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ECATEO DI MILETO E L INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA 4 MARZO

La storiografia, l’indagine sul passato, si è maturata per quasi due secoli ma si è prodotta molto tardi. Il primo
documento letterario della storia greca è l’Iliade, composta intorno al 750 a.C. Le genealogie di Mileto invece vengono
prodotte all’inizio delle guerre persiane. Noi con questo modulo cominciamo contemporaneamente, ma dovrà
anticipare alcuni elementi di storia. La prima opera che consideriamo appartenente al genere storiografico è del 500
a.C., piuttosto recente: è l’epoca di Esiodo, c’è stata l’epopea della lirica greca ed è contemporanea alla filosofia. Nello
stesso momento in cui Talete scopriva la filosofia e iniziavano a esserci le prime opere di medicina scientifica sorge
anche la storiografia: evidentemente ha richiesto un grande sforzo intellettuale. La storiografia è un’indagine sul
passato e l’istoria, parola greca, indica un certo modo di guardare al passato. Quando vogliamo sapere cosa è successo
prima di noi, dobbiamo distinguere tra ciò che è vero, verosimile e assodato, e cosa invece appartiene alla
propaganda, alla sovrastruttura, a quell’insieme di valori e politica che c’è sopra. Per i greci la storiografia è arrivata
alla fine di un lungo processo in cui si sono liberati di una tradizione onnicomprensiva. Un contemporaneo di Ecateo di
Mileto credeva di sapere molte cose sul passato del mondo greco, ma quello che credeva di sapere era il prodotto di
una traduzione che si era espressa attraverso la poesia epica e lirica in cui vero e falso si mescolavano in modo
indistricabile. I greci consideravano la guerra di Troia come fatto storico, indiscutibile. Oggi per la cronaca la realtà
della guerra di Troia viene molto messa in discussione: una guerra di tutto il mondo greco contro la città di Ilio non è
mai esistita per come è narrata nei poemi omerici, eppure all’epoca si era fermamente convinti che gli eroi fossero
personaggi storici ed erano perfettamente in grado di indicare le genealogie dei progenitori degli eroi. Si sapeva che i
padri degli eroi della guerra di Troia avevano preso parte alla grande guerra tra Eteocle e Polinice nella guerra di Tebe
– in quella che Eschilo chiama nella tragedia antica i Sette contro Tebe, in cui si erano contrapposti i grandi difensori
della città a grandi attaccanti, basti pensare che uno di questi attaccanti, Capaneo, viene poi rappresentato
nell’Inferno da Dante: sono personaggi che dureranno ancora nel mito. Ma quei Greci erano fermamente convinti che
la guerra di Troia e tutto quanto era venuto prima, come le imprese di Eracle, erano assolutamente storici: anche
l’intervento divino era dunque reale. Diomede, dopo il ritiro di Achille, nella sua foga di distruzione attacca una
persona che vede davanti a sé, lo ferisce e lo mette in fuga senza sapere che era il dio Marte. Gli dei partecipano agli
eventi salienti della guerra. Nel momento più drammatico della guerra Ettore viene tradito proprio da una divinità che
prende le vesti di Deifobo, suo compagno, che dovrebbe porgergli una seconda lancia dopo la prima che ha spezzato:
se perde è perché la divinità lo ha tradito. I greci vissuti alle soglie dell’età classica, nel V secolo, avevano davanti a sé
un patrimonio di storie, di conoscenze sul passato in cui realtà e mito si intrecciavano in maniera inestricabile. Inoltre,
quando tu vivi in un ambiente in cui si respira la tradizione, e nessuno la mette in discussione, tradizione inaffidabile e
piena di cose false e inventate che nessuno mette in discussione, il primo sforzo da fare è liberarsi dall’autorità della
tradizione. Oggi noi ci siamo liberati dall’idea che ciò che viene detto in televisione è sicuramente vero: ci sono molte
menzogne e bugie, però un tempo – fino a pochi decenni fa – se uno diceva una cosa incredibile, ma giustificandosi
“l’ha detto la televisione”, risultava credibile. Anche noi però, spesso, accettiamo acriticamente delle cose che stanno
in maniera diversa, e lo facciamo perché ci fidiamo di una errata fonte di informazione. All’epoca la fonte di
informazione era quel complesso di racconti in cui gli dei scendevano in campo affianco o contro altri uomini, la
storiografia viene fatta mettendo in discussione la tradizione. Il primo storico greco, Ecateo di Mileto, vive
un’esperienza traumatica di tipo personale, che lo convince del fatto che le genealogie delle famiglie aristocratiche
greche erano inaffidabili, che ciò che lui credeva di sapere delle proprie origini erano solo fesserie: come si fa a
liberarsi da una tradizione ingannevole che condiziona persino la psicologia? Cercando un metodo per indagare il
passato: per distinguere il vero dal falso occorre un metodo di indagine. Se un tale mi dice che ha visto un enorme
maiale giallo in cielo, io ho due modi di reagire a questa notizia. Se la persona che me la racconta è un balordo, gli dico
“sì, sì, va bene, certo”. Se invece me lo dice una persona seria che non è solito prendere in giro, allora incomincio
magari a pensare che lui ha visto una cosa e ha creduto di intravedere un maiale giallo in un dirigibile, o qualcosa del
genere. Ma come posso essere sicuro che qualcosa è sicuramente vero o sicuramente falso? Occorre un metodo che
mi confermi o smentisca quella notizia. Se esco di casa e vedo amici e 50 sconosciuti che mi confermano che anche
loro hanno visto tale maiale giallo, allora mi farò domande e formulerò ipotesi per spiegare questo evento che in
apparenza è assurda. Se invece è solo il mio amico a ripeterlo in maniera ossessiva, allora cerco di dissuaderlo. La
storiografia non è solo racconto di fatti avvenuti, ma tali fatti sono stati indagati secondo un determinato metodo per
distinguere ciò che è vero e ciò che è falso. Gli antichi dicevano spesso che la storiografia, a differenza dell’epica, è che
la prima indaga fatti realmente avvenuti. L’epica ha uno spettro di possibilità di descrizione di tipo universale, non ha
per oggetto solo il vero ma anche il verosimile, mentre la storia deve limitarsi a parlare di cose realmente avvenute.
Perché i greci sono stati i primi a inventare la storia? Perché, uno potrebbe dire, abbiamo annotazioni storiche anche
di altre civiltà, molto più antiche: se uno ha mai visitato i templi di Abu-Simbel o altre località egizie, si sarà reso conto
che ci sono iscrizioni di famosi re che parlano di fatti storici; c’è una famosa descrizione di Ramses II che nella Bibbia
avrebbe cercato di opporsi alla fuga di Mosè e degli Ebrei, e che sarebbe stato sommerso dalle acque del Mar Rosso,
si dice che Ramses II avrebbe riportato una enorme vittoria nella Battaglia di Kadesh contro gli Hittiti. Ma la differenza
con la storiografia sta in questo: anche in altre civiltà abbiamo notazioni storiche, anche Assire, Siriane, Sumere, ma
quasi sempre sono fatti storici che sono diretta emanazione dell’autorità politica: notizie dettate dal sovrano e scritte
dagli scribi di corte che riflettono il punto di vista di chi detiene il potere. Ramses II la descrive come una grande
vittoria: eppure, ben che vada, gli storici moderni ritengono che si trattasse di un pareggio. Invece la storiografia greca
è fatta di singoli individui che non scrivono per conto di sovrani o di cittadini, né per il potere né per la società, ma è
tutta attività privata di singoli che decidono di scrivere perché lo decidono loro, e decidono di farlo perché gli va e non
sotto dettatura. Primo punto dunque abbiamo detto: la storiografia comporta una sorta di ribellione alla tradizione,
che per i greci era verità. Secondo punto abbiamo detto: la storiografia è attività individuale e non controllata. Ora
parliamo del terzo punto: della storiografia greca abbiamo solo frammenti. La stragrande massa delle opere
storiografiche greche è andata perduta per sempre. Ma allora come facciamo a fare una storia della storiografia
greca? Lo facciamo a partire dai frammenti di queste opere. Per frammento si possono intendere due cose: o veri e
proprio frammenti, ad esempio di papiri. Le Elleniche di Ossirinco sono due ampie porzioni restituiteci da frammenti
papiracei provenienti dalla località egiziana di Ossirinco, dove si sono conservati in un ambiente ideale anche dei
materiali fragili come i papiri. Altra opera importantissima per la storia di Atene e della sua costituzione restituitaci da
un papiro è la Costituzione degli Ateniesi di Aristotele e la sua scuola. Molti frammenti dunque sono frammenti
papiracei o su pietre; c’è anche il Marmor Parium che consiste in una serie di date e di eventi trovato sull’isola di Paro.
È un vero e proprio pezzo di un’opera. Normalmente però con la parola “frammento” intendiamo una citazione di un
determinato storico da parte di un autore successivo. Teopompo di Chio, IV secolo, scrive un’opera in 58 libri, una
cosa enorme, ci è giunta attraverso poco più di 400 frammenti che sono citazioni di passi di quest’opera da parte di
autori successivi, dall’età imperiale a quella bizantina. A volte questi frammenti sono anche abbastanza lunghi; c’è un
libro delle Storie di Polibio in cui Polibio critica i colleghi storici precedenti. Questo libro di Polibio che però abbiamo
perso è stato così tanto citato che possiamo ricostruirlo quasi per intero. Questi frammenti possono essere molto
ampi o anche una o due parole; molti frammenti di storici greci ci sono tramandati da Stefano di Bisanzio, vissuto tra
VI e VII secolo dopo Cristo, il quale ha compilato una sorta di inventario di toponimi di località: ad esempio “Ispros”,
nome che i greci davano al Danubio, lui ci dice “Teopompo, XII libro”, ovvero che Teopompo l’ha nominato nel XII
libro. C’è anche un frammento di Melanzio di Atene, dattilografo, che aveva scritto una storia di Atene dall’antichità al
suo tempo, il IV secolo, età posteriore alle guerre persiane o alla guerra del Peloponneso. A noi piacerebbe sapere
cosa aveva scritto Melanzio, ma l’unico frammento che abbiamo recita: “e la terra si raggrinzì”. Noi sappiamo che a un
certo punto Melanzio aveva detto questa frase nella sua immensa opera di storia. Un’ipotesi che è stata fatta, ma
plausibile fino a un certo punto, è che lui si riferisse a un famoso terremoto della metà del V secolo che aveva fatto
morire la metà degli spartani e aveva causato un’insurrezioni delle popolazioni circostanti sottomesse a Sparta. Ma la
nostra è solo una ipotesi. Noi ricostruiamo la storia greca sulla base di poche opere che ci sono giunte per intero e per
la maggior parte da frammenti. Non necessariamente un autore di cui ci sono rimasti 400 frammenti è – o era
considerato – più importante di un autore di cui abbiamo 10 frammenti. Non possiamo giudicare queste opere sulle
base dei frammenti che ci sono pervenuti. Non possiamo dire che se un autore è stato citato 100 volte era più
importante di uno citato 10 volte; questo è un metodo odierno che sussiste per stabilire il credito di una ricerca
scientifica. Si potrebbe ribattere che uno può essere citato anche in negativo. Noi non possiamo dire nulla di certo
sulla reputazione di un determinato autore e sul valore della sua opera per il fatto che di uno abbiamo molte citazioni
e di un altro 10. Per esempio Stefano di Bisanzio cita tantissimo certi autori e pochissimo altri, perché semplicemente
alcuni li conosce e altri no. I fattori sono perlopiù casuali. Ma come mai abbiamo perso la maggior parte di queste
opere? Noi conosciamo i nomi di poco più di 2000 storici, di cui abbiamo le opere integrali di meno di 10; anche autori
importanti come Polibio, uno dei cinque maggiori storici del mondo greco – Erodoto, Tucidide, Senofonte, Polibio e
Plutarco – che scrive la storia della prima guerra punica e sarà la fonte di Tito Livio, scrisse un’opera in 40 libri di cui
abbiamo solo i primi 5. Probabilmente l’opera era divisa in pentadi, gruppi di 5 libri – o papiri, poi sostituiti in codici – e
si è salvata la prima pentade, finendo per perdere gli altri 35 libri. Questi sarebbero importantissimi, una scoperta
sensazionale, ma non ce l’abbiamo. Noi, quando definiamo la storia della storiografia greca, dobbiamo sempre avere
una certa prudenza perché quello che conosciamo è molto poco. Hermann Strasburger ha calcolato che, se va bene,
conosciamo circa 1/40 di quello che è stato scritto da autori di storia del mondo greco.
Altro punto importante: non potendo costruire una storiografia greca per mancanza di materiale, il punto è questo:
soprattutto la storiografia delle origini è un genere che abbraccia più sottogeneri. Gli storici greci non scrivono soltanto
gli eventi politici, militari, ma spesso scrivono anche di geografia, soprattutto di etnografia, cioè si soffermano per
esempio su usi e costumi di determinati popoli e insistono molto sulla geografia. Ma ci viene da chiederci se un autore
può essere considerato come storico o geografo, ma in realtà agli inizi le due cose coincidono. Quando i primi storici
scrivono le loro opere la curiosità e l’interesse per il diverso è così alto che dedicano molte pagine anche alla loro vita
materiale, ma ad esempio Erodoto quando deve scrivere dei popoli persiano che si scontrano con i greci ci riferisce
anche cose molto particolari: come facevano in Egitto a difendersi da scorpioni o zanzare? Come facevano a Babilonia
a deviare un fiume? Dobbiamo costruirci un concetto più ampio del racconto storico. Non significa solo occuparci di
biografie, eventi politici o militari, ma soprattutto occuparsi della diversità, di ciò che è diverso da noi, di ciò che non
conosciamo ma che dobbiamo cercare di comprendere per comprendere anche noi con noi stessi. Ci si diceva prima
che la storiografia greca nasce cercando di affrancarsi dal peso della tradizione. Prendiamo ad esempio l’inizio
dell’Iliade, di un’opera non di storiografia ma poesia, poesia epica, che parla di un grande evento bellico: la guerra dei
greci contro Troia e la famosa ira di Achille. Come comincia Omero il suo poema? “Cantami, o dea, l’ira funesta del
pelide Achille, che inflisse agli Achei infiniti dolori, tante anime gettò nell’Ade di valorosi eroi e li diede in pasto ai cani
e gli uccelli”. Achille, offeso da Agamennone che lo ha privato di una parte di bottino, si ritira dalla guerra di Troia e i
Greci, privati del loro più valoroso eroe, incominciano a perdere e per questo è considerato responsabile delle perdite
achee. Ma il poema inizia così: cantami, o dea – e si intende la Musa – l’ira funesta di Achille. Chi compone l’opera è
solo un mezzo di cui si serve la divinità: “dimmi, o dea, quello che devo scrivere, e lo scriverò”. Per esempio
nell’Odissea, posteriore di 50 o 70 anni all’iliade, inizia “Cantami, o Dea, l’uomo multiforme che per molto tempo andò
vagando dopo aver distrutto la grande città di Ilio”. È odisseo, unico eroe greco che si distingue per la sua methis e non
per la rome, per la sua politropìa, multiformità, che non possono essere catturate in una sola immagine. Così invece
comincia l’opera di Ecateo di Mileto, le Genealogie, delle principali famiglie delle principali città greche: “Ecateo di
Mileto così narra: scrivo queste cose come a me sembra siano vere. Infatti a mio giudizio i discorsi dei greci sono molti
e fanno ridere”: qui non c’è più la dea, c’è lui: in primo piano c’è il suo nome. Non lo dice la dea, lo dice l’uomo.
“Scrivo”, “a me”, “a mio giudizio”: è lui a parlare, non la collettività. Critica la tradizione mitica, che ha molti racconti
diversi tra loro e fa venire da ridere perché è chiaro che non possono essere tutti veri. O uno è vero e gli altri falsi, o
sono tutti falsi. Inizia insomma con una forma di autorialità professionale: l’autore mette l’accento sul frutto della sua
indagine, e non la rivelazione divina.

I greci hanno coniato la parola “storia”, che usiamo anche noi. In greco è istorìa, parola molto tarda: la parola
istoriogràphoi è una parola anch’essa molto recente, la parola più antica è symgraphèis, coloro che scrivono. La parola
storiografia vede la radice greca id-: è da vid-, col digamma, stessa radice della parola latina videor: è un’indagine che
si fa con gli occhi, vedendo con i propri occhi le cose che si raccontano. Ecateo di Mileto viene prima di questa grande
svolta: è come se, quando il mio amico mi dice che c’è un maiale giallo nel cielo, io riflettessi sul fatto e vagliassi se sia
possibile o no, o se aprissi la finestra per controllare. Si affida al controllo oculare: le cose affidabili sono quelle cose
viste di persona, o viste da qualche testimone attendibile. Se ci pensiamo questo è lo stesso metodo che dovrebbe
usare la polizia sul luogo del delitto. Chi ha visto qualcosa? Se compare un ubriaco o un tossico o uno mezzo cieco, è
chiaro che gli investigatori daranno più credito a una persona sobria, sveglia e credibile, vaglieranno la possibilità che
quel testimone stia dicendo cose giuste e che non le stia dicendo per interesse personale. La cosa che conta è basarsi
su fonti che abbiano visto i fatti, e che le abbiano viste di persona: Tucidide, nelle Istoriai, dice che ha visto le cose che
racconta e le ha scritte man mano che si stavano svolgendo. La settimana prossima spiegheremo cosa si intende per
fatto storico e delineeremo il percorso che si traccia da Ecateo di Mileto in poi.

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