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Tacito, Annali, I, 6: Tiberio succede ad Augusto

Il primo atto del nuovo principato fu l'assassinio di Agrippa Postumo, che, ignaro e inerme, un
centurione, per quanto mentalmente determinato, uccise con difficoltà.
Di quel fatto Tiberio non riferì per nulla presso il senato: simulava ordini del padre con cui avrebbe
prescritto al tribuno addetto alla custodia di non esitare a mettere a morte Agrippa nel momento in
cui egli stesso avesse terminato l'ultimo giorno. Senza dubbio Augusto, esponendo molte e spietate
lamentele sulla condotta del giovane aveva fatto in modo che il suo esilio fosse sancito da una
decisione del senato: però non fu mai duro fino all'uccisione di nessuno dei suoi, né era credibile
che fosse stata arrecata la morte a un nipote in cambio della sicurezza di un figliastro.
(È) più vicino al vero che Tiberio e Livia, quello per paura, questa per l'odio da matrigna, abbiano
affrettato l'uccisione del giovane sospetto e malvisto.
Al centurione che riferiva, come (è) abitudine militare, che era stato fatto ciò che aveva comandato,
rispose che né lui l'aveva comandato e che bisognava rendere conto davanti al senato dell'accaduto.
Dopo che venne a sapere ciò Sallustio Crispo, partecipe dei segreti (aveva mandato lui l'ordine
scritto al tribuno), temendo di essere indicato come responsabile, essendo altrettanto pericoloso se
avesse dichiarato cose false oppure vere, ammonì Livia che non fossero divulgati i segreti della
famiglia, i consigli degli amici, i servizi dei soldati, e che Tiberio non indebolisse la forza del
principato presentando tutto al senato: la condizione del comandare è tale che i conti non tornano
altrimenti che se vengono resi a uno solo. Intanto a Roma si precipitavano a fare atto di servilismo
consoli, senatori, cavalieri. Quanto uno (era) più altolocato, tanto più falsi e affrettandosi e con
volto atteggiato per non sembrare lieti per la morte del principe né troppo tristi per la successione,
mescolavano lacrime gioia, lamenti adulazione. I consoli Sesto Pompeo e Sesto Appuleio per primi
giurarono fedeltà a Tiberio Cesare, e dopo di loro Seio Strabone e C. Turranio, quello prefetto delle
coorti pretorie, questo dell'annona; subito dopo il senato e l'esercito e il popolo. Infatti Tiberio
avviava tutte le iniziative attraverso i consoli, come se esistesse la vecchia repubbica e incerto se
assumere il potere […]. Le parole dell'editto furono poche e di contenuto assai moderato: avrebbe
provveduto alle onoranze del genitore e non intendeva allontanarsi dalla salma e tra le cariche
pubbliche questa sola si arrogava. Ma morto Augusto aveva dato la parola d'ordine alle coorti
pretorie come imperatore; sentinelle, armi, tutti gli altri segni di una corte; soldati lo
accompagnavano nel foro, soldati nella curia. Inviò agli eserciti dei dispacci come se avesse
ottenuto il principato, in nessuna situazione esitante se non quando parlava in senato. La causa
principale (derivava) dal timore che Germanico, nelle cui mani (c'erano) tante legioni, innumerevoli
truppe di alleati, uno straordinario favore presso il popolo, preferisse avere il potere piuttosto che
aspettarlo. Cercava di favorire anche l'opinione pubblica allo scopo di apparire come invitato e
scelto dallo stato piuttosto che essersi insinuato tramite la macchinazione di una moglie e
un'adozione da parte di un vecchio.

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