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ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI

Corso di laurea in

Scienze Storiche

ALLA RICERCA DEL DISSENSO CONTRO OTTAVIANO AUGUSTO

Tesi di laurea in

Epigrafia e Istituzioni Romane

Relatore: Prof.ssa FRANCESCA CENERINI

Correlatrice: Prof. ALESSANDRO CRISTOFORI

Presentata da: JACOPO SANTORO

Sessione

Seconda

Anno Accademico

2015/2016
-2-
Sommario

Introduzione………………………………………………………………………………………………….5

Capitolo I: Quinto Gallio e Salvidieno Rufo: due sacrifici sugli altari di accordi

politici?……………………………………......................................................................6

Capitolo II: Marco Emilio Lepido minore: un tentativo di restaurazione

repubblicana…………………………………………………………………………...28

Capitolo III: Gaio Cornelio Gallo: un altro sacrificio per l’equilibrio del neonato

principato………………………………………………………………………………38

Capitolo IV: Gaio Fannio Cepione e Murena: una vera congiura

“repubblicana”………………………………………………………………………...51

Capitolo V: Marco Egnazio Rufo: un senatore fastidioso…………………………..64

Capitolo VI: Giulia Maggiore è i problemi all’interno della domus di Augusto…..72

Capitolo VII: Gaio Cornelio Cinna: congiura o mito?...............................................86


Capitolo VIII: Brevi accenni sulle congiure minori…………………………………96

Conclusioni………………………………………………………………………100

Appendice delle fonti:…………………………………………………............106

Bibliografia……………………………………………………………………….183

-4-
Introduzione

Nel giorno tristissimo della sua dipartita, il 19 agosto del 14 d.C., narra Svetonio
che Augusto, sul letto di morte, ancora riusciva a preoccuparsi: chiedeva, infatti, se
all’eὅteὄὀὁ ἶella sua abitazione, saputo il suo stato terminale, stessero scoppiando tumulti
(Supremo die identidem exquirens, an iam de se tumultus foris esset, Svet. Aug. 99, 1).
La frase svetoniana rivela sottilmente l’appὄeὀὅiὁὀe mai placata di Augusto su
eventuali manovre eversive ἵὁὀtὄὁ la ὅua peὄὅὁὀa e ἵὁὀtὄὁ l’iὅtituὐiὁὀe ἶa egli
ὄappὄeὅeὀtata, il pὄiὀἵipatὁέ ἒel ὄeὅtὁ, ὀell’aὄἵὁ ἶei cinquantasette anni in cui egli era stato
protagonista della scena politica romana (43 a.C. – 14 d.C.), aveva subìto, stando alle fonti,
almeno otto tentativi di cospirazione (e se ne possono contare una trentina durante tutto
l’iὀteὄὁ peὄiὁἶὁ giuliὁ-claudio). In verità, come vedremo nel dettaglio, forse neanche la
metà di tali tentativi può considerarsi come reale minaccia alla persona e al potere di
Augusto. E tuttavia, lungi dal rendere più fragile la sua autorità, queste congiure, vere o
presunte, paradossalmente corroboreranno la capacità governativa del principe fino al
raggiungimento di quella pax sanguinosa di cui parla Tacito.
Scopo del presente lavoro sarà mostrare come il dissenso diventasse un essenziale
strumento di potere mediante i molteplici vantaggi che Augusto riusciva a conseguire
attraverso la soppressione di alcuni personaggi (scomodi o innocenti che fossero). Ogni
cospirazione, difatti, risultava essere un pretesto per meglio forgiare il suo potere con
provvedimenti istituzionali che, all’appaὄeὀὐa, si presentavano come necessari, una volta
sventate queste stesse cospirazioni. Soprattutto, questa indagine cercherà di scovare, tra le
pagine delle fonti letterarie – sovente rispettose dei diktat della propaganda augustea – quei
piccoli dettagli che potranno consentire l’appὄὁἶὁ a realtà storiche alternative rispetto a
quelle rappresentate.

-5-
Capitolo I

Quinto Gallio e Salvidieno Rufo: due sacrifici sugli altari di


accordi politici?

«(…) Ma è proprio vero che non c’è nulla di certo per gli uomini: fu accusato [Salvidieno] in senato
dallo stesso Ottaviano, fu ucciso come nemico di Ottaviano e del popolo»
(Dio. XLVIII 33, 2)

Uὀa pὄima miὀaἵἵia all’appeὀa veὀteὀὀe ἡttaviaὀὁ, iὀἵaὄὀaὐiὁὀe pὁlitiἵa e


ideologica di Cesare (e di questi diventato da poco erede, per testamento), potrebbe
considerarsi la vicenda che lo vede coinvolto insieme al pretore Quinto Gallio sul finire del
43 a.C.1

* Per la congiura di Quinto Gallio si veda l'appendice delle fonti da p. 107.


1
La collocazione cronologica è certa, perché sappiamo che iὀ ὃuell’aὀὀὁ ἣuiὀtὁ ἕalliὁ ὄiveὅtì la pὄetuὄa e ἵhe
ἡttaviaὀὁ fu peὄ la pὄima vὁlta ἵὁὀὅὁle, malgὄaἶὁ la giὁvaὀiὅὅima etὡέ ἥi puά aὀὐi fiὅὅaὄe l’epiὅὁἶiὁ ἵὁὀ
maggiὁὄ eὅatteὐὐa veὄὅὁ la fiὀe ἶell’eὅtate, giaἵἵhὧ il 1λ agὁὅtὁ ἶel ἂἁ aέἑέ ἡttaviaὀὁ ἵὁmpie la ὅua “maὄἵia
ὅu ἤὁma” e ὅi ὅpὁὅta a ἐὁlὁgὀa ὅὁlὁ alla fiὀe ἶi ὅettemἴὄe, ὄaggiungendo Antonio e Lepido. Pur sapendo che
ἡttaviaὀὁ tὁὄὀa ὀell’Uὄἴe a ἶiἵemἴὄe, è ἶiffiἵile ἵὁllὁἵaὄe la viἵeὀἶa ἵὁὅì taὄἶi ὀel ἂἁέ ἑὁme veἶὄemὁ, iὀfatti,
Ottaviano spedisce Gallio dal fratello, che in quel momento è con Antonio (almeno secondo la versione
appianea dei fatti). Siccome abbiamo notizia, nel mese di dicembre, della presenza di Antonio a Roma, pare
improbabile pensare a un allontanamento di Gallio in un posto che fosὅe l’Uὄἴe ὅteὅὅaμ è piὶ veὄὁὅimile
ritenere che emigrasse altrove, e prima del ritorno a Roma di Antonio (cioè non a dicembre). La richiesta del
pὄὁἵὁὀὅὁlatὁ ἶ’χfὄiἵa ἶi ἕalliὁ, ἵὁme ὅi aὀaliὐὐeὄὡ piὶ a fὁὀἶὁ ὀelle ὅegueὀti pagiὀe, è pὁi pὄeὅumiἴile ἵhe ὅi
ἵὁllὁἵhi alla fiὀe ἶell’eὅtate, peὄἵhὧ è iὀ ὃuei giὁὄὀi ἵhe ὅἵaἶeva il maὀἶatὁ ἶel gὁveὄὀatὁὄe pὄeἵeἶeὀteέ χltὄὁ
punto a favore per una sistemazione temporale che sia verso agosto-settembre è la promulgazione della lex
Pedia, che, come si vedrà nel dettaglio, può considerarsi come uno dei moventi dello scontro tra Gallio e
-6-
Alla domanda, legittima, sulla possibilità che questo episodio possa inquadrarsi
ἵὁme l’ultima ἵὁὅpiὄaὐione della repubblica o come la prima del principato, la risposta più
idonea non contempla, probabilmente, nessuna delle due alternative suddette2.
Non può infatti considerarsi strettamente come una macchinazione ai danni del
pὄiὀἵipatὁ, uὀ’iὅtituὐiὁὀe impensabile quantomeno prima di Azio: il titolo di princeps sarà
assunto da Ottaviano solamente un quindicennio più tardi e, del resto, la famiglia giulio-
claudia non si era ancora costituita, allora, come dinastia.
ἠὧ l’affaire di Quinto Gallio può delinearὅi ἵὁme l’ultima ἵὁὀgiuὄa ἶella
repubblica: gli accordi del triumvirato erano ormai prossimi e già da qualche tempo, sotto
l’egiἶa ἶi ἑeὅaὄe, l’eὅpeὄieὀὐa ὄepuἴἴliἵaὀa pὁteva ἶefiὀiὄὅi ὅulla via ἶel tramonto (gli
ultimi strenui difensori, Bruto e Cassio, sarebbero stati presto eliminati a Filippi, nel 42).
Peraltro, come vedremo, la presunta azione del pretore si configurava più come un
attaἵἵὁ peὄὅὁὀale al giὁvaὀe ἡttaviaὀὁ ἵhe all’iὅtituὐiὁὀe ἶa egli ὅteὅὅὁ iὀ ὃuel mὁmeὀtὁ
rappresentata, il consolato3. Si può affermare, pertanto, che questa ipotetica cospirazione di
Gallio vada ad incastrarsi nella complessa fase di transizione tra la repubblica e il
principato, nel clima contrastante e di certo non ancora definito delle guerre civili4.
Malgrado anche il tardo Giulio Ossequente (IV sec. d.C.) – come si vedrà con più
attenzione – nel suo equivoco di personaggi possa considerarsi una terza ed ulteriore
versione dei fatti, sono solamente due, e particolarmente esigue, le fonti che narrano
ἶell’eveὀtὁέ ϋ ἶue possono considerarsi le tradizioni sulla vicenda, indipendenti e opposte:
Appiano5 e Svetonio6έ Iὀ ὃueὅt’ultimὁ, pὁi, ἵὁὀfluiὅἵe uὀa teὄὐa veὄὅiὁὀe, aὅὅai ἵὁὀἵὁὄἶe

Ottaviano. Il giovane Cesare, in qualità di console, avrebbe sollecitato tale provvedimento legislativo appena
iὀὅeἶiatὁὅiμ ὀell’agὁὅtὁ ἶel ἂἁ, ἶuὀὃue, e ὀὁὀ a ἶiἵemἴὄeέ
2
Già I. COGITORE (La légitimité dynastique d’Auguste à Néron à l’épreuve des conspirations, Rome 2002,
p. 49) fa notare le diverse sfumature e le due interpretazioni possibili che questa cospirazione può assumere.
Illustra, anche, come il vocabolario della fonte latina e della fonte greca fosse quello consueto, usato
geὀeὄalmeὀte peὄ le ἵὁὅpiὄaὐiὁὀiμ “insidiari” eἶ “ π υ υ α ”έ
3
Nessuna fonte attribuisce a Gallio un progetto politico ben elaborato. F. ROHR VIO (Le voci del dissenso.
Ottaviano Augusto e i suoi oppositori, Padova 2000, p. 64, n. 154) fa notare che il verbo greco
tradizionalmente usato per le cospirazioni si riferisce di solito ad azioni prive di premeditazione.
4
Per questo periodo assai delicato cfr. R. CRISTOFOLI, Dopo Cesare. La scena politica romana
all’indomani del cesaricidio, Napoli 2002; L. CANFORA, La prima marcia su Roma, Bari-Roma 2007.
5
App. bell. civ. III 95, 394-395.
6
Svet. Aug. 27, 4.
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con quella appianea, che sembra risalga direttamente al polso di Augusto, alla sua
autobiografia7.
Le due fonti si diversificano sugli autori del perseguimento, sulle modalità del
perseguimento stesso, sulle responsabilità di Gallio e sulla sua morte (concordando, al
contrario, sulla carica di Gallio e sul momento storico della vicenda). In entrambe, tuttavia,
si può scorgere faziosità, pur se di segno opposto.
ἥvetὁὀiὁ eviἶeὀὐia l’iὀὅiἵuὄeὐὐa ἶi ἡttaviaὀὁ, il ὃuale ἵὁὀfὁὀἶe ἵὁὀ uὀ gladium8
quelle che invero erano due tavolette di cera tenute da Gallio sotto la toga, durante la solita
cerimonia di ossequio, la salutatio9. Sottoposto poi a tortura, pratica riservata agli schiavi,
lo fa assassinare, prima cavandogli gli occhi con le sue stesse mani10.
Uὀ’effeὄateὐὐa “tipiἵa” eἶ eὅaὅpeὄata, ὃueὅta ὀaὄὄata ἶa ἥvetὁὀiὁ, ἵὁὀὅiἶeὄaὀἶὁ ἵhe
egli dipende da una fonte anti-ottiavanea che strumentalizza la condotta, soprattutto pre-
aὐiaἵa, ἶel giὁvaὀe ἑeὅaὄeέ δ’utiliὐὐὁ ἶi uὀa fὁὀte avveὄὅa aἶ ἡttaviaὀὁ è palpaἴile ὃuaὀἶὁ

7
I. COGITORE (cit., p. 21) identifica questo scritto augusteo con il De vita sua, naturalmente perduto.
Svetonio scrive che Ottaviano edulcorò di suo pugno la vicenda, affermando ὀell’autobiografia che Gallio fu
obbligato a lasciare Roma, poi morto per via di un naufragio o per mano di briganti: quem tamen scribit
conloquio petito insidiatum sibi coniectumque a se in custodiam, deinde urbe interdicta dimissum, naufragio
vel latronum insidiis perisse (Aug. 27, 9). G. CRESCI (Profezie e congiure alla vigilia delle proscrizioni.
L’affaire di Quinto Gallio, iὀ “ἢigὀὁὄa amiἵitiae”, χἵiὄeale-Roma 2012, vol. III, p. 17) mette in relazione
questi imprecisati briganti con Sesto Pompeo, sebbene egli fosse allora praefectus classic et orae marittimae.
Ma prὁpὄiὁ ἢὁmpeὁ ὅaὄὡ pὄeὅtὁ pὄὁὅἵὄittὁ e ἶefiὀitὁ “piὄata”έ Augusto stesso scrive: mare pacavi a
praedonibus (cfr. Aug. RG 25, 1).
8
Nel novembre del 2015, in una conferenza a Grenoble, Romain Maillot ha esposto le sue ricerche
ὅull’utiliὐὐὁ ἶei vὁἵaἴὁli ἵhe ἶeὅigὀaὀὁ le aὄmi ἶelle ἵὁὅpiὄaὐiὁὀi, iὀ veὄitὡ ἵὁὀἵeὀtὄaὀἶὁὅi iὀ paὄtiἵὁlaὄ mὁἶὁ
sulle opere ciceroniane e sulla congiura di Catilina (dove ricorre il termine sica). Nonostante la chiara
ammissione di prudenza – ἶipeὀἶeὀἶὁ l’uὅὁ ὅpeἵifiἵὁ ἶi uὀa paὄὁla ἶal ἵὁὀteὅtὁ, eἶ eὅὅeὀἶὁ ὁgὀi ὅiὀgὁla
congiura un fatto a sé stante – Maillot parla del gladius come di uno strumento appartenente, più di altre armi,
a una dimensione conforme al mos maiorum, anche in quanto arma del soldato romano: egli pensa, dunque,
che il gladius ὅia ὅtatὁ utiliὐὐatὁ ὀel ἵeὅaὄiἵiἶiὁ ἶelle Iἶi ἶi maὄὐὁ e ἵhe pὄὁἴaἴilmeὀte ὅia l’ὁggettὁ aἶὁpeὄatὁ
iὀ tutte ὃuelle ἵὁὀgiuὄe ἶalle tiὀte “ὄepuἴἴliἵaὀe”έ ἠella ἴὄeve ἶeὅἵὄiὐiὁὀe ἶell’iὀἵὁὀtὄὁ tὄa ἕalliὁ ed
Ottaviano, si può pertanto ritenere come non casuale la scelta svetoniana del vocabolo gladius: sebbene la
presunta azione del pretore, come visto, a nostro avviso non può connotarsi come gesto di ampio respiro
repubblicano, è chiara la vicinanza temporale con le Idi di marzo del 44 a.C., per di più in un frangente in cui
gli ultimi sostenitori delle istanze repubblicane non erano ancora stati eliminati.
9
In officio salutationis tabellas duplices veste tectas tenentem, suspicatus gladium occulere (Svet. Aug. 27,
4). Il possesso di tavolette scrittorie rimanda alla funzione di pretore di Gallio. Anche la successiva
espressione e tribunali ἶi ἥvetὁὀiὁ alluἶe all’attivitὡ ἶi magiὅtὄatὁ ἶel pὄeὅuὀtὁ ἵὁὀgiuὄatὁέ ἥeἵὁὀἶὁ T. R. S.
BROUGHTON (Magistrates of Roman Republic, II, p. 338) ἕalliὁ ὄiveὅtiva la pὄetuὄa “peὄegὄiὀa”μ è difficile
ἶiὄlὁ leggeὀἶὁ χppiaὀὁ peὄἵhὧ egli uὅa uὀ’eὅpὄeὅὅiὁὀe ὅὁlita, π α α, per identificare in
generale quella magistratura (Cfr. H. J. MASON, Greek Terms for Roman Institutions, Toronto 1974, p. 86 e
p. 159).
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si insinua che «non osò farlo frugare sul momento, peὄ timὁὄe ἵhe ὅi tὄὁvaὅὅe tutt’altὄa
cosa»11μ ὅi ὅὁttὁliὀea, ἵiὁè, ἵhe il giὁvaὀe ἑeὅaὄe ὄiἵὁὀὁὅἵe l’iὀfὁὀἶateὐὐa e la pὄeteὅtuὁὅitὡ
della sua accusa e che non osa incolpare il pretore a vuoto; permetterà dunque a Gallio,
verosimilmente innocente, di tornare in tribunale, per arrestarlo solo nei pressi di quel
luogo.
Una crudelitas, comunque, che nella pagina svetoniana mostra la vicenda come una
specie di ritorsione privata di Ottaviano e che si addice al clima innegabilmente violento di
quegli anni, delicati per il cambiamento di regime12. È il trionfo del non mos, non ius con
cui Tacito aveva saggiamente etichettato il clima delle guerre civili13.
ἠel teὅtὁ appiaὀeὁ, e ὀella veὄὅiὁὀe “auguὅtea” ὄifeὄita ἶa ἥvetὁὀiὁ, ὅemἴὄa iὀveἵe
strumentalizzato un sentimento opposto di Ottaviano: la sua clementia. Il giovane Cesare
consente infatti a Gallio di recarsi dal fratello: il congiurato scompare dopo un viaggio per
mare, così rinviando probabilmente a un naufragio presente nel De vita sua.
Ottaviano, stavolta, è defilato, e il suo ruolo sulla morte di Gallio è nascosto: nel
coinvolgimento dei pretori, in quello del popolo che gli saccheggia la casa e in quello del
ὅeὀatὁ ἵhe lὁ ἵὁὀἶaὀὀa a mὁὄte, ὅi eὅalta l’uὀaὀimitὡ ἶel ἵὁὀὅeὀὅὁ ὀei ἵὁὀfὄὁὀti ἶi
Ottaviano e la sua responsabilità pressoché nulla nel perseguimento di Gallio14.

10
Paulo post per centuriones et milites raptum e tribunali servilem in modum torsi tac fatentem nihil iussit
occidi, prius oculis eius sua manu effossis (Svet. Aug. 27, 4).
11
Nec quicquam statim, ne aliud inveniretur, ausus inquirere (Svet. Aug. 27, 4).
12
Così anche I. COGITORE (cit., p. 50). Secondo R. A. BAUMAN (The Crimen Maiestatis in the Roman
Republic and Augustan Principate, Johannesburg 1967, pέ 1ἅη) l’aὄὄeὅtὁ di un pretore era un fatto eclatante, e
così un tale perseguimento: la propaganda anti-ottiavanea aveva dunque colto la palla al balzo per accentuare
l’atteggiameὀtὁ impὄὁpὄiὁ ἶel giὁvaὀe Cesare. δ’epiὅὁἶiὁ ἶi ἣuiὀtὁ ἕalliὁ ὅi iὀὅeὄiὅἵe iὀ uὀa pagiὀa
svetoniana che si apre col tema delle proscrizioni e che è pregna di altri episodi di crudeltà ingiustificata: così
si narra che un certo Pinario, cavaliere romano, era stato ammazzato seduta stante perché ritenuto una spia,
mentre appuntava furtivamente qualcosa; o si accenna a Tedio Afro, allora console, gettatosi nel vuoto perché
χuguὅtὁ l’aveva peὅaὀtemeὀte miὀaἵἵiatὁ ἶὁpὁ aveὄ ὄiἵevutὁ ἶa lui paὄὁle ἶi ἴiaὅimὁ: Nam Pinarium
equitem R., cum contionante se, admissa turba paganorum, apud milites subscribere quaedam
animadvertisset, curiosum ac speculatorem ratus coram confodi imperavit; et Tedium Afrum consulem
designatum, quia factum quoddam suum maligno sermone sarpsisset, tantis conterruit minis, ut is se
praecipitaverit (Svet. Aug. 29, 3).
13
Tac. Ann. 2, 28, 1. «Uὀ pὄetὁὄe ὀel ἵὁὄὅὁ ἶell’eὅpletameὀtὁ ἶel ὅuὁ uffiἵiὁ iὀ tὄiἴuὀale (ἵiὁè il maὅὅimὁ
ἶell’eὅpὄeὅὅiὁὀe ἶel ἶiὄittὁ) veὄὄeἴἴe iὀἶeἴitameὀte aὄὄeὅtatὁ ἶa ὅὁlἶati (ἵiὁè il maὅὅimὁ ἶell’espressione della
forza», così sintetizza il tutto G. CRESCI (cit., p. 16). Sulla crudeltà di Ottaviano e sui suoi risvolti in
tribunale v. R. A. BAUMAN, Hangman, call a Halt!, iὀ “ώeὄmeὅ” 11ί, 1982, 102-111 (il caso di Gallio a p.
105).
14
In altre occasioni Ottaviano aveva riconsegnato ad Antonio suoi sostenitori, come Decio, Ventidio o Crasso
(cfr. F. ROHR VIO, Contro il principe. Congiure e dissenso nella Roma di Augusto, Bologna 2011, pp. 20-
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Appiano è fondamentale per due indizi di cui la pagina svetoniana è priva15.
Anzitutto segnala un fratello di Gallio, Marco, che era con Antonio e che Gallio avrebbe
dovuto raggiungere dopo la scoperta della congiura16ν uὀ’iὀfὁὄmaὐione piuttosto precisa
ἵhe fa iὀteὀἶeὄe ἵὁme χppiaὀὁ ἶipeὀἶeὅὅe ἶa uὀa fὁὀte “aὀtὁὀiaὀa”έ χἵἵeὀὀa pὁi aὀἵhe aἶ
uὀa ὄiἵhieὅta ἶi ἕalliὁ aἶ ἡttaviaὀὁ peὄ l’ὁtteὀimeὀtὁ ἶel pὄὁἵὁὀὅὁlatὁ ἶ’χfὄiἵa17. Proprio
il ὄifiutὁ ἶi ὃueὅt’ultima ἵὁὀἵeὅὅiὁὀe avὄeἴἴe ὅuὅἵitatὁ l’aggὄeὅὅiὁὀe al ἵὁὀὅὁle18.
Il ἶiὀiegὁ ἶi ἡttaviaὀὁ pὁtὄeἴἴe mὁtivaὄὅi ἵὁὀ l’iἶea ἵhe ἡttaviaὀὁ ὅteὅὅὁ fὁὅὅe, iὀ
ὃuel fὄaὀgeὀte, iὀteὄeὅὅatὁ alla pὄὁviὀἵia ἶ’χfὄiἵaέ ϋ ἕalliὁ, ὄappὄeὅeὀtaὀἶὁ uὀa miὀaἵἵia
ai suoi progetti, sarebbe stato per questa ragione eliminato. Del resto poco dopo, con la lex
Titia che sanciva il secondo triumvirato, nel 43 a.C., a Ottaviano venivano assegnate
effettivameὀte l’χfὄiἵa ἠὁva e l’χfὄiἵa Vetuὅέ
ἒi fὁὀἶameὀtale impὁὄtaὀὐa, iὀ ὃueὅtὁ ἶeteὄmiὀatὁ peὄiὁἶὁ ὅtὁὄiἵὁ e ὀell’ὁttiἵa
ἶell’iὀteὄa viἵeὀἶa ἶi ἕalliὁ, fu la pὄὁmulgaὐiὁὀe ἶella Lex Pedia de interfectoribus
Caesaris ad opera di Ottaviano e di Quinto Pedio, console e peraltro cugino dello stesso

21). La stessa Rohr Vio crede che il caso-Gallio, quale exemplum di crudelitas o di clementia in base allo
scritto svetoniano o in base a quello appianeo/“auguὅteὁ”, fosse un argomento preminente nelle scuole di
retorica: qui gli allievi si esercitavano sostenendo una causa o il suo contrario, scegliendo eventi da un
repertorio di fatti noti, che naturalmente si prestavano a una duplice interpretazione.
15
Maggiori dettagli che fanno pensare, secondo I. COGITORE (cit., p. 28), a un utilizzo di fonti ufficiali da
parte di Appiano.
16
αῖ αῖ α Γ , φ υ Γα υ υ Ἀ ῳ,
π α α , α α πα α α α α , α υ
π υ α α α : α α α α π ῖ α , ᾽ α πα
, υ α α . αῖ α φ υ ῖ , α ῖ
π α φα α (App. bel. civ. III 95, 394-395). Questa informazione appianea, il richiamo al
fὄatellὁ ἶi ἕalliὁ, paὄe iἶὁὀea peὄ ὅἵὄeἶitaὄe il “ἵὁὀgiuὄatὁ”, aὅὅὁἵiaὀἶὁlὁ all’altὄὁ ὅἵhieὄameὀtὁ pὁlitiἵὁ
capeggiato da Antonio. Non è, pertanto, un richiamo che alluda ad una matrice antoniana dell’aὐiὁὀe ἶi
Gallio. Così F. ROHR VIO, cit., 2011, p. 26.
17
Questo particolare era stato forse taciuto da Svetonio, nella sua ottica anti-ottiavanea, perché sarebbe stato
penalizzante per Gallio e avrebbe giustificato il comportamento di Ottaviano. Si veda F. ROHR VIO, cit.,
2011, p. 62.
18
Il mandato del pὄὁἵὁὀὅὁlatὁ ἶ’Africa, aὅὅegὀatὁ ὀell’autuὀὀὁ ἶel ἂἂ, sarebbe scaduto a breve, e la richiesta
ἶi ἕalliὁ ὅaὄeἴἴe peὄtaὀtὁ ἵὁὀgὄua iὀ ἵὁὀὅiἶeὄaὐiὁὀe ἶel peὄiὁἶὁ (ὅi è ὀell’agὁὅtὁ-settembre del 43 a.C., come
detto). Peraltro era abituale, in quel momento per un pretore, ambire a una carica che fosse il governatorato di
una provincia: basta confrontare il cursus honorum di altri pretori aiutati da Antonio in questa ascesa. Era
abituale anche la richiesta al console in carica: nel 44 a.C. i sorteggi erano stati presieduti da Antonio, allora
console, e questi aveva agito extra legem, assecondando le varie ὄiἵhieὅteέ δa geὅtiὁὀe ἶell’χfὄiἵa iὀ ὃuel
determinato periodo era peraltro una funzione ambita, essendo quelle zone teatro dello scontro tra
repubblicani e cesariani: una posizione strategica, dunque, sempre fornita di legioni esperte sul territorio. Cfr.
F. ROHR VIO, cit., 2011, p. 19.
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erede di Cesare19: i due si erano appena insediati come coppia consolare, in quell’agὁὅtὁ ἶel
43.
δa legge puὀiva ἵὁὀ l’eὅiliὁ e ἵὁὀ la ἵὁὀfiὅἵa ἶel patὄimὁὀiὁ ἵὁlὁὄὁ ἵhe iὀ ὃualἵhe
modo erano stati responsabili in prima persona del cesaricidio: in sostanza, nelle liste di
proscrizione, si stabilivano i nomi e le pene che questi personaggi avrebbero dovuto subire.
La legge era emblema del periodo assai caotico e turbolento, nel quale si
moltiplicavano le denunce, spesso per piaggeria, o le vendette private20. Come fa notare
giustamente la Rohr Vio, si trattava di una mossa dal profondo significato politico: un
primo colpo per affievolire le resistenze repubblicane e al contrario per corroborare il
gruppo degli eredi politici cesariani; il tutto sancito dal triumvirato stipulato poco tempo
dopo21.
Il collegio pretorio del 43 a.C. fu teatro di scontri pesantissimi: se si conta anche
Gallio, morirono ben sei pretori in pochi mesi, soprattutto per via delle proscrizioni22.
Cesare, in nome della sua proverbiale clementia e in nome di una integrazione e di un
amalgama a Roma tra le varie fazioni del tempo, aveva allargato tale magistratura a sedici
membri, dei quali metà scelta da se stesso e metà eletta secondo i metodi tradizionali:
questo plasmava un collegio assai vario ed eterogeneo, composto da personaggi che in quel
momento militavano in schieramenti politici spesso opposti.
Così, in quel fatidico 43 a.C., tra i pretori si potevano trovare repubblicani,
“aὀtὁὀiaὀi” e uὁmiὀi ἶi ἡttaviaὀὁ, malgὄaἶὁ pὄὁpὄiὁ iὀ ὃuell’aὀὀὁ ἑeὅaὄe aveὅὅe ὅἵeltὁ
tutti e sedici i membri in vista della sua assenza ἶall’Uὄἴe peὄ l’impὄeὅa paὄtiἵa23.
È comunque presumibile che lo scontro tra Gallio e Ottaviano avvenisse anche per
le discussioni che questa controversa lex Pedia aveva suscitato. Il pretore forse si prodigava

19
Le fonti che trattano di questa legge: Aug. RG 2,1; Liv. per. 120; Vell. II, 69, 5; Svet. Nero 3,1; Galb. 3, 2;
Plut. Brut. 27, 4; App. bel. civ. 3, 95, 392; Dio. 46, 48, 3.
20
Vedi G. CRESCI, cit., p. 22. Un periodo definito come “meὄἵatὁ” ἶelle pὄὁὅἵὄiὐiὁὀiέ ἑfὄ. F. DE
MARTINO, Sugli aspetti giuridici del triumvirato, in A. Gara – D. Faraboschi (a cura di), Il triumvirato
costituente, Como 1993, pp. 67-83.
21
Cfr. F. ROHR VIO, cit., 2011, p. 17.
22
Il pretore urbano Marco Cecilio Cornuto si suicida quando Ottaviano è alle porte dell’Uὄἴe (χppέ bel. civ.
3, 92, 381). Vittime delle proscrizioni saranno anche Manlio Aquilio Crasso, Minucio Rufo, Lucio Villio
χὀὀale e δuἵiὁ ἢlὁὐiὁ ἢlaὀἵὁ, ὃueὅt’ultimὁ ἵὁὀἶaὀὀatὁ iὀὅpiegaἴilmeὀte ἵὁὀὅiἶeὄaὀἶὁ aὀἵhe la militaὀὐa
cesariana (Vell. II, 67, 3-ἂ)έ ἥu uὀ’aὀaliὅi approfondita dei pretori del 43 si veἶa l’atteὀtiὅὅimὁ ὅtuἶiὁ ἶi G.
CRESCI, cit., pp. 18-21.
- 11 -
peὄ uὀ’aὅὅὁluὐiὁὀe ἶegli imputati, alἵuὀi ἶei quali dovevano essere suoi sodali. Tutta la
vicenda che coinvolgeva Gallio, seguendo Bauman, sarebbe stata anzi un alibi per
estendere la lex Pedia a “quo quis magistratibus populi Romani occidatur”μ ὀὁὀ limitaὀἶὁ
cioè la sua forza legislativa solamente a coloro che avevano ucciso Cesare24.
È nella narrazione di questi drammatici eventi che subentra quella che può
ἵὁὀὅiἶeὄaὄὅi la teὄὐa fὁὀte ὅull’affaire Gallio, Giulio Ossequente. Dopo una serie di fatti
anomali, caratteristici della cronaca del suo Liber prodigiorum, Ossequente parla della
ὄimὁὐiὁὀe ἶi uὀ pὄetὁὄe aἶ ὁpeὄa ἶel ὅuὁ ἵὁllega ἢuἴliὁ ἦiὐiὁ, ὃueὅt’ultimὁ mὁὄtὁ eὀtὄὁ
l’aὀὀὁ pὄὁpὄiὁ a ἵauὅa ἶella ὄimὁὐiὁὀe ἶel ἵὁllega, viὅta ἵὁme uὀ attὁ ὅaἵὄilegὁ25.
Il racconto è tanto analogo a quello che della stessa vicenda fa Cassio Dione26, e
non solo da un punto di vista cronologico (la deposizione del collega si colloca nel 43 e la
mὁὄte ἶi ἦiὐiὁ ὀell’aὀὀὁ ὅegueὀte)μ ὃuesto ha fatto pensare che entrambi dipendano da un
libro perduto di Livio, il CCXIV27.
Su un dettaglio non trascurabile, tuttavia, differiscono: la carica rivestita da Tizio è
per Ossequente le pretura, come detto, mentre per lo storico severiano (che specifica anche
il ὀὁme ἶell’uὁmὁ ἶepὁὅtὁ, ἢuἴliὁ ἥeὄviliὁ ἑaὅἵa, pὄimὁ a ἵὁlpiὄe ἑeὅaὄe tὄa i congiurati) è
il tribunato della plebe: rimosso dalla carica, quando era comunque già fuggito da Roma
all’aὄὄivὁ ἶi ἡttaviaὀὁ, ἑaὅἵa eὄa ὅtatὁ ἵὁὀἶaὀὀatὁ peὄ ἵὁὀtumaἵia peὄ via ἶella ὅteὅὅa lex
Pedia.

23
Cfr. G. CRESCI, cit., p. 20.
24
Cfr. R. A. BAUMAN, cit., pp. 173-177.
25
Notatum est prodigii loco fuisse, quod P. Titius praetor propter dissensiones collegae magistratum
abrogavit, et ante annum est mortuus; constat neminem qui magistratum collegae abstulerat annum vixisse.
Abrogaverunt autem hi: Lucius Iunius Brutus consul Tarquinio Collatino, Tib. Gracchus M. Octavio, C.
Cinna tr. pl. C. Marcullo et L. Flavo. (Obsq., 70, 9-15). Non è chiaro come fosse possibile rimuovere un
pretore dal suo incarico. Ossequente elenca anche precedenti analoghi in cui la rimozione del collega era stata
punita dalla divinità con la morte. Tizio sarà anche il proponente del secondo triumvirato, sugellato dalla
cosiddetta lex Titia il 27 novembre del 43 a.C. (Aug. RG 1, 4; Dio XLVII 2, 1).
26
ῖ πα α α π υ α : α π π π
π α α α α π π α π α ῖ , α πα π α π
α πα , π υ π υπ υ υ υ α , α . π
α , α π α υ : ῖ
υ υ α α α α π α , π α υ α απα
παπ α , Γ π Ὀ α υ υ α α π φ , α υ
α Φ υ πα α α π φ (46, 49, 1-2).
27
ἥull’iὀteὄa ὃueὅtiὁὀe ἶi ἕiuliὁ ἡὅὅeὃueὀte e ἶelle ὅue ἵὁὀὀeὅὅiὁὀi ἵὁὀ ἣuiὀtὁ ἕalliὁ ὅi veἶa pὄὁpὄiὁ lo
studio approfondito di G. CRESCI, cit., soprattutto p. 17.
- 12 -
Sapendo però con certezza che Tizio fosse un pretore, e non un tribuno della plebe,
è chiaro che Ossequente commetta un equivoco e scambi lo stesso Tizio per Gallio: si
tratta, dunque, «della sovrapposizione, o forse della ibridazione tra le due irrituali
deposizioni magistratuali, occorse nel medesimo anno, anzi nello stesso arco di tre mesi»28.
δ’ὁmiὅὅiὁὀe ἶel ὀὁme ἶel ἵὁllega ὄimὁὅὅὁ ἶall’iὀἵaὄiἵὁ, iὀ uὀ ἵὁὀteὅtὁ iὀ ἵui ἡὅὅeὃueὀte è
invece prodigo di informazioni sugli altri magistrati, è nondimeno indicativa per ritenere
che egli commetta un errore.
Quello che fu dunque un normale incontro tὄa il ἵapὁ ἶell’eὅeἵutivὁ (Ottaviano) e
uὀὁ ἶei ὄeὅpὁὀὅaἴili ἶell’attivitὡ giuἶiὐiaὄia (lo pseudo-Tizio, ma in verità Quinto Gallio) si
trasforma in un vero e proprio scontro politico-istituzionale: Gallio, in cambio
dell’appὁggiὁ pὁlitiἵὁ aἶ ἡttaviaὀὁ, ὄeἵlama il pὄὁἵὁὀὅὁlatὁ ἶ’χfὄiἵa, miὀaἵἵiaὀἶὁ
altὄimeὀti ἶi ὄimaὀeὄe ὅu pὁὅiὐiὁὀi ἵὁὀtὄaὄie all’aἶempimeὀtὁ geὀeὄale ἶella lex Pedia,
proteggendo amici che ne sarebbero stati colpiti.
In un quadro ora così ampio, allargato anche dalla fortuita testimonianza di
Ossequente, è chiaro che il caso di Gallio non possa etichettarsi come atto di cospirazione
nei confronti del giovane Cesare. Può anzi definirsi come il primo caso in cui la propaganda
augustea, in assenza di un reale attentato ai danni di Ottaviano, abbia agito architettando
uὀ’ipὁteὅi ἶi ἵὁὀgiuὄa peὄ ἵὁpὄiὄe l’elimiὀaὐiὁὀe ἶi uὀ peὄὅὁὀaggiὁ ἵhe ὅi eὄa ὄivelatὁ
scomodo, estromettendolo dalla scena politica in modo legittimo. È il dissenso, vero o
presunto, che si converte in strumento di governo29.
Contestualizzando meglio il personaggio30, si può notare come, a nostro avviso, la
scomparsa di Gallio possa altresì qualificarsi come un sacrificio necessario per il
ἵὁmpimeὀtὁ ἶi uὀ’alleaὀὐa pὁlitiἵa ἶi ἵὄuἵiale impὁὄtaὀὐa, il secondo triumvirato.
ἒi ἕalliὁ ἵ’è tὄaἵἵia, ὁltὄe ἵhe ὀelle pagiὀe ὅuἶἶette ἶi ἥvetὁὀiὁ e ἶi χppiaὀὁ,
ὀell’epiὅtὁlaὄiὁ ἶi ἑiἵeὄὁὀe, iὀ ἵui ἵὁmpaὄe iὀ ὃualitὡ ἶi ὃueὅtὁὄe ὁ legatὁ, iὀ ἑiliἵia, ὀel

28
Cfr. G. CRESCI, cit., p. 19.
29
Così la chiusa finale di F. ROHR VIO, cit., 2011, p. 21.
30
Per qualche nozione su Gallio cfr. M. H. DETTENHOFER, Perdita Iuventus, Zwischen Generationen von
Caesar und Augustus, Munchen 1992, p. 21, n. 46; D. R. SHACKLETON BAILEY, Two Studies in Roman
Nomenclature, Atlanta 1991, pp. 62-63; T. R. S. BROUGHTON, The Magistrates cit., 3 Suppl., Atlanta,
1986, pp. 88-89; P. GATTAROLA, I cesariani dalle Idi di marzo alla costituzione del secondo triumvirato,
Torino 1990, p. 202: qui Gallio è però stranamente presentato come ex-pretore nel momento della congiura.
- 13 -
47-46 a.C.31 Sappiamo da Appiano, come già visto, che il fratello Marco, pretore nel 44,
fosse un uomo di Antonio, al fianco del quale pare avesse combattuto a Modena32.
Marco, ufficiale di Cesare nel 47 a.C. e responsabile di un trasferimento di truppe in
Sicilia, è menzionato ancora da Cicerone (Phil., 3, 26) in coppia con Tito Annio Cimbro, in
uὀa pagiὀa iὀ ἵui l’ὁὄatὁὄe è ὅaὄἵaὅtiἵὁ ὅulla paὅὅata ἵὁὀἶὁtta ἶi ὃueὅti ἶue peὄὅὁὀaggiμ
Annio è definito philadelphus per antifrasi, essendosi macchiato di fratricidio, mentre
Marco è appellato innocens; è verosimile che il fratello di Quinto Gallio non fosse stato in
passato un uomo tanto inoffensivo e avesse commesso crimini piuttosto gravosi.
Lo stesso Marco adotterà Tiberio, anni più tardi, ma il futuro imperatore, pur
aἵἵettaὀἶὁὀe l’aἶὁὐiὁὀe, ὄifiuteὄὡ ἶi aὅὅumere il nome di un personaggio che comunque
aveva aderito, in passato, alla fazione opposta rispetto a quella ottavianea33. Fu
probabilmente padre di entrambi, cioè di Quinto e Marco, un altro Quinto Gallio (dunque
omonimo del figlio), pretore nel 6534.
Per quanto i membri della stessa famiglia militassero talvolta in campi contrapposti,
è verosimile che Quinto Gallio simpatizzasse per il medesimo schieramento del fratello
εaὄἵὁ, ὃuellὁ aὀtὁὀiaὀὁν ὀὁὀ ὅi ὅpiegheὄeἴἴe altὄimeὀti la ὀὁtiὐia appiaὀea ἶell’iὀviὁ del
ἵὁὀgiuὄatὁ ἶa εaὄἵὁ ὅteὅὅὁέ ἑὁὅì ὅull’elimiὀaὐiὁὀe ἶi uὀ uὁmὁ aἴἴaὅtaὀὐa viἵiὀὁ aἶ
χὀtὁὀiὁ e ἶi ἵeὄtὁ ὅgὄaἶitὁ aἶ ἡttaviaὀὁ (peὄ l’iὀteὄeὅὅe al pὄὁἵὁὀὅὁlatὁ ἶ’χfὄiἵa e peὄ via
della strenua opposizione a un adempimento rigoroso della lex Pedia), Antonio chiudeva un

31
Cic. fam. 13, 43-44. R. SYME (Roman Papers, vol. II, p. 133) pensa che fu scelto come corrispondente di
Cicerone.
32
Cfr. Cic. (Att. XI, 20, 2); R. E. n. 5. Si veda anche T. P. WISEMAN, New Men in the Roman Senate. 139
B.C. – 14 A.D., London 1971, p. 233). I. COGITORE (cit., p. 49) smonta giustamente una tesi di Schakleton
Bailey, presente nella sua edizione della corrispondenza di Cicerone (vol. IV, Cambridge 1968, p. 207),
secondo cui un certo Gallio sarebbe un personaggio per il quale Q. Axius avrebbe richiesto del denaro (Cic.
Att. 10, 15, databile al 10 maggio 49 a.C.). Per lo studioso inglese, Quinto Gallio (e non il fratello Marco, a
giudicare dal praenomen) sarebbe un figlio adottivo di questo Q. Axius. Ma la Cogitore fa notare come sia
strano che Cicerone, nelle lettere successive databili al 47-46, continui a chiamarlo Q. Gallio invece di dargli
il nomen, χxiuὅ, ἵhe l’aἶὁὐione avrebbe dovuto conferirgli.
33
Svet. Tib. 6, 4: post reditum in urbem a M. Gallio senatore testamento adoptatus hereditate adita mox
nomine abstinuit, quod Gallius adversarum Augusto partium fuerat.
34
Cfr. G. V. SUMMER, The lex annalis under Caesar, Phoenix 1971, pp. 366-367. Per ogni
approfondimento prosopografico si rimanda alla scrupolosa analisi di E. DENIAUX (Clientèles et pouvoir à
l’époque de Cicéron, Rome 1993, pp. 410-411), la quale crede che questo Quinto Gallio, pretore del 65, fosse
stato difeso da Cicerone in un processo. Era un uomo novus secondo T. P. WISEMAN, cit., n. 192, p. 233.
- 14 -
occhio al fine di un sereno raggiungimento degli accordi di Bologna, sanciti appena dopo
questi eventi.
Tali accordi avrebbero portato il 27 novembre del 43 a.C. (al secondo triumvirato, al
quale, benché defilato, partecipava anche Lepido). Lo stesso Appiano parla della vicenda di
Gallio appena prima di narrare della riconciliazione tra Ottaviano ed Antonio, allo scopo di
combattere congiuntamente Bruto e Cassio35.
Come fa notare la Cogitore36, l’elimiὀaὐiὁὀe ἶi ἕalliὁ, fὄatellὁ ἶi ὃuel εaὄἵὁ ἵhe
eὄa uὀ feἶeliὅὅimὁ ἶi χὀtὁὀiὁ, iὀἶeἴὁliva il paὄtitὁ “aὀtὁὀiaὀὁ” e pὁὄtava il ὅeὀatὁ a
prendere una posizione, mentre Ottaviano incominciava a tracciare il suo cammino verso il
potere marcando uὀ pὄeἵiὅὁ puὀtὁμ l’iὀiὐiὁ ἶelle ὁὅtilitὡ, aὀἵhe ὅaὀguiὀὁὅeέ
È vero che con gli accordi di Bologna, col triumvirato, si saldava un
riavvicinamento tra gli uomini politici più importanti del tempo, ma quella
riappacificazione era solo un modo per celare e procrastinare le discordie che tra di loro già
si insinuavano, e che sarebbero state palesi una dozzina di anni dopo, con le lotte intestine
conclusesi ad Azio. La testa di Gallio, comunque personaggio di poco peso, era una specie
ἶi “favὁὄe” ἵhieὅtὁ ἶa ἡttaviaὀὁ aἶ χὀtὁὀiὁ ὅul tavὁlὁ ἶelle tὄattative ἶella lὁὄὁ
riconciliazione. Una soppressione che, a nostro parere, richiama da vicino un altro
sacrificio consumatosi, stavolta a parti invertite, tre anni dopo: quello di Salvidieno Rufo.

35
π α αῖ α π Ἀ α ,πυ α ῖ φ
υ α α , α π᾽ α Ἀ υ, π π Ἰ α
α υ , πα υ π : α π α α π
υ υ α απ υ υ υ α α α π ῳ α Ἀ ῳ. App. bel. civ. III, 96.
36
I. COGITORE, cit., pp. 51-52 e anche p. 61.
- 15 -
Sul personaggio di Quinto Salvidieno Rufo Salvio siamo infinitamente più informati
ὄiὅpettὁ a ἣuiὀtὁ ἕalliὁέ ϋ, a ἶiffeὄeὀὐa ἶel ἵaὅὁ ἶi ὃueὅt’ultimὁ, piὶ ὀumeὄὁὅe e pὄὁἶighe
di dettagli sono le fonti che narrano, stavolta concordemente, della sua presunta congiura37.
Tra quel 43 e il 40 a.C. si erano verificati alcuni eventi assai rilevanti: anzitutto,
l’elimiὀaὐiὁὀe ἶi ἐὄutὁ e ἑaὅὅiὁ a ἔilippi, iὀ εaἵeἶὁὀiaν pὁἵὁ ἶὁpὁ, eὄa iὀἵὁmiὀἵiata la
breve lotta tra Ottaviano e Lucio Antonio, fratello del triumviro, costretto alla resa a
Perugia38. Al termine di questi fatti, sul finire del 40, Ottaviano ed Antonio si erano
incontrati a Brindisi per ridefinire la loro alleanza e dunque le loro reciproche sfere di
influenza.
È proprio in occasione di questo colloquio che Antonio aveva segnalato ad
Ottaviano il pericolo costituito da Salvidieὀὁ, iὀteὀὐiὁὀatὁ a ἶefeὐiὁὀaὄe ἶall’eὅeὄἵitὁ ἶel
giovane Cesare per accordarsi con lui in vista di una spartizione a due dello stato che
escludesse proprio Ottaviano. Salvidieno, così richiamato con un pretesto dalla Gallia (dove
in quel momento si trovava con le sue legioni), in seguito a una conversazione privata con

* Per la congiura di Salvidieno Rufo si veda l'appendice delle fonti da p. 111.


37
Livio (per. 127, 3) parla in generale di consilia nefaria (Q. Saluidenum consilia nefaria aduersus Caesarem
molitum indicio suo prostraxit, isque damnatus mortem consciuit. P. Ventidius Antoni legatus Parthos proelio
uictos Syria expulit Labieno, eorum duce, occisoper). E sulla sua scia è Cassio Dione (XLVIII, 33, 1-3).
Velleio (II 76, 4) menziona scelesta consilia (Per quae tempora Rufi Salvidieni scelesta consilia patefacta
sunt. Qui natus obscurissimis initiis parum habebat summa accepisse et proximus a Cn. Pompeio ipsoque
Caesare equestris ordinis consul creatus esse, nisi in id ascendisset, e quo infra se et Caesarem videret et rem
publicam); Seneca (clem. 1, 9, 5-6) ritiene che Salvidieno volesse uccidere Ottaviano; Svetonio (Aug. 66, 2-3)
gli imputa propositi di rivolgimenti politici (Quorum alterum res novas molientem damnandum senatu);
Appiano attribuisce a Salvidieno una defezione in favore di Antonio, uὀ’ π α , e la conseguente
intenzione di costituire una nuova alleanza: Ῥ πα υ υ . α Ἀ
α Φ υ α π α π α α α ,
α α φ α υ , α α π Ῥ α α , π α ᾳ
υ α α π π π α π α ῳ . α ῖπ : π
π πα , φυ α α α α : αῖ α α α α υ
α π υ , π υ α π α α , α α
α α π᾽ α α π π α Ἀ ῳ (bel. civ. 5, 66, 278-279).
38
Lucio Antonio, insieme alla cognata Fulvia, aveva mosso guerra ad Ottaviaὀὁ peὄ l’iὀὅὁἶἶiὅfaὐiὁὀe
suscitata dalla sua redistribuzione delle terre italiche ai veterani: lo stesso Lucio Antonio difendeva gli
espropriati. Dopo Filippi, a Ottaviano, rimasto in Italia, sarebbe spettato il compito di assegnare le terre
promesse ai veterani di quella battaglia, mentre Antonio ὅaὄeἴἴe ὅalpatὁ peὄ l’ἡὄieὀte al fiὀe ἶi migliorare le
relazioni dei regni locali con Roma, così ottenendo il denaro necessario alla dispendiosa politica dei triumviri.
Lepido, da sempre defilato, vedeva sempre più ridimensionarsi la sua figura: a lui veὀὀe laὅἵiata l’χfὄiἵaέ ἑfὄέ
F. ROHR VIO, cit., 2011, p. 24.
- 16 -
ἡttaviaὀὁ eὄa ὅtatὁ ἵὁὀὅegὀatὁ ἶa ὃueὅti al ὅeὀatὁ, e pὁi ἵὁὀἶaὀὀatὁ a mὁὄte “ἵὁme ὀemiἵὁ
ἶi ἡttaviaὀὁ e ἶel pὁpὁlὁ ὄὁmaὀὁ”39.
Proprio la consegna della sua persona al senato non solo conferiva legittimità alla
vicenda (nella tendenza dei triumviri a rispettare ancora, almeno formalmente, questa
istituzione), ma attribuiva anche maggior enfasi a tutto il caso. E la condanna come hostis
publicus, oltre che – come vedremo – esagerata, è una delle prime occasioni in cui
ἡttaviaὀὁ aὅὅὁἵia alla ὅua peὄὅὁὀa l’iὀteὄa res publica, prefigurando quel crimen maiestatis
che diventerà pena ricorrente nel primo decennio di principato40.
Prima di analizzare le dinamiche della supposta cospirazione di Salvidieno, sarà
bene lumeggiare la sua stessa figura per affermare con buona dose di certezza che la sua
uccisione, esattamente come nel caso già analizzato di Gallio, possa considerarsi un
completo sacrificio.
Nato poco prima del 75 a.C.41, egli era un cavaliere ὁὄigiὀaὄiὁ ἶell’Italia ἵeὀtὄale42,
già uomo di fiducia di Cesare, forse al suo fianco in Britannia e nelle imprese galliche 43 (in

39
Dio. XLVIII 33, 3. Anche Velleio (Per quae tempora Rufi Salvidieni scelesta consilia patefacta sunt. Qui
natus obscurissimis initiis parum habebat summa accepisse et proximus a Cn. Pompeio ipsoque Caesare
equestris ordinis consul creatus esse, nisi in id ascendisset, e quo infra se et Caesarem videret et rem
publicam, II 76, 4) precisa che la congiura colpiva il popolo e lo stato, non solo Ottaviano. Una siffatta
aggregazione è comunque avvenuta a posteriori, non quando il giovane Cesare era solo un triumviro e
Antonio era ancora in campo. La Cogitore parla in questo senso, e a ragione, di riscrittura posteriore (cit., pp.
53-55).
40
Cfr. F. RHOR VIO, cit., 2000, p. 145; R. A. BAUMAN, cit., pp. 177-179.
41
Cfr. R. SZRAMKIEWICZ, Prosopographie moderne et contemporaine, Paris 1977, pp. 435-436. Cic. ad
Brut. 1. 17: qui Ottaviano è definito più volte puer, paragonato a Salvidieno: si può pensare perciò che
Salvidieno fosse più anziano di Ottaviano, forse coetaneo di Agrippa (cfr. M REINHOLD, Marcus Agrippa,
New York 1933, p. 1; J. M. Roddaz, Marcus Agrippa, Rome 1984, p. 242).
42
CIL VI 25808; 25810; VIII 7703; 7705; IX 3496, 3693. Anche la terminazione in –ienus farebbe pensare a
una prὁveὀieὀὐa ἶall’Italia ἵeὀtὄaleέ ἢiὶ taὄἶi egli avὄeἴἴe latiὀiὐὐatὁ il ὅuὁ geὀtiliὐiὁ peὄ ἵamuffaὄe ὃueὅta
ὁὄigiὀe iὀ viὅta ἶell’immiὀeὀte ἵὁὀὅὁlatὁμ ἵὁὅì il ὀὁme Salvius campeggia solo nei denarii che si datano al 40
a.C. (cfr. F. ROHR VIO, cit., 2000, p. 145, n. 76).
43
Come fa notare la Rohr Vio, è probabile una militanza di Salvidieno al fianco di Cesare per via di una sua
costruzione di imbarcazioni di canne e cuoio in occasione dello scontro con Sesto Pompeo: una costruzione
che rimandava inevitabilmente alle navicelle fabbricate da Cesare per attraversare la Manica (F. ROHR VIO,
cit., 2000, p. 44, n. 90; Echi di propaganda politica in età imperiale: Salvidieno Rufo, la fiamma, il fulmine,
iὀ “Patavium”, 13, 1999, p. 6). Analὁgameὀte, l’aὅὅeἶiὁ ἶi ἢerugia ricorda quello di Alesia del 52 a.C. per le
tecniche poliorcetiche adottate (Caes. gall. VII 68-84; Plin. nat. VII 206). M. SORDI (La guerra di Perugia e
la fonte di Appiano, iὀ “δatὁmuὅ” ἂἂ, 1λἆί, ἵitέ, ppέ ἁ1ἀ-315) attribuisce invece tali somiglianze a una
ἵὁiὀἵiἶeὀὐa ἶi ἶue aὅὅeἶi mὁltὁ viἵiὀi ὀel tempὁ (pὄὁἴaἴile aὀἵhe uὀ’imitaὐiὁὀe letteὄaὄia ἶella fὁὀte
appianea), simili non solo per la conformazione geografica della città assediata ma per il rischio che
l’aὅὅeἶiaὀte potesse diventare assediato. Sulla guerra di Perugia cfr. E. GABBA, Lo svolgimento militare
- 17 -
qualità di praefectus fabrum se si pensa alla costruzione di un ponte sul Tevere per il
funerale del fratello)44. Questa vicinanza con Cesare indicava di riflesso anche una
vicinanza con Ottaviano.
Già nel 46 a.C. Salvidieno era stato vicino ad Ottaviano quando questi,
giovanissimo, si era ammalato45. Una volta ristabilitosi, Cesare aveva voluto che o α ὁ
comites (in base alla fonte greca o latina), persone dunque vicine al dittatore, lo scortassero
verso la Spagna, in un viaggio che in quegli anni turbolenti sarebbe potuto essere
periglioso. È assai probabile che tra questi individui ci fosse proprio Salvidieno, proprio
come ad Apollonia, in Macedonia, dove il giovane Cesare aveva appreso la morte del
dittatore, nel 44 a.C., mentre stava là trascorrendo un soggiorno che lo formasse
culturalmente e militarmente46.
È in questa occasione che compare il nome di Salvidieno per la prima volta nella
documentazione antica, affiancato ad Agrippa: appresa la morte di Cesare (mentre
Ottaviano è a tavola con gli amici, stando alla testimonianza del Damasceno), le legioni
spingevano Ottaviano affinché si recasse in armi verso Roma, per vendicarsi degli
assassini; anche Salvidieno e Agrippa optavano per questa possibilità e in tal senso
consigliavano il giovane Cesare47.

della guerra di Perugia (41-40 a.C.), “ἤϋδ” ἂἅ ἴiὅ, 1λἄλ, ppέ 215-223. Per una eventuale militanza cesariana
di Rufo cfr. R. SYME, Sabinus the Muleteer, “δatὁmuὅ”, 1ἅ, 1958, p. 79.
44
Così racconta Dio. XLVIII 33,3. Cfr. V. GALLIAZZO, I ponti romani, Treviso 1999, I, pp. 308-309 e p.
552.
45
εalattia paὄe ἶeὄivaὀte ἶall’aveὄ pὄeὅeὀὐiatὁ tὄὁppὁ aὅὅiἶuameὀte agli ὅpettaἵὁli ὁffeὄti pὄὁpὄiὁ ἶa ἑeὅaὄe
per festeggiare il suo quadruplice trionfo. (Cfr. F. ROHR VIO, Autocensura e storiografia augustea: il caso
di Salvidieno Rufo, iὀ “Prometheus”, 23, 1997, pp. 35-36). Come fonte cfr. Nicol. Dam. FGrHist 90 F 127.20
ss; Svet. Aug. 8, 3.
46
Velleio (II, 59, 4-5) connette la presenza di Ottaviano ad Apollonia a finalità di educazione umanistica.
Tutte le altri fonti parlano anche di insegnamento militare. Per una bibliografia estesa sul tema cfr. F. ROHR
VIO, cit., 2000, p. 37 n. 70.
47
Vell. II 59, 5. Cui ut est nuntiatum de caede vunculi, cum protinus ex vicinis legionibus centuriones suam
suorumque militum operam ei pollicerentur neque eam spernendam Salvidienus et Agrippa dicerent, ille
festinans pervenire in urbem omnem ordinem ac rationem et necis et testamenti Brundisii comperit.
δ’epiὅὁἶiὁ è ὄipὁὄtaὄe aὀἵhe ἶa ἠiἵὁlaὁ ἶi ἒamaὅἵὁ, ἵhe peὄά ὀὁὀ fa il ὀὁme ἶi ἥalviἶieὀὁ, ὅἵὄiveὀἶὁ
genericamente φ μ Nicolέ ἒamέ ἔἕὄώiὅt λί ἔ 1ἁί, ἂ1έ Uὀ ὄifeὄimeὀtὁ all’epiὅὁἶiὁ tὁὄὀeὄὡ aὀἵhe
ὅuἵἵeὅὅivameὀte ὀell’ὁpeὄa ἶel ἒamaὅἵeὀὁ (ἠiἵὁlέ ἒamέ ἔἕὄώiὅt λί ἔ 1ἁί, ηἄ)έ ἒiὁὀe, al ἵὁὀtὄaὄiὁ ἶelle
altre fonti, non parla del parere dei compagni di Ottavio nella sua tendenza a presentare come indipendente il
futuro Augusto, così almeno secondo A. M. GOWING, The Triumviral Narratives of Appian and Cassius
Dio, Michigan 1992, p. 64. Cfr. anche F. ROHR VIO, cit., 2000, p. 38.
- 18 -
Del resto, come ricorda Nicola Damasceno, le truppe richiamate da Antonio in Italia
passarono poi quasi totalmente dalla parte ottiavanea48. Questi φ ricompaiono quando
ἡttaviaὀὁ li ἵὁὀὅulta ὅull’iἶea ἶi aἵἵettaὄe ὁ meὀὁ il ὀὁme e l’aἶὁὐiὁὀe ἶi ἑeὅaὄe49.
χltὄὁ ὄifeὄimeὀtὁ a ἥalviἶieὀὁ ἤufὁ è pὄeὅeὀte ὀell’epiὅtὁlaὄiὁ ἵiἵeὄὁὀiaὀὁ,
all’iὀiὐiὁ ἶel ἂἁ aέἑέ, ὃuaὀἶὁ ἵiὁè l’ὁὄatὁὄe ὄiὅpὁὀἶe agli appelli di Peto che lo esorta ad
aiutaὄe uὀ ἵeὄtὁ ἤufὁέ δ’appὁggiὁ ἶi ἑiἵeὄὁὀe ὅeὄviva peὄ ὃuella ἵampagὀa ἶi pὄὁpagaὀἶa
ottiavanea e di proselitismo che lo stesso Salvidieno stava realizzando in quelle zone, in cui
l’eὄeἶe ἶi ἑeὅaὄe aveva pὄὁmὁὅὅὁ aὄὄuὁlameὀti (ὀe fa un breve accenno anche Appiano)50.
Uὀ’ulteὄiὁὄe informazione su ἥalviἶieὀὁ ἵὁmpaὄe iὀ uὀ’altὄa epiὅtὁla ἶel ἂἁ aέἑέ, iὀ
cui Bruto, parlando ad Attico di Cicerone, in modo sferzante punta il dito sulle simpatie di
ὃueὅt’ultimὁ peὄ ἡttaviaὀὁ, paὄagὁὀaὀἶolo a un Rufo che molto probabilmente è il nostro
Salvidieno, ergo a stretto contatto col futuro Augusto51.
Promagister in Spagna nel 41 a.C., incaricato da Ottaviano, Salvidieno non poté
insediarsi in questa nuova carica perché richiamato in Italia per via della suddetta guerra di
Perugia52. Anche in questo frangente si percepisce la sua importanza come braccio destro di
Ottaviano: ostacolato nel suo precipitoso ritorno, Agrippa aveva attirato su di sé le truppe di
Lucio Antonio e si era esposto a forti rischi, riuscendo comunque a liberare la strada allo
stesso Salvidieno affinché potesse raggiungere Perugia il prima possibile53. Anche questo

48
90 F 130.139
49
F. RHOR VIO, cit., 2000, p. 39
50
Cic. fam. IX 24,1: Rufum istum, amicum tuum, de quo iterum iam ad me scribis adiuvarem quantum
possem, etiamsi ab eo caesus essem, cum te tantopere viderem eius causa laborare; cum vero et ex tuis
litteris et ex illius ad me missis intellegam et iudicem magnae curae ei salutem meam fuisse, non possum ei
non amicus esse, neque solum tua commendatione, quae apud me, ut debet, valet plurimum, sed etiam
voluntate ac iudicio meo. Per la bibliografia vedi R. SYME, The Roman Revolution, Oxford 1963, pp. 127-
129. Anche P. GRATTAROLA, cit., pp. 31-32; S. DEMOUGIN, L'ordre équestre sous les Julio-Clnudiens,
Rome 1988, p. 66 e n. 266. Per gli arruolamenti in Campania, e specificamente a Calazia e Casilino. Cfr. App.
bel. civ., 3.40.165.
51
Cic. ad Brut. I 17, 4: Sed redeo ad Ciceronem. Quid inter Salvidienum et eum interest? Quid autem amplius
ille decerneret? R. Y. TYRRELL - L. C. PURSER (The Correspondence of M. Tullius Cicero, VI, p. 192, n.
865) asseriscono con certezza che il Salvidieno citato sia Rufo. A. M. GOWING (cit., p. 153, n. 31) crede che
la lettera sia forse spuria. Per i rapporti che intercorrevano tra Cicerone ed Ottaviano v. M. BELLINCIONI,
Cicerone politico nell’ultimo anno di vita, Brescia 1974, pp. 211-234.
52
App., bel. civ., V 24, 96 e V 27, 105.
53
App., bel. civ., V 31, 121-125. Salvidieno stesso attaccò poi le truppe antoniane da posizione favorevole,
così aiutando Agrippa.
- 19 -
episodio palesava il rilievo di un personaggio come Salvidieno e ne certificava la fiducia
ὀell’amἴieὀte ὁttiavaὀeὁέ
Appena dopo Perugia, Ottaviano gli affidava il comando di ben undici legioni nelle
ἕallie, eὅὅeὀἶὁ mὁὄtὁ ἑaleὀὁ, l’uὁmὁ ἵhe pὄima le gὁveὄὀavaμ pὄὁpὄiὁ l’altὁ ὀumeὄὁ ἶi
milizie fa intendere che Ottaviano, ancora una volta, desse pieno credito a Salvidieno54.
Una vicinanza, infine, sancita con la designazione di Salvidieno per il consolato del 39 a.C.,
magistratura mai ricoperta per la sua morte avvenuta sul finire del 40, ma di cui si ha
tuttavia testimonianza in un rovescio monetale55.
Come si evince dalle lettere di Cicerone e di Bruto, nonché dagli incarichi e dai
ruoli di primaria importanza ricoperti, è chiaro che Salvidieno fosse un uomo verso il quale
Ottaviano nutriva estrema fiducia. Si può anzi affermare, senza troppo ingigantire il ruolo
del presunto congiurato e avendo esaminato quante energie egli avesse profuso per gli
affaὄi ἶel giὁvaὀe ἑeὅaὄe, ἵhe ἡttaviaὀὁ ὀὁὀ ὅaὄeἴἴe ἶiveὀtatὁ ὃuell’uὁmὁ ἶi pὁteὄe ὅeὀὐa
Salvidieno, o avrebbe raggiunto i suoi obiettivi, verso una totale affermazione, con più
fatica e lentezza. È difficile, pertanto, credere a una sua cospirazione, come invece
sufficientemente unanimi sostengono gli scrittori che ne parlano.
È interessante notare, ora, come la propaganda augustea abbia condizionato il
racconto di queste stesse fonti: le quali, posteriori ai fatti, mimetizzavano alcuni episodi o
taἵevaὀὁ ἵὁὀὅapevὁlmeὀte il ὀὁme ἶi ἥalviἶieὀὁέ Uὀ’eὄaὅiὁὀe ἶalla ὅtὁὄia, uὀa damnatio
memoriae, ἵhe peὄ ἶi piὶ ὀaὅἵὁὀἶeva l’eviἶeὀte ἶeἴὁleὐὐa ἶi ἡttaviaὀὁ iὀ ὃuel pὄeἵiὅὁ
momento storico, in cui Antonio gli era superiore per potere, carisma ed esperienza.
Le intenzioni del giovane Cesare erano dunque quelle di divulgare una versione
ufficiale che non fosse così scomoda e che mascherasse i fatti realmente accaduti: si
architettava, quindi, una strumentale e pretestuosa accusa di congiura ai danni del povero
Salvidieno, presto equiparato ad altri congiurati: assieme a Cornelio Gallo, egli diventerà
aὀὐi il piὶ gὄaὀἶe eὅempiὁ ἶell’amiἵiὐia tὄaἶitaν ὀelle pagiὀe ἶi ἥeὀeἵa ὅaὄὡ iὀἶiἵatὁ ἵὁme

54
App., bel. civ., V 51, 213-215; Dio. XLVIII 20, 3; Vell. II 76,4.
55
CRRBM II n. 407, p. 561.
- 20 -
il primo oppositore di Ottaviano in un elenco che vede presenti anche Lepido, Cepione,
Murena ed Egnazio Rufo56.
εa è pὄὁpὄiὁ ὀell’epiὅtὁlaὄiὁ ἵiἵeὄὁὀiaὀὁ, ὅfuggitὁ alla ἵeὀὅuὄa ἶella pὄὁpagaὀἶa
augustea in quanto destinato a circolare in un ambiente prettamente privato, che – come
visto – la reputazione di Salvidieno rimane alta, intatta e non scalfita dalla successiva e
fittizia idea di complotto.
Le fonti surrettiziamente celano il nome di Salvidieno quando parlano degli uomini
di fiducia che avrebbero scortato Ottaviano in Spagna. A parte Velleio, tacciono il suo
nome, allo stesso modo, anche quando vengono menzionate persone a lui vicine, ad
Apollonia, una volta appresa la morte di Cesare.
Interessante il caso di Appiano, ἵhe paὄla ἶi φ Ῥ μ ὅeἵὁὀἶὁ la ἤὁhὄ
Viὁ, è ὃueὅtὁ uὀ “ὄifleὅὅὁ ἶi uὀ pὄὁἵeἶimeὀtὁ autὁἵeὀὅὁὄiὁ”, ὄealiὐὐatὁ malἶeὅtὄameὀteέ
ἠell’iὀteὀtὁ ἶi ἵelaὄe, ἵiὁè, il ὀὁme ἶi ἥalviἶieὀὁ, χppiaὀὁ giuὅtappὁὀe Ῥ iὀ mὁἶὁ
erroneo: è improbabile, infatti, che fossero intervenuti amici direttamente da Roma per
consigliare al giovane Cesare di servirsi delle truppe macedoniche al fine di vendicare il
dittatore appena ucciso57.
Un altro metodo impiegato dalle fonti per squalificare la persona di Salvidieno era
minimizzarne le capacità belliche, che erano state al contrario fondamentali, almeno in
alcuni casi. Il solo Dione rammenta i meriti di Rufo per quanto riguarda la difficile lotta
contro Sesto Pompeo (43-ἂἀ aέἑέ), pὄὁὀtὁ a iὀvaἶeὄe l’Italia58: ma lo stesso Dione, Appiano
e Livio esalteranno il fallito tentativo di Salvidieno di sbarcare in Sicilia59. O, nello scontro
giὡ ὄiἵὁὄἶatὁ ἶi ἢeὄugia, emeὄgeὄὡ ἵὁὀ piὶ effiἵaἵia l’iὀeὅpeὄtὁ χgὄippaέ
Altra strategia operata dalle fonti, volta a screditare il personaggio di Salvidieno
Rufo, era quella di presentarlo come un uomo dalle modeste origini. Dione ne ricorda i
ὀatali φα , Velleiὁ paὄla ἶi obuscurissima initia, Svetonio dirà ex infima

56
Sen., clem., I 9, 6: Salvidienum Lepidus secutus est, Lepidum Murena, Murenam Caepio, Caepionem
Egnatius, ut alios taceam, quos tantum ausos pudet. F. ROHR VIO, cit., 2000, p. 142.
57
App., bel. civ., III 10, 34. Cfr. F. ROHR VIO, 2000, pp. 37-38.
58
Dio. XLVIII, 18, 2. Oltre alla salutatio imperatoria al generale, abbiamo chiari esempi, come vedremo più
dettagliatamente, di ghiande missili a Salvidieno riferite (CIL X 8337 a-g).
- 21 -
fortuna60. Tale accanimento sul rango di nascita di Salvidieno appare quantomeno
esagerato se si pensa che egli fosse comunque un eques61.
Ma ogni incarico ricevuto, in special modo il consolato del 39 a.C., dal tono delle
fonti sembra raggiunto più per la generosità di Ottaviano che per i suoi meriti effettivi. La
carriera di Salvidieno si inseriva pienamente, invece, in quella politica di rinnovamento
della classe dirigente romana portata avanti da Giulio Cesare negli anni appena precedenti
la ὅua mὁὄteμ ὃuaὀἶὁ, ἵiὁè, ὅi gaὄaὀtiva l’aἵἵeὅὅὁ alle magiὅtὄatuὄe ἶi ἤὁma anche ad
esponenti delle élites italiche, sovente legati a uomini militari; uomini che in precedenza
erano rimasti esclusi da quelle stesse magistrature.
Molto curioso è il racconto che poi Dione fa di un episodio adolescenziale su
Salvidieno Rufo: mentre paὅἵὁlava il gὄegge (la famiglia eὄa fὁὄὅe attiva ὀell’allevameὀtὁ
di ovini62), una fiamma era fuoriuscita dalla sua testa63. Questo fatto pareva presagire la
futura grandezza di Salvidieno in concordanza con quanto accaduto – almeno secondo la
tradizione – altὄe vὁlte a ἶiveὄὅi peὄὅὁὀaggi legati all’amἴitὁ ὄegale (ἵὁme ἤὁmὁlὁ e ἤemὁ,
o Servio Tullio64), ma anche e soprattutto allo stesso Ottaviano.
ἢaὄe iὀfatti ἵhe il paἶὄe ἶel giὁvaὀe ἑeὅaὄe aveὅὅe ἵὁὅpaὄὅὁ ἶi viὀὁ l’altaὄe
ἶell’ὁὄaἵὁlὁ ἵὁὀὅultatὁ iὀ ἦὄaἵia, secondo il ὄitὁ ἴaὄἴaὄiἵὁ, e ἶa ὃuell’altare fosse

59
Dio. XLVIII, 18, 2-4; App. bel. civ. 4, 85, 358; Liv. per. 127, 3. Cfr. A. M. GOWING (The Triumviral
Narratives of Appian and Cassius Dio, pp. 39-49), che ripercorre inoltre criticamente (183-185) proprio la
narrazione di Appiano e Dione dello scontro Salvidieno-Sesto.
60
Dio. XLVIII 33,2; Vell. II 76,4; Svet. Aug. 66,2.
61
Cfr. Vell. II 76,4; Svet. Aug. 66,2 Dio XLVIII 33,1. Queste fonti fanno notare come Salvidieno avesse
ricevuto la designazione a console pur non essendo ancora stato ammesso in senato. Cfr. C. NICOLET,
L'ordre équestre à l'époque républicaíne (312-43 av. J.C.), II, Prosopographie des chevalíers romains, Paris
1974, 1010-l0ll, no. 310 s.; S. DEMOUGIN, cit., p. 361 e p. 588. δ’aὅὅὁluta vὁlὁὀtὡ ἶi peὄὅeἵuὐiὁὀe ὀei
confronti di Salvidieno espressa anche dal senato è comprensibile se si pensa proprio a una difesa dei propri
diritti: Salvidieno, da eques, era stato designato console, a penalizzare così gli ottimati in una nuova tendenza
di Ottaviano a eludere la prassi istituzionale, come era già accaduto nel caso di Balbo (cfr. Plin., nat., VII 44,
136; Dio XLVIII 32, 2). Il senato votò che si celebrassero supplicationes di ringraziamento, una cerimonia
che era connessa ad occasioni in cui la res publica fosse sopravvissuta a minacce assai pericolose.
62
Dio. XLVIII 33, 2.
63
Dio XLVIII 33,3. Per una disamina approfondita della faccenda si veda ROHR VIO, ἵitέ, “ἢatavium”, pp.
3-16.
64
Narra Plutarco (Rom. 2, 4) che i due gemelli fossero stati concepiti da una schiava e da una fiamma.
Quando era giovane, a Servio Tullio si incendiò il capo secondo molteplici voci (Cic. div., I 53, 121; Dyonis.,
ant., IV 2, 4; Liv. I 39, 1; Ov. fast., VI 629-636; Plin., nat., XXXVI 70, 204; Serv., Aen., II 683; ZONAR. ed.
Neibuhr 1844 IX 1-2).
- 22 -
divampata altissima una fiamma; lo stesso era accaduto ad Alessandro, divenuto poi
grandissimo, quando egli aveva consacrato sul medesimo altare65.
ἥvetὁὀiὁ ὀaὄὄa ἵhe a Velletὄi, luὁgὁ ἶ’ὁὄigiὀe ἶella gens Octavia, un tratto di muro
era stato centrato anticamente da un fulmine, chiaro segno che un giorno un cittadino di
quel luogo si sarebbe impossessato del potere supremo66. Appena dopo il cesaricidio,
tornando a Roma da Apollonia, pare che il sole fosse stato avvolto da un arcobaleno a
forma di cerchio, e poi un fulmine avesse colpito il mausoleo di Giulia, figlia di
Ottaviano67έ Iὀfiὀe, pὄὁpὄiὁ ἶὁpὁ ὃueὅtὁ ὄitὁὄὀὁ ὀell’Uὄἴe, χὀtὁὀiὁ aveva ὅὁgὀatὁ ἶ’eὅὅeὄe
trafitto da un fulmine alla mano destra: subito dopo si era sparsa voce che Ottaviano stesse
tramando contro la sua vita68.
χl ἶi lὡ ἶell’impὄὁἴaἴile veὄiἶiἵitὡ ἶi alἵuὀi ἶi ὃueὅti epiὅὁἶi, ἵhe ὅὁveὀte
assumono i contorni indefiniti della leggenda, in questa sede è importante notare come la
fiamma o il fulmen fossero simboli evocatori di forza, soprattutto in ambito militare, e che
da sempre fossero legati ad Ottaviano e di riflesso anche ai suoi collaboratori, tra i quali
Salvidieno69.
In questa direzione vanno interpretate, ad esempio, le ghiande missili ritrovate a
δeuἵὁpetὄa ὁ ὀell’ager nei dintorni di Perugia: nel primo caso le armate di Ottaviano,
guidate da Salvidieno, avevano combattuto contro Sesto Pompeo, e sulle ghiande compare
pὄὁpὄiὁ il ὀὁme ἶi ἥalviἶeὀὁ ἤufὁ, ἵὁὀ l’immagiὀe ἶi uὀ fulmen alato70; nel secondo caso i
legionari di Ottaviano (ancora con Salvidieno in un ruolo fondamentale in quanto egli era a

65
Così Svet. Aug., 94, 7.
66
Svet. Aug., 94, 2.
67
Svet. Aug., 95, 1; Vell. 59, 11.
68
Così Plut., Ant., 16, 7. In generale si veda F. ROHR VIO (Echi di propaganda cit., pp. 7-8) che ricorda
aὀἵhe ἶi uὀ altὄὁ epiὅὁἶiὁ, pὄeὅagiὁ ἶella gὄaὀἶeὐὐa ἶi ἡttaviaὀὁ, ὅvὁltὁὅi all’ὁὅὅeὄvatὁὄiὁ ἶi ἦeὁgeὀe, aὀἵὁὄa
presso Apollonia, con conseguenti coniazioni di monete col simbolo del Capricorno, segno sotto il quale il
giovane Cesare era nato. Forse accanto ad Agrippa era qui presente anche Salvidieno Rufo. Ovidio (trist. I 1,
ἅἀν II 1ἅλ), iὀ letteὄatuὄa, ὅaὄὡ peὄaltὄὁ il pὄimὁ a ὄappὄeὅeὀtaὄe l’iὄa ἶi auguὅtὁ ἵὁl ὅimἴὁlὁ ἶel fulmen,
ispirandosi a Virgilio (georg., IV 562; Aen., XII 674). Sarà seguito da Valerio Massimo (VII 7, 4), Stazio
(Silv. III 3, 158) e Marziale (VI 83, 3).
69
Il fulmen era simbolo ricorrente tra le legioni, sulle cinture soprattutto. Cfr. G FOURGERES, in DA, II,
1896, s.v. fulmen, pp. 1352-1360.
70
CIL X 8337 a-g. La legenda riportava Q(uintus) SAL(vidienus) IM(perator). Si menziona anche la salutatio
imperatoria.
- 23 -
loro capo) avevano affrontato Lucio Antonio, ed anche qui riportano il simbolo del fulmen
ὅtὄettὁ tὄa gli aὄtigli ἶi uὀ’aὃuila, sovente impresso sulle loro cinture71.
Fulmine che ritorna anche su alcuni denarii ὄiὀveὀuti pὄeὅὅὁ ἢiὅaμ al ἶiὄittὁ ἵ’è
l’immagiὀe ἶi ἡttaviaὀὁ, al ὄὁveὅἵiὁ ἵὁmpaὄe Salvius, nonché la menzione di una salutatio
imperatoria e della designazione a console di Salvidieno (oltre al suddetto fulmen72).
Sembra evidente che sia le ghiande missili sia questi reperti numismatici ricorrano
in un ambiente tipicamente militare. Si può supporre, anzi, che queste monete di Pisa
fossero il denaro spettante alle nuove truppe galliche di Salvidieno, da poco passate nelle
sue mani dopo la dipartita di Caleno73. Truppe che è presumibile fossero edotte sulle varie
simbologie – come in questo caso quella del fulmine – mediante libelli che circolavano tra i
legionari e che fungevano da propaganda74.
Ma proprio il fulmen si legava strettamente al personaggio di Salvidieno anche per
altri motivi. In Britannia e nelle Gallie, ad Alesia, Giulio Cesare si era servito della VII
legio, soprannominata fulminata75; abbiamo già visto come è probabile che Salvidieno
fὁὅὅe al fiaὀἵὁ ἶi ἑeὅaὄe ὅia ὁltὄe la εaὀiἵa, ὅia ὀell’aὅὅeἶiὁ ἶi χleὅia, peὄ i paὄalleliὅmi
con soluzioni ingegneristiche da lui adottate successivamente. Peraltro la medesima VII
legio fu aἶὁpeὄata ἶa ἡttaviaὀὁ peὄ l’aὅὅeἶiὁ ἶi ἢeὄugia, ἶὁve eὄa ἵhiaramente presente
anche Salvidieno76έ ῄ paleὅe, peὄtaὀtὁ, ἵhe ὃueὅt’ultimὁ aveὅὅe aἶὁttatὁ peὄ la ὅua peὄὅὁὀa
il simbolo del fulmine, anche come richiamo del suo passato cesariano, a corroborare un
legame di continuità con quei soldati e con i loro recenti trascorsi accanto al dittatore.

71
CIL XI 6721 a-e. La legenda era RVFVS IMP(erator). Cfr. C. ZANGMEISTER, Glandes plumbeae latinae
inscriptae, “ϋϋ”, ἄ, 1ἆἆη, ppέ ἄ1-62.
72
RCC n. 523 I, p.101, e II, p. 743. Cfr. CRRBM, nn 86-89, II, pp. 407-408. La leggenda al rovescio era
Q(uintus) SAVLIUS IMP(erator) CO(n)S(ul) DESIG(natus). V. ROHR VIO 200 p. 133, n. 38.
73
Così M. H CRAWFORD in RRC II, pέ ἅἂἁ, ἵhe ὅὁὅtieὀe ὅia uὀ’emiὅὅiὁὀe ἶi ἡttaviaὀὁ a ὀὁme ἶi
Salvidieno. Il giovane Cesare avrebbe anzi trovato in Salvidieno, in questo caso, il pretesto per battere
mὁὀetaέ ἑὁὅì ὅi tὄatteὄeἴἴe ἶi uὀa ὐeἵἵa mὁἴile, e ἶi uὀ’emiὅὅiὁὀe ἵὁὀteὀutaέ ώέ χέ ἕἤUἐϋR in CRRBM II,
pp. 386-ἁἆἅ ὄitieὀe iὀveἵe ὅi tὄatti ἶi uὀ’emiὅὅione della zecca di Lugdunum. Cfr. F. ROHR VIO, cit., 2000, p.
133, che poi dà una copiosa bibliogὄafia ὅull’impὁὄtaὀὐa ἶelle mὁὀete ἵὁme fattὁὄe ἶi pὄὁpagaὀἶa (pέ 1ἁἁ, ὀέ
40).
74
Ne parlano anche Nicol. Dam. FGrHist 90 F 139; App. bell. civ. III 31, 123 e 44, 179.
75
Caes. Gall. IV 32, 1-5; V 9,7. Cfr. H. M. D. PARKER, The Roman Legions, Cambridge 1928, p. 267. I
veterani di questa legione VII fulminata sarebbero stati poi allocati da Cesare un Campania (cfr. Nicol. Dam.
FGrHist 90 F 130, 136.
76
Cfr. App. bell. civ. V 24, 96. Il testo di una ghianda missile che menziona la VII legio (CIL XI 6721, 31;
ILLRP II 1114).
- 24 -
Secondo la Rohr Vio «tale programma propagandistico non sembra configurarsi
ἵὁme ὅὁluὐiὁὀe ‘pὄὁmὁὐiὁὀale’ ὁὄἵheὅtὄata iὀ pὄὁpὄiὁ ἶal geὀeὄale ὁttiavaὀeὁέ ἢaὄe
piuttὁὅtὁ l’eὅitὁ ἶi uὀ’aὄtiἵὁlata ὅtὄategia ἶi autὁaffeὄmaὐiὁne pianificata da Ottaviano per
sé e per i vertici della propria factio»77. Non era quindi, quello di Salvidieno, un
atteggiamento di concorrenza o di sfida. E anche il titolo di imperator, frequente sulle
monete o sulle ghiande missili, andrebbe letto solo come qualifica prettamente legata
all’amἴitὁ ἴelliἵὁ e ἵὁme ὅpiὀta ἶi autὁaffeὄmaὐiὁὀe al ἵὁὅpettὁ ἶelle pὄὁpὄie tὄuppe78.
δa ἑὁgitὁὄe, ἶiveὄὅameὀte, peὀὅa aἶ uὀ’elaἴὁὄaὐiὁὀe ἶella leggeὀἶa ὅul fuὁἵὁ,
sempre legata ad ambienti monarchici (da Romolo a Servio Tullio) successiva alla morte di
ἥalviἶieὀὁέ Uὀ’elaἴὁὄaὐiὁὀe ὁpeὄata ἶalla pὄὁpagaὀἶa ἶi χuguὅtὁ peὄ eὅaltaὄὀe, iὀ ὁttiἵa
naturalmente calunniosa, le aspirazioni sovversive: i parallelismi con i vecchi re romani
sarebbero serviti a dipingere Salvidieno come un pericoloso aspirante al potere. Ottaviano
faἵeva ὄiἵaἶeὄe ὅu uὀ altὄὁ peὄὅὁὀaggiὁ l’aἵἵuὅa ἶi aὅpiὄaὐiὁὀe a ὄegὀaὄe, allὁὀtaὀaὀἶὁla ἶa
sé79.
Ma è difficile pensare a un tale allestimento simbolico totalmente successivo alla
sua morte, se pensiamo che le monete, ad esempio, fossero di gran lunga precedenti alla sua
caduta in disgrazia. Si può affermare, pertanto, che una simbologia legata al fulmen fosse
davvero presente con Salvidieno ancora in vita, legittimata peraltro dallo stesso Ottaviano,
ma che dopo la sua morte tale simbologia fosse strumentalizzata in negativo, e forse
ampliata, dalla propaganda augustea.
In conclusione, si possono dunque esprimere forti perplessità sulla colpevolezza di
Salvidieno, messo a morte anche grazie a quella famosa lex Titia sopra citata che
permetteva ai triumviri di sopprimere i loro nemici personali80.

77
ROHR VIO 2000, p. 136.
78
Cfr. R. NEWMAN, A Dialogue of Power in the Coinage of Antony and Octavian (44-ἁί ἐέἑέ), “χJἠ” ἀ,
1990, pp. 37-63. Il ὃuale eὅpὄime l’iἶea ἵhe ἡttaviaὀὁ aveva fattὁ ὅì ἵhe il titὁlὁ ἶi imperator confluisse in
Salvidieno, uno dei maggiori esponenti del suo partito, perché egli – in quel momento inferiore ad Antonio ed
ossequioso nei confronti del senato – non poteva allora fregiarsi di quel titolo. Sul titolo più in generale si
veda la bibliografia a Rohr Vio 200, p. 139, n. 61.
79
I. COGITORE, cit., p. 55.
80
V. GARDTHAUSEN, Augustus und seine Zeit, Leipzig 1891-1904 (rist. anast. Aalen 1964), II, p. 219; III,
pp. 60-61; K. KIENAST, Augustus. Prinzeps und Monarch, Darmstadt 1982, pp. 40-41; M. A. LEVI, Augusto
cit., p. 156 pensano invece a una colpevolezza di Salvidieno, pronto a tradire Ottaviano per allearsi con
Antonio, forte delle sue undici legioni che erano state di Caleno.
- 25 -
È nondimeno curioso che egli torni a Roma senza quelle legioni galliche a lui
affidate e che avrebbero costituito una sicura protezione in caso di attacchi alla sua persona:
ma è ἵhiaὄὁ ἵhe ὀὁὀ temeὅὅe ὀulla, ἶata la ὅua limpiἶa ἵὁὀἶὁttaέ Iὀὁltὄe, l’uὀiἵa e fὄagile
pὄὁva ἶell’aἵἵuὅa ἶi ἡttaviaὀὁ ὅaὄeἴἴe la ἶelaὐiὁὀe ἶi χὀtὁὀiὁ, meὀtὄe aὅὅeὀti ὅὁὀὁ altὄi
accenni nelle fonti letterarie, epigrafiche e numismatiche che ci restano.
Così si può benissimo mettere in rapporto la liquidazione di Salvidieno con gli
accordi di Brindisi che sarebbero stati di lì a poco sanciti in quel 40. Soprattutto, stupisce la
rapidità di questa eliminazione: una fretta che la Rohr Vio ha messo in connessione con la
volontà di mettere subito in atto una decisione invero già definita81, anche in considerazione
ἶel fattὁ ἵhe, ἶ’uὀ ἵὁlpὁ, Antonio si privava della possibilità di ricorrere in futuro al ricatto
nei confronti di Salvidieno, sapute le sue intenzioni: è evidente che volesse agire
immediatamente per la sua uccisione, così come è evidente che si volesse dare
uὀ’impὄeὅὅiὁὀe ἶi ἵὁὄὄetteὐὐa ὀei ἵὁὀfὄὁὀti ἶi ἡttaviaὀὁ, ὁὄmai immiὀeὀti gli aἵἵὁὄἶi ἶi
Brindisi82.
Accordi che prevedevano diversi provvedimenti importanti. Anzitutto, che le legioni
di Caleno tornassero nelle mani di Antonio, il quale nel frattempo si apprestava a salpare
peὄ l’ἡὄieὀteν ma iὀ ὅpeἵial mὁἶὁ pὄeveἶevaὀὁ ἵhe ἤὁma paὅὅaὅὅe ὅὁttὁ il ἵὁὀtὄὁllὁ ἶi
Ottaviano, mentre Lepido era rintanato in una posizione ancora più defilata83.
Sul piatto di questa nuova spartizione, Antonio chiedeva la testa di Salvidieno, uno
dei più preziosi collaboratori di colui che sarebbe presto diventato il suo maggiore
antagonista: e la chiedeva non sὁlὁ peὄ il ὄitὁὄὀὁ iὀ maὀi “aὀtὁὀiaὀe” ἶi ὃuelle aὄmate
galliche che erano state di Caleno, ma anche per la nomina al consolato di due personaggi a
lui favorevoli. Furono difatti poi eletti per il 39 a.C. Lucio Marcio Censorino e Gaio
Calvisio Sabino, due uomini che avevano peraltro difeso Cesare alle Idi di marzo84.

81
Cfr. F. ROHR VIO, 2000, p. 128.
82
App. bel. civ., V 66, 279 parla di bontà di Antonio: è per bontà che fece la sua delazione. Informazione che
ὅtὄiἶe ὀὁὀ ὅὁlὁ ἵὁὀ l’epiὅὁἶiὁ iὀ ὅὧ ma ἵὁὀ l’iὀteὄὁ ἵὁὀteὅtὁ tὄiumviὄale e ἶelle gueὄὄe ἵivili, peὄiὁἶὁ ἵὁlmὁ ἶi
atti brutali e violenti.
83
App., bel. civ., V 66, 279; Dione (XLVIII 33,3) menziona anche la celebrazione di sacrifici. Il controllo
ἶell’Uὄἴe, ὄivelatὁὅi ὁὄmai ὀeἵeὅὅaὄiὁ ἶὁpὁ l’eὅpeὄieὀὐa ἵeὅaὄiaὀa, ὅi ὄiveleὄὡ fὁὀἶameὀtale peὄ la futuὄa
istituzione del principato.
84
Cfr. F. ROHR VIO, cit., 2000, p. 141. Sabino tuttavia cambierà schieramento, avvicinandosi ad Ottaviano e
diventando suo praefectus classis nel 38-37 a.C. contro Sesto Pompeo.
- 26 -
A sancire questo nuovo patto, oltre alla coniazione di monete in cui campeggiano o i
due triumviri o due mani che si stringono, erano state innalzate statue alla Concordia. Ma
soprattutto Antonio prendeva in moglie Ottavia, sorella del giovane Cesare, così a
rinsaldare la coalizione anche da un punto di vista familiare (pur essendo stato, poi, un
matrimonio effimero).
Così, sebbene tutte le fonti parlino di una effettiva responsabilità di Salvidieno in un
attacco a Ottaviano seguendo i rigidi dettami della propaganda augustea, il solo Dione
ὅemἴὄa iὀveὄὁ ὅuggeὄiὄe uὀa velata iὀὀὁἵeὀὐa ἶell’imputatὁ ἵὁὀ l’utiliὐὐὁ ἶi uὀ veὄἴὁ aὅὅai
significativo: in apertura della sua narrazione aveva adoperato il classico vocabolo
π ν sul finire del suo racconto su Salvidieno usa invece φ , che indicava
chiaramente il sacrifico rituale di vittime umane85.
ἥi ὅaὀἵiva, ἶuὀὃue, l’immὁlaὐiὁὀe ἶi uὀ uὁmὁ iὀὀὁἵeὀte, vittima ἶel ἴὄaἵἵiὁ ἶi
ferro tra gli uomini piὶ impὁὄtaὀti ἶel tempὁ, χὀtὁὀiὁ e il futuὄὁ χuguὅtὁν uὀ’immὁlaὐiὁὀe
ὅull’altaὄe ὅaἵὄifiἵale ἶi aἵἵὁὄἶi pὁlitiἵi impὄὁἵὄaὅtiὀaἴili, eὅattameὀte ἵὁme aἵἵaἶutὁ ὀel
caso già ampiamente sviscerato di Quinto Gallio.
Anche la particolare chiusa che lo stesso ἒiὁὀe fa ἶell’iὀteὄa viἵeὀἶa, iὀ ἵui affeὄma
la transitorietà delle realtà umane, sembra adombrare in questa perplessità una non
colpevolezza di Salvidieno Rufo, attribuendone la morte appunto a fattori più grandi della
sua stessa persona.

85
Dio. XLVIII 33,1 e 3. Vedi n. 173 Rohr Vio pe le accezioni dei verbi greci.
- 27 -
CAPITOLO II

Marco Emilio Lepido minore: un tentativo di restaurazione


repubblicana.

«Mentre Cesare assestava gli ultimi colpi alla guerra di Azio e di Alessandria, Emilio Lepido,
giovane più bello d’aspetto che d’animo, (…) aveva concepito un piano per uccidere Cesare
appena fosse ritornato a Roma»
(Vell. II, 88, 1-3)

ἑὁme ὅi è viὅtὁ, ἶὁpὁ uὀ’atteὀta aὀaliὅi ἶelle fὁὀti letteὄaὄie, ὀumiὅmatiἵhe eἶ


epigὄafiἵhe, i ἶue ἵaὅi ἶi ἣuiὀtὁ ἕalliὁ e ἥalviἶieὀὁ ἤufὁ (ὃueὅt’ultimὁ pὄὁfὁὀἶameὀte
legato al futuro Augusto) non possono classificarsi come vere e proprie congiure ordite
contro la figura del giovane Ottaviano. Andrebbero considerati come episodi
successivamente alterati o ingigantiti dalla scaltra propaganda augustea al fine di
giuὅtifiἵaὄe l’elimiὀaὐiὁὀe di personaggi divenuti scomodi per il raggiungimento degli
obiettivi di Ottaviano, o eventualmente di Antonio.
Il caso di Emilio Lepido, al contrario, può connotarsi quantomeno come reale e
concreta critica al nuovo potere autoritario che Ottaviano stava ormai instaurando dopo la
soppressione del suo ultimo rivale. La congiura del figlio del triumviro, anzi, sarebbe da
- 28 -
considerarsi, forse, come il terzultimo teὀtativὁ “ὄepuἴἴliἵaὀὁ” – non solo da un punto di
vista temporale – compiuto per eliminare Ottaviano, la cui figura era cresciuta ὀell’ultimὁ
decennio: dopo il successivo episodio di Cepione e Murena e dopo il caso controverso di
Cornelio Cinna, atteὀtaὄe alla vita ἶell’ὁὄmai princeps non significherà più mettere in
ἶiὅἵuὅὅiὁὀe l’iὅtituὐiὁὀe ἶa egli ὅtesso rappresentata, appunto il principato; tentare di
deporre Augusto, dopo la congiura di Emilio Lepido, vorrà dire provare a sopprimerlo
fisicamente, ormai sfumata la possibilità di ripristinare la vecchia forma di governo
irreversibilmente estinta, o far sì che la stessa istituzione di principato potesse prendere una
piega diversa rispetto a quella propinata da Augusto.

Marco Emilio Lepido86, ἶettὁ “miὀὁὄe” peὄ ἶiὅtiὀgueὄlὁ ἶall’ὁmὁὀimὁ paἶὄe


triumviro, era figlio di Giunia Seconda87, sorellastra di Marco Giunio Bruto, e dunque
profondamente legato, per famiglia, alle più autentiche istanze repubblicane. Livio 88 e poi
Velleio89 eviteranno volontariamente di menzionare la gens Emilia, così non qualificando il

* Per la congiura di Emilio Lepido si veda l'appendice delle fonti da p. 123.


86
Forse evocato allegoricamente in Orazio. Cfr. D. A. MALCOLM, Odes III 4, «CR», 5, 1955, pp. 242-244.
87
Figlia di Giunio Silano, console nel 62 a.C.
88
Liv. per. 133, 3 (M. Lepidus Lepidi, qui triumuir fuerat, filius coniuratione aduersus Caesarem facta
bellum moliens oppressus et occisus est).
89
Vell. II 88, 1-3 (Dum ultimam bello Actiaco Alexandrinoque Caesar imponit manum, M. Lepidus, iuvenis
forma quam mente melior, Lepidi eius, qui triumvir fuerat rei publicae constituendae, filius, Iunia Bruti
sorore natus, interficiendi, simul in urbem revertisset, Caesaris consilia inierat. Erat tunc urbis custodiis
praepositus C. Maecenas equestri, sed splendido genere natus, vir, ubi res vigiliam exigeret, sane exsomnis,
providens atque agendi sciens, simul vero aliquid ex negotio remitti posset, otio ac mollitiis paene ultra
feminam fluens, non minus Agrippa Caesari carus, sed minus honoratus - quippe vixit angusti clavi paene
contentus -, nec minora consequi potuit, sed non tam concupivit. Hic speculatus est per summam quietem ac
dissimulationem praecipitis consilia iuvenis et mira celeritate nullaque cum perturbatione aut rerum aut
hominum oppresso Lepido inmane novi ac resurrecturi belli civilis restinxit initium. Et ille quidem male
consultorum poenas exsolvit. Aequetur praedictae iam Antistii Servilia Lepidi uxor, quae vivo igni devorato
praematura morte immortalem nominis sui pensavit memoriam).
- 29 -
congiurato e non dando la possibilità al lettore di ricollegare la sua azione a una precisa
origine ideologica: eppure sappiamo che famiglie come Emilii, Iunii e Servilii erano state
da sempre legate a dottrine repubblicane90.
Il paἶὄe tὄiumviὄὁ, malgὄaἶὁ l’ὁtteὀimeὀtὁ ἶel pὁὀtifiἵatὁ a vita, eὄa ὅtato relegato
dal 36 a.C. in una posizione del tutto marginale. Erano finiti, insomma, i tempi in cui
Lepido senior rappresentava una pedina rilevante nello scacchiere politico di Roma. Anni
iὀ ἵui χὀtὁὀiὁ, ὀel ἂἂ aέἑέ, aveva aὀἵhe piaὀifiἵatὁ ἵὁὀ l’altὄὁ triumviro di far convogliare
a nozze sua figlia Antonia Maggiore con Emilio Lepido minore: un fidanzamento poi
interrotto, ma che mostrava un interesse reciproco a rinsaldare i propri legami politici
(interesse poi scemato con la progressiva esclusione del Lepido pontifex maximus)91.
Secondo Cassio Dione92, anzi, Ottaviano fu così duro verso il congiurato proprio per
veὀἶetta ὀei ἵὁὀfὄὁὀti ἶell’ex tὄiumviὄὁέ ϋ le aὀὀὁtaὐiὁὀi ἴiὁgὄafiἵhe ἶellὁ ὅteὅὅὁ ἒiὁὀe ὅu
Lepido senior non sono semplici appunti, seguendo la Cogitore, ma vanno inquadrati in un
ἶiὅἵὁὄὅὁ piὶ ampiameὀte “pὁlitiἵὁ” ἵὁὀἶὁttὁ ἶallὁ ὅtὁὄiἵὁ ἶ’etὡ ὅeveὄiaὀaμ peὄ aveὄ avutὁ
un figlio cospiratore, il Lepido triumviro sarà per sempre al completo servizio di Augusto93.
Risulta difficile stabilire con preἵiὅiὁὀe l’aὄἵὁ tempὁὄale ἶella ἵὁὀgiuὄa ἶi δepiἶὁ,
anche per via del racconto non unanime delle fonti (che unanimi sembrano essere, invece,
sulla sua colpevolezza, a parte le inclinazioni titubanti di Cassio Dione) 94. Si è
geὀeὄalmeὀte ἵὁllὁἵatὁ l’epiὅὁἶiὁ al periodo 31-28 a.C., malgrado Dione, eccezionalmente,
citi la vicenda di Emilio Lepido nella sezione della sua opera relativa al 18 a.C., dunque
molto più tardi95. Tuttavia si possono circoscrivere i tempi della vicenda focalizzandosi su

90
I. COGITORE, cit., p. 60. Tacito esalterà la gens Emilia per aver fornito a Roma una moltitudine di
cittadini retti (ann. 6, 27, 4); al contrario, Rutilio Namaziano etichetterà i componenti di questa famiglia come
personaggi violenti (I 311-312). ἥull’appaὄteὀeὀὐa ἶi tali famiglie a ὅἵhieὄameὀti ἵὁὀὅeὄvatὁὄi e filὁ-
repubblicani cfr. F. CENERINI, Vivo igni devorato (Vell. Pat., II, 88, 3): gli strani suicidi di Porcia e
Servilia, in Ruri mea vixi colendo. Studi in onore di Franco Porrà, Ortacesus (Ca), 2012, pp. 110-111.
91
App. bel. civ. V 93, 391; Dio. XLIV 53, 6.
92
Dio. LIV 15, 4-5 ( πα υ υ α α , π
α α υ α α π φ α π υ α α α ,
α π ῖ α , ᾽ πῳ ῳπ π ).
93
I. COGITORE, cit., pp. 57-58.
94
Sen. clem. I 9, 6; Sen. brev. 4, 5; Svet. Aug. 19, 1; Rut. Nam. I 304; Appiano (bel. civ. IV 50, 215-219) non
approfondirà i fatti. Dione (LIV 15, 4, 5) affermerà che non è in grado di dire se sia vero o falso quanto è stato
sostenuto in passato sulle congiure.
95
Assai vaghi sono i riferimenti di Seneca (clem. I 9,6) e di Svetonio (Aug. 19, 1), che inseriscono Lepido,
ὀell’eleὀἵὁ ἶei ἵὁὀgiuὄati, tὄa ἥalviἶieὀὁ e εuὄeὀa, ἵὁὅì aἴἴὄaἵἵiaὀἶὁ uὀ vaὅtὁ aὄἵὁ tempὁὄale, ἵhe va ἶal ἂί
- 30 -
uὀ’iὀfὁὄmaὐiὁὀe di Appiano, secondo il quale, scoperte le intenzioni sovversive di Lepido,
questi venne inviato in Egitto, ad Azio, dove si trovava Ottaviano, a celebrare la vittoria96, e
lì giustiziato.
Pertanto si può affermare che la tentata congiura sia avvenuta poco prima o poco
dopo la fatidica battaglia del 2 settembre del 31 a.C., uno scontro che aveva sancito la fine
di Antonio e il definitivo trionfo di Ottaviano.
ἢὄὁpὄiὁ peὄ ὃueὅt’ultimὁ mὁtivὁ (il pὄevaleὄe ἶi uὀ ὅὁlὁ uὁmὁ a ἵapὁ ἶell’impeὄὁ),
la Rohr Vio ha fatto notare che è più plausibile collocare post-Azio la cospirazione di
Lepido, poiché si rivolgeva appunto contro un unico e ormai definito obiettivo: il solo
Ottaviano97. Siccome, nelle fonti, Marco Antonio è del tutto assente nel racconto dei fatti di
Lepido, si è anche pensato di posticipare la congiura, collocandola in una fase più tarda del
settembre 31, cioè quando la caduta dello stesso Antonio era ormai cosa fatta (1 agosto del
30 a.C.)98.
ἥyme affeὄma ἵhe ἡttaviaὀὁ aἵἵeleὄά il ὄieὀtὄὁ ἶall’ϋgittὁ, passando per Samo, non
solo per sedare le proteste dei veterani (così soccorrendo Agrippa), ma anche per questa
congiura ordita da Lepido: ipotizza, cioè, una datazione che corra tra la fine del 31 o al
massimo agli inizi del 30 a.C.99 εa l’iἶea ἶi ἥyme è fragile, a nostro avviso, se si considera
che nessuna fonte collega la protesta dei veterani alla cospirazione. E inoltre, seguendo il
suo ὄagiὁὀameὀtὁ ἵhe pὁὀe atteὀὐiὁὀe ὅul ὄieὀtὄὁ ἶi ἡttaviaὀὁ ὀell’Uὄἴe aὀἵhe peὄ via ἶella
congiura, risulterebbe inutile l’iὀviὁ ἶi δepiἶὁ aἶ χὐiὁέ
χὅὅai impὁὄtaὀte, peὄ megliὁ ὅtaἴiliὄe uὀ’eὅatta ἵὄὁὀὁlὁgia, è uὀ ἶatὁ ἵhe ἵi è
fornito da Appiano, secondo il quale il Lepido triumviro – padre del congiurato e marito
della moglie apparentemente coinvolta nel tentativo di cospirazione – tenta di difendere la

al 23-22 a.C.; Livio (per. 133, 1-3) infila la congiura nel libro che tratta del quadriennio 31-28 a.C.; Velleio
(II 88, 1) riferisce di un intervallo tra la battaglia di Azio (2 settembre 31 a.C.) e la fine della guerra di
Alessandria (1 agosto 30 a.C.); Appiano, infine, indica che Lepido cospirò sotto il consolato di Balbino e
mentre Ottaviano si trovava ad Azio, così alludendo al 31 a.C. (bel. civ. IV 50, 215-219).
96
App. bel. civ. IV 50, 217: Ἂ π π α α .
97
F. ROHR VIO, cit., 2000, p. 297.
98
ibidem. È verosimile che Lepido architettasse la sua azione sovversiva solo dopo aver saputo, a Roma, della
vittoria di Ottaviano.
99
R. SYME, The Roman cit., p. 298.
- 31 -
ἵὁὀὅὁὄte ἶall’aἵἵuὅa ἶuὄaὀte il ἵὁὀὅὁlatὁ ἶi ἐalἴiὀὁ, ἵhe ὅi iὀὅeἶia il pὄimὁ ὀὁvemἴὄe ἶel
30 a.C.100
Iὀ ἵὁὀἵluὅiὁὀe è peὄἵiά ἵὁὀἶiviὅiἴile l’iἶea ἶella ἤὁhὄ Viὁ, ἵhe ὅitua ἵὁὅì l’avviὁ
della congiura di Lepido alla morte di Antonio e pone il suo termine nei mesi del consolato
ἶi ἐalἴiὀὁ (ὁ ἵὁmuὀὃue pὄima ἶel ὄieὀtὄὁ ἶi ἡttaviaὀὁ a ἤὁma, fiὅὅatὁ ὀell’eὅtate ἶel ἀλ
a.C.), quando comunque il caso sembra definitivamente archiviato. Quindi, tutta la congiura
ὅaὄeἴἴe ὅpalmata ὀell’aὄἵὁ ἶell’aὀὀὁ ἁίμ uὀ mὁmeὀtὁ ἵὁὀὅiἶeὄatὁ aὀἵὁὄa pὄὁpiὐiὁ peὄ gli
ultimi istinti repubblicani.
χ ὀὁὅtὄὁ paὄeὄe pὄὁpὄiὁ l’iὀiὐiὁ ἶel ἀλ aέἑέ ὅemἴὄa eὅὅeὄe uὀa ἶata appὄὁpὄiataμ ὅia
per la nota appianea sul consolato di Balbino (incominciato alla fine del 30 a.C.), sia per la
situazione di indeterminatezza che in questa precisa fase ancora regnava a Roma (essendo i
vaὄi leaἶeὄ pὁlitiἵi impegὀati iὀ ὁὄieὀte), ὅia peὄἵhὧ ἡttaviaὀὁ ὅaὄeἴἴe ὄieὀtὄatὁ ὀell’eὅtate
ἶi ὃuell’aὀὀὁέ ϋ peὀὅaὄe a uὀa ἶataὐiὁὀe alta ὅigὀificherebbe pensare anche a un rientro da
Azio troppo rapido di Mecenate, il vero artefice dello spegnimento della congiura.
La vicenda di Lepido è peculiare nel panorama delle congiure contro Augusto
poiché il futuro princeps non si atterrà alla solita legislazione repubblicana, perseguendo il
giovane cospiratore secondo un iter giudiziario del quale non abbiamo tracce. Appiano
parlerà vagamente di delatori, dei quali però stavolta non specifica il nome101.
È pertanto verosimile che Ottaviano elimini Emilio Lepido senza esitazione e
agendo in prima persona (sebbene demandi tutto al suo braccio destro Mecenate): in quel
preciso momento storico, post-Azio e post-triumvirato, regnava il caos da un punto di vista
politico e legislativo, così che i comportamenti di uomini come Ottaviano non si
uniformassero al ὄiὅpettὁ ἶelle leggi ὄepuἴἴliἵaὀeν e l’aὐiὁὀe ἵὁὅì ἶeἵiὅa ἶel giὁvaὀe ἑeὅaὄe
fa intendere che Lepido rappresentasse realmente una minaccia al suo potere autoritario più
dei due presunti congiurati precedenti (Quinto Gallio e Salvidieno Rufo) e più degli altri
che verranno.

100
App. bel. civ. IV 50, 215-219. Balbino era probabilmente il soprannome di Lucio Senio Cicerone, che
prende il posto dei consoli suffecti Gaio Antistio Vetere e Marco Tullio Cicerone (Cfr. RE, I A 2, s.v. Seanius,
cc. 1722-1723; CIL I2 1, p. 66). La Cogitore (cit., p. 36, n. 66), interpretando Appiano, non identifica questo
Senio con Balbino. Anche V. GARDTAHUSEN (in Augustus, I2, pp. 246-247) identifica Balbino con un
altro personaggio, e cioè Gneo Pompeo.
101
App. bel. civ. IV 50, 218.
- 32 -
Una congiura stroncata sul nascere, dunque, quella di Lepido, che pare non abbia
rappresentato un pericolo oggettivo per la vita di Ottaviano, ma che «per la sua
connotazione stavolta politiἵa miὀaἵἵiά ἶi iὀἵὄiὀaὄe l’immagiὀe ἵhe ἡttaviaὀὁ iὀteὀἶeva
promuovere di sé e del proprio governo»102. La gravità del complotto risulta evidente anche
per il perdono che il futuro princeps non concederà al congiurato e per la fermezza nella
condanna di Lepido, senza clemenza (clemenza che mostrerà in altre congiure future).
Così è Mecenate, in veste di praepositus urbis custodis e in modo tanto accorto
quanto efficiente, a perseguire Lepido e ad agire in prima persona per evitare la sua azione
sovversiva, peraltro palesando ormai un grado altissimo di controllo interno a Roma e un
impiego, da parte di Ottaviano, della giurisdizione quasi personale. Mecenate sospettò
anche dei genitori del congiurato: non coinvolse il padre, che non fu implicato per la sua
posizione di pontefice massimo e per via di ciò che aveva rappresentato nel passato, ma
perseguì la madre, accusata di connivenza103 (a conoscenza dei piani del figlio, Giunia
aveva tenuto segreti gli intenti di Lepido).
Così la donna aveva atteso il rientrὁ ἶi ἡttaviaὀὁ ἶall’ϋgittὁ, ὅeἵὁὀἶὁ le fὁὀti, peὄ
essere giudicata104μ ὅia l’atteὅa ἶi ὃueὅtὁ pὄeὅuὀtὁ giuἶiὐiὁ a ἤὁma (ἵὁmuὀὃue, iὀ ὃuaὀtὁ
matrona, Giunia non poteva essere condotta a forza, seguendo Appiano)105, sia la grazia
successiva, sarebbero da addebitare alle intermediazioni del Lepido ex triumviro, il quale
pare fosse davvero estraneo al complotto del figlio se Ottaviano non riuscì nemmeno a
ὅὁttὄaὄgli l’amἴita ἵaὄiἵa ἶi pὁὀtefiἵe maὅὅimὁ106.
δe fὁὀti, ἵὁὀ vὁἵe uὀaὀime, ὅἵiὁlgὁὀὁ l’aὐiὁὀe ἶi δepiἶὁ ἶa qualsiasi connotazione
politica, sminuendone la portata e limitando alla semplice eliminazione fisica di Ottaviano
l’ὁἴiettivὁ ἶella ἵὁὀgiuὄa, ὀὁὀ ἵὁὀ ὅἵὁpi ἶi ὄitὁὄὀὁ al gὁveὄὀὁ ὄepuἴἴliἵaὀὁ (δiviὁ è l’uὀiἵὁ
ἵhe paὄleὄὡ ἶi “ἵὁὀgiuὄa”)107. Ma proprio la menzione di Giunia Seconda108, come detto

102
F. ROHR VIO, cit., 2000, p. 322.
103
Data la sua condizione femminile, che non le permetteva di agire come soggetto politico, Giunia non
avὄeἴἴe pὁtutὁ ὅuἴiὄe uὀ’aἵἵuὅa peὄ ἵὁmpliἵitὡ, e veὀὀe ἵὁὅì peὄὅeguita peὄ ὁmeὄtὡέ
104
Vell. II 88, 2; App. bel. civ. IV 50, 216.
105
App. bel. civ. IV, 50, 217.
106
App. bel. civ. IV 50 215-218. Secondo Appiano, Lepido si era umiliato presso il console Balbino cercando
ἶi ἵὁὀviὀἵeὄlὁ ὄiἵὁὄἶaὀἶὁgli ἵhe iὀ paὅὅatὁ, iὀ ὃualitὡ ἶi tὄiumviὄὁ, aveva eὅἵluὅὁ ἐalἴiὀὁ ὅteὅὅὁ ὀell’eleὀἵὁ
dei proscritti.
107
Liv. per. 133, 3.
- 33 -
Bruti sorore natus109, ὅuggeὄiὅἵe uὀὁ ὅtὄettὁ ἵὁllegameὀtὁ tὄa l’aὐiὁὀe ἶi δepiἶὁ e gli iἶeali
repubblicani rappresentati da quel ramo materno. Pare anzi che lo stesso Lepido, molto
giovane, avesse trascorso un periodo a casa di Bruto, dopo il cesaricidio110, malgrado Dione
non lo citi per nome.
ϋ ὅalta ὅuἴitὁ all’ὁἵἵhiὁ uὀ’aὀalὁgia tὄa le mὁὄti ἶi ἶue ἶὁὀὀeμ la mὁglie ἶi ἐὄutὁ
(ormai spacciato a Filippi), Porcia, e dello stesso Lepido, Servilia111, ambedue suicide per
l’iὀgὁiὁ di carboni ardenti, ambedue disperate dopo la dipartita dei rispettivi mariti112.
È evidente che Servilia, figlia di Giunia (e quindi nipote per parte di madre di
Bruto)113, avesse scelto la sua fine ispirandosi alla compagna del Cesaricida. E Porcia,
seguendo Plutarco, aveva rivendicato per sé una profonda condivisione degli ideali politici
del marito, convinta che non bastasse essere una semplice concubina114.
Del resto la definizione dei carboni ardenti, detti castissimi da Valerio Massimo115
ed emblemi del focolare domestico (a contraddistinguere il modello ideale della donna
repubblicana), è allusione neanche troppo velata a quella castitas che era una delle

108
Giunia, nipote di Marco Porcio Catone, era sorellastra di Bruto in quanto la madre Servilia aveva sposato
in prime nozze Marco Giunio Bruto. La sorella di Giunia sposò invece Gaio Cassio Longino, tra i più
importanti complici di Bruto nella fatidica giornata delle Idi di marzo del 44. Cfr. L HAYNE, M. Lepidus and
his Wife, Latomus, 33, 1974, p. 76; M. L. CLARKE, The Noblest Roman. Marcus Brutus and his Reputation,
London, 1981, passim; F. CENERINI, 2012, cit., p. 103.
109
Vell. II 88, 1.
110
Dio. XLIV 22.
111
Uὀ pὁ’ faὀtaὅiὁὅa l’ipὁteὅi ἶi ἤέ ἕέ ἦχἠἠϋἤ (Some Problems in Aeneid 7-12, «PVS», 10, 1970-1971, p.
42), che affianca Servilia a Lavinia, in quanto la moglie di Lepido, per lo studioso, sarebbe presente
ὀell’ὁpeὄa ἶi Viὄgiliὁ ὀelle veὅti ἶella ὅpὁὅa ἶi ϋnea.
112
Plut. Brut. 53,5; App. bel. civ. IV 136, 574; Dio. XLVII 49, 3; Val. Max. IV 6, 5. Per un quadro dettagliato
della vicenda cfr. F. ROHR VIO, Strategie autocensorie e propaganda politica augustea: la morte di Servilia
nel racconto di Velleio, in G. CRESCI MARRONE (a cura di), Temi augustei, Amsterdam, 1997, pp. 93-98.
V. anche J. D. EHRLICH, Suicide in the Roman Empire: an Historical, Philosophical and Theological Study,
Missouri, 1983, pp. 100-101; A. J. L. VAN HOOFF, From Autothanasia to Suicide, London-New York,
1990, pp. 63-64. ἥeἵὁὀἶὁ Yέ ἕἤIἥϋ, ἵitέ, pέ ἀἆἂ, ἢὁὄἵia peὄì peὄ l’iὀalaὐiὁὀe ἶi vapὁὄi tὁὅὅiἵi, e ὀὁὀ peὄ
l’iὀgeὄimeὀtὁ ἶi ἵaὄἴὁὀi aὄἶeὀti, ἵὄeἶeὀἶὁ ἵhe il ὅuὁ geὅtὁ ἶeὄivaὅὅe ὅempliἵemeὀte ἶall’iὀἵapaἵitὡ ἶi
sopravvivere alla morte del maritὁ, e ὀὁὀ peὄ ἵὁὄὄὁἴὁὄaὄe l’iἶea ἶella ὅua aἶeὅiὁὀe a iἶeali filὁ-repubblicani.
113
Servilia era stata promessa a Ottaviano quando questi era ancora molto giovane. Ma per strategie politiche
lo stesso Ottaviano aveva ripiegato su Claudia, figliastra di Antonio. Cfr. Svet. Aug. 62, 1.
114
Plut., Brut., 13, 7. Plutarco narra che Porcia si ferì a una coscia per mostrare al marito quanto
coraggiosamente riuscisse a sopportare il dolore. Anche Marziale rimane colpito dal gesto di Porcia (Mart. I,
42).
115
Val. Max., IV, 6, 5.
- 34 -
maggiori virtù della matrona repubblicana; una castità non solo mera fedeltà fisica al
marito. I carboni, emblemi del focolare domestico116.
Ma le fonti, tese a mettere in cattiva luce Lepido e tutta la sua famiglia, non
propongono il paragone. Velleio, anzi, si rende partecipe di un bizzarro raffronto
comparando la morte di Servilia con quella di Calpurnia, mὁglie ἶi χὀtiὅtiὁ, aὀἵh’eὅὅa
mὁὄta ὅuiἵiἶa ἶὁpὁ aveὄ ὅaputὁ ἶell’uἵἵiὅiὁὀe ἶel maὄitὁ, ὅtavὁlta tὄafittaὅi ἵὁὀ uὀa ὅpaἶa
(gladio se ipsa transfixit)117. Ma Velleio, nella sua narrazione, crea un parallelo tra
ἑalpuὄὀia e ἥeὄvilia puὀtaὀἶὁ il ἶitὁ ὅull’aὐione delle due donne scaturita da un forte amore
coniugale118.
Eppure è chiaro che lo storico campano, citando la causa della morte (i carboni
ardenti), crei un involontario e più immediato parallelismo con Porcia, il cui suicidio aveva
avuto chiaramente una connotazione anche politica, e non era stato solo segno di amore
coniugale119. Difatti la moglie di Bruto si toglie la vita dopo aver saputo della morte del
marito, ma anche, come fa notare Appiano120, di quella del fratello (Catone minore, altro
portavoce importante delle idee repubblicane) e della sconfitta di Filippi, simboleggiante il
definitivo fallimento di un governo repubblicano121, come invece narra Valerio Massimo122.

116
Cfr. F. CENERINI, 2012, cit., pp. 110-112. Sempre la Cenerini (p. 113 ss.) annota altri analoghi esempi di
ὅuiἵiἶiὁ “eὄὁiἵὁ” femmiὀile ἶel peὄiὁἶὁ impeὄialeέ
117
Vell. II 26, 2. Anche Plutarco (Pomp. 9, 4) citerà in modo stringato la morte di Calpurnia. Aequetur
praedictae iam Antistii Servilia Lepidi uxor, quae vivo igni devorato praematura morte immortalem nominis
sui pensavit memoriam (Vell. II 88,3).
118
Dello stesso avviso è Y. GRISÉ, Le suicide dans la Rome antique, Montréal-Paris 1981, pp. 38, 41-42.
119
Cfr. C. CL. BARINI, L’esaltazione poetica e la critica degli storici moderni intorno a Porcia moglie di
Bruto, «RAL» 1, 1925, pp. 30-39. Secondo alcuni studiosi, Porcia ebbe un importante ruolo politico, al fianco
del marito, come testimonia aὀἵhe l’iὀἵὁὀtὄὁ pὄivatὁ ἵὁὀ ἑiἵeὄὁὀe ἵhe eἴἴe ἐὄutὁ ὀel ἂἂ aέἑέ, aἶ χὀὐiὁέ ἑfὄέ
M. L. CLARKE, cit., pp. 29-37; R. SCUDERI, Mutamenti della condizione femminile a Roma nell’ultima età
repubblicana, in Civiltà classica e cristiana, 3, 1982, p. 67.
120
App. bel. civ. IV 136, 574. Anche Nicolao di Damasco avrebbe riferito della morte di Porcia per ingestione
di carboni ardenti, come scrive Plutarco (Brut. 53, 5-7), ma la sua testimonianza è andata perduta.
121
Uὀ aἵἵeὀὀὁ ὀell’epiὅtὁlaὄiὁ ἵiἵeὄὁὀiaὀὁ (ad. Brut. I 9, 1-2) a un grave lutto patito da Bruto nel giugno del
43 a.C. potrebbe far pensare a Porcia (così R. Y. TYRRELL – L. C. PURSER, cit., pp. 281-283), così
retrodatandone la morte e svincolandola da qualsiasi motivazione prettamente politica. Ma è molto probabile
che questa morte a cui si fa riferimento sia quella della figlia (cfr. E. SCHELLE, Der neueste Angriff auf die
Echtheit der Briefe ad M. Brutum, ἒὄeὅἶeὀ, 1ἆλἄ, pέ ἁἀ)έ χltὄὁ aἵἵeὀὀὁ a ἢὁὄἵia è pὄeὅeὀte iὀ uὀ’altὄa letteὄa
di Bruto, stavolta ad Attiἵὁμ il ἑeὅaὄiἵiἶa è ὅὁllevatὁ ἶal fattὁ ἵhe l’amiἵὁ ὅi ὅtia pὄeὀἶeὀἶὁ ἵuὄa ἶella mὁglieμ
Valetudinem Porciae meae tibi curae esse non miror (ad. Brut. I 17, 7). Plutarco parla, invece, di una lettera
in cui Bruto avrebbe biasimato gli amici per aver abbandonato Porcia, malata e vicina alla morte (Brut. 53, 5-
7): ma la sua testimonianza contrasta con quella suddetta, nella missiva rivolta ad Attico.
122
Val. Max. IV 6, 5.
- 35 -
ἑὁὅì, puὄ ὀell’iὀteὀὐiὁὀe ἶi maὅἵheὄaὄe la viἵiὀaὀὐa ἶell’attὁ ἶi ἥeὄvilia ἵὁὀ ὃuellὁ
di Porcia, citando il superfluo episodio di Calpurnia (facente parte peraltro di un contesto
troppo lontano, con la lotta tra mariani e sillani, a inizio I secolo a.C.), e pur volendo
ὅἵiὀἶeὄe il ὅuiἵiἶiὁ ἶi ἥeὄvilia ἶall’aὐiὁὀe ἶi δepiἶὁ al fiὀe ἶi ἵὁpὄire le loro più che palesi
intenzioni politiche, Velleio in qualche modo compie un depistaggio discutibile nel
tentativo di difendere la vulgata di regime123.
δὁ ὅteὅὅὁ Velleiὁ, al paὄi ἶi ἥvetὁὀiὁ, teὀἶeὄὡ a ὅmiὀuiὄe l’immagiὀe ἶi ϋmiliὁ
Lepido presentandolo come iuvenis (uὀ giὁvaὀe ἶi ἴell’aὅpettὁ e pὁveὄὁ iὀtellettualmeὀte),
in un mondo – quello romano – in cui la senilità era considerata una grande virtù. Tutta
l’aὐiὁὀe ἶi δepiἶὁ ὅaὄὡ aὀὐi ὄiἵὁὀἶὁtta a ὅtὄaὀi ἴiὅὁgὀi ἶi ὄivalὅa peὄὅὁὀale e a
enfatizzazioni ingiustificate, nel racconto delle fonti. Ma il mancato perdono accordato al
congiurato, esattamente come già avvenuto per Cassio Parmense (uno degli assassini di
Cesare, che non aveva rinnegato il suo passato), sottintendeva al contrario tutta la portata
iἶeὁlὁgiἵa ἶell’aὐiὁὀe ἶi δepiἶὁέ
In generale la sua velleitaria cospirazione, della quale non si sa tuttavia nulla nel
dettaglio, mostra come a Roma, appena dopo Azio, fosse ancora tecnicamente possibile, o
comunque auspicabile, una situazione di goverὀὁ alteὄὀativa all’ὁὄmai immiὀeὀte
principato augusteo. E mostrava anche come gli accordi che Ottaviano aveva preso con la
nobilitas, irrobustiti già dal matrimonio con Livia nel 38 a.C. e con il perdono concesso ad
ex nemici politici, non aveva ancora condotto a una sicura e duratura armonia interna.
ἑὁme veἶὄemὁ, ὅaὄὡ ἵὁὀ i pὄὁvveἶimeὀti iὅtituὐiὁὀali pὄeὅi all’iὀiὐiὁ ἶel ἀἅ aέἑέ e
ἵὁὀ l’elimiὀaὐiὁὀe ἶel pὄefettὁ ἶ’ϋgittὁ ἑὁὄὀeliὁ ἕallὁ, aὀἵh’egli aἵἵuὅatὁ iὀgiuὅtameὀte
di congiura, che Ottaviano giungerà a un più pieno equilibrio tra le parti, scansando quasi
definitivamente ogni ambizione di restauro repubblicano. Sarà la maggiore ricerca di questo
equilibrio, anzi, il precipuo obiettivo di Ottaviano, scaturito proprio dal tentativo criminoso
di Lepido.
Dopo quattro anni, e dopo la congiura architettata da Cepione, Murena e da altri
sconosciuti complici nel 23 a.C., le cospirazioni – vere o presunte – ai danni di Augusto si

Per un approfondimento della viἵeὀἶa ἶi ϋmiliὁ δepiἶὁ ὀell’ὁpeὄa ἶellὁ ὅtὁὄiἵὁ ἶ’etὡ tiberiana cfr. F.
123

ROHR VIO, Marco Emilio Lepido tra memoria e oblio nelle Historiae di Velleio Patercolo, in Rivista di
- 36 -
configureranno, come detto, più come attentati alla sua persona che come tentativi di un
ritorno alle vecchie istituzioni repubblicane (a parte, forse, il discusso caso di Cornelio
Cinna).

cultura classica e medievale, 46, 2004, pp. 231-252.


- 37 -
CAPITOLO III

Gaio Cornelio Gallo: un altro sacrificio per l’equilibrio del neonato


principato.

«Tu quoque, si falsum est temerati crimen amici


Sanguinis atque animae prodige Galle tuae»
(Ov. am. 3, 9, 63-64)

Tra il 27 e il 26 a.C.124, un personaggio popolare del tempo, Cornelio Gallo125, si


toglie la vita dopo essere stato inquisito, sottoposto a processo, e dopo aver subìto la

* Per la congiura di Cornelio Gallo si veda l'appendice delle fonti da p. 135.


124
Cassio Dione (LIII 23,5-ἀἂ,ἁ) ἵὁllὁἵa l’epiὅὁἶiὁ ἶi ἑὁὄὀeliὁ ἕallὁ ὀella ὅeὐiὁὀe ἶella ὅua ὁpeὄa ὄelativa
all’aὀὀὁ ἀἄ aέἑέ, ἕeὄὁὀimὁ (ώieὄέ Chron. ad ann.) sposta la sua morte al 27. J.-P. BOUCHER (Caius
Cornelius Gallus, Paris, 1966, pp. 5-6) propende per una cronologia bassa, mentre B. MANUWALD (Cassius
Dio und Augustus, Wiesbaden, 1979, pp. 111-112) è per una cronologia alta, così L. J. DALY – W. L.
REITER (The Gallius Affairand Augustus’ lex Iulia maiestatis: a Study in Historical Chronology and
Causality, in Studies in Latin Literature and Roman History, ed. C. Deroux, Brussels, 1979, n. 19, pp. 290-
295). È probabile, comunque, che Gallo fosse caduto in disgrazia appena dopo la regolamentazione del potere
augusteo avvenuta a inizio gennaio del 27, e morto nel 26, come afferma anche F. ROHR VIO (Gaio Cornelio
Gallo nella poesia augustea tra storia e propaganda, in Le poète irrévérencieux, Modèles hellénistiques et
réalités romaines, Edition CERGR, 2009, pp. 65-78).
125
Cornelio Gallo nasce nel 69 a.C. a Forum Iulii, iὀ ἕallia, fὁὄὅe l’ὁἶieὄὀa Vὁgheὄa (ἵfὄέ ἤέ ἥYεϋ, The
Origin of Cornelius Gallus, «CQ», 32, 1938, pp. 39-44). Amico di Asinio Pollione (Cic. fam. 10, 32, 5) e di
Virgilio (Prob. proelium ad ecl. pέ ἁἀἆ), e appaὄteὀeὀte all’eὀtὁuὄage ἵiἵeὄὁὀiaὀὁ, era stato dapprima un uomo
di Antonio (dopo la conclusione del secondo triumvirato), per passare successivamente al partito ottiavaneo,
forse al tempo della guerra di Perugia. Era un uomo che, nel caos della tarda repubblicana e delle guerre
- 38 -
confisca dei suoi beni e ricevendo la ἵὁὀἶaὀὀa all’eὅiliὁέ εa aὀἵhe ἕallὁ – che era stato in
assoluto il primo praefectus Alexandreae et Aegypti126, nonché per anni valente
collaboratore di Ottaviano in terra nilotica – ὅuἴiὄὡ uὀ’aἵἵuὅa pὄeteὅtuosa e sarà eliminato
secondo procedure e dinamiche che molto ricordano da vicino quelle già adottate per
Quinto Gallio e Salvidieno Rufo: come accaduto per questi altri due casi, Cornelio Gallo
verrà rimosso per spianare la strada ad Ottaviano e al raggiungimento dei suoi fini politici,
in una fase in cui il principato in quanto tale si stava ormai plasmando in maniera
iὀaὄὄeὅtaἴile e iὀ ἵui eὄa ὀeἵeὅὅaὄia uὀ’aὄmὁὀiὐὐaὐiὁὀe tὄa la fὄaὀgia eὃueὅtὄe e la nobilitas
(già evidenziata dal matrimonio con Livia Drusilla nel 38 a.C.).

civili, aveva fatto carriera schierandosi dalla parte vincente, quella cesariana. Per Ottaviano, Gallo aveva
combattuto in Africa e in Egitto (Dio LI, 9, 1-4; Oros. hist. 6, 19, 15), ed era stato praepositus ad exigendas
pecunias nella Transpadana e praefectus fabrum nella guerra contro Antonio. Aveva peraltro distribuito terre
ai veterani assieme a Pollione e Alfeno Varo, probabilmente nei campi di Mantova, formando una
commissione di triumviri agris dividundis (cfr. Don. vita Verg.; Philarg. II ad ecl. I; Prob. ad. ecl. et georg.).
ἕallὁ tὁὄὀa aὀἵhe ὀegli ὅἵὄitti ἶi ἥeὄviὁ ἶi ἒaὀiele, peὄ la ὄiὅἵὁὅὅiὁὀe ἶi uὀ’impὁὅta iὀ ἦὄaὀὅpaἶaὀa (ἵfὄέ ἥeὄvέ
Dan. ad. ecl. IX 10). Sul tema della distribuzione delle terra e sulla figura di Cornelio Gallo anche nel
contesto dei suoi cambiamenti di orientamento politico v. F. ROHR VIO, cit., 2000, pp. 48 ss.
126
ἥὁὄtὁ ἵὁme pὄὁviὀἵia ὀel ἁίήἀλ aέἑέ, l’ϋgittὁ, fὁὀἶameὀtale gὄaὀaiὁ ἶi ἤὁma, fu la pὄima pὄὁviὀἵia
ὀeὁἵὁὅtituita ὅu ἵui ἡttaviaὀὁ eἴἴe l’imperium esclusivo e illimitato, la prima provincia Caesaris. La
ἵὄeaὐiὁὀe ἶel pὄefettὁ ἶ’ϋgittὁ è, pὄima aὀἵὁὄa ἶi altὄi ὀeἵeὅὅaὄi pὄὁvveἶimeὀti auguὅtei (pὄeὅi tὄa il ἀἅ e il
23), un momento di rottura con la tradizione istituzionale repubblicana. Questa nuova carica era stata, del
resto, legittimamente sancita da una legge del popolo, ma non divenne un modello, rimanendo bensì un
unicum, prototipo di una categoria di province rette da equites che si manifesterà, eccetto che per la Sardegna
(ma ἶὁpὁ ὃuaὄaὀt’aὀὀi), ὅὁlὁ a paὄtiὄe ἶa ἑlauἶiὁ, e iὀ fὁὄme diverse. Ottaviano doveva tornare al più presto a
ἤὁma, peὄ ἵὁὀtὄὁllaὄe la ἵlaὅὅe ἶiὄigeὀte e guiἶaὄe gli ὅviluppi pὁlitiἵiμ l’ipὁteὅi ἶi gὁveὄὀaὄe iὀ pὄima peὄὅὁὀa
la teὄὄa ὀilὁtiἵa eὄa ἶuὀὃue impὄatiἵaἴile, e l’avὄeἴἴe peὄaltὄὁ aἶἶitatὁ ἵὁme il “ὀuὁvὁ χὀtὁὀiὁ”, ἶimeὀtiἵὁ
della sua patria. Una scelta proconsolare assicurava, al tempo stesso, poche certezze: sconveniente era dare la
piὶ gὄaὀἶe pὄὁviὀἵia ἶ’ἡὄieὀte a uὀ ὅeὀatὁὄe, ἵhe, peὄ ὃuaὀtὁ iὀἶiἵatὁ ἶallὁ ὅteὅὅὁ ἡttaviaὀὁ, ὅaὄeἴἴe ὅtatὁ
munito di un imperium proprio, sciolto da ogni vincolo istituzionale. La storiografia successiva ha
iὀiὐialmeὀte pὄefeὄitὁ veἶeὄe la ὀuὁva iὅtituὐiὁὀe ἵὁme fὄuttὁ ἶi uὀ’eὅigeὀὐa iὀteὄὀa, eὄgὁ pὄettameὀte
egiziana, per via delle tendenze teocratiche del paese e del fascino ancestrale ancora vivo della regalità
faὄaὁὀiἵaέ ἒi ὅiἵuὄὁ la ὀatuὄa ὁὄigiὀaὄia ἶella pὄefettuὄa ἶ’ϋgittὁ ἵi ὄipὁὄta a uὀa ὅfeὄa militaὄeμ ἑὁὄὀeliὁ ἕallὁ
era un dux a capo di diverse legioni, che contribuirono alla conquista del paese. Del resto Gallo stesso compì
campagne nel sud del Paese, a dimostrazione del ruolo importante nella strategia di espansione e
consolidamento del potere romano: nella Tebaide, dove aveva conquistato cinque città, spingendo poi
l’eὅeὄἵitὁ ὁltὄe la pὄima ἵateὄatta ἶel ἠilὁ, ἵὁὀtὄattaὀἶὁ ἵὁὀ il viἵiὀὁ ὄe ἶell’ϋtiὁpia (ἵfὄέ ἥtὄaἴέ XVII 1, ηἁ)έ
δa pὄefettuὄa ἶ’ϋgittὁ ὄieὀtὄava, ἵὁmuὀὃue, iὀ ὃueὅtὁ pὄὁgὄammaμ aὅὅiἵuὄaὄe a ἡttaviaὀὁ uὀ ὄuὁlὁ ἶi
tὄaghettatὁὄe ἶel teὅὁὄὁ tὁlemaiἵὁ ὀelle ἵaὅὅe ἶell’aerarium, di promotore della pace sociale e di garante
ἶell’affluὅὅὁ aὀὀὁὀaὄiὁ ἶell’Uὄἴe (al ἵὁὀtὄaὄiὁ ἶell’affamatore Pompeo), dilaniata dalle guerre civili. La legge
non istituì una magistratura, ma uno strumento perpetuo di governo in assenza della stessa. Il provvedimento
assicurava l'imperium ὅu χleὅὅaὀἶὄia e ὅull’ϋgittὁ a ἡttaviaὀὁ, il ὃuale a ὅua vὁlta avὄeἴἴe pὁtutὁ ἶelegaὄlὁ a
un prefetto, che era pertanto nella condizione di privatus cum imperio. Cfr. D. FAORO – G. GERACI, Genesi
della provincia romana d’Egitto, Bologna, 1983; D. FAORO, Praefectus, procurator, praeses. Genesi delle
cariche presidiali equestri nell’Alto Impero romano, Firenze, 2011.
- 39 -
ἥὁὀὁ ὄiἵἵhe e mὁltepliἵi le teὅtimὁὀiaὀὐe letteὄaὄie a ὀὁi giuὀte ὅull’iὀteὄa viἵeὀἶa
ἶel pὄefettὁ ἶ’ϋgittὁ127, quasi tutte posteriori ai fatti, eccetto Ovidio, sola voce coeva agli
eventi e, tra tutte, la più interessante, poiché ipotizza velatamente, almeno negli Amores,
una non colpevolezza del praefectus Aegyptiμ ὃui ἕallὁ è ὄappὄeὅeὀtatὁ ἵὁme “pὄὁἶigὁ ἶel
ὅuὁ ὅaὀgue e ἶella ὅua vita”, ὀell’alluὅiva ὁὅὅeὄvaὐiὁὀe ἵhe fὁὅὅe iὀfὁὀἶata l’aἵἵuὅa ἶi aveὄ
ὁffeὅὁ l’amiἵὁ (ἡttaviaὀὁ)128; nei Tristia, che invece risalgono a un periodo posteriore alla
relegatio dello stesso Ovidio per le sue frequentazioni con circoli anti-ottiavanei, si
attribuisce la caduta in disgrazia di Gallo alla sua incapacità di tenere la bocca chiusa sotto
l’effettὁ ἶel viὀὁ, ἵὁὅì ἶa faὄ iὀteὀἶeὄe ἵhe il pὄefettὁ ἶ’ϋgittὁ aveὅὅe eὅpὄeὅὅὁ giuἶiὐi
severi e sconsiderati su un personaggio che assai probabilmente era lo stesso Ottaviano,
senza però attentare in altro modo alla sua vita129.
La voce ovidiana è molto importante non solo perché coeva ai fatti, ma anche
peὄἵhὧ pὄὁpὄiὁ a ὃuel tempὁ il pὁeta ὄὁmaὀὁ paὄe viveὅὅe, ἵὁme ἶettὁ, ὀell’amἴieὀte ἶi
personaggi apertamente dissenzienti nei confronti della politica augustea, quali Iullo
Antonio e Gaio Cesare: uomini che, come vedremo, saranno coinvolti nello scandalo di
Giulia Maggiore130. Lo stesso Ovidio, del resto, sarà allontanato da Roma per via del suo
ἶiὅὅeὀὅὁ pὁlitiἵὁ eὅpὄeὅὅὁ aἴἴaὅtaὀὐa apeὄtameὀte ὀell’Ars amatoria, e isolato a Tomi,
ὀell’ἆ ἶέἑέ131

127
Ov. am. 3, 9, 63-64; Ov. trist. 2, 445-446; Svet. Aug. 66; Svet. gramm. 16, 1-12; Dio. LIII, 23-24; Dio LIV
15, 4-5; Serv. ecl. 10, 4-9; Amm. 17, 4-5; Liv. per. 133,3; Sen. brev. 4,5; Rut. Nam. I 304; App. bel. civ. IV
50, 215-219.
128
Tu quoque, si falsum est temerati crimen amici / Sanguinis atque animae prodige Galle tuae (Ov. am. 3, 9,
ἄ, ἄἂ)έ ἠὁὀ ὅemἴὄaὀὁ eὅὅeὄἵi ἶuἴἴi ὅull’iἶeὀtitὡ ἶell’amicus. La parola prodigus alluderebbe a un sacrificio, a
uὀa mὁὄte ὀὁὀ ὀeἵeὅὅaὄiaέ ἒὁpὁ l’aἵἵuὅa, ἡttaviaὀὁ aveva pὄὁἵeἶutὁ ἵὁὀ la renuntiatio amicitiae, ossia con
l’iὀteὄὄuὐiὁὀe ἶi ὃualὅiaὅi ὄappὁὄtὁ peὄὅὁὀale e pὁlitiἵὁ ἵὁὀ ἕallὁ (ἥvetέ Aug. 66,3; Dio LIII, 23, 6).
129
Ov. trist. 2, 445-446. Non fuit obprobrio celebrasse Lycorida Gallo / Sed linguam nimio non tenuisse
mero. Il vocabolo obrobrium iὀἶiἵa uὀ ἶeteὄiὁὄameὀtὁ ἶ’immagiὀeέ Iὀ geὀeὄale ὅul tema ὅi veἶa
l’appὄὁfὁὀἶita aὀaliὅi ἶi ἔέ ἤἡώἤ VIἡ, Non fuit obprobrio celebrasse Lycorida Gallo. Ovidio e la memoria
di Gaio Cornelio Gallo, in SILENO, 20, 1994, pp. 305-316; G. ZECCHINI, Il primo frammento di Cornelio
Gallo e la problematica partica nella poesia augustea, «Aegyptus», 60, 1980, pp. 138-148. Il tema
ἶell’ebrietas legava χὀtὁὀiὁ agli altὄi ὅigὀὁὄi ἶell’ϋgittὁ (ἶai ἦὁlὁmei fiὀὁ aἶ aὄὄivaὄe aἶ χleὅὅaὀἶὄὁ εagὀὁ)μ
e su questo tema portante si fondava spesso la propaganda augustea, dedito Ottaviano a una maggiore
sobrietà.
130
ἑfὄέ ἤέ ἥYεϋ, iὀ “ἤὁmaὀ ἢapeὄὅ”, ἁ, ἡxfὁὄἶ, 1λἆἂ, ppέ λἀἀ-924.
131
Cfr. A. W. J. HOLLEMANN, Ovid and Politics, “ώiὅtὁὄia”, ἀί, 1λἅ1, ppέ ἂηἆ-466; E. PIANEZZOLA,
Conformismo e anticonformismo politico nell’Ars Amatoria di Ovidio, «QIFL», 2, 1972, pp. 37-58.
- 40 -
Proprio al suo confino va ascritto il cambio di opinione su Cornelio Gallo, ossia il
passaggio da posizioni innocentiste (negli Amores, risalenti al 19-18 a.C., un periodo in cui
il pὁeta pὁteva aὀἵὁὄa ἵὁὀtaὄe ὅu uὀa ἵeὄta liἴeὄtὡ ἶ’eὅpὄeὅὅiὁὀe) a iὀἵliὀaὐiὁὀi piὶ
colpevoliste: i Tristia contengono una captatio benevolentiae di Ovidio nei confronti di
Ottaviano, al fine di ingraziarselo e così garantirsi un ritorno a Roma.
A differenza di Ovidio, che dunque parrebbe suggerire nei suoi scritti una presunta
innocenza di Gallo, il resto delle fonti letterarie è unanimemente concorde sulla sua
colpevolezza ai danni di Ottaviano, benché possano delinearsi tre filoni alternativi sulle
cause della caduta in disgrazia del praefectus Aegypti, come ha analizzato giustamente la
Rohr Vio132.
Svetonio, Dione e lo stesso Ovidio farebbero risalire la punizione di Gallo al suo
comportamento tenuto in terra nilotica in qualità di prefetto, malgrado in parte svelino
l’iὀἵὁὀὅiὅteὀὐa ἶelle aἵἵuὅe a ὅuὁ ἵaὄiἵὁμ uὀ ἵὁmpὁὄtameὀtὁ ἴὁὄiὁὅὁ eἶ eἵἵeὅὅivὁ,
evocativo del precedente detentore del potere in Egitto, cioè Antonio, o comunque non
allineato alle correnti ottavianee.
ἠellὁ ὅpeἵifiἵὁ, ἥvetὁὀiὁ ὄaἵἵὁὀteὄὡ ἶell’ὁὅpitalitὡ ὁffeὄta ἶa ἕallὁ al gὄammatiἵὁ
Cecilio Epirota (educatore di Cecilia, moglie di Agrippa), quando lo stesso Epirota, liberto
di Attico, era sospettato di aver intrecciato un rapporto sentimentale con Cecilia; esonerato
dal suo incarico, Epirota si era rifugiato in Egitto da Gallo, il quale, accogliendolo, aveva
mostrato scarso rispetto verso Agrippa, braccio destro di Ottaviano133.
εa l’iὀteὄa viἵeὀἶa è ὅtὄumeὀtaliὐὐata ὀella pagiὀa ὅvetὁὀiaὀa, fὁὄὅe a pὁὅteὄiὁὄi, iὀ
considerazione del fatto che Agrippa sposa Cecilia nel lontano 37 a.C., prendendo in
moglie, in seconde nozze, Marcella, nel 28 aέἑέμ è peὄtaὀtὁ aὅὅai pὄὁἴaἴile ἵhe l’ὁὅpitalitὡ
di Gallo ad Epirota avvenga prima della caduta in disgrazia del praefectus Aegypti, o

132
Cfr. F. ROHR VIO, cit., 2000, pp. 148-149.
133
Cfr. Cic. Att. III ἀί, 1έ δa ἤὁhὄ Viὁ fa ὀὁtaὄe ἵὁme ϋpiὄὁta fὁὅὅe mὁltὁ pὄὁἴaἴilmeὀte legatὁ ὀell’Uὄἴe a
gὄuppi «laὄvatameὀte ὅὁvveὄὅivi e ἶi ὁὄieὀtameὀtὁ iἶeὁlὁgiἵὁ aὀtὁὀiaὀὁ»έ ἕiὡ il ὀὁme, ὄiἵhiamaὀte l’ϋpiὄὁ,
farebbe pensare a circoli di orientamento antoniano per i contatti col mondo greco. Cfr. F. ROHR VIO, cit.,
2000, p. 151.
- 41 -
comunque non risulta essere determinante per la soppressione di Gallo134. Per Dione,
invece, Gallo era diventato arrogante ἶὁpὁ l’aἵὃuiὅiὐiὁὀe ἶella ὅua ἵaὄiἵa ἶi pὄefettὁ,
ὄipὄὁἶuἵeὀἶὁ la ὅua immagiὀe iὀ tuttὁ l’ϋgittὁ ἵὁὀ l’iὀἶiἵaὐiὁὀe ἶelle ὅue impὄeὅe135.
Ammiano Marcellino, al contrario, imputerebbe a Gallo il reato di malversazione,
avendo il prefetto saccheggiato la provincia e derubato la cittadinanza, arricchendo se
stesso136. Ma tale accusa non regge, come fa notare la Rohr Vio 137, per le svariate
manifestazioni di consenso ricevute da Gallo da parte degli Egizi, per la riconferma di
Gallo nel suo ruolo nel 27 a.C. e per la testimonianza preziosa di Strabone, che nella sua
Geografia paὄleὄὡ ἶi ἴuὁὀa ammiὀiὅtὄaὐiὁὀe ἶei pὄimi pὄefetti ἶ’ϋgittὁ, viὅitaὀἶὁ ὃuelle
terre138. È probabile che Ammiano dipenda da fonti senatorie, incentrandosi la sua
testimonianza sulla nobilitas139.
Seὄviὁ, iὀveἵe, fὁὀte aὅὅai pὁὅteὄiὁὄe ai fatti, è l’uὀiἵὁ ἵhe paὄli ἶi ἵὁὅpiὄaὐiὁὀe
contro Ottaviano da parte di Gallo, ma la sua teoria è totalmente isolata e non sostenuta da
altri riscontri documentari; nondimeno Servio palesa la sua inattendibilità esseὀἶὁ l’uὀiἵὁ a
parlare di occisus est, così scartando la più plausibile ipotesi di suicidio da parte di Gallo140.
δa ἶiὅgὄaὐia ἶel pὄefettὁ ἶ’ϋgittὁ è ὅtata meὅὅa iὀ ὄelaὐiὁὀe aὀἵhe ἵὁὀ le viἵeὀἶe
partiche. Crasso si era imbattuto in una totale disfatta nel 53 a.C., nella terribile giornata di
Carre; i propositi di Giulio Cesare, in procinto di recarsi in oriente, erano stati spenti dalle
Idi di marzo del 44; così Antonio aveva ereditato il progetto cesariano e grazie al suo
generale Publio Ventidio Basso aveva sconfitto i Parti nel 38 a.C.; un finale tentativo di

134
J. M. RODDAZ, Marcus Agrippa cit., pp. 83-84 e pp. 534-535. Cfr. L. WINNICZUK, Cornelius Gallus
und Ovid, in Romische Litteratur der Aug. Zeit, Berlin, 1960, pp. 29-30: qui la vicenda di Epirota è
vagamente datata tra il 36 e il 32 a.C., comunque prima della fine di Cornelio Gallo.
135
Dio. LIII, 23-24 ( Γ α π .π α αα
υ π , π α πα α πα π α : α α α αυ π ῖ
πῳ , α α α π π πυ α α α . α π᾽ α ῖ π
α υ υ, α υ α υ , α π υ, α ῖ
α υ α α α. υ υ α α υ π α αφ α᾽
α π π α , α υ α πα α α α ῖ α α φυ ῖ α
α, α α ῳ α α αυ υ υ α φ α ).
136
Amm. 17, 4-5.
137
F. ROHR VIO, cit., 2000, p. 148.
138
ἥtὄaἴέ XVII 1, 1ἀμ Έπα α , φ υ α υ, π φ
υ π π π έ Il ὅeἵὁὀἶὁ pὄefettὁ ἶ’ϋgittὁ ὅaὄὡ ϋliὁ ἕallὁέ
139
J.-P. BOUCHER, Caius cit., pp. 54-55.
140
Serv. ecl. 10, 4-9
- 42 -
conquista da parte di Antonio, tuttavia, era fallito due anni più tardi. Ottaviano,
inizialmente, avrebbe voluto ereditare a sua volta i programmi di rivalsa contro i Parti.
E Gallo, come altri prefetti e come finanche i poeti del tempo141, caldeggiava una
politica aggressiva e premeva per una nuova spedizione orientale, anche considerando la
difficile situazione dinastica del regno partico di allora, nonché la forte instabilità della
vicina Armenia.
Ma ai propositi non seguirono i fatti: nel 20 a.C., anzi, Augusto giungeva ad un
accordo diplomatico col nemico partico, rimpatriando parte dei prigionieri nonché le
insegne romane sottratte a Crasso (trentatré anni prima) e ad Antonio. Accordo diplomatico
mascherato, festeggiato come se invero fosse stato un trionfo militare. Si è dunque pensato
che Gallo, non concordando con quella politica attendista e per nulla bellicosa nei confronti
dei Parti, in preda al vino non avrebbe taciuto, così manifestando le sue critiche a
Ottaviano142.
Gli studiosi moderni hanno molto discusso al riguardo di due documenti epigrafici
che riguardano Cornelio Gallo: una stele trilingue (latino, greco, geroglifico) rivenuta a
Phylae, in Egitto143, e uὀ’iὅἵὄiὐiὁὀe ἶell’ὁἴeliὅἵὁ vatiἵaὀo144. Entrambe le epigrafi, che si

141
Ricorrente era il topos del metus Parthicus. Cfr. Verg. georg. III 30-31; Hor. carm. I 2; carm. I 35; carm.
III 5.
142
Ov. trist. 2, 445-446. Cfr. anche G. BARRA, Il crimen di Cornelio Gallo, «Vichiana», 5, 1968, pp. 49-58.
143
CIL III 14147 = OGIS 654 = IGRRP 1293 = ILS 8995 = IGPh 128. Per un riassunto sulla storia degli studi
e per qualche nuovo contributo cfr. P. GAGLIARDI, La stele di Cornelio Gallo a Phylae: qualche spunto di
riflessione, “Historia”, 61 2012, pp. 94-114.
144
Il testo recita: Iussu Imp(eratoris) Caesaris Divi f(ilii) / C(aius) Cornelius Cn(aei) f(ilius) Gallus /
praef(ectus) fabr(um) Caesaris Divi f(ilii) / Forum Iulium fecit. ϋὄa ὅtatὁ ἑaligὁla a pὁὄtaὄe l’ὁἴeliὅἵὁ a ἤὁma
ἶall’ϋgittὁ (ἵὁllὁἵatὁ a ἢiaὐὐa ἥaὀ ἢietὄὁ ἶa papa ἥiὅtὁ V). Lo stesso Caligola aveva trascritto sul monumento
due elogi (a Tiberio e a Ottaviano), sovrascritti a due testi precedenti, databili al 30 e al 28 a.C.: si cita un
Forum Iulium, probabilmente una piazza di Alessandria costruita da Gallo e così chiamata in onore della gens
Iulia. Per altri, Forum Iulium ὅaὄeἴἴe uὀa ἵittὡ ἶell’ϋgittὁέ ἑfὄέ εέ ἑέ Jέ εIδδϋἤ, χὀἵW, 1ἁ, 1λἆἄ, ppέ ηἄ-
61. La scriptura prior fu erasa e riscritta, avendo subito Cornelio Gallo una damnatio memoriae. Cfr. F.
MAGI, Le iscrizioni recentemente scoperte sull’obelisco vaticano, “ἥtuἶἤὁm” 11, 1λἄἁ, ppέ ηί-56 e ID.,
L’obelisco di Caio Cornelio Gallo, “ἑapitὁlium” ἁἆ, 1λἄἁ, ppέ ἂἆἆ-494; G. GUADAGNO, C. Cornelius
Gallus praefectus fabrum nelle nuove iscrizioni dell’obelisco vaticano, “ἡἤὁm” 6, 1968, pp. 21-26; G.
ALFOLDY, Der Obelisk auf dem Petersplatz in Rom, Heidelberg, 1990, passim.; C. SALVATERRA,
“Forum Iulium” nell’iscrizione di C. Cornelio Gallo sull’obelisco Vaticano, «Aegyptus», 67, 1987, pp. 171-
181.
- 43 -
sommano al Papiro di Ossirinco 2820 (anche in esso vi è menzione di Gallo)145, si prestano
a svariate interpretazioni, ma è la stele egizia ad aver catturato le maggiori attenzioni.
ἠell’epigὄafe vatiἵaὀa, il praefectus fabrum Gallo difende il merito di avere
edificato, sotto commissione di Ottaviano stesso, un Forum Iulium, utilizzando tuttavia un
frasario in linea con i documenti del tempo e senza estremi che inducono a pensare a una
sua condizione davvero superba o vagamente sovversiva.
Nella stele trilingue, invece, che risale con precisione al 17 aprile del 29 a.C. e in
cui Gallo è rappresentato a cavallo, sarebbero riconoscibili alcuni elementi autocelebrativi,
seguendo la pietra i modelli delle tabulae triumphales, che erano strumenti di propaganda
propri dei duces ἶ’eὅtὄaὐiὁὀe ὅeὀatὁὄia146. Ma non solo: la Rohr Vio riscontrerebbe nella
ἶeἶiἵa ἶell’iὅἵὄiὐiὁὀe ἶi ἢhylae uὀ ὄitὁ ἶi evocatio compiuto da Gallo (al Nilo, dio fluviale
egizio). Anche questo era un cerimoniale con scopi militari-devozionali che era sempre
tὁἵἵatὁ all’aὄiὅtὁἵὄaὐia ὅeὀatὁὄia147.
Tuttavia, in quanto fautore di una politica naturalmente anti-antoniana, Ottaviano,
eliminato il suo ultimo rivale nella corsa al potere, aveva cominciato a nutrire del disprezzo

145
P. Oxy 2820 (Loebel 1971). ἦὄa le ὄighe ἶi ὃueὅtὁ papiὄὁ ὃualἵuὀὁ ha lettὁ ἵhe il pὄefettὁ ἶ’ϋgittὁ teὀtά ἶi
mobilitare le sue truppe contro Ottaviano (cfr. M. TREU, 1973, pp. 221-233).
146
Cfr. F. ROHR VIO, Una dedica in sospetto di ‘fronda’: Cornelio Gallo e il Nilo nella trilingue di Phylae,
in Miscellanea Greca e Romana, 21, 1997, p. 284. Qui il testo latino della pietra, probabilmente composto
dallo stesso Gallo: C(aius) Cornelius Cn(aei) f(ilius) Gall[us, eq]ues Romanus, post reges / a Caesare deivi
f(ilio) devictos przefect[us Alex]andrae et Aegypti primus, defectioni[s] / Thebaidis intra dies XV, quibus
hostem v[icit, bis a]cie victor, V urbium expugnator, Bore[se] / os, Copti, Ceramices, Diospoleos Meg[ales,
Op]hieu, ducibus earum defectionum inter[ce]- / ptis, exercitu ultra Nili catarhacte[n transd]ucto, in quem
locum neque populo / Romano neque regibus Aegypti [arma s]unt prolata, Thebaide communi omn[i] / um
regum formidine subact[a], leg[atis re]gis Aethiopum ad Philas auditis, eo[dem] / rege in tutelam recepto,
tyrann[o] Tr[iacontas]choe[ni] in fine Aethiopiae constituto die[is] / patrieis et Nil[o adiut]ori d(onum)
d(edit). Nella lastra di pietra manca la parte centrale, scritta in geroglifico. Geroglifico di difficile
interpretazione, anche perché il testo non corrisponde alla versione latina e greca, ed è complesso integrarlo
nei punti più critici. Il fatto che Gallo si auto-rappresenti, sotto il simbolo del sole nascente, su un cavallo
lanciato al galoppo, con le zampe anteriori alte e un nemico inginocchiato che si protegge con uno scudo, non
è sintomo di trasgressione: fa parte della tradizione iconografica sia egiziana, sia ellenistico-romana. Cfr. E.
BRESCIANI, La stele trilingue di Cornelio Gallo: una rilettura egittologica, in Egitto e Vicino Oriente, 12,
1989, pp. 93-95; qui la Bresciani riporta anche altri esempi iconografici simili; simile era ad esempio un
trofeo sui Pirenei eretto da Pompeo, con un apparato epigrafico che ricorda quello della stele di Cornelio
Gallo (cfr. F. ROHR VIO, cit., 2000, p. 154, n. 111)ν peὄ uὀ’aὀaliὅi aὅὅai aἵἵuὄata ἶel teὅtὁ ἶell’epigὄafe ἵfὄ.
F. COSTABILE, Le Res Gestae di C. Cornelius Gallus nella trilingue di Philae. Nuove letture e
interpretazioni, «Minima epigraphica et papyrologica», IV, 2001, 297-330. Cfr. anche L. CASTIGLIONI,
Gaio Cornelio Gallo, primo prefetto romano d’Egitto, in Egitto moderno e antico, Varese, 1941, p. 275 ss.
147
F. ROHR VIO, Una dedica cit., p. 287. Cfr. anche G. CRESCI MARRONE, Ecumene Augustea: una
politica per il consenso, Roma, 1993, pp. 150-157. I senatori erano stati Postumio, Camillo, Scipione.
- 44 -
veὄὅὁ le ἶiviὀitὡ tutelaὄi ἶi χὀtὁὀiὁ e veὄὅὁ le ἶiviὀitὡ iὀ geὀeὄale ἶell’ϋgittὁ, ἵhe peὄ
antonomasia era stata la terra dello stesso Antonio e della compagna Cleopatra148.
È lecito pensare che il Nilo, dunque, la divinità fluviale egizia che poteva prestarsi a
una comoda identificazione con Antonio, fosse diventato oggetto di rifiuto da parte di
Ottaviano Augusto149.
Ciò nonostante, per quanto probabile rito di evocatio, è dubbio che la menzione del
Nilo nella celebre epigrafe di Phylae possa considerarsi come azione sovversiva e
trasgressiva di Cornelio Gallo, committente della stessa pietra, nei confronti di Ottaviano (il
quale, a ogni modo, compare nelle tre redazioni del documento, seppur in una posizione
marginale).
Oltre alla piuttosto indicativa riconferma di Gallo nel suo ruolo, nel 27 a.C.,
basterebbe leggere il testo per capire quanto la divinità fluviale, semplicemente definita
adiutor, ὀell’iἶea ἶi ἕallὁ aveὅὅe ἵὁὀtὄiἴuitὁ ἵὁme fὁὀἶameὀtale fὁὄὐa ἵὁllaἴὁὄatὄiἵe peὄ le
imprese militari che Gallo realizzò da prefetto in Egitto, in quegli anni150.
Così le intenzioni del praefectus Aegypti, lontane da qualsivoglia parvenza
rivoluzionaria, si rimpiccioliscono verso un mero atto di riconoscenza, devozionale
(malgrado lo stesso Ottaviano avesse, nel 28 a.C., preso accorgimenti contro la diffusione
ἶell’iὅiὅmὁ a ἤὁma)151. Per il futuro princeps era anche un argomento propagandistico
pὄὁiettaὄὅi ἵὁὀtὄὁ le vὁἵaὐiὁὀi ὄeligiὁὅe pὄὁveὀieὀti ἶalla teὄὄa, l’ϋgittὁ, iὀ ἵui iὀ ὃuel
momento risiedeva il suo maggiore antagonista152.

148
Giustamente la Rohr Vio, Una dedica cit., p. 293, fa notare che «Azio assume così i tratti di una guerra che
vede opporsi il contingente degli dèi egizi, tra cui, ma non solo, Iside ed Osiride, e la schiera dei numi romani,
tra cui, ma non solo, Apollo».
149
ἑfὄέ ἠέ ἐἡἠχἑχἥχ, “ϋέ χέ χέ” V, 1λἄἁ, s.v. Nilo, pp. 489-492; M.- ἡέ Jϋἠἦϋδ, iὀ “δέIέεέἑέ, VI, 1λλἀ,
s.v. Neilos, pp. 720-726.
150
Proprio dalla stele di Phylae siamo informati sulla campagna in Tebaide di Gallo, effettuata nella
pὄimaveὄa ἶel ἀλ, atta a ὅiὅtemaὄe tutta ὃuella ὐὁὀa ἶell’ϋgittὁ meὄiἶiὁὀaleέ
151
Del resto lo stesso Ottaviano aveva inglobato nel suo pantheon anche Nettuno, poco prima di Azio: una
divinità che era stata nume protettore di un suo passato nemico, Sesto Pompeo.
152
Si veda ancora F. ROHR VIO, cit., 2000, pp. 303-306. Per P. GAGLIARDI (La stele di Cornelio Gallo a
Philae, in Historia, 61, 2012, p. 96) «la menzione del Nilo divinizzato, nonché degli dèi locali di Philae e
panegiziani che fὁὄὅe eὄaὀὁ pὄeὅeὀti ὀell’iὅἵὄiὐiὁὀe ὅupeὄiὁὄe, ὅuggeὄiὅἵὁὀὁ uὀ atteggiameὀtὁ ὄὁmaὀὁ ἶi
apeὄtuὄa veὄὅὁ le ἶiviὀitὡ ἶei pὁpὁli lὁἵali, ὀὁὀἵhὧ l’aἵἵὁὄteὐὐa ἶel pὄefettὁ ἶell’aἵἵattivaὄὅi il pὄeὐiὁὅὁ favὁὄe
del clero sociale». Altri studiosi hanno invece intraviὅtὁ uὀ aἴuὅὁ ὀell’atteggiameὀtὁ ἶi ἕallὁ, ὀel teὀtativὁ ἶi
presentarsi come diretto successore dei Tolomei e quindi quasi come un Faraone. Cfr. F. GUIZZI, Il
principato tra res publica e potere assoluto, Napoli, 1974, 100 ss.
- 45 -
Così tutti i ragionamenti fatti sulla stele di Phylae sarebbero da ridimensionare:
eὅὅeὀἶὁ ὃuaὅi l’uὀiἵὁ ἶὁἵumeὀtὁ epigὄafiἵὁ ὄimaὅtὁἵi ὄiguaὄἶaὀte ἑὁὄὀeliὁ ἕallὁ
sembrerebbe che la storiografia moderna, dando ascolto alle argomentazioni di alcune fonti
letterarie, abbia voluto scovare proprio in questa stele la prova della rovina del prafectus
Aegypti.
Ma Phylae era un punto di una zona periferica della regione, ed è assai probabile
che iscrizioni simili brulicassero in Egitto, al tempo153. L’elimiὀaὐiὁὀe ἶella figuὄa ἵeὀtὄale
a cavallo (Gallo) dalla stessa stele è chiaramente legata alla successiva damnatio memoriae,
nonostante il nome di Cornelio rimanga salvo nel testo geroglifico, comunque
comprensibile solo dai sacerdoti di Phylae e non dai romani154.
Il puὀtὁ fὁἵale ἶell’iὅἵὄiὐiὁὀe ἶi ἢhylae ὄimaὀe, ἵὁme ὅi è giὡ viὅtὁ, l’utiliὐὐὁ ἶa
paὄte ἶell’eques Gallo di aspetti formali, simbologie ed elementi autocelebrativi che erano
stati sempre monopolio della nobilitas, nelle tabulae triumphales155. E malgrado la
delazione di un certo Valerio Largo156, impossibile a collocarsi politicamente, è
l’aὄiὅtὁἵὄaὐia ὅeὀatὁὄia ἵhe iὀἵὄimiὀa ἕallὁ e ἵhe ἵhieἶe il ὅuὁ ὅaἵὄifiἵiὁ aἶ ἡttaviaὀὁμ ὀὁὀ
era piaciuto, come detto, il tono della stele di Phylae; ma al gruppo senatoriale non era
piaciuta nemmeno la riconferma di Gallo nel suo ruolo di praefectus Aegypti, avvenuta nel
27 a.C., così vedendosi estromessa da un importante incarico provinciale (il governo
ἶell’ϋgittὁ), ὁὄmai ὀὁὀ piὶ pὄὁvviὅὁὄiameὀte ἶi ἵὁmpetenza di un eques. I senatori, anzi,
non potevano più accedere in terra nilotica157.

153
Probabile che il medesimo testo fosse iscritto su monumenti ed obelischi più importanti, nella stessa
Alessandria. Cfr. F. COSTABILE, cit., p. 325.
154
La stele di Phylae, ritrovata nel 1896, era servita per la pavimentazione del tempio di Augusto, costruito
ὅull’iὅὁla ὀel 1ἁ aέἑέ
155
ἥi veἶa l’eὅempiὁ ἶella tabula triumphalis di Sempronio Tuditano, riconducibile a un rito di evocatio
proprio come nel caso di Cornelio Gallo. Cfr. G. BANDELLI, Contributo all’interpretazione del cosiddetto
elogium di C. Sempronio Tuditano, “χχχἶ”, ἁη, 1λ89, pp. 111-1ἀἅέ ἦeὀἶeὀὐe ὅeὀatὁὄie utiliὐὐate ἶall’eques
ἕallὁ ὅὁὀὁ il vaὀtὁ ἶella pὄimὁgeὀituὄa, l’utiliὐὐὁ ἶei mὁἶelli eulὁgiὅtiἵi e ἶei geὅti ἶevὁὐiὁὀaliέ ἑfὄέ ἕέ
CRESCI MARRONE, Ecumene cit., p. 157.
156
Il personaggio sembra famoso per la sua tendenza alla diffamazione, stando a Cassio Dione che narra due
aneddoti: Proculeio, amico di Gallo, dopo il suicidio del praefectus Aegypti incontrò Valerio Largo e si tappò
naso e bocca, ritenendo pericoloso anche respirare, in sua presenza; un altro personaggio, del quale Dione non
fa il nome, chiese a Largo se lo conosceva, e rispondendo negativamente Largo volle confermarlo per iscritto
così da evitare future denunce (Dio. LIII 4, 2).
157
Forse questo accadeva per questioni di protocollo: in loro presenza, il prefetto avrebbe dovuto cedere loro
in dignità, cosa disdicevole agli occhi dei provinciali; ma è una spiegazione per nulla convincente. Neppure
- 46 -
Già la scelta di Salvidieno Rufo per la carica di console, avvenuta pochi anni prima,
confermava la volontà del giovane Cesare di favorire sempre più il rango equestre a scapito
della nobilitas, malgrado lo stesso Salvidieno non avrebbe potuto accedere al consolato per
rango, appunto, e origini. Una nobilitas che, al contrario, auspicava un ritorno agli antichi
mores e pὄemeva peὄ uὀa ὄipὄeὅa tὄaἶiὐiὁὀale ἶell’aἵἵeὅὅὁ alla vita politica, dopo la gran
confusione dettata dalle guerre civili.
La vicenda che precede la morte di Cornelio Gallo e che riguarda Marco Licinio
Crasso non è da considerarsi come motivazione di poco conto, per la deposizione del
praefectus Aegypti. Licinio Crasso, console con Ottaviano nel 30 a.C., in quello stesso anno
aveva combattuto vittoriosamente contro Traci, Geti e Bastarni, in qualità di proconsole di
Macedonia, celebrando poi il trionfo il 4 luglio del 27 a.C.158
E Ottaviano aveva eluso con un pretesto istituzionale la richiesta degli spolia opima
espressa proprio da Crasso, dopo la soppressione di Deldone, re dei Bastarni 159, così
privandolo di un onore che gli avrebbe assicurato troppa visibilità. Onore assai prestigioso
che in passato era stato concesso solo a pochissimi (Romolo, Aulo Cornelio Cosso e Marco
Claudio Marcello)160 e che lo stesso Ottaviano, non avendo ancora consolidato a quel
tempὁ il ὅuὁ pὁteὄe, aveva ὄeputatὁ eἵἵeὅὅivὁέ ἣueὅtὁ epiὅὁἶiὁ pὁὄteὄὡ pὄeὅtὁ all’aὀὁὀimatὁ
proprio Licinio Crasso, delle cui vicende biografiche e politiche non sapremo più nulla.
Tale avvenimento mostra come, agli albori del principato, la nobilitas non fosse
abbastanza forte da imporre le proprie volontà. Ma dimostra anche come Ottaviano, al fine

appare convincente chi vuole spiegare il divieto per i senatori sostenendo che un antico oracolo proibiva
l’eὀtὄata dei fasci littori ad Alessandria. Le ragioni di suddetta norma sono piuttosto da rintracciare nelle
ὃueὅtiὁὀi ἶi ὅiἵuὄeὐὐaέ Iὀ Italia, ὀel ἀλ aέἑέ, ἡttaviaὀὁ feἵe pὄὁmulgaὄe il ἶivietὁ ai ὅeὀatὁὄi ἶi laὅἵiaὄe l’Italia,
pὄevia autὁὄiὐὐaὐiὁὀeέ ἑ’eὄa ὀeἵeὅὅitὡ ἶi evitaὄe l’aὅὅeὀteiὅmὁ e aὅὅiἵuὄaὄe il fuὀὐiὁὀameὀtὁ ἶel ἥeὀatὁ.
Dione riferisce che il divieto era raggirabile, qualora fosse stato concesso un permesso nominativo, e in tal
caso il divieto risulterebbe limitato ai soli patres. Si attesta la presenza di più di un senatore in Egitto nei
pὄimi ἶue ὅeἵὁli ἶell’Impeὄὁ, e ὃueὅtὁ iὀἶuἵe a ὄiteὀeὄe ἵhe χuguὅtὁ (e pὁi i ὅuὁi ὅuἵcessori) concedesse una
disposizione limitata di permessi ad personam previo avviso al prefetto (Germanico andò in Egitto senza il
permesso di Tiberio).
158
Liv. per. 134,3; Hor. carm. III, 8; Flor. epit. II 26, 13-15; Dio LI 23,2-27,1. Cfr. H. DESSAU, Livius und
Augustus, “ώeὄmeὅ”, ἂ1, 1λίἄ, ppέ 1ἂἀ-151;
159
Alla negazione degli spolia opima, che Licinio Crasso avrebbe voluto dedicare nel tempio di Giove
Feretrio, a lui era stato anche vietato di forgiarsi del titolo di imperator, che secondo Ottaviano spettava solo a
colui che avesse tratto gli auspiciaέ δ’iὀteὄa viἵeὀἶa mὁὅtὄa ἵὁme le tematiἵhe legate all’amἴitὁ militaὄe
smuovano più di ogni altra cosa. Cfr. F. ROHR VIO, cit., 2000, p. 164.
- 47 -
ἶi maὀteὀeὄe l’equilibrio tra la fazione dei senatori e quella equestre, sacrificò Gallo con un
pὄeteὅtὁ e ὅὁpὄattuttὁ ἶaὀἶὁ l’iἶea ἶi ὀὁὀ eὅὅeὄe ὅtatὁ il pὄiὀἵipale fautὁὄe ἶella mὁὄte ἶel
pὄefettὁ ἶ’ϋgittὁ (il tuttὁ ἵὁmuὀὃue ἵὁὀὅegueὀte a uὀ peὄὅeguimeὀtὁ tuttὁ pὄivatὁ da parte
di Ottaviano, a partire dalla renuntiatio amicitiae che aveva messo in una forte posizione di
ἶeἴὁleὐὐa l’amicus).
Allo stesso tempo, con una politica del tutto compromissoria, il futuro princeps
ridimensionava le pretese di un componente della nobilitas, così compiacendo astutamente
tutti e rassicurando quella parte del rango equestre che aveva visto cadere in modo così
repentino uno dei suoi membri più importanti. Era un delicato gioco di equilibri, quello
condotto intelligentemente da Ottaviano, che più esperto, maturo e consapevole aveva fatto
tesoro dei casi quali quello di Emilio Lepido.
ἠel ὅaἵὄifiἵiὁ ἶi ἕallὁ, la ἤὁhὄ Viὁ ὄiὅἵὁὀtὄa uὀa ἶiffeὄeὀὐa ὄiὅpettὁ all’epiὅὁἶiὁ ἶi
Salvidieno Rufo, altro fedelissimo morto qualche anno prima: a Ottaviano, stavolta, era
ὅtata ὃuaὅi impὁὅta la ὅὁppὄeὅὅiὁὀe ἶell’amicus, mentre Salvidieno era uscito dalla scena
politica soprattutto per la volontà dello stesso Ottaviano (malgrado anche in quel caso il
giovane Cesare fosse stato molto attento a mascherare le sue responsabilità, coinvolgendo il
senato per la liquidazione del suo uomo161).
χὀἵhe ἑὁὄὀeliὁ ἕallὁ, ἵὁme aἵἵaἶutὁ peὄ i “ἵὁὀgiuὄati” paὅὅati, ὅuἴiὄὡ uὀ ὀatuὄale
processo di denigrazione: come per Salvidieno Rufo, la storiografia filo-senatoria calcava la
maὀὁ ὅul fattὁὄe ἶell’obscuritas, utilizzando modelli ricorrenti per screditare membri del
ceto equestre162.
Una censura attenta eclisserà la sua carriera politica post-Filippi fino alla sua caduta
in disgrazia, arrivando a comprendere Gallo in espressioni generiche (Plutarco non lo
meὀὐiὁὀeὄὡ ὅἵὄiveὀἶὁ appὄὁὅὅimativameὀte α ὃuaὀἶὁ paὄla ἶei geὀeὄali ἶi

160
ἤὁmὁlὁ peὄ l’uἵἵiὅiὁὀe ἶel ὄe ἶi ἑeὀiὀaν ἑὁὄὀeliὁ ἑὁὅὅὁ peὄ la gueὄὄa ἵὁὀtὄὁ Veiὁν ἑlauἶiὁ εaὄἵellὁ peὄ
le imprese contro i Germani (cfr. F. ROHR VIO, cit., 2011, p. 53).
161
Politicamente, tuttavia, l’elimiὀaὐiὁὀe ἶi ἕallὁ pὁὄtά aἶ ἡttaviaὀὁ ἵὁὀἵὄeti vaὀtaggi, meὀtὄe ὃuella ἶi
Cornelio Gallo servì solamente a un provvisorio riavvicinamento con la nobilitas. Cfr. F. ROHR VIO, cit.,
2000, p. 166.
162
T. P. WISEMAN, New Men cit., pp. 82-85 fa notare come l’uὅὁ ἶi aggettivi ὃuali obscurus, humilis e
infimus sia ricorrente nelle fonti al fine di denigrare cavalieri.
- 48 -
Ottaviano giunti dalla Libia)163. Palese è la damnatio memoriae sui monumenti164, come
visto, ma nelle fonti si occultano sia i suoi meriti politico-militari, sia quelli poetici, benché
Gallo possa considerarsi un apprezzabile autore di transizione tra i neoterici e i poeti
augustei: ciò nonostante, tutta la sua produzione è andata perduta, e difficilmente per fattori
casuali165.
ἢaleὅe è l’eὅempiὁ ἶell’amiἵὁ Viὄgiliὁ, ἵhe ὀelle Bucoliche esprime ottime parole
nei confronti di Gallo, prima della sua caduta in disgrazia (ecloga VI e X). Dopo il 26 a.C.,
sotto pressione di Augusto, sarà viceversa costretto a correggere il tiro e ad eliminare
totalmente un altro elogio presente nelle Georgiche166.
Impossibile sarebbe stato silenziare il fatto che Cornelio Gallo fosse stato praefectus
Aegypti, ἶata l’impὁὄtaὀὐa ἶella ἵaὄiἵa e il ὅeguente mantenimento della stessa nelle mani

163
Plut. Ant. 74, 1. Esempio di mimetizzazione simile a quello già visto per Salvidieno Rufo, operato da
Nicolao. Inoltre nella guerra contro Sesto Pompeo pare che Gallo ebbe un ruolo fondamentale, fortificando
l’χὅpὄὁmὁὀte, ma le fὁὀti taἵἵiὁὀὁ al ὄiguaὄἶὁ (ἵfὄέ ἕέ ἢϋἠἥχἐϋἠϋ, La guerra tra Cesare Ottaviano e Sesto
Pompeo dal 43 al 36 a.C. e le corrispondenze attuali, Roma, 1991, pp. 142-147). Ruolo fondamentale che
forse ebbe anche nella guerra contro Antonio e Cleopatra. Cfr. Dio LI 9, 1-4; Oros. Hist. VI 19, 15. Secondo
J. – P. BOUCHER (Caius cit. pp. 28-29). Dione e Orosio sono gli unici a parlarne dipendendo da Cremuzio
Cordo.
164
Unica voce dissonante in questo senso è H. VOLKMANN, Kritische Bemerkunge zu den Inschriften
desVatikanischen Obe-lisken, «Gymnasium», 74, 1967, pp. 504-505, il quale crede che nessuna damnatio
memoriae sia avvenuta ai danni di Gallo, in quanto sono assenti le martellature sul nome di Gallo
ὀell’ὁἴeliὅἵὁ vatiἵaὀὁ e iὀ ὃuaὀtὁ ὅulla ὅtele ἶi ἢhylae il teὅtὁ è ὃuaὅi ἶel tuttὁ iὀtegὄὁέ εa la ὅua teὅi è
tὄaἴallaὀte ὅe ὅi peὀὅa ἵhe, ὅull’epigὄafe ἶi ἢhylae, l’iὀteὄa figuὄa ivi ἶiὅegὀata è ὅtata ὄimὁὅὅa e ὅull’ὁἴeliὅἵὁ
vaticano il documento è stato asportato per intero.
165
Nel 1978 è stato rinvenuto uno scritto poetico di Cornelio Gallo, frammentario, proveniente da Qasr Ibrim
(nella Bassa Nubia), dove era situata una base romana e dove è stata rinvenuta anche una moneta di Cleopatra
VII: uὀ papiὄὁ attὄiἴuitὁ a ἕallὁ peὄ la meὀὐiὁὀe ἶella ὅua amata e muὅa δiἵὁὄiἶe (peὄ l’eἶiὐiὁὀe ἵfὄέ ἤέἒέ
ANDERSON – P. J. PARSONS – G. M. NISBET, 1979, in The Journal of Roman Studies, 69, 1979, p. 125-
155), in cui il praefectus Aegypti scrive che si riterrà felice quando Cesare diverrà il personaggio più illustre
della storia romana. È probabile che il Caesar sia lo stesso Ottaviano. Difficile stabilire una cronologia certa
ἶel papiὄὁ, ἵὁllὁἵatὁ vagameὀte tὄa il ηί e il ἀί aέἑέμ l’impὄeὅa ἵui lὁ ὅἵritto riferisce potrebbe essere Azio o la
futuὄa ὅpeἶiὐiὁὀe paὄtiἵa, peὀὅata ma mai ὄealiὐὐataέ δa ἤὁhὄ Viὁ pὄὁpeὀἶe peὄ ὃueὅt’ultima lettuὄa peὄ alἵuὀe
aὀalὁgie ἵὁl ἵaὄme ἶi ἢὄὁpeὄὐiὁ (ἁ, ἂ)ν ἵaὄme ἵhe tὄattava aὀἵh’eὅὅὁ ἶelle ὅpeἶiὐiὁὀe ὁὄieὀtaleέ ἢeὄ la
bibliografia cfr. F. ROHR VIO, 2000, p. 78, n. 204.
166
Cfr. F. ROHR VIO, cit., 2011, p. 54. Sarebbe stato difficile eliminare il nome di Gallo anche nelle
Bucoliche, in circolazione già nel lontano 39 a.C. Anche Servio parlerà del successivo silenzio di Virgilio nei
ἵὁὀfὄὁὀti ἶell’amiἵὁμ hic primo in amicitiis Augusti Caesaris fuit; possea, cum venisset in suspicionem quod
contra eum coniuraret, occisus est. Fuit autem amicus Vergilii adeo ut quartus Georgicorum a medio usque
ad finem eius laudes teneret, quas postea, iubente Augusto, in Aristaei fabulam commutavit (ad. buc. X 1);
sane sciendum, ut supra diximus, ultimam partem huius libri esse mutatam; nam laudes Galli habuit locus ille
qui nunc Orphei continet fabulam, quae inserta est postquam, irato Augusto, Gallus occisus est (ad georg. IV
1)έ ἠὁὀ è ἵhiaὄὁ ὅe le ἴelle paὄὁle ἶi Viὄgiliὁ peὄ ἕallὁ fὁὅὅeὄὁ appὄeὐὐameὀti peὄ l’uὁmὁ pὁlitiἵὁ ὁ peὄ la ὅua
attività di poeta.
- 49 -
di un eques (nonostante Ammiano citi l’iὀἵaὄiἵὁ ὅὁlameὀte peὄ paὄlaὄe ἶegli aἴuὅi
commessi da Gallo in Egitto, o Svetonio per esaltare il poco rispetto nei confronti di
Ottaviano).
In generale la sua vicenda, esattamente come era già accaduto con Salvidieno Rufo,
sarà exemplum ricorrente peὄ l’eὅeὄἵiὐiὁ ἶegli allievi ὀelle ὅἵuὁle ἶi ὄetὁὄiἵa, le ὃuali
sovente erano covi di circoli antagonisti ad Augusto167. Ciò dimostra anche come, al tempo,
il dibattito fosse molto vivo.
Non stupisce, dunque, il cordoglio sentito di alcuni poeti: da Ovidio, come visto, a
Virgilio (benché con riserva); da Properzio, che esprime sarcasmo nei confronti del delatore
Valeὄiὁ δaὄgὁ ἵὁὅì alluἶeὀἶὁ a uὀa ὅua viἵiὀaὀὐa ἵὁὀ l’aἵἵuὅatὁ ἕallὁ, all’aὀὁὀimὁ autὁὄe
della Consolatio ad Liviam168. Poeti che, rispetto agli storici, conservano tracce di un
dibattito politico ancora esistente e di una verosimile irreprensibilità da parte di Gallo.
Lo stesso rammarico di Ottaviano, che secondo Svetonio si lamenterà di non potersi
nemmeno adirare con gli amici (i quali poi dovranno subire gravi conseguenze), è sintomo
ἶi uὀ’aὐiὁὀe fὁὄὐata e ὃuaὅi impὁὅta, ὀὁὀ ἶettata ἶa uὀ atteggiameὀtὁ ἵὁὅpiὄativὁ ἶi
Cornelio Gallo169έ Uὀ ὄammaὄiἵὁ ἵhe ἡttaviaὀὁ ὀὁὀ aveva ὀutὄitὁ ὀemmeὀὁ peὄ l’altὄὁ
fedelissimo e altrettanto sacrificato Salvidieno Rufo, e che fa emergere «quantomeno la
sproporzione tra le colpe di Gallo e la sua pena»170.
Infine, è singolare che Gallo manchi nella lista dei congiurati che enumera Seneca.
ϋ ἵhe ὅia aὅὅeὀte aὀἵhe ὀell’ὁpeὄa ἶel ἵὁὀtempὁὄaὀeὁ δiviὁ, ὅὁveὀte ἵὁὅì pὄὁἶigὁ ἶi
ἶettagliμ altὄi iὀἶiὐi, fὁὄὅe, ἶi uὀ’imputaὐiὁὀe maὀipὁlata ai ἶaὀὀi ἶell’iὀἵὁlpevὁle
praefectus Aegypti.

167
Cfr. F. ROHR VIO, Gaio Cornelio Gallo nella poesia augustea tra storia e propaganda, in B. Delignon /
Y. Roman (edd.), Le poète irrévérenciuex. Modèles hellénistiques et réalités romaines, Paris, 2009, 65-78.
168
Cfr. A. FRASCHETTI, Sulla datazione della Consolatio ad Liviam, «RivHist», 12, 1995, pp. 409-427.
Autore che potrebbe identificaὄὅi ἵὁὀ uὀ ἵavalieὄe faἵeὀte paὄte ἶell’eὀtὁuὄage ἶi ἒὄuὅὁ iὀ ἕeὄmaὀiaέ ἥul
tema cfr. F. ROHR VIO, cit., 2009, soprattutto pp. 68-78.
169
quod sibi soli non liceret amicis, quatenus vellet, irasci (Svet. Aug. 66).
170
F. ROHR VIO, cit., 2000, p. 91.
- 50 -
CAPITOLO IV

Gaio Fannio Cepione e Murena: una vera congiura “repubblicana”.

«Fanno Cepione ne fu infatti l’iniziatore, ma vi furono poi anche altri che vi presero parte;
persino Murena venne additato come partecipante della cospirazione, sia che ciò fosse vero o che
fosse una calunnia»
(Dio LIV, 3, 4)

La congiura di Fannio Cepione e di Murena resta, tra le tante, una delle più
controverse e problematiche cospirazioni (vere o presunte) architettate contro Ottaviano
Augusto. I punti più aperti e discussi riguardano, infatti, non solo la precisa collocazione
temporale del complotto, ma anche un tono a tratti contrastante delle varie fonti e la stessa
identità di uno dei due congiurati, Murena.
ἕiὡ ὃueὅt’ultima ὃueὅtiὁὀe ὀὁὀ è ὅtata ampiameὀte ἵhiaὄita ἶalla ἵὄitiἵa, malgὄaἶὁ ὅi
sia arrivati a teorie che hanno fondamenta forse più solide rispetto a quelle che indagano
sulla cronologia della congiura. Così, se è possibile situare Gaio Fannio Cepione nella
corrente dei più accesi promotori delle cause repubblicane, non è così ovvio bollare Murena
– benché congiurato – come personaggio assai vicino, anche familiarmente, ad Ottaviano
Augusto.

- 51 -
Di Cepione sappiamo da un reperto monetale che, nel periodo delle guerre civili tra
Cesare e Pompeo, ricoprì pretura e pontificato171. Forse è il Fannio cui fa riferimento
Cicerone per una mediazione operata a Marsiglia presso Sesto Pompeo172; o il comandante
di Cassio nella battaglia contro Rodi, a Myndo173, poi schieratosi con Antonio, ma prima
braccio destro di Sesto, e dunque legato a tendenze repubblicane. Si è anche pensato a un
perdono, a un passaggio tardivo nella schiera ottavianea174 e, fino alla congiura, a un
ὀaὅἵὁὀἶimeὀtὁ ἶei ὅuὁi ἵὄitiἵaἴili tὄaὅἵὁὄὅi (ἵὁme viὅtὁ, è aὀἵὁὄa l’epiὅtὁlaὄiὁ ἵiἵeὄὁὀiaὀὁ,
oltre ad Appiano, a sfuggire alle maglie della censura).
δ’iἶea ἶella ἑὁgitὁὄe, iὀveἵe, è ἵhe ἔaὀὀiὁ ἑepiὁὀe, ἶel ὃuale ὀὁὀ ἵὁὀὁὅἵiamὁ il
praenomen, fosse troppo giovane per aver militato al fianco di Sesto Pompeo, essendoci in
ἒiὁὀe uὀ aἵἵeὀὀὁ all’iὀteὄveὀtὁ ἶel paἶὄe iὀ appὁggiὁ allὁ ὅteὅὅὁ ἑepiὁὀe ἶuὄaὀte il
perseguimento del 23-22 a.C.175: il Cepione al fianco di Sesto Pompeo non è, per la
studiosa francese, lo stesso ideatore della congiura contro Ottaviano Augusto.
χffiἶaὀἶὁἵi pὄὁpὄiὁ al paὅὅὁ ἵiἵeὄὁὀiaὀὁ, ἵhe ἶefiὀiὅἵe ἑepiὁὀe “ἶevὁtὁ allὁ ὅtatὁ”
al fianco dei Cesaricidi in quel 49 a.C.176, è difficile pensare a un Cepione non maturo e
dunque iuvenis (al pari di Emilio Lepido, così descritto in ottica negativa) un
veὀtiἵiὀὃueὀὀiὁ pὄima ἶell’atteὀtatὁ al princeps. Ed essendo maturo il nostro Cepione,
ὁὄmai “ἵὁὀὅumatὁ” pὁlitiἵameὀte, tὄὁppὁ aὀὐiaὀὁ ἶὁveva eὅὅeὄe il paἶὄe ἵhe iὀ ὃuel ἀἁ-22
sarebbe intervenuto iὀ ὅua ἶifeὅaέ ἑὁὅì, ὅegueὀἶὁ la ἑὁgitὁὄe, ὅi puά ἶiὅgiuὀgeὄe l’iἶeὀtitὡ

* Per la congiura di Cepione e Murena si veda l'appendice delle fonti da p. 143.


171
Si fa riferimento a un tetradramma coniato in varie località orientali nel 49-48 a.C. (Apamea e Laodicea in
Frigia, o Tralles in Lidia, o Efeso): al dritto compare una cista circondata da vari serpenti, al rovescio il
tempio di Vesta abbracciato da due rettili dello stesso tipo, con legenda C. FAN PONT. PR. Cfr. J. M. CODY,
New Evidence for the Republican Aedes Vestae, «AJA», 77, 1973, pp. 43-44; G. R. STUMPF, Numismatische
Studien zur Chronolgie der Römischen Statthalter in Kleinasien (122 v. Chr – 163 n. Chr), Saarbrücken,
1991, pp. 57-67.
172
Cic. Phil. 13, 13.
173
App. bel. civ. IV, 84. Più avanti (V, 139), lo stesso Appiano afferma che venne proscritto e lasciò Roma,
nel 43 a.C., in occasione della stipula del secondo triumvirato.
174
F. ROHR VIO, cit., 2000, pp. 58-59. Altri hanno visto in Fannio Cepione un uomo che aveva
continuamente cambiato casacca: da repubblicano a pompeiano, poi da antoniano alla vicinanza con
Ottaviano. Cfr. S. TREGGIARI, Cicero, Horace, and Mutual Friends: Lamiae and Varrones Murenae,
«Phoenix», 27, 1973, pp. 253-255; F. GUIZZI, Il principato tra ‘res publica’ e potere assoluto, Napoli, 1974,
p. 183; F. CASSOLA, Scritti di storia antica, istituzioni e politica, II, Roma-Napoli, 1994, pp. 439-471. Per
una militanza vicina alle idee repubblicane della gens Fannia cfr. F. HINARD, Les proscriptions de la Rome
républicaine, Rome, 1985, pp. 465-466.
175
Dio. LIV 3, 7-8. Cfr. I. COGITORE, cit., pp. 128-129.
- 52 -
dei due personaggi e pensare che il cospiratore fosse figlio di uno dei due Fanni di cui si
ἵὁὀὅeὄvaὀὁ le tὄaἵἵe alla fiὀe ἶella ἤepuἴἴliἵa, e ὀatuὄalmeὀte ὄepuἴἴliἵaὀὁ aὀἵh’egli peὄ
tradizione familiare.
Più complessa è la situazione sul secondo congiurato, in quanto più diversificata è la
sua formula onomastica riportata dalle varie fonti177. Murena sarà, infatti, talvolta ricordato
solo come tale, o come Varrone Murena (preceduto da Aulo nei Fasti Capitolini), o Licinio
Murena178, o solo Varrone179.
Accenni a un Murena sono fatti anche altrove, indipendentemente dalle narrazioni
sulla cospirazione: si veda un Murena augure in Orazio180, o due volte presente in Cicerone
(che lo apprezza)181, o ospitante Mecenate e altri uomini della fazione ottiavianea a
Formia182, ὁ l’χulὁ ἦeὄeὀὐiὁ Vaὄὄὁὀe εuὄeὀa viὀἵitὁὄe ἶei ἥalaὅὅi ὀel ἀη aέἑέ183, o un
Varrone legato in Siria184, o un edile nel periodo 46-44 a.C.185 ἐalὐa all’ὁἵἵhiὁ, peὄtaὀtὁ, la
valanga di ipotetici riferimenti al Murena cui siamo interessati e che necessariamente crea
scompiglio per il riconoscimento del congiurato186.

176
Cic. Phil. 13, 13.
177
ἢeὄ uὀ’atteὀta ἶiὅamina delle teorie della critica cfr. I. COGITORE, cit., pp. 123-135. Kappelmacher ha
rivelato un errore presente in RE, in cui Cepione è indicato come fratello di Proculeio e, dunque,
implicitamente fὄatellaὅtὄὁ ἶi εuὄeὀaέ δ’idea si basa su un commento di Porfirio a Orazio (Porph. Hor., Od.,
2, 2, 5): Proculeius eques Romanus amicus Augusti rarissimae pietatis erga fratres suos Scipionem et
Murenam fuit. Nelle diverse edizioni Scipionem è stato corretto con Caepionem. Ma è impossibile pensare che
i ἶue fὁὅὅeὄὁ fὄatelli, aὀἵhe peὄἵhὧ l’eveὀtuale paὄeὀtela ὀὁὀ è mai ὄiἵὁὄἶata iὀ ὀeὅὅuὀa fὁὀte e, aὀὐi, Velleiὁ
contrapporrà nettamente i due. Cfr. anche C. D. JAHN, Erklarende Bemerkungen zu Horazens Satyren und
Episteln, Leipzig, 1795, p. 167.
178
Velleio scrive L. Murena (II 91, 2), ma è acclarato che un copista abbia male abbreviato il gentilizio,
poiché la forma Lucio non è contemplata altrove.
179
Tac. ann. I 10, 3. Varrone compare nel passo con Egnazio Rufo e Iullo Antonio, due congiurati successivi.
180
Hor. carm. III, 19. Si è anche pensato di identificare Murena con un Licinio che compare in un altro carme
Orazio (Hor. carm. II 10, 1). La datazione del componimento non è chiara, anzi oscilla proprio poco prima o
poco dopo quel fatidico 23 a.C. Cfr. R. G. M. NISBET – M. HUBBARD, A Commentary on Horace: Odes,
Book II, Oxford, 1978, p. 155.
181
Cic. fam. 14, 12; 13, 22. Qui Murena è presentato come Varrone Murena e come Aulo Varrone.
182
Hor. sat. 1, 5. Si è nel 40 a.C.
183
Strab. IV 6, 7, 205; Dio LIII 25, 2-4.
184
Jos. ant. XV 10, 1, 345; bell. Jud. I 20, 4, 399.
185
CIL VI 1ἁἀἂέ ἣui è iὀἶiἵatὁ ἵὁme Vaὄὄὁὀe εuὄeὀaέ Iὀ uὀ’altὄa iὅἵὄiὐiὁὀe ὄiὀveὀuta a δaὀuviὁ (CIL XIV
2109) compare un Aulo Terenzio Varrone Murena, figlio di Aulo.
186
Per Mommsen, δέ δiἵiὀiὁ εuὄeὀa, tὄiὁὀfatὁὄe ὀell’ἆ1 aέἑέ e pὄeὅeὀte ὀell’iὅἵὄiὐiὁὀe ἶi ἤὁἶi (IG XII 1, 48
= ILS 8772), era il nonno del nostro Murena (T. MOMMSEN, Rodische Inschrift, Sitzungsber, Preuss. Ak.
Wiss., 1892, 2, pp. 845-850). K. M. T. ATKINSON (Constitutional and legal aspects of the trials of Marcus
Primus and Varro Murena, “ώiὅtὁὄia”, λ, 1λἄί, ppέ ἂἂί-472), tra i tanti riferimenti, crede ci siano tre
personaggi differenti: il Murena legato di Siria e cospiratore nel 23-22 a.C. (lui propende per il 22), il Murena
- 53 -
ἑὁὅì la ὅtὁὄiὁgὄafia mὁἶeὄὀa, ὅull’iἶeὀtitὡ ἶi εuὄeὀa, ὅi è ὅἵateὀata ὀelle
supposizioni fino a giungere, sovente, a posizioni contrastanti, se non antitetiche,
ὅὁpὄattuttὁ ὅulla ἴaὅe ἶell’eleὀἵὁ ἶei ἔaὅti ἑapitὁliὀi ἵhe meὀὐiὁὀaὀὁ χulὁ ἦeὄeὀὐiὁ
Varrone Murena come console ordinario nel 23 a.C., poi sostituito da un certo Gneo
Calpurnio Pisone187.
Nelle altre liste consolari il nome di Murena non comparirà mai, già rimpiazzato da
Pisone. Pertanto si è sostenuto che Murena abbia subìto una damnatio memoriae non
ufficiale che si riverbera anche nella scelta delle fonti di celare nel racconto la sua carica,
quella appunto di console, e di una eclissi sul personaggio che va più o meno dal 37 alla sua
fine, il 22188.
Altro problema di non poco conto riguardante ancora questo elenco dei Fasti
Capitolini concerne una lacuna in corrispondenza del nome di Murena che, se integrata
correttamente, potὄeἴἴe faὄ luἵe aὀἵhe ὅulla ἵὁὀgiuὄa, iὀ ὃuaὀtὁ l’iὅἵὄiὐiὁὀe è ὄὁtta ὀel
punto in cui si ricordano le cause del rimpiazzo di Pisone189.
Sulla stessa lacuna la critica si è nuovamente divisa. Secondo la Cogitore è fragile
l’ipὁteὅi ἶi uὀ’iὀtegὄaὐiὁὀe [magistratus motus] est, poiché è una formula che non compare
in altri precedenti casi190. Altri hanno proposto [in mag. damnatus] est, che invece è una
formula presente nel 108 a.C. per un Ortensio191.

console nel 23, e morto per motivi sconosciuti durante la carica, il Murena avvocato che avrebbe difeso Primo
nel 22. D. STOCKTON (Primus and Murena, Historia, 14, 1965, pp. 18-39), al contrario, fa convergere in un
solo personaggio tutte queste distizioni: fu il medesimo Murena ad essere avvocato, console e cospiratore.
ἥwaὀ, ἒaly, ἑὁgitὁὄe, ἶiὅtiὀguὁὀὁ il ἵὁὀὅὁle ἶall’avvὁἵatὁήἵὁὅpiὄatὁὄeέ ἑfὄέ εέ ἥWχἠ, The Consular Fasti
of 23 B.C. and the Conspiracy of Varro Murena, HSCP, 71, 1966, pp. 235-247; L. DALY, The Report of
Varro Murena’s Death (Dio 54.3.5), Klio, 65, 1983, pp. 245-261; L. DALY, Augustus and the Murder of
Varro Murena (cos. 23 B.C.), Klio, 66, 1984, pp. 157-169.
187
CIL I2 1, p. 28.
188
Cfr. W. C. MC DERMOTT, Varro Murena, TAPhA, 12, 1941, p. 259; D. STOCKTON, Primus, cit., pp.
23-25. Diverso è il pensiero di L. J. DALY (The report, cit., p. 245), che imputa la mancata presenza di
Murena nelle altre liste consolari alla rimozione della carica, successiva al processo di Primo. Per M. SWAN
(The Consular Fasti, cit., pp. 235-241) la mancanza non è anomala in quanto solo i Fasti Capitolini
menzionano i consoli designati e per vari motivi poi mai entrati in carica.
189
ἦ […] ἤἡ εUἤϋἠχέ
190
I. COGITORE, cit., p. 132.
191
Forse un caso simile si riscontra anche per un certo Autronio Peto nel 66 a.C.
- 54 -
La menzione del gentilizio Terenzio ha fatto pensare alla moglie di Mecenate,
Terenzia, dunque sorella dello stesso Murena192έ δ’impὄὁvviὅa emaὄgiὀaὐiὁὀe ὅuἴìta ἶa
Mecenate nel 23 a.C., seguendo Svetonio e Cassio Dione, è da attribuire alla fuga di notizie
sulla congiura che consentì a Murena di allontanarsi di nascosto, prima di essere giudicato:
una fuga di notizie proveniente proprio da Mecenate, in favore del cognato193.
Poiché fratello di Terenzia, Murena lo era anche del Proculeio già intravisto nella
congiura di Cornelio Gallo, perché amicus ἶell’ex praefectus Aegypti194. Ciò significava
che Murena fosse ormai inserito nel gruppo augusteo, anche per legami parentali. Forse per
questo motivo Velleio metterà non a caso in contrapposizione Cepione, definito pessimus, a
Murena, che è connotato come bonus195. Vale a dire che, nonostante la congiura, la
narrazione di una fonte così filo-ottiavanea come Velleio sia incline ad enfatizzare le
responsabilità di Cepione, vero capo della cospirazione, minimizzando invece quelle di
εuὄeὀa, pὄὁpὄiὁ iὀ ὃuaὀtὁ ὃueὅt’ultimὁ eὄa uὀ peὄὅὁὀaggio prossimo al princeps.
Ridimensionamento delle responsabilità di Murena che torna in Svetonio per la
menzione del processo al solo Cepione196, in Cassio Dione per i dubbi espressi sulla
paὄteἵipaὐiὁὀe ἶi εuὄeὀa alla ἵὁὀgiuὄa e peὄ la ἶefiὀiὐiὁὀe ἶi ἶata a ἑepiὁὀe, iὀ
εaἵὄὁἴiὁ peὄ la ἵὁὅpiὄaὐiὁὀe “ἶi ἑepiὁὀe”197 (Murena è celato), in Seneca per il distacco
uὀ pὁ’ gὁffὁ ἶei ὀὁmi ἶi ἑepiὁὀe e εuὄeὀa198, così precisando un improbabile separazione
del secondo dal primo.
È evidente la strategia operata dalle fonti filo-ottiavanee, tese a plasmare un quadro
ἶi ὅtaἴilitὡ e ἵὁeὄeὀὐa all’iὀteὄὀὁ ἶel gὄuppὁ auguὅteὁ, ἴeὀἵhὧ, ἵὁme viὅtὁ, iὀ eὅὅὁ ὅi
aὀὀiἶaὅὅe aὀἵὁὄa uὀ’ὁppὁὅiὐiὁὀe ὀeaὀἵhe tὄὁppὁ lateὀteέ

192
Antonio, non ancora nemico di Ottaviano, risponderà piccato al futuro princeps rinfacciandogli rapporti
adulterini che proprio Ottaviano avrebbe tenuto con alcune donne, tra le quali una certa Terentilla che è stata
identificata con Terenzia (v. Svet. Aug. 69, 2; Dio. LIV 19, 3).
193
Svet. Aug. 66; Dio. LIV 3,5.
194
Dallo Pseudo Acrone (Ps. Acro I 2, 5-6) e Porfirione (Porph. I 2, 5-6) sappiamo che Proculeio e Murena
condivisero il patrimonio in seguito alle guerre civili.
195
Vell. II 91, 2.
196
Svet. Tib. 8, 1.
197
Macr. Sat. I 11, 21.
198
Sen. brev. 4, 5 (Murenae, Caepionis, Lepidi…); clem. I 9, 6 (Salvidienum Lepidus secutus est, Lepidum
Murena, Murenam Caepio, Caepionem Egnatius).
- 55 -
εa l’eveὀtὁ ὅἵateὀaὀte la ἵὁὀgiuὄa ἶi ἑepiὁὀe e εuὄeὀa fu un processo del quale
siamo a conoscenza grazie al solo Cassio Dione199: Marco Primo200, personaggio assai
legato ad Augusto e proconsole in Macedonia dal 25 a.C., era stato messo sotto accusa per
aver attaccato il regno cliente degli Odrisi Traci senza il consenso dello stesso Augusto e
del nipote Marcello (allora considerato erede, pur non essendoci state iniziative ufficiali in
tal senso)201.
Augusto, intervenuto personalmente in tribunale per smentire la versione di Primo
(a suo dire per il bene pubblico), aveva ὅuὅἵitatὁ la ὄeaὐiὁὀe ὅtiὐὐita ἶell’avvὁἵatὁ
ἶell’ὁὄmai ex gὁveὄὀatὁὄe ἶi εaἵeἶὁὀia, uὀ εuὄeὀa202: nonostante la presenza in aula di
Augusto, Primo ottenne, anche grazie alla copertura del voto segreto, molti voti in favore
ἶell’aὅὅὁluὐiὁὀe, a ἵὁὀfeὄma ἶell’eὅiὅteὀὐa ἶi uὀ gὄuppὁ ὀὁὀ malὀutὄitὁ ἶi ὁppὁὅitὁὄi al
princepsν e aὀἵhe iὀ ἵὁὀὅegueὀὐa ἶi ὃueὅtὁ geὅtὁ pὄepὁteὀte e, peὄ taluὀi, “illegittimὁ” ἶi
Augusto, alcuni uomini, tra i quali Cepione e Murena, avevano progettato una congiura per

199
Dio. LIV 4, 1-4. ( υ υ α α α α Ὀ α
π , α υ α υ π π α,
α α π , α π π α π π α,
α . υ α ῳ υ υ υ α α π α
π α , α πυ υ α απ ῖ, α ; π α
. π π φ π ῖ , α υ
α ῖ , ’ α φ α α . α υ π φ α ,
α π υ π’ α υ α έΦ α , α φ υ
α , π φ α π , π α υ ᾳ υ φ
α α φ α υ , απ π α π υ έ ’
α υ α π υ α , φα φ υ αῖ α
φ α , α π α α αῖ υ αέ α α ’ π’ ’ α
υ φ α ῳ α , υ · πα απ
υ φυ υ ῖ υ α ). Per il modus operandi di Cassio Dione nella narrazione
ἶella ἵὁὀgiuὄa ἶi ἑepiὁὀe e εuὄeὀa ὅi veἶa l’atteὀtὁ ὅtuἶiὁ ἶi G. CRESCI MAROONE, La congiura di
Murena e le 'forbici' di Cassio Dione, in M. SORDI (a cura di), Fazioni e congiure nel mondo antico, Milano,
Vita e Pensiero, 1999, pp. 193-203.
200
Non si sa altro di questo Marco Primo, privo del gentilizio.
201
Si è pensato che Marcello, rientrato in Italia dalla Spagna per sposare Giulia, figlia del princeps, avesse
riportato a Marco Primo le disposizioni non scritte di Ottaviano, in quel momento assente a Roma, ricoprendo
però la semplice carica di edile, quindi privo di qualsiasi legittimazione istituzionale. Marcello aveva sposato
Giulia dopo la malattia che aveva subìto Augusto: una malattia che aveva reso più cocente il problema della
successione, non avendo il princeps discendenti diretti. Cfr. D. STOCKTON, Primus, cit., p. 37.
202
Nel 27 a.C., in seguito alla nota restitutio rei publicae, Ottaviano divise le province in pacificate e non
paἵifiἵate (ὃueὅte ultime ἵὁὀ legiὁὀi al lὁὄὁ iὀteὄὀὁ), ὄeὅtitueὀἶὁ le pὄime all’ammiὀiὅtὄaὐiὁὀe ὅeὀatὁὄia, le
seconde sotto il suo diretto comando. La Macedonia era non pacata malgrado rientrasse alla categoria delle
province senatorie.
- 56 -
eliminarlo, forse temendo la deriva di un governo di natura monarchica e dinastica (pur
eὅὅeὀἶὁ vaghi, ὁ aὅὅeὀti ὀelle fὁὀti, gli ὅἵὁpi e gli aὅpetti ἵὁὀἵὄeti ἶell’aὐiὁὀe)203.
Più che il prodromo della congiura, dunque, il caso di Marco Primo può considerarsi
come un pretesto adottato da un gruppo già da tempo insoddisfatto della politica augustea
per sopprimere quella stessa politica e, necessariamente, il suo promotore.
Era stata la delazione di un personaggio sconosciuto, Castricio204, a permettere la
scoperta del complotto e a consentire – dopo essere stati processati per crimen maiestatis205,
in absentia (per via della fuga permessa loro da Mecenate e Terenzia) – l’uἵἵiὅiὁὀe ἶei
cospiratori.
δὁ ὅteὅὅὁ ἑaὅtὄiἵiὁ ὄiἵevette peὄ ὄiἵὁmpeὀὅa uὀ’aὅὅὁluὐiὁὀe, eὅὅeὀἶὁ iὀ ὃuel
momento coinvolto in un processo. Ma non solo, probabilmente: un Castricio compare in
uὀ’epigὄafe ἶ’etὡ auguὅtea pὄὁveὀieὀte ἶa δaὀuviὁ (ILS 2676), presso Roma, dove i
Terenzi Varrone Murena avevano numerosi possedimenti terrieri. Così si è pensato che il
Castὄiἵiὁ pὄeὅeὀte iὀ ὃuell’iὅἵὄiὐiὁὀe fὁὅὅe il ἶelatὁὄe ἶi εuὄeὀa, ἶel ὃuale avὄeἴἴe aὀὐi
ereditato, per ricompensa, i latifondi dopo la confisca dello Stato206.
È chiaro che la congiura di Cepione e Murena, peraltro scoperta in uno stadio
apparentemente avanzato, possa considerarsi come una delle più gravi e autentiche se si
pensa anche ai sacrifici di ringraziamento appena successivi, comparabili alle
supplicationes gratulatorie207, nel ricordo di celebrazioni già avvenute per le cospirazioni
sventate di Salvidieno Rufo e Cornelio Gallo. La menzione di complici, seppur anonimi
(vedi Strabone e Svetonio), fa pensare a un progetto ampio e condiviso, malgrado le fonti

203
χuguὅtὁ, iὀ viὄtὶ ἶell’imperium consulare, poteva contare su un controllo non indifferente sui governatori
delle province senatorie. Tuttavia la sua presenza in senato fu interpretata come forte ingerenza in ambito
bellico e come violazione di quel sofferto equilibrio raggiunto col senato. Cfr. B. LEWICK, Primus, Murena,
and Fides: Notes on Cassius Dio Liv. 3, Greece & Rome, vol. 2, 22, 1975, p. 156; K. M. T. ATKINSON, cit.,
p. 452; F. ROHR VIO, cit., 2000, p. 307.
204
Solo Svetonio riporta il nome del delatore. Le altre fonti parlano di informatori, ma senza far nome. Affuit
et clientibus, sicut Scutario cuidam evocato quondam suo, qui postulabatur iniuriarum. Unum omnino e
reorum numero ac ne eum quidem nisi precibus eripuit, exorato coram iudicibus accusatore, Castricium, per
quem de coniuratione Murenae cognoverat (Svet. Aug. 56, 7).
205
δ’imputaὐiὁὀe peὄ crimen maiestatis, come già analizzato per il caso di Quinto Gallio, era diretta a coloro
che attentavano alla vita di un magistrato romano. E in quel 23 a.C. Augusto era stato console.
206
Cfr. F. ROHR VIO, cit., 2011, p. 64.
207
Dio. LIV 3, 8. Per S. JAMESON (22 or 23?, Historia, 1969, pp. 204-229, soprattutto pp. 225-226) questi
sacrifici si inserirebbero nei Fasti Feriarum Latinarum, svoltisi nel ἀἁ aέἑέ e iteὄati ὀell’autuὀὀὁ ἶi ὃuellὁ
stesso anno forse per via della congiura sventata, quando di solito si svolgevano tra maggio e agosto.
- 57 -
perseverino nella solita strategia di minimizzazione, tesa a celare gli scopi politici della
congiura.

Il problema della datazione della congiura non può svincolarsi da alcuni


provvedimenti adottati da Augusto dopo la stessa cospirazione: ne illuminano, anzi, alcuni
aspetti. Un problema sul quale, come detto, la critica si è divisa nelle opinioni, propendendo
per il 23 o per il 22 a.C.
È incauto affidarsi soltanto alle fonti, che non danno riferimenti precisi, oppure
offrono cronologie assai vaghe. Velleio e Dione sono i più dettagliati: il primo scrive ante
triennium fere quam Egnatianum scelus erumperet, circa Murenae Caepionisque
coniurationis tempus, abhinc annos L, M. Marcellus… decessit208.
ἒa ὃueὅtὁ paὅὅὁ ὅi ἶeἶuἵe ἵhe la ἵὁὀgiuὄa avveὀὀe tὄe aὀὀi pὄima ἶell’altὄa aὐiὁὀe
sovversiva di Egnazio Rufo – che, come vedremo nel dettaglio, si consumò nel 19 – e
all’iὀἵiὄἵa ὀellὁ ὅteὅὅὁ peὄiὁἶὁ iὀ ἵui mὁὄì εaὄἵellὁ, ὀipὁte ἶi χuguὅtὁ, la ἵui mὁὄte ὅi puά
fὁὄὅe ἵiὄἵὁὅἵὄiveὄe all’agὁὅtὁ-settembre 23209. Cassio Dione, invece, pone le vicende della
cospirazione di Cepione e Murena nella sezione della sua ὁpeὄa ἶell’aὀὀὁ ἀἀ aέἑέ,
pὄὁἵὄaὅtiὀaὀἶὁla peὄ via ἶel pὄὁἵeὅὅὁ ἶi εaὄἵὁ ἢὄimὁμ ma ὅappiamὁ ὃuaὀtὁ lὁ ὅtὁὄiἵὁ ἶ’etὡ

208
Vell. II 93, 1. Seneca, Svetonio e Tacito permettono solo di collocare la cospirazione di Cepione e Murena
tra quella di Emilio Lepido e quella successiva di Egnazio Rufo, dando così una cronologia relativa
(rispettivamente in Sen. brev. 4, 5; clem. I 9, 6; Svet. Aug. 19, 1; Tac. ann. I 10, 3). Strabone e Macrobio non
danno alcun riferimento.
209
Plinio fa un riferimento a Marcello edile il 1 agosto del 23 a.C. (XIX, 24), mentre da Cassio Dione si può
ἶeἶuὄὄe ἵhe ὅia giὡ mὁὄtὁ ὀell’aὄἵὁ ἶi tempὁ ἂ-19 settembre dello stesso anno (Dio. LIII 30, 6).
- 58 -
ὅeveὄiaὀa ὅpeὅὅὁ pὄeἶiliga uὀ’aὅὅὁἵiaὐiὁὀe ἶ’aὄgὁmeὀti piὶ ἵhe uὀ’aὅὅὁἵiaὐiὁὀe
cronologica210.
Come è risaputo, il princeps nel 23 a.C. opera un riordinamento istituzionale di
eὀὁὄme pὁὄtata ἵhe aὀἶὄὡ a plaὅmaὄe l’aὅὅettὁ pὄeὅὅὁἵhὧ ἶefiὀitivὁ ἶel ὅuὁ pὄiὀἵipatὁμ eὄa
l’eὅitὁ ἶi uὀ’evὁluὐiὁὀe veὀteὀὀale luἵiἶameὀte pilὁtata, e faἴἴὄiἵata ἵὁὀ paὐieὀὐa ὀel
laboratorio repubblicano.
Ottiene la tribunicia potestas a vita211 e lo ius agendi cum senatu che gli permetterà
di convocare il senato e di farvi proposte in qualsiasi seduta212; forse non proprio in quel
fὄaὀgeὀte ὁttieὀe l’imperium proconsulare infinitum et maius (dunque perpetuo, senza
l’ὁἴἴligὁ ἶi deporlo entrando nel pomerium), poiché è presumibile che Augusto avesse
questo potere già dal 27213.

210
Dio. LIV 3, 4. Anche sul processo di Marco Primo non si è concordi: pensano al 23 a.C. W. C. Mc
DERMOTT (Varro cit., p. 260); D. STOCKTON, Primus cit., pp. 32-38; S. JAMESON, 22 or 23 cit., pp.
204-214; al 22 a.C. crede, basandosi proprio su Dione, K. M. T. ATKINSON, Constitutional cit., pp. 443-
446.
211
Cfr. Dio. LIV 3, 3. Così poteva vantare lo ius intercedendi, lo ius coercitionis e lo ius agendi cum plebe.
Ed era inviolabile come inviolabili erano i tribuni della plebe.
212
Cfr. Dio. LIII 32, 5. Augusto poteva porre anche il veto sulle decisioni dei magistrati.
213
Cfr. Dio. LIII 32, 5. Sulla reale esistenza di un imperium proconsulare infinitus e maius si è in verità molto
discusso. Augusto stesso, nelle Res Gestae, parlerà ripetutamente di tribunicia potestas, ma mai di imperium
proconsulare, secondo Syme omettendolo studiatamente (R. SYME, cit., pp. 336-338). Inoltre, nelle fonti
latine, si parlerà distintamente di imperium maius o di imperium proconsulare, e la locuzione maius et
infinitum ὅaὄὡ utiliὐὐata ὅὁlὁ ἴeὀ piὶ taὄἶi ἶa Ulpiaὀὁ (ἒέ 1, 1ἄ, ἆ)έ δ’iἶea geὀeὄale ἶella storiografia moderna
sui principes mai stati anche proconsoli prima della salita al potere di Traiano e Adriano, cioè quando questo
titolo diverrà stabile (Val. Max. 6, 9, 7; 8, 1 2), è stata smentita di recente dal ritrovamento di un editto che,
nel 15 aέἑέ, paὄla ἶi χuguὅtὁ iὀ ὃualitὡ ἶi pὄὁἵὁὀὅὁle (ὅul tema veἶi l’eἶiὐiὁὀe ἵὄitiἵa ἶel teὅtὁ ἶi ἔέ
COSTABILE – O. LICANDRO, Tessera paemeiobrigensis. Un nuovo editto di Augusto dalla Transduriana
provincia e l’imperium proconsulare del princeps, Roma, 2000, soprattutto pp. 65-106). Il princeps, pur
eὅὅeὀἶὁ ἵὁὀὅὁle, ὀelle ὅue pὄὁviὀἵe aὅὅumeva la ἵaὄiἵa ἶi pὄὁἵὁὀὅὁle e l’imperium ἶi ὃueὅt’ultima ἵaὄiἵaμ peὄ
questo Augusto poteva essere chiamato proconsole fuori Roma e per questo le cariche di console e proconsole
potevano cumularsi (senza aspettare, come in età repubblicana, che un console diventasse proconsole al
termine della sua magistratura). In verità è già nel 27 a.C. che Augusto ottiene un imperium proconsolare
dalla durata decennale sulle province, poi rinnovato quinquennio dopo quinquennio fino al 13 d.C.;
ὃueὅt’attὄiἴuὐiὁὀe ἶi imperia proconsolari pluriennali non si configurava come una rottura istituzionale,
poiché già attuata da Cesare, Pompeo e Antonio. Così si è spesso parlato di una trasformazione automatica da
un imperium ἵὁὀὅὁlaὄe a pὄὁἵὁὀὅὁlaὄeέ ϋ, ὅegueὀἶὁ ἢaὀi, ὅi puά ὅmὁὄὐaὄe l’affeὄmaὐiὁὀe ἶi ἑaὅὅiὁ ἒiὁὀe,
ὅeἵὁὀἶὁ il ὃuale χuguὅtὁ aὅὅuὀὅe l’imperium proconsulare una volta per sempre (non deponendolo
all’iὀteὄὀὁ ἶel pomerium), superiore a quello dei magistrati insediati nelle varie province (Dio. LIII 32, 5). Un
potere sulle province militarizzate, infatti, Augusto lo avrebbe avuto nel 23 per i provvedimenti del 27, in cui
lo ottenne per durata decennale. Si è anche ipotizzato che, pur non essendoci un provvedimento formale o un
mutameὀtὁ ἶeἵiὅivὁ ὀel ἀἁ, fὁὄὅe iὀ ὃueὅt’ultimὁ aὀὀὁ ὅἵaἶeva l’imperium fissato quinquennalmente, e non
per dieci anni (così J. L. FERRARY, À propos des puovoirs de Auguste, in Cahiers du Centre Gustave Glotz,
vol. 12, 2001, pp. 101-154, soprattutto pp.108-121). Fatto sta che ad Augusto era già stato concesso,
pὄeἵeἶeὀtemeὀte al fatiἶiἵὁ ὄiὁὄἶiὀameὀtὁ ἶel ἀἁ aέἑμ, ἶi ἵὁὀὅeὄvaὄe l’imperium militaὄe aὀἵhe all’iὀteὄὀὁ ἶel
- 59 -
Acquisisce, cioè, tutti i poteri della magistratura senza però essere magistrato,
quindi non incorrendo in limiti temporali: i poteri consolari senza essere console, e quelli
tribunizi senza essere tribuno. Convergevano nel medesimo personaggio due istituzioni che
ὅtὁὄiἵameὀte ὅi eὄaὀὁ fatte la lὁtta a ἤὁma, aἶ amalgamaὄe le iὀteὀὐiὁὀi ἶell’ὁligaὄἵhia
(iὀἵapaἵe ἶi ὁὄgaὀiὐὐaὄe e geὅtiὄe uὀ’eὀtitὡ maὅtὁἶὁὀtiἵa ἵὁm’eὄa l’impeὄὁ) ἵὁὀ ὃuelle
degli strati più bassi della popolazione, che vedevano in Augusto un uomo carismatico e
protettivo, attento anche alle loro esigenze.
A questa ristrutturazione istituzionale si lega peraltro la scelta del princeps di
dimettersi da console, nel luglio del 23 a.C., dopo aver mantenuto tale incarico
ininterrottamente dal 31: questo perché, formalmente, non era più necessario.
Veὀὀe ὅὁὅtituitὁ, ὀell’ὁttiἵa ἶi uὀ’immagiὀe filὁ-repubblicana del suo potere, da
Lucio Sesto, ex sostenitore di Bruto ma altro antagonista ormai innocuo (esattamente come
l’altὄὁ ἵὁὀὅὁle, ἢiὅὁὀe, aὀἵh’egli uὀ iὀὁffeὀὅivὁ ὄepuἴἴliἵaὀὁ)έ ῄ aὀὐi plauὅiἴile ἵhe
Cepione e Murena avessero contestato ad Augusto, durante il processo di Marco Primo,
questa stessa spropositata iterazione della carica di console214.
La straordinaria ristrutturazione istituzionale augustea avrebbe però suscitato una
forte reazione di gruppi contrari a quelle misure e anche eterogenei per conformazione
interna. Così la congiura di Cepione e Murena sarebbe stata una conseguenza di quel
regolamento del 23, non una sua causa. Successiva anche al processo di Marco Primo, la
cospirazione potrebbe pertanto collocarsi al termine del 23 a.C. o agli inizi del 22 a.C.215
Per meglio districare la delicata ὃueὅtiὁὀe ἶella ἶataὐiὁὀe, l’eleὀἵὁ ἶei fatti aἵἵaἶuti
a Roma in quel ristretto arco di tempo agevolerebbe forse il chiarimento del dibattito.

pὁmeὄiὁ, ἵὁὅì amalgamaὀἶὁ uὀitaὄiameὀte l’imperium domi e l’imperium militiae, a ricalcare quello che era
stato il potere del dictator, mai costretto a riporre le scuri nei fasci, a Roma. Cfr. M. PANI, L’imperium del
principe, in L. Capogrossi Colognesi e E. Tassi Scandalo (a cura di), La lex de imperio Vespasiani e la Roma
dei Flavi, Atti del Convegno (ottobre 2008), Roma, pp. 187-203); F. SERRAO, Il modello di costituzione.
Forme giuridiche, caratteri politici, aspetti economico-sociali, in L’impero mediterraneo: i principi e il
mondo, vol. 2, Roma, pp. 29-71.
214
Cfr. F. ROHR VIO, cit., 2000, p. 315; JAMESON, cit., p. 224. È in questo periodo che Ottaviano assume
il nome di Augusto, conferitogli dal senato e dal popolo, ad attribuirgli una posizione quasi divina in quanto a
tutti superiore in auctoritas (il nome si collega naturalmente ad augeo).
215
ἑὁὅì aὀἵhe Iέ ἑἡἕIἦἡἤϋ, ἵitέ, pέ 1ἁἂέ ἢeὄ uὀa paὀὁὄamiἵa geὀeὄale ὅull’ὁpiὀiὁὀe ἶi alἵuὀi autὁὄi ὅulla
datazione v. F. ROHR VIO, 2000, cit., p. 301, n. 69; p. 304.
- 60 -
Dopo il suddetto processo a Primo, e prima delle sue dimissioni dal consolato, nella
prima parte di quel 23 a.C. Augusto trascorre momenti difficili a causa della sua solita
ἵagiὁὀevὁle ὅaluteέ Iὀ ὃueὅt’ὁἵἵaὅiὁὀe ἵὁὀὅegὀeὄὡ l’aὀellὁ aἶ χgὄippa e i pὁteὄi all’altὄὁ
collega console, Pisone, così almeno apparentemente scansando la possibilità di dare un
seguito dinastico al suo potere e scegliendo un sostituto con criterio meritocratico (Marcello
era comunque ritenuto ancora troppo inesperto).
Proprio quando si ristabilisce, verso l’eὅtate iὀvia χgὄippa iὀ ἡὄieὀte, iὀ ἥiὄia, peὄ
scongiurare eventuali contrasti tra lo stesso Agrippa (a cui era stato consegnato
simbolicamente il potere in tempo di malattia) e quel Marcello erede designato 216. Ma
ὃueὅt’ultimὁ muὁὄe a ἐaia iὀ uὀa ἶata impὄeἵiὅata ὀell’agὁὅtὁ-settembre del 23,
ὅemἴὄeὄeἴἴe appeὀa pὄima ἶell’iὀauguὄaὐiὁὀe ἶel tempio a Giove Tonante e del
festeggiamento, in ottobre, di seconde Feriae Latinae217.
ἣueὅt’ultima ἵeleἴὄaὐiὁὀe feὅtiva e l’iὀauguὄaὐiὁὀe ὅuἶἶetta ἶi uὀ luὁgὁ ὅaἵὄὁ
hanno fatto pensare a una collocazione temporale della congiura proprio al 23, in quanto
queste azioni di Augusto sarebbero conseguenze del pericolo scampato218.
Ma questa certezza sulla datazione della congiura di Cepione e Murena andrebbe
ὄipeὀὅata ὁ ὃuaὀtὁmeὀὁ ὅfumata ὅe meὅὅa iὀ ὄelaὐiὁὀe, iὀ uὀ’ὁttiἵa ἶiveὄὅa, ἵὁὀ i
provvedimenti adottati da Augusto nel 23. Soprattutto, è stato spesso dimenticato che il
princeps torni a Roma nella primavera del 22 per disordini avvenuti in città, partendo poi in
luglio per la Sicilia219. Disordini interni non specificati che potrebbero ricondursi a una
carestia ὅἵὁppiata iὀ ὃuel peὄiὁἶὁ a ἤὁma (χuguὅtὁ ὁtteὄὄὡ iὀfatti la ἵuὄatela ἶell’aὀὀὁὀa)
o, in seconda battuta, anche alla congiura di Cepione e Murena.
Altro punto favorevole a una riconsiderazione sulla cronologia per i primi tempi del
22 a.C. sarebbe un passo svetoniano in cui, elencando le attività giudiziarie del giovane e
futuro imperatore Tiberio, si fa riferimento alla sua accusa di lesa maestà – l’ultima
ὀell’eὀumeὄaὐiὁὀe – rivolta proprio a Fannio Cepione, congiurato contro Augusto assieme

216
Dio. LIII 32, 1. Sempre Cassio Dione descrive i funerali di Marcello in LIII 30, 5; 31, 3.
217
ἔeὅtivitὡ ἵhe ἥwaὀ ha ὄiἵὁllegatὁ aὀἵhe a uὀ’iὀὁὀἶaὐiὁὀe avveὀuta a ἤὁma tὄa l’ὁttὁἴὄe e il ἶiἵemἴὄe ἶel
23 (The Consular, cit., p. 246).
218
Cfr. F. ROHR VIO, 2000, p. 321 ss.
219
Cfr. S. JAMESON, cit., pp. 225-226. Nel 22 a.C. Augusto rifiutò anche dal senato la censura vitalizia, pur
pὄὁpὁὀeὀἶὁ l’eleὐiὁὀe ἶi ἶue ἵeὀὅὁὄi a lui fiἶatiέ
- 61 -
a Murena220. Sapeὀἶὁ ἵhe ἦiἴeὄiὁ ὅi ὁἵἵupa ἶell’aὀὀὁὀa ὀel ἀἁ aέἑέ, interque haec farebbe
presupporre a un processo quantomeno contemporaneo o successivo a tale curatela221.
Per chiarire ancora meglio il dilemma della datazione può venire in soccorso
l’iἶeὀtifiἵaὐiὁὀe piὶ precisa dello stesso Murena. Che, secondo la Treggiari222, era un uomo
schieratosi contro Ottaviano durante le guerre civili e poi reintegrato (chiara testimonianza
eὄa la ἵὁὀἵeὅὅiὁὀe ἶell’auguὄatὁ)μ uὀ figliὁ aἶὁttivὁ ἶel pὁmpeiaὀὁ Vaὄὄὁὀe ἵhe è
menzionato da Cicerone223.
Soprattutto, seguendo la Cogitore, il Murena console andrebbe distinto dal nostro
Murena, avvocato e reale cospiratore: il primo muore nel 23, come indicato dai Fasti,
rimpiazzato da Pisone; il secondo, avvocato di Primo, architetta con Cepione (e altri
sconosciuti complici) la congiura che lo condurrà alla morte, forse già presente in campo
pompeiano nel 48 a.C. stando a un passo cesariano224.
Così si spiega anche la strana, mancata menzione della sua carica di console nelle
fonti: semplicemente, il Murena congiurato non fu mai console, quando invece tutte le
teorie della storiografia moderna che propendono per una collocazione al 23 a.C. si fondano
ὅull’iἶeὀtitὡ ἶel peὄὅὁὀaggiὁ εuὄeὀa, avvὁἵatὁήἵὁὀgiuὄatὁ e aὀἵhe ἵὁὀὅὁle (ἵaὀἵellatὁ iὀ
quel 23).
Infine Augusto portava avanti anche il problema delle ingerenze militari, contestate
nella congiura di Cepione e Murena: la conferma di un imperium proconsulare, forse già
delineato nel 27 a.C., gli permetteva di evitare altri equivoci in futuro. Ancora più
importante fu il provvedimento del princeps, conseguente la cospirazione, volto ad
abrogare il voto segreto nei tribunali, che si erano dimostrati tanto pericolosi, essendo le
giurie ancora abbastanza autonome: Augusto stabilì che nei processi in absentia il parere

220
Fannium Caepionem, qui cum Varrone Murena in Augustum conspiraverat, reum maiestatis apud iudices
fecit et condemnavit. Interque haec duplicem curam administravit, annonae quae artior inciderat, et
repurgandorum tota Italia ergastulorum (Svet. Tib. 8, 1-2).
221
Così anche G. W. BOWERSOCK, Augustus and the Greek World, Oxford, 1965, pp. 157-158; M. SWAN,
The Consular, cit., p. 241.
222
S. TREGGIARI, Cicero, Horace, and Mutual Friends: Lamiae and Varrones Murenae, “ἢhὁeὀix”, ἀἅ,
1973, pp. 233-235.
223
Cic., fam. XIII 22; XVI 12, 6.
224
Cfr. Caes. III 19, 4 (qui denominato Aulo Varrone). Cfr. I. COGITORE, cit., pp. 131-133. Forse Murena,
ἶimeὀtiἵὁ ἶel ὅuὁ paὅὅatὁ, aveva iὀἵὁmiὀἵiatὁ a faὄ paὄte ἶell’eὀtὁuὄage auguὅteὁ, ἵὁmuὀὃue ὄimaὀeὀἶὁὀe
presto deluso.
- 62 -
dei giurati dovesse essere unanime, parallelamente impostando il voto palese225. I tribunali,
privati di questa loro segretezza, da allora non furono più in grado di esprimere il loro pur
carsico dissenso.
Se, dunque, la cospirazione di Cepione e Murena poteva configurarsi come reazione
aἶ alἵuὀi eἵἵeὐiὁὀali ἵamἴiameὀti ὀell’aὅὅettὁ ἶellὁ ὅtatὁ, la ὅuἵἵeὅὅiva ἵὁὀgiuὄa ἶel
senatore Egnazio Rufo, architettata ad hoc da Augusto stesso, sarebbe invece servita come
pretesto per sopprimere un uomo attorno al quale cominciava ad esserci troppo consenso, e
pὁi peὄ elaἴὁὄaὄe uὀ’altὄa iὀὀὁvaὐiὁὀe a livellὁ iὅtituὐiὁὀale ἵhe avὄeἴἴe impeἶitὁ altὄe
future manifestazioni di quello stesso consenso.

225
Cfr. F. ROHR VIO, cit., 2011, p. 66.
- 63 -
CAPITOLO V

Marco Egnazio Rufo: un senatore fastidioso.

«…raccolse intorno a sé un po’ di gentaglia in tutto simile a lui e decisa a uccidere Cesare, disposto
a morire dopo aver tolto di mezzo la persona, viva la quale, non avrebbe potuto vivere lui (…) Né
Egnazio, nel celare il suo complotto, fu più fortunato di quanti l’avevano preceduto: gettato in
carcere insieme ai complici, fece una fine veramente degna della sua vita»
(Vell. II, 91, 4)

Mentre, in quel 23-22 a.C., Cepione e Murena attentavano alla vita di Augusto nel
velleitario tentativo di scatenare un rivolgimento politico, così minacciando le fondamenta
sempre più solide del principato, era agli albori la campagna elettorale del senatore Marco
Egnazio Rufo (forse originario di quella che era la bassa Etruria), poi soppresso neque
multo post la precedente cospirazione anti-augustea, come dice Velleio (nel 19 a.C.)226.

* Per la congiura di Egnazio Rufo si veda l'appendice delle fonti da p. 145.


226
Vell. II 91, 3. Diὁὀe è l’uὀiἵὁ ἵhe ἵὄὁὀὁlὁgiἵameὀte aὀtiἵipa, e ἶi mὁltὁ, la ἵὁὀgiuὄa ἶi ϋgὀaὐio Rufo,
ponendola nel 26 a.C.: sette anni prima rispetto alla sua reale collocazione e, dunque, appena posteriore alla
non-cospirazione di Cornelio Gallo. Abbiamo già visto come, a piὶ ὄipὄeὅe, lὁ ὅtὁὄiἵὁ ἶ’etὡ ὅeveὄiaὀa sfalsi le
collocazioni temporali, preferendo associare le varie vicende da un punto di vista tematico più che annalistico.
Secondo la Cogitore (La légitimité, cit., p. 140), la confusione di Dione si spiegherebbe con la sua volontà di
porre in risalto la vicinanza della cospirazione di Egnazio con un nuovo provvedimento augusteo: come
vedremo, in quel 26 a.C., il princeps darà nuova linfa alla figura del praefectus urbi, comandante delle coorti
- 64 -
Un cursus honorum fulmineo, il suo, ma soprattutto irregolare: edile nel 22 senza
forse aver ricoperto la questura (non vi sono menzioni al riguardo), pretore nel 21 o nel 20
(πα α peὄ ἒiὁὀe e ὅὁlὁ favore populi per Velleio Patercolo)227, avrebbe voluto
diventare console nel 19 a.C., anno della sua eliminazione228.
Un cursus chiaramente irregolare perché si violava la vecchia e in verità già
vituperata lex Villia annalis del 180 a.C., che prevedeva un intervallo almeno biennale tra
uὀa ἵaὄiἵa e l’altὄa229. Proprio su tale illegalità convergono le due fonti principali della
vicenda di Egnazio Rufo – Velleio e Cassio Dione – che al contrario saranno discordi per il
resto della narrazione, come vedremo.
Ma la violazione della lex Villia non sorprendeva. Lo stesso Augusto, reiterando in
modo improprio il consolato, aveva tralasciato il rigido rispetto delle norme. In età
triumvirale, e poi in questi primi anni di principato, le infrazioni nel cursus continuavano ad
eὅὅeὄe all’ὁὄἶiὀe ἶel giὁὄὀὁέ χὀἵhe il ἵaὅὁ ἶel giὡ meὀὐiὁὀatὁ ἥalviἶieὀὁ ἤufὁ è iὀ ὃueὅtὁ
ὅeὀὅὁ emἴlematiἵὁ peὄ l’aἵἵeleὄata, e peὄtaὀtὁ ὅἵὁὄὄetta ἶal puὀtὁ ἶi viὅta legiὅlativὁ,
carriera politica.
La fine di ϋgὀaὐiὁ ἤufὁ è ἶa ὄiἵὁllegaὄὅi a ὃuell’aὅὅai ἵeleὄe iter politico e alla
popolarità da lui acquisita durante questi incarichi, soprattutto da edile. Una popolarità che
alligὀava ὀelle ἵlaὅὅi piὶ ἴaὅὅe ἶell’Uὄἴe e ὅgὄaἶita ὃuiὀἶi a ἡttaviaὀὁ, il ὃuale ἶa anni si
impegnava a catturare il favore dei ceti subalterni. Il conferimento della tribunicia potestas
a vita e pὁi la ἵuὄatela ἶell’aὀὀὁὀa ὄieὀtὄavaὀὁ iὀ ὃueὅtὁ ἶiὅegὀὁ auguὅteὁέ
Egnazio Rufo si era infatti impegnato, in quanto edile, per la prevenzione e per lo
spegnimento degli incendi, annoso problema, sempre vivo a Roma, in gran parte costruita

urbane a tutela della quiete pubblica. Ma Dione, scrivendo dopo due secoli dai fatti, confonde il
provvedimento del praefectus urbi ἵὁὀ ὃuellὁ ἶell’iὅtituὐiὁὀe ἶel ἵὁὄpὁ ἶei vigiles, vera conseguenza della
finta congiura di Egnazio Rufo. Sulle mansioni del praefectus urbi cfr. F. SERRAO, cit., p. 54. In generale
sulla cospirazione di Egnazio Rufo cfr. F. ROHR VIO, cit., 2011, pp. 71-77.
227
Dio. LIII 24, 5; Vell. II 91, 3.
228
La cronologia della congiura al 19 è quasi unanimemente riconosciuta: D. STOCKTON, cit., p. 20; S.
JAMESON, cit., p. 223; RAAFLAUB-SAMONS, cit., p. 427. Non così concordi sulle date che riguardano il
cursus di Egnazio Rufo: P. BADOT (A propos de la conspiration de M. Egnatius Rufus, «Latomus», 32,
1973, pp. 606-ἄ1η) ἵὁllὁἵa l’eἶilitὡ al ἀί, la pὄetuὄa al 1λ e la candidatura al futuro consolato del 18;
BAUMAN (cit., pp. 190-192), sulla base di Dione che situa la congiura al 26, pur circoscrivendo la congiura
al 1λ peὀὅa a uὀ’eἶilitὡ ἶi ϋgὀaὐiὁ proprio nel 26, non convinto della reiterazione irregolare delle cariche.
229
Il pὄὁvveἶimeὀtὁ fattὁ appὄὁvaὄe ἶal tὄiἴuὀὁ δuἵiὁ Villiὁ ὅaὀἵiva aὀἵhe uὀ’etὡ miὀima peὄ l’aἵἵeὅὅὁ al
cursus. Cfr. Liv. XL 44.
- 65 -
in legno (basti pensare al successivo, catastrofico incendio del 64 d.C.)230έ ἒὁpὁ l’eἶilitὡ,
tuttavia, Egnazio aveva assoldato schiavi propri o altri individui liberi al fine di sedare il
problema degli incendi con efficacia decisiva, aumentando il suo consenso in città mediante
aὐiὁὀi ὃuaὅi “pὄivate” iὀ ὃueὅtὁ amἴitὁέ ἒiveὀtatὁ peὄtaὀtὁ ὅἵὁmὁἶὁ peὄ χuguὅtὁ, ϋgὀaὐiὁ
era stato soppresso con il solito pretesto della ἵὁὀgiuὄa ὁὄἶita ai ἶaὀὀi ἶell’impeὄatὁὄeέ
Sono cinque le fonti che trattano la vicenda: solo cursorie le righe di Seneca e
Tacito (che semplicemente inseriscono il nome di Egnazio nel calderone dei vari
cospiratori), breve è Svetonio (che afferma che la congiura fu scoperta prius quam
invalescerent), mentre più loquaci sono Velleio e Cassio Dione, seppur con indole
prevedibilmente diversa231.
Velleio, allineatissimo alla propaganda augustea, tramite soliti motivi topici
presenta in cattiva luce Egnazio per natali, indole, precedenti, paragonandolo più un
gladiatore che a un aristocratico (omnia gladiatori quam senatori propior)232.
ἒiὁὀe, puὄ ἶefiὀeὀἶὁ aὄὄὁgaὀte l’atteggiameὀtὁ ἶi ϋgὀaὐiὁ, ὀe lὁἶa i meὄiti peὄ la
sua attività di magistrato, dalla quale Roma trasse beneficio; e tralasciando suoi eventuali
iὀteὀti eveὄὅivi, è ἶiὅἵὁὄἶe ἵὁὀ Velleiὁ ὅull’aὅpettὁ ἶella ἶiὅpὁὀiἴilitὡ fiὀaὀὐiaὄia ἶi ϋgὀaὐiὁ
(ἶiὅὅeὅtata ὅeἵὁὀἶὁ lὁ ὅtὁὄiἵὁ ἶ’etὡ tiἴeὄiaὀa, peὄ i ἶiὅpeὀἶi ἶelle ἵampagὀe elettὁὄali e peὄ

230
ϋὄaὀὁ appuὀtὁ gli eἶili aἶ ὁἵἵupaὄὅi ἶel fuὁἵὁ ὀell’Uὄἴe, fiὀ ἶall’etὡ ὄepuἴἴliἵaὀa, ὅeὀὐa peὄά alἵuὀ tipὁ ἶi
normative o protocolli.
231
Sen. brev. 4, 5; clem. 1, 9, 6; Svet. Aug. 19, 1; Tac. ann. 1, 10, 3; Vell. II 91, 2-3; Dio. LIII 24, 5-6. In
Seneca e in Tacito, Egnazio Rufo è accostato a personaggi quali Emilio Lepido, Cepione, Murena, Iullo
Antonio, tutti connessi ai poteri civili della res publica e artefici di problemi interni. Cfr. F. ROHR VIO,
2000, cit., p. 175. Sempre Seneca (clem. 1, 9, 6) include la vicenda tra quelle in cui Augusto usò la severitas,
in qualche modo rendendo il princeps implicitamente responsabile. Il trittico formato, in Tacito, da Varrone,
Egnazio e Iullo Antonio è stato interpretato come precisa volontà di esaltare tre casi di diversa matrice:
senatoria, popolare e - come si vedrà per le congiure delle Giulie - familiare. Velleio, con la sua frase quasi
didascalica e generalistica ὅulla “ὀatuὄa umaὀa”, mὁὅtὄa tutta la ὅua malafeἶe meἶiaὀte ὃueὅt’esposizione
esageratamente retorica e poco calzante, se si pensa che la disgrazia di Egnazio Rufo fu tutta personale.
232
Vell. II 91, 3. (Neque multo post Rufus Egnatius, per omnia gladiatori quam senatori propior, collecto in
aedilitate favore populi, quem extinguendis privata familia incendiis in dies auxerat, in tantum quidem, ut ei
praeturam continuaret, mox etiam consulatum petere ausus, cum esset omni flagitiorum scelerumque
conscientia mersus nec melior illi res familiaris quam mens foret, adgregatis simillimis sibi interimere
Caesarem statuit, ut quo salvo salvus esse non poterat, eo sublato moreretur. Quippe ita se mores habent, ut
publica quisque ruina malit occidere quam sua proteri et idem passurus minus conspici. Neque hic prioribus
in occultando felicior fuit, abditusque carceri cum consciis facinoris mortem dignissimam vita sua obiit).
- 66 -
sventare gli incendi)233 e sul fatto che il senatore, per i suoi scopi anti-incendiari, utilizzò
personale anche libero oltre che schiavile.
Ancora una volta, cioè, Cassio Dione attinge informazioni da fonti filo-ottavianee e
adombra, in questo preciso caso, responsabilità personali da parte di Augusto per la
soppressione di Egnazio Rufo. La Cogitore, infatti, nota che soprattutto Velleio si impunti
ὅugli aὅpetti mὁὄali ἶella viἵeὀἶa (peὄ ὀaὅἵὁὀἶeὄe l’elimiὀaὐiὁὀe ἶi uὀ iὀὀὁἵeὀte), mai
facendo ricorso a vocaboli che connotano una congiura234.
δ’iὀὀὁἵeὀὐa ἶi ϋgὀaὐiὁ ὅaὄeἴἴe ἵὁmpὄὁvata ὀὁὀ ὅὁlὁ, ἵὁme ἶettὁ, ἶall’aὅὅeὀὐa ἶi
uὀa ἶettagliata eὅpὁὅiὐiὁὀe ἶell’eveὀtuale ἵὁmplὁttὁ ἶa lui ὁὄἶitὁ, ma aὀἵhe ἶalla
descrizione vaga e sommaria della sua fine: non si conosce, cioè, il modo in cui muore, o
per mano di chi235.
In epoca repubblicana tresviri nocturni domavano il fuoco a Roma, spesso in modo
inefficiente. Così pullulavano evergeti, uomini benestanti, che con piccole truppe di schiavi
a disposizione risolvevano i vari e imprevedibili casi di incendi scoppiati costantemente
ὀell’Uὄἴe236.
ἠel ἀἀ aέἑέ χuguὅtὁ ἶὁveva, peὄά, faὄ fὄὁὀte a uὀ’iὀὁὀἶaὐiὁὀe ἵhe aveva ἵauὅatὁ
una grave carestia: assumendo la cura annonae, e avvicinandosi ancor di più alle masse più
povere di Roma, incaricava in quello stesso anno gli edili di occuparsi degli incendi, con
l’utiliὐὐὁ ἶi ὅeiἵeὀtὁ ὅἵhiaviέ ῄ iὀ ὃueὅtὁ fὄaὀgeὀte ἵhe l’edile Egnazio Rufo si attornia di
consensi e incomincia lentamente ad assumere le sembianze del personaggio scomodo per
il princeps.
Già alla fine della pretura, stando alle parole di Dione, Egnazio aveva emanato una
specie di bollettino in cui consegnava la città al futuro pretore sana e salva ( αυ α

233
Vell. II. 91, 3. In verità Dione preciserà anche che il popolo, riconoscente, restituì a Egnazio Rufo il denaro
speso per gli incendi.
234
Cfr. I. COGITORE, cit., pp. 136-141. Velleio parlerà infatti di scelus o fascinus.
235
Dubitano della buona fede di Egnazio, credendo in un suo reale coinvolgimento nella congiura: R. A.
BAUMAN, Crimen, cit., pp. 190-193; RAAFLAUB – SAMONS, Opposition, cit., p. 427. Per il primo,
Egnazio avrebbe progettato di assassinare Augusto quando il princeps ὅaὄeἴἴe ὄieὀtὄatὁ a ἤὁma ἶall’ὁὄieὀte,
già sostituito il console Senzio con Vinicio.
236
Sul tema dei provvedimenti volti a scongiurare gli incendi in città in età repubblicana e augustea cfr. R.
SABLAYROLLES, Libertinus miles. Les cohortes de vigiles, Rome, 1996.
- 67 -
)237, così indignando Augusto e tutta la fazione nobiliare, pur affermando forse il
vero.
δa vὁlὁὀtὡ ἶi ὄiveὅtiὄe il ἵὁὀὅὁlatὁ peὄ l’aὀὀὁ 1λ eὄa uὀ atteggiameὀtὁ peὄtaὀtὁ
intollerabile. A tal proposito, pare che Augusto avesse raccomandato al console allora in
carica, Senzio Saturnino, di diffidare Egnazio Rufo a presentare la sua candidatura,
giurando di non proclamarlo console, semmai lo fosse diventato per davvero238. Egnazio
ἤufὁ ὅi ἵaὀἶiἶά ἵὁmuὀὃue, fὁὄte ἶell’appὁggiὁ ἶelle maὅὅe popolari, ma naturalmente mai
giunse al punto più alto del cursus, perché soppresso (e di certo non per la violazione della
lex Villia, soppressione che in tal caso sarebbe comunque apparsa sproporzionata)239.
In quei giorni la situazione doveva comunque esser tesa, a Roma, se Dione indica
che il senato predispose una guardia del corpo a tutela di Senzio Saturnino, una scorta da
lui rifiutata240. Si narra anche che Augusto fosse impegnato a mettere ordine in Oriente, in
quel 19 a.C. (aberat in ordinalis Asiae Orientisque rebus), e che ricevette dunque una
delegazione per essere informato dei fatti241. Il princeps, come al solito, rimodella però la
realtà nelle Res Gestaeμ ἶiἵe ἵhe l’amἴaὅἵeὄia eὄa giuὀta ἶa lui iὀ ἡὄieὀte peὄ ὄeὀἶeὄgli
omaggio242.
Iὀ veὄitὡ ἵ’è ἵhi ha iὀtuitὁ l’iὀviὁ ἶi ἶue ἶiὅtiὀte amἴaὅἵeὄie aἶ χuguὅtὁ, ἵὁme ὅi
evince da Dione: la prima per informarlo della situazione problematica a Roma per Egnazio
ἤufὁ, la ὅeἵὁὀἶa peὄ iὀfὁὄmaὄlὁ ἶi aveὄ ὅveὀtatὁ la “ἵὁὀgiuὄa” e peὄ ὅἵὁὄtaὄlὁ a ἤὁmaν iὀ

237
Dio. LIII 24, 5-6. ( ’ π α , π ᾖ, πα α α
φυ α, α Ἐ Ῥ φ α α, α α π α π α α
αῖ α αῖ ῳ π α π υ α αυ α ’
π , α α α α α π α πα υ
α α α πα α π , π π’ α α υ
π φ , α π α αυ α α ῳ π πα . π’
ῳ π π α α α υ , α ῖ
α π π φ ῖ , ῖ ’ α πα α α
π ῖ α π π π α, α υ , α α α π π α )έ
238
Vell. II 92, 4.
239
Augusto aveva respinto la richiesta di essere console in quel 19 a.C., stando a Dione (LV 10, 1). Il
princeps tornerà solo altre due volte a rivestire il consolato: nel 5 e nel 2 a.C.
240
Dio. LIV 10, 1-2.
241
Vellέ II λἀ, ἀέ ἔὁὄὅe aὀἵhe peὄ l’aὅὅeὀὐa ὄeiteὄata ἶi χuguὅtὁ, iὀ ὃuelle ὅettimaὀe ϋgὀaὐiὁ ἤufὁ aveva
goduto di più libertà e sfrontatezza per fare proseliti negli strati più poveri della popolazione.
242
RG 1ἀ, 1έ ἕli aὀὀuὀἵiaὄὁὀὁ ἵhe peὄ il ὅuὁ ὄitὁὄὀὁ avὄeἴἴe ἵὁὀὅaἵὄatὁ l’altaὄe ἶella ἔὁὄtuὀa ἤeἶuἵe a ἢὁὄta
ἑapeὀa pὄeὅὅὁ il tempiὁ ἶell’ἡὀὁὄe e ἶella Viὄtὶ, ὅtaἴileὀἶὁ aὀἵhe ἵhe Veὅtali e pὁὀtefiἵi vi ἵeleἴὄaὅὅeὄὁ
- 68 -
entrambe le delegazioni, era presente Q. Lucrezio Vespillo, il nuovo console, scelto
ἶ’uὄgeὀὐa ἶallὁ ὅteὅὅὁ χuguὅtὁ ὀὁὀ ὄiὅpettaὀἶὁ ὀeaὀἵhe la ὀὁὄme ἶi legittime eleὐiὁὀi243.
δa viἵeὀἶa ἶimὁὅtὄa aὀἵhe ἵὁme il pὄeὅiἶeὀte ἶell’aὅὅemἴlea elettiva pὁteὅὅe
intimare a un aspirante a una magistratura di non candidarsi, e così forse fece Senzio
Saturnino244. Ma non bastò: Augusto, che sperava di non sporcarsi le mani per
l’elimiὀaὐiὁὀe ὃuaὀtὁmeὀὁ “pὁlitiἵa” ἶi ϋgὀaὐiὁ ἤufὁ, ὅi veἶeva ἵὁὅtὄettὁ aἶ agiὄe iὀ
prima persona, poi comunque demandando a tutte le strumentalizzazioni della propaganda
la mimetizzazione dei fatti.
ϋlimiὀatὁ, ἵὁὅì, uὀ peὄὅὁὀaggiὁ giuὅtameὀte ἶefiὀitὁ ἶalla ἤὁhὄ Viὁ “pὁlitiἵameὀte
imἴaὄaὐὐaὀte” peὄ il pὄiὀἵipe245, per Augusto era necessario scongiurare, per l’avveὀiὄe, il
successo e la rinomanza di uomini simili a Egnazio. Lampante è peraltro che esistesse
ancora, a quel tempo, qualche crepa nella monopolizzazione del nuovo assetto istituzionale:
le fazioni più aristocratiche desideravano trattenere una loro qualche autonomia.
Architettare la congiura di Egnazio Rufo, e cancellare poi questo personaggio fastidioso,
servì anzi ad Augusto come vitale impulso per coprire queste falle ancora aperte nel suo
potere.
Così riconfigura il ruolo del praefectus urbi, preciὅaὀἶὁὀe le fuὀὐiὁὀi ὄiὅpettὁ all’etὡ
regia, repubblicana, cesariana e triumvirale. Fu Messala Corvino ad essere nominato per
primo da Augusto nel 26 a.C., benché poi rinunciasse alla carica nel giro di pochi giorni;
nel 16 a.C. il conferimento di quel ruolo a Statilio Tauro sarà comunque incerto, arrivando
a una stabilità solo con Calpurnio Pisone, più tardi.

annualmente un sacrificio nel giorno del suo rientro a Roma (il 12 ottobre, che da allora si chiamò
Augustalia).
243
Dio. LIV 10, 1-2. Cfr. D. A. PHILLIPS, The Conspiracy of Egnatius Rufus and the election of suffect
consul under Augustus, “ώiὅtὁὄia”, ἂἄ, 1λλἅ, ppέ 1ίἁ-112, soprattutto pp. 111-112, n. 28; F. ROHR VIO, cit.,
2000, p. 180.
244
ἥu tutta la ὃueὅtiὁὀe ἶell’eleὐiὁὀe ἶei ἵὁὀὅὁli suffecti iὀ ὃueὅtὁ ἶeteὄmiὀatὁ peὄiὁἶὁ ἶ’etὡ auguὅtea ἵfὄέ ἒέ
A. PHILLIPS, cit., pp. 103-112, che fa esempi di altri consoli suffecti in questo periodo del principato (p.
109); R. TALBERT, The Senate of Imeprial Rome, Princeton, 1984, p. 21; T. P. Wiseman, The New Men cit.,
pp. 164-1ἄηέ δ’eleὐiὁὀe ἶi ἵὁὀὅὁli suffecti pare che divenisse procedimento regolare verso la metà del
principato augusteo. Tra il 23 e il 1 a.C. è una fase ancora sperimentale, quella della sostituzione dei consoli:
un modello più rigido e preciso che sarà tale solo verso gli ultimi anni del principato; nel caso del 19 a.C.
pὄὁἴaἴilmeὀte l’eleὐiὁὀe avveὀὀe a ὅettemἴὄe ὁ a iὀiὐiὁ ὁttὁbre, seguendo sempre Phillips, perché sappiamo
che Senzio era ancora console il 1 agosto (CIL II 2255), sostituito da Lucrezio e Vinicio almeno dal 12 di
ottobre (RG 11).
245
F. ROHR VIO, 2000, p. 185.
- 69 -
Ma soprattutto, seppur non immediata conseguenza della congiura di Egnazio Rufo,
Augusto creava un vero e proprio corpo di vigili. Nel 7 a.C. un incendio dalla notevole
portata devastava gran parte di Roma, il princeps esautorava gli edili e commissionava la
risoluzione del problema a guardie notturne e vigili246. Tredici anni più tardi (6 d.C.), a
ὅeguitὁ ἶi uὀ’altὄa gὄave ἵaὄeὅtia ἵhe aveva pὄὁvὁἵatὁ tumulti ὀell’Uὄἴe, χuguὅtὁ aveva
creato ufficialmente un corpo di vigiles, liberti, divisi in sette divisioni agli ordini di un
cavaliere247έ ἣueὅt’ultima ὅἵelta, ἶi ὀὁὀ pὁἵὁ ἵὁὀtὁ, eὄa iὀ paleὅe ἵὁὀtὄaὅtὁ ἵὁὀ il
precedente di Egnazio, un senatore.
δ’utiliὐzo di una falsa congiura per realizzare provvedimenti istituzionali nel modo
più morbido e accettabile possibile non si fermava alla creazione di un corpo di vigili, a
impeἶiὄe ἵhe altὄi uὁmiὀi aἴἴieὀti pὁteὅὅeὄὁ ὁtteὀeὄe ἵὁὀὅeὀὅi ὀell’eὅeὄἵiὐiὁ ἶellὁ
spegnimento degli incendi. Appena dopo i fatti, infatti, nel 18 a.C. Augusto epurava il
senato, che dopo Giulio Cesare era arrivato a contare addirittura novecento membri248.
Anche qui, il fatto che Egnazio Rufo fosse un senatore non risulta casuale.
Inoltre, la vicenda aveva in messo in luce la pericolosità dei comizi, che liberi di
eleggere i magistrati riuscivano ancora a guidare discretamente lo scacchiere politico
romano. Anche in base ad accadimenti successivi, Augusto arriverà ad esautorare anche il
potere giuridico e decisionale dei comizi stessi, nel 5 d.C., comandando le elezioni
attὄaveὄὅὁ l’aἵἵettaὐiὁὀe ἶella ἵaὀἶiἶatuὄa (nominatio) e la raccomandazione di un
individuo (commendatio).
Egnazio Rufo, un senatore, poteva configurarsi come pericoloso precedente di un
uomo capace di scalare assai celermente il cursus fino a minare il consenso stesso del
princeps soprattutto tra le massi popolari, cioè laddove Augusto si era ostinatamente
impegnato negli ultimi anni. Il perseguimento di Egnazio – un innocente, malgrado qualche
atteggiameὀtὁ ἶi ὅuppὁὀeὀὐa ἵhe ὀὁὀ l’aveva ἵὁmuὀὃue pὁὄtatὁ aἶ atteὀtaὄe alla vita ἶi
Augusto – serviva così da monito al fine di evitare qualsiasi tipologia di emulazione.

246
Svet. Aug. 30, 2; Dio. LV 8, 5-7.
247
Cassio Dione ricorda che, dopo più di due secoli, ancora ai suoi tempi esistessero tali corpi di vigiles (Dio.
LV 26, 4).
248
Svet. Aug. 35, 1; Dio. LIV 13, 1; Dio. LIV 14, 3; RG 8. Cfr. C. NICOLET, Le cens sénatorial sous la
République et sous Auguste, «JRS», 66, 1976, pp. 21-38.
- 70 -
ἕὄaὐie all’iἶeaὐiὁὀe ἶi ὃueὅta falὅa ἵὁὅpiὄaὐiὁὀe, e alla ἵὁὀὅueta
strumentalizzazione della sua propaganda capeggiata da Velleio Patercolo, il princeps
ὁpeὄava peὄaltὄὁ altὄi aὅὅeὅtameὀti iὅtituὐiὁὀali ἶi impὁὄtaὀὐa ἴaὅilaὄeν l’epuὄaὐiὁὀe ἶel
senato, la creazione di un corpo fisso e riconosciuto di vigiles e il successivo indebolimento
dei comizi spianavano di certo la strada ad Augusto verso un potere ancora più totalizzante,
ma questo stesso potere avrebbe scricchiolato di lì a poco per i pericolosi colpi inferti
ἶiὄettameὀte ἶall’iὀteὄὀὁ ἶella pὄὁpὄia domus.

- 71 -
CAPITOLO VI

Giulia Maggiore e i problemi all’interno della domus di Augusto.

«il divo Augusto esiliò sua figlia la cui impudicizia aveva superato quanto di vergognoso e implicito
in questo termine e rese di dominio pubblico le turpitudini della casa imperiale: gli amanti ricevuti in
massa, le orge notturne qua e là per la città (…) »
(Sen. ben. 6, 32, 1)

Come visto nelle pagine precedenti, la congiura di Cepione e Murena – ὀell’aὐiὁὀe


di Mecenate, marito di Terenzia, che aveva consentito la (vana) fuga del congiurato,
avvisandolo della scoperta del complotto – aveva già scoperto i seri problemi interni che si
annidavano nella domus auguὅtea, iὀ ἵui l’aὄia ὀὁὀ eὄa ἶel tuttὁ paἵifiἵa249.

* Per la congiura di Giulia maggiore si veda l'appendice delle fonti da p. 150.


249
Sul concetto di domus iὀteὅa ἵὁme “Augusta”, e ἶella ὅua pὄeὅeὀὐa ὀelle fὁὀti, ἵfὄέ Iέ ἑἡἕIἦἡἤϋ, ἵitέ, ppέ
161-165. Qui si presentano due differenti accezioni: domus in senso onorifico-religioso e domus in senso
politico, con la centrale questione successoria in cui le strategie di matrimoni e di adozioni esaltavano il ruolo
delle donne, e in questo caso quello di Giulia Maggiore. La sua cospirazione potrà, pertanto, definirsi
“ἶiὀaὅtiἵa”έ Velleiὁ (II 1ίί, ἁ), affeὄmaὀἶὁ violator eius domus, mostra peraltro come famiglia e politica
fossero ormai inseparabili (essendo la famiglia di Augusto quella regnante), facendo anche intendere che
l’epiὅὁἶiὁ ἶi ἕiulia ὀὁὀ pὁteὅὅe ἵircoscriversi al solo fatto di adulterio. Sul tema della domus Augusta cfr.
anche F. HURLET, La Domus Augusta et Claude avant son avènement. La place du prince claudien dans
l’image urbaine et les stratégies matrimoniales, in Revue des Études anciennes, 99, 1997, p. 535-559,
soprattutto pp. 535-537.
- 72 -
Il principe, cioè, per quanto avesse sapientemente concepito quasi la totalità delle
ἵὁὅpiὄaὐiὁὀi ai ὅuὁi ἶaὀὀi, iὀveὀtaὀἶὁle ἶi ὅaὀa piaὀta e affiἶaὀἶὁὅi a uὀ’alliὀeata
propaganda per sostenerle, non poteva più godere di totale fiducia neanche verso
personaggi a lui stretti, familiari: il successivo episodio di sua figlia Giulia palesava questa
pericolosa tendenza250.
Stavolta, però, a differenza di un ventennio prima, non era più in discussione
l’eὅiὅteὀὐa ὅteὅὅa ἶel pὄiὀἵipatὁ, ὁὄmai aἵἵettatὁ ἵὁme iὀevitaἴile ὅviluppὁ iὅtituὐiὁὀaleέ δa
critica proveniente direttamente dalle stanze della domus augustea riguardava, infatti, il
modo di declinare questo nuovo potere e, nondimeno, la scelta del personaggio che quel
potere avrebbe ereditato, avendo Augusto ormai ὅeὅὅaὀt’aὀὀi eἶ eὅὅeὀἶὁ ὅtatὁ già più volte
prossimo alla morte.
δ’affaire di Giulia Maggiore, accusata di adulterio e per questo esiliata prima a
Pandataria (Ventotene) e poi a Rhegium (Reggio Calabria), ha avuto una certa risonanza
nella storiografia antica251.
Particolare è la testimonianza di Plinio il Vecchio, il quale non solo si limita
all’aἵἵeὀὀὁ ἶi aἶulteὄiὁ, ma paὄla ἶi uὀa vὁlὁὀtὡ ἶi paὄὄiἵiἶiὁ (adulterium filiae et consilia
parricidae palam facta)252μ è l’uὀiἵa fὁὀte ἵhe ὄivela uὀ iὀteὀtὁ ἶiveὄὅὁ ἶa paὄte ἶi ἕiulia,
la cui vicenda era stata dalle altre voci circoscritta agli episodi di adulterio. Qualcosa
trapela, forse, anche da Seneca e da Tacito: il primo la inserisce dopo la lista di congiurati
che comprendeva Murena, Cepione, Egnazio e Lepido, implicitamente incolpando Giulia di

250
Giulia Maggiore, nata nel 39 a.C., era figlia di Augusto e Scribonia.
251
Plin. nat. 7, 46, 149; Vell. II 100, 3; Sen. brev. 4, 6; ben. 6, 32, 1; Svet. Aug. 65, 1; Tib. 11, 7; Tac. ann. 1,
53, 1-3; Dio. LV 10, 12; LVII 18, 1; Zonar. 11, 2 B. Sulla congiura cfr. W. K. LACEY, 2 B.C. and Julia’s
Adultery, iὀ “χὀtiἵhtlὁὀ”, 1ἂ, 1λἆί, ppέ 1ἀἅ1-42; F. ROHR VIO, Contro il principe, cit., 2011, pp. 77-100; A.
TREVISOL, L’episodio di Giulia: congiura o fronda?, “ἢatavium”, 8, 1996, pp. 27-58; RAAFLAUB –
SAMONS, cit., pp. 428-430.; F. ROHR VIO, Voci del dissenso, cit., pp. 208-252. Fa una storia degli studi sul
caso, senza credere al senso politico della congiura, A. FERRILL, Augustus and his Daughter: a Modern
Myth, in Studies in Latin Literature and Roman History, II, Bruxelles, 1980, pp. 332-346. Anche R. A.
BAUMAN non crede alla congiura (The Crimen, cit., pp. 198-245).
252
Plin. nat. 7, 46, 149 (incusatae liberorum mortes luctusque non tantum orbitate tristis, adulterium filiae
et consilia parricidae palam facta, contumeliosus privigni Neronis secessus, aliud in nepte adulterium).

- 73 -
parricidio253; il secondo parla di crimen maiestatis (come già visto, punizione classica per le
cospirazioni contro il principe)254.
ἥvὁlgeὀἶὁὅi i fatti ὀel ἀ aέἑέ, peὄά, l’iὀὅiὀuaὐiὁὀe ἶel paὄὄiἵiἶiὁ pὁtὄὡ ὅemἴὄaὄe piὶ
ambigua se si pensa che Augusto, in quello stesso anno, riceverà il titolo pater patriae,
ἵὁme teὅtimὁὀia l’ultimiὅὅimὁ paὅὅὁ ἶelle Res Gestae255: ciò significa che il tentato
parricidio esulerebbe dal grado di parentela tra il princeps e la figlia. Nonostante ciò, è
riconosciuta la strategia mistificatrice della propaganda augustea, attenta a occultare gli
aὅpetti pὄettameὀte pὁlitiἵi eἶ eveὄὅivi ἶell’aὐiὁὀe ἶi ἕiulia, ὅὁttὄaeὀἶὁὀe il ἵaὄatteὄe ἶi
ἵὁὀgiuὄa e ὄiἶuἵeὀἶὁ il ὅuὁ ἵὁmpὁὄtameὀtὁ all’iὀfeἶeltà nei confronti dei suoi mariti, tra
tutti del futuro imperatore Tiberio Claudio Nerone.
Il primo matrimonio di Giulia era stato nel 25 a.C. con il nipote di Augusto,
εaὄἵellὁ, ἵὁme viὅtὁ mὁὄtὁ ὀell’agὁὅtὁ-settembre di due anni dopo; in seconde nozze era
stata affidata ad Agrippa, braccio destro del princeps, poi scomparso nel 12; un anno dopo
aveva ὅpὁὅatὁ ἦiἴeὄiὁ, figliὁ ἶi δivia, l’ultima mὁglie ἶi χuguὅtὁ256. La seconda unione era
stata fruttuosa da un punto di vista della prole: erano nati Gaio (nel 20 a.C.), Giulia (poi
ἶetta “miὀὁὄe”, ὀel 1ἆ aέἑέ), δuἵiὁ (nel 17 a.C.), Agrippina (nel 13 a.C.) e Agrippa
Postumo (nel 12 a.C.). Gaio e Lucio vennero presto adottati da Augusto, diventando Cesari
già infanti e dunque destinati ad assumere il potere del nonno quando questi sarebbe
scomparso.

253
Sen. brev. 4, 6.
254
Tac. ann. 1, 53, 1-3. (Eodem anno Iulia supremum diem obiit, ob impudicitiam olim a patre Augusto
Pandateria insula, mox oppido Reginorum, qui Siculum fretum accolunt, clausa. fuerat in matrimonio Tiberii
florentibus Gaio et Lucio Caesaribus spreveratque ut inparem; nec alia tam intima Tiberio causa cur
Rhodum abscederet. imperium adeptus extorrem, infamem et post interfectum Postumum Agrippam omnis
spei egenam inopia ac tabe longa peremit, obscuram fore necem longinquitate exilii ratus. par causa
saevitiae in Sempronium Gracchum, qui familia nobili, sollers ingenio et prave facundus, eandem Iuliam in
matrimonio Marci Agrippae temeraverat. nec is libidini finis: traditam Tiberio pervicax adulter contumacia
et odiis in maritum accendebat; litteraeque quas Iulia patri Augusto cum insectatione Tiberii scripsit a
Graccho compositae credebantur).
255
RG 35: Tertium decimum consulatum cum gerebam, senatus et equester order populusq[ue] Romanus
universus appellavit me pat]rem patriae idque in vestibulo aedium mearum inscribendum et in curia Iulia et
in foro Aug. sub quadrigis, quae mihi ex s.c. positae sunt, decrevit.
256
Inizialmente Giulia era stata promessa a Cotisone, re dei Geti. Questo matrimonio mai avvenne, ma si
continuava a seguire questa strategia di nozze con personaggi di spicco del mondo ἶell’Uὄἴe ὁ aὀἵhe eὅteὄὀὁ a
Roma.
- 74 -
I ripetuti adulteri di Giulia riportati dalle fonti determinavano chiaramente delle
incertezze sulla paternità dei futuri eredi di Augusto. Nel racconto di Macrobio, comunque,
pullulano le esagerazioni, specialmente quando lo storico parla del princeps continuamente
titubante, e imbarazzato, sulla somiglianza dei suoi nipoti con Agrippa (dubitare de
pudicitia filiae erubescebat)257.
Ma lo stesso Macrobio, più avanti, si tradirà in qualche modo, svelando le sue
amplifiἵaὐiὁὀi e ἶiἵeὀἶὁ ἵhe “ὃuelli al ἵὁὄὄeὀte ἶelle ὅue ὅἵaὀἶalὁse avventure di stupivano
ἵhe paὄtὁὄiὅὅe figli ὅὁmigliaὀti aἶ χgὄippa, lei ἵhe ὅi ἵὁὀἵeἶeva a tutti taὀtὁ faἵilmeὀte”258.
Le presunte leggerezze di Giulia si scontravano con un forte programma di
moralizzazione dei costumi che Augusto portava avanti da sempὄeέ ἢὄὁpὄiὁ l’aἶulteὄiὁ eὄa
ὅtatὁ peὄὅeguitὁ peὄἵhὧ, ὀatuὄalmeὀte, ὁὅtaἵὁlava l’iἶeὀtifiἵaὐiὁὀe ἶelle aὅἵeὀἶeὀὐe
genitoriali, così rendendo più imprecisi e caotici gli assetti familiari.
Così, tra il 18 e il 16 a.C., promulgava la lex Iulia de adulteriis coercendis, che
pὄeveἶeva, iὀ ἵaὅὁ ἶi aἶulteὄiὁ ὁ ὅtupὄὁ, l’iὅtituὐiὁὀe ἶi uὀ pὄὁἵeὅὅὁ ἵὁὀtὄὁ la mὁglie
infedele e il suo complice. Se colti in flagrante, il padre della donna aveva la possibilità di
uccidere immediatamente sia lei che il partner, mentre il marito (che sarebbe stato accusato
ἶi leὀὁἵiὀiὁ ὅe ὀὁὀ aveὅὅe fattὁ pὄeὅeὀte l’aἶulteὄiὁ), avὄeἴἴe pὁtutὁ ὄipuἶiaὄe la ἶὁὀὀa e
uccidere il complice sono nel caso in cui questi fosse stato di basso strato sociale. La donna
punita si vedeva confiscata metà della dote, la terza parte dei beni e, soprattutto, veniva
ὄelegata iὀ uὀ’iὅὁla259.
Così era accaduto per Giulia Maggiore, segregata inizialmente a Pandataria, seguita
dalla madre Scribonia, dopo che per scrupolo di perfetta regolarità giuridica Augusto aveva
comunque comunicato per iscritto al senato la sua denuncia contro la figlia260. Proprio la
scelta di Scribonia di appoggiare la figlia nel suo tragico destino non deve sembrare, a
nostro avviso, casuale: conosciuta per la sua probità morale, la seconda moglie di Augusto

257
Macr. 2, 5, 3.
258
Macr. 2, 5, 9.
259
Cfr. G. RIZZELLI, Lex Iulia de adulteriis: studi sulla disciplina di adulterium, lenocinium, stuprum,
Lecce, 1997; F. ROHR VIO, cit., 2000, p. 208 ss.; per una vasta bibliografia sulla legge degli adulteri v. n.
270.
- 75 -
non avrebbe mai accompagnato la figlia in esilio se fosse stata certa del suo adulterio; è
ὃueὅta uὀa ἶelle taὀte piἵἵὁle iὀἶiἵaὐiὁὀi ὅull’iὀὀὁἵeὀὐa ἶi ἕiulia ὅu ὃueὅtὁ aὅpettὁ
ἶell’iὀfeἶeltὡέ
Altro punto assai strano è il rigore eccessivo di Augusto adottato sulle visite alla
figlia quando questa era appunto lontana a Ventotene, sottratta anche alla vista dei
familiari: dei visitanti – narra Svetonio seppur con qualche gonfiatura – il padre voleva
conoscere persino età, statura, colore, segni particolari o eventuali cicatrici sul corpo261.
Una fermezza ingiustificata se Giulia fosse stata una semplice adultera: così lontana
ἶall’Uὄἴe, ἶiὅtaὀte ἶai pettegὁleὐὐi ὄὁmaὀi, χuguὅtὁ ὀὁὀ avὄeἴἴe ἶὁvutὁ aveὄe uὀ iὀteὄeὅὅe
così inflessibile verso gli incontri della figlia e verso la sua condotta262.
ἒa ὃui, meἶiaὀte uὀ’aὀaliὅi ἶei ἵὁὅpiὄatὁὄi meὀὐiὁὀati ἶalle fὁὀti, ὅi ἵὁmpὄeὀἶe ἵhe
il princeps temesse un ritorno di propositi eversivi ai quali aveva posto rimedio proprio con
l’eὅiliὁ ἶi ἕiuliaέ
Velleio nomina cinque personaggi, per Seneca nobiles iuvenes263, con i quali la
figlia del princeps avrebbe avuto scappatelle264: Quinzio Crispino265, Appio Claudio
Pulcro266, Scipione267, Sempronio Gracco268 e Iullo Antonio. A questi, seguendo Macrobio,

260
Non si sa, tuttavia, chi perseguì Giulia dopo la denuncia del padre. Soprattutto, Augusto ci tiene a fare le
cose uffiἵialmeὀte, ὀὁὀ ἶaὀἶὁ l’impὄeὅὅiὁὀe ἶi agiὄe iὀ mὁἶὁ aὄἴitὄaὄiὁ e ὀὁὀ paὄteἵipaὀἶὁ alla ὅeἶuta iὀ
senato per evitare la sua influenza. Cfr. F. ROHR VIO, cit., 2000, pp. 247-248.
261
Etiam quibus corporis notis vel cicatricibus (Svet. Aug. 65, 3).
262
Secondo la Cogitore (cit., p. 167, n. 35) è verosimile che, data la grande attenzione che Augusto riservava
alle visite di Giulia, esistesse allora una sorta di lista di personaggi ritenuti pericolosi. Alla figlia era stato
vietato anche il vino.
263
Sen. brev. 4, 6. Iuvenes è chiaramente dispregiativo, esattamente come già era accaduto per il caso di
Emilio Lepido.
264
Vellέ II 1ίί, ἁέ ἢeὄ lὁ ὅtὁὄiἵὁ ἶ’etὡ ὄiἴeὄiaὀa eὄaὀὁ “giὁvaὀi ἶi eὀtὄamἴi gli ὁὄἶiὀi”έ Iὀ ὃueὅtὁ è iὀ ἵὁὀtὄaὅtὁ
ἵὁὀ l’iὀfὁὄmaὐiὁὀe ὅuἶἶetta ἶi ἥeὀeca, che li etichetta come nobili. A maggior ragione si può dire che Velleio
ὅtὄumeὀtaliὐὐi la ὅua ὀaὄὄaὐiὁὀe, teὀtaὀἶὁ ἶi meὅἵὁlaὄe le ἵaὄte e aἴἴaὅὅaὄe il ὄaὀgὁ, e ἶuὀὃue l’impὁὄtaὀὐa,
ἶell’eveὀtὁ ἶi ἕiuliaέ ἑfὄέ ἔέ ἤἡώἤ VIἡ, ἵitέ, ἀίίί, pέ ἀἂἁ ὅὅέ
265
Coὀὅὁle ὀel λ aέἑέ, ἵὁὄὄὁttὁ ὀell’aὀimὁ ὅeἵὁὀἶὁ Velleiὁ (II, 1ίἀ, η)έ
266
Cfr. Cladius Pulcher III vir monetalis, PIR2, C, 760 e 985. La sua morte rappresenta la fine dei Claudii
Pulchri. La Cogitore (cit., p. 169) ipotizza che Fulvia, una consorte di Marco Antonio, fosse sua nonna. Come
scrive Cicerone, di sicuro era stato sotto la tutela dello stesso Antonio (Att. 14, 13, A2).
267
Cornelio Scipione, figlio di P. Cornelio Scipione, console nel 16 a.C., e nipote di Scribonia. Cfr. PIR 2, C,
1435.
268
Il nome forse piὶ altiὅὁὀaὀte peὄ i ὅuὁi ὄimaὀἶi all’etὡ ὄepuἴἴliἵaὀa, ἦiἴeὄiὁ ἥempὄὁὀiὁ ἕὄaἵἵὁ peὄ ἦaἵitὁ
(ann. 1, 53, 3). Non un amante occasionale, poiché forse il più assiduo frequentatore di Giulia durante il suo
matrimonio con Agrippa (in tormentis adulteriorum coniugis, Plin. nat. 7, 46). Verrà esiliato a Cercina da
Tiberio, quando questi diventerà principe (Tac. ann. 1, 53, 4-5).
- 76 -
ci sarebbe da aggiungere un certo Demostene269, oltre al probabile nascondimento di altri
ἵὁmpliἵi, fὁὄὅe aὀἵὁὄa piὶ autὁὄevὁli, al fiὀe ἶi miὀimiὐὐaὄe l’aὐiὁὀe ὄiἴelleέ
Fin dalla semplice lettura dei nomi, tuttavia, risuona la grandezza del passato, per lo
più repubblicano270. E la loro stessa importanza, provenendo tutti da un rango superiore e
non essendo dei parvenu, ἵὁὀὀὁtava ἶi peὄ ὅὧ la ἵὁὀgiuὄa ἵὁme pὁlitiἵa (“ὀὁὀ eὄaὀὁ
tὄaὅἵuὄaἴili peὄἶigiὁὄὀὁ, ὀὧ ὄeietti immὁὄali”, ἶiὄὡ ἥyme)271. Ma questi uomini erano,
soprattutto, personalità di lettere e cultura272: lo mostra anche ciò che sappiamo del
personaggio di sicuro più rilevante di questo elenco, Iullo Antonio.
Figlio di Marco Antonio e Fulvia, Iullo era stato accolto nella casa di Ottavia, la
sorella di Augusto, dopo la fine del suo padre naturale. Nel 21 a.C. aveva sposato Marcella,
la figlia della stessa Ottavia e di Marco Claudio Marcello, diventando, secondo Plutarco,
l’uὁmὁ piὶ impὁὄtaὀte ἶella domus augustea dopo Agrippa e i figli di Livia273.
La carriera politica era stata brillante: pretore nel 13 a.C., sacerdote, addirittura
ἵὁὀὅὁle ὀel 1ί, pὄὁἵὁὀὅὁle ἶ’χὅia tὄa il ἅ e il ἄ 274. Nondimeno Iullo Antonio era noto per le
sue opere letterarie, avendo scritto forse una controversa Diomedea275.
Orazio esortava lo stesso Iullo a cambiare il soggetto delle sue composizioni
aὄtiὅtiἵhe, pὁiἵhὧ ὃuella ἒiὁmeἶea eὄa viὅta ἵὁme ἵὁὀtὄaltaὄe ἶell’ϋὀeiἶe viὄgiliaὀa e
ἶuὀὃue iὀ ὀetta aὀtiteὅi al meὅὅaggiὁ auguὅteὁ, ἶelegittimatὁμ ὀell’ὁpeὄa ἶi Iullὁ χὀtὁὀiὁ
era stato il greco Diomede, e non Enea, a portare a Roma il Palladio, nonché il simulacro di
χteὀa, ἵhe gaὄaὀtiva l’iὀviὁlaἴilitὡ ἶella ἵittὡ276. Pare anche che Iullo fosse allievo del noto
maestro Lucio Crassicio Pasicle, che dopo la caduta in disgrazia dello stesso Iullo fu
costretto a chiudere la sua attività, probabilmente anche per sue tendenze filo-antoniane277.

269
εaἵὄέ I, ἀ, ἅέ ἔὁὄὅe ἶeἶiἵά l’epigὄamma a ἑiὀagὁὄa pὄeὅeὀte ὀell’χὀtὁlὁgia ἕὄeἵa VI, ἁηίέ
270
ἢeὄ uὀ’aὀaliὅi atteὀta ἶei ἵὁmpliἵi ἶi Giulia cfr. I. COGITORE, cit., p. 168 ss. La studiosa francese nota
come, per quanto altisonanti, nelle fonti, del tutto reticenti sulle azioni di questi uomini, non vi sia traccia che
di semplici nomi.
271
Cfr. RR, cit., p. 429.
272
Sempronio Gracco pare fὁὅὅe l’autὁὄe ἶi uὀa tὄageἶia, il “ἦieὅte”έ
273
Plut. Ant. 87, 2.
274
Cfr. Vell. II, 100, 4; Jos. ant. 16, 6, 7: Dio. LIV 26, 2.
275
Ps. Acro Hor. carm. 4, 2, 1-4; 33-60.
276
Cfr. F. ROHR VIO, cit., 2011, pp. 82-83.
277
Cfr. Svet. gramm. 18, 1-3. Crassicio, tarantino di nascita, era diventato noto per un commento alla Zmyrna
di Elvio Cinna.
- 77 -
In quel fatidico 2 a.C.278, Iullo era condannato a morte o indotto al suicidio, secondo
Tacito e Dione per via di un suo progetto eversivo (Dione dirà che operò π α ᾳ),
ὅeἵὁὀἶὁ le altὄe fὁὀti peὄ il ὄappὁὄtὁ aἶulteὄiὀὁ ἵὁὀ ἕiuliaέ δ’allὁὀtaὀameὀtὁ ἶel figliὁ
iὀὀὁἵeὀte δuἵiὁ χὀtὁὀiὁ, aὀἵh’egli eὅiliatὁ (a εaὄὅiglia, ἶὁve mὁὄiὄὡ ὀel ἀη ἶέἑέ), va lettὁ
ὀell’ὁttiἵa ἶi uὀa temuta emulaὐiὁὀe veὄὅὁ il paἶὄe ὁ addirittura verso il nonno, Marco
Antonio.
Il progetto di Iullo Antonio, in concomitanza con Giulia e con gli altri uomini che
con loro condividevano i propositi, era difatti un chiaro disegno politico di rivolgimento,
dedito soprattutto a congegnare quella che sarebbe stata la gestione del potere dopo la
morte di Augusto. Nel racconto di Seneca sono palesi i richiami al precedente di Marco
Antonio e Cleopatra (la relazione di carattere adulterino sommata alle implicazioni
pὁlitiἵhe), ὀὁὀἵhὧ al tema ἶell’ebrietas che appunto aveva sempre contrapposto Augusto ad
Antonio279.
Ma Iullo e Giulia pare volessero rivitalizzare soprattutto il modello di Giulio Cesare,
dal quale Augusto si era invece progressivamente allontanato dopo la restitutio rei
publicae. Cesare aveva reintrodotto il culto di Dioniso a Roma280: Marco Antonio fin dal 42
a.C. si era incamminato verso una graduale assimilazione a Dioniso, soprattutto dopo un
viaggio in Grecia, così tentando di conquistare anche la devozione delle popolazioni
orientali mediante una politica religiosa intelligente. Lo stesso Cesare, nel suo noto
soggiorno ad Alessandria, aveva approfondito il dionisismo, saggiandone l'importanza a
livello comunicativo con il popolo e, dunque, fiutaὀἶὁὀe l’impὁὄtaὀὐa per la gestione del
consenso.
Inoltre Giulia e Iullo Antonio spingevano per una politica estera aggressiva,
soprattutto a oriente, così disapprovando la linea passiva di Augusto e la sua pax che aveva
calmato i confini. Non doveva così meravigliare che Gaio Cesare, figlio di Giulia ed erede

278
Un anno delicato, quello in cui Augusto assume il consolato per la tredicesima e ultima volta, anche per
motivazioni interne ed esterne che esulavano dal fatto di Giulia e dei suoi complici. Per una lunga e
dettagliata disamina cfr. R. SYME, The Crisis of 2 B. C., in Roman Papers, III, Oxford, 1984, pp. 912-936.
Proprio in quel 2 a.C. si può dire che finisca anche la tolleranza di Augusto verso gli intellettuali.
279
Sen. brev. 4, 6.
- 78 -
designato al trono con il fratello Lucio, si preparasse a guidare una spedizione a oriente,
seguendo la memoria del divo Giulio, pronto a partire contro i Parti poco prima delle Idi di
marzo281.
Non solo: i misteri bacchici, repressi nel 186 a.C., erano forse stati ripristinati da
Cesare, e Giulia si presentava come una nuova baccante; in questo senso si scontrava col
genitore, che, incline a una maggiore morigeratezza dei costumi, aveva espresso il suo
biasimo verso Bacco anche da un punto di vista monetale282.
Racconta Plinio, seguendo Seneca, che in una delle sue folli notti Giulia incoronò
aὀἵhe la ὅtatua ἶi εaὄὅia, uὀ ὅatiὄὁ ὄivale ἶi ὃuell’χpὁllὁ taὀtὁ aἶὁὄatὁ ἶa χuguὅtὁ, pὁὅta
sul Foro283: proprio la traccia della collocazione della scultura, nella narrazione senecana, è
sembrata giustamente strumentale poiché è da lì che Augusto promulgò la legge contro gli
adulteri.
Il progetto di Giulia e di Iullo Antonio, in definitiva, rovesciava quelli che erano
stati i princìpi augustei in campo politico, sociale e militare, a partire dallo smantellamento
di quel mos maiorum che Augusto si era fortemente impegnato a conservare. Rinnovando,
pὁi, iἶeὁlὁgie aὀtὁὀiaὀe e aὀἵὁὄ pὄima ἵeὅaὄiaὀe, l’iὀteὀtὁ eὄa ὃuellὁ ἶi impὁὅtaὄe il pὁteὄe
in senso più autocratico, con il forte consenso del popolo a ricordare le tendenze dei sovrani
ellenistici (a ἶiὅἵapitὁ ἶell’iὀἶὁleὀte ἵὁὀὅeὄvatὁὄiὅmὁ auguὅteὁ).
Il trasferimento di Giulia a Rhegium, nel 4 d.C. e in condizioni più miti, avveniva
dopo pressioni del popolo, che comunque avrebbe voluto un suo ritorno a Roma284. Ma la

280
Cfr. G. CRESCI MARRONE, Reviviscenze dell’eredità politica cesariana nello scandalo del 2 a.C., in
Studi in ricordo di Fulviomaria Broilo, Atti del convegno, Venezia 14-15 ottobre 2005, Padova, 2007, pp.
531-541.
281
Cfr. G. CRESCI MARRONE, cit., p. 537.
282
Cfr. F. ROHR VIO, 2011, pp. 86-87.
283
Cfr. Sen. ben. 6, 32, 1. Cuius luxuria noctibus coronatum Marsuam litterae illius dei gemunt (Plin. nat. 21,
9). Marsia era sempre stato visto come simbolo delle libertà municipali. Per il maestro di Marsia, Liber Pater,
esisteva un vero e proprio culto di carattere plebeo, e per questo a livello propagandistico era stato sovente
utiliὐὐatὁ ἶa εaὄἵὁ χὀtὁὀiὁέ ἔὁὄὅe ὃueὅt’alluὅiὁὀe al geὅtὁ ἶi ἕiulia ὀaὅἵὁὀἶe uὀa ὅua vὁlὁὀtὡ ἶi alleaὄe la
plebe a un nuovo potere imperiale verso una libertà sociale e politica. Proprio Plinio il Vecchio, appena
prima, ricorderà che Publio Munazio aveva tolto una corona dalla statua di Marsia per porla sul suo capo, e
per questo era stato condotto in prigione dai triumviri. Cfr. G. CRESCI MARRONE, cit., p. 532; P. VEYNE,
Le Marsyas “colonial” et l’indépendance des cites, “ἤἢh”, δXXXVII, 1λἄ1έ
284
Cfr. Svet. Aug. 65, 1; Dio. LV 10, 12-16 ( α α ῳ υ ,
Ἰ υ α υ α α α υ α α α π’ α α α
α υ π π φ α π έ α α α π
- 79 -
donna pare che avesse considerazione anche nelle legioni, se Svetonio narra che Audasio ed
Epicado spingevano per una fuga di Giulia e Agrippa Postumo per condurli presso
l’eὅeὄἵitὁ285.
Tuttavia nel 14 ἶέἑέ ὅaὄeἴἴe mὁὄta aὅὅieme a ὃuell’ultimὁ figliὁ maὅἵhiὁ peὄ
volontà del neo-imperatore Tiberio, peraltro suo ex marito, al quale Giulia era sempre stata
ostile286. E questa ostilità era stata presente sia per lo spiccato conservatorismo di Tiberio,
che in qualche modo rispecchiava quello del suo predecessore, sia perché Giulia sperava
che al potere potessero giungere i suoi figli designati, Gaio e Lucio, scomparsi nel 4 e nel 2
d.C., prematuramente287.
Tiberio si era eclissato a Rodi, in un esilio volontario, anche per queste designazioni
ἵhe lὁ eὅἵluἶevaὀὁ ἶal pὁteὄe, ἵὁὀteὅtaὀἶὁ peὄaltὄὁ l’eleὐiὁὀe al ἵὁὀὅὁlatὁ ἶi ἕaiὁ avveὀuta
a soli quattordici anni, in chiara violazione delle leggi: come contentino aveva ricevuto la
tribunicia potestas per un quinquennio288.
Dopo la morte di Gaio e Lucio, Augusto aveva comunque adottato sia Tiberio sia
Agrippa Postumo, che poi tristemente aveva condiviso le sorti della madre, disadottato e
relegato a Sorrento nel 6 d.C., poi a Planasia (in Sicilia) un anno dopo 289. Affinché il potere
non passasse, però, solo nelle mani dei Claudii, Augusto aveva obbligato Tiberio ad

α , α π υ · α π α φ α
υ , α ’α υ α π α υ . ’
α π α α ῳ υ α ’ α α α ῖ α υ ᾳ
α. υ α α α π α πα ᾳ π , α α α
α α υ π υ · α α Ἴ υ < >Ἀ , α
π α ᾳ π α, π α ’ π φα , π υ
π α ). Svet. Aug. 65, 1.
285
Svet. Aug. 19, 3. Lucio Audasio era un falsario e Asinio Epicado era un uomo metà parto e metà romano.
286
Secondo Svetonio (Aug. 65, 2) Augusto aveva pensato di uccidere la figlia (etiam de necanda deliberavit).
287
Cfr. ILS 139 e 140. Lucio aveva vestito la toga virile e si era fidanzato con Emilia Lepida, ultima figlia del
triumviro, così da infiltrare un membro della famiglia regnante nello schieramento repubblicano, a scansare
problematiche opposizioni. Paradossalmente un giulio-claudio come Iullo Antonio era visto come più
pericoloso.
288
Augusto allentò la tensione anche dichiarando che Gaio sarebbe stato console con funzioni che però
avrebbe esercitato solo di lì a cinque anni.
289
Pare che Augusto fosse comunque rimasto molto legato al nipote, tanto da andare a visitarlo là in esilio
(Dio. LVI, 30; Plin. nat. 1, 149). Secondo Tacito questa visita non era mai avvenuta, si era trattato solo di
rumores (Tac. ann. 1, 5), ma mancando Augusto a Roma il 14 maggio del 14 d.C., come si può dedurre dagli
Acta Fratrum Arvalium, si è pensato che il viaggio sia avvenuto per davvero. Cfr. A. LUISI, L’opposizione
sotto Augusto: le due Giulie, Germanico e gli amici, CISA, 25, 1999, pp. 181-192, soprattutto pp. 186-187.
- 80 -
adottare Germanico, marito di Agrippina Maggiore (figlia di Agrippa e Giulia), così da non
estromettere i Giulii dalla corsa al potere290.
Narra Tacito che Giulia avesse scritto al padre, con uno dei complici (Gracco),
alcune lettere in cui criticava aspramente il marito291. I problemi della coppia, cioè, non
derivavano solo da eventuali condotte adulterine di lei, ma anche da un divario ideologico-
politico troppo grande: Tiberio apparteneva a quella fazione claudia che sosteneva un
governo fondato sullo stretto rapporto tra princeps e aristocrazia senatoria; al contrario, la
frangia giulia, come visto, patrocinava un ruolo più autocratico del principe, appoggiato
ἶall’esercito e dal popolo292.
Tiberio, poi, era volenteroso di riproporre un ferreo mos maiorum che non avrebbe
dato spazio alle matrone romane, obbligate a curare la domus. Giulia, donna colta ed
emancipata, non poteva chiaramente condividere questa filosofia293.
Sappiamo anche che Giulia subì una severa damnatio memoriae, dopo la sua morte,
quantomeno in Italia e nelle province occidentali294: è assurdo, infatti, pensare che non
fosse onorata, in epigrafi urbane, assieme a uno dei suoi tre mariti. Difatti il suo nome
peὄὅiὅte iὀ ὃualἵhe iὅἵὄiὐiὁὀe ὁὄieὀtaleμ ὅi veἶa uὀa a δeὅἴὁ (“χ ἕiulia, figlia ἶi ἑeὅaὄe, a
lei χfὄὁἶite ἕeὀitὄiἵe”)295, oppure la più celebre iscrizione della porta del foro di Efeso (del
4 a.C.). Inoltre verrà anche esclusa dal sepolcro di famiglia.
A differenza di Giulia Maggiore, Iullo non subirà una damnatio memoriae, se si
esclude il silenzio generale sulla Diomedea, forse la sua più importante opera letteraria. Il
fatto che, da console, non fosse eraso dai Fasti, può significare che resistesse l’iὀteὀὐiὁὀe ἶi

290
Sul conflitto dei due rami Giulio-Claudi cfr. F. ROHR VIO, cit., 2011, p. 88.
291
Sempronio Gracco era stato esiliato e Cercina dopo che Tiberio era salito al potere (Tac. ann. 1, 53, 3):
questo dimostrava che, nonostante Giulia fosse morta e i problemi di eventuali gelosie fossero pertanto ben
lontani, Gracco risultava essere ancora un personaggio politicamente scomodo, anche e soprattutto per il
nuovo governo tiberiano. Cfr. anche R. S. ROGERS, The Deaths of Iulia and Graccus, TAPhA, 98, 1967, pp.
383-389.
292
Cfr. F. ROHR VIO, Simulazioni e dissimulazioni augustee: Giulia Maggiore, una principessa in esilio, in
Atti del Colloquium Augusteum. Il 'perfetto inganno'. Augusto e la sua politica nel bimillenario della morte,
Torino, Loscher, pp. 74-88, soprattutto p. 79.
293
A testimonianza di un attrito sempre più forte, Giulia nel 7 a.C. non aveva partecipato al trionfo del marito.
294
Cfr. A. FRASCHETTI, La damnatio memoriae di Giulia e le sue sventure, in A. BUONOPANE – F.
CENERINI, Donne e vita cittadina nella documentazione epigrafica, pp. 13-25.
295
IGR IV, 9.
- 81 -
non dare troppo risalto alla vicenda, occultandone i contorni per non connotarla
politicamente.
In conclusione, sulla condotta di Giulia Maggiore a Roma è verosimile pensare a
uὀ’eὅageὄaὐiὁὀe ἶelle fὁὀti letteὄaὄie, ἵhe ὃuaὅi ὅfὁἵiaὀὁ ὀella leggenda e che assecondano
il principe nella volontà di mascherare un vero atto di congiura nei suoi confronti,
architettato dalla figlia e dal suo entourage: pur volendo ammettere i rapporti extra-
coniugali di Giulia, questi ultimi andrebbero comunque configurati come strumento di
ἵὁὀteὅtaὐiὁὀe ὀei ἵὁὀfὄὁὀti ἶell’eἵἵeὅὅivὁ ὄigὁὄe ὅὁἵiale ἶel paἶὄeέ Iὀ veὄitὡ fὁὄὅe tuttὁ
andrebbe interpretato in chiave successoria: Augusto, cioè, avrebbe progressivamente
isolato la figlia per garantire un avvicendamento diverso al potere, rendendo erede Tiberio e
così dando ascolto alla moglie Livia, che di Tiberio era la madre naturale.
Per far sì che tutto potesse leggersi in modo lineare, Augusto manipolava la realtà
aiutatὁ ἶalla ὅua feἶele pὄὁpagaὀἶa, ἶepiὅtaὀἶὁ l’ὁpiὀiὁὀe puἴἴliἵaμ ἵὄeava uὀ’aὄtifiἵiὁὅa
accusa di adulterio e affibbiava i soliti clichés di cattivo comportamento alla figlia e ai suoi
ἵὁmpliἵiέ ἑὁὀὅiἶeὄaὀἶὁ aὀἵhe ἵhe l’immὁὄalitὡ ἶelle ἶὁὀὀe ἶella famiglia impeὄiale ἶiveὄὄὡ
un topos per la storiografia antica296, Augusto prendeva altri e più stretti provvedimenti
contro le donne adultere continuando sulla strada tracciata dalle leggi del 18 a.C.297

ἠὁὀ mὁltὁ ἶὁpὁ l’epiὅὁἶiὁ ἶi ἕiulia εaggiὁὄe, ὀell’ἆ ἶέἑέ χuguὅtὁ ἶὁvette faὄ
fronte a un altro scandalo aὀalὁgὁ, pὄὁveὀieὀte aὀἵὁὄa ἶall’iὀteὄὀὁ ἶella domus, con la

296
Sul tema cfr. F. CENERINI, Dive e donne. Mogli, madri, figlie e sorelle degli imperatori romani da
Augusto a Commodo, Imola, 2009.
- 82 -
nipote Giulia (detta Minore, figlia della Maggiore e di Agrippa), che venne relegata in
insulam apparentemente per le stesse motivazioni che avevano allontanato la madre:
accusata, strumentalmente, di adulterio e impudicitia, e subendo forse un processo per
violazione della solita lex de adulteriis, Giulia Minore era stata invero esiliata alle Isole
Tremiti perché rea di eversione politica, al pari del marito che aveva sposato nel 4-5 a.C.,
Lucio ϋmiliὁ ἢaὁlὁ, aὀἵh’egli peὄὅeguitatὁ298.
Per quanto, stavolta, altri eventuali complici siano tenuti nascosti, è verosimile che
anche attorno a Paolo e a Giulia Minore si fosse creato un determinato gruppo politico
volenteroso di cambiare la linea politica del principato e gestire la successione al potere299.
Analoga è anche la mancata morte delle due Giulie nonostante il tentativo cospirativo:
tutelate da una questione di sangue e forse anche dalla loro condizione femminile, verranno
risparmiate a differenza degli altri congiurati (altra, bizzarra eccezione è quella che
riguarderà Cornelio Cinna, come vedremo).
Per Giulia Minore la pena pare sproporzionata al pari della madre, se consideriamo
che entrambe vengono accusate di adulterio300. Sappiamo da Svetonio che non solo la sua
villa di campagna venne demolita301, ma che le fu anche vietata la sepoltura nella tomba di
famiglia, il Mausoleo (la Maggiore aveva subìto il medesimo destino) 302. E il figlio della
εiὀὁὄe, ἵhe ἶὁpὁ l’allὁὀtaὀameὀtὁ ἶi χgὄippa ἢὁὅtumὁ avὄeἴἴe potuto in futuro ambire a
uὀ’eὄeἶitὡ al pὁteὄe, ὀὁὀ veὀὀe ὄiἵὁὀὁὅἵiutὁ e allevatὁ ἵὁme memἴὄὁ ἶella famigliaέ

297
Dio. LV 10, 16.
298
Svet. Aug. 65, 2-8; 101, 5; Claud. 26, 1; Plin. nat. 7, 16, 75; 45, 149; Tac. ann. 3, 24, 3; 4, 71, 5; Schol.
Iuv. 6, 158, 1. Tacito accosta i fatti delle due Giulie, parla di inclemenza di Augusto e di punizione di
adulterio come fosse lesa maestà. Giulia Minore non tornerà più a Roma; nelle Isole Tremiti morirà tra il 28 e
il 29 d.C., quasi cinquantenne. Sulla congiura di Giulia Minore cfr. F. ROHR VIO, cit., 2000, pp. 250-280;
2011, cit., pp. 93-101; A. LUISI, L’opposizione sotto Augusto: le due Giulie, Germanico e i suoi amici, in
“Vita e ἢeὀὅieὄὁ”, vὁlέ ἀη, εilaὀὁ, 1λλλ, (a ἵuὄa ἶi) εέ ἥἡἤἒI, Fazioni e congiure nel mondo antico, pp.
181-192; A. GALIMBERTI, Fazioni politiche e principesse imperiali (I-II sec. d.C.), iὀ “Vita e ἢeὀὅieὄὁ”,
vol. 35, Milano, 2009, pp. 95-127.
299
Tra i complici pare ci fossero giovani aristocratici (come Decimo Giunio Silano) e dei ceti subalterni
(Audasio, Epicado, Clemente); il tutto sarebbe stato architettato con gran parte del favore delle truppe,
soprattutto quelle ubicate in Germania.
300
Esagerato è il racconto delle fonti: Plinio (nat. 7, 16, 75) narra che Giulia Minore aveva copulato con
l’uὁmὁ piὶ ἴaὅὅὁ ἶel pὄiὀἵipato augusteo, un certo Conopa; Lo scoliasta di Giovenale (Schol. Iuv. VI 158, 2)
addirittura parla di una relazione incestuosa tra Giulia Minore e il figlio Agrippa Postumo.
301
Svet. Aug. 72, 6.
302
Svet. Aug. 101, 5.
- 83 -
Emilio Paolo, il marito di Giulia Minore, era figlio del cos. suff. del 34 a.C. e di
Cornelia, quindi nipote del Lepido triumviro. Svetonio e uno scoliasta di Giovenale
ἵὁὀὀettὁὀὁ l’eὅiliὁ ἶi ἕiulia pὄὁpὄiὁ ἵὁὀ la mὁὄte ἶi ἢaὁlὁ303: per il primo egli aveva, con la
moglie, offeso Augusto (non specifica in che modo), per il secondo egli si era macchiato di
crimen maiestatis, e per questo ucciso, nonché eraso dalle iscrizioni pubbliche304. Del resto
le fonti sono credibili per il fatto stesso che Paolo non avrebbe potuto commettere adulterio
con la propria moglie.
Come già accaduto nel caso di Giulia Maggiore e di Iullo Antonio, pare che Giulia
Minore ed Emilio Paolo fossero altrettanto circondati da personaggi di spicco della fazione
repubblicana e da un circolo nutrito di intellettuali: non deve sembrare fortuita, infatti, la
deposizione di Ovidio a Tomi in questo stesso periodo (8 d.C.).
Le motivazioni della protesta di Giulia Minore ancora una volta ricalcano quelle
ἶella maἶὄeμ avὄeἴἴe vὁlutὁ, iὀfatti, ἵhe uὀ “giuliὁ” ἵὁme ὅuὁ figliὁ χgὄippa ἢὁὅtumὁ, e
ὀὁὀ uὀ “ἵlauἶiὁ” ἵὁme ἦiἴeὄiὁ, ἶiveὀtaὅὅe il ὀuὁvὁ princeps, ἴeὀefiἵiaὀἶὁ ἶell’appὁggiὁ
di popolo eἶ eὅeὄἵitὁέ χgὄippa ἢὁὅtumὁ, ὀatὁ ὀel 1ἀ aέἑέ, eὄa l’ultimὁ figliὁ ἶi ἕiulia
Maggiore; verrà relegato nel 6-7 d.C. a Sorrento e più tardi a Planasia, in Sicilia: per
ὃueὅt’ultimὁ, ἵhe mὁὄὄὡ ὀel 1ἂ ἶέἑέ fὁὄὅe peὄ vὁlὁὀtὡ ἶel ὀeὁ-imperatore Tiberio e di Livia,
pare che Augusto provasse rimpianti e si concesse ad aperture di perdono305. Lo dimostra la
visita in gran segreto che, proprio nel 14, Augusto aveva riservato al nipote esiliato306.

303
Svet. Claud. 26, 1. Schol. Iuv. VI 158, 1.
304
Cfr. CIL VI 4499.
305
Per Tacito, Agrippa Postumo era innocente; per Plutarco venne allontanato per calunnia ( α )ν
aὀἵhe ἥvetὁὀiὁ iὀἶiἵa pὄeteὅtuὁὅe le aἵἵuὅeν Velleiὁ è l’uὀiἵὁ aἶ eὅὅeὄe teὀἶeὀὐiὁὅὁ
306
Plin. nat. 7, 45, 150; Plut. de garrul. 11, 508 A; Tac. ann. 1, 5, 1-2; Dio. LVI 30, 2; Zonar. 10, 38. Una
visita segreta, quella di Augusto ad Agrippa Postumo, comunque poi scoperta da Livia per via della delazione
di Fabio, colui che Augusto aveva accompagnato: pare che Fabio si suicidasse di fronte a questa scoperta. Cfr.
F. ROHR VIO, cit., 2000, pp. 259-260. Tacito (ann. II 39, 2-3) racconta che uno schiavo di Agrippa, di nome
Clemente, aveva tentato di far evadere da Planasia il suo padrone dopo aver saputo della morte di Augusto,
per condurlo presso gli eserciti stanziati in Germania e da lì garantirgli un morbido arrivo a Roma, dove
avrebbe ereditato il potere del nonno. Il tentativo era fallito perché Agrippa era stato immediatamente
assassinato, ma Clemente non si era dato per vinto: somigliando ad Agrippa Postumo, e divenendo difatti uno
Pseudo Agrippa, aveva progettato di sostituire il padrone sottraeὀἶὁὀe l’iἶeὀtitὡ, maὄἵiaὀἶὁ ὅu ἤὁma ma
veὀeὀἶὁ pὄeὅtὁ elimiὀatὁ ἶa ἦiἴeὄiὁέ ἣualἵuὀὁ ha ἶuἴitatὁ ἶella veὄiἶiἵitὡ ἶell’epiὅὁἶiὁ, ὅὁpὄattuttὁ peὄ il
ὄaἵἵὁὀtὁ aἴἴaὅtaὀὐa ἵὁὀtὄaὅtaὀte ἶelle vaὄie fὁὀtiέ ἢeὄ la ἵὁmpleὅὅa viἵeὀἶa e peὄ l’ampia bibliografia cfr. F.
ROHR VIO, cit., 2000, pp. 264-270.
- 84 -
Nei confronti del personaggio di Agrippa Postumo, la propaganda augustea attua il
solito procedimento di gratuita denigrazione: egli è dissennato307, di pessima indole308,
criticato pubblicamente da Augusto309, incestuoso310, degno di un uomo di basso rango311.
Seguendo una tendenza già sperimentata per i casi dei complici di Giulia Maggiore, o ancor
pὄima ἶi ϋmiliὁ δepiἶὁ, aὀἵhe l’appellativὁ ἶi iuvenis potrebbe interpretarsi come
dispregiativo, sebbene Agrippa Postumo fosse davvero giovane312.
Il personaggio di Livia assumerà, nel corso del tempo, un ruolo sempre meno
secondario, muovendo i fili delle varie situazioni e influenzando notevolmente le scelte di
Augusto (era già accaduto anche, come vedremo, nella congiura di Cinna). Così, per Tacito,
è Livia che persuade il marito affinché allontani Agrippa Postumo 313. O, secondo Dione, lo
stesso Agrippa nutriva sentimenti di odio verso Livia come fosse una matrigna314. È chiaro
che nelle sue intenzioni si nascondesse la forte volontà di permettere al figlio naturale
Tiberio di succedere ad Augusto. E così si spiega la progressiva emarginazione degli
esponenti Giulii astutamente architettata da Livia, la quale poi esibiva una pietà posticcia
quando questi, però, potevano già definirsi ampiamente esclusi dai vari giochi di potere315.
Nel caso di Cornelio Cinna, che ora analizzeremo, Livia avrà infatti ancora tanto
spazio di parola, a condizionare non poco le scelte di Augusto.

307
Svet. Aug. 65, 9.
308
Vell. II, 2, 7.
309
Tac. ann. I, 6, 2.
310
Schol. Iuv. VI 158, 1.
311
Dio. LV 32, 1. Cassio Dione riferisce anche che il princeps ad Agrippa Postumo preferì Germanico per
guidare le truppe in Germania.
312
Svet. Aug. 51, 1; Tib. 22, 1.
313
Tac. ann. I 6, 2.
314
Dio. LV 32, 1.
- 85 -
CAPITOLO VII

Gneo Cornelio Cinna: congiura o mito?

«…diversi uomini, tra i quali anche Gneo Cornelio, un nipote di Pompeo Magno, ordirono un
complotto contro di lui; così egli rimase per un po’ di tempo molto indeciso sul da farsi, non avendo
intenzione di eliminare i congiurati, poiché dalla loro morte non vedeva alcuna garanzia di sicurezza
per sé, né lasciarli andare, per paura di attirare, dopo ciò, altri cospiratori su di sé»
(Dio. LV 14, 1)

Discussa e controversa, soprattutto nella datazione, è la presunta congiura di Gneo


Cornelio Cinna Magno, sulla quale ci informano appena due fonti, benché prolisse e, tra di
loro, discordi: Cinna cospirò infatti contro Augusto nel 16-13 a.C. o nel 4 d.C., graziato
tuttavia dalla clementia del princeps che, addirittura, dopo la sua confessione decide di
peὄmetteὄὀe l’eleὐiὁὀe al ἵὁὀὅὁlatὁ, ὀel η ἶέἑέ316

315
Cfr. Tac. ann. 71, 4.
* Per la congiura di Cornelio Cinna si veda l'appendice delle fonti da p. 168.
316
Cfr. CIL I2, p. 29; p. 68; II 13134; VI 851; 1961; 10294; 31701. Sulla congiura in generale cfr. M.
RENARD, Sénèque, historien du la conjuration de Cinna, iὀ “δatὁmuὅ”, 1, 1λἁἅ ppέ ἀἂ1-255; J.
BERANGER, De Sénèque à Corneille. Lueurs sur Cinna, in Hommages à M. Niedermann, 1956, pp. 52-70;
D. C. A. SHOTTER, Cn. Cornelius Cinna Magnus and the adoption of Tiberius, iὀ “δatὁmuὅ”, ἀἁ, 1λἅἂ, ppέ
306-313; P. GRIMAL, La conjuration de Cinna, mythe ou réalité?, iὀ “ἢallaὅ”, vὁlέ I, 1λἆἄ, ppέ ἂλ-57; A.
CHASTAGNOL, Lueurs nouvelles sur la conjuration de Cinna, iὀ “εϋἔἤχ”, 1ίἄ, 1λλἂ, ppέ ἂἀἁ-429; I.
COGITORE, cit., 2000, pp. 150-160; F. ROHR VIO, cit., 2000, pp. 187-204; F. ROHR VIO, cit., 2011, pp.
- 86 -
Seneca ne parla in due opere, in una delle quali (De clementia) si rivolge a Nerone
prendendo come modello il principato augusteo317ν l’altὄa vὁἵe è ὃuella ἶi ἑaὅὅiὁ ἒiὁὀe318
(mentre tacciono Svetonio, Tacito e Velleio).
ἥalta ὅuἴitὁ all’ὁἵἵhiὁ la fὁὄte ἶiὅἵὄepaὀὐa ἵὄὁὀὁlὁgiἵaμ la viἵeὀἶa ὅaὄeἴἴe ἶa
collocarsi al 4 d.C., seguenἶὁ lὁ ὅtὁὄiἵὁ ἶ’etὡ ὅeveὄiaὀa, ὁ aὀteὄiὁὄmeὀte, ὅegueὀἶὁ ἥeὀeἵa,
e cioè mentre Augusto è in Gallia (in Gallia moraretur): essendo a conoscenza, da Dione,
di tre visite di Augusto al di là delle Alpi (rispettivamente nel 27 a.C.319, nel 16-13 a.C.320 e
nel 10-9 a.C.321), si è pensato che il riferimento senecano alludesse al secondo di questi
viaggi del princeps.
Seneca e Dione non concordano su altri due punti: sulle motivazioni del non
perseguimento (per il primo Augusto non voleva offendere la nobilitas, per il secondo
χuguὅtὁ teὀeva al peὀὅieὄὁ ἶell’ὁpiὀiὁὀe puἴἴliἵa, ἵhe ἶi fὄὁὀte a uὀ’iὀἶulgeὀὐa avὄeἴἴe
potuto dubitare del suo rigore manifestato nelle congiure precedenti) e, banalmente, sul
praenomen (Seneca si sbaglia ad appellarlo L., che sta naturalmente per Lucio, mentre
ἒiὁὀe è ἵὁὄὄettὁ a ὅἵὄiveὄe peὄ eὅteὅὁ Γ αῖ , ὀὁme ἵὁὀfeὄmatὁ aὀἵhe ἶai ἔaὅti)322.
ἣueὅt’ultima impὄeἵiὅiὁὀe ἶi ἥeὀeἵa, ὀὁὀἵhὧ la ὅua teὀἶeὀὐa a ἶὄammatiὐὐaὄe il
racconto mediante una narrazione a tratti sensazionalistica, hanno fatto pensare a una poca
veridicità storica delle pagine senecane, relegandole a un esercizio di scuola, di retorica,

101-107; E. ADLER, Cassius Dio’s Livia and the conspiracy of Cinna Magnus, GRBS, 51 (1), 2011, pp. 133-
154.
317
Sen. ben. 4, 30, 2. Cinna viene menzionatὁ, ma ὀὁὀ ἵ’è aἵἵeὀὀὁ alla ἵὁὀgiuὄa (Cinnam nuper quae res ad
consulatum recepit ex hostium castris, quae Sex. Pompeium aliosque Pompeios, nisi unius viri magnitudo
tanta quondam, ut satis alte omnes suos etiam ruina eius attolleret?); clem. 1, 9, 1-12.
318
Dio. LV 14, 1 – 22, 3.
319
Dio. LIII 22, 5.
320
Dio. LIV 19.
321
Dio. LIV 36, 3.
322
Cfr. CIL I2, p. 29. Secondo F. PRECHAC (De clementia, I, 9. Le prénom du Cinna et le séjour d’Auguste
en Gaule, iὀ “εϋἔἤχ”, ἅλ, 1λἄἅ, ppέ 1ηἁ-164), è un copista della pagina senecana che avrebbe erroneamente
confuso un vel con quella L che precede il nome di Cornelio Cinna, esattamente come più tardi confonderà
solidi con stolidi. Per I. COGITORE (cit., p. 153) Seneca confonde Gneo con Lucio, che era suo padre, e con
criterio scrive L. Cinna. Per Bauman (cit., pp. 195-196), invece, quel L. Cinna sarebbe il fratellastro più
anziano di Gneo, cos. suff. nel 32 a.C.
- 87 -
vòlto soprattutto ad esporre il rapporto tra clementia e severitas del principe, illuminante
nel caso di Cinna323.
In generale, nelle fonti vige notevole vaghezza sulle azioni di questa supposta
congiura, né si conosce il nome di eventuali delatori. La cospirazione di Cinna, anzi, pare
ὅia l’uὀiἵa a ὀὁὀ ὄiὅpettaὄe uὀa ἶimeὀὅiὁὀe uffiἵialeμ il princeps decide in totale autonomia,
senza una previa consultazione del senato, quando invece era accaduto finanche nel caso di
Giulia Maggiore. La tendenza di Seneca e Dione, anzi, è paradossalmente quella di
concentrarsi sugli aspetti morali della vicenda senza soffermarsi con attenzione sui dettagli
della cospirazione, che non è il fatto centrale della loro seppur estesa narrazione: le loro
sono, piuttosto, riflessioni sul potere, sulla clemenza e sulle congiure in genere.
Singolare rimane la scelta di Augusto di risparmiare Cornelio Cinna (era accaduto,
come visto, solo con la figlia e con la nipote), elevando poi il cospiratore nientemeno che al
consolato, successivamente al perdono. Il princeps, ἵiὁè, ἶὡ l’impὄeὅὅiὁὀe ἶi aveὄ ὅmeὅὅὁ i
panni del triumviro sanguinario, instaurando a Roma un nuovo clima di pace in cui la
clemenza è il tratto peculiare324.
ἠeἵeὅὅaὄia, peὄ il vὁlgeὄὅi ἶi ὃueὅta evὁluὐiὁὀe, è l’iὀteὄfeὄeὀὐa ἶi uὀa ἶὁὀὀa, δivia,
che, racconta Dione, mediante un discorso in cui filosofeggia anche sulla natura umana,
ἵὁὀviὀἵe il maὄitὁ ὅull’iἶea ἵhe la severitas può ormai essere solo inutile o perniciosa, dato
che le congiure contro la persona del princeps, adottando la fermezza, non si erano
arrestate325έ ἒὁpὁ l’aἶὁὐiὁὀe ἶi ὃueὅta clementia, “temperantia animi in potestate
ulciscendi” (ἶiὄὡ ἥeὀeἵa)326, Augusto, stando alle fonti, non vedrà più attentata la sua vita
sino al 14 d.C.327
Di Gneo Cornelio Cinna sappiamo che era un discendente di Pompeo Magno (su
questo almeno concordano Seneca e Cassio Dione), in quanto figlio di L. Cornelio Cinna e

323
Sul tema vedi anche M. A. GIUA, Clemenza del sovrano e monarchia illuminata in Cassio Dione LV 14-
22, iὀ “χtheὀaeum”, ηλ, 1λἆ1, ppέ ἁ1ἅ-337.
324
Cfr. I. COGITORE, cit., p. 158.
325
Per la tradizione storiografica favorevole a Livia cfr. J. BURNS, Great Woman of Imeprial Rome: Mothers
and Wives of the Caesars, London-New York, 2007, pp. 14-1ηέ ἠὁὀ è, peὄaltὄὁ, l’uὀiἵa vὁlta ἵhe ἒiὁὀe
menziona Livia come personalità influente (cfr. LVI 47, 1; LVII 3, 3; 12, 1-6; 16, 2; LVIII 2, 5).
326
Sen. clem. 2, 1, 1.
- 88 -
Pompeia328. Un terminus post quem per la data di nascita del nostro Gneo Cornelio Cinna
può essere il 46 a.C., cioè quando il primo marito di Pompeia, Fausto Cornelio Silla, figlio
del dittatore, è ammazzato in Spagna, a Tapso329. Chastagnol ha così ipotizzato che nasca
tra il 45 e il 41330έ Il ὀὁὅtὄὁ ἑiὀὀa, α α peὄ ἑaὅὅiὁ ἒiὁὀe, è iὀὅὁmma
chiaro che appartenesse alla fazione avversa rispetto a quella augustea: così si spiega quel
recepit hostium castris di Seneca331.
ἢeὄ aὄὄivaὄe a ἵὄeἶeὄe alla veὄiἶiἵitὡ ὁ meὀὁ ἶi ὃueὅt’ultima congiura è essenziale
tentare di approfondire la diatriba che concerne la problematica datazione, e dare una
propria lettura332.
Come visto, Seneca ci informa che la cospirazione di Cinna avviene mentre
Augusto è in Gallia a consolidare la provincia, e sappiamo che là il princeps si recò tre
volte (va esclusa comunque la datazione sul primo viaggio, avvenuto nel 27 a.C., dunque
troppo prematuramente). Ancora Seneca, poi, è prodigo di dettagli, indicando che Augusto
si mosse al di là delle Alpi, e nello specifico a Lione, cum annum quadragensium
transisset, così stabilendo al 23 a.C. un terminus post quem della visita augustea in Gallia e,
dunque, della congiura di Cinna.
Più tardi, nello stesso passo, ancora Seneca etichetterà Augusto come senex,
vegliardo333έ χll’appaὄeὀὐa ὃueὅta iὀfὁὄmaὐiὁὀe pὁtὄὡ ὅemἴὄaὄe ἵὁὀtὄaὅtaὀte ἵὁὀ ὃuaὀtὁ
detto appena prima, avendo passato Augusto – forse da poco – il quarantesimo anno. Come

327
In verità ci saranno i casi già intravisti di Emilio Paolo, Audasio, Epicado, e poi quello minore di Telefo;
episodi taciuti dalla propaganda del princeps, ὅempὄe atteὀta a fὁὄὀiὄe uὀ’immagiὀe illiἴata ἶel consensus
universorum augusteo.
328
È probabile che il padre, pretore nel 44 grazie a Cesare, simpatizzando per Bruto e Cassio, dopo Filippi si
ὄifugiaὅὅe ἶappὄima pὄeὅὅὁ ἥeὅtὁ ἢὁmpeὁ e pὁi pὄeὅὅὁ χὀtὁὀiὁ, ὅalvatὁ iὀfiὀe ἶall’iὀteὄveὀtὁ ἶi δepiἶὁέ Il
nonno, un altro L. Cornelio Cinna, era stato console nel lontano 87 a.C. Pompeia, invece, risultava essere una
figura importante e di collegamento tra Cesariani e frangia pompeiana. La sorella di Cinna, Cornelia, era stata
moglie di Cesare. Cfr. F. ROHR VIO, cit., 2000, pp. 187-188.
329
Verosimile, quindi, che tra la brusca fine di quel matrimonio (aprile 46 a.C.) e il nuovo connubio di
Pompeia, compresa la gravidanza, il nostro Cinna nascesse non prima del 45. Cfr. D. C. A. SHOTTER, cit.,
p. 306.
330
A. CHASTAGNOL, cit., p. 428. Per P. GRIMAL (cit., p. 52), Cinna nasce nel 41.
331
Sen. ben. IV 30, 2.
332
Al 4 d.C. credono F. PRECHAC (cit., pp. 361-369); M. RENARD (cit., p. 254); J. BERANGER (cit., pp.
52-70); F. ROHR VIO (cit., 2000, pp. 187-204); F. ROHR VIO (2011, cit., pp. 101-107). Diversamente, e al
16-13 a.C., pensano D. C. A. SHOTTER (cit., p. 307); K. A. RAAFLAUB – L. J. SAMONS II (cit., pp. 427-
428); A. CHASTAGNOL (cit., pp. 424-425); I. COGITORE (cit., pp. 150-160).
333
haec Augusus senex aut iam in senectutem annis vergentibus (Sen. clem. I 11, 1).
- 89 -
fa ὀὁtaὄe ἐὧὄaὀgeὄ, tuttavia, peὄ i δatiὀi ὀeὅὅuὀa paὄὁla ἶeὅigὀa l’etὡ matuὄa, ἵὁὅì ἵhe ὅi
paὅὅi ἶall’adolescentia alla senectus senza un termine che ne qualifichi la fase
intermedia334. Proprio per questo, affinché concili vocabolario e biografia, qualcuno ha
aὀἵhe peὀὅatὁ a uὀ eὄὄὁὄe ἶel ἵὁpiὅta ἵhe ha iὀveὄtitὁ l’iὀἶiἵaὐiὁὀe δX ἵὁὀ Xδ, ἵὁὅì
intendendo che Augusto avesse superato il sessantesimo anno, accenno forse più sensato se
abbinato al termine senex e, soprattutto, più idoneo per collocare la congiura nel 13 a.C.
(essendo nato Augusto nel 63)335.
È tuttavia difficile pensare a uno svarione ἶel geὀeὄe ἶi uὀ ἵὁpiὅtaέ δ’iὀfὁὄmaὐiὁὀe
senecana del quadragensium ὀὁὀ eὅἵluἶe, iὀfatti, uὀ’eveὀtuale ἵὁllὁἵaὐiὁὀe al 1ἄ-13 a.C.,
cioè quando il princeps aveva tra i 47 e i 50 anni, sia del viaggio nelle Gallie di Augusto,
sia della cospirazione di Cinna.
Il fatto che Dione collochi la congiura nella sezione del suo libro che riguarda
l’aὀὀὁ ἂ ἶέἑέ, appeὀa ἶὁpὁ la meὀὐiὁὀe ἶi miὅuὄe ἵὁὀἵeὄὀeὀti l’affὄaὀἵameὀtὁ ἶegli ὅἵhiavi
(lex Aelia Sentia de manumissionibus), si spiega semplicemente col fatto che egli sa del
ἵὁὀὅὁlatὁ ἶi ἑiὀὀa ὁtteὀutὁ l’aὀὀὁ ὅuἵἵeὅὅivὁ, eἶ è ὃuella l’ὁἵἵaὅiὁὀe peὄ tὁὄὀaὄe iὀἶietὄὁ e
peὄ paὄlaὄe ἶell’aὐiὁὀe eveὄὅiva336.
Del resto lo stesso Seneca afferma che post hoc – riferendosi alla cospirazione –
Cinna ottenne il consolato (detulit ultro consulatum), senza però specificare un intervallo di
tempo preciso. Seguendo la Cogitore, è strano che sempre Seneca non insista, nel De
clementia, ὀel mὁὅtὄaὄe al futuὄὁ impeὄatὁὄe ἠeὄὁὀe tutta l’iὀἶulgeὀὐa ἶi χuguὅtὁ
nonostante lo sgarbo subìto da Cornelio Cinna, così affermando esplicitamente che la
concessione del consolato fosse immediatamente successiva al tentato complotto337.

334
J. BERANGER, cit., pp. 52-54.
335
Cfr. F. PRECHAC, Rev. de philol., IX (61), 1935, p. 365; XIV (66), 1940, p. 247. Sul tema cfr. anche F.
ROHR VIO, cit., 2000, p. 191.
336
Così anche I. COGITORE, cit., p. 1ηἀέ ἥἵὄive ἒiὁὀeμ “χ ὃuel tempὁ, ἶuὄaὀte il ἵὁὀὅὁlatὁ ἶi ἑὁrnelio e
Valeὄiὁ εeὅὅalla, vi fuὄὁὀὁ mὁlte piὁgge” (δV 1ἂ, 1- 22, 2). E questo lo dice appena dopo aver parlato della
congiura, così ponendo il consolato di Cinna come consequenziale alla cospirazione.
337
ibidem
- 90 -
χ ἶiffeὄeὀὐa ἶell’iὀἶiἵaὐiὁὀe ἶella ὅeὀilitὡ ἶel princeps, Cinna sarà invece
presentato da Seneca come adulescens338. Prendendo per buono questo dato, è plausibile
che al momento della congiura Cinna non avesse più di venticinque anni (dal II sec. a.C.,
iὀfatti, la fiὀe ἶell’adulescentia ἵὁmiὀἵiά a ἵὁὄὄiὅpὁὀἶeὄe giuὄiἶiἵameὀte ἵὁὀ l’aveὄ
compiuto un quarto di secolo). Seguendo il Grimal, che ne colloca la nascita al 41, è
autὁmatiἵὁ peὀὅaὄe alla ἵὁὅpiὄaὐiὁὀe ὀell’aὄἵὁ ἶi tempὁ 1ἄ-13, durante il secondo viaggio
nelle Gallie di Augusto339; il consolato del 5 d.C. sarebbe stato raggiunto da Cinna, dunque,
veὄὅὁ i ἵiὀὃuaὀt’aὀὀi ἶ’etὡ, quando egli non era più adulescens.
Una collocazione della cospirazione al 4 d.C., al contrario, non si adatterebbe a
questa definizione di gioventù espressa da Seneca. Il quale, sempre nel De Clementia, dirà
di Cinna che fosse anche stolidi ingenii virum. Qualcuno ha proposto di correggere stolidi
con solidi, ἵὁὅì faἵeὀἶὁ iὀteὀἶeὄe ἵhe l’avveὄὅaὄiὁ ἶi χuguὅtὁ fὁὅὅe uὀ uὁmὁ impὁὄtaὀte, ἶi
una certa saldezza politica340: invece la stoliditas proposta da Seneca combacia
perfettamente con la precedente indicazione di gioventù, peraltro avvalorando che Cinna
fosse adulescens e stolido nel 16-13 a.C., e non più tardi, nel 4 d.C., ormai quasi
cinquantenne.
ἢὄὁpὄiὁ ὅull’iὀaffiἶaἴilitὡ ἶel ὄeὅὁἵὁὀtὁ ἶi ἥeὀeἵa ὅi è ἴaὅata gὄaὀ paὄte ἶella
storiografia moderna per prὁἵὄaὅtiὀaὄe la ἶataὐiὁὀe ἶella ἵὁὀgiuὄa al η ἶέἑέ, ἵὁὀ l’iἶea ἵhe
la sua penna fosse più attenta a fornire indicazioni morali che storiche, così incorrendo
ingenuamente in facili confusioni.
Tuttavia andrebbe sfumata proprio questa teoria che vedrebbe Seneca propenso a
dipingere la clemenza del princeps a scapito della veridicità dei fatti. E andrebbe tolto
credito, invece – almeno in questo caso – alla voce dionea, che, oltre ad essere

338
In base a tale informazione, A. CHASTAGNOL (cit., p. 425 ss.) ha proposto di collegare la congiura a un
mὁvimeὀtὁ ἶi ἶiὅaffeὐiὁὀe e ἶi pὄὁteὅta ἶei giὁvaὀi appaὄteὀeὀti all’ὁὄἶiὀe ὅeὀatὁὄialeέ ἥeὀeἵa ἶiὄὡ nobiles
adulescentuli (clem. I 9, 2-3).
339
È improbabile pensare a uno svolgimento dei fatti in Gallia (a meno che Cinna fosse stato là convocato).
Augusto non era a Roma, forse, al momento della scoperta della congiura, poi sventata anche grazie al suo
ὄitὁὄὀὁ ὀell’Uὄἴeέ ἑfὄέ Iέ ἑἡἕIἦἡἤϋ, ἵitέ, pέ 1η1έ
340
Cfr. Edit. Teubner 1862; J. BERANGER, cit., p. 56 ss.
- 91 -
temporalmente molto successiva ai fatti, preferisce abbinare i fatti più per tematica che per
datazione, come già visto per i casi di Cornelio Gallo o Egnazio Rufo341.
La Rohr Vio, ad esempio, fonda la sua tesi che pone la congiura al 4 d.C. soprattutto
ὅu ὃueὅta iὀatteὀἶiἴilitὡ ὅeὀeἵaὀa e ὅu ὃuell’iὀἶiἵaὐiὁὀe, pὄὁἴaἴilmeὀte interpolata, che
colloca Augusto in Gallia: per la studiosa il princeps doveva essere presente a Roma342,
infatti, per la menzione di un consilium amicorum343, per la presenza di Livia344 e per il
colloquio immediato con Cinna345. Ma nulla vieta di pensare, dando credibilità a Seneca,
che il progetto di congiura incominciasse mentre Augusto fosse fuὁὄi ἶall’Uὄἴe e ἵhe il ὅuὁ
ὅmaὅἵheὄameὀtὁ avveὀiὅὅe piὶ taὄἶi, tὁὄὀatὁ il pὄiὀἵipe iὀ ἵittὡέ ἒel ὄeὅtὁ l’aὄἵὁ ἶi tempὁ
del 16-13 a.C., in cui Augusto era in Gallia, è molto esteso e approssimativo per essere
assunto come un rigido parametro.
δ’affiἶaἴilitὡ ἶella vὁἵe ὅeὀeἵaὀa, ὃuaὀtὁmeὀὁ iὀ ὃueὅtὁ fὄaὀgeὀte, ὅaὄeἴἴe
confermata anche da un passaggio della Consolatio ad Polybium, in cui mostra di
conoscere le sorti dei discendenti di Pompeo, compresa la madre di Cinna346. Si potrebbe
anzi pensare, proprio in virtù di queste righe della Consolatio, che la fonte di Seneca sulla
congiura sia storica, non un retore.
χltὄa teὅtimὁὀiaὀὐa ἶel fattὁ ἵhe egli ὅia iὀfὁὄmatὁ è l’affeὄmazione che non
ὄipὄὁἶuὄὄὡ l’iὀteὄὁ (uὅa pὄὁpὄiὁ il veὄἴὁ repetere), perché non vuole occupare in quel modo
la maggior parte del rotolo che sta scrivendo. Anche per il fatto che, sempre Seneca,

341
Sul dibattito ancora aperto che tenta di capire se Dione e Seneca provengano o meno da un fonte comune
v. F. ROHR VIO, p. 188, n. 215.
342
Cfr. F. ROHR VIO, 2000, p. 226. La Rohr Vio afferma anche che il piano del cospiratore presupponeva la
preὅeὀὐa a ἤὁma ἶi χuguὅtὁέ χl ἵὁὀtὄaὄiὁ, è plauὅiἴile peὀὅaὄe ἵhe pὄὁpὄiὁ l’aὅὅeὀὐa ἶel princeps avesse
maggiormente motivato Cinna a ribaltare la situazione al potere.
343
Sen. clem. I, 9, 3.
344
Sen. clem. I, 9, 6; Dio. LV 14, 2 – 21, 4. Il dialogo tra i due comincia, per Dione, in cubiculo, con Augusto
tὄatteggiatὁ ἵὁme uὀ mὁὀaὄἵa, e iὀὅὁὀὀe peὄ l’affaὄe ἶi ἑiὀὀaέ Il ἶiὅἵὁὄὅὁ ἶi δivia, iὀ ἑaὅὅiὁ ἒiὁὀe, ὅaὄὡ
mὁltὁ “tuἵiἶiἶeὁ” e “maἵhiavelliἵὁ”, peὄ E. ADLER (cit., p. 142 ss.), pessimistico sulle motivazioni che
spingono gli uomini ad agire, e sul loro coraggio.
345
Sen. clem. I, 9, 7.
346
Ad. Pol. 15, 1 (Quid referam duorum Lucullorum diremptam morte concordiam? Quid Pompeios, quibus
ne hoc quidem saeviens reliquit fortuna, ut una denique conciderent ruina? Vixit Sextus Pompeius primum
sorori superstes, cuius morte optime cohaerentis Romanae pacis vincula resoluta sunt, idemque hic vixit
superstes optimo fratri, quem fortuna in hoc evexerat, ne minus alte eum deieceret, quam patrem deiecerat: et
post hunc tamen casum Sextus Pompeius non tantum dolori, sed etiam bello suffecit). Seneca nasce peraltro
nel 4 a.C. ed è chiaro che, in generale, abbia più dimestichezza con alcuni nomi e famiglie, a differenza di
Cassio Dione.
- 92 -
sostiene che Augusto parlò a Cinna per oltre due ore, è abbastanza verosimile, quindi, che
faccia riferimento a una precisa fonte, di certo informata sui fatti.
La drammaticità di Seneca – spesso interpretata come tendenza a enfatizzare i fatti,
ἵὁl ὄiὅἵhiὁ ἶi ὅἵaἶeὄe ὀell’iὀveὄὁὅimigliaὀὐa – era invero necessaria, al filὁὅὁfὁ ἶ’etὡ
neroniana, perché mediante quel modo di raccontare avrebbe meglio istruito il futuro
princeps (peraltro appassionato di teatro): senza dimenticare che Seneca fosse comunque
aὀἵhe uὀ autὁὄe ἶi tὄageἶie, l’epiὅὁἶiὁ ἶi ἑiὀὀa avὄeἴἴe fuὀtὁ ἶa exemplum per Nerone, per
una auspicabile e futura emulazione della bontà di Augusto. Cassio Dione, riportando il
lungo discorso di Livia, più che alla veridicità storica sembra invece concentrato su un
velato e sottile raffronto tra la stessa Livia e Giulia ἒὁmὀa, l’impὁὄtaὀte ἶὁὀὀa impeὄiale
che muoveva i fili del principato severiano al tempo di Dione347.
ἥe ὃualἵuὀὁ ὅi è ἶettὁ ὅἵettiἵὁ ὅull’auteὀtiἵitὡ ἶella ἵὁὀgiuὄa ἶi ἑiὀὀa, peὄἵhὧ ὀe
manca la menzione in troppe fonti348, il fattὁ ἵhe alἵuὀi taἵἵiaὀὁ ὅull’argomento –
Svetonio, Tacito ma soprattutto Velleio, sempre molto incline a rispettare i dogmi della
propaganda augustea – può interpretarsi al contrario come un sintomo della tendenza a
minimizzare o persino nascondere una reale congiura.
Così, dando per concreta la cospirazione di Cinna e collocandola, al 16-13 a.C.,
andrebbe interpretata la sorprendente concessione del consolato al congiurato nel 5 d.C.
In questo stesso anno i consoli Cornelio Cinna e Lucio Valerio Messalla Voleso
presentano una proposta di legge forse deliberatamente occultata da tutte le fonti, e della
ὃuale ὅiamὁ a ἵὁὀὁὅἵeὀὐa ὅὁlὁ gὄaὐie a uὀ’epigὄafeμ ὀella Tabula Hebana del 19 d.C.,
infatti, narrando delle onoranze funebri da concedere a Germanico, si parla della lex de X
centuriis Caesarum, meglio conosciuta come lex Valeria-Cornelia349.
Era una legge di riforma elettorale che istituiva dieci nuove centurie (intitolate a
Caio e Lucio Cesare, i principi designati e morti da poco), composte da senatori e da
ἵavalieὄi, ἶeputate all’eleὐiὁὀe di consoli e pretori; nello specifico, queste nuove centurie
provvedevano alla destinatio magistratuum, solo successivamente validata dai comizi

347
Così anche P. GRIMAL, cit., p. 54.
348
Cfr. R. Syme, RR, cit., p. 414.
349
Sulla legge cfr. G. TIBILETTI, Il funzionamento dei comizi centuriati alla luce della Tavola hebana,
“χtheὀaeum”, ἀἅ, 1λἂλ, ppέ ἀ1ί-245.
- 93 -
centuriati. Questi ultimi, veri e propri raduni popolari che nel caso di Egnazio Rufo
avevano mostrato tutta la loro ancora viva pericolosità, venivano esautorati dalle loro
prerogative: queste nuove centurie già selezionavano una rosa di candidati destinati a
consolato e pretura350.
ἢaὄe ἵhe uὀ pὄὁvveἶimeὀtὁ iὅtituὐiὁὀale ἶi ἵὁὅì gὄaὀἶe impὁὄtaὀὐa fὁὅὅe l’eὅitὁ ἶi
una difficile trattativa tra il princeps e la nobilitas, ἵὁὀ ὃueὅt’ultima vὁleὀteὄὁὅa ἶi allaὄgaὄe
la propria influenza politica. Beneficiandone anche i cavalieri, era chiaro che il popolo
fosse il più penalizzato: così si spiega la distribuzione di Augustὁ alla pleἴe, iὀ ὃuell’aὀὀὁ,
di un ricco congiarium, nel tentativo di ingraziarsi quella fazione ora più scontenta. Era
fondamentale, dunque, far sembrare che quel cambiamento istituzionale così accentratore,
che comunque favoriva anche Augusto, fosse il fὄuttὁ ἶi uὀ’iὀiὐiativa ἶi gὄuppi eὅtὄaὀei al
principe.
È qui, a distanza di un ventennio, che torna utile il personaggio di Cornelio Cinna,
filo-repubblicano passato dalla parte di Sesto Pompeo dopo la morte dei genitori ed ex-
nemico di Augusto. Il princeps, ὅἵavalἵaὀἶὁ i ἵὁmiὐi, gli peὄmette uὀ’eleὐiὁὀe al ἵὁὀὅὁlatὁ
con procedure forzate, non avendo allora Cinna, nel suo cursus honorum, i requisiti per
ὄiveὅtiὄe la maὅὅima magiὅtὄatuὄaέ Uὀ’eleὐiὁὀe ἵhe ὀὁὀ ὅὁlὁ peὄmetteva aἶ χuguὅtὁ ἶi
riconciliarsi con quella fazione (di Cinna) forse ancora viva e a lui contraria, ma che
appunto mascherava le sue tendenze sempre più assolutistiche affibbiando la lex Valeria-
Cornelia all’aὄiὅtὁἵὄaὐia ὄepuἴἴliἵaὀaέ
Da quel 16-13 a.C. alla legge del 5 d.C. (appena conseguente all’eleὐiὁὀe ἶel
ἵὁὀὅὁlatὁ ἶi ἑiὀὀa), χuguὅtὁ aveva pὁtutὁ teὅtaὄe, ὀell’aὄἵὁ ἶi uὀ veὀteὀὀiὁ, la feἶeltὡ ἶi
ἑiὀὀa ἶὁpὁ il teὀtativὁ ἶi ἵὁὀgiuὄa e il ὅuὅὅegueὀte peὄἶὁὀὁέ ϋ “uὅava” ὃuel ὅuὁ ex-nemico
peὄ ammὁὄἴiἶiὄe, a ἤὁma, l’impattὁ ἵὁὀ uὀa ὄifὁὄma elettorale di forte cambiamento.
Convocato Cinna, Augusto gli avrà evidentemente fatto capire che un ritorno
repubblicano poteva considerarsi, ormai, una chimera, e che il suo potere non poteva più
conoscere disturbi: la pax regnava incontrastata, e gli era anche più semplice mollare il
pugno duro che ne aveva contraddistinto le azioni nei primi tempi, quando anche i più
stretti collaboratori, come Salvidieno Rufo o Cornelio Gallo, pur innocenti, erano stati

350
Cfr. F. ROHR VIO, cit., 2000, p. 199 ss; F. ROHR VIO, cit., 2011, p. 103 ss.
- 94 -
soppressi351. Così si spiega anche il suo nuovo culto verso la clementia, nonché il risparmio
ἶella vita ἶi ἑiὀὀa (uὀ veὄὁ ἵὁὀgiuὄatὁ), e ὃuellὁ pὄima aὀἵὁὄa ἶelle ἶue ἕiulie, aὀἵh’eὅὅe
vere cospiratrici (malgrado il declassamento del complotto ad adulterio).
Cornelio Cinna diventava addirittura amicissimum fidelissimumque di Augusto,
come scrive Seneca352. E stavolta la sua congiura e il successivo perdono – non la sua
soppressione – sarebbero diventati strumenti utili nelle mani del princeps, a plasmare il suo
potere in modo sempre più autocratico, con un sonoro colpo come la lex Valeria-Cornelia.

351
Cfr. P. GRIMAL, cit., p. 53.
352
Sen. clem. I, 9, 12.
- 95 -
CAPITOLO VIII

Brevi accenni sulle congiure minori.

«…poi ancora quello di L. Audasio, un falsario già vecchio e malato, quello di Asinio Epicado, un
uomo di razza mista nelle cui vene scorreva sangue parteno, infine quello di Telefo, schiavo
nomenclatore di una donna.»
(Svet. Aug. 19,1)

Finora si sono analizzate nel dettaglio quelle otto congiure – sono nove se si
considera come a sé stante il tentativo eversivo di Giulia Minore ed Emilio Paolo –
tramandateci dalle fonti letterarie, quasi sempre inclini a rispettare la rigida vulgata di
regime secondo i continui dettami di Augusto, esperto manipolatore (si vedano,
semplicemente, le sue Res Gestae). Non si può sapere se le fonti tacciano su altri episodi di
complotto, del tutto rimossi dalla memoria storica.
Svetonio e Cassio Dione, in generale i due autori più loquaci sul tema delle congiure
benché pecchino spesso della precisione che invece contraddistingue Tacito, in verità
conservano qualche traccia di cospirazione anonima, di attentato individuale al princeps
senza un solido progetto politico alle spalle.

- 96 -
Si veda il caso di un cuoco ἶell’aὄmata illiὄiἵaμ l’aὐiὁὀe ὅi ὅvὁlge ἶi ὀὁtte, e
l’aggὄeὅὅὁὄe è ὅἵὁpeὄtὁ ὀei pὄeὅὅi ἶella ὅtaὀὐa ἶell’impeὄatὁὄe ἵὁὀ uὀ’aὄma iὀ maὀὁ, uὀ
coltello da caccia353.
ἡppuὄe, ἶa ἒiὁὀe, ὅi legga l’epiὅὁἶiὁ ἶel filὁὅὁfὁ χteὀaἶὁὄa, il ὃuale avveὄte
Augusto di quanta poca sicurezza circondi la sua persona: Atenadora si traveste da donna,
si fa condurre dal principe trasportato su una lettiga e, armato di pugnale, mostra ad
Augusto con che facilità un aggressore avrebbe accesso alla sua persona354. Entrambi gli
episodi testimoniano quanto la viὅiἴilitὡ e “taὀgiἴilitὡ” del princeps fossero pericolose per
la sua incolumità355.
Oltre ai casi intravisti di Audasio ed Epicado – due uomini di basso rango sociale
che avrebbero volentieri aiutato Giulia minore ed Agrippa Postumo a scappare dal loro
esilio per ribaltare la situazione al potere – nella lista svetoniana dei cospiratori compare
per ultimo un personaggio, Telefo356. Posto dopo i nomi di Audasio ed Epicado, appunto, la
ἵui aὐiὁὀe aὀἶὄeἴἴe ἵὁllὁἵata tὄa l’ἆ e il 1ί ἶέἑέ, l’eveὀtuale ἵὁὅpiὄaὐiὁὀe ἶi ἦelefὁ
potrebbe situarsi negli ultimissimi anni del principato augusteo, forse nel 13-14357.
Dal nome si intuisce che fosse un uomo di basse origini, uno schiavo, e pare che
avesse intenzione di complottare non solo contro Augusto ma anche contro il senato,
configurandosi la sua azione contro il potere in generale (allora caratterizzato proprio dalla
coesistenza tra il princeps e la fazione senatoriale)έ δ’epiὅὁἶiὁ ἶi ἦelefὁ, ἶuὀὃue, aὅὅieme a
ὃuellὁ ἶi χuἶaὅiὁ eἶ ϋpiἵaἶὁ, puά iὀteὀἶeὄὅi ἵὁme maὀὁvὄa ἶall’irrisoria importanza
politica, che quasi non meritò, a suo tempo, la mistificazione avvenuta per altri casi ben più
risonanti.

* Per le congiure si veda l'appendice delle fonti da p. 177.


353
Svet. 19, 4. Quin etiam quandam iuxta cubiculum eius lixa quidam ex Illyrico exercitu, ianitoribus
deceptis, noctu deprehensus est cultro venatorio cinctus, imposne mentis an simulata dementia, incertum;
nihil enim exprimi quaestione potuit. Su questo episodio cfr. anche I. COGITORE, cit., p. 105 ss.
354
Dio. LVI 43, 2. π ῖ Ἀ υ φ ῳπ α α ῳ
α α υ α , α α φ υ π α , α
π π π ‘ φ π ν’ π , α α
”έ
355
Giustamente la Cogitore (cit., p. 105) fa notare come il tiranno, a differenza del principe, fosse meno
viὅiἴile e ἶuὀὃue meὀὁ attaἵἵaἴile, ὀὁὀ ἴiὅὁgὀὁὅὁ ἶell’amὁὄe ἶei suoi sudditi, dai quali reclamare adesione e
sostegno.
356
Svet. Aug. 19, 1.
- 97 -
Grazie a Svetonio siamo poi a conoscenza di tre episodi – differenti tra di loro, pur
rimandando a circostanze di diffamazione – in cui Augusto diede prova della sua clemenza
verso personaggi che, pur adottando atteggiamenti di astio e di protesta, forse non
congiurarono per davvero nei suoi confronti. Di Iunio Novato, Cassio Patavino ed Emilio
Eliano non abbiamo notizie altrove358.
Del primo sappiamo appunto da Svetonio che – di origine plebea se si guarda il
gentilizio altrimenti sconosciuto – diramò, fὁὄὅe tὄa il vὁlgὁ ἶell’Uὄἴe, una lettera
diffamatoria contro il principe a nome di Agrippa Postumo, e per questo punito con
uὀ’ammeὀἶa359. Temporalmente, la vicenda andrebbe collocata tra il 4 e il 6-7 d.C., stando
all’aἶὁὐiὁὀe ἶi χgὄippa ἢὁὅtumὁ e poi al suo esilio, a Sorrento e a Planasia.
Il caso di Cassio Patavino, un altro plebeo forse originario di Padua attenendosi al
nome, riguarderebbe dichiarazioni ostili dello stesso Patavino nei confronti di Augusto:
pare che, durante un banchetto, avesse auspicato la morte del principe, e di essere disposto
a provocarla. In questo caso, risulta impossibile proporre ipotesi di datazione, né capire la
ἶuὄata ἶell’eὅiliὁ, ἵhe eὄa ὅtata la pena a lui comminata.
δ’ultimo caso, infiὀe, ὀaὅἵe aὀἵὁὄa uὀa vὁlta ἶa ὃuell’incapacità di trattenere la
propria lingua che, stando alle fonti, avrebbe anche causato la caduta in disgrazia di
Cornelio Gallo, come già visto. Un certo Emilio Eliano, proveniente da Cordova, in
Spagna, aveva ἵὁὅì ὅtigmatiὐὐatὁ l’impeὄatὁὄeμ ὅtavὁlta ὀὁὀ ἵ’eὄa ὅtatὁ eὅiliὁ, ὀὧ multaν pare
che la questione fosse finita pacificamente.
Nulla vieta di pensare che anche queste tre vicende, o quantomeno una di queste,
siano state minimizzate a posteriori dalla penna svetoniana, ridimensionate sia per il loro

357
Così I. COGITORE, pp. 105-106.
358
Svet. Aug. 51, 1. Clementiae civilitatisque eius multa et magna documenta sunt. Ne enumerem, quot et
quos diversarum partium venia et incolumitate donatos principem etiam in civitate locum tenere passus sit:
Iunium Novatum et Cassium Patavinum e plebe homines alterum pecunia, alterum levi exilio punire satis
habuit, cum ille Agrippae iuvenis nomine asperrimam de se epistulam in vulgus edidisset, hic convivio pleno
proclamasset neque votum sibi neque animum deesse confodiendi eum. Quadam vero cognitione, cum Aemilio
Aeliano Cordubensi inter cetera crimina vel maxime obiceretur quod male opinari de Caesare soleret,
conversus ad accusatorem commotoque similis: "Velim," inquit, "hoc mihi probes; faciam sciat Aelianus et
me linguam habere, plura enim de eo loquar"; nec quicquam ultra aut statim aut postea inquisiit. In generale
su queste tre congiure minori cfr. I COGITORE, cit., pp. 146-150.
359
Per T. MOMMSEN (Droit pénale, II, p. 267), la diffamazione scritta poteva essere perseguita per iniuria,
ἵὄimiὀe ἶi ὅtatὁ ὅeveὄameὀte puὀitὁέ δ’uὅὁ ἶi uὀ eteὄὁὀimὁ, ἵὁme el ἵaὅὁ ἶi Iuὀiὁ ἠὁvatὁ, ὀὁὀ faἵeva ἵhe
peggiorare la situazione. Per Syme (cit., RR, p. 596, n. 10) egli fu un vero cospiratore.
- 98 -
eventuale progetto politico, sia per la pericolosità che avrebbero rappresentato per Augusto.
In verità, almeno tre considerazioni sono persuasive per credere che siano casi di complotto
molto marginali, e che non andrebbero pertanto annoverati tra reali tentativi di congiura nei
ἵὁὀfὄὁὀti ἶel pὄiὀἵipe e ἶell’iὅtituὐiὁὀe ἶa egli ὅteὅὅὁ iὀἵaὄὀataέ
Innanzitutto va notato che, come detto prima, è il solo Svetonio a narrare di questi
tre eventi e di questi tre personaggi, raggruppandoli in un unico passo che ha il desiderio di
palesare la clementia di Augusto. In seconda istanza, proprio tale concentrazione dei tre
episodi indurrebbe a pensare a una valenza tutta retorica del racconto svetoniano: mediante
i tre esempi che rispettivamente sembrerebbero ambientati a Roma, in Italia e nelle
province (stando ai nomi dei cospiratori), l’iὀteὄeὅὅe ἶella ὀaὄὄaὐiὁὀe è paleὅaὄe ὃuaὀtὁ
ampia e tὁtale ὅia l’iὀἶulgeὀὐa ἶel pὄiὀἵipeέ In terza battuta va notato che, malgrado dei tre
personaggi non si faccia menzione in altre fonti, essi portano tre nomi importanti,
appartenendo agli illustri Iunii360, Cassii361 ed Aemilii della Repubblica.
Questo passo svetoniano, dunque, potrebbe semplicemente mostrare iὀ mὁἶὁ uὀ pὁ’
artificiosὁ l’umaὀa clemenza augustea verso le grandi famiglie repubblicane e verso alcuni
loro esponenti. Pur ammettendo la veridicità di tali avvenimenti, lievemente offensivi nei
confronti del principe, per la loro vaghezza e per la loro scarsa profondità non andrebbero
ascritti alla lista delle congiure, vere o immaginarie, che punteggiarono il regno di Augusto.

360
Si è già visto che Giulia minore fosse amante di Iunio Silano, esiliato tra il 6 e il 7 d.C. La Cogitore (cit., p.
149) ha messo in connessione la stessa Giulia, sorella di Agrippa Postumo, con Iunio Novato, probabilmente
un cliente o un discendente degli Iunii che scrive quella lettera diffamatoria verso Augusto a nome del nipote.
361
Siamo a conoscenza di un Cassio di Parma, morto presso Azio per volontà di Ottaviano. Ma Cassio è
anche il nome del più noto cesaricida.

- 99 -
Conclusioni

Dio. LIV 15, 1-3.


« υ υ α α
ῳ α Ἀ ππᾳ π υ α, ᾽ α υ ,α α .
α α ῖ α α: π α
π α , α π υ υ , ᾽ αυ α υ α π ,
π π α α ᾽ π α , α α αα υ , α. α
α π π υ π α α υ α,
π υ α, π π υ φα , π υπ α ᾽ π ,
᾽ α ᾽ , ᾽ υ α .»

Traduzione (di A. Stroppa):


«Dopo questi fatti, molti uomini, alcuni subito ed altri successivamente, vennero accusati di
complotto nei confronti del principe e di Agrippa, né si sa se le imputazioni fossero vere o false. Del
resto, per chi non ha partecipato direttamente ai fatti, è impossibile sapere con esattezza come
siano veramente andati tali avvenimenti: generalmente, infatti, circola il sospetto che molti dei
provvedimenti che un regnante prende per punire una congiura che è stata ordita contro di lui, sia
che egli se ne faccia direttamente carico o che deleghi il senato, siano stati il risultato di una
misura repressiva, anche quando non vi è alcun dubbio sull’assoluta legittimità di tali misure. Per

- 100 -
questa ragione è mia intenzione riportare semplicemente la versione che ho raccolto di quegli
avvenimenti che, come questi, sono controversi, senza dilungarmi in indagini oltre quanto è già
comunemente conosciuto, tranne nei casi assolutamente evidenti, e senza considerare se quello che
è avvenuto sia giusto o ingiusto oppure se ciò che è stato riferito sia vero o falso ».

Questa importante ἶiἵhiaὄaὐiὁὀe ἶi iὀteὀti ἶi ἑaὅὅiὁ ἒiὁὀe, ἵὁὀteὀuta all’iὀteὄὀὁ ἶel


cinquantaquattresimo libro della sua opera, ὁltὄe aἶ eὅὅeὄe uὀ’ammiὅὅiὁὀe ἶi umiltὡ, iὀveὄὁ
nasconde anche il suo impegno a smarcarsi dalle voci della propaganda augustea sul tema
delle varie congiure subìte da Augusto; congiure sulle quali la situazione non è del tutto
chiara e lineaὄe ὅe lὁ ὅteὅὅὁ ἒiὁὀe ἶiὄὡ ἵhe gli “avveὀimeὀti ὅὁὀὁ ἵὁὀtὄὁveὄὅi”έ
In una classificazione tripartita, che non ha tuttavia il proposito di catalogare
rigidamente le varie fonti letterarie, Isabelle Cogitore ha inserito Cassio Dione nella prima
di queste tendenze, vòlta a guardare alle cὁὀgiuὄe ἵὁὀ ὅguaὄἶὁ “pὁlitiἵὁ”μ ὅi pὁὀe attenzione
ὅull’iὅtituὐiὁὀe ἶel pὄiὀἵipatὁ, ὅulla figuὄa ἶel princeps e in generale sugli ambienti del
regno, mettendo in luce la saldezza di questo nuovo potere malgrado i tentativi eversivi362.
Una seconda tendenza è quella invece di inquadrare il fenomeno cospirativo
ὅeἵὁὀἶὁ uὀ’ὁttiἵa fatta ἶi “lὁgiἵa”, ἶi ἵὁeὄeὀὐa, enunciando una lista di cospiratori spesso
dalla chiara valenza retorica. Così Seneca, ad esempio, enumera i congiurati in due opere:
nel De Clementia, in cui si rivolge al futuro imperatore Nerone, e nel De brevitate vitae, in
ἵui pὁὄὄὡ l’aἵἵeὀtὁ ὅul ἵὁὀtὄaὅtὁ tὄa il ὅuἵἵeὅὅὁ ἶi χuguὅtὁ iὀ gueὄὄa e i pὄὁἴlemi tutti
iὀteὄὀi ἶell’Uὄἴe363. Malgrado sia talvolta approssimativo nel ὄiὅpettaὄe l’ὁὄἶiὀe
ἵὄὁὀὁlὁgiἵὁ ἶei ἵὁὅpiὄatὁὄi, ὅeὀtiὄὡ l’eὅigeὀὐa ἶi ἶaὄe ὅimmetὄia alle ὅue aὄgὁmeὀtaὐiὁὀi
inserendo dapprima quattro nomi geografici e poi quattro nomi di cospiratori, nel bisogno
ἶi fὁὄὀiὄe uὀ’aὄmὁὀia letteὄaὄia al ὅuὁ ὅἵὄittὁέ Lo steὅὅὁ metὁἶὁ lὁ tὄὁveὄemὁ ὀell’ὁpeὄa ἶi

362
Cfr. I. COGITORE, cit., pp. 21 ss. Alla studiosa francese – che per tre mesi, durante un mio soggiorno
all’uὀiveὄὅitὡ ἶi Grenoble, è stata una personale e preziosa guida nel corso della ricerca e il cui testo è stato
qui più volte preso come riferimento – si è interessata soprattutto alla funzione svolta da questi episodi di
congiura, compiendo un discorso più generale sulla legittimità dinastica e prendendo in esame il periodo
intero dei Giulio-Claudi.
363
Sen. brev. 4, 5.
- 101 -
Svetonio, in cui lo storico dà il suo elenco di congiurati narrando di accadimenti negativi
avvenuti a Roma364, oppure in Tacito, che parimenti si concentra sul contrasto tra ciò che di
buono accade fuori città, in gueὄὄa, e ἵiά ἵhe ἶi peὄiἵὁlὁὅὁ peὄ χuguὅtὁ aἵἵaἶe all’iὀteὄὀὁ
del pomerio.
δa teὄὐa teὀἶeὀὐa, iὀfiὀe, è ὃuella iὀἵliὀe aἶ aὅὅegὀaὄe uὀa valeὀὐa “mὁὄale” al
racconto delle congiure, concentrandosi ὅul tema filὁὅὁfiἵὁ ἶell’eὃuitὡ, ὅu uὀa ὄiflessione
generale riguardante il potere (nello specifico sul principato) e sull’iὀevitaἴilitὡ ἶei
complotti per via di quella determinata forma istituzionale. È chiaro che in questa fascia
possano annoverarsi anche autori che appartenevano alla prima, come Cassio Dione (si
veda la lunga digressione sulla clementia al riguardo della congiura di Cornelio Cinna), o
che appartenevano alla seconda, come Seneca.
Pertanto, non essendo possibile tracciare una rigida classificazione sul tono politico,
logico o morale delle varie fonti letterarie, siffatta classificazione andrebbe precisata,
invece, ὅull’impὁὅtaὐiὁὀe ἶel ὄaἵἵὁὀtὁ aἶὁttata dalle stesse fonti sulle congiure, variando da
cospirazione a cospirazione.
È finanche superfluo ribadire che, almeno nel caso delle congiure, le fonti
fondamentali siano quelle letterarie. I rari casi in cui, nelle nostre analisi, sono state utili
fonti epigrafiche o numismatiche, queste sono sempre servite per meglio conoscere la
biografia dei personaggi coinvolti, non le congiure in sé. Questo, tuttavia, agevola a
tracciare uno schema del racconto di una fonte letteraria, che sovente si compone di luoghi
comuni soprattutto in considerazione del fatto che andavano rispettati i dogmi prestabiliti
della propaganda augustea.
Innanzitutto va osservato che queste pagine che narrano di congiure non tengono
mai in sospeso il lettore: non ci sono sorprese e la scoperta della congiura (con la pena
susseguente), è immediatamente indicata dalla fonte. Del resto il pubblico è spesso a
conoscenza delle sorti dei ἵὁὅpiὄatὁὄi, ἵὁὅì ἵhe l’iὁ ὀaὄὄaὀte è impegὀatὁ a ἶaὄe uὀa pὄὁpὄia
idea sui fatti più che delucidare sulla natura degli stessi.

364
Svet. Aug. 1λ, 1έ ἥvetὁὀiὁ è l’autὁὄe ἵhe ὁpeὄa aὀἵhe uὀa ὅpeἵie ἶi eὀumeὄaὐiὁὀi ὅui teὄmiὀi ἵhe iὀἶiἵaὀὁ
la congiura, passando da tumultus a conspiratio mediante una climax che si direbbe discendente. Cfr. I.
COGITORE, pp. 22-23.
- 102 -
Ma a camἴiaὄe, ὀatuὄalmeὀte, ὀὁὀ è ὅὁlὁ l’ὁttiἵa ἵὁὀ la ὃuale i vaὄi autori affrontano
i complotti – veri o presunti – contro Augusto, ma soprattutto il vocabolario che connota le
vaὄie ἵὁὅpiὄaὐiὁὀiέ ἣui ὅi pὁtὄeἴἴeὄὁ iὀἶiviἶuaὄe ὃuattὄὁ ἶiveὄὅe tipὁlὁgieμ teὄmiὀi “ὀeutὄi”
come consilium/consilia365, conspiratio366, coniuratio367, π υ ν espressioni più forti
come insidiaeν alluὅiὁὀi a uὀa ὅfeὄa militaὄe, ὀell’amἴitὁ ἶelle gueὄὄe ἵivili, ἵὁὀ vὁἵaἴὁli
quali defectio o tumultus; parole che indicano tentativi di rivoluzione, di cambi al potere,
368
come la perifrasi res novas moliri, o .
χl ἶi lὡ ἶelle taὀte vaὄiaἴili ὅull’utiliὐὐὁ ἶel “vὁἵaἴὁlaὄiὁ ἶa ἵὁὀgiuὄa”, è ἵhiaὄὁ ἵhe
ogni forma di dissenso – quantomeno quello reale visto nei casi di Emilio Lepido, Cepione
e Murena, le due Giulie e i circoli a loro prossimi, Cornelio Cinna – fu sempre incapace di
trovare forza e coesione e riuscire nei propri intenti (malgrado i suoi fautori non fossero
isolati sobillatori con ambizioni personalistiche, ma individui con dignitosi progetti politici
alle spalle). Del resto, Augusto aveva sempre con maggior vigore perseguito obiettivi che
gli avὄeἴἴeὄὁ gaὄaὀtitὁ, iὀ ὃueὅtὁ ὅeὀὅὁ, maὅὅima ὅiἵuὄeὐὐaμ il ἵὁὀtὄὁllὁ “pὁliὐieὅἵὁ” iὀ
ἵittὡ, ἵὁὀ la ἵὄeaὐiὁὀe ἶi uὀa pὄepὁὅta magiὅtὄatuὄa, ὁ l’iὀἵeὀtivaὐiὁὀe ἶella pὁlitiἵa
delatoria.
Fondamentale, poi, risultava essere la faziosità che la figura di Augusto poteva
imporre, anche più o meno passivamente ed anche a distanza di decenni, alle fonti
letterarie, monopolizzando le strategie del consenso. Così gli intellettuali/scrittori del tempo
si adoperavano per dipingere il forte consensus che circondava il principe, screditando
continuamente i congiurati (inadeguati per natali, carriera politica, ambizioni) e
depauperando della loro valenza politica le azioni complottistiche.
È interessante notare in questa sede, però, come il princeps riuscisse con scaltrezza
a trarre beneficio quasi esclusivamente dalle false cospirazioni che ne punteggiarono il
regime. Anzi: gli accordi di Augusto necessari per la progressione del suo cammino

365
Consilium è uὀ vὁἵaἴὁlὁ piuttὁὅtὁ ὄiἵὁὄὄeὀte, ἵhe ἵhiaὄameὀte alluἶe peὄ etimὁlὁgia a uὀ’aὅὅὁἵiaὐiὁὀe, a
una situazione collegiale, magari segreta, che agisce con premeditazione (si veda anche il greco π α ἶi
χppiaὀὁ ὁ il veὄἴὁ α ἶi ἠiἵὁla ἒamaὅἵeὀὁ)έ ἑὁὅì δiviὁ ἶiὄὡ scelesta consilia, o consilia nefaria
Velleio (nel caso di Salvidieno Rufo). Velleio, col suo vocabolario, è probabile che dipenda dagli Atti degli
Arvali, conservati dal 21 a.C.
366
La Cogitore (cit., p. 19) fa notare che talvolta conspiratio può avere una valenza anche positiva.
367
Appartenente a un lessico prettamente politico, dunque non usato dai poeti.
- 103 -
politico, o i provvedimenti istituzionali post-congiura che ne rafforzeranno il potere,
saranno tutti fattori garanti ἶell’iὀfὁὀἶateὐὐa ἶella ἵὁὀgiuὄa ὅtessa, e di una sagace
progettazione a posteriori sui banchi della propaganda del principe.
Nel dettaglio, i sacrifici di Quinto Gallio e Salvidieno Rufo erano stati necessari al
giovane Ottaviano per arrivare ai fondamentali accordi rispettivamente di Bologna
(secondo triumvirato) e Brindisi, al fine di farsi spazio in una situazione politica ancora
agitata e poco definita, essendo in corso le guerre civili. δ’altὄὁ ὅaἵὄifiἵiὁ ἶell’amicus
Cornelio Gallo, un cavaliere, era stato indispensabile per calmare la scontenta fazione
senatoriale e mantenere un difficile equilibrio tra i vari ordines a Roma. La soppressione di
Egnazio Rufo, a suo modo, era stata essenziale per demotivare altri futuri tentativi di
egotismo politico e per creare una magistratura, quella dei vigiles (sebbene posteriore di
qualche anno rispetto alla falsa congiura), che alla stessa maniera avrebbe evitato analoghi
episodi di pericoloso evergetismo privato.
Diversamente, ai casi di vera ribellione politica non seguirono accordi o
provvedimenti fondamentali per rinvigorire il potere di Augusto, attento soprattutto a
schivare effettive minacce. Così alla congiura di Emilio Lepido seguì niente di particolare
(abbastanza posteriori ed ad essa non collegate sono le riforme istituzionali del 27 a.C.).
Superata la rischiosa cospirazione di Cepione e Murena, allo stesso modo, non accadde
nulla: anzi, la nostra collocazione di tale congiura al 22 e non al 23 a.C. – ὃueὅt’ultimὁ
anno basilare per un altro ordinamento istituzionale del principato – segue coerentemente il
ragionamento qui esposto: i mutamenti politici scelti dal princeps accompagneranno,
infatti, solo le congiure artificiose, quelle architettate da Augusto. A maggior ragione, la
conspiratio di Cepione e Murena va inquadrata come conseguenza e non come causa del
riordino istituzionale del 23 a.C.
All’eὅiliὁ ἶelle ἕiulie (ὄiὅpaὄmiate ὅὁlὁ peὄἵhὧ appaὄteὀeὀti alla domus), e
all’uἵἵiὅiὁὀe ἶei ὄiὅpettivi maὄiti, ὀὁὀ ὅeguiὄὁὀὁ ὄimeἶi ἶi ὅὁὄtaέ ϋἶ aὀἵὁὄaμ ἶὁpὁ l’ultimὁ
caso analizzato – quello di Cornelio Cinna, ultimo epigono delle istanze repubblicane – non
avvennero particolari stravolgimenti a livello istituzionale. Considerando come reale il suo
tentativo sovversivo e collocando la vicenda al 16-13 a.C. (e non al 4 d.C.), come già detto,

368
Cfr. I. COGITORE, cit., p. 17.
- 104 -
non è da porre in immediata connessione la congiura di Cinna col suo consolato del 5 d.C.:
l’eleὐiὁὀe a ὃuella magiὅtὄatuὄa, e l’emanazione della lex Valeria-Cornelia, sarebbero
temporalmente distanti dal suo complotto, e dunque non relazionabili.

- 105 -
Appendice delle fonti

- 106 -
Quinto Gallio [43 a.C.]

Svet. Aug. 27, 4.


«et Quintum Gallium praetorem, in officio salutationis tabellas duplices veste tectas
tenentem, suspicatus gladium occulere, nec quicquam statim, ne aliud inveniretur, ausus
inquirere, paulo post per centuriones et milites raptum e tribunali servilem in modum torsit
ac fatentem nihil iussit occidi, prius oculis eius sua manu effossis; quem tamen scribit
conloquio petito insidiatum sibi coniectumque a se in custodiam, deinde urbe interdicta
dimissum naufragio vel latronum insidiis perisse.»

- 107 -
Traduzione:
«E il pretore Quinto Gallio, che era andato a salutarlo tenendo due tavolette doppie
nascoste sotto la toga, sospettò che avesse una spada occultata, ma non osò farlo frugare sul
mὁmeὀtὁ, peὄ timὁὄe ἵhe ὅi tὄὁvaὅὅe tutt’altὄa ἵὁὅa; allora lo fece condurre dai suoi soldati e
dai centurioni davanti al suo tribunale, lo sottopose a tortura come fosse uno schiavo, e,
poiché non confessava niente, ordinò di ucciderlo, dopo avergli strappato gli occhi con le
sue stesse mani. Scrisse poi che quest'uomo gli aveva chiesto un'udienza privata, che aveva
attentato alla sua vita, che era stato gettato in prigione e poi rilasciato con il divieto di
soggiornare a Roma, e che era morto in un naufragio o per mano dei briganti».

- 108 -
App. bel. civ. III 95, 394-395.
« αῖ αῖ α Γ , φ υ Γα υ υ
Ἀ ῳ, π α α ,α α πα α α α α
, α υ π υ α α α : α α α α
π ῖ α , ᾽ α πα , υ α α .
αῖ α φ υ ῖ , α ῖ π α
φα α ».

- 109 -
Traduzione:
«Pare che proprio in quel periodo Quinto Gallio, pretore urbano, fratello di quel Marco
Gallio che era con Antonio, abbia chiesto aἶ ἡttaviaὀὁ il ἵὁmaὀἶὁ ἶell’Africa, e,
incontrandosi con lui, abbia attentato alla sua vita. I colleghi lo esonerarono dal suo
incarico, il popolo gli saccheggiò la casa e il senato lo condannò alla morte. Ottaviano gli
ordinò di andare dal fratello, e sembra che, imbarcatosi su una nave, sia scomparso».

- 110 -
Salvidieno Rufo [40 a.C.]

Svet. Aug. 66, 2-3.

«Amicitias neque facile admisit et constantissime retinuit, non tantum virtutes ac merita
cuiusque digne prosecutus, sed vitia quoque et delicta, dum taxat modica, perpessus. Neque
enim temere ex onmi numero in amicitia eius afflicti reperientur praeter Salvidienum
Rufum, quem ad consulatum usque, et Cornelium Gallum, quem ad praefecturam Aegypti,
ex infima utrumque fortuna provexerat. Quorum alterum res novas molientem damnandum
senatu. Tradidit, alteri ob ingratum et malivolum animum domo et provinciis suis interdixit.
Sed Gallo quoque et accusatorum denuntiationibus et senatus consultis ad necem conpulso
laudavit quidem pietatem tanto opere pro se indignantium, ceterum et inlacrimavit et vicem
suam conquestus est, quod sibi soli non liceret amicis, quatenus vellet, irasci».

- 111 -
Traduzione:
«Non strinse facilmente le amicizie ma le conservò con molta costanza e non si limitò a
ricompensare degnamente i meriti e le virtù di tutti gli amici, ma ne sopportò i vizi e anche
i torti, sempre che non fossero troppo gravi. Infatti nel numero dei suoi amici non se ne
troveranno mai che siano caduti in disgrazia, tranne Salvidieno Rufo, che aveva elevato al
ἵὁὀὅὁlatὁ, e ἑὁὄὀeliὁ ἕallὁ, ἵhe eὄa ἶiveὀtatὁ pὄefettὁ ἶ’ϋgittὁ, eὀtὄamἴi ἶalle piὶ mὁἶeὅte
condizioni. Consegnò Rufo al senato perché lo punisse in quanto ordiva una rivoluzione,
mentre allontanò Gallo dalla sua casa e dalle province imperiali per la sua ingratitudine e
per la sua malignità. Ma quando Gallo, a sua volta, fu spinto al suicidio sia dalle accuse dei
delatori, sia dai decreti del Senato, se da un lato lodò la devozione di coloro che si
mostravano indignati per lui, dall'altro pianse questa morte e si lagnò della sua sorte, perché
soltanto a lui non era concesso di limitare la sua collera nei confronti degli amici».

- 112 -
App. bel. civ. V 66, 278-279.
« Ῥ πα υ υ. α Ἀ
α Φ υ α π α π α α α , α α
φ α υ , α α π Ῥ α α ,
π α ᾳ υ α α π π π α π α ῳ . α
ῖπ : π π πα , φυ α α α α :
αῖ α α α α υ α π υ , π υ α
π α α , α α α α π᾽ α
α π π α Ἀ ῳ».

- 113 -
Traduzione:
«Antonio fece uccidere Manlio, come colui che aveva incitato Fulvia con il sospetto su
Cleopatra ed era stato causa di questi fatti, e avvisò Cesare [Ottaviano] che Salvidieno, il
ἵὁmaὀἶaὀte ἵeὅaὄiaὀὁ ἶell’eὅeὄἵitὁ ὅul ἤὁἶaὀὁ, aveva ἶeἵiὅὁ ἶi ἶefeὐionare e, assediando
Brindisi, gli aveva mandato in tal senso un messaggio. Egli rivelò questo fatto senza
iὀἵὁὀtὄaὄe l’appὄὁvaὐiὁὀe geὀeὄale, peὄἵhὧ ἶi ὀatuὄa eὄa ἴuὁὀὁ e ἶiὅpὁὅtὁ faἵilmeὀte al
benvolere. Subito Cesare chiamò a Roma Salvidieno con urgenza, sostenendo che aveva
bisogno di vederlo privatamente e che immediatamente lo avrebbe rinviato presso
l’eὅeὄἵitὁέ εa lὁ uἵἵiὅe ὀὁὀ appeὀa aὄὄivά, ἶὁpὁ aveὄgli pὄὁvatὁ il tὄaἶimeὀtὁ, e l’eὅeὄἵitὁ
di lui [Salvidieno], che aveva come sospetto, lo diede ad Antonio».

- 114 -
Dio. XLVIII 33, 1-3.
«α ῳ π , α φαῖ αῖ α πα α α
α ᾳ α . Ῥ φ α υ α
π υ α π . φα , α α φα
π α φ α · π α α π α
πα υ α π α, α φ α π απ α α
, φ α π’ α π , α. ’
π α , α υ υ ῳ π’α α α , α
π υ α υ πα φ , α π’ α , α
π α φυ α π ῖ π ,
π’ α π α, π π .»

- 115 -
Traduzione:
«ἔuὄὁὀὁ ὃueὅti, ὃuiὀἶi, gli eveὀti ἶi ὃuell’aὀὀὁέ Iὀὁltὄe ἡttaviaὀὁ feἵe a ὅpeὅe puἴἴliἵhe uὀ
fuὀeὄale peὄ ἥfeὄὁ, ὅuὁ liἴeὄtὁ e maeὅtὄὁ, e ἵὁὀἶaὀὀά a mὁὄte ἥalviἶieὀὁ ἤufὁ ἵὁὀ l’aἵἵuὅa
che lo stesse insidiando. Questi [Salvidieno] era un uomo di umilissime origini: un giorno,
mentre pascolava il gregge, gli spuntò una fiamma sulla testa, trovò tale favore presso
Ottavino, che fu eletto console pur non essendo ancora un senatore; e suo fratello, morto
prima di lui, fu sepolto al di là del Tevere, dopo che fu costruito un ponte per questo fine.
εa è pὄὁpὄiὁ veὄὁ ἵhe ὀὁὀ ἵ’è ὀulla ἶi ἵeὄtὁ peὄ gli uὁmiὀiμ fu aἵἵuὅatὁ iὀ ὅeὀatὁ ἶallὁ
stesso Ottaviano, fu ucciso come nemico di Ottaviano e del popolo, furono fatte per lui
cerimonie di ringraziamento agli dèi e fu affidata ai triumviri la difesa della città con la
solita formula che essa non subisse danno».

- 116 -
Vell. II 76,4.
«Per quae tempora Rufi Salvidieni scelesta consilia patefacta sunt. Qui natus obscurissimis
initiis parum habebat summa accepisse et proximus a Cn. Pompeio ipsoque Caesare
equestris ordinis consul creatus esse, nisi in id ascendisset, e quo infra se et Caesarem
videret et rem publicam».

- 117 -
Traduzione:
«In quei tempi vennero alla luce i delittuosi propositi di Salvidieno Rufo. Che, uomo dalle
oscurissime origini, non si ὄiteὀeva appagatὁ ἶ’aveὄ ὄaggiuὀtὁ le ἵaὄiἵhe piὶ alte e ἶi eὅὅeὄe
stato eletto console, primo tra i cavalieri dopo Gneo Pompeo e lo stesso Cesare [Ottaviano],
se ancora non avesse potuto salire così in alto da vedere sotto di sé sia Ottaviano, sia lo
stato».

- 118 -
Sen. clem. 1, 9, 5-6.
«Severitate nihil adhuc profecisti; Salvidienum Lepidus secutus est, Lepidum Murena,
Murenam Caepio, Caepionem Egnatius, ut alios taceam, quos tantum ausos pudet ».

- 119 -
Traduzione:
«“ἑὁὀ la ὅeveὄitὡ fiὀὁὄa ὀὁὀ hai ὁtteὀutὁ ὀieὀteμ a ἥalviἶieὀὁ è ὅeguitὁ δepiἶὁ, a δepiἶὁ
Murena, a Murena Cepione, a Cepione Egnazio, per non parlare degli altri, che si
vergogὀaὀὁ aἶ aveὄ ὁὅatὁ taὀtὁ”»έ

- 120 -
Liv. per. 127, 3.
«Q. Salvidenum consilia nefaria adversus Caesarem molitum indicio suo protraxit; isque
damnatus mortem conscivit. ».

- 121 -
Traduzione:
«Svelò che a suo giudizio Salvidieno aveva cospirato empiamente contro Cesare; ed egli,
condannatolo, ne decretò la morte»

- 122 -
Emilio Lepido [30-29 a.C.]

Vell. II 88, 1-3.


«Dum ultimam bello Actiaco Alexandrinoque Caesar imponit manum, M. Lepidus, iuvenis
forma quam mente melior, Lepidi eius, qui triumvir fuerat rei publicae constituendae,
filius, Iunia Bruti sorore natus, interficiendi, simul in urbem revertisset, Caesaris consilia
inierat. Erat tunc urbis custodiis praepositus C. Maecenas equestri, sed splendido genere
natus, vir, ubi res vigiliam exigeret, sane exsomnis, providens atque agendi sciens, simul
vero aliquid ex negotio remitti posset, otio ac mollitiis paene ultra feminam fluens, non
minus Agrippa Caesari carus, sed minus honoratus - quippe vixit angusti clavi paene
contentus -, nec minora consequi potuit, sed non tam concupivit. Hic speculatus est per
summam quietem ac dissimulationem praecipitis consilia iuvenis et mira celeritate
nullaque cum perturbatione aut rerum aut hominum oppresso Lepido inmane novi ac
resurrecturi belli civilis restinxit initium. Et ille quidem male consultorum poenas exsolvit.
Aequetur praedictae iam Antistii Servilia Lepidi uxor, quae vivo igni devorato praematura
morte immortalem nominis sui pensavit memoriam».

- 123 -
Traduzione:
«Mentre Ottaviano poneva fine alla guerra di Azio e di Alessandria, un progetto per
ucciderlo al suo ritorno a Roma veniva ordito da M. Lepido, un giovane migliore più per le
doti fisiche che per quelle morali, figlio di quel Lepido che era stato triumviro per la
ὄiὁὄgaὀiὐὐaὐiὁὀe ἶellὁ ὅtatὁ, e ἶi ἕiuὀia, ὅὁὄella ἶi ἐὄutὁέ ϋὄa allὁὄa pὄepὁὅtὁ all’ὁὄἶiὀe
pubblico a Roma G. Mecenate, cavaliere ma di famiglia illustre, uomo davvero insonne,
previdente e pronto all’aὐiὁὀe ὅe eὄa ὀeἵeὅὅaὄia vigilaὀὐa, ma aὀἵhe pὄὁpeὀὅὁ alla vita
tranquilla ed effeminata, quasi più di una donna, non appena poteva estraniarsi dagli affari.
Era caro ad Ottaviano non meno di Agrippa, ma non insignito di altrettanti onori, perché
visse aἵἵὁὀteὀtaὀἶὁὅi ἶell’aὀguὅtiἵlaviὁμ ὅaὄeἴἴe pὁtutὁ aὄὄivaὄe a mete non inferiori, ma
non ne avveὄtì il ἴiὅὁgὀὁέ ἦeὀὀe ἶ’ὁἵἵhiὁ i piaὀi di quel giovane sconsiderato e, simulando
disinteresse e nella più totale calma, tolse di mezzo Lepido con ammirevole rapidità e senza
creare turbamento tra le cose e le persone, spegnendo sul nascere i prodromi di una
pericolosa guerra civile che stava sorgendo nuovamente. Così Lepido pagò il fio dei suoi
delittuosi propositi. Quanto a sua moglie, Servilia, potrebbe essere paragonata alla già citata
moglie di Antistio, che ingoiando carboni ardenti acquistò per il suo nome una fama
immortale con una scomparsa prematura»

Sen. clem. I 9, 6; (vedi congiura Salvidieno)


- 124 -
Svet. Aug. 19, 1.
«Tumultus posthac et rerum novarum initia coniurationesque complures, prius quam
invalescerent indicio detectas, compressit alias alio tempore: Lepidi iuvenis, deinde
Varronis Murenae et Fanni Caepionis, mox M. Egnati, exin Plauti Rufi Lucique Pauli
progeneri sui, ac praeter has L. Audasi, falsarum tabularum rei ac neque aetate neque
corpore integri, item Asini Epicadi ex gente Parthian ibridae, ad extremum Telephi,
mulieris servi nomenculatoris.»

- 125 -
Traduzione:
«In seguito e in epoche diverse, soffocò numerosissime sollevazioni, vari tentativi
rivoluzionari e parecchie congiure, scoperte dalla sua polizia prima che assumessero
importanza. Prima il complotto del giovane Lepido, poi quelli di Varrone Murena e di
Fannio Cepione, più tardi quello di M. Egnazio, di Plauzio Rufo e di Lucio Paolo; il marito
di sua nipote, poi ancora quello di L. Audasio, un falsario già vecchio e malato, quello di
Asinio Epicado, un uomo di razza mista nelle cui vene scorreva sangue parteno, infine
quello di Telefo, schiavo nomenclatore di una donna.»

- 126 -
Sen. brev. 4,5.
«Dum Alpes pacat immixtosque mediae paci et imperio hostes perdomat, dum ultra
Rhenum et Euphraten et Danuvium terminos movet, in ipsa urbe Murenae, Caepionis,
Lepidi, Eganti, aliorum in eum mucrones acuebantur».

- 127 -
Traduzione:
«Mentre pacificava le Alpi e domava completamente i nemici che si mescolavano in mezzo
alla paἵe ἶell’impeὄὁ, meὀtὄe ἵeὄἵava ἶi pὁὄtaὄe i ἵὁὀfiὀi al ἶi lὡ ἶel ἤeὀὁ e ἶell’ϋufὄate e
del Danubio, a Roma invece le punte delle spade di Murena, di Cepione, di Lepido, di
Egnazio, venivano acuminate contro di lui.»

- 128 -
Liv. per. 133,3.
«M. Lepidus Lepidi, qui triumuir fuerat, filius coniuratione aduersus Caesarem facta
bellum moliens oppressus et occisus est.»

- 129 -
Traduzione:
«Marco Emilio Lepido, che era figlio del Lepido che fu triumviro, cospirò contro Cesare
per fare la guerra, ma fu soppresso e ucciso.»

- 130 -
App. bel. civ. IV 50, 215-219.
« α ῳ , φυ α α π ῳ α πα π ,
π π α α υ υ π πα .
α α π υ παῖ α υ π α α , α α
πα υ α: π υ α α π α. παῖ α
α α Ἄ π π α α , α, α α υ ,
ᾔ πα π ῳπ α α α φ α. φ α υ,
π φ α υ α π α πα α α
υ α π π π μ ‘ α α
α υ π α , υ α πα υ α :
π α α, π αφ . ᾽ π φ α
πα α, α υ αῖ α πα α α α υ ῳ ᾽
π ῖ ῳέ’ α α π υ , α
α ῖ π υ υ αῖ α.»

- 131 -
Traduzione:
«A Balbino – che era andato in esilio, poi era tornato con Pompeo e poco dopo era
diventato console – Lepido, che da potente era stato da Cesare ridotto alla condizione di
semplice cittadino, rivolse una preghiera per questo motivo: Mecenate accusava di
cospirazione contro Cesare [Ottaviano] il figlio di Lepido, e di complicità, nello stesso
delitto, la madre, non nominando Lepido stesso [senior], considerandolo ormai innocuo.
Fece così condurre il giovane, sotto scorta, ad Azio, presso Cesare; e chiese che si desse al
console la garanzia che anche la madre sarebbe andata [ad Azio], non conducendola a forza
in quanto donna. Poiché nessuno dava tale garanzia, Lepido andò spesso a casa di Balbino,
gli si presentò frequentemente in tribunale e, cacciandolo sempre i responsabili [del
tribunale], poté soltantὁ ἶiὄe “χὀἵhe gli aἵἵuὅatὁὄi ὄiἵὁὀὁὅἵὁὀὁ la mia ὁὀeὅtὡ ὃuaὀἶὁ
dicono che non sono complice né di mio figlio, né di mia moglie; per quel che riguarda te,
invece, non fui io a proscriverti, ma ora conto meno dei proscritti. Considera la condizione
umana, e considera me stesso che ti sono davanti, e concedimi di garantire che mia moglie
aὀἶὄὡ ἶa ἑeὅaὄe, ὁ peὄmetti ἵhe iὁ pὁὅὅa aὀἶaὄe ἵὁὀ lei”έ εeὀtὄe paὄlava, ἐalἴiὀὁ fu colpito
da quel mutamento di fortuna ed esonerò la donna dal dare garanzie.»

- 132 -
Dio. LIV 15 4-5.
« πα υ υ α α , π
α α υ α α π φ α π υ α α
α , α π ῖ α , ᾽ πῳ ῳ
π π ».

- 133 -
Traduzione:
«stando invece ai fatti di questa narrazione, Augusto condannò a morte alcuni uomini,
provveddimento che non applicò a Lepido: il principe, infatti, nonostante lo detestasse per
vaὄie ὄagiὁὀi, tὄa le ὃuali ἵ’eὄa ὃuella ἵhe ὅuὁ figliὁ eὄa ὅtatὁ implicato in una congiura
ordita contro di lui ed era stato punito, non volle mandarlo a morte, ma escogitò man mano
alcuni sistemi per screditarlo»

- 134 -
Cornelio Gallo [27-26 a.C.]

Ov. am. 3, 9, 63-64.


«tu quoque, si falsum est temerati crimen amici,
sanguinis atque animae prodige Galle tuae»

- 135 -
Traduzione:
«e aὀἵhe tu, ὅe è falὅa l’aἵἵuὅa ἶi maὀἵatὁ ὄiὅpettὁ peὄ l’amiἵὁ,
Gallo, prodigo del tuo sangue e della tua vita»

- 136 -
Ov. trist. 2, 445-446.
«Non fuit opprobrio celebrasse Lycorida Gallo,
sed linguam nimio non tenuisse mero»

- 137 -
Traduzione:
«ἔu ἵauὅa ἶi veὄgὁgὀa peὄ ἕallὁ ὀὁὀ l’aveὄ ἵeleἴὄatὁ δiἵὁὄiἶe,
ma il non aver tenuto a freno la lingua negli eccessi del vino»

- 138 -
Dio. LIII, 23-24.
« Γ α π .π α αα
υ π ,π α πα α πα π α : α α α αυ
π ῖ πῳ , α α α π π πυ α α α .
α π᾽ α ῖ π α υ υ, α υ α υ ,
α π υ, α ῖ α υ α α α.
υ υ α α υ π α αφ α ᾽ α π
π α , α υ α πα α α α ῖ α α φυ ῖ
α α, α α ῳ α α αυ υ υ α
φ α . α π α α π αυ π α α ,
π α υ ῖ , υ ,
α α α ᾳ π α ῖ α α, α π π α ,
π π α , π υ α α υ α ,
υ , φ ῖ α. υ 1
π α ᾽ πα α π
α ῖ α α α αυ π ῖ , ῖ υ
᾽ απ α πα α φ α . π α ,
απ , α , α π αυ , π α ,
α α ῖ α α , π α α ᾔ
π υ φα α .»

- 139 -
Traduzione (di A. Stroppa):
«Cornelio Gallo, invece, assunse un atteggiamento arrogante proprio per via degli onori
ricevuti. Costui, infatti, da un lato andava diffondendo molte chiacchiere oltraggiose nei
ἵὁὀfὄὁὀti ἶi χuguὅtὁ, e ἶall’altὄὁ iὀtὄapὄeὀἶeva mὁlte aὐiὁὀi ὄipὄὁὄevὁliμ aἶ eὅempiὁ, iὀ
giὄὁ uὀ pὁ’ peὄ tuttὁ l’ϋgittὁ feἵe eὄigeὄe ἶelle ὅtatue ἵhe lὁ ὄappὄeὅeὀtavaὀὁ e feἵe aὀἵhe
iscrivere ὅulle piὄamiἶi l’eleὀἵὁ ἵὁmmemὁὄativὁ ἶelle ὅue impὄeὅeέ ἢeὄ ὃueὅti atti veὀὀe
messo sotto accusa da Valerio Largo, suo conoscente e compagno di carriera, e subì la
condanna di indegnità da parte di Augusto, sicché gli fu preclusa persino la possibilità di
risiedere nelle province. Dopo questo fatto ci furono anche molti altri che lo attaccarono
pὁὄtaὀἶὁ ἵὁὀtὄὁ ἶi lui ὀumeὄὁὅi ἵapi ἶ’aἵἵuὅa, e il ὅeὀatὁ vὁtά all’uὀaὀimitὡ ἵhe egli
rispondesse delle accuse davanti ad una corte, che venisse mandato in esilio e privato dei
suoi beni, i quali di diritto passassero sotto la proprietà di Augusto, e che i senatori stesso
offrissero sacrifici. Gallo, disperato per questi fatti, anticipò la condanna suicidandosi, e la
falsità di molti venne comprovata dal fatto che iὀ ὃuell’ὁἵἵaὅiὁὀe ὄiὅeὄvaὄὁὀὁ all’aἵἵuὅatὁ,
che fino ad allora adulavano, un trattamento tale da indurlo a darsi la morte con le sue
stesse mani, per schierarsi a sostegno di Largo, visto che questi cominciava ad accrescere la
sua influenza, sebbene fossero pronti a prendere le medesime misure anche contro di lui
non appena si fosse trovato in una situazione simile a quella di Gallo. Proculeio, tuttavia,
nutriva contro Largo un risentimento tale che, una volta che gli capitò di incontrarlo, si
tappò il naso e la bocca con la mano, come per comunicare ai presenti che alla presenza di
costui era pericoloso persino respirare. Un altro uomo, sebbene a lui ignoto, in presenza di
testimoni si avvicinò a Largo e gli domandò se lo conoscesse, e quando Largo negò di
conoscerlo egli segnò su una tavoletta la sua risposta negativa, come per significare che a
quel mascalzone non era lecito denunciare un uomo che non aveva mai conosciuto.»

- 140 -
Amm. 17, 4.
«Longe autem postea Cornelius Gallus Octaviano res tenente Romanas, Aegypti
procurator, exhausit civitatem plurimis interceptis, reversusque cum furtorum arcesseretur,
et populatae provinciae, metu nobilitatis acriter indignatae, cui negotium spectandum
dederat imperator, stricto incubuit ferro. Is est (si recte existimo) Gallus poeta, quem flens
quodam modo in postrema Bucolicorum parte Vergilius carmine leni decantat.»

- 141 -
Traduzione:
«εὁltὁ tempὁ ἶὁpὁ ἑὁὄὀeliὁ ἕallὁ, ἵhe fu pὄὁἵuὄatὁὄe ἶ’ϋgittὁ all’epὁἵa iὀ ἵui ἡttaviaὀὁ
reggeva lo stato romano, devastò la citttà con continui furti. Ma quando, dopo il suo ritorno
a ἤὁma, fu aἵἵuὅatὁ ἶi peἵulatὁ e ἶ’aveὄ ἶevaὅtatὁ la pὄὁviὀἵia, peὄ timὁὄe ἶel pὄὁfὁὀἶὁ
risentimento della nobiltà – ἵhe l’impeὄatὁὄe aveva iὀἵaὄiἵatὁ peὄ iὀἶagaὄe ὅu ὃueὅte
faccenda – si uccise gettandosi sulla spada. Costui, se non erro, è il poeta Gallo, che
Virgilio celebra con i sὁavi veὄὅi ὀell’ultima paὄte ἶelle ἐuἵὁliἵheέ»

Liv. per. 133,3 (vedi congiura Emilio Lepido).

Sen. brev. 4,5 (vedi congiura Emilio Lepido).

- 142 -
Fannio Cepione e Murena [22 a.C.]

Dio. LIV 4, 1-4.


« υ υα α α α Ὀ α π ,
α υ α υ π π α,
α α π , α π π α
π π α, α . υ α ῳ υ
υ υ α α π α π α , α πυ υ α α
π ῖ , α ; π α . π
π φ π ῖ , α υ
α ῖ , ’ α φ α α . α υ
π φ α , α π υ π’ α υ α έ Φ
α , α φ υ α , π φ α π ,
π α υ ᾳ υ φ α α
φ α υ , απ π α π υ έ ’ α
υ α π υ α , φα φ υ αῖ
α φ α, α π α α αῖ υ αέ α α ’
π’ ’ α υ φ α ῳ α , υ ·
πα απ υ φυ υ ῖ
υ α »

- 143 -
Traduzione (di A. Stroppa):
«Quando un certo Marco Primo venne messo sotto accusa per avere attaccato gli Odrisi al
tempo in cui era governatore della Macedonia e disse di aver preso quella decisione su
approvazione sia di Augusto che di Marcello, Augusto si presentò di sua iniziativa al
tribunale: nel momento in cui il pretore gli chiese se aveva dato disposizioni di muovere
guerra, il principe negάέ ἢὁi, ὃuaὀἶὁ l’avvὁἵatὁ ἶi ἢὄimὁ, δiἵiὀiὁ εuὄeὀa, ὄivὁlὅe ἶelle
aὅpὄe ἵὄitiἵhe ὀei ὅuὁi ὄiguaὄἶi e gli ἵhieὅeμ “ἑὁὅa fai ὃuiς ἑhi ti ha ἵhiamatὁ”, egli gli
ὄiὅpὁὅe ὅempliἵemeὀteμ “δ’iὀteὄeὅὅe ἶel pὁpὁlὁ”έ ἢeὄ ὃueὅtὁ iὀteὄveὀtὁ, ἶa uὀ latὁ egli
ricevette l’appὄὁvaὐiὁὀe ἶa paὄte ἶei ἵittaἶiὀi ὅaggi, peὄ ἵui ὁtteὀὀe aἶἶiὄittuὄa il ἶiὄittὁ ἶi
ἵὁὀvὁἵaὄe il ὅeὀatὁ ὁgὀi ὃualvὁlta lὁ aveὅὅe ἶeὅiἶeὄatὁ, ma ἶall’altὄὁ ἵi fuὄὁὀὁ altὄi
cittadini che deplorarono il suo comportamento. In ogni caso, non pochi votarono per
l’aὅὅὁluὐiὁὀe ἶi ἢὄimὁ e ἵi fuὄὁὀὁ altὄi ἵhe ὁὄἶiὄὁὀὁ uὀ ἵὁmplὁttὁ ἵὁὀtὄὁ χuguὅtὁέ ἔaὀὀiὁ
ἑepiὁὀe ὀe fu iὀfatti l’iὀiὐiatὁὄe, ma vi fuὁὀὁ pὁi aὀἵhe altὄi ἵhe vi pὄeὅeὄὁ paὄteν peὄὅiὀὁ
Murena venne additato come partecipante alla cospirazione, sia che ciò fosse vero o che
fosse una calunnia, dato che ostentava indistintamente con tutti una libertà di parola
eccessivamente licenziosa. Costoro non affrontarono il tribunale, ma vennero imprigionati
ἵὁὀ l’aἵἵuὅa pὄeveὀtiva ἶi eὅὅeὄe ἶei fuggiaὅἵhi, e ὀὁὀ mὁlto tempo dopo furono giustiziati;
εuὄeὀa ὀὁὀ pὁtὧ ἵὁὀtaὄe ὀeppuὄe ὅull’aiutὁ del fratello Proculeio né del cognato Mecenate,
sebbe questi fossero gli uomini più stimati da Augusto. Ma poiché alcuni elementi della
giuria assolsero anche questi congiurati, il principe mise in vigore una legge che prevedeva
l’aἴὁliὐiὁὀe ἶel vὁtὁ ὅegὄetὁ ὀei pὄὁἵeὅὅi iὀ ἵὁὀtumaἵia e la ἵὁὀἶaὀὀa ἶell’aἵἵuὅatὁ ὅὁlὁ
ὅulla ἴaὅe ἶel’uὀaὀimitὡέ ϋἶ egli ὅi pὄeὁἵἵupά aὀἵhe ἶi ἶimὁὅtὄaὄe ἵὁὀ ἵhiaὄeὐὐa ἶi aveὄ
approvato questa disposizione legislativa non per una reazione collerica, ma per il bene
comune; a riprova di ciò, ad esempio, Augusto non si sdegnò quando il padre di Cepione
affrancò uno dei due schiavi che aveva accompagnato il figlio durante la sua fuga.»

- 144 -
Egnazio Rufo (19 a.C.)

Dio. LIII 24, 5-6.


« ’ π α , π ᾖ, πα αα
φυ α, α Ἐ Ῥ φ α α, α α π
α π α α αῖ α αῖ ῳ π α π υ α
αυ α ’ π , α
α αα α π α πα υ α α α
πα α π , π π’ α α υ π φ ,
α π α αυ α α ῳ π πα . π’
ῳ π π α α α υ ,
α ῖ α π π φ ῖ , ῖ ’
α πα α α π ῖ α π π π α, α
υ , αα α π π α έ»

- 145 -
Traduzione (di A. Stroppa):
«Così dunque ci sono molti uomini che preferiscono emulare le azioni di altri, persino
quelle dannose, piuttosto che darsi pensiero della propria sorte, come rivela il caso di
εaὄἵὁ ϋgὀaὐiὁ ἤufὁμ ἵὁὅtui, ἵhe aveva aὅὅuὀtὁ l’eἶilitὡ, ἶὁpὁ aveὄ ὅvὁltὁ ὁppὁὄtuὀameὀte
mὁlti ἶei ὅuὁi ἶὁveὄi e ἶὁpὁ aveὄ pὄeὅtatὁ ὅὁἵἵὁὄὅὁ, ἵὁὀl’aiutὁ ἶei ὅuὁi ὅeὄvi e di altri
uὁmiὀi ἶeἴitameὀte ὄiἵὁmpeὀὅati, alle aἴitaὐiὁὀi ἵhe iὀ ὃuell’aὀὀὁ eὄaὀὁ aὀἶate a fuὁἵὁ, iὀ
ἵamἴiὁ ἶi ἵiά ὄiἵevette ἶal pὁpὁlὁ l’iὀἶeὀὀiὐὐὁ ἶelle ὅpeὅe ὄelative alla ὅua ἵaὄiἵa e veὀὀe
eletto pretore nonostante le disposizioni legislative non lo consentissero; tuttavia si esaltò
per questi onori ed assunse un atteggiamento sprezzante nei riguardi di Augusto fino al
punto di pubblicare uno scritto in cui diceva che egli aveva consegnato la città intatta e
integra al suo successore. Tutti gli altri uomini eminenti della nobilitas manifestarono la
loro indignazione contro di lui, e più di tutti Augusto, il quale, di lì a poco, gli avrebbe
impartito una lezione sul fatto che non doveva assumere un atteggiamento di esaltazione
nei riguardi della massa della popolazione; nel frattempo ordinò agli edili di prevenire ogni
possibile incendio e, se mai se ne fosse verificato uno, di estinguerlo.»

- 146 -
Sen. brev. 4,5. (vedi congiura Emilio Lepido)

Sen. clem. 1, 9, 6. (vedi congiura Salvidieno Rufo)

Tac. ann. 1, 10, 3.


«Interfectos Romae Varrones, Egnatius, Iullos.»

Traduzione:
«Uccisi a Roma Varrone, Egnazio, Iullo.»

- 147 -
Vell. II 91, 2-3.
«Neque multo post Rufus Egnatius, per omnia gladiatori quam senatori propior, collecto in
aedilitate favore populi, quem extinguendis privata familia incendiis in dies auxerat, in
tantum quidem, ut ei praeturam continuaret, mox etiam consulatum petere ausus, cum esset
omni flagitiorum scelerumque conscientia mersus nec melior illi res familiaris quam mens
foret, adgregatis simillimis sibi interimere Caesarem statuit, ut quo salvo salvus esse non
poterat, eo sublato moreretur. Quippe ita se mores habent, ut publica quisque ruina malit
occidere quam sua proteri et idem passurus minus conspici. Neque hic prioribus in
occultando felicior fuit, abditusque carceri cum consciis facinoris mortem dignissimam vita
sua obiit».

- 148 -
«Non molto tempo dopo Egnazio Rufo, per tutto simile più a un gladiatore che a un
senatore, durante la sua edilità seppe riunire il favore del popolo, crescendo sempre più in
fama anche facendo spegnere gli incendi dai suoi schiavi privati, così che da quella carica
passò alla pretura e, pur oppresso dal ricordo di tutti i crimini e misfatti, non aveva esitato a
candidarsi anche al consolato; essendo il suo patrimonio rovinato come il suo animo,
ὅtὄiὀὅe uὀ’alleaὀὐa ἵὁὀ altὄi ὅuὁi ὅimili e ἶeἵiὅe ἶi uἵἵiἶeὄe ἑeὅaὄe peὄἵhὧ, ὀὁὀ pὁteὀἶὁ
aveὄe ὅἵampὁ, lui ὅalvὁ, pὁteὅὅe ἵὁὀ lὁ ὅpegὀeὄlὁ, ὅpegὀeὄὅiέ Iὀfatti è pὄὁpὄiὁ ἶell’iὀἶὁle
umana preferire di cadere nella pubblica rovina invece che nella sua propria, e scegliere di
confondersi alla vista nella disgrazia comune. Egnazio non fu più fortunato degli altri nel
celare il suo delitto: gettato in carcere coi suoi complici, ebbe una morte degna della sua
vita.»

- 149 -
Giulia Maggiore e Giulia Minore (2 a.C. e 6 d.C.)

Vell. II 100, 3.
«Quippe filia eius Iulia, per omnia tanti parentis ac viri immemor, nihil, quod facere aut
pati turpiter posset femina, luxuria libidineve infectum reliquit magnitudinemque fortunae
suae peccandi licentia metiebatur, quidquid liberet pro licito vindicans. Tum Iulus
Antonius, singulare exemplum clementiae Caesaris, violator eius domus, ipse sceleris a se
commissi ultor fuit (quem victo eius patre non tantum incolumitate donaverat, sed
sacerdotio, praetura, consulatu, provinciis honoratum, etiam matrimonio sororis suae
filiae in artissimam adfinitatem receperat), Quintiusque Crispinus, singularem nequitiam
supercilio truci protegens, et Appius Claudius et Sempronius Gracchus ac Scipio aliique
minoris nominis utriusque ordinis viri, quas cuiuslibet uxore violata poenas pependissent,
pependere, cum Caesaris filiam et Neronis violassent coniugem. Iulia relegata in insulam
patriaeque et parentum subducta oculis, quam tamen comitata mater Scribonia voluntaria
exilii permansit comes.»

- 150 -
Traduzione:
«Sua figlia Giulia, del tutto immemore di appartenere a tanto padre e marito, nulla ometteva
di ciò che una femmina spudorata possa fare, o cui possa soggiacere per lussuria e libidine,
misurando il livello della sua alta posizione con la licenza di peccare, confondendo ciò che
si ha la possibilità di fare con ciò che è lecito fare. Iullo Antonio, singolare esempio di
clemenza di Augusto, del quale aveva insozzato la casa, punì da se stesso il suo misfatto.
Augusto, vinto M. Antonio, suo padre, non solo aveva a costui concesso la salvezza ma,
dopo averlo innalzato al sacerdozio, alla pretura, al consolato e al comando delle province,
ἵὁὀ l’ὁὀὁὄaὄlὁ del matrimonio con la figlia di sua sorella, se lo era anche unito in una
parentela strettissima. Quinzio Crispino, che nascondeva la sua straordinaria depravazione
sotto il volto accigliato, Appio Claudio, Sempronio Gracco, Scipione ed altri di nome meno
illuὅtὄe, taὀtὁ ἶell’ὁὄἶiὀe eὃueὅtὄe ἵhe ἶel ὅeὀatὁὄiὁ, viὁlaὀἶὁ la mὁglie ἶi ἦiἴeὄiὁ e la figlia
di Augusto, ebbero solo quella pena che avrebbero meritato violando la moglie di un uomo
ὃualuὀὃueέ ἕiulia, ἵὁὀfiὀata iὀ uὀ’iὅὁla, fu tὁlta agli ὁἵἵhi ἶella patria e dei congiunti.
Tuttavia la seguì sua madre Scribonia, e vi restò volontaria compagna di esilio.»

Sen. brev. 4, 6.

- 151 -
Sen. ben, 6, 32, 1.
«Divus Augustus filiam ultra impudicitiae maledictum impudicam relegavit, et flagitia
principalis domus in publicum emisit: admissos gregatim adulteros, pererratam nocturnis
comessationibus civitatem, forum ipsum ac rostra, ex quibus pater legem de adulteriis
tulerat, filiae in stupra placuisee, quotidianum ad Marsyam concursum, quum ex adultera
in quaestuariam versa, ius omnis licentiae sub ignoto adultero peteret. Haec tam
vindicanda principe quam tacenda, quia quarumdam rerum turpitudo etiam ad vindicantem
redit, parum potens irae publicaverat»

- 152 -
Traduzione:
«Il divo Augusto esiliò sua figlia la cui impudicizia aveva superato quanto di vergognoso e
implicito in questo termine e rese di dominio pubblico le turpitudini della casa imperiale:
gli amaὀti ὄiἵevuti iὀ maὅὅa, le ὁὄge ὀὁttuὄὀe ὃua e lὡ peὄ la ἵittὡ, il ἔὁὄὁ e i ὄὁὅtὄi ἶall’alto
ἶei ὃuali il paἶὄe aveva pὄὁἵlamatὁ le leggi ὅull’aἶulteὄiὁ, ὅἵelti ἶalla figlia ἵὁme luὁghi
della sua prostituzione, il suo giornaliero accorrere presso la statua di Marsia allorché
diventata da adultera vera e propria prostituta chiedeva al suo sconosciuto amante il diritto
di abbandonarsi a qualsiasi depravazione».

- 153 -
Svet. Aug. 65, 1.
«Sed laetum eum atque fidentem et subole et disciplina domus Fortuna destituit. Iulias,
filiam et neptem, omnibus probris contaminatas relegavit; G. et L. in duodeviginti mensium
spatio amisit ambos, Gaio in Lycia, Lucio Massiliae defunctis. Tertium nepotem Agrippam
simulque privignum Tiberium adoptavit in foro lege curiata; ex quibus Agrippam brevi ob
ingenium sordidum ac ferox abdicavit seposuitque Surrentum. Aliquanto autem patientius
mortem quam dedecora suorum tulit. Nam C. Lucique casu non adeo fractus, de filia
absens ac libello per quaestorem recitato notum senatui fecit abstinuitque congressu
hominum diu prae pudore, etiam de necanda deliberavit. Certe cum sub idem tempus una
ex consciis liberta Phoebe suspendio vitam finisset, maluisse se ait Phoebes patrem fuisse.
Relegatae usum vini omnemque delicatiorem cultum ademit neque adiri a quoquam libero
servove nisi se consulto permisit, et ita ut certior fieret, qua is aetate, qua statura, quo
colore esset, etiam quibus corporis notis vel cicatricibus. Post quinquennium demum ex
insula in continentem lenioribusque paulo condicionibus transtulit eam. Nam ut omnino
revocaret, exorari nullo modo potuit, deprecanti saepe p. r. et pertinacius instanti tales
filias talesque coniuges pro contione inprecatus. Ex nepte Iulia post damnationem editum
infantem adgnosci alique vetuit. Agrippam nihilo tractabiliorem, immo in dies amentiorem,
in insulam transportavit saepsitque insuper custodia militum. Cavit etiam s. c. ut eodem
loci in perpetullm contineretur. Atque ad omnem et eius et Iuliarum mentionem
ingemiscens proclamare etiam solebat: aith ophelon agamos t'emeni agonos t'apolesthai.
nec aliter eos appellare quam tris vomicas ac tria carcinomata sua.»

- 154 -
Traduzione:
«Ma il destino non gli concesse di godere della gioia di avere una famiglia numerosa e della
fiducia di possedere una casa ben disciplinata. Le due Giulie, la figlia e la nipote, colpevoli
di ogni scostumatezza, dovette esiliarle, mentre, nello spazio di diciotto mesi gli morirono
Gaio e Lucio, il primo in Licia, il secondo a Marsiglia. Adottò allora, nel Foro, in forza
della legge curiata, il terzo nipote Agrippa e il figliastro Tiberio, ma ben presto, considerate
la grossolanità e la brutalità di Agrippa, annullò l'adozione e lo fece deportare a Sorrento.
Ciò nonostante sopportò molto più coraggiosamente la morte dei suoi cari che il loro
disonore. La morte, infatti, di Gaio e di Lucio non lo prostrò oltre misura, ma quando si
trattò della figlia, fece informare il Senato per mezzo di una comunicazione che lesse un
questore, senza che lui si presentasse, poi la vergogna a lungo lo tenne lontano da ogni
contatto con la gente e pensò perfino di farla uccidere. Ad ogni modo, nello stesso periodo
di tempo, quando venne a sapere che una delle complici di sua figlia, la liberta Febe, aveva
posto fine ai suoi giorni impiccandosi, disse che avrebbe preferito essere il padre di Febe.
Alla figlia esiliata proibì l'uso del vino ed ogni forma di lusso e non permise a nessun
uomo, libero o schiavo che fosse, di avvicinarla se non con la sua autorizzazione, in modo
da poter conoscere l'età del visitatore, la taglia, il colore e perfino i segni particolari e le
cicatrici. Alla fine, dopo cinque anni, dall'isola, la trasferì sul continente mettendola in
condizioni più sopportabili. Ma nessuna intercessione poté fare in modo che la richiamasse
presso di sè e quando il popolo romano implorava la grazia con ostinata insistenza, egli in
piena assemblea gli augurò di avere tali figlie e tali spose. Si rifiutò di riconoscere e di
allevare il figlio che la nipote Giulia aveva messo al mondo dopo la sua condanna. Agrippa
per altro non diveniva certo più trattabile, anzi di giorno in giorno sembrava sprofondare
nella follia, tanto che lo fece trasportare su un'isola e per di più circondato da una guardia di
soldati. Prese anche la decisione di farlo trattenere per sempre in quel luogo, mediante un
decreto del Senato. Ogni volta poi che si faceva menzione sia di Agrippa, sia delle due
ἕiulie, gemeὀἶὁ eὄa ὅὁlitὁ eὅἵlamaὄeμ “ἔὁὅὅe piaἵiutὁ al ἵielὁ ἵhe ὀὁὀ mi fὁὅὅi mai ὅpὁὅatὁ
e fὁὅὅi mὁὄtὁ ὅeὀὐa ἶiὅἵeὀἶeὀti”, e ὀὁὀ li ἵhiamava iὀ altὄὁ mὁἶὁ ἵhe i ὅuὁi tὄe aὅἵeὅὅi, i
suoi tre cancri.»

- 155 -
Svet. Tib. 11, 7.
«Comperit deinde Iuliam uxorem ob libidines atque adulteria damnatam repudiumque ei
suo nomine ex auctoritate Augusti remissum; et quamquam laetus nuntio, tamen officii
duxit, quantum in se esset, exorare filiae patrem frequentibus litteris et uel utcumque
meritae, quidquid umquam dono dedisset, concedere.»

- 156 -
Traduzione:
«In seguito venne a sapere che sua moglie Giulia era stata condannata per la sua
scostumatezza e i suoi adulteri e che il divorzio era stato notificato a suo nome per ordine di
Augusto. Sebbene la notizia lo riempisse di gioia, tuttavia si credette obbligato, per quanto
stava in lui, a riconciliare, attraverso frequenti lettere, il padre con la figlia e a lasciare a lei,
qualunque fosse la sua indecenza, i doni che aveva potuto farle.»

- 157 -
Tac. ann. 1, 53, 1-3.
«Eodem anno Iulia supremum diem obiit, ob impudicitiam olim a patre Augusto Pandateria
insula, mox oppido Reginorum, qui Siculum fretum accolunt, clausa. fuerat in matrimonio
Tiberii florentibus Gaio et Lucio Caesaribus spreveratque ut inparem; nec alia tam intima
Tiberio causa cur Rhodum abscederet. imperium adeptus extorrem, infamem et post
interfectum Postumum Agrippam omnis spei egenam inopia ac tabe longa peremit,
obscuram fore necem longinquitate exilii ratus. par causa saevitiae in Sempronium
Gracchum, qui familia nobili, sollers ingenio et prave facundus, eandem Iuliam in
matrimonio Marci Agrippae temeraverat. nec is libidini finis: traditam Tiberio pervicax
adulter contumacia et odiis in maritum accendebat; litteraeque quas Iulia patri Augusto
cum insectatione Tiberii scripsit a Graccho compositae credebantur.»

- 158 -
Traduzione:
«Nel medesimo anno morì Giulia, che, a causa della sua dissolutezza, era stata relegata dal
paἶὄe χuguὅtὁ ὀell’iὅὁla ἶi ἢaὀἶataὄia e pὁi ὀella ἵittὡ ἶi ἤeggio, sullo stretto di Sicilia.
Aveva sposato Tiberio quando ancoa erano in vita Gaio e Lucio Cesare, ma non gli aveva
mai nascosto il suo disprezzo, in quando non lo considerava degno di lei. E questa fu la
ragione vera per la quale Tiberio deliberò di ritiὄaὄὅi ὀell’iὅὁla ἶi ἤὁἶiέ Uὀa vὁlta ὅalitὁ al
trono egli la fece morire di stenti e di lunga inedia, in esilio, disonorata e priva di ogni
speranza dopo la morte di Agrippa Postumo, nella convinzione che la sua dipartita dopo un
esilio talmente lungo sarebbe passato inosservata. Per le medesime ragioni infierì contro
Sempronio Gracco, un aristocratico di grande acume, dalla parola facile e perversa. Questi
aveva sedotto Giulia quando era ancora la moglie di M. Agrippa, ma la sia passione non si
era arrestata ὃuiμ ὃuaὀἶὁ ἕiulia fu ἶata iὀ ὅpὁὅa a ἦiἴeὄiὁ, egli ἵὁὀtiὀuά ὀell’aἶulteὄiὁ
aumeὀtaὀἶὁ l’ὁὄgὁgliὁ e l’aὅtiὁ ἶella ἶὁὀὀa veὄὅὁ il maὄitὁέ χ ὃuaὀtὁ ὅi ἶiἵeva, la teὄὄa ἵhe
Giulia scrisse al padre per diffamare Tiberio era stata dettata da lui.»

- 159 -
Tac. ann. 3, 24, 2.
«ut valida divo Augusto in rem publicam fortuna ita domi improspera fuit ob impudicitiam
filiae ac neptis quas urbe depulit, adulterosque earum morte aut fuga punivit. nam culpam
inter viros ac feminas vulgatam gravi nomine laesarum religionum ac violatae maiestatis
appellando clementiam maiorum suasque ipse leges egrediebatur.»

- 160 -
Traduzione:
«La sorte che aveva sempre sostenuto il divo Augusto nella conquista del potere gli fu al
contrario avversa nella vita privata, per la condotta scabrosa della figlia e della nipote, che
egli ἵaἵἵiά ἶa ἤὁma puὀeὀἶὁὀe gli amaὀti ἵὁὀ la mὁὄte ὁ ἵὁὀ l’eὅiliὁέ Iὀfatti pὁὅe la gὄave
ὃualifiἵa ἶi ὅaἵὄilegiὁ ὁ ἶi ἶelittὁ ἶi leὅa maeὅtὡ alla ἵὁlpa ἶell’aἶulteὄiὁ, ἵὁὅì fὄeὃueὀte iὀ
entrambi i sessi, varcando i limiti stabiliti dalla clemenza dei nostri antenati o dalle sue
stesse leggi.»

- 161 -
Dio. LV, 10, 12;
« α α ῳ υ , Ἰ υ α υ α α
α υ α α α π’ α α α
α υ π π φ α π έ α α α π
α , α π υ · α π α
φ α υ , α ’ α υ α π
α υ . ’ α π α α ῳ υ
α ’ α α α ῖ α υ ᾳ α. υ
α α α π α πα ᾳ π , α α α
α α υ π υ · α α Ἴ υ
< >Ἀ , α π α ᾳ π α, π α ’ π φα
, π υ π α .»

- 162 -
Traduzione (di A. Stroppa):
«Augusto tuttavia non se ne curò minimamente, mentre andò su tutte le furie quando scoprì
che sua figlia Giulia era talmente dissoluta da passare il tempo fino a tarda notte a far
baldoria in compagnia nel Foro e sui rostri. Egli del resto già in precedenza supponeva che
la sua condotta di vita non fosse morigerata, ma non voleva crederlo; infatti, coloro che
detengono il potere sono a conoscenza di qualsiasi cosa molto più di quanto non conoscano
le loro faccende private; inoltre, mentre le loro azioni non sfuggono a coloro con cui
convivono, essi stessi, invece, non conoscono neppure nei dettagli le azioni di questi ultimi.
In quella circostanza, dunque, quando venne a sapere quello che stava accadendo, Augusto
si adirò a tal punto che non riuscì a mantenere la questione entr le mura domestiche, ma ne
rese partecipe anche il senato. Conseguentemente a ciò, Giulia venne confinata a
ἢaὀἶateὄia, uὀ’iὅὁla ὀei pὄeὅὅi ἶella ἵὁὅta ἵampaὀa, e la maἶὄe ἥἵὄiἴὁὀia la ὅeguì
spontanteamente nel suo esilio. Per quanto riguarda invece coloro che avevano avuto
rapporti con lei, Iullo Antonio morì insieme ad alcuni altri uomini in vista come avesse
attentato alla monarchia, mentre i rimanenti vennero banditi in varie isole.»

- 163 -
Dio. LVII 18, 1.
« υ αῖ α Ἰ υ α πα α π α πα πα α
υ α ’ α , α α α , ’ π α υ α
α φ α α»

- 164 -
Traduzione:
«Tiberio ὀὁὀ ὅὁlὁ ὀὁὀ ὄiἵhiamά la mὁglie ἕiulia ἶall’eὅiliὁ, peὀa alla ὃuale eὄa stata
condannata dal padre Augusto a causa della sua dissolutezza, ma la fece persino
ὄiὀἵhiuἶeὄe, fiὀἵhὧ mὁὄì ἶi ὅteὀti e ἶ’iὀeἶiaέ»

- 165 -
Plin. nat. 7, 46, 149.
«incusatae liberorum mortes luctusque non tantum orbitate tristis, adulterium filiae et
consilia parricidae palam facta, contumeliosus privigni Neronis secessus, aliud in nepte
adulterium.»

- 166 -
Traduzione:
«Le accuse lanciate dopo la morte dei figli e i lutti non lo rattristavano solo per la perdita
subita, l’aἶulteὄiὁ ἶella figlia e il ἶiὅvelameὀtὁ puἴἴliἵὁ ἶei ὅuὁi pὄὁgetti ἶi paὄὄiἵiἶiὁ,
l’iὅὁlaὄὅi ὁffeὀὅivὁ ἶel figliaὅtὄὁ ἠeὄὁὀe [ἦiἴeὄiὁ]ν l’altὄὁ aἶulteὄiὁ ἵὁmpiutὁ ἶalla ὀipὁte»

- 167 -
Cornelio Cinna (16-13 a.C.)

Sen. ben. 4, 30, 2.


«Cinnam nuper quae res ad consulatum recepit ex hostium castris, quae Sex. Pompeium
aliosque Pompeios, nisi unius viri magnitudo tanta quondam, ut satis alte omnes suos etiam
ruina eius attolleret?»

- 168 -
Traduzione:
«Che cosa fece passare recentemente Cinna dal campo nei nemici al consolato, e lo stesso
avvenne per Sesto Pompeo e per gli altri Pompei, se non la magnanimità di un solo uomo,
che fu così eccelso da mantenere in alto tutti i suoi discendenti anche dopo il suo crollo?»

- 169 -
Sen. clem. 1,9, 1-12.
«Hoc quam verum sit, admonere te exemplo domestico volo. Divus Augustus fuit mitis
princeps, si quis illum a principatu suo aestimare incipiat; in communi quidem rei publicae
gladium movit. Cum hoc aetatis esset, quod tu nunc es, duodevicensimum egressus annum,
iam pugiones in sinum amicorum absconderat, iam insidiis M. Antonii consulis latus
petierat, iam fuerat collega proscriptionis. Sed cum annum quadragensimum transisset et
in Gallia moraretur, delatum est ad eum indicium L. Cinnam, stolidi ingenii virum, insidias
ei struere; dictum est, et ubi et quando et quemadmodum adgredi vellet; unus ex consciis
deferebat. Constituit se ab eo vindicare et consilium amicorum advocari iussit. Nox illi
inquieta erat, cum cogitaret adulescentem nobilem, hoc detracto integrum. Cn. Pompei
nepotem, damnandum ; iam unum hominem occidere non poterat, cui M. Antonius
proscriptionis edictum inter cenam dictarat. Gemens subinde voces varias emittebat et
inter se contrarias: “Quid ergo? Ego percussorem meum securum ambulare patiar me
sollicito? Ergo non dabit poenas, qui tot civilibus bellis frustra petitum caput, tot
navalibus, tot pedestribus proeliis incolume, postquam terra marique pax parata est, non
occidere constituat, sed immolare?” (nam sacrificantem placuerat adoriri). Rursus silentio
interposito maiore multo voce sibi quam Cinnae irascebatur: “Quid vivis, si perire te tam
multorum interest? Quis finis erit suppliciorum? Quis sanguinis? Ego sum nobilibus
adulescentulis expositum caput, in quod mucrones acuant ; non est tanti vita, si, ut ego non
peream, tam multa perdenda sunt. " Interpellavit tandem illum Livia uxor et: “Admittis,”
inquit, “muliebre consilium? Fac, quod medici solent, qui, ubi usitata remedia non
procedunt, temptant contraria. Severitate nihil adhuc proiecisti; Salvidienum Lepidus
secutus est. Lepidum Murena, Murenam Caepio, Caepionem Egnatius, ut alios taceam,
quos tantum ausos pudet. Nunc tempta, quomodo tibi cedat clementia; ignosce L. Cinnae.
Deprensus est; iam nocere tibi non potest, prodesse famae tuae potest.” Gavisus, sibi quod
advocatum invenerat, uxori quidem gratias egit, renuntiari autem extemplo amicis, quos in
consilium rogaverat, imperavit et Cinnam unum ad se accersit dimissisque omnibus e
cubiculo, cum alteram Cinnae poni cathedram iussisset: “Hoc,” inquit, “primum a te peto,

- 170 -
ne me loquentem interpelles, ne medio sermone meo proclames ; dabitur tibi loquendi
liberum tempus. Ego te, Cinna, cum in hostium castris invenissem, non factum tantum mihi
inimicum sed natum, servavi, patrimonium tibi omne concessi. Hodie tam felix et tam dives
es, ut victo victores invideant. Sacerdotium tibi petenti praeteritis compluribus, quorum
parentes mecum militaverant, dedi; cum sic de te meruerim, occidere me constituisti.” Cum
ad hanc vocem exclamasset procul hanc ab se abesse dementiam: “Non praestas, “inquit,”
fidem, Cinna; convenerat, ne interloquereris. Occidere, inquam, me paras”; adiecit locum,
socios, diem, ordinem insidiarum, cui commissum esset ferrum. Et cum defixum videret nec
ex conventione iam, sed ex conscientia tacentem: “Quo,” inquit, “hoc animo facis? Ut ipse
sis princeps? Male mehercules cum populo Romano agitur, si tibi ad imperandum nihil
praeter me obstat. Domum tueri tuam non potes, nuper libertini hominis gratia in privato
iudicio superatus es; adeo nihil facilius potes quam contra Caesarem advocare. Cedo, si
spes tuas solus impedio, Paulusne te et Fabius Maximus et Cossi et Servilii ferent
tantumque agmen nobilium non inania nomina praeferentium, sed eorum, qui imagini- bus
suis decori sint?”. Ne totam eius orationem repetendo magnam partem voluminis occupem
(diutius enim quam duabus horis locutum esse constat, eum hanc poenam, qua sola erat
contentus futurus, extenderet): “Vitam,” inquit, “tibi, Cinna, iterum do, prius hosti, nunc
insidiatori ac parricidae. Ex hodierno die inter nos amicitia incipiat; contendamus, utrum
ego meliore fide tibi vitam dederim an tu debeas.” Post hoc detulit ultro consulatum
questus, quod non auderet petere. Amicissimum fidelissimumque habuit, heres solus illi
fuit. Nullis amplius insidiis ab ullo petitus est.»

- 171 -
Traduzione:
«Quanto ciò sia vero, voglio ricordartelo con un esempio tratto dalla tua famiglia. Il divo
χuguὅtὁ fu uὀ pὄiὀἵipe mite, ὅe ὅi ἵὁmiὀἵia a giuἶiἵaὄlὁ ἶall’iὀiὐiὁ ἶel suo principato; al
tempo del generale della repubblica impugnò, invece, la spada, quando aveva la stessa età
ἵhe hai tu aἶeὅὅὁ, eὅὅeὀἶὁ eὀtὄatὁ ὀel ἶiἵiὁtteὅimὁ aὀὀὁέ χ veὀt’aὀὀi ἵὁmpiuti aveva giὡ
cercato di colpire a tradimento il fianco del console M. Antonio, era già stato suo collega
ὀella pὄὁὅἵὄiὐiὁὀeέ εa ὃuaὀἶὁ aveva ὅupeὄatὁ i ὅeὅὅaὀt’aὀὀi e ὅὁggiὁὄὀava iὀ ἕallia, gli fu
portata la notizia che L. Cinna, uomo stolto, tendeva insidie contro di lui, e gli fu detto dove
e quando e come quello aveva intenzione di assalirlo: a denunciarlo era uno dei complici.
Augusto decise di vendicarsi di quello, e fece convocare i suoi amici a consiglio. La sua
nottata era agitata perché pensava che avrebbe condannato un giovane nobile e integerrimo
per tutto il resto, e nipote di Gneo Pompeo; ormai non era più capace di uccidere un uomo
ὅὁlὁ, lui, al ὃuale εέ χὀtὁὀiὁ aveva ἶettatὁ a ἵeὀa l’eἶittὁ ἶi pὄὁὅἵὄiὐiὁὀeέ εeὀtὄe gemeva,
pὄὁὀuὀἵiava ὁgὀi taὀtὁ fὄaὅi vaὄie e iὀ ἵὁὀtὄaἶἶiὐiὁὀe fὄa lὁὄὁμ “εa ἵὁmeς Iὁ peὄmetteὄά
che uno che avrebbe dovuto uccidermi se ne vada in giro tranquillo, mentre io sto in ansia?
Dunque, non sarà punito costui che ha deciso non solo di uccidere, ma di immolare (poiché
si era scelto di assalir Augusto mentre stava compiendo un sacrificio) una testa inutilmente
presa di mira in tante guerre civili, in tante battaglie navali e terrestri, e questo dopo che è
ὅtata aὅὅiἵuὄata la paἵe peὄ teὄὄa e peὄ maὄeς”έ ϋ pὁi, ἶὁpὁ uὀ mὁmeὀtὁ ἶi ὅileὀὐiὁ, ὅi
adirava con se stesso alzando la voce molto più che cὁὀ ἑiὀὀaμ “ἢeὄἵhὧ vivi, ὅe a taὀti
interessa che tu muoia? Quale sarà la fine dei supplizi? Quando smetterà di essere versato
sangue? Io non sono che una testa esposta alla vista dei giovani nobili, perché affilino
contro di me le loro spade; la vita non vale poi tante se, perché non muoia io, bisogna
ὅaἵὄifiἵaὄe ἵὁὅì taὀtiέ Iὀfὀe, la mὁglie δivia lὁ iὀteὄὄuppe, ἶiἵeὀἶὁμ “χἵἵetti il ἵὁὀὅigliὁ ἶi
- 172 -
uὀa ἶὁὀὀaς ἔa’ ἵὁme faὀὀὁ ἶi ὅὁlitὁ i meἶiἵi, ἵhe, ὃuaὀἶὁ i ὄimeἶi ἵὁὀὅueti ὀὁὀ haὀὀὁ
effetto, provano i rimedi contrari. Con la severità finora non hai ottenuto niente: a
Salvidieno è seguito Lepido, a Lepido Murena, a Murena Cepione, a Cepione Ignazio, per
ὀὁὀ paὄlaὄe ἶegli altὄi, ἵhe ὅi veὄgὁgὀaὀὁ ἶ’aveὄ ὁὅatὁ taὀtὁ (ς)έ ἡὄa pὄὁva a veἶeὄe ἵhe
risultato puoi ottenere con la clemenza: perdona a Cinna. È stato colto in flagrante: ormai
ὀὁὀ puά piὶ ὀuὁἵeὄti, e puά giὁvaὄe alla tua ὄeputaὐiὁὀe”έ ἑὁὀteὀtὁ ἶi aveὄ tὄὁvatὁ uὀ
consigliere, Augusto ringraziò la moglie, e fece sapere subito agli amici che aveva
annullato la convocazione del consiglio, e fece andare da lui Cinna solo. Congedati tutti
ἵὁlὁὄὁ ἵhe ὅi tὄὁvavaὀὁ ὀella ἵameὄa, ἶὁpὁ aveὄ ὁὄἶiὀatὁ ἶi metteὄe uὀ’altὄa ὅeἶia peὄ
ἑiὀὀa, ἶiὅὅeμ “ἦi ἵhieἶὁ ὃueὅtὁ pὄima ἶi tuttὁ, ἶi ὀὁὀ iὀteὄὄὁmpeὄmi meὀtὄe ὅtὁ paὄlaὀἶὁ e
di non uscire in esclamazioni durante il mio discorso: ti darò poi tempo per parlare con
ἵὁmὁἶὁέ Iὁ, aveὀἶὁti tὄὁvatὁ, ἑiὀὀa, ὀell’aἵἵampameὀtὁ ἶei ὀemiἵi, ὀὁὀ ὅὁlὁ ἶiveὀutὁ ma
nato mio nemico, ti ho salvato la vita e ti ho lasciato tutto il tuo patrimonio. Oggi sei così
felice e così ricco che i vincitori invidiano un vinto come te. Quando hai chiesto il
ὅaἵeὄἶὁὐiὁ, te l’hὁ ἶatὁ, laὅἵiaὀἶὁ ἶa paὄte mὁlti i ἵui geὀitὁὄi avevaὀὁ ἵὁmἴattutὁ ἵὁὀ meέ
Dopo essermi acquistato tutti questi meriti presso di te, tu hai ἶeἵiὅὁ ἶi uἵἵiἶeὄmi”έ χ
ὃueὅte paὄὁle ἑiὀὀa gὄiἶά ἵhe eὄa ἴeὀ luὀgi ἶa ὃueὅta fὁlliaν e χuguὅtὁ ἶiὅὅeέ “ἠὁὀ
maὀtieὀi la pὄὁἵeὅὅa, ἑiὀὀaμ ἵi ὅi eὄa meὅὅi ἶ’aἵἵὁὄἶὁ ἵhe tu ὀὁὀ mi avὄeὅti iὀteὄὄὁttὁέ ἦu ti
pὄepaὄi aἶ uἵἵiἶeὄmi, ὄipetὁ”έ ἥpeἵifiἵά il luὁgὁ, i ἵὁmpliἵi, il giὁὄὀὁ, il piaὀὁ ἶell’agguatὁ,
il nome di colui al quale era stato affidato il compito di colpirlo. E quando vide che Cinna
teὀeva lὁ ὅguaὄἶὁ fiὅὅὁ a teὄὄa e ἵhe taἵeva, ὀὁὀ piὶ peὄ ὁὅὅeὄvaὄe l’aἵἵὁὄἶὁ, ma peὄ la
consapevolezza della sua colpa, ἶiὅὅeμ “ἑὁὀ ἵhe iὀteὀὐiὁὀe lὁ faiς ἢeὄ ἶiveὀtaὄe tu ὅteὅὅὁ il
principe? Il popolo romano è ben malridotto, per Ercole, se tu non incontri alcun ostacolo
tὄaὀὀe me peὄ ὁtteὀeὄe l’impeὄὁ (e ὀὁὀ ὅei ὀemmeὀὁ ἵapaἵe ἶi vigilaὄe ὅulla tua ἵaὅaμ ὀὁὀ
molto tempo fa sei stato sconfitto in un processo privato per il credito goduto da un liberto
[…]ν aveὅὅi ἵhiamatὁ iὀ tuὁ aiutὁ ἑeὅaὄe)έ εi ὄitiὄὁ, ὅe iὁ ὅὁlὁ ἵὁὅtituiὅἵὁ l’impeἶimeὀtὁ
alle tue speranze: forse Paolo e Fabio Massimo e i Cossi e i Servili vogliono sopportarti e
una così gran schiera di nobili che non vantano nomi vani, ma hanno un valore tale da far
ὁὀὁὄe alle immagiὀi ἶei lὁὄὁ aὀteὀatiς”έ ἢeὄ ὀὁὀ ὁἵἵupaὄe gὄaὀ paὄte ἶel miὁ vὁlume
ripetendo tutto il suo discorso (si sa, infatti, che parlò per di più di due ore, facendo durare a

- 173 -
luὀgὁ ὃueὅta peὀa ἶi ἵui ὅi ὅaὄeἴἴe aἵἵὁὀteὀtatὁ), ὄiἵὁὄἶeὄά ὅὁlὁ ἵhe ἶiὅὅeμ “ἦi ἶὁὀὁ la vita
per la seconda volta, Cinna, che prima eri mio nemico ed ora sei un attentatore e un
parricida. Da oggi comincia una nuova amicizia tra noi; facciamo a gara per vedere chi di
noi due sarà più leale, io che ti ho dato la vita o tu che me la devi. Dopodiché gli conferì il
consolato, dolendosi che egli non osasse chiederlo. Cinna gli fu amicissimo e fedelissimo e
fu il suo unico erede. Non fu mai più oggetto di cospirazione».

- 174 -
Dio. LV 14, 1-2 – 22, 1-3.
«π α α α π υ α α Γ αῖ υ α
υ π υ , α α ᾳ α, ’
π ῖ α φα , π π φ α π υ α
, ’ π α, α υ υ φ’ αυ π π α, αέ
π α π , α ’ α φ ῖ ’α
ῖ υ α ῳ φ π υα , ν α ν […]
α α υα π υ π α , α φ π α
πα υ υ α, α πα π . υ
α ῖ α π π υ ᾠ α α ’ α
’ π υ α α· υαα α
ῳ α α α α υ υ α.
’ π υ α π α υ υ π α
υ α , α φυ α α υ α π π π π α
π , υ π , α υ .»

- 175 -
Traduzione:
«Intento a queste occupazioni, gli tramò contro, tra gli altri, Gneo Cornelio, nipote per parte
di madre di Pompeo Magno, sicché si trovò per un certo periodo in un grave imbarazzo,
non volendo ucciderli, ché si avvedeva che nessun vantaggio per la sua incolumità gli
veniva ἶall’aveὄli mὁὄti, ὀὧ aὅὅὁlveὄli, peὄ ὀὁὀ guaἶagὀaὄὅi ἶa ἵiά altὄi ὀemiἵiέ ἠὁὀ ὅapeva
dunque come risolversi ad agire, e perché a sera non gli riusciva di distrarsi né di notte
aὀἵὁὄa ἶi ὅtaὄ tὄaὀὃuillὁ, δivia gli ἶiὅὅeμ “ἑhe hai, ἵaὄὁς ἢeὄἵhὧ ὀὁὀ ἶὁὄmiς” […] Augusto
diede retta alle parole di Livia, assolse tutti gli imputati dopo averli redarguiti con certi
discorsi e nominò Cornelio console. Con questo atto si propiziò sia lui che tutto il resto, di
modo che nessuno più cospirò seriamente contro di lui ὀὧ vi peὀὅάέ δivia ὅe fu l’auteὀtiἵa
causa della salvezza di Cornelio, si sarebbe assunta la responsabilità della morte di
Augusto. Sotto Cornelio e Valerio Messalla consoli capitarono sismi e cataclismi, il Tevere
ὅpeὐὐά l’aὄgiὀe e ὄeὅe la ἵittὡ ὀavigaἴile iὀ ὅette giὁὄὀi, ἵi fu uὀ’eἵliὅὅi ἶi ὅὁle e ὅἵὁppiά uὀa
pestilenza.»

- 176 -
Congiure minori

Svet. Aug. 19,4.


«Quin etiam quandam iuxta cubiculum eius lixa quidam ex Illyrico exercitu, ianitoribus
deceptis, noctu deprehensus est cultro venatorio cinctus, imposne mentis an simulata
dementia, incertum; nihil enim exprimi quaestione potuit.»

- 177 -
Traduzione:
«Una volta un vivandiere dell'armata illirica, che aveva eluso la sorveglianza dei portieri, fu
sorpreso di notte presso la sua camera da letto, con un pugnale da caccia alla cintura: non si
sa bene se fosse pazzo o se fingesse di esserlo, perché non se ne cavò nulla neanche con la
tortura.»

- 178 -
Dio. LVI 43, 2.
« π ῖ Ἀ υ φ ῳπ αα ῳ
α α υ α , α α φ υ
π α , α π π π ‘ φ π ;
π , α α .»

- 179 -
Traduzione:
«Un esempio a conferma di ciò è il caso di Atenodoro: costui, una volta, era stato condotto
nella camera di Augusto a bordo di una lettiga coperta, come fosse una donna, e dopo
esserne saltato fuori armato di spada lo aveva rimproverato ἵὁὀ ὃueὅte paὄὁleμ “ἠὁὀ hai
paura che qualcuno entri con questo stratagemma e ticcuida? Il principe non solo si adirò,
ma lo ringraziò»

Svet. Aug. 19, 1. (vedi congiura Emilio Lepido)

- 180 -
Svet. Aug. 51, 1.
Clementiae civilitatisque eius multa et magna documenta sunt. Ne enumerem, quot et quos
diversarum partium venia et incolumitate donatos principem etiam in civitate locum tenere
passus sit: Iunium Novatum et Cassium Patavinum e plebe homines alterum pecunia,
alterum levi exilio punire satis habuit, cum ille Agrippae iuvenis nomine asperrimam de se
epistulam in vulgus edidisset, hic convivio pleno proclamasset neque votum sibi neque
animum deesse confodiendi eum. Quadam vero cognitione, cum Aemilio Aeliano
Cordubensi inter cetera crimina vel maxime obiceretur quod male opinari de Caesare
soleret, conversus ad accusatorem commotoque similis: "Velim," inquit, "hoc mihi probes;
faciam sciat Aelianus et me linguam habere, plura enim de eo loquar"; nec quicquam ultra
aut statim aut postea inquisiit.

- 181 -
Traduzione:
«Sono molte le prove determinanti della sua clemenza e della sua semplicità di cittadino
qualsiasi. Non è il caso di elencare tutti i membri del partito avversario ai quali accordò il
perdono e concesse salva la vita e ai quali permise anche di occupare un posto importante
nell'ambito dello Stato. Citerò soltanto Giunio Novato e Cassio Padovano, due plebei che
egli punì semplicemente uno con una multa, l'altro con un esilio benevolo. Eppure il primo
aveva fatto diffondere una lettera, sotto il nome di Agrippa, che conteneva espressioni
molto dure nei confronti dell'imperatore; il secondo affermò, nel bel mezzo di un banchetto,
che a lui non mancava né la voglia né il coraggio di uccidere Augusto. Giudicando un
giorno un certo Emilio Eliano di Cordova e intendendo rimproverargli come colpa più
grave di tutte le altre, il fatto che fosse solito parlar male di Cesare, si volse verso
l'accusatore e gli disse con voltὁ aἵἵigliatὁμ “Vorrei che tu mi fornissi delle prove; in tal
caso farei sapere ad Eliano che anch'io possiedo una lingua con la quale potrei dire un
ὅaἵἵὁ ἶi ἵὁὅe ὅul ὅuὁ ἵὁὀtὁ”έ ϋ non spinse oltre la sua inchiesta, né in quel momento, né in
seguito.»

- 182 -
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