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DIOCLEZIANO

Il governo e l’ascesa al potere di Domiziano, oltre a portare un periodo di stabilità ventennale al


potere che non era prassi da almeno 100 anni, segnò per molti aspetti una cesura netta con il
passato, tanto che gli storici definiscono il periodo storico che si apre con Domiziano con un nuovo
termine: con Domiziano si apre la tardo antichità. Nonostante fino a tempi piuttosto recenti si
considerasse il periodo che inizia con l’ascesa al potere di Domiziano decadente, tanto da definire
“alto impero” il periodo storico che si estende per i due secoli successivi ad Augusto e “basso
impero”, non solo per mere motivazioni temporali, il periodo coincidente con l’ultima fase della
storia di Roma, oggi si preferisce, come detto in precedenza, la definizione di “tarda antichità”, che
per alcuni termina nel 476, anno della caduta dell’Impero Romano d’Occidente mentre per altri si
estende dal tardo III secolo fino addirittura al tardo VII secolo.

In politica interna, Diocleziano dovette, in primo luogo, confrontarsi con il problema legato della
difesa delle frontiere. Viste le ricorrenti invasioni e attacchi ai limes romani, che erano ricorrenti
ormai da un secolo, c’era il bisogno di posizionare i centri di decisione in punti strategici. La soluzione
che Diocleziano adottò per far fronte al problema fu quella di una ripartizione territoriale dell’Impero
in due grandi aree, Occidente e Oriente, ciascuna a sua volta ripartita in due circoscrizioni. Le capitali
dei quattro distretti territoriali vennero poste nelle zone di confine: in Occidente Milano e Treviri,
non distante dal Reno; in Oriente Sirmio, sul corso del Danubio e Nicomedia, sulla costa del Mar
Nero, dove Diocleziano stabilì la propria sede. Questa ripartizione dell’Impero in quattro aree
corrispose all’avvio di una ripartizione collegiale del potere imperiale, articolata su due livelli: due
“augusti”, responsabili rispettivamente dell’Impero d’Oriente e Occidente, che a loro volta
avrebbero nominato due “cesari”. Il dispositivo della tetrarchia, governo dei quattro, prevedeva che,
dopo vent’anni di governo o alla morte di un augusto il suo cesare avrebbe dovuto succedergli,
nominando a sua volta un altro cesare, andando quindi a ristabilire in parte il meccanismo già visto e
sperimentato durante il periodo del principato adottivo: la scelta delle figure più idonee e
competenti a ricoprire il ruolo assegnatogli, secondo un principio di meritocrazia. Come Augusto
d’Occidente Diocleziano scelse Massimiano, mentre i due cesari vennero individuati nelle personalità
di Galerio e Costanzo Cloro.
La tendenza alla divisione e alla creazione di unità territoriali sempre più circoscritte investì anche le
province, che sotto Diocleziano passarono da circa 50 a 100. Lo statuto di provincia venne esteso
anche all’Italia, che andava quindi a perdere la posizione privilegiata che aveva ricoperto fino a quel
momento, complice anche lo spostamento della capitale dell’Imperatore. Tuttavia, le ragioni di
questa scelta vanno individuate in una mera questione tributaria, con l’obiettivo di ottenere una più
capillare riscossione delle tasse. Le province vennero altresì raggruppate in distretti di nuova
istituzione, definiti diocesi e governati da un rappresentante dell’imperatore detto vicario.

Oltre alla ridefinizione territoriale, Diocleziano agì anche al rafforzamento i dispositivi militari a fine
difensivo, accrescendo gli effettivi dell’esercito, che si espansero fino a circa mezzo milione di unità,
favorendo quindi una politica estera completamente improntata sulla difesa. Furono inoltre creati
dei reparti mobili costituiti da soldati scelti maggiormente retribuiti che venivano stanziati nelle
retrovie, pronti ad intervenire in caso di necessità. A questi ultimi si affiancavano i limitanei, membri
delle unità militari stanziate nelle aree di confine.

Quella inaugurata dall’ascesa al potere di Domiziano fu anche un’epoca nella quale i cambiamenti
riguardarono anche l’immagine che l’imperatore volle dare di sé. Si abbandonò pian piano il modello
augusteo, che faceva dell’imperatore si un magistrato speciale, ma comunque di una persona del
popolo, nonostante i suoi smisurati poteri, per far spazio ad una figura imperiale sacralizzata, una
figura superiore rispetto al resto del popolo. Per questo tutto ciò che circondava l’imperatore
divenne sacro e, per segnare discontinuità, la figura dell’imperatore divenne distante, misteriosa,
lontana rispetto al resto del popolo.
Alla luce di tutte queste trasformazioni, quindi, variò anche il nome della forma di governo adottata.
Se prima si poteva parlare di principato, con allusione al fatto che il principe era il primo tra molti,
d’ora in poi si inizierà a parlare di Dominato, quasi a lasciar intendere che l’Impero è proprietà
esclusiva e privata dell’imperatore.
Nel progetto di rafforzamento e di sacralizzazione dell’autorità imperiare rientra a pieno titolo la
politica persecutoria nei confronti dei cristiani, che prese di nuovo piede sotto Domiziano a distanza
di circa 50 anni dal governo di Valeriano, ultimo imperatore a disporre persecuzioni a carico dei
cristiani. Le persecuzioni, per ordine di Diocleziano, ebbero inizio nel 303. Gli editti emanati
dall’Imperatore concernevano la distruzione degli edifici di culto cristiani, la consegna dei libri sacri,
il divieto di riunirsi per la celebrazione di riti, l’arresto e la requisizione dei beni dei membri del clero
e l’obbligo per tutti di compiere un sacrificio agli dei, sacrificio che avrebbe fatto ottenere un
certificato che attestasse la non appartenenza di una persona alla religione cristiana. Tuttavia,
queste persecuzioni si rivelarono abbastanza inutili ed inefficaci e si conclusero nel 307, appena due
anni dopo l’inizio.

Tra i numerosi problemi che Diocleziano ereditò dall’Anarchia Militare vi fu anche quello di una
profonda crisi economica. Da quando Roma cessò di impostare la sua politica estera sull’espansione,
non vi furono più nuove terre conquistate, e quindi non vi furono più nuove persone, beni o attività
tassabili, facendo quindi si che l’unica ricchezza in circolazione fosse quella già esistente. Il denaro
iniziò ad affluire alle casse pubbliche con maggior difficoltà, viste anche le ingenti spese, per
esempio, in ambito militare, nel quale i soldati dovevano essere ben pagati per evitare che tradissero
Roma o svolgessero male il loro lavoro. Insieme a questa spesa una voce importante nel bilancio di
Roma era occupata dalla distribuzione di generi alimentari a titolo gratuito ai nullatenenti. Nel corso
del III secolo, quindi, la politica messa in atto da Diocleziano fu quella di un continuo aumento della
pressione fiscale, che portò anche a numerose rivolte e scioperi.
A Diocleziano si dovette una riforma fiscale che da un lato mirava a rendere più preciso il calcolo
della base imponibile e dall’altro a uniformare sull’intero territorio imperiale i meccanismi di raccolta
e redistribuzione dei tributi. Ci iniziarono ad essere censimenti sempre più frequenti, in modo da
individuare e tassare in maniera immediata nuovi eventuali imponibili. Il sistema di calcolo del
gettito iniziò a tener conto sia nell’estensione della terra e del bestiame che della sua produttività.
Sulla base di queste valutazioni si stabiliva, infine, il quantitativo di tasse che ogni provincia doveva
versare sia in natura all’esercito sia in denaro. Il sistema di Diocleziano venne definito capitatio-
iugatio, per indicare che esso teneva conto sia delle persone impegnate (capita – teste), sia della
superficie lavorata (calcolata sulla unità di misura della iugum).
Un’altra misura in ambito economico presa da Domiziano riguarda il cosiddetto editto sui prezzi, del
301, che mirava a fissare dei prezzi fissi non superabili per tutti i beni in commercio. Questa misura
venne messa in atto per cercare di frenare l’inflazione e quindi alla perdita di potere d’acquisto del
denaro, dovuta al fatto che il suo valore nominale non corrispondesse più al suo valore reale, visto
che la quantità di materiale prezioso contenuta al suo interno era minore. Tuttavia questo editto si
rivelò fallimentare, favorendo il mercato nero, dove i prezzi erano più alti, e favorendo la totale
mancanza di scorte di cibo e altri beni.
Un altro tentativo di controllo dell’economia e della società è evincibile nei provvedimenti che
proibirono di cambiare professione a quanti svolgevano attività ritenute fondamentali e imposero ai
figli di coloro che svolgevano queste attività di prendere le orme dei genitori, di fatto cristallizzando
sia l’economia che i rapporti sociali. Tali provvedimenti vennero attuati allo scopo di avere un
introito costante dalle tasse e di evitare che venissero persi posti di lavoro fondamentali per il
corretto funzionamento dell’Impero.
Nonostante la società, nel proprio complesso, si impoverisse, ci furono persone, come i latifondisti e
i ricchi senatori, che in questa crisi trovarono un’occasione per arricchirsi ancor di più. Con la fine
delle conquiste da parte di Roma di nuovi territori vi fu anche un fenomeno di riduzione degli schiavi.
Per far fronte a questo problema, si affermò progressivamente un nuovo tipo di rapporto tra
latifondista e lavoratore, che prese il nome di colonato. I coloni erano uomini liberi che tuttavia
erano legati alla terra che gli veniva assegnata dal proprietario, uomini liberi a cui però veniva negata
la possibilità di cambiare lavoro oppure appezzamento di terra. Cambia però il tipo di rapporto:
infatti il proprietario non nutrisce più il lavoratore, ma impone a quest’ultimo di coltivare la terra e
gli impone un canone, in denaro o in natura, che deve essere corrisposto al latifondista per la
concessione del terreno. Oltre alla immensa fatica del lavoro nei campi, la loro posizione era
fortemente a rischio a causa delle frequenti invasioni barbariche, che portavano spesso anche alla
costruzione di uno o più cinta murarie attorno alla villa del padrone, che iniziava a prendere la forma
di quello che poi, in età medioevale, sarà il castello, circondato da feudatari e servi della gleba.

A rivelarsi un fallimento fu il tentativo di scongiurare disordini legati alla successione al trono


imperiale. Per testare la forma di governo da lui istituita anni prima, egli, nel 305, si dimise e
costrinse alle dimissioni anche Massimiano. Inizialmente la successione preveduta dalla tetrarchia
funzionò. Tuttavia, alla morte di Costanzo Cloro nel 306, si scatenò una guerra civile per decidere chi
avrebbe dovuto succedergli. Le legioni britanniche acclamarono Costantino mentre si fece spazio, tra
i contendenti, anche Massenzio, figlio di Massimiano.

COSTANTINO
Dalla guerra civile uscirono vincitori due personaggi: Costantino, che sconfisse Massenzio sul Tevere
nel 312 e Licinio. La tetrarchia era quindi diventata diarchia, che tuttavia durò poco, visto che
Costantino diede ordine all’esercito di uccidere Licinio. Nel 324, quindi, Costantino riacquisiva il
potere su tutto l’Impero, potere che poi lascerà, alla sua morte, in eredità ai tre figli.
Lo stesso anno della riunificazione Costantino avviò i lavori per la creazione di una nuova capitale. La
scelta ricadde su Bisanzio, che venne rinominata Costantinopoli, l’attuale Istambul. Dietro la scelta di
Costantino vi erano ragioni militari ma anche la decisione politica di allontanarsi da Roma e
dall’aristocrazia romana. Nel 330, dopo 6 anni di lavori, veniva inaugurata Costantinopoli.
Gli architetti e ingegneri di Costantino ristrutturarono e ricostruirono Bisanzio basandosi su un
modello romano, con la ovvia costruzione di edifici come il foro o il senato. Nelle intenzioni
dell’imperatore doveva essere, e fu, una seconda Roma. Tuttavia non vennero costruiti templi, come
a Roma, bensì chiese. Costantino, infatti, nel 313, insieme a Licinio, aveva firmato a Milano un editto,
noto ai più con il nome di “editto di tolleranza” o “editto di Milano”, che dava la libertà a tutti i
cittadini romani di praticare i propri culti, una scelta il totale discontinuità con l’inefficiente
campagna persecutoria a spese dei cristiani intrapresa dal predecessore Diocleziano. Si pensa che,
oltre alla versione ufficiale della conversione di Costantino, vi sia una precisa scelta politica, ovvero
quella di ampliare il più possibile il proprio consenso personale, senza però stravolgere radicalmente
la società romana. Infatti i culti pagani convissero con quelli cristiani per molti decenni, tanto che lo
stesso Costantino non rinuncio alla sua carica di Pontefice Massimo.
La politica religiosa di Costantino consistette anche nella restituzione di tutti gli edifici
precedentemente confiscati e nella febbrile costruzione di nuove basiliche cristiane. Tra queste, la
Basilica di San Pietro, costruita sul sepolcro di Pietro e ricostruita nel XVI secolo da papa Giulio II.
Costantino fece inoltre costruire, a Costantinopoli, la chiesa dei Santi Apostoli, concepita per
ospitare anche la sua sepoltura.
All’interno della Chiesa si iniziò inoltre a creare una sempre più complessa gerarchia, la cui figura
chiave era rappresentata dal vescovo, a cui erano affidate la diffusione della dottrina e
l’amministrazione della comunità in un determinato luogo, la diocesi.
Alla Chiesa Costantino concesse inoltre la possibilità di ricevere lasciti testamentari, l’esenzione dei
sacerdoti dal pagamento delle tasse e la formazione di un tribunale ecclesiastico composto
esclusivamente da membri del clero, che aveva la stessa valenza giuridica del tribunale civile.
Nel IV secolo la dottrina cristiana si presentava ancora divisa su molti temi, in particolare su quello
della natura di Cristo. Su questo tema delicato, ampia diffusione aveva ricevuto la dottrina di Ario,
che sosteneva che Cristo non fosse divino ma creato da Dio.
Per risolvere la diatriba, l’imperatore convocò tutti i vescovi dell’Impero al primo concilio ecumenico
della storia, il concilio di Nicea, nel 325, alla fine del quale vene stabilito, grazie anche all’intervento
di Costantino, che Gesù Cristo fu generato e non creato, rendendo di fatto eretica la dottrina di Ario.
Per questo motivo, Ario venne esiliato dallo stesso imperatore Costantino. Tuttavia, essendo stato
esiliato, i sacerdoti ariani diffusero la dottrina oltre i confini dell’Impero.

In ambito economico, Costantino decise di introdurre una nuova moneta, il solido, che venne coniata
in larga scala in tutti l’impero e servì principalmente a pagare i potenti e ricchi funzionari pubblici. Se
da un lato questa moneta aveva di positivo il fatto che il proprio valore reale fosse stabile e in linea
con il proprio valore nominale e che fosse effettivamente riuscita a fermare il fenomeno della
svalutazione e dell’inflazione, dall’altro accrebbe le già grandi diseguaglianze tra classi sociali ricche,
che poterono permettersi una moneta forte, e classi sociali più povere, che non poterono
permettersi l’uso di questa moneta. Queste disuguaglianze vennero attenuate in parte grazie
all’attività caritatevole della Chiesa.

Anche dal punto di vista della difesa dei confini la politica di Costantino riprese quella di Domiziano.
Egli diede ulteriore impulso alle truppe mobili, portandole a circa il 50% delle truppe totali. Inoltre,
questi reparti, più speciali e qualificati e meglio retribuiti degli altri, vennero posti sotto il comando di
generali di professione, i magistri militum. Nel 332, dopo aver respinto delle invasioni barbariche di
alcune popolazioni germaniche, egli strinse un patto con queste ultime stabilendo che, in caso di
necessità, queste avrebbero dovuto fare avere all’esercito romano un contingente di 40.000 uomini.
Questa fu la prima volta che i soldati barbari vennero inseriti massicciamente all’interno del tessuto
militare romano

SUCCESSIONE COSTANTINO
Alla sua morte, Costantino lasciò il suo regno in eredità ai suoi 3 figli, sui quali prevalse solo uno di
loro, Costanzo II, che fu unico imperatore dal 353 al 361. Egli dovette affrontare, come tutti gli
imperatori del IV secolo, le frequenti incursioni dei popoli germanici in Occidente e l’attivismo dei
persiani in Oriente. A questo si aggiunse la rinascita del fenomeno delle usurpazioni, con gli eserciti
che acclamavano e deponevano nuovi imperatori. Dal punto di vista della fede religiosa, Costanzo II
era ariano. Egli promosse una politica di repressione e eliminazione dei culti pagani.

Giuliano, cugino di Costanzo II, subentrò come imperatore alla morte del cugino, avvenuta nel 361.
Tuttavia il suo governo durò solo due anni, perché nel 363 morì durante una spedizione contro i
persiani. La politica principale messa in atto dal suo breve regno fu quella di un rilancio della
religione pagana a scapito del cristianesimo, che, sotto il suo governo, iniziò a perdere
rappresentanti nelle scuole, diritti e privilegi.
Giuliano non era un caso isolato: infatti, ancora molti, anche tra i membri dell’aristocrazia e delle
élite, erano di fede pagana. Per l’ultimo scorcio del IV secolo si può addirittura parlare di una
rinascita pagana, che tuttavia durò molto poco. I cristiani, contrariati dalle scelte dell’imperatore, lo
bollarono con l’appellativo di Apostata, ovvero una persona che ripudiava la propria religione.

Dopo la morte di Giuliano, il potere passò in mano a Valentiniano, che assunse il fratello Valente per
il controllo dei territori Orientali. La strategia da quest’ultimo adottata fu quella della ricerca di una
tregua, seppur instabile, con l’Impero sasanide. Una nuova crisi venne però innescata dagli unni,
popolo orientale che, spostandosi da Oriente a Occidente, spinse i visigoti, altro popolo barbaro, a
chiedere asilo all’Impero Romano, ottenendolo nel 376. Purtroppo, le procedure di insediamento di
questi ultimi furono gestite in modo fallimentare, non essendo state predisposte strutture adeguate
ed essendo i soldati incaricati di questo compito facilmente corruttibili. Questa situazione, unita con
il disappunto e il malumore dei visigoti, portò ad una vera e propria rivolta. Valente affrontò lo
scontro con i visigoti senza chiedere aiuto all’Impero d’Occidente, scelta che costerà a Roma, il
9/08/378, una delle sconfitte più lampanti della sua storia e che costò a Valente la vita.

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