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LUIGI MATT

PROFILO GRAMMATICALE DEL ROMANESCO


DI QUER PASTICCIACCIO BRUTTO DE VIA MERULANA

Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (1957) è l’opera di Carlo


Emilio Gadda, e uno dei testi dell’intera narrativa novecentesca, in
cui i dialetti – a cominciare dal romanesco, esibito sin dal titolo – hanno
il peso maggiore. La peculiare scrittura plurilinguistica dell’autore, for-
mata da componenti di diversa provenienza spesso messe a contatto (tra
cui arcaismi, latinismi, forestierismi, tecnicismi), nel romanzo si arricchi-
sce come non mai di elementi regionali; questi ultimi costituiscono lo
strumento privilegiato per la rappresentazione del «ribollente calderone
della vita» 1 nella Roma dei primi anni del Fascismo (la vicenda narrata
si svolge nel 1927). Tale rappresentazione è il principale scopo del testo,
di là dalla trama del giallo (si seguono le indagini su una rapina e un
omicidio avvenuti in un palazzo del ‘‘generone’’), peraltro destinato a
rimanere senza una vera soluzione.
Più intensamente praticati che nelle altre opere gaddiane sono anche
i meccanismi di plurivocità: i cambiamenti continui di punto di vista e le
frequenti sovrapposizioni tra la voce narrante e le voci dei personaggi
raggiungono a tratti livelli di complessità che non sembrano avere eguali
nella narrativa italiana. Nonostante alcuni validi studi 2, siamo ancora
molto lontani dall’avere un’analisi soddisfacente della polifonia del Pa-
sticciaccio; un contributo utile a compiere qualche passo avanti in tale
direzione, come mi riprometto di mostrare in un’altra occasione, può ve-
nire proprio dallo studio dell’uso dei dialetti nel romanzo.
Il romanesco è il dialetto di gran lunga più importante nell’economia
del romanzo, ma il testo dà un certo spazio anche ad altre varietà regio-

1 La definizione si deve a CALVINO, p. 1077.


2 Mi limito a segnalare i più rilevanti: GRASSI, pp. 39-54; CANE, pp. 97-118; SEGRE,
pp. 27-44.
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nali 3. Un posto di rilievo è occupato in particolare dal napoletano e dal


veneziano. Il primo è parlato dal personaggio del dottor Fumi, capo del-
la squadra investigativa, presente soprattutto in scene di interrogatorio,
in cui a volte ha uno spazio di rilievo; il secondo dalla signora Menegaz-
zi, vittima di una rapina nel palazzo di via Merulana. In entrambi i casi,
il dialetto compare non solo nei dialoghi, ma anche nella narrazione,
grazie al discorso indiretto libero. Più complessa è la resa linguistica
del personaggio principale, il molisano commissario Ingravallo, il quale
si esprime soprattutto, come si legge all’inizio del romanzo, «contami-
nando napolitano, molisano e italiano» 17 4, ma che in varie occasioni
pronuncia battute schiettamente romanesche, come le seguenti: «Che
vòi? Che te sta succedenno?» 56; «‘‘Sete na massa de burini!’’ minacciò.
‘‘Brutti caprari de la Sgurgola!’’» 60; «Mo te crescheno in testa!» 65.
È da notare inoltre che non tutti i personaggi sono caratterizzati dal
dialetto: l’eccezione più rilevante è costituita dal brigadiere Pestalozzi,
piemontese, che parla un italiano privo di connotazioni regionali, solo
a tratti punteggiato da colloquialismi o viceversa da espressioni di stam-
po burocratico. Anche il capufficio di Giuliano Valdarena (il cugino di
Liliana, la donna assassinata), interrogato dalla polizia risponde in un
italiano che, in mancanza di altre indicazioni, non lascia capire la sua
provenienza, la quale resta imprecisata.
La maggior parte dei personaggi parla in romanesco. Il dialetto della
capitale, è importante sottolineare, è attribuito anche ai personaggi che
provengono da altre zone del Lazio come il «Biondone de Terracina» 88
e i numerosi nativi dei Castelli Romani. Se si eccettuano due voci verbali
usate da un giovanissimo indagato, Ascanio, e da sua nonna (entrambi
abitanti della frazione del Torraccio, nel comune di Grottaferrata),
emo ‘abbiamo’ 255 e stemo ‘stiamo’ 257 5, e un chelle ‘quelle’ 272 pro-

3 Un caso a parte è quello dei numerosi toscanismi, non solo lessicali ma anche fo-

nomorfologici, che non appartengono alla voce di un personaggio ma si inseriscono epi-


sodicamente nel narrato, come del resto avviene pressoché in tutte le opere gaddiane.
Qualche esempio: si ammencia 157, bacı̀o 195, bubbolava 32, a bruzzico 189, catorbia
157, dittaggi 93, pippolo 199, sciàvero 157, sdruci 235, strulli 142, tarchiana 224, veggio
107, zane 267; d’i’ ccavallo 198, su i’ mmuso 198, a i’ sudicio 230, È s’era involato 192, e’
dicevano 267, icché voleva 156, dicano indicativo 158.
4 Tutte le citazioni dal Pasticciaccio, che faccio seguire dal solo numero di pagina,

sono tratte da GADDA 1989, pp. 15-276 (pur non trattandosi di un’edizione critica il te-
sto lı̀ edito è molto affidabile); alle pp. 281-460 si legge la prima redazione del romanzo.
5 Su queste forme, proprie del Lazio meridionale, ha richiamato l’attenzione PI-

NOTTI 1983, pp. 621-622. Va peraltro notato che la forma emo, come del resto ricorda
lo stesso studioso, compariva più volte nella prima versione del romanzo, in bocca a per-
sonaggi romani: almeno in un primo momento, Gadda la deve aver erratamente ritenuta
propria del romanesco.
IL ROMANESCO DEL PASTICCIACCIO 197

nunciato da una ex domestica di Liliana, Assunta (di Tor di Gheppio),


tutte forme inserite all’interno di discorsi per il resto interamente con-
dotti in puro romanesco, Gadda rinuncia a far parlare alcuni degli attori
principali del dramma nel modo che nella realtà dovrebbe essere loro
proprio. Solo verso la fine del romanzo, quando le indagini si svolgono
nella zona di Marino, compare un «tizio, che doveva essere pratico di
quella zona» 266, che si presenta con una battuta in cui si notano tratti
meridionali («Lu paese della Pavona è chillu» 268), per poi proseguire
in romanesco. Queste incongruenze, a mio avviso, hanno una spiegazio-
ne assai semplice: Gadda non sarà stato in grado di riprodurre efficace-
mente varietà regionali di cui non avrà avuto che una conoscenza molto
superficiale (e lo stesso discorso vale per Ingravallo, il cui linguaggio va-
riegato permette all’autore di evitare una resa precisa del molisano quasi
certamente non alla sua portata).
Alcune figure, appartenenti a strati sociali più elevati, possono alter-
nare frasi in italiano e in romanesco. È il caso in particolare del com-
mendator Angeloni (vicino di casa dell’uccisa inizialmente inquisito dal-
la polizia) e di Valdarena, oltreché della stessa Liliana, la cui voce però
risuona solo nel ricordo di altri. Ma anche nei discorsi dei personaggi
esclusivamente dialettofoni si possono trovare singole forme di lingua;
ciò non deve sorprendere, dato che a Roma, notoriamente, anche gli
strati sociolinguisticamente più bassi utilizzano un dialetto che può facil-
mente essere permeato di elementi propri dell’italiano. Gibellini ha no-
tato nei dialoghi del Pasticciaccio «Un gioco di continuo trascolorare tra
diversi ‘strati’ di romanesco, più o meno arcaico, più o meno discosto
dalla lingua» 6, per cui si hanno alternanze come andato/annato/ito, an-
dò/annò/agnede, altro/antro/artro. È però opportuno precisare che tale
ricchezza di soluzioni non dipende solo dalla nota propensione gaddiana
per la variatio, ma è il riflesso della polimorfia propria del parlato popo-
lare a Roma, ben riprodotta dall’autore 7.
Ma è necessario passare dai discorsi generali alle analisi particolari.
Quali caratteristiche ha, in dettaglio, il romanesco messo sulla carta dal
milanese Gadda? A tal proposito, un’interpretazione molto diffusa tra i
critici parla di un dialetto che non riflette in nessun modo gli usi concre-
ti, un dialetto prevalentemente esemplato sui Sonetti di Belli (a cui Gad-
da ha dedicato un importante saggio, fornendo una lettura del poeta

6 GIBELLINI, p. 171.
7 Quanto affermato da SERIANNI, p. 314, a proposito di analoghe oscillazioni in
Belli, le quali riflettono «un dialetto che, anche ai livelli più popolari, era in stretto con-
tatto con varietà diastratiche più alte», varrà tanto più per la Roma novecentesca.
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fortemente simpatetica). In altra sede ho cercato di mostrare, sulla base


di una prima analisi del lessico romanesco del Pasticciaccio, come tale
interpretazione non appaia corretta 8: tra gli intenti espressivi del roman-
zo – almeno nella seconda versione 9 – un posto importante ha la mimesi
del parlato della Roma degli anni Venti, come dimostra tra l’altro la
grande presenza di parole di diffusione postunitaria a fronte delle non
molte riprese certe da Belli.
Nel presente lavoro mi propongo di tratteggiare un profilo gramma-
ticale il più possibile completo del romanesco gaddiano 10, allo scopo di
ricavare i dati necessari per meglio intendere come ha lavorato l’autore,
e quali risultati ha raggiunto nel cimentarsi con una scrittura dialettale
che, diversamente da quanto capita per il milanese dell’Adalgisa e di al-
tre opere coeve, non può basarsi sulla sua competenza attiva di parlante.
Qui di seguito viene proposta una classificazione degli elementi ro-
maneschi rinvenibili nel Pasticciaccio, a livello grafico-fonetico, morfolo-
gico e sintattico 11, per ognuno dei quali si forniscono i dati utili ad un
inquadramento storico ricavabili da studi e dizionari 12. I riscontri saran-
no limitati al dialetto da Belli in poi, dato che si può escludere a priori
un’influenza su Gadda della letteratura romanesca prebelliana, a lui pro-
babilmente poco o per nulla nota 13.

8 Cfr. MATT 2010b.


9 Nella prima redazione, uscita in rivista nel 1946, il romanesco era molto meno
credibile. Ciò sarà dovuto non solo ad una minore conoscenza da parte dell’autore
(che peraltro, com’è noto, per l’edizione in volume si è poi servito dell’aiuto di un con-
sulente di rara competenza come Mario Dell’Arco), ma anche a intenti espressivi piut-
tosto diversi: non è forse eccessivo affermare, come fa PINOTTI 2004, p. 202, che nella
stesura originaria Gadda si proponeva di dar vita ad un «macaronico romanesco audace
e beffardo».
10 Pochi, e di taglio parziale, sono i contributi finora disponibili in materia; cfr. PI-

NOTTI 1983 (rassegna delle principali differenze tra le due versioni del romanzo), PINOTTI
2004 (analisi di un brano della prima redazione), MATT 2006, pp. 106-111 (analisi di un
brano della versione definitiva).
11 Da precisare che alcuni dei fenomeni sintattici non sono affatto esclusivi del ro-

manesco, ma si possono facilmente rinvenire nell’italiano popolare; ciò non toglie che
Gadda li possa utilizzare efficacemente per caratterizzare il parlato dialettale.
12 Integrati quando necessario dalla consultazione della LIZ per Belli, e da spogli

personali per Trilussa (citato dall’ed. di Costa e Felici), autore cui si è prestata partico-
lare attenzione, essendo il principale esponente della letteratura dialettale nella Roma dei
primi decenni del Novecento, periodo in cui è ambientato il romanzo. Per i luoghi bel-
liani si indicano sonetto e verso; per quelli trilussiani sezione, componimento e verso.
13 Con l’eccezione della Cronica dell’Anonimo Romano, richiamata nel testo, che

però non può naturalmente costituire una fonte per la riproduzione del romanesco mo-
derno.
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1. Generalizzato è l’esito ò tonica (da Ŏ) in sillaba aperta, in luogo


del dittongo: banderola 66, batticore 99, bona 36, 45, 48 e passim, bone
77, 98, 119 e passim, boni 43, 76, 175 e passim, bono 46, 66, 87 e pas-
sim, core 36, 54, 90 e passim, dole 182, domo ‘duomo’ 255, fochi 125,
176, foco 19, 34, 69, fori o fòri ‘fuori’ 19, 77, 132 e passim, galantomo
35, 90, lenzoli 103, moro ‘muoio’ 182, move 275, movese 97, movono
92, nova 117, 188, 204 e passim, novo 98, 132, 179 e passim, omo 63,
67, 79 e passim, ova 254, ovo 150, 152, 191 e passim, po ‘può’ 19,
31, 38 e passim, poveromo 87, rota 52, 66 112, rote 58, 141, scola
265, scotere 26, scoterlo 87, socera 77, socere 77, socero 65, 95, 96 e pas-
sim, sòla ‘suola’ 69, 98, vòi ‘vuoi’ 56, 162, 241, vole e vòle 96, 201, vota
‘vuota’ 262, vòto ‘vuoto’ 147; inoltre bon 121, 203, 262, vor ‘vuole’ 244,
vordı̀ ‘vuole dire’ 170. Il fenomeno è comunissimo in romanesco, da Bel-
li ad oggi 14.
2. Il dittongo da Ĕ tonica in sillaba aperta, regolarmente presente, è
esteso in posizione atona in vienı̀ 179, 182; si tratta di una forma ben
attestata in Belli 15. In chirichetto 52, 184, invece, il dittongo di riduce
ad i; di tale forma si conoscono esempi di Belli, Zanazzo e Trilussa 16.
3. In deto 243, da cui detoni 55, si ha e tonica in luogo di i. Deto è
forma comune in Belli, ben attestata in Trilussa e presente ancora in
Dell’Arco 17; dell’accrescitivo detone si rintraccia un esempio belliano 18.
4. In alcune parole si registra la mancata chiusura di o in u per ana-
fonesi: ciaggiontò ‘ci aggiunse’ 218, ingrognato 171, 261, longa 180, 218,
longo, 72, 128, ogne ‘unghie’ 259. Il fenomeno, presente in Belli 19, sem-
bra in declino nel romanesco novecentesco; ma Trilussa usa ancora lon-
go ed ogna, e in Dell’Arco si trovano aggionta, longa e ogna 20. Molto
dubbia la forma ingrognato, per cui non sembrano esserci riscontri in
romanesco, che sembra conoscere solo la variante con u: nella prima oc-
correnza può essere interpretata come un napoletanismo, dato che il
punto di vista adottato dal narratore parrebbe essere quello di Fumi;
ma nella seconda è inserita in un discorso indiretto libero in romanesco.

14 Cfr. TELLENBACH, p. 22; VIGNUZZI, p. 746; TRONCON - CANEPARI, p. 40; D’ACHILLE -

GIOVANARDI, p. 21.
15 Cfr. TELLENBACH, p. 19; VIGNUZZI, p. 746. Da notare che VACCARO 1971 accoglie

vienı̀ a lemma insieme a venı̀, ma poi non fornisce esempi utili (lo stesso avviene in
RAVARO).
16 Cfr. VACCARO 1969, s.v.; VACCARO 1971, s.v.
17 Cfr. VACCARO 1969, s.v.; VACCARO 1971, s.v.; D’ACHILLE 2006, p. 58.
18 Cfr. VACCARO 1969, s.v.; l’accrescitivo è registrato in CHIAPPINI, mentre è igno-

rato da RAVARO.
19 Cfr. TELLENBACH, pp. 23, 24; VIGNUZZI, p. 746.
20 Cfr. VACCARO 1971, s.vv.; D’ACHILLE 2006, p. 63.
200 LUIGI MATT

5. La e protonica si conserva in dedietro 41, ed è sistematica in fone-


tica di frase (cfr. oltre, §§ 57, 62). Fenomeno comune, da Belli ad oggi 21.
6. In vari casi si ha la chiusura di e protonica in i: arigalò 185, dilicata
254, dilitto 141, 170, 265, dinotò 115, impirica 148, infisèmo 260, istate
242, nissuna 177, nissuno 166, 170, 184 e passim, rigalà 115, rigalate
163, rigalato 138, 162, 167 e passim, siconno 66, 128, 145 e passim, sin-
nò 33, 170, 172 e passim. Fenomeno presente in Belli, ed ancora rintrac-
ciabile in Trilussa e Dell’Arco 22; da precisare che le forme impirica ed
infisèmo non sembrano aver riscontri in romanesco.
7. In varie forme a protonica passa a e: giovenotti 72, giovenotto 249,
regazza 65, 96, 97 e passim, regazze 130, 150, 176 e passim, regazzine
127, regazzini 46, 80, 205, regazzino 35, 45, regazzo, 65, 164, 166 e pas-
sim, sigheretta 17, 70, 124 e passim, sigherette 66, 158, 180, tresteverino
165; un caso a parte è quello di perucca 63 23. Si trova i in luogo di a in
anniscosta 243, anniscosto 243, ariccontato 164, 244, arriccomanno 47,
ducentodicinnove 19, 27, 41 e passim, giovinotto 35, 107, 144, inguille
257, rigazze 164, rissomija 54. Entrambi i fenomeni si rintracciano in
Belli, e sono ancora presenti in Trilussa 24; delle forme impiegate da
Gadda, l’unica che appare senza riscontri in romanesco è giovinotto, pe-
raltro presente nel parlato di un personaggio romano.
8. È frequente la chiusura di o protonica in u: bifurcazione 158, cusı̀
274, funtana 180, funtanella 180, futtute 88, giucato 242, giucava 141, in-
duvinà 243, inturcinà 55, spurcacciona 206, umbrello 163, vulemo 204, vu-
levo 113 (inoltre, cfr. § 68). Fenomeno comune in Belli, in regresso nel
Novecento ma ancora ben presente in Trilussa e Dell’Arco 25. In un caso
il passaggio ad u si verifica in posizione postonica, fatto inusitato in ro-
manesco: Calı̀gula 255. L’esito u si può avere anche da a-, au- ed eu-:
uprisse 262, utorità 127, Uropa 128; queste forme si ritrovano in Belli 26,
ma sembrano uscire dall’uso nel Novecento. Si ha infine tudesco 151, for-
ma che sembra sconosciuta al romanesco; peraltro il contesto non per-
mette di stabilire con certezza se Gadda la intenda come dialettale.

21 Cfr. TELLENBACH, pp. 28-29; V IGNUZZI, p. 746; TRONCON - CANEPARI, p. 36;

D’ACHILLE - GIOVANARDI, p. 21.


22 Cfr. TELLENBACH, p. 29; VIGNUZZI, p. 746; VACCARO 1971, p. 97; D’ACHILLE

2006, p. 63. Il fenomeno è studiato dettagliatamente da SERIANNI, pp. 302-308.


23 Su cui cfr. MATT 2010a, p. 157 n.
24 Cfr. TELLENBACH, p. 27; VIGNUZZI, p. 747; VACCARO 1971, p. 96.
25 Cfr. TELLENBACH, pp. 33-34; VIGNUZZI, p. 747; VACCARO 1971, p. 99; D’ACHILLE

2006, p. 63. D’ACHILLE - GIOVANARDI, p. 91, indicano l’alternanza o/u come un tratto
del romanesco contemporaneo.
26 Cfr. VACCARO 1969, s.vv. uprı̀, utorità; di Uropa si rintracciano due esempi grazie

alla LIZ. Un’attestazione di Chiappini di uprı̀ è citata da RAVARO, s.v.


IL ROMANESCO DEL PASTICCIACCIO 201

9. Si ha e protonica in luogo di o in presciuttino 45, presciutto 42, 44,


46 e passim. La forma presciutto (o, con diversa grafia, preciutto) è co-
mune in romanesco, ben attestata in Belli e in Trilussa, presente in Del-
l’Arco 27.
10. Si ha o protonica in luogo di i in ciovetta 177, 241, 244; la forma
è attestata in Belli, e ancora presente in Trilussa 28. Al contrario accade
in ritonna 163, ritonni 132; l’aggettivo ritonno sembra attestato nel solo
Belli, ma il sostantivo ritonna è comune nel romanesco fino almeno a
Trilussa come nome popolare del Pantheon 29.
11. Il passaggio di a postonica in e, oltre che nelle desinenze verbali,
in cui è sistematico (cfr. §§ 71, 73), si ha solo in Stefeno 261; il fenomeno
è comune in Belli e ancora in presente in Trilussa 30. La chiusura può ar-
rivare ad i: moniche 18, 30, 50 e passim, stommico 175; entrambe le for-
me sono presenti in Belli e Trilussa 31. Ad un errore di Gadda si dovrà
l’inesistente giovini 126, messo in bocca ad un personaggio dialettofono.
12. Costante è il raddoppiamento di b in posizione intervocalica (o
tra vocale e r): abbitudine 96, Amabbile 261, arubbà 177, automobbile
129, 261, 262, automobbili 77, 163, carabbinieri 244, debbita 254, decùb-
bito 275, incredibbile 29, invidiabbile 95, Labbicana 51, labboratorio 146,
244, libbretti 88, libbretto 249, mobbile 77, mobbili 89, nobbile 79, nob-
bili 74, nubbile 53, papabbraschi 25, 65, proibbiti 135, proibbito 79, 167,
robba 19, 45, 72 e passim, rubbà 40, 149, rubbato 89, sensibbilità 127,
subbito 56, 57, 77 e passim, terribbile 128, tribbù 253, vocabbolari
264. Fenomeno comunissimo, da Belli ad oggi 32.
13. Un unico caso di raddoppiamento di d si ha in gioveddı̀ 64. In
Belli è comune la forma giuveddı̀ 33, mentre la variante adottata da Gad-
da si trova in Trilussa e anche in Zanazzo 34. Tale pronuncia sembra an-
cora oggi vitale a Roma 35.
14. È corrente il raddoppiamento di ğ in posizione intervocalica: ag-
genti 64, 256, astrologgichi 151, Chiggi 73, 87, 90, Colleggio 55, cuggina

27 Cfr. VACCARO 1969, s.v.; VACCARO 1971, s.v.; RAVARO, s.v.


28 Cfr. VACCARO 1969, s.v.; VACCARO 1971, s.v.
29 Cfr. VACCARO 1969, s.vv.; RAVARO, s.vv.
30 Cfr. TELLENBACH, p. 27; VIGNUZZI, p. 747; VACCARO 1971, p. 96. Riguardo al no-

me Stefeno non si hanno riscontri; Belli, come si ricava dalla LIZ, adotta la forma Stifino.
31 Cfr. VACCARO 1969, s.vv.; VACCARO 1971, s.vv.
32 Cfr. T ELLENBACH, p. 50; V IGNUZZI, p. 747; TRONCON - CANEPARI, pp. 48-49;

D’ACHILLE - GIOVANARDI, p. 20.


33 Cfr. VACCARO 1969, s.v.
34 Cfr. VACCARO 1971, s.v.; RAVARO, s.v.
35 D’ACHILLE 1995, p. 41, cita una forma analoga (luneddı̀).
202 LUIGI MATT

218, cuggini 89, 256, damiggiana 146, deggià 58, diggiunà 128, diggiuno
261, egreggio 135, indaggine 127, Luiggia 100, 102, oggiggiorno 60, or-
loggione 191, orologgio 107, paggina 72, Pariggi 182, piggione 165, pre-
stiggio 184, raggione 127, 131, riggida 127, staggione 253, 254, 255, va-
ligge 133, viggija 176. Fenomeno comune, da Belli ad oggi 36. In poche
forme, invece, ğ passa a č (o meglio š: cfr. § 35): bucı̀a 244, buciarda 224,
249, bucie 132. Bu(s)cia e derivati sono forme comuni in Belli e ancora in
autori novecenteschi 37. Dopo consonante si ha esito č in aranciasse ‘ar-
rangiarsi’ 170, francia 103; un esempio di aranciasse si trova in Zanazzo,
mentre francia è forma ben attestata in Belli e presente ancora in Del-
l’Arco 38.
15. In baulle 125 si nota il raddoppiamento di l; si hanno a riscontro
forme simili attestate in Belli (baullo) e Trilussa (bavulle) 39. Al contrario
si ha scempiamento in alegra 255, alegrotto 64, alora 269 (lo scempia-
mento è sistematico nelle preposizioni articolate e nei dimostrativi:
cfr. §§ 58, 63). In Belli e Trilussa è ben attestato alegro 40; nulla si ricava
da repertori e studi riguardo ad alora, che peraltro si ritrova in Una vita
violenta di Pasolini 41.
16. Frequente è il raddoppiamento di m postonica nei proparossito-
ni: cammera 179, cammere 77, commodo 45, 97, 176 e passim, gommito
242, nummeri 58, 135, 141, nummero 123, 161, ommini 89, 97, 128 e
passim, stommico 175, trammite 128, vommito 55; in alcuni casi il rad-
doppiamento si verifica in posizione protonica: cammerini 77, cammino
‘camino’ 151, commare 88, commò 19, stammattina 41. Fenomeno co-
mune, da Belli ad oggi 42. Il contrario avviene in imaginava 244 (all’in-
terno di un discorso indiretto libero tutto condotto in dialetto), forma
sconosciuta al romanesco.
17. Un caso di raddoppiamento di n è Giannicolo 55. La forma è
attestata in autori novecenteschi come Dell’Arco e Aldo Fabrizi 43.

36 Cfr. VIGNUZZI, p. 749; TRONCON - CANEPARI, p. 49; D’ACHILLE - GIOVANARDI,


p. 20.
37 Cfr. VACCARO 1969, s.v. bucia e sgg.; RAVARO, s.v. bucia e sgg. In Trilussa la

forma è assente, in quanto per rendere il concetto l’autore utilizza un altro termine (fre-
scaccia: cfr. VACCARO 1971, p. 366).
38 Cfr. RAVARO, s.v. arancià; VACCARO 1969, s.v. francia; D’ACHILLE 2006, p. 62.

Cfr. anche PASOLINI, p. 171 (m’arancio).


39 Cfr. VACCARO 1969, s.v.; VACCARO 1971, s.v.
40 Cfr. VACCARO 1969, s.v.; VACCARO 1971, s.v.
41 Cfr. PASOLINI, p. 31.
42 Cfr. TELLENBACH, p. 44; VIGNUZZI, p. 751; D’ACHILLE - GIOVANARDI, p. 21.
43 Cfr. D’ACHILLE 2006, p. 59; COSTA 2001, p. 229. L’unico repertorio in cui è re-

gistrata è RAVARO, che allega solo un esempio settecentesco.


IL ROMANESCO DEL PASTICCIACCIO 203

18. In apperitivo 180, doppo 46, 101, 141, doppocena 65 si registra il


radoppiamento di p. Se doppo è una forma comune in Belli e ancora in
Trilussa e in Dell’Arco 44, per apperitivo, che non ha riscontri in roma-
nesco, verrebbe da pensare ad un errore di Gadda.
19. È piuttosto raro lo scempiamento di rr: aranciasse ‘arrangiarsi’ 170,
beretto 31, callarostare 252, ghitara 137, seratura 234, tera 176, Toraccio
139, vorebbe 122, 167. Il fenomeno, presente solo episodicamente in
Belli 45, molto probabilmente in linea con l’uso vivo del tempo, appare
in netta espansione dal secondo Ottocento ed è a tutt’oggi tipicissimo
del parlato di Roma 46; da notare che se in Trilussa è corrente, in Del-
l’Arco appare in modo tutt’altro che sistematico 47. Le scelte di Gadda
sono in quest’occasione antimimetiche. Non è facile stabilirne le ragioni;
ciò che si può dire sulla base dei pochi esempi, è che il fenomeno sem-
bra essere interpretato dall’autore come proprio del dialetto più popo-
lare: le forme con -r- sono infatti tutte inserite nel parlato di personaggi
totalmente incolti (o nel discorso indiretto libero orientato su di essi).
20. Si ha il raddoppiamento di t in brigattiere 240 e prottagonisti 88;
la prima forma è attestata in Belli e Zanazzo 48, mentre della seconda
non sembrano esistere tracce in romanesco. Viceversa si verifica scem-
piamento in domatina 252, fratanto 64, matina 67, 164, 261, matine
79, 125, quatrini 65, 73, 75 spetro 152, stamatina 45, 46. In matina e de-
rivati il fenomeno è corrente da Belli ad oggi 49. Quatrini è forma comu-
ne nella letteratura romanesca (ma non in Belli, che adotta la variante
quadrini), ancor oggi non del tutto scomparsa 50. Nessun risconto per
fratanto (Gadda avrebbe potuto far confusione con tratanto) e spetro,
che peraltro si trova in un conteso che non permette di stabilire con cer-
tezza se l’autore l’avvertisse o no come dialettale.
21. Costante la resa grafica del raddoppiamento di z tra vocale e jod:
agitazzione 82, aringrazzia 255, armistizzio 96, avarizzia 89, benedizzione
73, 252, coabitazzione 76, dazzio 137, direzzione 60, disposizzioni 57,
emozzionato 99, emozzione 31, esposizzioni 225, frazzione 256, Giudizzio

44 Cfr. TELLENBACH, p. 49; VACCARO 1971, s.v.; D’ACHILLE 2006, p. 59.


45 Cfr. VIGNUZZI, p. 749; P. TRIFONE, p. 77.
46 Cfr. TRONCON - CANEPARI, p. 46; D’ACHILLE - GIOVANARDI, p. 20.
47 Cfr. VACCARO 1971, p. 99; D’ACHILLE 2006, pp. 60-62 (lo studioso ipotizza che

l’accettazione non piena del fenomeno da parte di Dell’Arco vada spiegata con l’in-
fluenza dei poeti prebelliani).
48 Cfr. VACCARO 1969, s.v.; RAVARO, s.v.; è inoltre registrata in CHIAPPINI.
49 Cfr. VACCARO 1969, s.vv. domatina, matina, stammatina; D’ACHILLE - GIOVA-

NARDI, p. 21; TRONCON - CANEPARI, p. 61.


50 RAVARO, s.v.; VACCARO 1969, s.v. quadrino; TRONCON - CANEPARI, p. 61.
204 LUIGI MATT

98, giustizzia 170, 243, grazzia 137, 185, Ignazzio 181, infezzione 275, in-
flazzione 95, inspirazzione 124, ispirazzione 66, lezzione 73, Nazzionale
40, 66, negozzi 45, negozzio 256, notizzia 52, notizzie 77, novizzio 55,
orazzione 137, 175, parpitazzione 36, polizzia 28, 29, 94 e passim, preci-
pizzio 49, pulizzie 61, ramificazzione 77, rivoluzzione 95, servizzio 162,
189, 245 e passim, sfizzio 232, sistemazzione 101, stazzionaveno 56, staz-
zione 67, 180, strazzio 170, suggezzione 63, superstizzione 121, tentazzio-
ne 65, topazzio 51, 210, umiliazzione 170, vizziava 77. La pronuncia in-
tensa non è in sé un tratto distintivo del romanesco, essendo comune
all’italiano standard. Ad ogni modo, gli scrittori dialettali hanno per so-
lito scelto di usare una grafia che rendesse conto del fenomeno; ciò vale
tra gli altri per Belli, Trilussa e Dell’Arco 51.
22. Si ha scempiamento di vv in davero 78, 125, provede 64. Tanto
davero quanto le forme del verbo provedé sono comuni in Belli e ancora
in Trilussa 52; la prima si usa comunemente nella Roma di oggi 53.
23. Il passaggio di l preconsonantica a r si verifica sistematicamente:
arbero 243, Arfré 183, arivortatte 119, arivortò 201, arti ‘alti’ 55, 165, ar-
meno ‘almeno’ 168, arto ‘alto’ 98, artra 35, 72, 95 e passim, artre 87, 97,
112 e passim, artrettanto 129, 194, 236, artri 35, 65 88 e passim, artro
48, 51, 54 e passim, arzata 80, arzato 138, 246, 261, arzava 262, berza-
glieri 204, carcagni 175, carcagno 134, carma 97, carmante 132, carmò
101, carzette 245, carzonara 143, 145, 148, carzoni 34, 36, 46 e passim,
corpa 167, 203, 256, córpi ‘colpi’ 31, 36, corpo o córpo ‘colpo’ 79, 264,
cortellate 72, cortelli 254, 255, 256, cortello 68, 170, 183 e passim, dorci
64, finarmente 54, 73, 275, furmine 42, imbarsamato 151, mercordı̀ 261,
mortipricati 256, ortre 244, parma 16, parpebre 184, 225, 265, parpitaz-
zione 36, pormonare 260, pormoni 54, 101, portrone 69, porvere 128, pur-
ce 77, quarc’ 72, quarche 19, 41, 45 e passim, quarcheduna 146, 155,
quarchiduna 150, quarchiduno 42, quarcuna 51, 135, quarcuni 264, quar-
cuno 39, 42, 80 e passim, revòrvere 35, sarto ‘salto’ 122, sarvo 128, scar-
cagnati 156, scarpelli 88, scarpello 136, scerta 66, 181, scerto 269, sercio
41, sordato 46, sordi o sòrdi ‘soldi’ 77, 95, 128 e passim, sortanto 127,
stavorta 95, sverto 184, 243, svorta 263, svortando 263, urtima 164, urti-
mi 185, varvola 69, varvole 69, 179, vorta 35, 41, 45 e passim, vorte 45,
46, 65 e passim. La rotacizzazione avviena anche in fonosintassi: ber 97

51 Cfr. TELLENBACH, p. 42; VIGNUZZI, p. 749; COSTA 2004, p. LIII; D’ACHILLE 2006,
p. 59.
52 Cfr. VACCARO 1969, s.vv.; VACCARO 1971, s.vv.
53 Cfr. TRONCON - CANEPARI, p. 150.
IL ROMANESCO DEL PASTICCIACCIO 205

(ber quartierino), 121 (ber vecchietto), 128 (ber po’) e passim, vor dı̀ 244,
vordı̀ 170. Fenomeno comune, da Belli ad oggi 54.
24. Dopo consonante, l passa a r in ingresa 171. Il fenomeno, rela-
tivamente comune in Belli, è ancora ben presente in Trilussa 55.
25. È relativamente frequente il passaggio di s a z dopo liquida o na-
sale: borzetta 167, conzigli 141, conziglio 202, conzigliò 133, inzieme 98,
inzomma 146, penzi 203, penzieri 191, 264, penzo 204, perzone 169, per-
zuasa, 183, 274, perzuaso 179; il fenomeno può verificarsi anche in fono-
sintassi: non zaprei 36, ar Zignore 169, sicché ’r Zignore 169, nun zo 149.
Fenomeno comune, da Belli ad oggi 56, anche se autori come Trilussa e
Dell’Arco scelgono di non renderlo graficamente 57; nel Pasticciaccio ap-
pare nel complesso un po’ sottorappresentato 58.
26. L’assimilazione progressiva ld > ll è limitata, con una sola ecce-
zione (Vallarena 57), a callo ‘caldo’ e derivati: callaraccio 142, callaro
151, callarostare 252, callo 96, 182, scallano 243. Il fenomeno, comune
in Belli 59, è in forte regresso nel Novecento, ma resiste bene in callo
e derivati, forme a tutt’oggi presenti nel parlato di Roma 60.
27. L’assimilazione progressiva mb > mm si ha solo in gamme 101,
128, 135, Palommella 41, sgommero 96. Il fenomeno, comune in Belli,
è in regresso nel romanesco novecentesco; in Trilussa è frequente ma
non sistematico, mentre in Dell’Arco residua solo in poche forme (tra
cui gamme) 61. L’esito è invece bb in ribbambita 170; si tratta verosimil-
mente di una forma diffusa nel Novecento 62.
28. È sistematica l’assimilazione progressiva nd > nn: accenne 52,
186, accennela 132, annà 46, 47, 48 e passim, annacce 63, annai 117, an-
naje 67, annamo 115, 257, annata ‘andata’ 61, 63, 73 e passim, annate
‘andate’ 138, annati 90, annato 46, 57, 133 e passim, annava 18, 61,

54 Cfr. TELLENBACH, p. 43; VIGNUZZI, p. 748; TRONCON - CANEPARI, p. 46; D’ACHILLE -

GIOVANARDI, pp. 20-21.


55 Cfr. VIGNUZZI, p. 748; in VACCARO 1971 sono registrate voci come crericale, frag-

gello, infruenza e anche ingrese.


56 Cfr. TELLENBACH, p. 46; TRONCON - CANEPARI, p. 55; D’ACHILLE - GIOVANARDI,

p. 20.
57 Cfr. COSTA 2004, p. LIII (che segnala alcune eccezioni); D’ACHILLE 2006, p. 59.
58 Cfr. gli esempi citati in MATT 2006, p. 110.
59 Cfr. TELLENBACH, p. 43; VIGNUZZI, p. 748.
60 Cfr. D’ACHILLE 1995, p. 41; P. TRIFONE, p. 109.
61 Cfr. TELLENBACH, p. 46; VIGNUZZI, p. 748; VACCARO 1971, p. 96; D’ACHILLE

2006, p. 60.
62 L’unico riscontro utile è in ROLANDI, che accoglie il verbo ribbambisse. Nel dia-

letto tra fine Ottocento e primo Novecento è esistita la forma aribbambito, registrata in
CHIAPPINI e attestata in Zanazzo (cfr. RAVARO, s.v.); in Trilussa, invece, si trova arimbam-
bito (cfr. VACCARO 1971, s.v.)
206 LUIGI MATT

64 e passim, annaveno 77, 80, annò 101, 117, appennolone 18, arisponne
183, arispponneje 169, arricomanno 47, bionna 144, 145, bionno 28, 92,
108 e passim, ciannàveno 146, fonni 110, 123, fonno 19, 45, 88 e passim,
granne 19, 52, 60, gronnare 51, intenne 52, 181, manna ‘manda’ 56,
mannà 45, 261, mannati 90, 128, mannato 56, 57, mannava 51, mappa-
monno 91, 160, merenna 128, monnezza 28, monnezzaro 151, monno 48,
54, 88 e passim, mutanne 57, 125, 152, ’nnamo 92, pennolone 257, quan-
no 16, 19, 31 e passim, quinnicianni 183, raccomanno 119, 121, ritonna
163, ritonni 132, seconno 63, 114, 134, siconno 66, 128, 145 e passim,
stennarello 220, stenne 80, tonni ‘tondi’ 90, 162, 227, tonno ‘tondo’
185, venne ‘vende’ 163, 184, 185 e passim, vénneno 257, venneva
144, venneveno 253 (cfr. inoltre § 79). Fenomeno comune, da Belli ad
oggi 63.
29. Il passaggio di laterale palatale (o del nesso lj) a jod in posizione
intervocalica è costante: baccajà 39, battaja 255, bijetto 55, 137, bottija
80, bottije 54, cavajere 162, cavajeri 168, 254, cojone 42, cojonella 176,
consijeri 254, consiji 175, famija 19, 66, 76 e passim, fija 89, 136, 210;
fijetto 60, fiji 88, 96, 151, fijo 36, 114, 122, fojacci 262, foje 119, 262,
fojetta 41, 148, 242, fojo 183, maje 60, manija 262, medajetta 89, mejo
35, 50, 95 e passim, moje 35, 64, 74 e passim, ojo 152, pija 95, pijà
19, 43, 69 e passim, pijacce 137, pijasse 118, 122, 179, pijata 240, pijava
100, 125, pijaveno 136, 176, pijeranno 241, portafojo 123, 257, quaja 43,
rissomija 54, rivojo 95, sbaja 79, sbajanno 134, sbajo 180, 256, sbrojaveno
245, scioccaje 163, 211, 224 e passim, sfoja 220, squaja 72, squajassela
256, svejo 180, svojatura 45, tajarono 127, tajata 57 tajato 57, tajo 57, to-
vaja 182, viggija 176, vijaccone 170, voja 69, 96, 132 e passim, vojo 66,
97, 114 e passim. Inoltre è sistematico l’uso del clitico je (cfr. §§ 62, 78)
Fenomeno comune da Belli – che però utilizzava la grafia jj – ad oggi 64.
La grafia scelta da Gadda è quella più comune, adottata da autori come
Trilussa e Dell’Arco 65.
30. Corrente è il passaggio dei nessi nğ o nj a nasale palatale: gnente
43, 66, 89 e passim, magna 43, 254, magnà 40, 42, 43 e passim, magnata
s.f. 255, magnato 185, magni 176, magno 137, piagne 63, 92, 113 e pas-
sim, strigne 69, strigneva 150. Stesso esito si ha inoltre da n di fronte ad i
in gnissuno 179, da ng in ogne ‘unghie’ 259 e da nd in agnede ‘andò’ 180

63 Cfr. TELLENBACH, p. 45; VIGNUZZI, p. 748; TRONCON - CANEPARI, p. 49; D’ACHILLE -

GIOVANARDI, p. 21.
64 Cfr. TELLENBACH, p. 41; VIGNUZZI, p. 749; TRONCON - CANEPARI, p. 45; D’ACHILLE -

GIOVANARDI, p. 20.
65 Cfr. VACCARO 1971, p. 97; D’ACHILLE 2006, p. 59.
IL ROMANESCO DEL PASTICCIACCIO 207

e nelle forme del verbo scegne ‘scendere’: scegne 24, 49, 175 e passim,
scegnete 80, scegneva 80, 124, 254, scegneveno 61, 135. Fenomeno co-
mune, da Belli ad oggi 66. Esito diverso in guadambio 255, forma tipica
del romanesco, adoperata da Belli (che normalmente usa guadammio)
nel celebre sonetto El parlà cciovı̀le de ppiù, come ipercorrettismo, e at-
testata in Chiappini 67; in Trilussa è comune il verbo guadambià 68.
31. Con regolarità si trova r in luogo di jod da RJ: abbacchiaro 258,
Aliciaro 181, Bottaro 181, 182, bottegaro 96, callaraccio 142, callaro 151,
caprari 69, carzonara 143, 145, 148, chiavaro 91, cucchiarata 196, cucchia-
rò 161, fornaro 35, 183, 184, gronnare ‘grondaie’ 51, Maccheronaro 43,
140, 161 e passim, macellaro 35, 57, 100 e passim, magnaro 258, mercia-
ra 148, monnezzaro 151, moro ‘muoio’ 182, notaro 106, ostricaro 259,
par ‘paio’ 43, 99, 101 e passim, para ‘paia’ 134, pareno 115, paro ‘paio’
54, 126, 149, pastarellaro 258, pecoraro 27, 123, pesciaroli 257, pizzicaroli
35, 184, pizzicarolo 34, 35, 40 e passim, pollarola 144, pollaroli 257, pol-
larolo 136, 144, salumaro 45, scarparo 145, scoparo 64, stracciarolo 90,
vignarolo 245. Fenomeno comune, da Belli ad oggi 69.
32. Si ha sonorizzazione della velare in ghitara 137, ghitarra 152,
264. Scarsi i riscontri per queste forme (la seconda delle quali compare
peraltro in contesti che non permettono di interpretarla con certezza co-
me dialettale), comunque non inusitate in romanesco 70.
33. In ciavatta 141, ciavatte 144, 252, si trova v in luogo di b. Forma
comune, da Belli ad oggi 71.
34. In bucio ‘buco’ 151, 176, 214 si ha č (o meglio š: cfr. § 35) in
luogo di k. Forma corrente, da Belli ad oggi 72.
35. In un solo caso viene resa graficamente la pronuncia š in luogo di
č: Casale Abbrusciato 268. Il fenomeno fonetico, tra i più caratteristici
del romanesco 73, è rappresentato sistematicamente da Belli, mentre i
poeti successivi, compresi quelli che ne hanno adottato in parte la grafia
diacritica (come Chiappini e Zanazzo) hanno rinunciato a dar conto del
fenomeno 74.

66 TELLENBACH, pp. 42, 44, 49; VIGNUZZI, pp. 748, 749; TRONCON - CANEPARI,

p. 45; D’ACHILLE - GIOVANARDI, pp. 20, 21.


67 Cfr. RAVARO, s.v.
68 Cfr. VACCARO 1971, s.v.
69 Cfr. TELLENBACH, p. 17; VIGNUZZI, p. 749; TRONCON - CANEPARI, pp. 92-93.
70 La forma ghitarra è registrata in CHIAPPINI e attestata in Dell’Arco. Di ghitara e ghi-

tarra si trovano varie attestazioni in Una vita violenta (cfr. per es. PASOLINI, pp. 79, 148).
71 Cfr. VACCARO 1969, s.v.; RAVARO, s.v.; TRONCON - CANEPARI, p. 126.
72 Cfr. VACCARO 1969, s.v.; TRONCON - CANEPARI, p. 120.
73 Basti qui il rimando a P. TRIFONE, pp. 82-83.
74 Cfr. RAVARO, p. 21.
208 LUIGI MATT

36. Nelle forme del verbo lassà si ha ss in luogo di šš: lassa 59, lassà
89, 236, lassaje 256, lassalla 255, lassallo 69, 169, lassateme 166, 204, las-
selo 261. Fenomeno comune, da Belli ad oggi 75.
37. Si ha l’affricata alveolare al posto della palatale in panza 40, 72,
125 e passim; è una forma comunissima in romanesco, da Belli ad og-
gi 76. In pacienza 138, 203 si passa invece dall’affricata alveolare a š; co-
mune in Belli, la forma si ritrova in autori di fine Ottocento 77.
38. Si registra zz in luogo di ss in materazzo 132, pozzino 145. La pri-
ma forma si trova in Trilussa ed è a tutt’oggi non del tutto scomparsa,
mentre in Belli è attestata la variante matarazzo 78; la seconda, che cono-
sce varie attestazioni belliane 79, sembra in progressivo declino nel No-
vecento 80. Si rileva z in luogo di s in zozzo 123, 206, 242, zozzone 125,
206, 209. Comuni in Belli e ancora in Trilussa e presenti in altri autori
novecenteschi tra cui Dell’Arco 81, queste forme sono a tutt’oggi vitali e
anzi ben note anche al di fuori di Roma 82.
39. Si riscontra metatesi di r in drento 19, 28, 55 e passim, e nelle
forme del verbo crompà: crompa 254, crompà 246, 249, 255, crompe part.
pass. 66. Fenomeno comune in Belli, e anche in Trilussa, ma limitata-
mente alla forma drento, attestata pure in Dell’Arco 83.
40. La sequenza ltr passa a ntr in antr’ 183, antra 77, 89, 137 e
passim, antre 66, 177, 179, antro 45, 65, 88 e passim. Antro è forma co-
mune in Belli, ed ancora corrente in Trilussa e in autori tardonovecen-
teschi 84.
41. Si ha aferesi vocalica in ’gni 245, 260, 261 e passim, lettricista
166, lettricità 179, nònima 95. Una certa tendenza all’aferesi è caratteri-
stica del romanesco, da Belli ad oggi 85. In particolare, ’gni si trova in

75Cfr. VACCARO 1969, s.v.; TRONCON - CANEPARI, p. 140.


76Cfr. VACCARO 1969, s.v.; TRONCON - CANEPARI, p. 147.
77 Cfr. VACCARO 1969, s.v. pacenza; RAVARO, s.v. pacenza.
78 Cfr. VACCARO 1971, s.v.; VACCARO 1969, s.v.; TRONCON - CANEPARI, p. 143.
79 Come si verifica attraverso la LIZ.
80 Cfr. D’ACHILLE 2002, p. 527, sull’analoga forma pozzo ‘posso’.
81 Cfr. VACCARO 1969, s.vv.; VACCARO 1971, s.vv.; RAVARO, s.vv.
82 Come dimostra l’accoglimento nel GRADIT.
83 Cfr. TELLENBACH, p. 52; VACCARO 1971, s.v. drento; RAVARO, s.v. drento; in BEL-

LONI - NILSSON-EHLE, s.v. drento, si afferma: «Qualche poeta al quale necèssiti la rima in
-ento può ostinarsi ancora nell’uso di questa forma che è andata man mano scompa-
rendo». Da VACCARO 1971, s.v. comprà, si ricava che in Trilussa è corrente la forma
non metatetica.
84 Cfr. TELLENBACH, p. 44; VIGNUZZI, p. 748; VACCARO 1971, s.v.; COSTA 2001,

pp. 229, 238. Nel romanesco di oggi è più comune artro (significativi gli ess. citati da
COSTA 2001, pp. 245, 251 e da M. TRIFONE, p. 63).
85 Cfr. VIGNUZZI, p. 749; TRONCON - CANEPARI, p. 58.
IL ROMANESCO DEL PASTICCIACCIO 209

Belli e in Trilussa 86, oltreché in poeti dialettali del secondo Novecen-


to 87; ancora in Belli è attestata la forma lettrichità, mentre in Zanazzo
si trova lettricismo 88. Nessun riscontro invece per nonima o simili. Il fe-
nomeno è corrente negli articoli indeterminativi (cfr. § 56)
42. Si registra la caduta di r in propio 24, 36, 41 e passim, propia 198,
propiamente 236. Fenomeno comune, da Belli ad oggi 89. In varie forme
si verifica sincope vocalica: cratura 75, 126, crature 51, lograti 179, 227,
mercordı̀ 261, orloggione 191. Tutte le forme in questione sono attestate
in Belli ma anche in Trilussa 90.
43. Si ha apocope vocalica in zi’, prima di un nome proprio: zi’ Ma-
rietta 74, zi’ Cesare 74, zi’ Elviruccia 86 e passim. Assente in Belli, il fe-
nomeno deve essere in uso almeno dalla fine dell’Ottocento 91. L’apoco-
pe è sistematica nei possessivi e nel numerale du (cfr. §§ 64, 66).
44. È frequente l’apocope sillabica nei nomi propri, nei titoli e in al-
tri appellativi: Arfré 183, brigadiè 208, 209, 211, commendató 43, 160,
dottó 47, 57, 63 e passim, Igı̀ 243, 244, 249, Lavı̀ 246, Manuè 80, mare-
scià 208, 209, 245, maschié 28, Peppı̀ 28, 43, Pompè 28. Sembra trattarsi
di un fenomeno del romanesco novecentesco, anche se sarebbe necessa-
ria una ricerca specifica per ricostruirne la storia 92. Il fenomeno si ri-
scontra inoltre in indó ‘dove’ 164, 171, 190. Anche in questo caso sem-
bra trattarsi di un tratto dialettale postbelliano; la forma (peraltro assen-
te pure in Trilussa) è attestata in Zanazzo 93.
45. Sono molte le forme che presentano la prostesi di a- (eventual-
mente con raddoppiamento della consonante iniziale): abbruceno 79, ab-
bruciati 247, Abbrusciato 268, anniscosto 243, arette 141, ariccontà 164,
244, ariciccià 54, ariconsolà 134, aricorda 122, 126, 209, aricordamo 141,
aricordava 72, 242, aricorderà 97, aricòrdete 116, aricordo 41, 45, 122 e
passim, aridotti 262, arigalò 185, aringrazzia 255, aripiove 255, arispondo
204, arisponne 183, arisponneje 169, arispose 242, aritintica 244, aritrovà

86 Cfr. VACCARO 1969, s.v.; VACCARO 1971, s.v.


87 Cfr. COSTA 2001, pp. 226, 233, 243, 249.
88 Cfr. VACCARO 1969, s.v.; RAVARO, s.v.
89 Cfr. TELLENBACH, p. 51; TRONCON - CANEPARI, p. 151.
90 Cfr. VACCARO 1969, s.vv. cratura, logrà, mercordı̀, orloggio; VACCARO 1971, s.vv.

cratura, logrà, mercoldı̀/mercordı̀, orloggio.


91 Lo segnala infatti CHIAPPINI, s.v.; cfr. anche RAVARO, s.v. (senza ess. d’autore).
92 Il fenomeno pare assente in Belli e anche in Trilussa; l’unico riscontro lessicogra-

fico è offerto da RAVARO, s.v. dottó (ivi si ricorda anche la forma signó), che non cita
alcun esempio letterario. Per gli usi odierni cfr. TRONCON - CANEPARI, pp. 58-59;
D’ACHILLE - GIOVANARDI, p. 23.
93 Cfr. RAVARO, s.v. Il primo dizionario a registrarla è BELLONI - NILSSON-EHLE, s.v.

indove.
210 LUIGI MATT

244, aritrovamo 244, 269, aritrovannome 240, aritrovasse 179, 241, ari-
trovava 122, 176, aritrovaveno 185, aritrovi 241, arivoltò 207, arivortatte
199, arivortò 201, arriccomanno 47, arrinomato 181, arubbà 177, avvan-
tasse 244; inoltre: ciariprova 255. Fenomeno comune, da Belli ad oggi 94.
46. L’epitesi di e in parola terminante per consonante è sistematica:
alcole 122, buldogghe 266, elisire 174, làpise 256, Panteone 41, revòrvere
35, rosbiffe 43, 76, 101 e passim, Scerpure ‘Sherpur’ 128, tramme 37, 43,
56 e passim, vermutte 72. Diversa soluzione per Bedecche ‘Baedeker’
101. Fenomeno comune, da Belli ad oggi 95.
47. Si registrano alcune forme che non hanno riscontro in romane-
sco, e che non sono riconducibili ai fenomeni fonetici sin qui descritti,
ma che vengono inserite da Gadda in discorsi in dialetto: anguinale 262,
irpotesi 244, sopporazione 260. La funzione di queste forme è certamen-
te la riproduzione delle incertezze che colgono un semicolto quando de-
ve utilizzare un lessico estraneo al suo uso quotidiano. Di simili strafal-
cioni, com’è noto, sono pieni i Sonetti di Belli.
48. Il raddoppiamento fonosintattico viene rappresentato grafica-
mente in un numero molto limitato di casi (mentre nella prima redazio-
ne del romanzo era «massicciamente presente») 96: là pe llà 76, 179, 212
e passim, Ah ssı̀? 146, e bbefana 149, a ppigione 151, pe ssé 174, pe ttutte
174, Che tte sa? 180, Che bbaiocchi? 182, è dd’oro 185, pe dde dietro
185, so’ mmejo 254, a mmagnà 255, e ttrincato 262, che ffigura! 266, o
ppareva 267; in un certo numero di casi si ha l’univerbazione: dellà
66, 245, ecché 35, 187, 203 e passim, eggiù 185, emmezza 160, 234, em-
mezzo 64, 111, 122 e passim, essù 185, Gesummaria 29, Gesummio 228,
socché 54 97; si dovrà ad un errore di Gadda la forma inquantocché 99. Il
fenomeno, proprio del romanesco ma anche dell’italiano standard, viene
sistematicamente reso dalla grafia belliana, costituendo di fatto uno dei
tratti più caratterizzanti, a livello superficiale, della lingua dei Sonetti, ol-
treché di quella di molti imitatori 98; mentre scrittori come Trilussa e

94 Cfr. TELLENBACH, p. 38; VIGNUZZI, p. 749; TRONCON - CANEPARI, p. 92.


95 In Belli si trovano forme come Balaàmme 935, 3; Merchisedecche 1611, 3; pròsite
864, 2; in Trilussa: fracche II, 13, 17; burdocche II, 24, 11; gasse V, 65, 12; vari ess. di
Dell’Arco sono citati da D’ACHILLE 2006, p. 66. Per gli usi odierni cfr. TRONCON - CA-
NEPARI, p. 59.
96 PINOTTI 1983, p. 621. Peraltro, la rappresentazione del fenomeno era soggetta

nella versione in rivista a non pochi casi di errata superestensione, come ad esempio
in de ppretore 409, la ffojetta 414, de ccugini 428.
97 A parte va considerato il sintagma certe ff...rasche 137 in cui la doppia rende l’e-

sitazione del parlante, il quale è costretto a trovare una parola sostitutiva di quella, assai
triviale, che gli era venuta in mente per prima.
98 COSTA 2004, p. LVIII, parla giustamente di «marchio di fabbrica»; in BELLONI -
IL ROMANESCO DEL PASTICCIACCIO 211

Dell’Arco (come si può facilmente verificare ad apertura di pagina)


adottano una grafia pienamente ‘‘italiana’’.
49. Frequentemente, ma in maniera tutt’altro che sistematica, si re-
gistrano gli esiti della legge Porena: «’A polizzia» 28, «’a polizzia, ’a po-
lizzia» 29, «’a squadra politica» 73, «sotto ’a Galleria» 180, «a por-ca»
256, «’a por...» 256, «’a ciambella» 275, «d’ ’a corolla» 127, «d’ ’a sot-
tana» 135, «d’ ’a sora Margherita» 260, «d’ ’a questura» 267, «d’aa sta-
zione d’aa Cecchina» 158, «p’aa città» 165, «d’aa funtana» 180, «da ’e
Fattocchie» 219, «co ’a testa» 149, «co ’a cannela» 173, «co ’a scusa»
261, «Cioo provi» 161, «cioo so» 255, «nun ciaa fanno» 168, «quelli
’o prendeno de petto» 49, «s’ ’o ricorda?» 122, «s’ ’o portò» 129, «tutti
’o dicevano» 164, «v’ ’o dico» 254, «v’ ’o giuro» 255, «m’ ’o dica lei»
272, «mo ’o vedete» 275, «j ’o posso dı̀» 276, «M’oo tratti bene» 47,
«chi s’oo poteva immaginà?» 150, «quelle ch’oo cercheno» 165, «è ’n
poverello ch’oo fa» 179, «t’oo trova» 180, «V’oo dico» 254, «t’oo segui-
tava» 255, «v’oo do» 258, «too mollava» 264, «quaa logistica» 163,
«quaa strega, quaa zingara» 164, «Quaa fotografia» 167, «quaa lobbia»
254, «Quaa matina» 261, «quaa locomotiva» 263, «Quoo stendipasta»
221. Il fenomeno, che nel periodo in cui è ambientato il Pasticciaccio
era di recente diffusione 99, è rimasto estraneo alla poesia dialettale 100.
50. Si notano alcune desinenze nominali o aggettivali difformi dall’i-
taliano standard: dota 164, fanga 76, infisèmo 260, ingresa 171, mano
plurale 52, 70, 79 e passim, mollo 216. Da notare anche le uscite di al-
cune parole grammaticali: fora ‘fuori’ 40, 51, 61 e passim, magara 65, 66,
77 e passim, puro ‘pure’ 34, 42, 45 e passim. A parte infisèmo, di cui s’è
già detto, tutte le forme in questione sono attestate in Belli 101. Per in-
gresa non si hanno altri riscontri; anche dota sembra estranea al romane-
sco moderno 102, mentre le altre forme sono attestate in pieno Novecen-
to quando non vitali a tutt’oggi 103.
51. I nomi e gli aggettivi femminili in -e mantengono spesso la stessa
desinenza al plurale: arme 35, chiave 87, coabitazzione 76, commare 88,

NILSSON-EHLE, p. X, si legge: «vecchi scrittori come lo Zanazzo o l’Ilari erano molto at-
tenti a mettere i raddoppiamenti, ma dopo di loro, questo si è fatto sempre meno».
99 Sulla legge Porena esiste una ricca bibliografia; qui basti rimandare alla sintesi di

P. TRIFONE, pp. 100-102.


100 Cfr. D’ACHILLE 2006, p. 62. La legge Porena è ben rappresentata da Pasolini in

Una vita violenta.


101 Cfr. VACCARO 1969, s.vv.
102 La forma è comunque registrata da ROLANDI.
103 Fanga, fora, magara e puro sono presenti in Trilussa (cfr. VACCARO 1971, s.vv.),

come anche le mano (per es. I, 11, 27; II, 5, 21). Per le mano, mollo e puro cfr. TRONCON -
CANEPARI, pp. 84, 88, 92.
212 LUIGI MATT

matrimoniale 103, moje 179, nazzionale 66, orazzione 137, 175, parte 77,
128, 180 e passim, purce 77, raggione 131, ramificazzione 77, superstizzio-
ne 121; inoltre: quale 65. Comune in Belli, e pure in Trilussa, il fenome-
no sembrerebbe avere ancora oggi una qualche vitalità 104.
52. Si hanno numerosi plurali in -i di nomi derivanti da neutri latini:
bracci 238, corni 76, 84, ditacci 135, diti 40, 84, 94 e passim, ditoni 133,
135, ginocchi 59, 63, 72 e passim, ginocchioni 152, ossi 135. Il fenomeno
è presente, anche se non molto diffuso, nel romanesco, da Belli ad og-
gi 105.
53. I nomi e gli aggettivi in -co prendono spesso il plurale in -chi: al-
coolichi 146, amichi 99, astrologgichi 151, elastichi 179, magnifichi 179,
malinconichi 136, 137. Fenomeno comune, da Belli ad oggi 106.
54. In un caso si ha belli laddove l’italiano avrebbe bei: belli tempi
96. Pressoché sistematico in Belli 107, il fenomeno è ancora caratteristico
del parlato a Roma 108.
55. Sistematico è l’articolo determinativo singolare er 19, 26, 27 e
passim, eventualmente con aferesi se preceduto da vocale: c’è ’r Papa
182, tra ’r chirichetto 184. Al plurale è corrente li 19, 43, 45 e passim,
che di fronte a vocale si elide: l’occhi 35, l’arti 55, l’aggenti 64 e passim.
L’elisione si registra anche per il femminile le: l’arme 35, l’occhiatacce 55,
l’altre 68 e passim. Forme comuni, da Belli ad oggi 109. Inverosimile è
l’uso di lo in lo socero 97 (nel parlato di un personaggio), frutto eviden-
temente di un errore di Gadda.
56. Gli articoli indeterminativi presentano (occasionalmente per il
maschile, spessissimo per il femminile) aferesi: no 170, 179, 180 e pas-
sim; a ’n chilometro 151, è ’n po’ 165 è ’n poverello 179, e ’n berretto 243;
na 19, 27, 45 e passim; n’americana 171, n’antra 210, n’amica 211 e pas-
sim; quando si verifica l’elisione viene utilizzato incongruamente l’apo-
strofo anche per il maschile: n’oceano 52, n’antr’affare 183, n’orloggione
191 e passim. Forme comuni, da Belli ad oggi 110; va comunque segna-

104 Cfr. TELLENBACH, pp. 58-59; VIGNUZZI, p. 750; VACCARO 1971, p. 100; TRON-
CON - CANEPARI, pp. 84, 86.
105 Cfr. TELLENBACH, p. 59; TRONCON - CANEPARI, p. 87.
106 Cfr. TELLENBACH, p. 47; VIGNUZZI, p. 750; D’ACHILLE 1995, p. 41; TRONCON -

CANEPARI, p. 87.
107 Attraverso la LIZ si può constatare che nei sonetti belliani, a fronte di molti ess.

di belli davanti a parola iniziante per consonante + vocale, si ha una sola attestazione di
bei.
108 Cfr. RAVARO, s.v. bello; D’ACHILLE 1995, p. 41.
109 TELLENBACH, p. 64; VIGNUZZI, p. 751; TRONCON - CANEPARI, p. 76; D’ACHILLE -

GIOVANARDI, p. 21.
110 TELLENBACH, p. 65; VIGNUZZI, p. 751; TRONCON - CANEPARI, p. 76.
IL ROMANESCO DEL PASTICCIACCIO 213

lata una differenza rispetto all’uso belliano: Gadda adopera no davanti a


parola cominciante con s complicata (per es. no strazzio 170), laddove
Belli scriveva un stocco e simili.
57. Si segnalano le preposizioni semplici de 16, 17, 19 e passim, co
19, 20, 35 e pe 23, 35, 40 e passim; quest’ultima si elide di fronte a vo-
cale: p’annà 46, p’er 58, p’annaje 67 e passim. Si tratta di forme comu-
nissime, da Belli ad oggi 111.
58. Le preposizioni articolate si presentano costantemente con l
scempia (e in grafia analitica): de lo 52, 96, 97 e passim, de la 52, 55,
56 e passim, de li 25, 27, 35 e passim, de le 41, 52, 55 e passim, a lo
57, 64, 69 e passim, a la 19, 20, 48 e passim, a li 19, 45, 51 e passim,
a le 20, 32, 46 e passim, da lo 64, 96, 97 e passim da la 41, 48, 67 e pas-
sim, da li 61, 75, 97 e passim, da le 18, 30, 42 e passim, ne lo 68, 89, ne la
20, 72, 95 e passim ne li 48, 54, 136 e passim, ne le 127, 183, 242 e pas-
sim, su lo 115, su la 52, 60, 61 e passim, su li 41, 55, 124, su le 27, 58, 65
e passim. Fenomeno comunissimo del romanesco degli ultimi secoli 112.
A parte si segnalano le preposizioni costruite con er: der 19, 34, 35 e pas-
sim, ar 19, 27, 30 e passim, dar 45, 61, 63 e passim, ner 27, 54, 55 e pas-
sim, cor 19, 47, 54 e passim, sur 35, 44, 54 e passim. Anche in questo
caso si tratta di forme correnti nel romanesco, da Belli ad oggi 113.
59. In qualche occasione si ha cumulo di preposizioni: in der 77, 91,
121 e passim, in della 124, in de la 254, in de le 136, in d’un 151, in sur
151. Fenomeno comune, da Belli ad oggi 114.
60. Tra le preposizioni è da segnalare anche insino 19, 51, 71 e pas-
sim. La forma, nella variante inzino, oltre che in Belli si ritrova in autori
di fine Ottocento 115.
61. Tra le congiunzioni si notano si ‘se’ 46 («si nun era lo stesso»), 48
(«sofisticà si quello [...]»), 231 («si ve pare») e passim; e indove (anche
come avverbio) 90, 91, 95 e passim, o meno frequentemente, con grafia
analitica, in dove 71, 135, 180 e passim (oltre a indó, per cui cfr. § 44).
Entrambe le forme sono comuni in Belli e ancora in Trilussa 116; la prima

111 Per de cfr. sopra, § 5. Riguardo a co e pe cfr. RAVARO, s.vv. có e pé; D’ACHILLE -

GIOVANARDI, p. 21. La grafia adoperata da Gadda è conforme all’uso belliano; per lo più
gli autori novecenteschi, tra cui Trilussa, scrivono co’ e pe’ (cfr. VACCARO 1971, s.vv.)
112 Cfr. TELLENBACH, p. 64; TRONCON - CANEPARI, p. 61; D’ACHILLE - GIOVANARDI,

p. 20.
113 Cfr. TELLENBACH, p. 64; TRONCON - CANEPARI, p. 91.
114 Cfr. NILSSON-EHLE, p. 237; TRONCON - CANEPARI, p. 91.
115 Cfr. VACCARO 1969, s.v.; RAVARO, s.v. Un’attestazione anche in Una vita violenta

(cfr. PASOLINI, p. 300).


116 Cfr. VACCARO 1969, s.v.; VACCARO 1971, s.v.
214 LUIGI MATT

è certamente in uso nel romanesco contemporaneo 117. Da ricordare an-


che tramente ‘mentre’ 254, forma assente in Belli, attestata in autori a
cavaliere tra Ottocento e Novecento (tra cui Trilussa) e poi in decli-
no 118.
62. I pronomi personali atoni mantengono la e, tanto in proclisi
quanto in enclisi: me 16, 35, 36 e passim, te 33, 56, 60 e passim, je
36, 48, 61 e j’ 46, 47, 48 (terza e sesta pers.), se (terza e sesta pers., o
impers.) 27, 36, 40, ce (anche in funzione di dimostrativo o di avverbio)
35, 43, 112 e passim, ve 31, 36, 42 e passim; aiutateme 144, ammàppete
245, aricordate 122, aricòrdete 116, aritrovannome 240, azzittete 33, con-
solàmese 181, contandoce 131, crédece 116, credeme 96, dateme 40, deci-
démese 97, dimme 42, 92, diteme 31, 38, famme 115, 183, fammece 119,
famese o fàmese 254, 255, fatte 252, figuràmose 182, figurateve 65, la-
sciandose 182, lassateme 166, 204, perdoneme 119, poterte 97, spiegame-
se 51, voltandose 182. Fenomeno comune, da Belli ad oggi 119.
63. Dimostrativi da notare sono: quer 19, 20, 36 e passim; le forme
che presentano scempiamento della laterale: quel’ 54, 89, 123 e passim,
quela 59, 63, 65 e passim, quele 55, 60, 77 e passim, queli 31, 43, 54 e
passim, quelo 69, 114, 136 e passim; le forme che hanno subito la caduta
della prima sillaba: st’opale 116, st’artra 183, sta 23, 42, 45 e passim, ste
35, 43, 65 e passim, sti 31, 151, 182 e passim, sto 22, 28, 35 e passim.
Tutti i dimostrativi in questione sono comuni in romanesco, da Belli ad
oggi 120.
64. Sono correnti in proclisi i possessivi singolari mi’ 35, 95, 96 e
passim, tu’ 119, 217, 241, su’ 56, 64, 67 e passim; si registrano inoltre,
in posizione tonica, i plurali invariabili mia 35, 48, 95 e passim, sua 92,
129, 191, e i maschili tui 217, sui 244. Tutte queste forme sono comuni,
da Belli ad oggi 121.
65. Tra gli indefiniti si segnalano quarchiduna 150, quarchiduno 42.
Si tratta di forme comuni in Belli, ed ancora in Trilussa 122. Per il plurale
quarcuni 264, invece, non si hanno riscontri in romanesco 123.

117
Cfr. D’ACHILLE - GIOVANARDI, p. 21.
118
Cfr. RAVARO, s.v.; in BELLONI - NILSSON-EHLE, s.v., è considerata ormai rara.
119 Cfr. TELLENBACH, pp. 61-62; VIGNUZZI, p. 750; TRONCON - CANEPARI, p. 79;

D’ACHILLE - GIOVANARDI, pp. 20, 21.


120 Cfr. TELLENBACH, pp. 43, 63; VIGNUZZI, p. 750; TRONCON - CANEPARI, pp. 61,

85.
121 Cfr. TELLENBACH, pp. 62-63; VIGNUZZI, p. 750; TRONCON - CANEPARI, p. 78.
122 Cfr. VACCARO 1969, s.v. quarchiduno; VACCARO 1971, s.v. quarchiduno.
123 Nella versione in rivista compariva anche quarcheduni, poi corretto (cfr. PINOTTI

1983, p. 619).
IL ROMANESCO DEL PASTICCIACCIO 215

66. Tra i numerali da notare la forma du 19, 36, 43 e passim; e i suoi


derivati: ducentodiciannove 27, 32, 34 e passim, ducentodiciannovesco
49, ducentodicinnove 19, 27, 41 e passim, dumila 122. Forme correnti
in Belli (che però adotta la grafia du’), tranne dumila (nei Sonetti però
non ci sono esempi neanche di duemila) 124; in Trilussa si trova solo
du’ 125. Questo tipo di numerali si possono facilmente ascoltare a tut-
t’oggi a Roma 126. In posizione tonica si trova dua 46, 78, 88, forma co-
mune in Belli e ancora in Trilussa 127.
67. Si trova spesso mejo e in un caso peggio con valore di aggettivi
invariabili: «er mejo impiego» 77, «li mejo regali» 89, «le mejo rote»
141, e passim; «li peggio turchi» 255. In un’occasione l’avverbio mejo
è rafforzato da più: «più mejo fatto che detto» 254. Si tratta di usi co-
muni, da Belli ad oggi 128.
68. Sistematico l’avverbio nun: 19, 35, 41 e passim. Altri avverbi fre-
quentemente usati sono mo 16, 17, 18 e passim, manco 42, 43, 44 e pas-
sim, nemmanco 37, 87, 89 e passim, tratanto ‘intanto’ 56, 79, 236 e pas-
sim. Tutte comuni in Belli 129 queste forme sono a tutt’oggi nell’uso 130,
con l’eccezione di tratanto per cui sono noti solo esempi ottocente-
schi 131. Per quanto riguarda mo, va detto che la grafia più comune è
mó, adoperata da Belli e Trilussa 132.
69. Tra le interiezioni si segnalano daje 116, 134, embè 110, 125, 162
e passim, mbà o mbah 70, 79, 152 e passim, mbè 26, 35, 36 e passim,
mbò 136, va’ o vah 58, 181, 241. Embè e va’ sono comuni in romanesco,
da Belli ad oggi 133; mbè sembra di diffusione più recente (è attestata in
autori come Chiappini, Zanazzo e Trilussa), come anche daje (di cui è
noto un esempio di Pascarella) 134, mentre per mbò e mbà non si hanno
riscontri.
70. Le quarte persone dell’indicativo presente escono in -amo, -emo,
-imo: annamo 115, 257, aricordamo 141, aritrovamo 224, avemo 48, 57,
125 e passim, ciavemo 246, 254, 257, dovemo 269, ’nnamo 92, parlamo

124 Dato ricavato dalla LIZ.


125 Cfr. VACCARO 1971, s.v.
126 Per esempio, si trova du’ nel testo edito da M. TRIFONE, p. 72.
127 Cfr. VIGNUZZI, p. 750; VACCARO 1971, s.v.
128 VIGNUZZI, p. 750; TRONCON - CANEPARI, pp. 85, 88.
129 Cfr. VACCARO 1969, s.vv.
130 Cfr. TRONCON - CANEPARI, pp. 142, 144, 145; D’ACHILLE - GIOVANARDI, p. 21.
131 Cfr. RAVARO, s.v.
132 Cfr. VACCARO 1969, s.v.; VACCARO 1971, s.v.; la stessa grafia è indicata in CHIAP-
PINI.
133 Cfr. VACCARO 1969, s.vv.; TRONCON - CANEPARI, pp. 131, 172.
134 Cfr. RAVARO, s.vv.
216 LUIGI MATT

76, 253, 257, potemo 47, sapemo 257, semo 43, 96, 97 e passim, stamo
95, 137, tenemo 234, toccamo 116, vulemo 204. Forme comuni, da Belli
ad oggi 135.
71. Le seste persone dell’indicativo presente di tutte le coniugazioni
hanno come desinenza -eno: abbruceno 79, arriveno 41, attaccheno 143,
canteno 137, chiameno 95, 163, crescheno 66, dicheno 96, 116, diverteno
179, entreno 241, finischeno 175, guardeno 182, 236, imboccheno 41, la-
voreno 245, pagheno 85, 249, pareno 115, penseno 179, perdeno 164, pia-
ceno 123, prendeno 49, puzzeno 66, scappeno 36, senteno 242, 244, sfio-
reno 41, spareno 31, 35, trionfeno 112, troveno 89, 168, vedeno 91, ven-
deno 211, vengheno 92, 119, vénneno 257. Forme comuni, da Belli ad
oggi 136.
72. Occasionalmente si registrano le uscite in -amio, -emio, -evio per
le quarte e quinte persone dell’indicativo imperfetto: annamio 217, ave-
mio 43, volevio 275. Correnti in Belli, queste desinenze appaiono in re-
gresso nel corso del Novecento 137; ad ogni modo sono ancora presenti,
almeno sporadicamente, in Trilussa 138.
73. Le seste persone dell’indicativo imperfetto escono in -aveno,
-eveno, -iveno: abbottaveno 47, 263, affittaveno 77, ammattiveno 66, an-
naveno 77, 80, apriveno 99, aritrovaveno 185, aveveno 52, 60, 64 e pas-
sim, avvicinaveno 151, buttaveno 68, camminaveno 263, cascaveno 55,
chiamaveno 19, 80, ciannàveno 146, ciaveveno 61, 88, 131, correveno
264, daveno 61, 110, 176, diceveno 58, 62, 87 e passim, doveveno 95,
99, 151 e passim, faceveno 55, 87, 90 e passim, finiveno 152, giocaveno
146, guardaveno 57, 60, lasciaveno 60, levaveno 87, mancaveno 88, met-
teveno 162, moveveno 277, pareveno 48, 61, 79 e passim, parlaveno 58,
71, 243, pesaveno 90, piaceveno 244, piagneveno 126, piantaveno 127,
pijaveno 136, 176, poteveno 126, 127, 137 e passim, presentaveno 67,
128, rideveno 64, rivelaveno 135, sapeveno 79, 88, 96, sbaciucchiaveno
73, sbottaveno 77, sbrojaveno 245, scegneveno 61, 135, seguiveno 103,
sentiveno 80, 88, sguazzaveno 128, sognaveno 194, sposaveno 125, stave-
no 19, 122, 129 e passim, stazzionaveno 56, strillaveno 62, supplicaveno
170, sventolaveno 262, svolaveno 65, teneveno 151, 257, traballaveno

135Cfr. TELLENBACH, p. 66; VIGNUZZI, p. 751; TRONCON - CANEPARI, p. 97; D’ACHIL-


LE - GIOVANARDI, p. 23.
136 Cfr. TELLENBACH, pp. 27, 35, 67; VIGNUZZI, pp. 747, 751; TRONCON - CANEPARI,

p. 97; D’ACHILLE - GIOVANARDI, p. 21.


137 Cfr. TELLENBACH, pp. 68-69; VIGNUZZI, p. 751; in TRONCON - CANEPARI, p. 97,

vengono indicate come molto rare nel romanesco contemporaneo.


138 In cui trovo sapémio III, 7, 47 e volévio VII, 35, 34.
IL ROMANESCO DEL PASTICCIACCIO 217

262, tremaveno 256, veniveno 40, 124, 131, venneveno 253, volaveno 54,
voleveno 58, 52, 76 e passim; per il verbo esse si ha ereno 19, 36, 40 e
passim. Forme comuni, da Belli ad oggi 139.
74. Le terze e le seste persone del congiuntivo presente escono in -i,
-ino: facci 40, 43, 63 e passim, possino 181, pozzino 145. Fenomeno co-
mune, da Belli ad oggi 140.
75. Le desinenze delle quinte e seste persone del congiuntivo imper-
fetto sono -ivo e -ino: voressivo 167, 165, addormı̀ssino 170, avessino
125. Comuni in Belli 141, tali desinenze sembrano in declino nel romane-
sco novecentesco (in Trilussa, ad esempio, non pare essercene più trac-
cia).
76. In un paio di casi, si trovano le forme piene del condizionale di
avé e annà: ciaverebbe 96, annerebbero 165. Piuttosto comuni in Belli,
questo tipo di forme sembra a tutt’oggi non estinto 142.
77. Gli imperativi, se seguiti da un clitico, escono in spesso in -e: ari-
còrdete 116, azzittete 33, consolàmese 181, crédece 116, credeme 96, de-
cidémese 97, lasselo 261, perdoneme 119, spiegamese 51. Forme comuni
in Belli 143, presenti ancora in Trilussa 144.
78. Gli infiniti si presentano costantemente in forma apocopata: ab-
bozzà 176, accenne 52, acchiappà 72, acciaccà 135, accompagnà 115, accu-
sà 91, addormı̀ 170, 258, adottà 97, 114, affilà 254, 255, allargà 220, al-
lumà 263, annà 46, 47, 48 e passim, annaspà 122, ariconsolà 134, ari-
sponne 183, aritrovà 244, arrivà 116, 263, arubbà 177, aspettà 130, assag-
già 241, attraversà 182, avé 78, 97, 99 e passim, baccajà 39, bacià 137,
ballà 244, beve 64, 132, 181, buggerà 181, buttà 131, caccià 135, 255,
cambià 115, 165, 179, camminà 98, campà 170, carcerà 73, 168, 170, ca-
scà 185, cecà 145, combatte 60, combinà 91, comincià 242, comprà 83,
consiglià 131, consolà 181, conzolà 170, crede 112, 113, 130, crompà
246, 249, 255, cucı̀ 128, 244, dà 123, 183, 254, dı̀ 22, 25, 26 e passim,
diggiunà 128, disputà 69, distillà 132, diventà 90, 112, 113, dormı̀ 96,
137, 168 e passim, durà 274, entrà 61, 67, 88 e passim, esse 41, 42,
46 e passim, èsse 65, 127, 184, fa 42, 45, 46 e passim, fabbricà 152, faticà
96, 115, 181, fregà 164, fumà 246, 253, girà 177, 244, giudicà 128, goc-

139 Cfr. TELLENBACH, pp. 27, 69; VIGNUZZI, p. 747; TRONCON - CANEPARI, p. 97;

D’ACHILLE - GIOVANARDI, p. 21
140 Cfr. TELLENBACH, pp. 72-73; VIGNUZZI, p. 751; TRONCON - CANEPARI, p. 98.
141 Sono molti gli ess. ricavabili dalla LIZ; cfr. inoltre VIGNUZZI, p. 751.
142 Cfr. TELLENBACH, p. 76; TRONCON - CANEPARI, p. 98.
143 Cfr. TELLENBACH, p. 27; VIGNUZZI, p. 747.
144 Per es. in una delle citazioni allegate da VACCARO 1971, s.v. lassà, si legge lassela.
218 LUIGI MATT

ciolà 69, grufolà 73, guardà 60, 150, 182 e passim, illuminà 145, imma-
ginà 150, incaricà 97, 166, incoraggià 125, induvinà 243, ingannà 130,
ingrassà 73, insegnà 65, intruppà 165, 185, lascià 114, lassà 89, 236, la-
vorà 145, 179, 180 e passim, levà 75, magnà 40, 42, 43 e passim, mannà
45, 261, marità 204, mette 97, 115, 21 e passim, montà 131, morı̀ 57, 75,
89 e passim, mozzicà 101, pagà 64, 72, 165, paré 57, 68, 88 e passim, par-
là 134, 184, 204 e passim, parlottà 61, passà 28, 77, 80 e passim, pensà
31, 40, 45 e passim, perde 59, 89, 138 e passim, pescà 95, 252, pettinà 63,
82, piantà 256, pijà 19, 43, 69 e passim, pioviccicà 170, portà 42, 46, 64 e
passim, protestà 138, provede 64, regalà 122, regge 217, 256, respirà 91,
restà 122, riceve 73, ricordà 276, rigalà 115, rigirà 111, rinnaccià 245, ri-
solà 165, risponne 125, 162, 206, ritoccà 116, rode 138, rubà 132, rubbà
40, 149, sapé 58, 67, 79 e passim, sartà 69, sbatte 90, 101, scannà 170,
183, scappà 115, 244, scarpinà 73, scartoffià 119, schioppà 263, scoprı̀
135, 182, 214, servı̀ 162, sgranocchià 217, smorı̀ 152, soffià 125, 127,
236, soffrı̀ 79, sofisticà 48, sonà 179, 244, sparà 35, 243, spaventà 92,
spennellà 150, spià 168, sposà 125, 164, stà 17, 48, 66 e passim, stenne
80, strillà 64, 90, 185, studià 77, 173, telegrafà 236, tené 262, tinticà 257,
tirà 68, 89, 137 e passim, toccà 79, 110, 116 e passim, tornà 126, tradı̀
244, trattà 35, traversà 268, trovà 77, 87, 99 e passim, uprı̀ 269, 270, vedé
69, 71, 78 e passim, vendicà 162, venı̀ 73, 77, 125, venne 184, 185, visità
128, 244, volà 79, volé 48, 125, 137 e passim, zappà 241, zompà 54. In
alcuni casi si ha ritrazione dell’accento: dole 182, prevede 89, sede 70,
114, vede 56, 59, 60 e passim. Se gli infiniti sono seguiti da un clitico,
quest’ultimo presenta la consonante iniziale raddoppiata 145: accompa-
gnalla 182, accompagnallo 114, addormisse 170, aiutacce 137, annacce
63, annasalla 151, annasalli 124, aranciasse ‘arrangiarsi’ 170, aricicciasse
54, aritrovasse 179, 241, arivortatte 119, arrampicasse 179, arrivedella 43,
47, attaccasse 180, avecce 51, 204, 242, aveccelo 167, avella 52, 126, 132,
avello 91, 236, avenne 134, avvantasse 244, benedicce 126, carcerallo 243,
chiamalle 201, compatillo 78, comprallo 211, comprattelo 241, consolallo
78, consolasse 79, damme 114, disinfettalle 122, disturballi 256, dondo-
lasse 185, facce 64, 151, 185 e passim, falla 52, 69, 184, falle 69, 144, falli
67, fallo 64, 67, 79 e passim, famme 115, fasse 71, 78, 101 e passim, fatte
170, figurasse 152, guardacce 67, 89, guardalla 64, guardamme 97, indo-
vinacce 243, inzaccheralli 90, lassalla 255, lassallo 69, 169, levasse 45, lu-
strasse 152, misuracce 203, parlanne 134, 261, pensacce 89, 132, piantalla

145 Il fenomeno può interpretarsi sia come assimilazione progressiva, sia come rad-

doppiamento fonosintattico.
IL ROMANESCO DEL PASTICCIACCIO 219

265, pijacce 137, pijasse 179, portacce 55, portalla 63, 97, portamme 125,
salutalla 57, 62 salutallo 138, sapecce 92, sapello 114, 243, 244, sbrigasse
170, scocciasse 127, sentilla 264, sentimme 97, sfilallo 114, sfogasse 101,
126, soffiallo 40, soffiammelo 241, soffiasse 125, sognassele 152, sospet-
tanne 54, squajassela 256, stacce 179, strascinallo 69, studialle 242, svilup-
passe 77, tenéccela 45, tenelli 19, tiralla 137, tirallo 122, toccalla 62, toc-
calle 179, toccallo 122, 125, tornacce 72, trascuralle 66, trasferisse 65, tro-
valla 57, trovalli 123, trovallo 57, trovanne 77, vacce 252, vedecce 35, ve-
della, 87, 162, vedello 57, 114, 254, vedemme 116, 185, vendicasse 265,
volemme 122, volesse 162. Nel caso del clitico -je, il raddoppiamento
non viene rappresentato graficamente (in linea con quanto detto al
§ 29): annaje 67, arispponneje 169, avejela 138, cacciaje 19, compraje
64, daje 55, 64, 116, dajela 115, 181, dije 61, 95, 125, dimostraje 140,
faje 61, 69, 78 e passim, guastaje 132, 244, lassaje 256, menaje 167,
184, parlaje 176, portaje 64, rifaje 138, spiegaje 122, 125, 185, staje 60.
Il raddoppiamento naturalmente non si ha negli infiniti piani: accennela
132, bevela 54, cocese 60, correse 135, leggelo 138, mettece 48, mettelo
95, metteme 211, mettese 69, movese 97. Forme comuni, da Belli ad og-
gi 146.
79. I gerundi (per il fenomeno descritto al § 28, cui si rimanda anche
per i riferimenti bibliografici) hanno come desinenze -anno e -enno: ari-
trovannome 240, cercanno 164, combinanno 42, cuffianno 164, dicenno
63, 119, dicennole 173, facenno 64, 119, 182, parlanno 20, 121, 275, por-
tanno 116, potenno 220, ridenno 125, sbajanno 134, sgrullanno 137, smo-
venno 43, stanno 261, succedenno 56.
80. Si ha un caso di participio passato a suffisso zero: compre 249.
Attestata in Belli, la forma sembrerebbe ancora vitale negli usi attua-
li 147.
81. Da segnalare singole forme del verbo esse: so’ prima pers. 35, 36
42 e passim, sete ‘siete’ 42, 75, 203 e passim, so’ sesta pers. 27, 46, 60 e
passim, fusse 27, 72, 89 e passim, fussi terza pers. 137, 162, 244, fussero
100, saressi ‘saresti’ 240. Tutte le forme in questione sono comuni in
Belli e in uso ancora oggi 148.
82. Si notano singole forme di altri verbi: moro ‘muoio’ 182, ciannie-
di ‘ci andai’ 114, agnede ‘andò’ 180, salisce 95, viè indicativo 95, 179,

146 Cfr. TELLENBACH, pp. 39, 75; VIGNUZZI, p. 749; TRONCON - CANEPARI, p. 56;
D’ACHILLE - GIOVANARDI, p. 23.
147 Cfr. VACCARO 1969, s.v. compro; TRONCON - CANEPARI, p. 102.
148 Cfr. TELLENBACH, pp. 24, 77; VIGNUZZI, p. 751; TRONCON - CANEPARI, pp. 99-
100.
220 LUIGI MATT

181, vo ‘vuole’ 46, 49, 92 e passim, 168, famo 255, ponno 130, vonno 60,
65, 80 e passim, tiè imperativo 92, dasse 175 e stasse 87, staressimo 35,
ito 165, 252. Tutte le forme in questione sono proprie del romanesco da
Belli ad oggi 149. Nessun riscontro per ponghiamo 76 150, né per avevimo
imperfetto 96, che potrebbe essere frutto di un errore di Gadda.
83. Il verbo stare è spessissimo utilizzato in luogo di essere: «nun ce
staveno che signori grossi» 19, «Qua ce stanno fior de signori» 40, «ce
sta forse quarcuno co voi?» 42, «er Maccheronaro [...] ce sta apposta»
43, «artro che quel’ambrosia, ce sta!» 54, «er signorino stava cosı̀ stra-
nito» 78, «A sora Manuè, ce sta quarcuno» 80, «fiji de mignotte che
stanno ar monno» 88, «La borsetta era, era... una vorta stava qui» 88,
«co te ce sta mamma tua» 92, «Stai accomodato!» 95, «Remo stava in
viaggio, stava a Padova» 114, «ce stava attaccata quela pietra» 115, «do-
ve ce sta la pizzeria» 116, «ce stanno insieme tanti de queli corni de co-
rallo» 122, «le zie, che ce staveno quasi tutte» 129, «che artre bestie ce
staveno?» 145, «manco ce stanno più li preti» 163, «dove stanno li ca-
vajeri» 168, «stava disoccupato da du mesi» 171, «ce stanno certi signo-
ri» 179, «Si è che sta solo» 180, «Si poi sta co certe signorine» 181, «Al-
l’archi de porta pinciana, stanno» 182, «li piatti der giorno che ce stanno
scritti» 182, «la credenza cor lucchetto indove ce stava pure il pecorino»
203, «Fatemi vedere dove stanno» 224, «troppo lontano, stava» 244,
«insieme a la donna, stava» 254, «lı̀ ce stanno l’ortolani» 257, «ce sta
la scola che aspetta» 265, «Chi ce sta?» 269, «Ce sta una donna, cor pa-
dre» 269, «Chi ce sta in casa vostra?» 271, «‘‘[...] ho da vede chi ce sta.’’
‘‘Ce sta mi’ padre [...]’’» 271. Fenomeno comune in Belli, e a tutt’oggi
vitale 151.
84. In parecchi casi si trovano forme pronominali dei verbi laddove
l’italiano standard non le prevederebbe: «che se crede, sor commissa-
rio?» 40, «se credeva de dové fa la parte» 137, «quando si credevano
la non udisse» 149, «Be’, che ve credete?» 181, «Manco un zeppo se
magna» 43, «me te magno» 137, «l’urtimi bocconi boni che me so’ ma-
gnato» 185, «se lo sognava di notte» 50, «la gonna se la sognaveno» 194,
«me so’ comprato un presciuttino» 45, «se faceveno una pennichella»
55, «sto fregno me lo buggero» 95, «se le bevevano a garganella»
160, «me moro dar freddo» 182, «nun te se sposa» 241, «manco se lo
imaginava de poté fa la spia» 244, «sto pupo me lo vedo io domatina»

149 Cfr. TELLENBACH, pp. 53, 70, 74, 77; VIGNUZZI, p. 751; TRONCON - CANEPARI,
p. 99.
150 Ma in Belli si trova un esempio di una forma simile, disponghi (LIZ).
151 Cfr. VACCARO 1969, s.v. stà; TRONCON - CANEPARI, p. 102; M. TRIFONE, p. 58.
IL ROMANESCO DEL PASTICCIACCIO 221

252, «si nun me sbajo» 256. Comune in Belli 152, il fenomeno sembra a
tutt’oggi vitale 153.
85. In alcuni casi gli allocutivi sono introdotti da a: «a Peppı̀» 28, «a
maschié» 28, «a cojone» 42, «A sora Manuè» 80, «a sora nònima» 95.
Estraneo all’uso belliano, il fenomeno sembra essersi diffuso a partire
dalla fine dell’Ottocento, ed è a tutt’oggi vitale 154.
86. Si ha costantemente a in luogo di in come introduttore di odo-
nimi: «Se so’ sparati a via Merulana» 27, «dove sto de casa, a via Nico-
tera ventuno» 61, «fin su a li Zingari, a via de li Capocci, ar vicolo Cian-
caleoni [...], a via de Monte Caprino, ar vicolo de la Bucinazza, a via de’
Fienili [...], ar vicolo de le Grotte der Teatro: e magari a piazza Pollaro-
la» 76-77, «l’agenzia [...] a piazza Vittorio» 95, «un’artra a corso Um-
berto» 95, «questa qui che m’hanno preso a via Nicotera» 115, «‘‘Addó
l’ha rubato?’’ ‘‘A piazza Vittorio’’» 144, «Palazzo Simonetti a via Lanza»
160, «Starà là [...] a via Boncompagni, a via Veneto» 171, «stanno a via
Veneto» 182, «venne la porchetta [...] a piazza Vittorio» 184, «staveno
[...] a piazza Vittorio» 185. Il fenomeno è presente in Belli, dove però è
sempre realizzato con piazza 155; alcuni esempi si trovano anche in Tri-
lussa 156. Nel parlato è comune a tutt’oggi 157.
87. Il verbo avere, quando non usato come ausiliare, è costantemen-
te costruito col ci pleonastico: «ciaveva er commò» 19, «ciaveva li car-
zoni sportivi» 34, «ci avrò l’occhi pe nun vedecce?» 35, «queli zoccoletti
che cianno» 43, «manco ciavrà fantasia» 43, «ciaveva una voce» 46,
«ciaveva li carzoni corti» 46, «quel pelo [...] che ciaveva in testa» 49,
«ci avevano un chiavistello» 50, «ciaveva er barbozzo drento» 55, «cia-
veva l’aria de staje intorno» 60, «Ciaveveno du sporte» 61, «quello che
ciaveva in testa» 63, «ar vestito che ciaveva addosso 66, «si ciaveva si-
gherette 66, «ci aveva un bı̀ndolo» 66, «nun cià tempo» 66, «nun ciave-
va più pudore» 69, «nun cià sordi» 77, «ciaveva er pensiero» 78, «cia-
veva du pantofole» 79, «ciaveva da fa li fatti sui» 79, «quele quattro
bombe che ciaveva attaccate» 80, «cià magari un debole» 83, «ci hanno
dietro la zia» 83, «ciaveveno er fiuto bono» 88, «ciaveva un mazzo de

152 Cfr. SABATINI, p. 256.


153 Anche se TRONCON - CANEPARI non ne fa menzione (ma per l’uso pronominale
di credere cfr. p. 129).
154 Cfr. l’esaustiva trattazione in D’ACHILLE - GIOVANARDI, pp. 29-42.
155 Per es.: «E cc’è a Ppiazza de Sciarra er Caravita» 342, 23; «Trovo a Ppiazza Na-

vona tanti fichi» 864, 6.


156 «Sta a via Firenze» V, 47, 9; «Sto a Via dell’Oca, centosei» IX, 3, 5.
157 Cfr. TRONCON - CANEPARI, p. 89.
222 LUIGI MATT

rampini» 88, «uno che ciaveva naso» 95, «che interesse ciaverebbe?»
96, «quelle che cianno certe vorte li preti» 98, «du quarti de luna d’oro
che ciaveva agli orecchi» 110, «tutta la religione che ciaveva» 112, «le
donne cianno er su’ puntiglio» 112, «che ciai ne l’anello» 115, «nun
ciò fantasia» 115, «nun ciavevo più fantasia» 121, «questo che ciai sur
dito» 116, «In quarant’anni che ciò er negozio» 121, «quel tanto de jella
addosso che cianno tutti l’opali» 121, «cianno le mutanne corte» 125,
«che baulle cià Clementina» 125, «ciaveva pure er fratello» 127, «Cia-
veva dietro sei o sette bracaloni» 128, «era la paura, che ciaveveno»
131, «nun ciaveva prosperi» 132, «cià er diavolo da la parte sua»,
136, «cià Farfarello in corpo» 136, «cià Farfarello in culo» 136, «cià
la valigia grossa» 137, «ciaveva la patente» 146, «Ciaveveno come un’i-
dea» 162, «Puro io ciò la coscienza» 166, «ciaveva la fantasia» 167, «cia-
veva avuto er core de menaje» 167, «quele donne che ciaveva intorno»
170, «cià d’avé un’ingresa» 171, «n’americana brutta, cià d’avé» 171,
«Cià li sordi, cià. Ecco che cià» 171, «cianno paura» 179, «chi è che cia-
vrebbe più la fantasia» 179, «cià na camicia de seta» 180, «cià l’occhio
bono» 181, «nun cià da faticà» 181, «ciaveva prescia d’annà» 183, «nun
cià mai avuto fantasia» 183, «Cià pure un fratello» 184, «vo fa vedé che
cià sonno» 184, «quer ciufo che cià» 184, «ciavevo fame» 185, «ciaveva
le mutanne» 194, «ci avemo pure li fastidi» 203, «nun cià moje» 203,
«nun cià du sorelle» 204, «nun cià una sorella?» 204, «nun ciò sorelle»
208, «nun ciò amiche» 208, «nun ciavevo gnente» 211, «quele scarpe
che ciaveva» 217, «la rabbia che cià dentro» 220, «come ciavesse li baffi
220, «Cià er manganello» 222, «Nun ciò coralli» 224, «quelli che ci ave-
te voi» 224, «ciavete in mano la bandiera» 224, «quell’occhio laterale
che cianno i polli» 236, «queli quattro che ciai da parte» 241, «nun
cià che quela fantasia» 244, «cià sette donne» 244, «che ciài sur dito?»
245, «sti mosconi che ciavemo attorno» 246, «Ciavemo la porchetta»
254, «ciaveva la fantasia de magnà» 254, «le possibilità che ciavemo»
257, «ciaveveno già voja» 263, «ciaveveno li sordi» 254, «cià pure la
ciambella» 275. Fenomeno comune, da Belli ad oggi 158.
88. Si riscontrano molte occorrenze di un ce pleonastico col verbo
sapé, quando preceduto dal pronome lo: «Lei ce lo sa già?» 57, «Ingra-
vallo ce lo sapeva bene» 65, «ce lo sapeveno tutti» 79, «Che ce lo sa, er
cacciatore?» 90, «Lei ce lo saprà mejo de me» 112, «poco ce se scherza,
ce lo so» 115, «ce lo sai bene che ce stava» 115, «s’è risposata coll’inge-
gnere, ce lo sai» 115, «ce ’o sai benissimo» 124, «tu Arfredo ce ’o sai»

158 Cfr. VACCARO 1969, s.v. avé; TRONCON - CANEPARI, p. 102.


IL ROMANESCO DEL PASTICCIACCIO 223

122, «lei ce lo sa che me piaceno» 123, «l’ha fatta più sporca der solito, e
ce lo sa» 184, «m’immagino che ce lo sa puro lei» 203, «ce lo sapevo che
ereno posti da facce er fieno» 204, «sei brava, ce lo so» 241, «ce lo sa
mejo de me» 245. Comune nel parlato della Roma di oggi 159, il costrut-
to è assente in Belli (come si ricava consultando la LIZ) e anche in Tri-
lussa 160.
89. I possessivi sono frequentemente posposti ai sostantivi cui si ri-
feriscono: «de li nervi mia» 35, «ne li panni mia 48», «è l’età sua» 65,
«de le commare loro» 88, «ce sta mamma tua» 92, «li sordi mia» 95,
«er commodo suo» 97, «pe natura nostra» 112, «er fijo mio» 114, «l’a-
nello mio» 114, «der nonno suo» 114, 122, «è l’orefice mio» 115, «le
cifre mie» 117, «er ritratto mio» 118, «l’affari mia» 121, «dar castone
suo» 121, «Er maschietto nostro» 125, «de li consoli nostri» 128, «su
l’automobbile sua» 129, «un brevetto suo» 135, «er nome suo» 145,
«Er cognome suo» 165, «l’interesse suo» 171, «l’ammiraglio loro»
190, «le pupe mia» 203, «n’amica mia» 121, «li fastidi nostri» 202, «li
gioielli mia» 242, «li polli sui» 244, «er fidanzato tuo» 249, «Dalle parti
sue» 250, «la staggione sua» 253, «su la canofiena sua» 264. Fenomeno
comune, da Belli ad oggi 161.
90. In molti casi il superlativo degli aggettivi è reso attraverso la re-
duplicazione: «un chiericone [...] di quelli neri neri» 41, «un bell’ambo
giusto giusto» 52, «quele braccette corte corte» 55, «le sue rare opinio-
ni, ghiotti ghiotti, le annotavano» 56, «guardaveno fisso fisso» 57, «que-
le maje tirate tirate» 60, «una colonnina asciutta asciutta» 72, «un bel
pollone dritto dritto» 74, «due o tre botte secche secche» 76, «na chioc-
cia nera nera» 79, «col figlio [...] granne granne» 87, «un armadietto
[...] pulito pulito» 87, «Queli marenghini gialli gialli tonni tonni» 90,
«Du scarpe nere nere lustre lustre» 98, «quello zitto zitto, de sotto,
chiotto chiotto» 101, «risalı̀ dolce dolce» 101, «dieci fogli da mille novi
novi» 110, «quegli occhioni fonni fonni» 110, «un pupo [...] caruccio
caruccio» 113, «Foglie [...] verdi verdi» 115, «Un diaspro [...] scuro
scuro» 115, «un ber vecchietto asciutto asciutto» 121, «quel’occhioni
fonni fonni» 123, «Lustri lustri, guardi!» 123, «[bottoni] neri neri»

159 Cfr. D’ACHILLE 1995, p. 41; P. TRIFONE, p. 110.


160 Tra gli autori tardonovecenteschi studiati da COSTA 2001, il tipo ce lo so si trova
nel solo Maurizio Ferrara (cfr. p. 233); il costrutto è ben attestato in Una vita violenta
(cfr. per es. PASOLINI, pp. 39, 100).
161 Centinaia di occorrenze belliane si ricavano dalla LIZ; molti gli esempi trilus-

siani: per es. «da la panza mia» I, 5, 8; «la vita mia» I, 6, 2; «lo stato mio» I, 6, 10;
per gli usi attuali cfr. TRONCON - CANEPARI, p. 78.
224 LUIGI MATT

135, «basso basso, in un tono di ardore» 137, «Le gambocce strette


strette» 152, «du occhioni tonni tonni» 162, «levò le palpebre serio se-
rio» 162, «capelli [...] secchi secchi» 170, «guardandolo in volto, fisso
fisso» 175, «Na strada [...] dritta dritta» 180, «ce scappa er pranzo callo
callo» 182, «m’ha dato pure na pagnottella sverto sverto» 184, «una spe-
cie di fanale giallo giallo» 192, «capelli fitti fitti» 196, «si accovacciò tra i
canini bono bono» 203, «una crema chiara chiara» 206, «un sorrisino
secco secco, scemo scemo» 213, «il tuorlo d’ovo [...] mollo mollo»
216, «due o tre galline si apprestarono [...] chiotte chiotte» 220, «Stava
lı̀ mocco mocco» 242, «sostava chiotto chiotto» 253, «la zazzera fitta fit-
ta» 254, «lasciò che lo seguisse, mogio mogio» 257, «galline vive chiotte
chiotte» 258, «co li budelli [...] molli molli» 263, «parvero un collegio di
necrofori, cosı̀ neri neri» 269. Ben attestato in Belli 162, il fenomeno sem-
bra a tutt’oggi comune a Roma 163. Si ha la prova che Gadda avvertisse
questo tratto, tutt’altro che inusitato in italiano, come particolarmente
tipico del romanesco: infatti, da una tabella che dà conto di tutte le for-
me reduplicate nelle sue opere si ricava che la frequenza con cui com-
paiono nel Pasticciaccio non ha paragoni in nessun altro testo 164.
91. La congiunzione quanno è spesso accompagnata da un che pleona-
stico: «quanno che piove» 42, «quanno che volete» 43, «Quanno che ve-
deva» 45, «quanno che c’è stato» 46, «quanno che nun la smettono» 63,
«quanno che se sbaciucchiaveno» 73, «Quanno ch’er diavolo ce se mette»
77, «Quanno che nun annaveno a scuola» 80, «quanno che s’è risposata»
115, «quanno ch’er vento le strappa» 119, «quanno che l’angelo se mette
a spiegaje» 125, «quanno che manca la corrente» 132, «quanno che an-
notta» 162, «quanno che so’ lograti» 179, «quanno che la sento» 185,
«quanno che c’è robba» 208. Fenomeno comune, da Belli ad oggi 165.
92. In qualche caso che si unisce a (in)dove: «dove che ce staveno»
19, «in dove che sta» 180, «indove che vado a fa quarche servizzio» 245,
«indove che vénneno li calamari» 257. Attestato in alcuni sonetti bellia-
ni, il costrutto è ancora oggi vitale 166.

162 Per es.: «Quer prete [...] / Secco secco, arto arto, bbrutto bbrutto» 342, 1-2;

«se sente uno strillo fino fino» 453, 7; «Er celo è nnero nero» 866, 9; «L’ottavo [buscio]
nero nero e ffonno fonno» 1017, 9; «er Papa se n’è usscito serio serio» 1275, 7; «l’ab-
bate, bbono bbono, / Seguitava a parlà» 2203, 9.
163 Cfr. RAVARO, p. 40.
164 Cfr. CECCOTTI - SASSI.
165 Dalla LIZ si ricavano 22 attestazioni di Belli (e cfr. NILSSON-EHLE, p. 236); il

fenomeno si ritrova spesso in Trilussa (per es.: I, 29, 1; II, 4, 26; III, 2, 7), ed è descritto
in ROLANDI, s.v. quanno. Per la situazione moderna, cfr. TRONCON - CANEPARI, p. 83.
166 Cfr. LIZ; TRONCON - CANEPARI, p. 83.
IL ROMANESCO DEL PASTICCIACCIO 225

93. In due casi che si unisce a mentre: «mentre che guardeno» 182,
«mentre che staveno svortando» 263. Il costrutto è attestato in Belli 167,
ed è ancora presente nell’uso contemporaneo 168.
94. Si ha un’attestazione del costrutto questo + sostantivo + che qui:
«questo tortóre che qui» 179. Piuttosto comune in Belli 169, il costrutto
sembra a tutt’oggi non essere scomparso dall’uso di Roma 170.
95. È abbastanza frequente l’uso di un che pleonastico come intro-
duttore di interrogative dirette: «Che, l’hai agguantato, er ladro?» 28,
«Che ci avrò l’occhi pe nun vedecce?» 35, «Che, potemo annà?» 47,
«che, era tisica?» 57, «Che ce lo sa, er cacciatore?» 90, «Che, nun cià
moje, lei?» 203, «Che, nun è forse mio quest’anello? E tu, che, nun
sei mia?» 243. Il fenomeno è noto per il parlato nella Roma di oggi 171.
Per il passato, in assenza di indicazioni in repertori e studi, ci si limiterà
a notare un esempio belliano 172.
96. Si registrano parecchi esempi del costrutto si è che ‘se’: «dimme
un po’ [...] si è che l’hai visto» 92, «Si è che so’ quattrini, poi, è capace
de scannà puro e padre» 183, «Perché me lo domandate [...], si è che lo
sapete?» 203, «nun se sa manco... si è che siamo a primavera» 209, «lo
saprà mejo de me [...] si è che ha studiato la lunatica» 209, «La porca è
vostra, si è che cacciate li bajocchi» 255, «correvano [...] in tramme, si è
che ciaveveno li sordi» 264, «si è che lei [...] avete d’annà puro a la Pa-
vona» 269, «m’aiuta a stà intorno ar malato, si è che non viè quarche
vicina» 272, «Nun far del bene, si nun è che vuoi avé mmale» 276. Nes-
sun riscontro per questa perifrasi, che peraltro Gadda deve aver avver-
tito come molto caratterizzante, vista la frequenza con cui la impiega
(quasi sempre nel parlato di personaggi puramente dialettofoni).
97. Si registrano pochi casi di uso di de pleonastico col verbo piacere:
«ce piace d’annà a passeggio» 112, «je piaceva de fa la sfacciatella» 136,
«je piaceva de parlà» 244. Attestato in Belli, il fenomeno è a tutt’oggi
vitale 173.

167 Alcuni ess. belliani si ricavano dalla LIZ; trovo inoltre un’attestazione di Tri-

lussa (II, 43, 8).


168 Cfr. TRONCON - CANEPARI, p. 83.
169 Dalla LIZ emergono parecchi ess. (cfr. anche NILSSON-EHLE, p. 237; SABATINI,

p. 257); l’uso è descritto da ROLANDI, s.v. che.


170 Cfr. TRONCON - CANEPARI, p. 83.
171 Cfr. TRONCON - CANEPARI, p. 83; M. TRIFONE, p. 58; D’ACHILLE 1995, p. 41.
172 «Che, ttienete l’apparto / De queli siti che vve pare a voi?» 53, 23; attraverso la

LIZ si può verificare che non esistono altre occorrenze del fenomeno nei Sonetti. Si può
inoltre notare come quest’uso di che sia frequentissimo in Una vita violenta.
173 Cfr. LIZ; TRONCON - CANEPARI, p. 90.
226 LUIGI MATT

98. In alcuni casi è utilizzata la preposizione da in contesti in cui l’i-


taliano standard prevede di: «Cercà da lavorà» 145, «cercheremo da fa
er possibile» 168, «li dispiaceri che m’è toccato da passà» 204, «so’ boni
pure da pensà» 218. Non sconosciuto a Belli 174, il fenomeno è vivo nel
romanesco contemporaneo 175.
99. Una sola volta da compare in luogo di per: «l’ovo de legno da
rinnaccià le carzette» 245. Il fenomeno, comune in Belli 176, sembra a
tutt’oggi vitale 177.
100. Si registrano quattro occorrenze del costrutto dovere da + infi-
nito: «me devi da giurà che me lo dài» 114, «devi da passà dar Cecche-
relli» 115, «doveva da cambià aria» 165, «me deve da crede» 211. Il mo-
dulo, a tutt’oggi vitale, costituisce un’innovazione del romanesco nove-
centesco: la prima attestazione nota è del 1931 178, dello stesso periodo,
quindi, in cui è ambientato il Pasticciaccio 179.
101. È molto frequente la perifrasi avere da + infinito nel significato
di ‘dovere’: «v’aveva da portà er presciutto» 42, «A Santo Stefano der
Cacco avemo da capità» 43, «quante vorte ve l’ho da dı̀» 45, «aveva
da annà pure a Padova» 77, «Quanno uno ha da morı̀ a quer modo»
89, «Un giorno o l’altro s’ha pure da morı̀» 96, «Me l’hai da lascià»
114, «hai da mette casa» 115, «Quella, j’ho da regalà» 122, «s’aveva
da fa risolà le scarpe» 165, «nun se n’ha da incaricà» 166, «l’aveva da
fa moro» 167, «cià d’avé un’ingresa» 171, «avevo da abbozzà pe forza»
176, «Te n’avrai da pentı̀» 183, «propio adesso m’avevi da regge» 217,
«Perché ho da conoscerlo?» 224, «t’ho da dı̀ com’è successo» 240,
«p’assaggià un omo hai da comprattelo» 241, «si è propio ch’hai da
fa la spia, hai da dı̀ la verità» 249, «Hai da venı̀ un momento in questu-
ra» 256, «t’ha da dı̀ una cosa» 257, «pure a diggiuno l’ho da mannà fino

174 Per es.: «nun zei bbono da tajjà una rapa» 382, 3; «Tu tte penzi da fà cco le

mignotte» 2117, 12.


175 Cfr. TRONCON - CANEPARI, p. 90. L’unico riscontro lessicografico è offerto da

ROLANDI, s.v. da.


176 Per es.: «Oh va’ cche sse trovassi un muratore, / Da fanne un’antra» 194, 14;

«Pijja un deto de vino e un po’ dde pane / Da nun guastà er diggiuno» 264, 10-11;
«Mezza camiscia da coprı̀ le chiappe» 620, 6; «senza un bajocco da compramme er
pane» 1004, 11. Cfr anche ROLANDI, s.v. da.
177 Anche se TRONCON - CANEPARI, che pure dànno conto di un’ampia gamma di

scambi di preposizioni, non ne fanno menzione. Un esempio dal film Amore tossico è
citato da M. TRIFONE, p. 56.
178 Cfr. D’ACHILLE - GIOVANARDI, pp. 54-56; il costrutto è inoltre citato da TRON-

CON - CANEPARI, p. 90.


179 Il costrutto deve essersi diffuso rapidamente, se nel 1946 ROLANDI, s.v. dové,

poteva affermare pacificamente: «Il romanesco costruisce questo verbo col da».
IL ROMANESCO DEL PASTICCIACCIO 227

a Santo Stefeno» 261, «ho da vedé chi ce stà» 271, «chi è che cià da es-
se?» 272, «ciavete da crede» 275, «che m’ho da ricordà?» 276. Costrut-
to comune, da Belli ad oggi 180.
102. Si presenta con una certa frequenza la perifrasi stare a + infinito
(in luogo di stare + gerundio): «stava a baccajà» 39, «stava a parlottà»
61, «se stava a pettinà» 82, «Stamo a fa li scherzi?» 95, «staveno ad an-
naspà» 122, «stamo a fa de tutto» 137, «le stava a guardà» 150, «staveno
a venne la porchetta» 185, «stava a vede: e a sentı̀» 210, «stava a tele-
grafà» 236, «stava a affilà li cortelli» 254, «je lo stava a regge» 256, «stai
a tinticà er culo a le serve» 257. Costrutto comune, da Belli ad oggi 181.
103. Compare una volta l’interrogativa costruita con che + verbo + a
fa(re): «che ce veniva a fa?» 131. Presente sporadicamente nei sonetti
belliani, il costrutto si diffonde nel romanesco dalla seconda metà del-
l’Ottocento, ed è tuttora vitale 182.
104. In qualche occasione suo viene usato in luogo di loro: «pure le
donne cianno er su’ puntiglio» 112; «la su’ corolla de loro» 127; «er para-
diso suo, che puro loro ce l’hanno» 128; «so’ toscani [...]. Sicché, lı̀, te toc-
ca beve er vino suo» 181, «addentate in culo dal suo cane suo di loro» 191.
Il fenomeno sembra assente in Belli, mentre è comune negli usi odierni 183.
105. Si registrano alcune occorrenze di frase ‘‘a cornice’’: «s’è fatta
puro la dota, s’è fatta» 164, «Cià li sordi, cià» 171, «Prima d’annà a
pranzo, prima d’annà» 180, «è ridotto a na piaga sola, è ridotto» 275.
È un tratto sintattico tipicissimo del romanesco, molto frequente in Bel-
li 184, ben presente in Trilussa 185 e a tutt’oggi vitale 186.
106. Si notano vari casi di ridondanze pronominali: «nun ce spari a
noi» 35, «a voi quarche vorta v’è venuto» 41, «pe daje er giro pure a
loro» 55, «j’aveva messo er muso un po’ a tutti» 77, «credeme a me»
96, «me pare a me» 110, 137, «me lo dài a me» 114, «je l’aveva ridato
a la signora» 122, «j’aveva fatto un fioretto a la Madonna» 132, «faje
caccià li vermi a li pupi» 135, «gli era venuta a lui» 143, «pe faje un torto

180
Cfr. VACCARO 1969, s.v. avé; D’ACHILLE - GIOVANARDI, p. 54; TRONCON - CANE-
PARI, p. 103.
181 Cfr. VACCARO 1969, s.v. stà; D’ACHILLE - GIOVANARDI, pp. 48-54; TRONCON - CA-

NEPARI, pp. 96, 102.


182 La struttura è analizzata in D’ACHILLE - GIOVANARDI, pp. 67-83.
183 Cfr. TRONCON - CANEPARI, p. 78.
184 Cfr. GARVIN, pp. 219-222; SABATINI, p. 243 (che nota come compaia «in media

una volta ogni 10 sonetti»).


185 Per es.: «rimane impassibbile, rimane» I, 13, 10; «diventa granne subito, di-

venta» I, 23, 6; «M’hanno chiuso la strada, m’hanno chiuso» I, 56, 6.


186 Cfr. TRONCON - CANEPARI, p. 104. Si può ricordare come la struttura sia piutto-

sto frequente nel testo studiato da M. TRIFONE, pp. 51-52.


228 LUIGI MATT

a lei» 171, «a te nun te lo vo fa sapé» 184, «A me [...] me l’ha dato una


regazza» 211, «m’hanno pijata pura a me» 240, «nu je conveniva manco
a lui» 244, «A voi ve do er mejo boccone» 255, «lassaje tutto a la zia»
256. Fenomeno comune in romanesco, da Belli ad oggi 187.
107. In pochi casi si hanno concordanze a senso: «nun l’aveveno ve-
duto nessuno» 65, «nun se ne fanno gnente nessuno» 249, «Gente che
venneveno la porchetta» 253. Corrente in Belli 188, il fenomeno è noto-
riamente comune nel parlato dei semicolti, indipendentemente dalla
provenienza geografica.
108. In poche occasioni appare il che polivalente: «Pioveva forte,
che me so’ fracicato» 46, «la voja d’annà a dormı̀, ch’era ora» 168, «que-
la casa rosa che se viene dar Torraccio» 245. Comunissimo in Belli 189 e
presente in Trilussa 190, il fenomeno è ben vivo negli usi attuali 191.
109. Si registrano varie occorrenze del tema sospeso: «Sto palazzo,
drento c’è più oro che monnezza» 28; «lui, la tribù de li Valdarena, pe lui
fu uno scherzo» 77; «Quello de Palazzo Chiggi nun j’era parso vero de dı̀
la sua puro lui» 87, «Tutti, la pe là, je prese come una paura» 110, «le
pinze, ho fatto un sarto dar barbiere de faccia pe disinfettalle» 122,
«una [...] je scappò detto» 136, «Calze, manco sognassele» 152, «Lui
er dovere suo era quello» 244. Il fenomeno è comune in Belli 192, e pre-
sente in Trilussa 193; è inoltre tipico dell’italiano popolare di tutta Italia.

Dalla descrizione qui proposta, sembra emergere una caratterizza-


zione grammaticale piuttosto precisa del romanesco gaddiano. La gran-
de maggioranza dei tratti appartiene genericamente al dialetto moderno,
e non può essere utilizzata per stabilire la fonte privilegiata di Gadda:
non è opportuno postulare una derivazione belliana per fenomeni che
sono sı̀ comunissimi nei Sonetti, ma risultano poi altrettanto presenti
nel parlato della Roma novecentesca (spesso non solo nel dialetto ma an-
che nell’italiano regionale). I casi in cui si può ragionevolmente pensare
che Gadda ha attinto direttamente da Belli elementi dialettali che altri-
menti gli sarebbero stati sconosciuti sono poco numerosi; si tratta in so-
stanza di singole forme, per lo più utilizzate una sola volta o comunque

187
Cfr. SABATINI, p. 251; TRONCON - CANEPARI, p. 80.
188
Cfr. SABATINI, p. 256.
189 Cfr. SABATINI, pp. 253-254.
190 Per es.: «so’ quelle / che l’ommini ce formeno la Storia» I, 8, 11-12; «è un omo

che je piace / d’esse lasciato in pace» I, 33, 8; «un Leone / che j’era entrato un ago
drento ar piede» II, 10, 1-2.
191 Cfr. TRONCON - CANEPARI, p. 82.
192 Cfr. SABATINI, pp. 249-250.
193 Per es.: «La Tartaruga, / [...] / j’ammancò un piede» VII, 60, 1-4.
IL ROMANESCO DEL PASTICCIACCIO 229

non spesso. A bilanciare tali presenze si trovano alcuni fenomeni propri


del romanesco postbelliano, come l’allocuzione introdotta da a, il co-
strutto dovere da + infinito, il tipo ce lo so e soprattutto la legge Porena,
che si manifesta in una cinquantina di occasioni.
Per quanto riguarda la grafia, non sorprende notare come Gadda si
tenga molto lontano dalle soluzioni di Belli, filologicamente inappuntabi-
li ma certo poco adatte al vasto pubblico a cui il romanzo è rivolto, e
compia invece scelte non molto diverse da quelle di Trilussa o di Dell’Ar-
co. Va comunque sottolineato che tale ricerca di leggibilità non impedi-
sce all’autore di dar conto, seppur parzialmente, di due fenomeni come il
raddoppiamento fonosintattico e gli esiti della legge Porena, che certo gli
appaiono come particolarmente caratterizzanti del parlato di Roma.
I risultati dell’analisi grammaticale sembrano confermare nella so-
stanza quanto emerge dallo studio del lessico 194: il romanesco del Pa-
sticciaccio, in massima parte, trova riscontro nel dialetto realmente par-
lato nella capitale nei primi decenni del Novecento. Ad una lettura non
aprioristica appare chiaro che il modello dei Sonetti di Belli è sı̀ operan-
te, ma in maniera più raffinata di come a volte si intende: quello che
Gadda vuole recuperare non è tanto un repertorio di forme, quanto
piuttosto un modo di interpretare il dialetto, quella capacità di prendere
un idioma storicamente determinato (per cui si può parlare di «grande
mimesi del linguaggio plebeo») e promuoverlo «a materia epica» dimo-
strata dall’ammirato predecessore 195.
All’interno del complesso pastiche che anche nel suo romanzo di
maggior successo Gadda non manca di allestire, è possibile trovare
una componente linguistica essenzialmente realista, che non cessa di es-
sere tale per il fatto di interagire con componenti di altro genere 196. I
dialoghi, in particolare, appaiono come rappresentazioni sostanzialmen-
te verosimili del modo di esprimersi dei personaggi messi in scena 197,

194 A questo proposito in MATT 2010b mi sono limitato a fornire una prima lettura.
La ricerca completa darà come esito un glossario, che conto di pubblicare prossima-
mente.
195 Le due citazioni si leggono in GADDA 1991, pp. 555 n., 559.
196 In generale, va detto che si tende a volte a dimenticare come un’istanza di reali-

smo sia pressoché sempre riconoscibile nella scrittura di Gadda, che parlando delle sue
prime prove narrative si autodefiniva «minimissimo Zoluzzo di Lombardia» (GADDA
1991, p. 243). L’etichetta di «espressionismo naturalista», creata per la Cognizione del
dolore da CONTINI, p. 26, è utilmente applicabile ad altre opere, a partire proprio dal
Pasticciaccio.
197 Il fatto che anche chi proviene da altre zone del Lazio parli in romanesco non

inficia in nessun modo l’efficacia mimetica del romanzo, che ovviamente va valutato
come una rappresentazione artistica, non come un documento di valore dialettologico,
ciò che esula completamente dai fini dell’autore.
230 LUIGI MATT

personaggi che l’autore ha creato come campioni di tipi umani ben de-
terminati. L’intenso lavoro di revisione sul romanesco che l’autore ha
voluto compiere in vista dell’edizione in volume del romanzo pare pro-
prio aver dato i suoi frutti: del complesso organismo plurilinguistico che
costituisce il Pasticciaccio, funzionale a rendere in maniera stilisticamente
efficace un mondo dominato dal caos, la «concretezza parlata e vissu-
ta» 198 di una Roma còlta in un preciso momento storico è la componen-
te fondamentale.

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