte e risanò
completamente il disastro finanziario lasciato dai predecessori.

L’età di Giustiniano.
Dopo la morte di Anastasio I, senza eredi, venne eletto Giustino. Giustino I (518-527)
calcedoniano convinto depose i vescovi monofisiti e ripristinò i buoni rapporti con Roma mettendo
fine allo scisma acaciano. Non aveva figli, ma tanti nipoti, tra questi adottò Pietro Sabbazio, che
assunse il nome di Giustiniano. Venne educato accuratamente, divenne magister militum
praesentalis, console, patrizio e infine nobilissimo. Nel 527 a pochi giorni dalla morte, Giustino
associò Giustiniano al trono come augusto. Giustiniano aveva qualche anno prima sposato
Teodora, una famosa attrice di Costantinopoli, per anni inseparabile compagna nella vita e nel
governo.
Giustiniano (527-565) rinnovò profondamente il vecchio impero, e la sua età può essere
considerata il periodo più splendido della prima fase di storia bizantina. Conseguì notevoli successi
militari che portarono al recupero dell’Africa romana contro i Vandali, portata a termine dal
generalissimo Belisario nel 534. Venne conquistata la parte sud orientale della penisola iberica,
sottratta ai Visigoti, le cui operazioni iniziarono nel 552 e finirono nel 555.
L’evento bellico più importante nonché più cruento, fu la guerra gotica, meglio conosciuta come
guerra greco-gotica (535-553), con la quale venne riconquistata l’Italia. Avviata sempre con le
operazioni condotte dal generale Belisario, la campagna portò all’eliminazione dei re ostrogoti;
Vitige, poi Totila che dopo la morte del primo recuperò il terreno perso. La svolta si ebbe nel 552
quando al comando dell’eunuco Narsete per Bisanzio, vennero sconfitti definitivamente Totila e il
successore Teia ai monti Lattari. La morte in battaglia di Teia segnò la fine del regno ostrogoto. Nel

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554 Giustiniano emanò la Prammatica Sanzione, un testo legislativo con il quale ristabiliva il
dominio imperiale in Italia. ( La guerra portò ad un grande regresso demografico e a una lunga fase
di declino accentuato in seguito dall’invasione longobarda).
Sul fronte orientale Giustiniano per meglio operare in Occidente, aveva optato nel 532 per una
“pace perpetua” con il re persiano Cosroe I. Perpetua per modo di dire, venne infranta nel 540,
mentre Giustiniano era impegnato in Italia, ma oltre ad alcune conquiste persiano si mantenne un
effettivo status quo per la parità di forze dei contendenti, e la stanchezza portò nel 561 a una pace di
cinquant’anni. La difesa militare sul fronte balcanico, per il fatto che le forze erano impiegate
altrove venne giocata con l’erezione di fortificazioni per la difesa delle popolazioni, con la
diplomazia e con il pagamento della pace nei confronti degli incursori.
Nel mondo danubiano si affacciarono, dalla disgregazione dell’impero unno nel V secolo, un
mosaico di popoli, tra i quali un posto di rilievo hanno i Bulgari, Eruli, Gepidi, Longobardi e
Slavi.
L’assolutismo giustinianeo e l’inasprimento fiscale portarono alla rivolta di “Nika” del 532 a
Costantinopoli. L’insurrezione prese avvio dall’ippodromo a opera dei demi, dove le fazioni
sportive, con forti connotazioni politiche dei Verdi e degli Azzurri solitamente opposte si
coalizzarono per insorgere. Grazie all’energia di Teodora, e alle milizie di Belisario rientrato a
Costantinopoli Giustiniano, rinchiuso nel suo palazzo, si salvò da una situazione disperata. Belisario
assalì i rivoltosi all’ippodromo e caddero più di trentamila popolani; per qualche tempo i demi non
crearono più problemi. Ipazio nipote di Anastasio I, nominato imperatore dal popolo, venne
condannato a morte.
Il punto più alto dell’attività riformatrice di Giustiniano si ebbe con il Corpus Iuris Civilis portato a
termine tra il 529 e il 534. La raccolta di leggi si articola in 4 parti:
Codex Iustinianus: con le leggi imperiali dal II secolo al 534. Istitutiones: manuale per lo studio
del diritto. Digesto: con i responsi dei giureconsulti romani raccolti da una commissione presieduta
da Triboniano, dove vennero raccolti scritti dei giuristi di II e III secolo, in particolare di Ulpiano.
Novelle: le nuove leggi emesse dopo l’emanazione del codice.
Giustiniano attuò anche un’ampia attività edilizia, sia militare che civile. Importante fu la
ricostruzione di Santa Sofia a Costantinpoli che oggi si presenta come il frutto del restauro e
riedificazione dopo le distruzioni operate nella rivolta di Nika.
Anche in materia religiosa Giustiniano si operò con energia per raggiungere un’unità, tipica della
sua linea di condotta, almeno di facciata che potesse consolidare lo stato. Nel 527 inasprì la
legislazione contro gli eretici, vennero colpiti i pagani, ebrei e samaritani. A questi venne vietato di
ereditare o fare testamento, e tutti i miscredenti non potevano testimoniare in tribunale. Si ordinò la
chiusura e la distruzione degli ultimi templi, e vi furono conversioni forzate in Asia Minore. La
vittima più illustre delle persecuzioni giustinianee fu la scuola filosofica di Atene, tradizionalmente
rifugio della cultura pagana, tacitamente tollerata dai sovrani, che venne chiusa nel 529
costringendo i professori non convertiti a fuggire nel regno persiano. L’avvenimento è importante
anche come elemento di periodizzazione in quanto è un simbolo della fine del mondo antico, la cui
religione viene definitivamente sconfitta dal cristianesimo. Anche le sinagoghe ebree furono
convertite in chiese.
L’atteggiamento verso i monofisiti andò verso un’intesa (Teodora simpatizzante per i monofisiti?)
attraverso la condanna dei Tre Capitoli, ovvero degli scritti di tre teologi orientali accusati di
nestorianesimo, Teodoreto di Ciro, Iba di Edessa e Teodoro di Mopsuestia, la condanna formulata
in un editto da Giustiniano fu decretata dal quinto concilio ecumenico svoltosi nel 553 a
Costantinopoli.

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I successori di Giustiniano.
Nel quarantennio che seguì la morte di Giustiniano, dal 565, si succedettero 4 imperatori che non
dovettero far fronte a numerose difficoltà lasciate dal loro predecessore: Giustino II (565-578) il
nipote di Giustininano; Tiberio I (578-582); Maurizio (582-602); e infine Foca (602-610),
nominato a seguito di una rivolta militare.
I vasti fronti di guerra sia in Occidente che in Oriente e le finanze malconce, portarono in Spagna a
una controffensiva visigota che portò all’espulsione dei bizantini, l’Africa fu agitata da rivolte
indigene, mentre in Italia vi fu nel 568 l’invasione dei Longobardi, che i trasferirono come intero
popolo. I bizantini non poterono far fronte a questa minaccia e si limitarono a resistere nelle zone
costiere, ove la loro miglio condizione di marinai gli permetteva una facile supremazia grazie ai
rifornimenti dalla costa. Guidati da Alboino, nel 570 i Longobardi avevano tutta la regione padana
compresa tra le Alpi e il Po. La conquista di Pavia fu l’ultima impresa di Alboino, e dopo di lui vu
fu Clefi. Alla morte di questo seguì un periodo di anarchia e i longobardi furono governati dai loro
duchi, e la conquista dell’Italia prese vie pluridirezionali, a nord e al centro si arrivò in profondità e
furono creati i ducati di Spoleto e Benevento. I bizantini istituirono l’esarcato, una nuova struttura
politico-militare basata sulla non separazione del potere civile e militare, per far fronte allo stato
continuo di belligeranza. Gli esarchi infatti governavano le province tramite i capi militari da loro
dipendenti. Un altro fronte di guerra importante si trovava nei Balcani dove gli Slavi nella seconda
metà del VI secolo si insediarono in buona parte della penisola balcanica. Gli Avari invece si
stanziarono nella pianura dell’attuale Ungheria. Anche contro i persiani la guerra proseguì a più
battute, dopo l’assassinio del re Hormisdas II , Cosroe II invase l’Armenia e la Mesopotamia
sconfiggendo ripetutamente gli imperiali e addentrandosi in Asia Minore.

Capitolo III: Da Eraclio agli iconoclasti.

Mutamenti sociali e riforme dello stato.


A partire dal regno di Eraclio iniziò una nuova fase della storia bizantina, caratterizzata in primis
dallo sforzo per sopravvivere agli attacchi esterni: Salvi, Persiani, Avaro-Slavi prima, Arabi e
Bulgari poi.
La società si trasformò, in conseguenza dello stato di conflitto perenne, determinando un modo più
tipicamente “bizantino” del sistema statale e allontanandosi definitivamente dal sistema romano.
Forte fu anche la decadenza culturale, regresso economico e della vita cittadina. Morì la figura del
prefetto del pretorio che si dissolse nel VII secolo; le sue attribuzioni finanziarie furono assolte dai
logoteti e i servizi che vi facevano capo confluirono in uffici centrali più piccoli chiamati sekreta.
Fu anche la fine per gli esarcati, nel 698 in Africa e ne 751 in Italia, vennero meno a loro volta i
magistri militum e al loro posto comparvero gli strateghi dei temi. I temi rappresentano la più
importante riforma amministrativa, il cui inizio è incerto ed attribuito ad Eraclio. Thema in greco
corrispondeva a “corpo d’armata” e il regime dei temi costituirà l’asse portante dell’impero
bizantino nell’età di mezzo. Un cambiamento importantissimo nel governo provinciale e nello
stesso tempo dell’organizzazione militare. i temi erano i nuovi distretti amministrativi, la cui origine
deve legarsi alla dislocazione di grandi formazioni di truppe, retti da uno stratego, un capo militare,
che accentrava la suprema autorità civile e militare. si abbandonava così la separazione fra i due
poteri, tipica del mondo tardo romano, in nome di una militarizzazione del territorio, necessaria per
affrontare il continuo stato di belligeranza e in maniera più ampia rispetto agli esarcati. In Asia
Minore si istituì il tema degli Opsiciani, sulla costa meridionale della stessa vi era il tema dei
Carabisiani, in Europa il tema dell’ Ellade e il tema della Tracia.

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Il regime dei temi rivoluzionò l’amministrazione provinciale, superando il macchinoso sistema
tardo romano di prefetture, diocesi e province, variamente suddivise nei nuovi distretti direttamente
dipendenti dal governo centrale.
Al sistema amministrativo dei temi si accompagnò la creazione di un nuovo tipo di esercito: i
soldati-coloni (gli stratioti) ai quali veniva assegnato dallo stato un fondo in cambio della
prestazione ereditaria del servizio militare. questo sistema fu vantaggioso per l’impero che si liberò
dal costoso mantenimento di un esercito di professionisti, sia perché si creò una solida armata di
soldati coloni più motivati alla difesa del territorio di quanto non fosse un esercito di mestiere.
La trasformazione della società portarono anche ad un maggior peso della religione nella vita
pubblica, per cui eliminati gli ultimi residui di paganesimo la chiesa finì per influenzarla e divenirne
parte integrante.
Anche la titolatura latina di imperator, cesar o augustus venne sostituita con il termine basileus, in
quanto il altino venne definitivamente abbandonato e il greco diventò l’unica lingua usata.

Il regno di Eraclio.
La rivolta militare che nel 602 condusse al potere Foca fu l’inizio di un periodo disastroso per
Bisanzio. Si riaccesero conflitti di ampie proporzioni, dal 603 con l’attacco persiano e la ripresa
dell’invasione avaro-slava nei Balcani. Il regime di terrore di Foca portò alla rivolta dell’esarca di
Cartagine, Eraclio, e con un grande esercito si recò a Costantinopoli, dove per mano di Eraclio il
giovane figlio dell’esarca vi entrò mettendo a morte Foca.
Eraclio (610-641) venne incoronato imperatore e la sua dinastia durò sino al 711. Si trovò subito il
problema dei Persiani che assieme ai popoli che si riversavano nei Balcani avevano l’obbiettivo
comune della distruzione di Costantinopoli. Vi fu un attacco generale per terra e mare nei confronti
della capitale da parte di persiani, Avari, Slavi, Bulgari e Gepidi, ma nel 626, i bizantini ebbero la
meglio. I persiani comunque avanzarono su ogni fronte e occuparono l’Armenia, l’Asia Minore,
Gerusalemme rubando la Santa Croce, cadde l’Egitto.
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Alla fine però Eraclio condusse di persona i suoi eserciti, nel 622 assalì l’Armenia entrò in Persia e
distrusse l’armata persiana nel 627 di fronte a Ninive; nel marzo del 628 la persia capitolò ed
Eraclio rientrò in patria dopo aver concluso un trattato di pace con Sheroe il re persiano che aveva
da poco fatto uccidere Cosroe II. La Santa Croce venne trionfalmente riportata indietro e in questo
modo, dopo secoli, si chiudeva lo scontro fra Persiani e Romani, con la definitiva vittoria di questi
ultimi.
La vittoria bizantina venne resa vana dall’improvvisa espansione dell’ Islam. Gli arabi vissuti per
secoli ai margini dei grandi avvenimenti storici, trovarono coesione nella nuova religione islamica
predicata da Maometto e, dopo la sua morte, sotto la guida dei califfi che aggredirono sia la Persia
che Bisanzio. La persia tracollò nell’arco di un ventennio. L’attacco a Bisanzio iniziò nel 633 dalla
Palestina, poi Siria, Palestina, poi Mesopotamia, Armenia e in Egitto dove venne presa Alessandria
centro economico importantissimo per l’impero. Le grandi vittorie degli arabi furono dovute al
fanatismo religioso più che alle loro abilità militari, certamente inferiori a quelle bizantine e inoltre
alla grave crisi che l’impero stava vivendo nonché ai forti dissensi religiosi, dove in particolare le
popolazioni monofisite accolsero con favore i nuovi arrivati in quanto erano maggiormente
tolleranti in materia di fede.
Eraclio cercò di risolvere i problemi di fede emanando nel 638 l’Ekthesis, dove prevaleva la teoria
del monotelimo, ovvero in Cristo esisterebbero due nature ma un’unica volontà. Alla fine l’Ekthesis
suscitò scontento sia tra gli ortodossi che tra i monofisiti e venne combattuta dal successore di papa
Onorio I, Severino. L’opposizione romana venne presa in malo modo a Bisanzio che reagì
incitando i soldati di istanza in Italia indicando la sede apostolica quale responsabile della mancata
corresponsione delle loro paghe e furono così incitati per un attacco al Laterano, in cui si
conservava il tesoro papale. L’esarca di Ravenna Isacio (625-643), entrato a Roma bandì i
principali dignitari della chiesa romana e confiscò i beni, parte dei quali furono inviati a
Costantinopoli.

Costante II.
Eraclio lasciò il trono al primogenito Costantino III, ma questo morì in tre mesi. Eracleona figlio
della seconda moglie di Eraclio era impopolare e fu deposto nel settembre del 641 con la madre. Il
senato di Costantinopoli conferì il potere al figlio di Costantino III, Costantino, noto in seguito
come Costante II (641-668). Il problema degli arabi accompagnò anche il suo regno, e con
Othman I, il califfato iniziò nel 644, questi divennero una potenza navale, eliminando la
talassocrazia di Costantinopoli, e infatti vennero conquistate anche le isole di Cipro, Rodi e Coo nel
655. Per il problema religioso delle opposizioni tra ortodossi e monofisiti Costante II cercò di porvi
rimedio con un nuovo editto chiamato Typos, che aboliva l’Echtesis di Eraclio e vietava ogni
discussione in materia di fede per motivi di ordine pubblico. La chiesa di Roma si oppose e
Martino I condannò il monotelismo. Il papa fu fatto arrestare e tradotto a Costantinopoli nel 653.
L’ultimo atto politico di Costante II fu la scelta di trasferirsi in Italia per combattere i Longobardi e
gli Arabi che dall’Africa del Nord minacciavano la Sicilia. Ma con i Longobardi non ottenne i
risultati sperati e contro gli arabi perse la vita in Sicilia, nel 668 a Siracusa. Con lui si concluse il
progetto di riportare l’Occidente al centro della politica imperiale.

Costantino IV.
Costantino IV (668-685) dovette affrontare un nuovo attacco da parte degli arabi che nel 674 misero
d’assedio Costantinopoli. L’assedio si protrasse per 4 anni, ma alla fine la vittoria fu bizantina.
Un’arma importante che determinò questa vittoria fu il “fuoco greco” la cui invenzione data questi
tempi, si trattava di una miscela incendiaria segreta capace di bruciare anche sull’acqua. Ma il
successo contro gli arabi fu diminuito dalla formazione dell’impero bulgaro costituitosi nel 680 nel
territorio dell’antica Mesia e Scizia, alle foci de Danubio, alla quale formazione Bisanzio non seppe
porre rimedio.

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Le controversie religiose invece trovarono soluzione con il sesto concilio ecumenico tenutosi a
Costantinopoli tra il 680-681, che sconfessò il monotelismo in nome della dottrina delle due energie
e delle due volontà esistenti in Cristo. Il monofisismo venne definitivamente abbandonato anche per
l’impossibilità di riconquistare i territori monofisiti in mano agli Arabi, di conseguenza almeno si
poté arrivare alla riconciliazione con l’Occidente.

Giustiniano II e la fine della dinastia eracliana.


La dinastia di Eraclio andò in contro ad una fine drammatica con Giustiniano II (685-695 e 705-
711), figlio di Costantino IV. Strinse una pace vantaggiosa con gli Arabi per avere mano libera nei
Balcani dove ebbe successi contro gli Slavi. La ripresa della guerra con gli Arabi nel 691 ebbe
conseguenze disastrose per il suo regno; non tanto per le sconfitte ma per il pesante fiscalismo
imposto con metodi brutali. Si arrivò a una rivolta che lo depose nel 695; gli fu tagliato il naso e
deportato a Cherson. Al suo posto fu insediato lo stratego del tema dell’Ellade Leonzio (695-698),
sotto il quale gli Arabi conquistarono Cartagine e veniva così a meno l’esarcato africano. in
conseguenza di tale sconfitta la flotta bizantina si ammutinò e proclamo imperatore Absimaro, noto
come Tiberio II (698-705). La confusione generale favorì però Giustiniano II che con l’aiuto dei
Bulgari e del khan dei Cazari di cui aveva sposato la sorella nel 705 rientrò a Costantinopoli alla
testa di un forte esercito mettendo in fuga Tiberio II poi fatto uccidere.
Ritornato sul trono Giustiniano II instaurò un regime di terrore, che portò ad un’ampia ribellione e
venne proclamato un antimperatore nella persona di Filippico Bardane e questi nel 711 comparve a
Costantinopoli con una flotta. La città lo accolse come liberatore e Giustiniano II fu ucciso.
Filippico Bardane (711-713) si oppose in nome del monotelismo al sesto concilio ecumenico,
provocando una nuova crisi con Roma. Approfittando della debolezza bizantina gli Arabi
penetrarono ancora più in profondità nell’Asia Minore e il khan dei bulgari Tervel avanzò fino alle
mura di Costantinopoli per vendicare Giustiniano II. L’imperatore fu deposto e accecato nel 713 a
seguito di una rivolta militare, e il suo posto fu occupato da Artemio, un funzionario civile che
assunse il nome di Anastasio II (713-715). Anastasio II ristabilì i rapporti con Roma, e adottò
misure per colmare la spinta araba verso Costantinopoli. Le truppe del tema di Opsikion si
ribellarono e iniziò una nuova guerra civile terminata nel 715 con l’avvento al potere di Teodosio
III (715-717), un esattore delle imposte, contro il quale a sua volta si ribellò dal tema anatolico
Leone. La contesa ebbe fine nel marzo del 717, quando Leone entrò a Costantinopoli costringendo
il rivale a ritirarsi in monastero.

Capitolo IV: L’iconoclastia. (717-843).

Leone III Isaurico.


Leone III (717-741), noto come l’Isaurico, era in realtà originario di Germanicea in Siria. Il suo
regno, dominato dallo sviluppo della controversia iconoclasta, presenta anche importanti vittorie
contro gli arabi, in particola l’episodio dell’assedio fallito di Costantinopoli (80.000 uomini e
1.800 navi) condotto da Maslam, fratello del califfo nel 717 che terminò con la ritirata il 15 agosto
del 718, finì qui la minaccia di distruzione dell’impero da parte dell’Islam. In termini epocali la
resistenza di Costantinopoli ebbe un’importanza paragonabile a Poitiers nel 732, dove fu arrestata la
spinta espansionistica verso l’Europa occidentale dopo la travolgente conquista degli arabi della
Spagna visigota.
Leone III inoltre, con il figlio Costantino V, pubblicò un nuovo manuale di diritto, una selezioni di
leggi di derivazione giustinianea tradotte in greco, per servire a scopi più pratici, a causa della
perdita della conoscenza del latino e della conseguente impossibilità di usare la compilazione di
Giustiniano. Il manuale del 726, aveva il nome di Ekloghé ovvero “selezione di leggi”.

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L’aspetto più notevole del regno di leone III fi certamente la controversia iconoclastica, che agitò
il mondo bizantino per più di un secolo. Iconoclastia o iconoclasmo significano letteralmente
“distruzione di immagini”: l’oggetto del contendere riguardò appunto la liceità o meno delle culto
delle immagini sacre. Nel 726 Leone III si pronunciò contro la venerazione delle immagini, e forse
emise un editto per vietarla, entrando in merito a materia di fede trovò l’avversità del papa romano
Gregorio II, che a capo del movimento insurrezionale, placò gli animi dei rivoltosi nella speranza di
avere comunque un appoggio da Bisanzio contro i Longobardi in Italia. Inoltre insorse anche il
tema dell’Ellade e anche il patriarca di Costantinopoli Germano era avverso all’iconoclastia. Dopo
il rifiuto di quest’ultimo ad accettare l’editto iconoclasta emanato nel 730, Germano fu sostituito da
Anastasio che appoggiò l’iconoclastia, che così diveniva la dottrina ufficiale dello stato e gli
adoratori di immagini furono perseguitati. Gregorio III dall’altra parte, subentrato a Gregorio II,
riunì a Roma un concilio che condannò la nuova dottrina; l’imperatore per rappresaglia, confiscò le
proprietà papali in Calabria e in Sicilia e, a quanto pare, sottrasse molte chiese alla giurisdizione
romana. Aumentava la frattura tra l’Italia e le posizioni bizantine che continuarono a indebolirsi
fino a condurre di li a breve la caduta dell’esarcato italiano.

Costantino IV.
Il figlio e successore di Leone III, Costantino V (741-775), accentuò la controversia sulle
immagini. Ebbe esiti positivi nelle sue guerre contro gli Arabi, facilitati dalla crisi interna al
califfato, in cui alla dinastia degli Omayyadi si era sostituita quella degli Abbassidi, con il
trasferimento della capitale da Damasco a Baghdad. Le operazioni contro i Bulgari furono
positive ma non risolutive, mentre in Italia Ravenna cadde in mano Longobarda nel 751, seguita
dalla caduta dell’esarcato e della dominazione in Italia centrale e settentrionale, a eccezione di
Venezia, questa contesa con i Franchi, la Sicilia, Napoli, Amalfi Gaeta e Sorrento, che come
Venezia comunque si resero autonome da Bisanzio.
Costantino V proseguì la politica religiosa del padre e nel 754 convocò un concilio nel palazzo
imperiale di Hieria, su Bosforo, al fine di fare legittimare l’iconoclastia dalla chiesa. Non venne
riconosciuto come concilio ecumenico, fu un sinodo acefalo in quanto non vi presero parte i
delegati papali ne quelli dei patriarchi orientali, si chiuse nello stesso anno con la condanna delle
icone.
A differenza dell’illetterato Leone III, Costantino V fu un uomo di cultura e compose non meno di
tredici trattati teologici. Il concilio respinse le dottrine eretiche del sovrano ma, non di meno questi
qualche anno più tardi si pronunciò contro il culto di Maria e dei santi e fece distruggere le reliquie.
Dal 765 passò ad un atteggiamento violento su vasta scala contro gli oppositori. Con Costantino V
la lotta all’iconoclastia raggiunse l’apice, e l’iconoclasmo assunse un aspetto di lotta peculiare
contro i monaci, rivelatisi gli oppositori più irriducibili della nuova dottrina. L’iconoclastia finì per
assumere un carattere di persecuzione antimonastica; i monasteri vennero chiusi, trasformati in
locande, caserme o altri edifici pubblici e le immense proprietà monastiche furono confiscate.

La restaurazione iconodula.
Dopo Costantino V il trono passò al figlio Leone IV (775-780), attenuò la repressione iconoclasta,
ma il suo regno fu breve per far emergere i risultati della sua linea politica, quando morì, il governo
rimase nelle mani del figlio decenne Costantino VI (780-797), in nome del quale assunse la
reggenza la madre Irene. Questa si adoperò per la restaurazione del culto delle immagini in quanto
era una convinta iconodula. Nel 787 a Nicea venne convocato un nuovo concilio ecumenico, il
settimo nell’ordine e l’ultimo riconosciuto come tale dalla chiesa orientale; questa volta vi
parteciparono i rappresentanti di Roma e dei patriarchi orientali. Il culto delle immagini venne
restaurato e si ordinò la distruzione degli scritti iconoclasti.
In contrasto con il figlio Costantino VI, questi si era reso inviso alle correnti monastiche per il suo
comportamento di adultero nei confronti della moglie Maria, da questo ebbe inizio la disputa

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moicheanica (appunto moicheía ovvero adulterio). Irene (797-802) lo fece deporre nel 797, ebbe
una politica finanziaria disastrosa e non si oppose in maniera adeguata alle incursioni arabe, e
nell’802 fu deposta con una congiuntura di palazzo. Poco prima un’ambasceria franca era giunta a
Costantinopoli per il riconoscimento dell’Impero carolingio costituito nell’800, e per proporre un
matrimonio tra Irene e Carlo Magno che avrebbe riunificato l’Occidente e l’Oriente.
Il colpo di stato portò al potere Niceforo un ministro delle finanze. Niceforo I (802-811) rifiutò la
proposta di Carlo Magno e non gli riconobbe la legittimità del suo impero. Inoltre il contrasto tra
franchi e bizantini si acuì per il possesso di Venezia, dove alla fine prevalse il partito filofranco.
Niceforo I pose rimedio agli sperperi fiscali di Irene, e attirò su di se le ire del monachesimo colpiti
dalle sue azioni. Proseguì consuccesso l’opera secolare di lotta agli slavi nei Balcani, mentre con i
Bulgari andò in contro al disastro. Nell’809 dopo un periodo di forte consolidamento, l’impero
bulgaro con il khan Krum attaccò l’impero bizantino. A tale attacco vi fu risposta pronta di
Niceforo che contrattaccò invadendo il territorio nemico, fino a giungere alla capitale Pliska che
venne rasa al suolo. Il successo però fu ribaltato con un’imboscata da parte bulgara e il 26 luglio
del’811 l’armata bizantina fu annientata. Sul campo restò anche l’imperatore, con il cui teschio
Krum si fece confezionare una coppa. Era la seconda volta dopo Adrianopoli, che un imperatore
moriva in battaglia e a anche in questo caso le conseguenze per Bisanzio furono gravissime a causa
della falla apertasi nella difesa; l’impero dovette ancora una volta alle mura salde della capitale,
contro cui si infranse la spinta bulgara, la sua sopravvivenza.
Fu proclamato imperatore il figlio di Niceforo, Stauracio (811), impossibilitato a regnare a causa
delle ferite riportate nella stessa battaglia in cui era caduto il padre. Indugiò a nominare un
successore, e questo diede respiro a intrighi di corte che condussero al potere il cognato, Michele
Rangabé. Michele I (811-813) rovesciò la politica estera di Niceforo assumendo un atteggiamento
meno rigido nei confronti dell’impero di Carlo Magno e nell’812 ad Aquisgrana, concluse un
trattato che regolava i rapporti tra franchi e bizantini, riconoscendo a Carlo il titolo di imperatore
(non però imperatore dei romani, in quanto tale titolo il sovrano di Bisanzio riservava a se stesso).
Il problema più urgente che favorì tali trattative con l’Occidente, era rappresentato dall’ascesa della
potenza bulgara, che costituiva una seria minaccia per il dominio di Bisanzio nei Balcani. Ripresa
questa guerra, Michele fu sconfitto a Versinikia, vicino ad Adrianopoli, il 22 giugno dell’813 a
seguito del tradimento delle truppe anatoliche dello stratego Leone l’Armeno che abbandonarono il
campo di battaglia. Michele I venne deposto, lasciando il trono a Leone l’Armeno, esponente della
stessa classe militare in cui si era formato Leone III e come il predecessore, era un sostenitore
dell’iconoclastia.

Il secondo periodo iconoclasta.


Leone V (813-820) dovette fronteggiare l’avanzata di Krum. Dopo un secondo tentativo di assedio
a Costantinopoli, la situazione fu risolta dalla sua morte improvvisa nell’814 e fu conclusa una pace
trentennale con la Bulgaria.
Ristabilite le fortune militari dell’impero, Leone V si adoperò in materia religiosa e cercò di
sconfessare le decisioni adottate a Nicea, esiliò i monaci per sottomettere la chiesa e depose il
patriarca di Costantinopoli a lui contrario, Nicefore, per sostituirlo con Teodoto Melisseno, un
lontano parente di Costantino V. dopo tale azione nell’815 convocò un sinodo in Santa Sofia per
respingere i deliberati di Nicea e riconobbe quanto deciso a Hieria nel 754. La nuova iconoclastia
non ebbe però il seguito di quella delle origini, fu priva di una base solida di consenso.
Nell’820 Leone V fu assassinato, e salì al trono Michele l’Amoriano, che fondò una nuova dinastia.
Michele II (820-829) fronteggiò con successo una guerra civile provocata da Tommaso, detto lo
Slavo, che appoggiato dagli Arabi era fautore del culto delle immagini, si presentò come protettore
dei poveri. Il ribelle si fece proclamare imperatore, assediò Costantinopoli nell’821. Fu il fautore
della prima insurrezione con una connotazione sociale estranea alla tradizione bizantina. Tommaso
fu sconfitto e fatto uccidere nell’823. La ribellione fu appoggiata dal califfo di Baghdad, ma i

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pericoli maggiori per Bisanzio provennero dagli Arabi stanziati in Occidente, che nell’826
conquistarono Creta e l’anno successivo sbarcarono in Sicilia. Conquistata Palermo nell’831, alla
strage di Siracusa dell’878, nel 902 cadde anche Taormina e si segnò qui il destino dei pochi centri
ancora in armi.
La dinastia amoriana (da Amorio, città della famiglia), proseguì con il figlio di Michele II, , sotto il
quale si ebbe l’ultima fase del periodo iconoclasta. Teofilo agì come un fanatico, ma la sua azione si
concentro sulla capitale principalmente e i centri limitrofi, e nella pratica la sua lotta
all’iconoclastia si rivelò del tutto inefficace in quanto questa aveva da tempo pero le basi del
consenso. Quando l’imperatore morì nel 20 gennaio dell’842, l’iconoclastia cadde senza opporre
resistenza. Il patriarca Giovanni Grammatico che appoggiava l’imperatore fu deposto e sostituito
con Metodio, e nel marzo dell’843 un sinodo proclamò la solenne restaurazione del culto delle
immagini. La svolta fu ancora un a volta operata da una donna, la vedova imperiale Teodora che
reggeva il potere per conto del figlio Michele in minore età. L’iconoclasmo scomparve come
movimento organizzato e, in ricordo di tale vittoria sugli eretici, la chiesa bizantina istituì la “festa
dell’ortodossia”, ancora oggi celebrata ogni anno nella prima domenica di Quaresima. Finirono con
l’iconoclastia le grandi controversie religiose, e nei rapporti tra stato e chiesa, segnò la fine del
tentativo di assoggettare quest’ultima al volere dei sovrani, anche se la chiesa ortodossa non si
affrancò mai dalla subordinazione al potere politico tipica del mondo bizantino.

Capitolo V: L’apogeo dell’impero (843-1025).

Questo periodo, segnato dalla presenza al trono della dinastia macedone, può essere considerato
l’età di maggiore fioritura dell’impero.

Michele III.
Michele III Amoriano (842-867), il giovane figlio di Teofilo, detto “l’ubriacone”, dipinto dunque
con tratti negativi dalla storiografia avversa per i suoi costumi dissoluti, in realtà il suo regno fu uno
dei periodi più importanti della storia bizantina, con fatti di grande rilevanza.
Importanti vittorie si ebbero contro gli Arabi, quando Petronas lo stratego di Tracia nell’863
ottenne un’importante vittoria contro l’emiro Mitilene. Venne superata per la prima volta la
strategia difensiva di Bisanzio e si passò all’attacco.
Nell’856 si affrancò dalla tutela della madre con un colpo di stato, anche se il principale ruolo
politico fu svolto dallo zio Barda, che ottenne dal nipote il rango di cesare. In ogni caso il nuovo
regimo portò a una grande rinascita culturale, e venne fondata un’università che divenne il centro
della cultura profana del tempo, sotto la direzione del matematico Leone, uno dei più grandi eruditi
dell’epoca e vi insegnarono i migliori scienziati. In questa si formò il futuro patriarca Fozio. La sua
salita al patriarcato fu opposta dai fautori di Ignazio, il patriarca escluso dall’elezione in quanto
Barda impose Fozio, e dalla chiesa romana che si oppose al fatto che fosse un laico.
La vicenda era sul punto di portare allo scisma con il sinodo di Costantinopoli dell’867 dove Fozio,
con Michele e Barda dalla sua scomunicò il papa romano, ma poi Michele III fu deposto e il nuovo
imperatore cambiò politica religiosa.
Importante fu l’attività missionaria svolta da Michele III nei confronti degli slavi e soprattutto dei
Bulgari. Per diffondere il cristianesimo in lingua slava scelse due fratelli di Tessalonica, Costantino
e Metodio. Costantino, poi Cirillo quando si ritirò a vita monastica, creò per l’occasione l’alfabeto
slavo, detto appunto cirillico. I bulgari che si erano inizialmente rivolti ai franchi, vennero convertiti
alla fede ortodossa, e rinunciata la volontà di questi di ottenere un patriarcato autonomo,
sottostarono alla chiesa bizantina, seppur ottennero notevole autonomia.

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Basilio I il macedone.
Michele III fu assassinato nell’867 da Basilio il Macedone che era divenuto suo favorito; di
famiglia umile a Costantinopoli fu notato per la sua straordinaria forza, Basilio, riuscì a togliere di
mezzo Barda e farsi proclamare co-imperatore. Il 23 settembre dell’867 Basilio si sbarazzò di
Michele III, ucciso nel sonno da un gruppo di congiurati. Basilio riuscì a consolidare una dinastia,
indicata come “dinastia macedone” che rimase sul trono per quasi due secoli. Cambiò la politica
ecclesiastica di Michele, depose Fozio il patriarca e reintegrò Ignazio. Avviò i contatti con Roma
dove Adriano II era succeduto a papa Niccolò I, e convocò un concilio a Costantinopoli fra 869 3
870 al fine di sanare i contrasti causati da Fozio, le divergenze con Roma per il primato vennero
acuite dall’adesione dei Bulgari alla chiesa di Costantinopoli.
La politica di potenza di Basilio consolidò la posizione di Bisanzio in Dalmazia, in Oriente e in
Italia, venne creato il tema di Dalmazia. In Italia meridionale operò una riconquista dei territori per
arrestare l’espansione degli Arabi. I Saraceni si erano insediati stabilmente a Taranto e sul litorale
pugliese, conquistando anche Bari nell’841. Basilio per fronteggiare il pericolo si accordo con
l’imperatore franco Ludovico II che nell’871 conquistò Bari, ma per le divergenze nell’876 fu
Basilio a impossessarsi della città. L’occupazione di Bari, eletta capitale del governatorato
bizantino, segna l’inizio della riconquista dei territori di Puglia, Lucania e Calabria, che per due
secoli sarebbero rimasti in possesso dell’impero. L’opera di evangelizzazione proseguì invece con
successo nei Balcani, e vennero portati nell’orbita della chiesa di Costantinopoli Serbi e tribù slave.
Infine alla morte di Ignazio, richiamò Fozio al patriarcato e lo assegnò come insegnante al figlio.
Questa volta Fozio venne riconosciuto anche d Roma da papa Giovanni VIII con la revoca della
condanna verso di lui pronunciata nel sinodo dell’879.

Leone VI.
Basilio I morì nell’866 per un incidente di caccia. Gli successe il figlio Leone VI (869-912), detto
Leone il Saggio, perché era un letterato la cui figura fu mitizzata per la composizione di un corpus
di profezie su Costantinopoli. Rese gli onori dovuti al precedente imperatore e vero padre, Michele
III, sostituì il patriarca Fozio con Stefano, un sedicenne, ultimogenito di Basilio I.
In politica estera si segnano successi in Oriente e in Italia dove furono consolidate le posizioni, ma
alcuni disastri contro i Bulgari e gli Arabi non mancarono. Nel 904 questi ultimi presero
Tessalonica. Nei balcani si aprì una nuova guerra con i Bulgari guidati da Simeone che, nonostante
l’alleanza di Leone VI con gli Ungari che irruppero nel territorio bulgaro, ebbe la meglio,
sconfiggendo gli ungari e nell’896 ottenne una vittoria decisiva contro i bizantini a Bulgarophigon
in Tracia, al seguito della quale Costantinopoli dovette piegarsi a concludere una pace onerosa.
In politica interna invece vi furono grandi realizzazioni, in particolare la riorganizzazzione del
diritto, con i Basilikà, una raccolta in 70 libri, rielaborazione del diritto giustinianeo in greco a cui
furono aggiunte numerose novelle dal sovrano. La raccolta divenne la base del sistema giuridico di
Bisanzio nei secoli successivi. Una crisi con il sistema ecclesiastico non mancò, in quanto Leone si
sposò quattro volte, ed era vietato a Bisanzio da una stessa novella che Leone aveva inserito nel
suo corpus di leggi, e vietava il terzo matrimonio. Il patriarca Nicola Misitico si schierò contro
l’imperatore impedendogli di assistere alle funzioni religiose a Santa Sofia nel Natale del 906.
Venne sostituito con il più mansueto monaco Eutimio che concesse una dispensa per le quarte
nozze e infine il dibattito sarà risolto nel 920.

Costantino VII e Romano I Lecapeno.


Alessandro (912-913), fratello di Leone VI, era formalmente co-imperatore e subentrò al trono
quanto questi morì con il piccolo Costantino a sua volta associato al trono. Alessandro rovesciò la
politica del predecessore, richiamò inoltre al trono patriarcale Nicola Mistico. La sua morte
precoce creò inoltre un vuoto di potere a causa della minore età di Costantino VII, suscitando lotte

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per il trono. Inoltre Alessandro riaprì il conflitto con i Bulgari perché non aveva versato il tributo
concesso da Leone VI. Nel 919 si impose tra i vari pretendenti al trono Romano Lecapeno.
Romano I Lecapeno (920-944), è il primo dei tre re usurpatori di età macedone. Trattò con
Simeone di Bulgari e il conflitto si risolse per la morte dello zar, il successore concluse la pace con
Bisanzio, ottenendo inoltre la mano di Maria, nipote di Romano.
Il regno di Romano I fu essenzialmente benevolo per l’impero. Nel 920 con un sinodo si svolse a
Costantinopoli un sinodo che si concluse con il Tomo dell’unione, per chiudere la questione della
tetragamia, con la condanna del quarto matrimonio, e con la possibilità di assoluzione per la
salvezza delle anime. In questo modo si salvaguardava la legittimità di Costantino VII, e il
patriarcato di Eutimio che aveva legalizzato le quarte nozze di Leone VI. Nel 923, dopo
l’accettazione del papale del tomo dell’unione del patriarca Nicola Mistico, venne dichiarata la
conciliazione con la sede romana.
L’epoca fu segnata inoltre dal contenimento dell’espansionismo russo. I Russi comparvero
all’orizzonte di Bisanzio per la prima volta nell’860, quando si spinsero fino a Costantinopoli. La
loro nazione si era costituita nel IX secolo, come per il processo dello stato bulgaro, si era costituita
per integrazione fra la componente slavo orientale e quella dei Vichinghi che conquistarono le
pianure del Volga dove si erano appunto stanziati gli slavi. Il nome russi veniva dalla tribù vichinga
insediata nell’attuale Russia europea, la cui capitale nella seconda metà del IX secolo fu fissata a
Kiev. Contro il principe Igor che minacciava l’impero bastarono comunque delle trattative. La lotta
con gli Arabi proseguì intanto con successo. Nel 924 fu eliminata la squadra navale di Leone di
Triboli il bizantino rinnegato che si alleò con gli arabi, e venne ristabilito il controllo del
mediterraneo. Venne riconquistata Melitene e nel 944 fu recuperato il mandylion di Edessa1, una
delle più importanti reliquie cristiane, che fu portato solennemente a Costantinopoli.
Romano I cercò di arrestare il rafforzamento della grande proprietà terriera dato dalla costituzione
dei temi il piccolo appezzamento era la base del sistema fiscale e militare costituito dai contadini-
coloni. Il problema era che i funzionari imperiali, che avevano il dovere di far rispettare le norme
in merito all’inglobamento dei fondi minori da parte dei potenti, erano spesso essi stessi grandi
latifondisti, dunque, chi aveva il potere di far rispettare le norme in materia, era chi ne traeva
vantaggio infrangendole. Questo fu il principale motivo per cui fallì la politica agraria dei
macedoni, che venne sabotata da chi avrebbe dovuto far rispettare le leggi.
Romano I fu deposto dai figli, e questi furono a loro volta tolti di mezzo da Costantino VII, a
seguito di una sollevazione popolare in favore del sovrano legittimo. Venne chiamato porfirogenito,
“nato nella porpora”, che non è solo un modo di dire, in quanto i figli degli imperatori nascevano
nella Porphyra, un edificio del complesso palatino dalle pareti rivestite in porfido. Tale nome
dunque lo assumevano coloro che erano identificati come appartenenti di diritto alla dinastia
regnante.
Costantino VII Porfirogenito (913-959) non apportò modifiche al governo del predecessore. La
politica agraria non mutò e la politica estera contro gli arabi proseguì con successo. Caratteristica
della sua epoca è l’intensa attività diplomatica con le corti estere. La più notevole fu quella attuata,
nel 957, con la principessa Olga di Kiev che si convertì al cristianesimo. Anche Liutprando da
Cremona fu a Costantinopoli come ambasciatore di Berengario II marchese d’Ivrea e futuro re
d’Italia. Costantino fu grande uomo di cultura, fra le sue opere sono da ricordare: il Libro delle
cerimonie, sugli usi della corte: la vita di Basilio, una celebrazione della vita di Basilio I, il nonno;
il Libro dei temi, un trattato storico geografico sulle province dell’impero e, il trattato
Sull’amministrazione dell’impero, che Costantino VII dedicò al figlio Romano, una sorta di
manuale di buon governo con le informazioni sui popoli a contatto con Bisanzio.

1 Il mandylion, o immagine di Edessa era un telo venerato dalle comunità cristiane orientali sul quale era raffigurato il
volto di Gesù. L’immagine era ritenuta di origine miracolosa, e si pensava fosse acheropita, cioè “non fatta da mano
umana”. Secondo una teoria abbastanza accreditata il mandylion potrebbe oggi essere identificato con la Sindone che
comparve in Occidente il secolo successivo alla presa di Bisanzio da parte dei crociati.
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Da Romano II a Basilio II.
A Costantino VII successe il figlio Romano II (959-963). Questi sposò Anastaso che da
imperatrice si chiamò Teofano ed ebbe due figlio aschi: Basilio e Costantino. Morì giovanissimo e
la moglie Teofano pr rafforzare la sua debole posizione si accordò con Niceforo Foca il glorioso
generale. Questi si impossessò del potere e come già Romano I, in qualità di tutore degli imperatori.
Niceforo Foca (963-969) venne assassinato da un complotto di Teofano che portò al governo
l’amante Giovanni Zimisce (969-976), come il predecessore fu un valente capo militare ed estese i
confini dell’impero. Siamo sempre nel momento di espansione di Bisanzio. La compagna contro i
Russi fu un grande successo, la Fenicia, la Palestina, la Siria furono liberate dai saraceni. Annetté
la Bulgaria orientale e la situazione italiana fu risolta per via diplomatica con Ottone I. nel 972 si
arrivò al matrimonio fra Ottone II e Teofano, una sorella dell’usurpatore, e Ottone I abbandonò le
pretese sull’Italia meridionale bizantina. Giovanni Zimisce non poté portare a compimento la sua
impresa perché morì a Costantinopoli nel 976, lasciando al trono i due sovrani legittimi, Basilio II e
Costantino VIII.
Basilio II (976-1025), più grande, divenne il titolare del trono, anche se il potere fu esercitato
dall’eunuco prozio Basilio, un figlio illegittimo di Romano I Lecapeno. Basilio II dopo una
giovinezza spensierata si rivelò un sovrano di indomita energia e riuscì a sbarazzarsi di tutti i rivali
conducendo l’impero a una potenza mai raggiunta dal tempo di Giustiniano. Fronteggiò la guerra
civile suscitata da Barda Sclero un nipote di Giovanni Zimisce, con l’aiuto di Barda Foca un
aristocratico che nel 979 pose fine alla rivolta. Nel 985 lo zio eunuco fu deposto e Basilio II
cominciò ad esercitare effettivamente il suo governo. Le forze imperiali furono sconfitte dallo zar
Samuele che aveva resuscitato l’antica potenza dei Bulgari, così Barda Sclero tornò dalla prigionia
e si fece proclamare imperatore approfittando del momento negativo nel 987. Il sovrano riabilitò
Barda Foca, ma anche questi si ribellò. Basilio II ottenne aiuto dal principe di Kiev, Vladimiro e
nel 989, in una battaglia presso Abido, la partita si chiuse e Barda Foca perse la vita. La rivolta
aristocratica ebbe ancora seguito, ma più scarso con Barda Sclero che si fece proclamare imperatore
per la terza volta, ma questi alla fine si arrese con patto di impunità. La vittoria di Basilio II ebbe
grandi conseguenze. Vladimiro di Kiev ottenne la mano della porfirogenita Anna, sorella del
sovrano, si convertì al cristianesimo e così il suo popolo. Fu un grande successo per Bisanzio che
estese la propria influenza sulla Russia. L’indebolimento degli aristocratici inoltre permise a Basilio
II di condurre a fondo la lotta contro la grande proprietà e contrastò le usurpazioni della grande
aristocrazia fondiaria. Le sue disposizioni colpirono inoltre severamente sia laici ed ecclesiastici,
impedendo le donazioni nei confronti dei monasteri e nuove fondazioni.
Nel 990 condusse le truppe in Macedonia e in Bulgaria, passando di successo in successo.
L’episodio militare decisivo si ebbe nel 1014 dove l’esercito Bulgaro fu circondato dai bizantini in
una gola, lo zar fuggì a Prilep e le sue armate furono distrutte. I quattordicimila prigionieri furono
accecati; Samuele morì si pensa per lo sconforto alla vista del suo esercito mutilato. Nel 1018 la
Bulgaria era definitivamente vinta e annessa all’impero che così recuperava il dominio sull’intera
penisola balcanica dopo averlo perduto dalle invasioni di Avari e Slavi. Terminava così la lotta per
la supremazia avviata dalla formazione dell’impero bulgaro. Anche in Sicilia programmò una
grande riconquista, ma la morte colse Basilio II il 15 dicembre del 1025. Sotto di lui l’impero di
Bisanzio aveva raggiunto la massima estensione territoriale dopo Giustiniano.

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Capitolo VI: La crisi dell’XI secolo (1025-1081).
Nel cinquantennio che seguì il regno di Basilio II, Bisanzio andò incontro a una rapida decadenza.
Indebolimento del potere centrale fu accompagnato dal dominio dei latifondisti. I sovrani furono
per lo più esponenti dell’aristocrazia civile formata dai grandi proprietari terrieri e lontani dagli
ideali degli imperatori macedoni. La vittoria dei latifondisti corrispose alla disgregazione del
sistema dei temi che vertevano sulla piccola proprietà, e di conseguenza intaccando il sistema
fiscale e militare che su di essi si basava. A tale disgregazione si fece fronte tramite un esercito di
mercenari che doveva far fronte al decadimento dell’esercito nazionale. La crisi del sistema militare
incise sulle possibilità dei nemici che premevano sulle frontiere (Turchi Selgiuchidi e i Normanni),
e condusse a grandi catastrofi che portarono a una grande riduzione del territorio dell’impero.
Inoltre la frattura religiosa tra Roma e Costantinopoli divenne irreversibile a seguito dello scisma
del 1054.

I principi “consorti”.
Così definiti perché legittimati dal fatto di essersi spostati alla discendente della dinastia macedone
Zoe, figlia di Costantino VIII (1025-1028) figlio di Basilio II, che morì tre anni dopo estinguendo
la linea maschile della dinastia. Costantino non fu un sovrano degno di nota, preferiva i
divertimenti alle cure dello stato, pensò solo in ultimo alla successione, e non avendo figli maschi,
ma tre femmine, per legittimare un successore scelse la via matrimoniale con una di queste.
Eudocia, già monaca, Teodora restia a sposarsi e Zoe, già cinquantenne quest’ultima si rese
disponibile a divenire l’ago della bilancia.
I matrimoni con questa furono 3, più un’adozione fatta dalla stessa Zoe. Romano Argiro (1028-
1034), costretto da Costantino VII, fu il primo marito. Sfavorì la piccola proprietà e dipanò le
finanze dello stato spargendo concesisoni alla chiesa e a monasteri.
Michele IV (1034-1041), amante di Zoe, salito al trono a seguito di una congiura messa a punto da
questa, e sposatosi con lei il giorno stesso della morte di Romano Argiro. Governò con equità, ma
morì abbastanza presto nel 1041. Il suo posto fu preso da un nipote omonimo adottato da Zoe,
Michele V Calafato (1041-1042), che ebbe solo l’onore di essere ricordato per una rivolta al
principio di legittimità dinastica. Infatti questo decise di liberarsi dell’imperatrice relegandola
nell’isola di Principo. Ma non tenne conto dell’importanza simbolica che la sua figura aveva
assunto per il popolo essendo l’ultima esponente legittima di una dinastia rimasta al trono così a
lungo. La rivolta nacque dal popolo e trovò appoggio nella nobiltà e nella chiesa. Costantino venne
accecato e deposto. Dopo un breve periodo di governo assunto dalle sorelle Teodora e Zoe, le loro
divergenze portarono nuovamente alla necessità di una figura al potere. Teodora restia a sposarsi, fu
di nuovo Zoe a prendere marito nel 1042, Costantino Monomaco, poi Costantino IX Monomaco
(1042-1055). Zoe non sopravvisse al marito questa volta e si spense a 72 anni nel 1050.
Sotto il regno di Costantino IX di positivo la fioritura culturale portata a Costantinopoli
dall’università di filosofia e di diritto nel 1045, il cui primo direttore fu Michele Psello, il più
grande erudito del tempo. Il resto furono disgrazie: scomparve l’esercito nazionale a causa dello
sviluppo incontrollato del latifondo, e fu l’avvento dei mercenari. I successi di poco precedenti al
suo regno e dell’immediato inizio , tra cui, la conquista di Edessa agli Arabi nel 1032, la
repressione della ribellione bulgara nel 1041, la respinta dell’ultimo assedio a Costantinopoli dei
Russi nel 1043 e la riacquisizione della Sicilia orientale nel 1038 fino al 1042, risultarono
temporanei e frutto della forza raggiunta in precedenza. Fecero inoltre la loro comparsa nuovi
nemici i Turchi Selgiuchidi in Oriente, i Normanni a ovest e a nord i popoli delle steppe (Peceneghi,
Uzi e Cumani). Infine, il fatto più importante accaduto sotto Costantino IX fu lo scisma del 1054,
che vide opporsi definitivamente le due chiese, Roma con l’intransigenza di Leone IX, esponente
del monachesimo riformato di Cluny, e Costantinopoli con Michele Cerulario al patriarcato di
Costantinopoli dal 1043. Le divergenze iniziate in Italia meridionale per cause occasionali si
trasferirono nella capitale dell’impero sul piano dogmatico-liturgico e investirono i soliti punti di

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dissidio: la dottrina della duplice processione dello Spirito Santo, il digiuno del sabato, il
matrimonio dei preti e l’uso di pane diversi nella comunione.
Il cardinale Umberto Silvacandida, arrivato a Costantinopoli nel 1054, il 16 luglio, seppur morto il
papa il 19 aprile, depositò la bolla di scomunica di Cerulario e dei suoi seguaci. Cerulario una volta
che i messi romani lasciarono la città con un sinodo sconfessò il loro operato. I tentativi di
accomodamento di Costantino IX fallirono, questo internamente, segnò un’inversione a Bisanzio
dei rapporti di forza tra imperatore e chiesa a favore di questa, contro al tradizionale
“cesaropapismo” bizantino, esternamente, la frattura con Roma era avvenuta, e fu irreversibile, in
quanto anche in futuro la chiesa bizantina si opporrà ai tentativi imperiali di riconciliarsi con la sede
papale.

Crisi e arretramento territoriale.


La morte di Costantino IX, restituì il potere come legittima esponente della dinastia macedone a
Teodora (1055-1056) che governò per 19 mesi come ultima delle tre donne che occuparono in
prima persona il trono di Costantinopoli. La sua morte portò 25 anni di confusione, rivolte e rovesci
in politica estera. In prossimità della fine Teodora adotto l’anziano e inoffensivo Michele. Michele
VI (1056-1057), che abdicò pe runa rivolta militare in Asia Minore che condusse al potere Isacco I
Comneno (1057-1059), che segnò una breve ripresa dell’aristocrazia militare, ma poi dovette
lasciare il governo al partito avverso che mise al trono Costantino X Ducas (1059-1067),
condizionato al governo da Michele Psello. Con Costantino X Duca, esponente dell’aristocrazia
civile vi fu un forte deterioramento della situazione finanziaria e militare. per timore delle rivolte
dei soldati ridusse l’esercito, e questo in un momento in cui si apprestavano ai confini di Bisanzio
nuovi nemici. In Italia meridionale iniziò la conquista Normanna. Qui i bizantini avevano resistito a
Ottone I, Ottone II (982) ed Enrico II (1022) andarono incontro a una crisi irreversibile. I
Normanni giunsero nel meridione italiano come mercenari al servizio di un nobile barese Melo,
che nel 1009 si era ribellato ai bizantini. Arrivarono poi sempre più schiere di avventurieri e nel
1030 il duca di Napoli Rainulfo di Drengot concesse la contea di Anversa. Il successo richiamò
molti connazionali, tra cui si sarebbe affermata la famiglia Altavilla. Il più noto di questi Roberto il
Guiscardo nel 1053 fece prigioniero il papa Leone IX a seguito della battaglia di Civitate, che si
opponeva con i Bizantini all’espansionismo normanno. Ma nel 1059 Roberto arrivò ad un accordo
con la chiesa romana, che a seguito dello scisma non sosteneva più la causa imperiale. Forte di tale
appoggio attaccò i possedimenti bizantini, aiutato anche dallo stato di anarchia del governo di
Costantinopoli, si impossessò della Calabria , per poi proseguire contro i residui ancora in mano a
Bisanzio.
I Balcani subirono l’espansionismo ungaro, con la caduta di Belgrano nel 1064. Il pericolo
maggiore derivava però dai Turchi Selgiuchidi (nome derivato da uno dei loro capi) che finirono
l’impero arabo e ne ripresero la politica espansiva. Nel 1055 presero Baghdad riducendo un
simulacro il califfato abbaside, soppresso nel 1258. Poi mirarono contro l’impero, nel 1065 vi fu
l’annessione della provincia di Armenia, nel 1067 la conquista di Cesarea di Cappadocia. Nel 1068
l’imperatore Romano IV Diogene (1068-1071) , portato al trono dalla vedova imperiale Eudocia
che lo sposò, con un esercito di mercenari peceneghi, uzi, normanni e franchi subì, dopo qualche
successo, una rovinosa sconfitta il 19 agosto del 1071, nei pressi della città armena di Mantzikert.
La battaglia ha un rilievo epocale perché segna il tracollo del potere militare dell’impero e, l’inizio
della fine per Bisanzio. L’imperatore che tornò a Costantinopoli dopo la prigionia, venne però
accecato dai partigiani di Michele VII (1071-1078), salito al trono durante la sua prigionia, ma
morì poco più tardi. Nel 1071 intanto, il 15 aprile, Bari era caduta in mano ai Normanni di Roberto
il Guiscardo, dopo tre anni di assedio, e la perdita della città mise fine alla secolare dominazione
bizantina in Italia meridionale.
Lotte intestine agitavano intanto l’impero e, Michele VII fu travolto da una rivolta che condusse al
trono Niceforo III Botaniate (1078-1081), ma anche sotto il suo breve regno vi furono contese fra

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gruppi rivali da cui uscì vincitore Alessio Comneno, altro esponente dell’aristocrazia guerriera
dell’Asia Minore.
Il Selgiuchidi intento avevano esteso la penetrazione nell’isola anatolica annettendone gran parte e
qui, nel 1078, il principe Sulaiman costituì sulle rovine del dominio imperiale il sultanato di Rūm,
cioè il “sultanato romano”, con capitale Nicea e poi Iconio. La parte principale dell’Asia Minore,
più ricca ed elemento più dinamico nelle vicende dell’impero era così persa.

Capitolo VII: Dai Comneni agli Angeli. (1081-1204).


In questo periodo con i Comneni abbiamo la permanenza sul torno dell’aristocrazia militare, una
rinascita della potenza imperiale che però terminò con la fine della dinastia, fino alla capitolazione
dell’impero nel 1204 di fronte all’espansionismo occidentale.

La trasformazione dell’impero.
Lo sviluppo feudale fu determinato dall’estensione della pronoia. Il sistema della pronoia assunse
un carattere militare, che consentì di ricostruire un esercito indigeno a cui si affiancò comunque il
reclutamento mercenario. Il concessionario della pronoia è chiamato “soldato” ed è un militare a
cavallo che partecipa alle guerre con un seguito di armati più o meno consistenti a seconda della
concessione. La pronoia resta un semplice possesso, ma finché il pronoiario possiede i beni
assegnati e i contadini che ne fanno parte ne è signore assoluto ed esercita i diritti e le competenze
spettanti all’autorità pubblica. I contadini a lui devono le tasse. Gli appaltati per la riscossione delle
imposte si sostituirono al più antico sistema di tassazione diretta da parte degli uffici finanziari.
La maggiore novità furono i rapporti con l’occidente, positivi e negativi dovuti al movimento di
persone e di idee legato alle crociate. Venne meno la chiusura di Bisanzio con il mondo esterno;
questo ebbe effetti dirompenti, in primo luogo riguardò la penetrazione delle repubbliche marinare,
in particolare Venezia, che indebolì notevolmente l’economia bizantina e finì per assumere un
predominio politico.

Alessio I Comneno.
Quando Alessio I Comneno (1081-1118) salì al trono, la situazione dell’impero era disperata.
L’Asia Minore in mano ai Turchi, i Peceneghi sul Danubio e i Normanni in movimento da
Occidente per assalire il territorio orientale. Roberto il Guiscardo aggredì Bisanzio e nel 1081
occupò Corfù e mise d’assedio Durazzo che venne occupata dopo aver sconfitto l’armata di Alessio
I. Il conflitto, dopo alterne vicende terminò nel 1085, quando Roberto il Guiscardo morì e le sue
truppe si ritirarono. La vittoria bizantina fu dovuta all’aiuto militare di Venezia.
Al tempo di Alessio i rapporti tra Bisanzio e Venezia ebbero una svolta che portarono quest’ultima
ad assumere un ruolo centrale nella difesa dell’impero.
Bisanzio ebbe bisogno contro i Normanni di aiuti navali, in quanto la loro forza era superiore. La
ricompensa per Venezia fu grandissima. Nel 1082 con una crisobolla (editto munito di sigillo
aureo) i dogi ottennero il titolo perpetuo di protosévastos, un titolo che li metteva sullo stesso piano
della famiglia imperiale dato che lo aveva anche il fratello di Alessio. Furono poi concessi un
quartiere ai veneziani, con un forno e degli scali portuali a Costantinopoli e inoltre grandi privilegi
commerciali che permisero a Venezia di primeggiare nel commercio orientale.
Alessio poi passò a risolvere il problema dei Peceneghi, che vennero sconfitti a seguito di
un’alleanza con i Cumani nella primavera del 1091 in prossimità del monte Levunion. E sventò così
anche l’assedio che avevano posto i Peceneghi assieme all’emiro turco di Smirne.
Alessio, pacificata la parte occidentale dell’impero si preparava ad attaccare i Turchi in Asia
Minore, ma i suoi piani furono interrotti per l’arrivo della I crociata. Nel 1095 papa Urbano II al
concilio di Clemond-Ferrand lanciò un appello in difesa della cristianità orientale minacciata dagli

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infedeli. L’indicazione del luogo di raduno fu Costantinopoli, e per Bisanzio forse non fu la notizia
migliore vedersi arrivare migliaia di armati dall’Occidente. Alla crociata ufficiale si aggregò anche
una “crociata popolare” guidata da Pietro l’eremita, che partì prima di quella regolare. Saccheggi e
disastri non mancarono, ma le autorità bizantine dovettero comunque dare ospitalità nei pressi di
Costantinopoli a quella masnada. La crociata popolare poi, sconsigliata dai bizantini, avanzò da
sola in Asia Minore, e il 21 ottobre venne annientata dai Turchi in una battaglia campale. Si salvò
Pietro che era tornato a Costantinopoli per chiedere aiuti.
I signori feudali affluirono a Costantinopoli a ondati a partire dal 1096, in totale le loro forze erano
di circa 100.000 uomini.
Benchè la diffidenza era reciproca, i signori giurarono fedeltà all’imperatore di Costantinopoli, e
promisero la restituzione dei territori e città recuperati, mentre l’imperatore si impegnava con il
supporto militare.
Il rapporto di collaborazione si incrinò quando Boemondo di Taranto un normanno figlio di Roberto
il Guiscardo che paradossalmente era tra i signori in soccorso di quell’impero che il padre si
affannò per distruggere, infatti recuperata Antiochia ne costruì un principato personale. A seguito di
una guerra che nel 1108 portò alla vittoria Bisanzio che sconfisse il normanno, Boemondo divenne
vassallo di Alessio I, ma il principato di Antiochia rimaneva in mano a Tancredi, il nipote di
Roberto il Guiscardo, che a sua volta ne rifiutò la consegna all’imperatore.

Giovanni II Comneno.
Alessio I aveva risollevato le sorti dell’impero, il figlio Giovanni Comneno (1118-1143) proseguì
con l’opera di restaurazione. Nel 1119 iniziò una campagna in Asia Minore contro i Selgiuchidi,
poi interrotta per contrastare i Peceneghi sconfiggendoli in maniera così pesante da annullarne il
pericolo. Successivamente entrò in Serbia per una completa sottomissione costringendo i serbi alla
sovranità bizantina. Anche con l’Ungheria ebbe la meglio. Nel 1143 il sovrano morì per un
incidente di caccia.
I suoi rapporti con Venezia si erano incrinati rispetto al regno di Alessio I, diminuita l’importanza
del supporto navale dei veneziani, Giovanni ne privò dei precedenti trattati commerciali. Nel 1122
la repubblica iniziò coì una guerriglia di rappresaglia navale, che alla fine nel 1126 Giovanni
dovette rinnovare i privilegi concessi da Alessio I.

Manuele I Comneno.
Manuele I Comneno (1143-1180), figlio id Giovanni fu designato dal padre a succedergli in
violazione al principio di anzianità , prima di lui sarebbe dovuto venire il fratello Isacco, per le non
comuni capacità politiche e militari.
Manuele aveva vivo il senso di universalità dell’impero e cercò di riportarlo all’antico splendore e
si inserì nelle vicende politiche delle più importanti potenze del suo tempo, che lo condussero a
un’ultima fase espansionistica, ma vennero resi vani verso la fine del regno dal repentino crollo
dell’intera costruzione politica fatta, seguita da una nuova e questa volta irreversibile fase di
decadenza.
Nel 1146 Manuele I entrò in guerra contro il sultanato di Rūm, costringendo il sultano ad
abbandonare la capitale, ma dovette interrompere le operazione per l’arrivo di una nuova crociata.
La riconquista mussulmana di Edessa (1144) aveva suscitato una nuova spedizione orientale, partita
nel1147 sotto la guida di Corrado III re di Germania e del re Luigi VII di Francia, che si sarebbe
risolta in un fallimento totale e con conseguenze negative per Bisanzio.
I tedeschi vennero sconfitti dai Turchi in prossimità di Dorileo, poi le operazioni proseguirono in
Siria, senza alcun risultato. Il fallimento della crociata in Asia Minore, la cui colpa fu dei capi della
spedizione, venne attribuito dalla propaganda occidentale ai Bizantini. I rapporti di sfiducia tra
Oriente e Occidente si acuirono.

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Intanto il peso della crociata si fece sentire per Bisanzio, dato che i Normanni con Ruggero II si
impadronirono di Corfù nel 1147 e la loro flotta di qui attaccò la Grecia devastandone molte
località. Presero anche Tebe e Corinto. Manuele fu costretto a chiedere l’aiuto veneziano e
confermò così i vecchi privilegi alla repubblica, ampliandoli ulteriormente, nel 1149 i Normanni
erano sconfitti e recuperata anche Corfù ultima rimasta in mano loro. Manuele pensò di colpire in
Normanni su suolo italiano, ma incontrò lo sfavore dei veneziani e dei tedeschi, che temevano un
rafforzamento dei bizantini in Italia, in quanto l’intesa con Corrado III si interruppe per la sua morte
e con l’arrivo al trono di Germania di Federico I Barbarossa, molto più restio all’intesa con i
Bizantini, non si trovò un accordo per colpire i Normanni.
Manuele attaccò da solo la Sicilia, e ottenne buoni risultati oltre che l’appoggio di papa Adriano IV,
ma nel 1156 il nuovo re di Sicilia, Guglielmo I, sconfisse pesantemente le truppe bizantine a
Brindisi e costrinse il papa alla pace. Nel 1158 i bizantini dovettero abbandonare la penisola.
I successi su sugli stati crociati procedevano per Manuele, nel 1159 sottomise Antiochia, vinse la
guerra contro l’Ungheria, sottomise la Dalmazia, la Croazia, la Bosnia e Sirmio, e la Serbia ribelle
fu condotta a obbedienza nel 1172. Ma i nemici per Bisanzio continuavano ad aumentare.
La campagna intrapresa contro il sultano dei turchi Selgiuchidi nel 1175 condusse, per le finanze
già depresse dalle continue guerre a forti disaccordi interni, e il 17 settembre del 1176 l’armata
imperiale venne annientata dai Turchi a Miriocefalon in Asia Minore. La sconfitta, paragonabile a
Mantzinkert, segnò la fine della restaurazione comnena, e l’impossibilità di recuperare, avrebbe di li
a poco condotto ad un processo di disgregazione irreversibile.
La politica di Manuele lo portò alla rottura con Venezia e con Federico I Barbarossa che vedevano
con sospetto le sue azioni in Italia. Federico si vedeva Manuele appoggiare i comuni nella loro lotta
con il re tedesco, e per i veneziani i conflitti di interessi sorgevano sui possedimenti Bizantini
sull’Adriatico. Si arrivò alla rottura quando i Venezia appoggiò l’Ungheria nemica dell’impero, e
questo rispose con l’arresto dei veneziani e con la confisca dei loro beni su suolo imperiale nel
1171. Il nuovo doge Vitale II Michiel con cento navi da guerra partì alla volta dell’Oriente, prese
Traù e Ragusa e assediò la capitale, durante le azioni sottomisero Chio. Un’epidemia, ed eventi
sfavorevoli portarono alla ritirata veneziana. Lo sconforto fu così grande che Vitale fu eliminato, e
il nuovo doge Sebastiano Ziani, concluse un trattato con il re di Sicilia. L’avvicinamento di Venezia
ai normanni comportava pericoli troppo grande per Bisanzio e Manuele I rivide la propria
posizione. Nel 1179 furono liberati i prigionieri veneziani, e si avviarono nuove trattative di pace,
interrotte dalla morte di Manuele I nel 1180.

La fine della dinastia Comnena.


Dopo il breve governo del giovane figlio di Manuele, Alessio II (1180-1183), e della reggente
Maria di Antiochia, seconda moglie di Manuele I, il trono passò ad Andronico I Comneno (1183-
1185), cugino di Manuele, che si era posto a capo di una rivolta antigovernativa. I rivoltosi erano
ostili agli occidentali insediati nell’impero a seguito dei movimenti crociati del periodo, e
Andronico riscosse simpatie per la sua politica di chiusura con l’Occidente. Il suo ingresso a
Costantinopoli sulla quale marciò nel 1182 quando era governatore della provincia del Ponto, fu
preceduto da un massacro di Latini e la strage colpì in particolare genovesi e pisani. Andronico
ottenuta la corono di co-imperatore si sbarazzo di Alessio II e di Maria di Antiochia, e trasformò il
regno in un regime di terrore. L’apparato militare si indebolì colpendo duramente i pronoiari. Le
armate bizantine di conseguenza non furono in grado di far fronte agli attacchi esterni di Ungari,
Serbi e Normanni. I Normanni presa Tessalonica minacciarono Costantinopoli. La gravità delle
disfatte causarono la caduta di Andronico che venne linciato.

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Gli Angeli.
Terminata con Andronico la dinastia Comnena, fino al 1204 l’imperò continuò a sgretolarsi sempre
più. La nobiltà feudale, vittoriosa contro al governo centrale, pose sul trono la dinastia degli Angeli
nella persona di Isacco Angelo, cugino di Andronico I.
Isacco II Angelo (1185-1195) riuscì a sconfiggere i Normanni che abbandonarono il territorio
imperiale. La Bulgari però recuperò la propria indipendenza e nel 1187 diede vita al secondo
impero Bulgaro.
La rivolta bulgara fu seguita dalla terza crociata che, come le altre portò enormi danni a Bisanzio.
La terza crociata si mosse nel 1189, dopo la conquista di Gerusalemme da parte di Saladino, al
comando dell’imperatore Federico I Barbarossa e dei re Filippo II Augusto di Francia e Riccardo
Cuor di Leone di Inghilterra. Anche tale spedizione ebbe esito modesto e rinnovò i consueti episodi
di avversione a Bisanzio. Il Barbarossa si alleò con Serbi e Bulgari in funzione antibizantina, e dalla
paura a Costantinopoli si decise per un trattato con lo stesso Saladino per impedire il passaggio dei
crociati. Federico Barbarossa occupò Filippopoli e si apprestò ad assalire Costantinopoli,
ordinando al figlio Enrico di allestire una flotta e di ottenere la benedizione papale per la campagna
contro i bizantini. Alla fine Isacco II si arrese, nel 1190 venne concluso un trattato in forza del quale
il sovrano tedesco poteva effettuare la traversata. Il barbarossa non raggiunse la Terrasanta perché
morì affogato in un fiume in Cilicia. Fallì anche la spedizione di Francia e Inghilterra, ma Riccardo
sottrasse a Bisanzio Cipro, che si era da anni resa indipendente da Costantinopoli.
Con i Veneziani si arrivò a un trattato per il risarcimento dei danni e il ripristino dei privilegi, più
un ampliamento del quartiere veneziano di Costantinopoli, e Isacco II doveva così una somma di
1.500 libbre d’oro a Venezia. Ma nel 1195, quando Isacco perse il trono, il debito non era ancora
stato pagato e soltanto con la conquista di Costantinopoli, nel 1204, il comune veneziano avrebbe
recuperato tutto quanto riteneva di proprio diritto.
Infatti con Alessio III Angelo (1195-1203), i giochi per Venezia si fecero complicati, e si arrivò
solo a compromessi provvisori.
La precarietà del rapporto con Venezia, il cambiamento della situazione politica in Occidente
segnarono l’inizio della fine per Alessio III Angelo.
Dopo la morte del figlio del Barbarossa, Enrico VI, l’impero occidentale si era disgregato nella lotta
civile che contrapponeva Federico di Svevia a Ottone di Brunswick, senza quindi poter condurre
una politica forte in Italia, dove si impose sul trono papale Innocenzo III nel 1198. Innocenzo III
riprese con vigore il progetto di crociata e le sue aspirazioni spirituali coincisero con la forte
personalità del nuovo doge veneziano Enrico Dandolo, intenzionato a riaffermare con altrettanta
determinazione la supremazia veneziana nell’impero di Bisanzio, che ne 1204 fu conquistato senza
sforzo dagli occidentali.

Capitolo VIII: La quarta crociata e l’impero latino (1204-1261).

La quarta crociata.
La quarta crociata, o “crociata dei veneziani”, venne bandita nel 1198 da papa Innocenzo III; il suo
invito fu raccolto dalla feudalità francese e fiamminga, alla quale si unirono i signori tedeschi e
dell’Italia settentrionale. Non presero parte alla spedizione re o imperatori, ma solo feudatari. Capo
riconosciuto fu il conte Tibaldo di Champagne, che morì però nel 1201 e venne sostituito dal
marchese Bonifacio di Monferrato. I partecipanti si accordarono per raggiungere l’Egitto via mare
e, per procurarsi una flotta adeguata, si rivolsero a Venezia. In cambio delle navi e le supporto
Venezia avrebbe ricevuto metà dei territori conquistati e una forte somma in denaro. Il raduno a
Venezia per la partenza fu stabiliti nel giorno di San Giovanni, il 29 giugno del 1202. Al momento
della partenza non fu possibile raccogliere la somma dovuta a Venezia e il doge Enrico Dandolo
propose di conquistare per conto del comune la città di Zara che si era posta sotto la sovranità

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dell’Ungheria per sfuggire alle mire veneziane; la richiesta fu accolta. L’8 novembre del 1202 la
flotta prese il largo; secondo i calcoli più accreditati patirono 202 navi che imbarcavano 17.000
veneziani e oltre 32.000 crociati. Zara venne presa senza fatica e le truppe si fermarono a svernare.
Durante il periodo di ferma, ambasciatori di Alessio Angelo, figlio dell’ex imperatore Isacco II che
si trovava ancora in carcere a Cotantinopoli, proposero ai crociati di aiutarlo a recuperare il trono,
offrendo condizioni vantaggiosissime, una grande somma di denaro e la sottomissione della chiesa
bizantina a quella romana.
Le navi prese il 25 maggio la via per Costantinopoli. A luglio vennero occupato un tratto delle
mura, Alessio III fuggì. Intanto all’interno fu liberato Isacco II e riportato al trono e, in questo modo
fu evitato l’assalto definitivo. I crociati riconobbero il fatto compiuto e, sotto la loro protezione,
Isacco II e Alessio IV occuparono il trono.
Alessio IV Angelo (1203-1204), si trovò in difficoltà a pagare la somma dovuta, e inoltre i crociati
che rimasero in attesa cominciavano a fare ingenti danni nei pressi della città. La situazione crollò e
la stessa posizione di Alessio si faceva difficile: pressato dai crociati e odiato dai nazionalisti.
Venne incarcerato e il padre Isacco II morì di li a poco. Il nuovo imperatore Alessio V Ducas
Murzuflo non riuscì a far ripartire i crociati e si preparò alla difesa. I crociati si risolsero a tentare
l’attacco a Costantinopoli, e crearono un trattato per il nuovo assetto che avrebbero dato all’impero
una volta presa la capitale. Il 9 aprile furono attaccate le mura marittime dalla parte del Corno
d’Oro. Una coppia di navi riuscì ad accostarsi a una torre, sulla quale misero piede un veneziano e
due francesi. Vennero poi prese quattro torri. Alessio V si allontanò da Costantinopoli. Il giorno
successivo i crociati non trovarono nessuno che si opponesse. Terminava così l’età aurea delle
crociate, dando vita ad un impero latino di Oriente che sarebbe sopravvissuto fino al 1261, quando
la città venne ripresa dai bizantini.
La conquista dell’impero, frutto di una casuale concatenazione di eventi, si presenta sotto il profilo
politico come la conseguenza della frattura tra Venezia e Bisanzio.

L’impero latino.
Venne costituito uno stato di carattere feudale e fu eletto un imperatore latino da una commissione
di 6 veneziani e 6 crociati, che scelse Baldovino di Fiandra, e poi venne eletto un patriarca latino,
Tommaso Morosini. Il sovrano latino ottenne un quarto dell’Impero, il resto fu diviso in parti
uguali tra veneziani e crociati. Finita la conquista fra il 1204 e il 1205, vennero creati stati feudali
semi indipendenti nel corpo dell’impero latino: il regno di Tessalonica di Bonifacio di Monferrato
con giurisdizione su Macedonia e Tessaglia; il ducato di Atene comprendente Attica e Boezia e il
principato di Acaia nel Peloponneso.
I veneziani trassero il maggior vantaggio, rinunciarono i domini continentali per non divenire una
potenza terrestre, e presero le isole di Durazzo, Corfù, Corone e Modone nel Peloponneso, Creta e
parte dell’Eubea. Più isole dell’arcipelago Nasso, Paro, Milo, Santorino, Andro, Tino, Micono,
Sciro, Scopelo, Sciato e Lemno. Più vari porti in posizioni strategiche.

Non tutti i Bizantini si arresero e fondarono in regioni non ancora raggiunte dai latini governi
indipendenti, che reclamavano la continuità con il precedente impero. Tra questi: l’impero di Nicea
in Asia Minore fondato nel 1204 da Teodoro Lascaris, genero di Alessio III, che si fece incoronare
imperatore nel 1208 da Michele Autoriano, questi creato patriarca. Vi fu poi il despotato di Epiro
di Michelo Angelo cugino di Isacco II e Alessio III, e infine l’impero di Trebisonda, sul mar Nero
formato dai due fratelli Comneni Alessio e Davide.
L’impero di Nicea fu quello che destò maggior preoccupazioni all’impero latino e il suo governo
imperiale con i suoi imperatori entra nella storia dei sovrani di Costantinopoli come un governo
imperiale in esilio: si considera la serie di governanti di Nicea quale legittima successione di
Alessio V dopo la presa della capitale.

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Nicea e la restaurazione Bizantina.
L’impero di Nicea si rafforzò con Giovanni III Ducas Vatatze (1222-1254), che sottomise l’Asia
Minore ed entrò in Tracia dove fu presa Adrianopoli. Nel 1246 Giovanni Vatatze continuò
l’espansione nei Balcani e nel 1246 conseguì la conquista di Tessalonica.
Gli successe il figlio Teodoro II Lascaris (1254-1258) e poi al figlio di questo Giovanni IV
(1258-1261), in minore età, fu messo in ombra dal generale Michele Paleologo che divenne
reggente ed ottenne la corona di co-imperatore. Nicea si trovava contro il despota dell’Epiro
Michele II, Manfredi re di Sicilia e il principe di Acaia, il francese Guglielmo II di Villehardouin.
Gli alleati vennero però sconfitti dal Paleologo a Pelagonia in Macedonia nel 1259. Non vi era più
dopo di allora, una potenza in grado di opporsi a Nicea, se non Venezia. Michele Paleologo si
avvicinò dunque a Genova per il supporto navale e riconquistare l’impero. Ma l’intervento di
Genova non fu nemmeno necessario in quanto Costantinopoli cadde in modo imprevisto. Il generale
di Nicea Alessio Strategopulo che era inviato in missione in Tracia con 800 uomini aveva l’ordine
di passare vicino a Costantinopoli per spaventare i Latini. Quando vi giunse, venne a sapere che era
priva di difensori e ne approfittò. La flotta veneziana infatti, e la guarnigione latina , era partita per
attaccare un’isola nel mar Nero appartenente a Nicea. La città fu così occupata e l’imperatore
Baldovino II fuggì.

Capitolo IX: L’età dei Paleologi (1261-1453).

L’epoca dei Paleologi rappresenta l’ultima fase della storia di Bisanzio. L’impero ricostruito nel
1261 riuscì a sopravvivere per circa due secoli dopo l’ultimo tentativo di Michele VIII di riportarlo
alle dimensioni di potenza internazionale.
L’opera di erosione fu attuata dai tradizionali nemici balcanici e orientali, nonché dalle repubbliche
marinare di Genova e Venezia e infine il colpo definitivo apportato dai Turchi Ottomani che si
imposero nel XIV secolo.

Michele VIII.
Michele VIII Paleologo (1259-1282) divenuto unico sovrano nel 1261 diede avvio all’ultima e più
duratura dinastia di Bisanzio. Ottenne diversi successi in campo militare e diplomatico, sia contro la
Bulgaria che contro le repubbliche marinare di Genova e Venezia, accordandosi prima con una e
poi con l’altra per ottenere via via vantaggi e amplificarne l’agonismo.
La situazione italiana inoltre si fece pericolosa per Michele, quando eliminati dal meridione gli
Svevi, salirono al trono gli Angioini, con Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia. Questi era
intenzionato a riconquistare l’impero e voleva usufruire dell’appoggio papale. Anche qui la
diplomazia di Michele giocò un ruolo fondamentale, in quanto si avvicinò alla chiesa romana, ed
entrò in contatto con il nuovo papa Gregorio X, al quale giurò la sottomissione della chiesa
bizantina, ottenendo così il favore di questi che inoltre era contrario agli angioini.
L’unione delle chiese non fu però duratura per l’avvento al seggio papale di Martino IV, strumento
di Carlo d’Angiò, che riportò una rottura aperta e condannò Michele VIII come scismatico.
La nuova coalizione antibizantina formata da Carlo d’Angiò, l’erede al trono latino Filippo di
Courtenay, Venezia, Tessaglia, Serbia e Bulgaria poteva riprendere il suo attacco all’impero. La
situazione per Bisanzio si salvò grazie ai Vespri siciliani, la rivolta scoppiata a Palermo nel 1282,
alla quale non fu estranea la diplomazia di Costantinopoli. A seguito della rivolta la Sicilia si liberò

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del dominio francese e il tentativo dell’Angiò di ritornarne in possesso fu ostacolato dalla potenza
rivale degli Aragonesi. Naufragò così ogni progetto di spedizione in Oriente.
Nel 1277 partì la controffensiva bizantina operata dal pirata Licario, un italiano al servizio di
Bisanzio, che partì per un attacco alle isole veneziane dell’Egeo, e dell’Eubea, riportandone gran
parte in mano bizantina.
Venezia si alleò nel 1281 con l’Angiò a Orvieto con un trattato che impegnava le due parti a
concorrere militarmente alla crociata contro Bisanzio per insediare sul trono di Costantinopoli
l’erede dell’impero latino Filippo di Courtenay e restituire a Venezia tutti i suoi privilegi. Ma gli
avvenimenti dei Vespri fecero precipitare la situazione e Venezia abbandonò l’Angiò per tornare ad
avvicinarsi a Bisanzio con un nuovo trattato nel 1285.

Andronico II.
Lo sforzo di Michele VIII per ricostruire l’impero si rivelò un sostanziale fallimento. Il figlio
successore Andronico II (1282-1328) non continuò l’opera del padre, ripudiò l’inutile unione
religiosa con Roma, cercando di riportare la pace nella chiesa bizantina dopo le persecuzioni del
padre. Per diminuire le spese ridusse l’esercito e smantellò la marina in sostituzione della quale
fece affidamento sull’alleanza con Genova. La politica estera si fece meno aggressiva e Andronico
II cercò di risolvere per via diplomatica i rapporti con le potenze antagoniste. I rapporti con Genova
e Venezia non avevano più il carattere di supremazia ottenuto da Michele VIII e si fece evidente il
rapporto di dipendenza di Bisanzio dalle città marinare. Disastrosa fu la campagna in Asia Minore
contro i Turchi, che fu praticamente sottomessa da questi. Nel 1303 per far fronte alla loro minaccia
l’imperatore ricorse ai servigi della compagnia catalana. I Catalani in numero di 6.500, giunsero a
Costantinopoli in numero guidati dal loro capo Ruggero di Flor, al quale Andronico II diede in
sposa l nipote e conferì il titolo di cesare. I Turchi furono sconfitti all’assedio di Filadelfi nel 1304
ma per un ritardo nel pagamento i rapporti con i catalani si fecero difficili. Furono più dannosi che
benefici, e nonostante il co-imperatore Michele IX fece assassinare Ruggero di Flor i Catalani
entrarono in guerra aperta con Bisanzio sconfiggendo le truppe di Michele IX. Aprirono una guerra
franco- catalana con il duca franco di Atene, Gualtieri di Brienne che vinsero e costituirono un
principato catalano di Atene destinato a durare oltre settant’anni. Oltre ai disastri apportati dai
Catalani, le tasse per mantenerli avevano stremato la popolazione e la situazione portò a una guerra
civile portata avanti dal nipote di Andronico II, Andronico III, figlio di Michele IX. Dopo la morte
di Michele infatti Andronico II aveva privato il nipote dei diritti di successione e questi raccolse le
armi con l’appoggio della giovane aristocrazia bizantina, il cui maggiore esponente era Giovanni
Cantcuzeno. La guerra civile durò dal 1321 al 1328 e finì con la vittoria di Andronico il giovane.

Andronico III e Giovanni Cantacuzeno.


Sotto Andronico III (1328-1341) l’impero ebbe un momentaneo rafforzamento dovuto in buona
parte all’appoggio di Giovanni Cantacuzeno, che di fatto dirigeva lo stato. Recuperò molti territori
e adottò una politica ostile a Genova, mantenendo di contro i rapporti stabili con Venezia, e grazie
alle spese pubbliche e alle forze degli aristocratici che lo sostenevano ricostituì la flotta.
La ripresa imperiale fu interrotta con l’erede Giovanni V (1341-1391) per lo scoppio di una guerra
civile che annullò i precedenti successi. La contesa si accese per la reggenza in nome di Giovanni
V che aveva solo nove anni, fra il partito aristocratico di Giovanni Cantacuzeno che comandava
l’esercito e una fazione avversa sostenuta dall’imperatrice madre Anna di Savoia. Questo secondo
partito era appoggiato anche dal patriarca di Costantinopoli Giovanni Caleca trovò un capo nel
megaduca, ovvero il comandante della flotta Alessio Apocauco. Nella contesa si inserirono poi
contrasti religiosi, infatti si sviluppò l’esicasmo, la più importante controversia religiosa del periodo
tardo bizantino. Esicasmo era una particolare forma di preghiera, affine alle pratiche di meditazione
di matrice orientale. L’esicasta pregava trattenendo il respiro, cosa che gli consentiva di vedere la
luce divina come nell’episodio evangelico della trasfigurazione sul monte Tabor. Gli esicasti si

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schierarono con Cantacuzeno e gli avversari appoggiarono la fazione governativa. Nel 1347
Cantacuzeno entrò nella capitale e venne incoronato imperatore per regnare assieme a Giovanni V.
la sua vittoria portò all’assunzione dell’esicasmo come dottrina ufficiale della chiesa bizantina.
Giovanni VI Cantacuzeno (1347-1354) seguì una politica antigenovese e di rimettere in campo
una flotta.
Si trovò inoltre coinvolto nella guerra veneto-genovese per il controllo del Mar Nero. L’esito
incerto portò alla alleanza con Genova e Venezia si alleò con Giovanni V Paleologo. Nel 1352 fu di
nuovo guerra civile tra Giovanni VI e Giovanni V, risolta con l’intervento dei Turchi Ottomani a
vantaggio dell’usurpatore, ma la stessa amicizia infine portò alla caduta di Giovanni VI. Gli
Ottomani penetrarono nel territorio europeo impossessandosi di Gallipoli, testa di ponte importante
per la conquista dell’Europa, e su Giovanni VI cadde la responsabilità di avere aperto a questi la del
continente agli invasori. La sua posizione si indebolì favorendo una congiura di Giovanni V con
l’appoggio del corsaro genovese Francesco Gattilusio, a seguito della quale fu deposto nel 1354.

Giovanni V e l’espansione dei Turchi.


L’impero dopo le guerre civili si trovava in una situazione disperata. Giovanni V non poté
risollevarne le sorti se non limitarne il completo disfacimento. Gli Ottomani dopo Gallipoli si
insediarono in Europa e conquistarono la penisola balcanica. Il sultano Murad I fissò la propria
capitale ad Adrianopoli di Tracia. Ormai all’imperatore bizantino non restava che il supporto
dell’occidente il quale però per le proprie lotte intestine, in particolare quella tra Genova e Venezia
era impossibilitato alla manovra, manovra che vedeva come sempre più indispensabile in quanto in
fondo un baluardo occidentale, quello rappresentato da Bisanzio, che difendessi gli interessi
europei contro i Turchi alla fine sembrava sempre più importante.
Le uniche operazioni con forze crociate furono quelle di Amedeo VI conte di Savoia e cugino di
Giovanni V, che riconquistò Gallipoli nel 1366. Ma l’espansionismo ottomano continuava e
Giovanni V che si recò a Roma non trovò alcun appoggio. Nel 1388 i Serbi tentarono
un’insurrezione generale nei Balcani, ma il sultano invasore Murad I ne ebbe ragione e nella
battaglia di Kosovo Polije del 15 giugno del 1389, nonostante perse la vita, portò alla vittoria il
figlio Bayazid. Il principe Lazzaro, il capo di quella che fu l’ultima resistenza ai Turchi da parte dei
popoli balcanici venne ucciso assieme ai suoi nobili e l’intera Serbia cadde sotto il dominio
ottomano. Negli stessi anni la crisi dinastica interna all’impero fece crollare ulteriormente la
situazione. Andronico IV, figlio primogenito di Giovanni aveva organizzato una congiura assieme
al principe ottomano, contro i rispettivi padri, l’imperatore di Costantinopoli e il sultano Murad I.
Scoperti, e accecati, nel 1376 Andronico fuggì cin l’appoggio genovese e turco e si impadronì del
potere. Cercò di premiare i genovesi con l’isola di Tenedo, oggetto della contesa con Venezia. Non
riuscendo a impossessarsi dell’isola scoppiò un nuovo conflitto veneto-genovese che si concluse
con la pace di Torino nel 1381. Nel 1379 Giovanni V e il secondogenito Manuele riuscirono a
deporre Andronico IV con l’aiuto di Veneziani e Turchi.

La caduta dell’Impero.
Dopo la morte di Giovanni V e il governo del Nipote per qualche mese, Giovanni VII, l’espansione
ottomana proseguì anche sotto Manuele II Paleologo 81391-1425) ad opera del nuovo sultano
Bayazid. Le conquiste ottomane cominciarono a preoccupare l’Occidente e si ebbe un tentativo di
organizzare una crociata in difesa di Costantinopoli. La crociata di Nicopoli, su iniziativa di
Sigismondo re d’Ungheria che fece appello a tutti i sovrani d’Europa, doveva essere un’impresa
destinata a salvare la cristianità. Si mossero i due papi Bonifacio IX a Roma e Benedetto XIII ad
Avignone, vi parteciparono poi 100.000 uomini il cui grosso era formato dagli Ungheresi, ma
giunsero rinforzi anche dalla Francia, Germania, Valacchia, Italia, Spagna, Inghilterra, Polonia e
Boemia. L’esercito crociato si concentrò a Buda nell’estate del 1396, superò il Danubio e proseguì

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verso Nicopoli. Qui il 25 settembre fu annientato d Bayazid, e il re Sigismondo riuscì a salvarsi, ma
vi perse la vita gran parte della nobiltà europea.
Manuele II, successivamente riuscì a trovare un piccolo appoggio in Carlo VI di Francia che inviò
a Costantinopoli una squadra navale con un migliaio di uomini condotti da Jean le Meingre, noto
come maresciallo Bocicaut. Nel 1399 riuscì a rompere il blocco turco della città.
L’inerzia della potenze europee portò comunque alla fine di Costantinopoli. Dopo la crisi
dell’impero turco provocata dal capo mongolo Timurlenk (Tamerlano) che fece prigioniero
Bayazid, e dopo le lotte interne all’impero, salì al trono Maometto I nel 1413, che diede una tregua
a Bisanzio.
La potenza ottomana tornò ad essere aggressiva con il sultano Murad II (1421-1451). Il successore
di Manuele II, il figlio Giovanni VIII Paleologo (1425-1448) fu il terzo sovrano a recarsi in
Occidente per chiedere aiuto. Decise di giocarsi la carta dell’unificazione religiosa portandosi dietro
anche i membri del clero bizantino e, si aprì a Ferrara nel 1438 per chiudersi a Firenze nel 1439 un
concilio con la proclamazione dell’unione religiosa. Modeste le conseguenze, fu indetta però una
crociata promossa da papa Eugenio IV, che si mosse dall’Ungheria nel 1443, ma si risolse l’anno
successivo in un fallimento.
La crociata del 1443-1444, nota come crociata di Varna fu guidata da Ladislao III, dal voivoda di
Transilvania Giovanni Corvino Hunyadi, dal despota serbo Giorgio Branković, più il legato papale
Giuliano Cesarini. L’esercito era composto da circa 25.000 uomini, più 8.000 serbi, si addentrò in
Bulgaria e in Tracia e ottenne inizialmente brillanti vittorie. Le forze crociate poi dovevano partire
in direzione di Costantinopoli radunandosi a Varna sul mar Nero, dove dovevano essere trasportati
dai veneziani. Le operazioni navali e terrestri furono però mal coordinate, e i veneziani che
tardarono l’arrivo, nello stesso tempo non riuscirono a impedire a Murad II di traghettare al di là del
Bosforo un forte contingente di truppe asiatiche. Il 10 novembre del 1444 le forze turche, pari al
triplo di quelle crociate, affrontarono i crociati in prossimità di Varna. I cristiani combatterono
eroicamente, ma alla fine furono sbaragliati lasciando fra i morti il re Ladislao e il cardinal Cesarini;
pochi si salvarono.

La disfatta di Varna determinò la fine di Bisanzio. Nel 1448 morì Giovanni VIII, e il suo posto
passo al fratello Costantino XI Paleologo (1448-1453).
La potenza ottomana era oramai incontenibile e dopo la sconfitta di Hunyadi che era rimasto in
armi nei Balcani, dopo di lui rimaneva solo Giorgio Castriota, detto Scanderbeg che si era ritirato
sulle montagne albanesi per proseguire la lotta.
La sorte dell’impero era comunque segnata, e con l’avvento di Maometto II nel 1451, dal forte
impulso espansionistico e deciso a chiudere i conti con l’impero bizantino, si era oramai giunti alla
fine.
Con un esercito forte di 150.000 uomini e di artiglierie pesanti Maometto II accerchiò
Costantinopoli praticamente abbandonata dall’Occidente e con una guarnigione di soli 7.000
uomini tra cui un contingente di veneziani guidati da Giovanni Giustiniani su cui ricadde l’onere di
comandare la difesa.
Il 29 maggio del 1453 Costantinopoli cadde e Costantino XI morì combattendo nella disperata
difesa della sua capitale. Con la conquista della città finì la storia di Bisanzio.

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