Sei sulla pagina 1di 3

RECENSIONI

Buccio di Ranallo, Cronica, edizione critica e commento a cura di Carlo De


Matteis, Firenze, Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini
(«Archivio romanzo», 13), 2008, pp. cliii-452.

A cento anni dall’ultima edizione, curata da Vincenzo De Bartholomaeis per


l’Istituto Storico Italiano per il Medioevo (Fonti per la storia d’Italia XLI, 1907),
Carlo De Matteis ci restituisce la cronaca in volgare di Buccio di Ranallo con una
edizione critica che si avvale dell’utilizzo di un nuovo testimone (Parma, Biblio-
teca Palatina, ms. Pal. 77) e delle più recenti interpretazioni storiografche.
Nell’opera si narrano le vicende della città de L’Aquila a partire dalla fon-
dazione, avvenuta in due fasi tra il 1254 e il 1265, fno al 1362, anno preceden-
te la morte dell’Autore. Della vita di quest’ultimo si conosce poco: le scarne
informazioni in nostro possesso sono state tratte principalmente dalla cronaca
stessa, e permettono solo la delineazione di un vago proflo sociale. L’ipotesi più
verosimile, avanzata da studiosi come Claudio Mutini e lo stesso De Matteis,
è che Buccio appartenesse a una famiglia di possessori terrieri di status sociale
elevato, le cui radici affondavano nella complessa rete di poteri signorili e feudali
della valle del fume Aterno, pressappoco coincidente con il futuro districtus
aquilano. La deduzione si basa, oltre che su qualche testimonianza documenta-
ria, sull’atteggiamento dell’Autore nei confronti dei protagonisti del processo di
fondazione della civitas nova. Da un lato, infatti, Buccio si schiera nettamente
contro i signori della valle aternina, oppositori e vittime della nascita del nuovo
centro urbano, dichiarando apertamente il suo favore verso coloro che «per non
eser vassalli cercaro la libertade, / e. non volere singiore se·nno la magestade»
(st. 3, p. 4); dall’altro lato, tuttavia, l’Autore non risparmia critiche verso i villani,
giudicati superbi e violenti nel perseguimento del loro scopo. Questa posizione
si spiega con l’intento dichiarato dell’opera, comune alla cronachistica politi-
ca del Trecento: ammonire i governanti della città sulla fatalità delle discordie
interne, ostacolo supremo al raggiungimento del bonum commune. Quella di
Buccio, tuttavia, non è una semplice esortazione alla pacifcazione della società
cittadina, ma è un pronunciarsi positivamente verso l’equilibrio politico rag-
giunto fra alcuni esponenti della feudalità aternina inurbatisi contestualmente
alla fondazione – e quindi a essa favorevoli – e il gruppo sociale più attivo e
rappresentativo dello spirito cittadino, costituito dai ‘mezzani’ dediti alle attività
produttive e al commercio.
Al raggiungimento di questo equilibrio risale infatti l’avvio della stesura
della cronaca, quando, dopo cento anni di lotte quasi ininterrotte, una nuova
2 Recensioni

architettura istituzionale suggellava l’armonia interna alla città. Gli aquilani ot-
tenevano nel 1355 di potersi governare con il cosiddetto ‘Reggimento ad Arti’,
le cui magistrature rappresentavano i settori sociali di maggiore rilevanza: mer-
canti, pellettieri, metallieri, giudici e notai, nobili (anch’essi organizzati in arte).
Questa riforma del governo cittadino era stata concessa dalla regina Giovanna
I su richiesta degli aquilani stessi, dopo che il conte di Montorio Lalle (I) Cam-
poneschi era stato ucciso da Filippo di Taranto su mandato regio, a causa della
sua propensione verso il ramo durazzesco della casa regnante. Il Camponeschi
era stato il vincitore delle lotte di fazione che erano scoppiate a L’Aquila dalla
fne degli anni Trenta del secolo XIV, ed era diventato signore di fatto della
città. Nel vuoto politico determinato dalla sua scomparsa, gli aquilani – secondo
Buccio – elaborarono una proposta politica di grande spessore, con l’intento di
creare una struttura istituzionale rispondente alla articolazione sociale e ai ruoli
di ciascun gruppo. In questo clima di pace ristabilita, che prevedeva anche il
rientro dei fuorusciti, Buccio di Ranallo, già autore di una Leggenda di Santa
Caterina in versi, decideva di dare avvio alla sua cronaca, con l’intento morale-
didascalico cui si è accennato.
Nel panorama della produzione storiografca dell’Italia tardomedievale, que-
sta opera costituisce senza dubbio un unicum, per un insieme di motivi. In primo
luogo, Buccio di Ranallo sceglie di comporre una cronaca politica interamente
in versi, e lo fa adottando una struttura polimetrica, composta di 1.249 quartine
intercalate da 21 sonetti, tutti di contenuto ammonitorio. Inoltre l’Autore utiliz-
za una forma metrica in disuso come le quartine monorime di alessandrini, di
contro alla più diffusa terzina o alla ottava che andava diffondendosi alla metà
del Trecento. In secondo luogo, differentemente da altre cronache prodotte nel
Mezzogiorno tardomedievale, l’orizzonte geografco dell’opera è strettamente
ancorato alla dimensione cittadina. La prospettiva assunta dall’Autore rimane
aquilana anche quando sono trattati episodi di storia politica generale, tanto
che le vicende degli stessi sovrani appaiono essere solo uno sfondo sul quale si
stagliano quelle locali, cui l’Autore conferisce talvolta un potere condizionante
eccessivo. Ad esempio, secondo Buccio di Ranallo la battaglia di Tagliacozzo si
risolse in un successo per Carlo I d’Angiò solo grazie all’intervento degli aquilani,
contattati segretamente dal re in persona (strr. 97-137, pp. 31-44).
Al di là degli eccessi, comuni a tanta cronachistica tardomedievale, la crona-
ca di Buccio possiede un valore rilevante come fonte storica. L’opera è infatti rite-
nuta sostanzialmente affdabile dagli storici e, soprattutto, costituisce in molti casi
l’unica fonte a disposizione per l’indagine sulla città de L’Aquila dalla fondazione
ai decenni centrali del Trecento. Questa cronaca, a parte la testimonianza su fatti
e personaggi aquilani e non, ci offre uno spaccato della società, dell’economia
e della mentalità di un centro urbano del Mezzogiorno angioino alla metà del
secolo XIV. Il punto di vista dell’Autore è quello dell’intera cittadinanza aquilana,
della quale diventa voce tanto autorevole da permetterci di considerare la cronaca
«l’autobiografa critica di una collettività per bocca di un suo membro», come è
stata defnita da De Matteis (p. xv). Sebbene le autorità cittadine non abbiano
mai riconosciuto la cronaca come ‘storia uffciale’ de L’Aquila, affdandosi ad
Recensioni 3

altri mezzi per la coltivazione della memoria e il consolidamento dell’identità


collettiva, a confermare il valore dell’opera è la tradizione storiografca locale
che da essa ha preso le mosse, per essere coltivata fno alla fne del secolo XV
ed essere ripresa e modifcata nei secoli successivi, fno alla grande opera erudita
di Anton Ludovico Antinori, primo editore di questa cronaca per le Antiquitates
Italicae Medii Aevii del Muratori (tomo VI, 1742, coll. 529-704).
Con questa nuova edizione, la Fondazione Ezio Franceschini contribuisce
alla diffusione ulteriore di questa opera, affdandone la cura a uno studioso che
si è a lungo occupato di Buccio di Ranallo. De Matteis premette al testo un
insieme di contributi critici che rendono conto dell’importanza della cronaca
aquilana e delle sue caratteristiche. Il volume si apre con una lunga Introduzione
(pp. vii-xl), che non consiste in una semplice presentazione del testo e del suo
Autore, ma in un saggio complesso e articolato in cui sono presi in esame la
tecnica versifcatoria di Buccio, la sua abilità nell’utilizzo delle forme metriche
scelte, l’apporto linguistico della cronaca e molti altri aspetti. Nella Nota bio-
bibliografca seguente (pp. xli-l), il De Matteis discute del proflo sociale dell’Au-
tore e ripercorre le tappe della fortuna storiografca della cronaca, dagli scrittori
aquilani del primo Cinquecento alla recente inclusione nelle antologie e nelle
storie della letteratura italiana. La successiva Nota al testo si compone di cinque
parti, a cominciare dalla ricostruzione della complessa storia de La tradizione e
le edizioni moderne a stampa (pp. liii-lxi). Dopo la descrizione codicografca e
paleografca dei sei manoscritti che ci hanno tramandato la cronaca (I testimoni,
pp. lxi-lxviii), il Curatore propone una dettagliata e innovativa disamina dei
Rapporti fra i testimoni (pp. lxviii-cxii). Nel paragrafo successivo (L’identità dei
copisti e la scelta del testo di riferimento, pp. cxii-cxxi), il De Matteis dichiara la
scelta del testimone di base che, diversamente dal De Bartholomaeis che scelse
la copia quattrocentesca conservata nell’Archivio di Stato de L’Aquila (Archivio
Civico Aquilano, S-72), è il codice conservato nella Biblioteca Palatina di Parma.
Pur non essendo la copia più antica, il De Matteis opera questa scelta poiché «il
suo testo appare complessivamente più corretto degli altri» (p. cxiv). La Nota si
chiude con una analisi, anch’essa innovativa e dettagliata, de La lingua e i criteri
grafci dei testimoni (pp. cxxi-cxxix). Infne, la parte introduttiva si chiude con
una articolata Bibliografa (pp. cxxxi-cliii).
L’edizione del testo (pp. 1-386) è supportata da un apparato critico notevole,
nel quale sono segnalate puntualmente le differenze fra i testimoni, vengono
parafrasate e ‘tradotte’ alcune espressioni di diffcile comprensibilità e spiegate
alcune forme grammaticali. Inoltre il Curatore non manca di fare luce su alcuni
episodi e personaggi trattati nel testo, operando spesso confronti con altri cro-
nisti, in particolare Giovanni e Matteo Villani, ma anche Domenico da Gravina
e altri.
Il volume si chiude con altri strumenti d’apparato: un Glossario (pp. 387-
431), l’Indice dei nomi di persona e di luogo citati nel testo (pp. 435-443) e l’Indice
degli autori, delle opere e degli studiosi (pp. 445-452).

PieRluigi TeRenzi

Potrebbero piacerti anche