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Meditazione sul Vangelo di Luca dei

pellegrini di Emmaus (Lc 24,13-33)

Chiesa della Risurrezione –Comunità Nazareth


Il Piturello –Torre de’ Roveri- Bergamo -Italia
In quello stesso
giorno due di loro
erano in cammino
verso un villaggio di
nome Emmaus, a due
ore da Gerusalemme.
Parlavano tra loro di
tutto quello che era
accaduto.
Mentre parlavano e
discutevano insieme,
Gesù in persona si
accostò e camminava
con loro: ma i loro
occhi erano incapaci
di riconoscerlo.
Sulla strada

Camminatori visti di fronte. Le loro


gambe, pesanti grucce, lasciano
intravedere le linee serpeggianti del
loro cammino, il ciondolare della loro
processione disincantata. I raggi del
sole, ancora alto sull’orizzonte, si
infilano tra le gambe di quello di
destra.

I due che parlano in primo piano, alternano coro a coro la


litania della delusione: le loro mani brulicano di parole, i
loro sguardi sono carichi di domande. Apparentemente si
parlano, ma senza incrociare gli sguardi: in pratica ognuno
parla per sé, cieco al paesaggio, si sfoga grazie alla
presenza dell’altro, lascia scorrere il proprio smarrimento.
Quello di sinistra: “Oh la mia testa!”,
mentre fissa il suolo che sfugge via
man mano che avanza.

Anti pellegrinaggio:
Voltano la schiena a
Gerusalemme: ritorno indietro;
ripiego amaro.

Quella di sinistra: “Oh il mio cuore!”,


mentre guarda estasiato e allucinato
l’orizzonte della speranza del lutto.
Sono raggiunti, poi
accompagnati, fianco a
fianco, da un terzo, al
centro, appoggiato ad un
bastone da pellegrino che
tiene come un pastorale.
I suoi occhi iniettati di
attenzione brillano
attraverso le fessure
luminose della maschera. Il
suo profilo massiccio è
aureolato d’oro. Canto in
sordina, bocca chiusa,
realmente presente.

Forse sorride ascoltando i discepoli che stanno


raccontando Gesù a Gesù.
Rosseggia il sole della sera, che lancia i suoi
riflessi.
Blueggia e avanza il cielo immacolato, già
macchiato dall’ombra che scende.

Ed Egli disse loro:


“Stolti e tardi di cuore
nel credere alla parola
dei profeti!
Non bisognava che il
Cristo sopportasse
queste sofferenze per
entrare nella sua
gloria?”.

E cominciando da Mosé e
da tutti i profeti spiegò
loro in tutte le scritture
ciò che si riferiva a Lui.
Apriva loro le scritture
In breve, la risposta del Cristo sui
dubbi che riguardano l’umanità:
ovvero in che modo il mistero della
croce è il nocciolo carico di senso
della prima Alleanza.
Visto che si immerge in una sacca di
magma primordiale raffreddato e
indurito, colore di scoria di
carbone. Come un giacimento.
E le sue pepite: alcune lettere
maiuscole alla rinfusa. Alcune appena
leggibili, altre iridate, più distinte,
che brillano di un bagliore
ultramarino.
Lentezze e pesantezze della venuta del
Verbo in carne attraverso la materia
bruta da cui fiorirà la croce, anch’essa
colore di scoria, terrosa e insieme
gloriosa – il Cristo era ebreo – promessa
di forma nata dall’informe, di Parola
partorita dall’inarticolato, ancora semi
schiusa, prigioniera della lettera delle
Scritture, e tuttavia in procinto di venire
alla luce.
Poiché ecco che la materia si apre, e la fessura diventa
canale, estuario getto e il gioiello della luce può traboccare
nell’oceano d’oro.

Contrasto tra due purezze solidali, quella


oscura della terra e quella sfavillante dell’oro.
Quando furono
vicini al villaggio
dove erano diretti,
Egli fece come se
dovesse andare più
lontano.
Ma essi
insistettero:
“Resta con noi
perché si fa sera e
il giorno già volge
al declino”.
Egli entrò per
rimanere con loro.
L’accoglienza

Sulla soglia decisiva.


Sguardi ipnotizzati di
desiderio e di speranza
che cercano di
scongiurare l’imminente
separazione.
Gesti e posture che
insistono: facci la grazia
di restare.
Sanno già di essere
esauditi.
Profili di lanterna magica.
l’inviato come ombra
cinese, il suo corpo di
creta illuminata, corpo di
piombo eppure
inafferrabile, corpo
sinistro di ferito grave
appesantito di bende,
eppure vivace. Questo
ventoso non è un fantasma.
Ma custodisce un segreto.
La fenditura sotto il
braccio disegna una piega
sul fianco.
Apertura illuminata di una nostra casa,
nella pace e nella semplicità della sera.
Colui che è chiamato la Porta è pregato
di entrare, nuovo paradosso. Porta
aperta sul grande cielo ramato del
tramonto.

Noi siamo l’albergatore, oppure suo


figlio, oppure la serva; noi siamo
l’attesa e l’accoglienza di Dio. La
fruttiera, la porta e il pavimento
sono dei nostri giorni.
Siccome il racconto
delle Scritture
tace, lasciando in
bianco certi
momenti, il
racconto delle
figure prende
anch’esso la sua
pausa.
Preparativi
Successioni di istanti che aprono una
spiaggia di felice spensieratezza.
Intervallo, sovrapposizione di forme
geometriche nel racconto. Segno sul
gioco della dama, intarsio di gesti
che non meritano di essere descritti.
Solo evocati.
Pigolio di parole prive di
atteggiamenti mondani, parole che si
scambiano nella necessità. Non
scambi di idee. Balletto di gesti del
quotidiano, coreografia di faccende
domestiche, aurora boreale in cui
s’infrange un bagliore di speranza in
questo crepuscolo del giorno.
Sinfonia di losanghe incastonate che
vanno allargandosi partendo da un
punto nodale – il varco della soglia di
poco prima? – e gonfiando di
speranza, malgrado il fungo nero –
ricordo della morte recente? -…

…portati da una lama di fondo, un


movimento ascendente come quello
dell’appetito che viene.

Colore delle parole a fisarmonica


che viene detto al di là delle
parole, non per dire questo o
quello, ma per comunicare da
subito con la presenza dell’altro,
per celebrarla;
Le tinte dicono “sì” e le loro
sfumature dicono “ancora”;
luccichio di minuscole
felicità,
fiume di inezie che rotolano
verso l’estuario
della tavola imbandita.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la
benedizione, lo spezzò e lo diede loro.
La cena
Imprevisto connubio tra
famigliare e solenne,
come a Cana. I conviviali
sono troppo dignitosi
per un momento
qualsiasi. Traspare
sotto la banalità dei
gesti – sedersi e bere –
una liturgia.

A parte l’impronta cristica e la disposizione dei conviviali, il


dipinto è carico di mistero.
E ciò nonostante ben leggibile: è il momento della
benedizione, proprio quello dopo lo spazzare il pane.
Una zuppiera, i piatti,
il cestino del pane,
una bottiglia di acqua.
Circospezione del
pannello; ha
privilegiato la
comunione dei tre
compagni di viaggio:
bevono, pensano,
rendono grazie.

Un tavolo senza piedi - che tiene perfettamente -, le


sedie, la cui assenza passa inosservata. Un candelabro con
tre candele; gesti calati nel naturale domestico dimentico
di se stesso, solenni comunque, a modo loro.
Per l’uno il
prendere una
bottiglia vera, con
il collo, che si
impugna e si vuota
tra amici, riempie
una coppa, e con il
corpo
consenziente
protendersi,
accompagnare
questo gesto fino a
travasare se
stesso.
Per l’altro,
raccogliersi assopito,
intorpidito dal
cammino
chiacchierone, il
mento nel palmo,
avvolto in un manto di
ombra dolce, con le
gambe accavallate,
l’occhio vigile, ancora
sulle sue, lo sguardo
che cerca di
indovinare;
…raccolto senza
tensione, che alza
le mani al di sopra
di quel pane
raggiante, cullato su
quel tavolo
raggiante di blu,
reso fosforescente
dalla presenza
reale.
Momento di nebbia, ancora, sorpreso
al suo nascere il momento in cui sarà
poi indimenticabile, ricostruito nella
memoria da questo sacro attimo.
Era luminoso, non lo è ancora.
Né il pane condiviso non si
descrive ancora, né gli occhi di
Dio danno spettacolo. Sono
chiusi, rivolti verso l’alto, dal di
dentro.
Volto d’oltreforma, oltre lo
sfigurare della morte.
Ma sta cominciando a scomparire
perché sta cominciando ad essere
Lui – per – noi.
Allora si
aprirono loro
gli occhi e lo
riconobbero.

Ma Lui sparì
dalla loro
vista.
La scomparsa
L’essenziale è invisibile
agli occhi.
Il centro di questo
quadro non è nel
quadro. Il tavolo è
apparecchiato, il
mestolo è nella
zuppiera. La cena era
preparata per chi si
era messo a tavola:
non comincerà
neppure. Poiché è
scomparso ai loro
occhi, mentre faceva
un semplice segno.
Dunque era Lui, vivo.
Come potrebbero
ancora avere
appetito?
La scomparsa non
provoca la stessa
reazione nei due
discepoli.
Il primo, più
scattante, già in
partenza, si alza di
colpo,
appoggiandosi con
le mani piatte sul
tavolo, rovesciando
la sedia impagliata;
mentre il secondo
resta al proprio
posto, in
contemplazione,
calamitato dal
centro di quel
posto ormai vuoto.
L’illuminazione lo
immobilizza. E fa
sciogliere in lui
ogni resistenza. La
gioia lo inonda.

La tela è completa.
E’ solo il visibile che
vi è incorniciato.
E partirono
all’istante e
fecero
ritorno a
Gerusalemme.
Il varco
Resti di una cena
interrotta appena
cominciata. La sedia
rovesciata parla di
una partenza
frettolosa, le pieghe
dei tovaglioli
richiamano le mani
che li hanno stretti e
le bocche che sono
state asciugate. Non
c’è più nessuno, a
quanto pare.
Tu resti solo, qui
davanti,
spettatore in
ascolto di quel
rumore di
comunione che si
sente ancora,
mentre raccogli il
segno di una
scomparsa,
mentre forse
cerchi anche tu
l’illuminazione.
Ancora una volta la porta aperta.
Ora Colui che si fa chiamare

“Io – sono – la – porta”


ci invita a passare attraverso di
Lui.

“Lazzaro, esci fuori!”


I riflessi del tramonto hanno
ceduto di fronte alla notte
stellata, la tovaglia si è spenta,
come la fiamma nera delle candele;
le stoviglie, tuttavia, sono
irradiate da una luce venuta non si
sa da dove.
Colui che brilla per
mezzo della sua
assenza, dà senso
alla sua scomparsa e
al ritorno frettoloso
dei suoi discepoli a
Gerusalemme.

Colui che ha
minacciato di far
gridare i sassi fa
parlare gli oggetti.
Nella fedele
lentezza della loro
inerzia gli oggetti
inanimati parlano.
E i biancori
di una luna
piena,
nettamente
tagliati, li
seguono in
corteo.
Realizzazione a cura
dell’Idr:
Butti Maria Grazia

Santa Pasqua 2011

I dipinti sono di Arcabas


I testi di F. Boespflug
La traduzione di G. Zanchi

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