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Mlanges de l'Ecole franaise de

Rome. Moyen-Age

Campagne e contadini nell'Italia bizantina (Esarcato e Pentapoli)


Massimo Montanari

Riassunto
Massimo Montanari, Campagne e contadini nell'Italia bizantina (Esarcato e Pentapoli), p. 597-607.

Le strutture agrarie della Romania di tradizione bizantina sono profondamente diverse da quelle dell'Italia longobarda . Fra
gli altri, almeno tre aspetti fondamentali di taie diversit vengono posti in luce : l'assenza o marginalite del sistema curtense, qui
sostituito da un sistema per fundi e massae (terreni privi di dominico) di evidente derivazione romana; la mitezza dei canoni
fondiari, riconducibile alla dimensione pubblicistica originariamente tipica dei rapporti fra contadini e propriete; il ruolo centrale
delle citt corne perno amministrativo del territorio, legato anch'esso all'eredit romana. Sotteso a tutto ci un importante
rilievo metodologico : il legame assai stretto che si verifica esistere fra realt fondiaria - strutture produttive, rapporti di lavoro,
organizzazione del territorio realt politico-istituzionale ne consegue la necessit di rive dere la logica dei tempi diversi che
spesso ci ha portato considerare separatamente quei diversi piani indagine

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Montanari Massimo. Campagne e contadini nell'Italia bizantina (Esarcato e Pentapoli). In: Mlanges de l'Ecole franaise de
Rome. Moyen-Age, tome 101, n2. 1989. pp. 597-607;

doi : 10.3406/mefr.1989.3057

http://www.persee.fr/doc/mefr_1123-9883_1989_num_101_2_3057

Document gnr le 12/06/2016


MASSIMO MONTANARI

CAMPAGNE E CONTADINI NELL'ITALIA BIZANTINA

(ESARCATO E PENTAPOLI)

Non sono molti anni che gli studiosi hanno messo a fuoco, in modo
via via pi circostanziato e preciso, l'esistenza di una specificit del
mondo rurale - forme di gestione fondiaria, modi di produzione, rapporti di
lavoro - nei territori di tradizione bizantina dell'Italia centrosettentriona-
le, facenti capo ai due nuclei amministrativi dell'Esarcato e della Penta-
poli. Una specificit che nettamente distingue queste zone della Romania
da quelle, anche molto prossime nello spazio, della Langobardia. Non
sono molti anni, dicevo. E fisserei una data importante al 1970, quando
Vito Fumagalli, nel saggio Coloni e signori nell'Italia superiore dall'VIII al
X secolo1, contraddicendo certo ottimismo storiografico
sull'atteggiamento - a dire di alcuni favorevole - che i conquistatori longobardi
avrebbero tenuto nei confronti dei lavoratori della terra, faceva osservare
come nei contratti agrari della Langobardia gli obblighi di corresponsione
imposti ai coloni siano, in realt, assai pi gravosi che nell'area soggetta
alla Chiesa Ravennate (Fumagalli si riferiva qui soprattutto alla Pentapo-
li) dove i canoni fondiari paiono assai pi favorevoli al mondo contadino :
non gi il terzo il quarto dei cereali e la met del vino, usuali nelle
altre zone d'Italia (nel Nord, s'intende), bens il decimo e, pi
raramente, il settimo del grano, il quarto e, meno frequentemente, il terzo del
vino2. Canoni che, continuava Fumagalli, potevano essere facilmente
tollerati, se ci spostiamo a considerare l'interesse del proprietario,
solamente da chi, come l'episcopio cittadino (di Ravenna), disponesse di una
massa enorme di propriet fondiarie. Ma a Fumagalli stesso la spiega-

1 In A Giuseppe Ermini, Spoleto, 1970 (= Studi medievali, 3a serie, X, 1969), I,


p. 423-446. Ivi, p. 436-439, le citazioni che seguono.
2 I termini del problema furono precisati qualche anno dopo dallo stesso
Fumagalli in La tipologia dei contratti d'affitto con coltivatori al confine tra
Langobardia e Romania (secoli IX-X), in Studi romagnoli, XXV, 1974, p. 205-214.

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zione non pareva convincente : non mancano esempi - aggiungeva


infat i - di canoni del tutto uguali assai vicini a quelli della Chiesa di
Ravenna, esatti da proprietari ecclesiastici laici, tra i quali abati e vescovi non
grandi, le cui disponibilit economiche dovevano essere ben inferiori a
quelle dell'arcivescovo ravennate, oltre che nella Pentapoli, anche
nell'Esarcato, rimasto altrettanto a lungo di dominio bizantino. Siamo,
allora, concludeva Fumagalli, di fronte a un fatto che va spiegato alla
luce di due civilt, quella bizantina e quella longobarda, che tali sono le
demarcazioni spaziali e politiche delle due zone diversamente
caratterizzate per quanto riguarda l'amministrazione delle campagne .
Due diverse civilt. Un termine piuttosto impegnativo, quasi fuori
moda. Un termine che costituiva invito a considerare le vicende della
storia agraria non gi costringendole entro una logica propria, entro
lunghe durate impermeabili alle vicissitudini della politica e delle
istituzioni, ma, al contrario, in stretta connessione con queste ultime - la politica,
le istituzioni3. Certo non si trattava di una novit assoluta: gi nei
decenni tra Otto e Novecento, alcuni storici del diritto - penso soprattutto
a Pier Silverio Leicht4 - avevano fatto osservare la particolarit delle
strutture giuridiche e delle forme contrattuali in uso nelle aree
bizantine dell'Italia centrosettentrionale, rispetto a quelle diffuse nell'Italia
longobarda. Allora, per, il discorso non si era troppo discostato dal
piano formale, giuridico; non aveva coinvolto la realt quotidiana dei
rapporti sociali e produttivi5. In ci stava il grande rilievo metodologico

3 Su tale suggerimento metodologico basato il recente lavoro di B.


Andreol i e M. Montanari, L'azienda curtense in Italia. Propriet della terra e lavoro
contadino nei secoli VIII-XI, Bologna, 1983; vedi in particolare l'Introduzione, p. 8-10.
4 P. S. Leicht, Livellarlo nomine. Osservazioni su alcune carte amiatine del
secolo nono, in Studi senesi, 22, 1905, p. 283-351. Cfr. B. Andreolli, La forza del
diritto : lo ius libettarium e le sue variazioni durante il Medioevo, in Le campagne
italiane prima e dopo il Mille. Una societ in trasformazione, a cura di B. Andreolli,
V. Fumagalli e M. Montanari, Bologna, 1985, p. 275-309, a p. 277.
5 Tant' vero che nei lavori degli storici del diritto pi attenti alle vicende
economico-sociali tale problematica del tutto assente. Si veda in particolare
G. Luzzatto, Breve storia economica dell'Italia medievale, Torino, 1958; Id., Storia
economica d'Italia. Il Medioevo, Firenze, 1963 (2a ed.). Invece, l'attenzione
prioritaria prestata alla storia economico-sociale da parte degli allievi di Fumagalli ha
condotto ad una riconsiderazione in chiave non pi formale ma sostanziale degli
aspetti giuridici del problema : basti citare l'esemplare saggio di B. Andreolli, Le
enfiteusi e i livelli del Breviarium, in Ricerche e studi sul Breviarium ecclesiae
Ravennatis (Codice Bavaro), Roma, 1985, p. 163-177, dove l'esame delle forme
contrattuali in uso nella Pentapoli posto in stretta relazione con la dinamica
sociale e politica.
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di un suggerimento come quello di Fumagalli, pur se avanzato - come


l'indole dello studioso imponeva - in tono sommesso. Sommesso al punto
che non molti, credo, seppero coglierne tempestivamente la novit. Ma
quella intuizione ha dato molti frutti nei quindici anni che sono seguiti.
Lo stesso Fumagalli e altri studiosi hanno lungamente lavorato attorno a
questo originario nucleo di idee, la cui validit si pu oggi misurare con
la fecondit dei risultati che ne sono scaturiti.
Che la civilt delle aree esarcali e pentapolitane di dominazione (e
poi, comunque, di tradizione) bizantina sia qualcosa di profondamente
originale rispetto a quella longobarda, con riflessi importanti
nell'ambito delle vicende economiche e sociali delle campagne, stato precisato
soprattutto dagli studi di Andrea Castagnetti sui modi e le forme di
organizzazione fondiaria nelle due aree. Il volume di Castagnetti su
L'organizzazione del territorio rurale nel Medioevo, pubblicato nel 1979 a Torino (e
poi, in seconda edizione, nel 1982 a Bologna), costituisce il pi lucido
punto d'arrivo in questo senso6. Riprendendo, anche qui, una tradizione
storiografica che risale al secolo scorso, egli mette in luce in modo
sostanzialmente nuovo (nuovo non solo per la modernit delle tecniche di
indagine, ma per l'impostazione comparativa1 fra due modelli di civilt,
quella longobarda e quella romanica) i caratteri originali e distintivi
della Romania nell'ambito delle strutture fondiarie, considerate in stretto
rapporto con le vicende politico-istituzionali. Emerge dalle ricerche di
Castagnetti (come da quelle, parallele, di Gianfranco Pasquali8,
incentrate su ambiti spaziali pi circoscritti, a verifica e talora ad aggiustamento
delle osservazioni svolte da Castagnetti in modo pi ampio e sintetico)
una realt fondiaria che ha come base, ancora nel Medioevo, il fundus e
la massa, secondo una tradizione ereditata dall'et romana. Il fundus,
entit originariamente unitaria riguardo alla propriet, alla conduzione,
alla coltivazione della terra (in et repubblicana esso in sostanza si
identificava col podere del piccolo proprietario contadino), gi in epoca
imperiale e poi soprattutto nell'alto Medioevo perdette via via tale sua
caratteristica, in seguito a modificazioni di ordine sociale, economico,
patrimoniale : crisi della piccola propriet di fronte all'espandersi della grande,
soprattutto ecclesiastica; frazionamento accorpamento di funai; con-

6 Per i problemi trattati in questa sede cfr. soprattutto le p. 247-255 (mi


riferisco all'edizione pi recente).
7 Cf. il sottotitolo del lavoro : Circoscrizioni ecclesiastiche e civili nella Lango-
bardia e nella Romania.
8 Raccolte ora nel volume Agricoltura e societ rurale in Romagna nel
Medioevo, Bologna, 1984.
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cessioni livellane enf iteutiche, che moltipllcavano i diritti reali sulla


terra. Cos, le aziende contadine - di contadini, nell'alto Medioevo, ormai in
gran parte dipendenti - potevano talora coincidere con un fundus, ma
anche esservi ritagliate dentro, attraversarne pi d'uno. In ogni caso il
fundus rimaneva la cellula-base del sistema catastale, il punto di
riferimento principale per l'ubicazione e la conf inazione dei terreni9. A sua
volta la massa era un agglomerato di fundi, variamente strutturata
secondo le circostanze (in base alle osservazioni di Pasquali, la presenza di una
massa rimandava solitamente ad un processo di colonizzazione in atto10).
Ci che soprattutto mi preme osservare che queste strutture agrarie
comportavano un tipo di organizzazione del lavoro assai diverso da
quello curtense che si andava diffondendo nei territori della Langobardia,
gi (in qualche misura) in epoca longobarda ma soprattutto in et
carolingia, secondo un modello che alla luce delle indagini pi recenti (mie e
di altri) possiamo senz'altro definire di importazione franca11. La
differenza sostanziale fra i due sistemi era nel fatto che, mentre la curtis
prevedeva la ripartizione dell'azienda fra un'area dominica a
conduzione diretta e un'area massaricia condotta da coltivatori concessionari,
nella maggior parte dei fundi e delle massae mancavano - erano
assolutamente marginali - terre a conduzione diretta : lo spazio agrario era
pressoch interamente dato in concessione 12. Anche il fundus pi
importante, quello centrale della massa, che spesso le dava il nome, era
solitamente dato a livello in enfiteusi; la massa, perci, lungi dal costituire
un'unit di conduzione articolata in parte dominica e parte massaricia,
non fungeva neppure da centro di controllo del lavoro e di raccolta dei
prodotti (come meglio vedremo tra breve). Non che mancassero, nelle
campagne dell'Esarcato e della Pentapoli, terreni a conduzione diretta :
ma le menzioni di domnicalia simili, che qua e l si incontrano nei
documenti, suggeriscono trattarsi di realt sporadiche, scarsamente
organiche rispetto al tessuto produttivo di base. Un unico grande massari-
ci , attraversato da rare isole a conduzione diretta : cos, per intenderci,
potremmo definire lo spazio agrario dell'area esarcale e di quella penta-
politana. La fisionomia che ne scaturiva, nella tipologia insediativa e
nell'organizzazione materiale del lavoro, era forse pi simile a quella dei

9 Oltre ai citati lavori di Castagnetti e Pasquali, vedi sull'argomento anche


Andreolli-Montanari, L'azienda curtense, cit., p. 162 sg.
10 Pasquali, Agricoltura e societ rurale, cit., p. 122 e passim.
11 Rimando per questo soprattutto a Andreolli-Montanari, L'azienda curtense
cit.
12 Ivi, p. 164-165, per quanto segue.
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casalia attestati in epoca longobarda, agglomerati di aziende contadine e


di abitazioni funzionanti come unit autonome e indipendenti 13, che non
a quella degli organismi curtensi diffusisi nell'Italia padana in epoca
carolingia, potenti strumenti di controllo sociale oltre che di
organiz azione economica. Certo, anche i contadini dell'Esarcato erano ormai per lo
pi coloni dipendenti, che tenevano la terra in concessione; tuttavia
l'assenza di centri domocoltili doveva significare un tasso molto elevato di
autonomia, un modo di conduzione della terra concretamente non troppo
dissimile da quello che si attuava si era attuato nelle libere comunit
contadine. Ci peraltro si risolveva nell'ambito delle attivit lavorative,
poich non dato riscontrare, nelle zone della Romania, l'esistenza di
autonomie amministrative dei centri rurali, analoghe quelle dei vici di
area longobarda14. Pare insomma mancare, nei territori romanici,
quella dimensione del viens, il villaggio contadino dotato di una sua
autonomia amministrativa, che altrove caratterizza capillarmente il mondo
rurale, perch altri - di stampo cittadino, come vedremo - sono
nell'Esarcato e nella Pentapoli i modelli di inquadramento delle campagne, tanto
accentrati dal punto di vista amministrativo, quanto decentrata e, per cos
dire, autonoma era la funzionalit e la gestione dei processi produttivi,
scarsamente controllata dai proprietari della terra.
L'esistenza, nelle campagne romaniche, di una maggiore
autonomia economica e sociale - non amministrativa - dei ceti contadini, trova
un ulteriore motivo di riscontro nel peso, inconfrontabilmente pi basso,
che nelle zone di tradizione bizantina aveva, rispetto alla Langobardia,
l'uso di imporre ai coloni dipendenti prestazioni di lavoro (corves) nei
terreni dominicali15. Il motivo ovvio dopo quanto si detto, e sta
nell'assenza (o, comunque, marginalit) dei centri dominicali, appunto, in
quel sistema fondiario. Mancando una stretta integrazione fra dominici
e massarici, come accadeva nell'Italia curtense, mancava anche la
condizione che altrove giustificava l'imposizione di operae ai coloni. In
verit, non che i contadini dell'Esarcato e della Pentapoli non fossero
tenuti all'espletamento di corves 16. Nei contratti agrari di queste zone, la

13 V. Fumagalli, Terra e societ nell'Italia padana. I secoli IX e X, Torino, 1976,


p. 25 sg., per la contrapposizione casale/curtis.
14 Id., Langobardia e Romania: l'occupazione del suolo nella Pentapoli
altomedioevale, in Ricerche e studi, cit., p. 95-107, a p. 104-105.
15 Sul ruolo nodale delle corves per il funzionamento del sistema curtense
vedi Andreolli-Montanari, L'azienda curtense, cit., p. 17-18 e passim.
16 In tal senso sarei oggi pi cauto di quanto non lo sia stato in L'azienda
curtense, cit., p. 169-170, dove mi pare di aver troppo minimizzato il ruolo delle cor-
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richiesta di un certo numero di giornate lavorative (o di lavoro manuale,


di lavoro con i buoi : normalmente met e met, secondo una prassi
ampiamente diffusa) tutto sommato abbastanza presente : nei secoli IX-
X, almeno un terzo dei contratti con coltivatori relativi a tali zone (mi
riferisco a quelli editi) contempla l'obbligo per i coloni di prestare
corves17. Tale obbligo anzi sembra farsi vieppi normale col passare del
tempo, contrariamente a quanto accade nll'Italia longobarda : una
prova, forse, che si tratta anche in questo caso (come per altri aspetti) di una
tardiva influenza di modelli esterni, di una acculturazione, quasi, che
procede di pari passo con l'aumentare, dalla fine del secolo IX in poi,
delle influenze della Langobardia sulla Romania : influenze legate
all'inserimento delle nostre zone nel Regnum Italiae, come nota Castagnetti18;
influenze che si traducono anche nella progressiva diffusione di termini
come mansus curtis, tipici dell'organizzazione fondiaria curtense, a
designare le realt aziendali locali. Ma l'impressione che si tratti
soprattutto di parole, in molti casi sganciate dai contenuti economico-sociali che
esse propriamente implicherebbero; parole impiegate, qui, ad esprimere
realt diverse, con uno sforzo di adattamento che tradisce ad un tempo il
contatto con la cultura franca e la sostanziale estraneit ad essa della
cultura locale. Ad esempio si osserva un frequente impiego del termine curtis
come sinonimo di massa, talora all'interno dei medesimi documenti, con
riferimento alla medesima entit fondiaria : alternanza indicativa dello
snaturamento di significato effettivamente subito dalla terminologia
curtense19. Ma per tornare alle corves, anche in questo caso pare
potersi delineare una sostanziale diversit di situazione rispetto all'area
longobarda. Non tanto per l'esiguit delle richieste, che pure
costituisce un dato di rilievo : quasi mai, infatti, viene superato il limite di
quattro/sei giornate lavorative all'anno. Ancora pi importanti sono le
modalit di espletamento delle corves. Nell'Italia curtense si tratta - in epoca

ves nel sistema produttivo romanico, fra l'altro interpretando come servizi di
trasporto quelle angariae che invece vanno ritenute vere e proprie prestazioni di
lavoro agricolo (tale errata interpretazione mi stata suggerita da un'estensione
abusiva alle aree romaniche della terminologia in uso nelle zone longobarde,
dove angariae sono piuttosto i servizi di trasporto, distinti dalle operae agricole ; un
pi attento esame dei documenti mi ha per indotto a ricredermi). Ho ora
approfondito questo tema in La corve nei contratti agrari altomedievali dell'Italia del
Nord, in Le prestazioni d'opera nelle campagne italiane del Medioevo, Bologna, 1987,
p. 35-68.
17 Ivi, per questo e per le notizie che seguono.
18 L'organizzazione del territorio rurale, cit., p. 253.
19 Cfr. Andreolli-Montanari, L'azienda curtense, cit., p. 165.
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carolingia - di richieste molto precise riguardo al luogo, al momento


dell'anno e talora addirittura al lavoro da svolgere : l'opera va prestata tot
giorni all'anno, al mese, alla settimana, in una localit che pi meno
esplicitamente viene indicata nel dominico della corte, a svolgere attivit
di aratura, mietitura, vendemmia e cos via; questo perch,
nel 'ambito dell'organizzazione curtense, le corves servono a garantire la
funzionalit del sistema e ne costituiscono per molti versi il fulcro nodale20.
Nell'Esarcato e nella Pentapoli, invece, regna una grande
indeterminatezza al riguardo21. I coloni si impegnano a svolgere le corves quando
imperati fuerimus : quando (verrebbe quasi da aggiungere : se) il
proprietario vorr. E dove? Infra ipso territorio. l'indicazione pi precisa che si
capaci di fornire in proposito, quando se ne da una (il che non accade
spesso). Ora, noto che il termine territorium rimanda (qui come altrove)
a una dimensione pubblicistica. Nel caso dell'Esarcato e della Pentapoli,
in base agli usi notarili attestati nella documentazione privata, questo
territorium va senz'altro identificato con l'ambito giurisdizionale delle citt.
il territorium civitatis. Siamo perci avviati ad almeno due importanti
considerazioni : primo, che in queste aree di tradizione bizantina la citt
rimasta il perno cui fa capo la vita rurale; secondo, che queste campagne
(intese non in mero senso territoriale, ma come luoghi di lavoro e di
rapporti sociali) vivono in una dimensione fortemente pubblicistica.
Che ci sia vero, pare confermato anche da altri indizi. Ad esempio
dalla presenza, nei contratti agrari (dunque in documenti di carattere
eminentemente privato e patrimoniale), di norme riguardanti l'uso
dell'incolto, che, qui come altrove, regolato da consuetudini di carattere
territoriale pi che fondiario; pubblicistiche, cio. Non dunque strano
che i contratti agrari non ne facciano alcun cenno, come solitamente
accade nell'Italia longobarda; strano piuttosto il contrario, che si
verifica regolarmente nell'area romanica, dove i diritti di glandatico e
di erbatico, per il pascolo dei porci e delle pecore, sono normalmente
compresi fra le clausole dei contratti di lavoro individuali22. Tutto ci
spia di un rapporto abbastanza particolare esistente fra i contadini
dell'Esarcato e della Pentapoli e l'arcivescovo ravennate, che era, nel
contempo, proprietario delle loro terre e sovrano delle loro persone. La com-

20 Vedi sopra, nota 15 e contesto.


21 Per quanto segue rimando ancora al mio La corve nei contratti agrari,
cit.
22 Avevo gi osservato questa particolarit in L'alimentazione contadina
nell'alto Medioevo, Napoli, 1979, p. 239. Ma vedi anche il mio Campagne medievali.
Strutture produttive, rapporti di lavoro, sistemi alimentari, Torino, 1984, p. 7-9.
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mistione privato/pubblico, che anche altrove si sta affacciando (ma sar


soprattutto la signoria territoriale nel X secolo ad imporla nei rapporti
interpersonali), nelle campagne della Romania pare essere un dato di
partenza originario. N pare da escludersi (personalmente ne sono
convintissimo) che proprio a tale carattere ambiguamente pubblicistico del
rapporto fra Chiesa ravennate e contadini sia da ascriversi la mitezza, di cui
si diceva all'inizio, dei canoni fondiari qui riscontrati, in opposizione a
quelli ben pi gravosi previsti nei contratti dell'Italia longobarda23. Il
fatto che - lo ricordava gi Fumagalli nel citato articolo del 1970 - in
epoca romana lo stato usava affittare le sue terre esigendo dai coltivatori
il decimo delle seminagioni e il quinto dei frutti delle coltivazioni
arboree24. Con ogni probabilit, i canoni fondiari attestati ancora nei secoli
centrali del Medioevo in queste zone romaniche (per i cereali, dal
quinto al decimo)25 sono in qualche modo da ricollegare a questa dimensione
pubblicistica del rapporto economico, mai venuta del tutto meno l dove
il tramite della dominazione bizantina perpetu modi e forme della
tradizione romana26. Che, comunque, si tratti di un dato di natura territoriale
e non fondiaria, indubbio : tutti i proprietari, chiunque essi siano, vi si
adeguano, anche quelli che, possedendo terreni anche nell'area di
tradizione longobarda, ben conoscono le diverse consuetudini l in vigore :
questo il comportamento emblematico del conte Rodolfo, che attorno agli
stessi anni, agli inizi del secolo X, stipula contratti di livello per terreni
ubicati, rispettivamente, nei territori di Reggio Emilia (dove chiede 1/4
dei cereali e la met del vino) e di Bologna (dove chiede 1/7 dei cereali e
1/4 del vino)27. N si possono invocare valutazioni di ordine produttivo,
che, semmai, entrano in campo in seconda istanza, a determinare la
scelta fra una l'altra quota all'interno della gamma di quote previste in
ciascuna zona : chiedere, ad esempio, un terzo del vino anzich la met, in

23 Cfr. Andreolli-Montanari, L'azienda curtense, cit., p. 166.


2A Coloni e signori, cit., p. 439.
25 Sulla contrattualistica agraria e i rapporti di lavoro in area romagnola cfr.
il mio Campagne medievali, cit., p. 86-108 (p. 89 per i canoni parziari).
26 Sulle vicende politiche e istituzionali dell'area ravennate nel periodo
considerato cfr. G. Fasoli, // dominio temporale degli arcivescovi di Ravenna fra Will e
l'Xl secolo, in // potere temporale dei vescovi in Italia e Germania nel Medioevo,
Bologna, 1979, p. 87-140. Per il periodo anteriore cfr. A. Guillou, L'Italia bizantina
dall'invasione longobarda alla caduta di Ravenna, in Longobardi e Bizantini, Torino,
1980 (Storia d'Italia diretta da G. Galasso, I), p. 219-338.
27 Le carte degli archivi parmensi dei secc. X-Xl, a cura di G. Drei, Parma,
1930, n. VII, a. 908, p. 45-46 (territorio bolognese); n. X-XIII, a. 915, p. 56-63
(territorio reggiano).
CAMPAGNE E CONTADINI NELL'ITALIA BIZANTINA 605

area longobarda, per favorire l'impianto di un nuovo vigneto; in area


romanica, per una analoga considerazione, si richiede il quarto anzich
il terzo28. In realt non sembrano esistere spiegazioni di ordine sociale n
economico. La sola spiegazione plausibile quella che rimanda alla
tradizione pubblicistica di questi canoni fondiari : a fatti, dunque, di natura
istituzionale e politica.
L'altra considerazione importante quella del ruolo delle citt nel
sistema territoriale e produttivo delle aree di tradizione bizantina. A
differenza che altrove, esse continuano qui a rappresentare, nell'alto
Medioevo, il perno della vita amministrativa, direttamente, attraverso la
realt intermedia dell'istituzione plebana29 : in modo, comunque, fortemente
centralizzato, che - come si diceva pi sopra - non prevede spazi di
autonomia locale capillarmente diffusi sul territorio. Di contro alla ruralizza-
zione estrema che coinvolge nell'alto Medioevo tutti gli aspetti della vita
civile nelle aree della Langobardia, le zone di tradizione bizantina
rimangono pi legate al modello classico della citt come centro di
coordinamento amministrativo del territorio. Un modello urbano rimasto qui (solo
qui) assolutamente prioritario, generatore di realt assai diverse da quelle
attestate altrove : dalla preminenza indiscussa degli episcopi cittadini in
ambito ecclesiastico, alla mancanza di spazio (politico, s'intende) per il
sorgere di ambiti pubblicistici concorrenziali rispetto a quelli della citt,
come in vaste aree della Langobardia accadeva con la germinazione delle
signorie bannali attorno ai castelli rurali30. Neppure tali forme di
aggregazione di stampo signorile, in certo senso alternative a quelle del vicus
contadino, poterono attecchire nelle campagne romaniche dell'alto
Medioevo.

28 Fumagalli, La tipologia dei contratti, cit., p. 209; Montanari, L'alimentazione


contadina, cit., p. 78-79.
29 Vedi per questo soprattutto Fumagalli, Langobardia e Romania, cit.;
Id., La geografia culturale delle terre emiliane e romagnole nell'alto Medioevo, in Le
sedi della cultura nell'Emilia Romagna. L'alto Medioevo, Milano, 1983, p. 11-27.
30 Castagnetti, L'organizzazione del territorio rurale, cit., p. 254-255, per la
probabile assenza nella Romania di distretti signorili e signorie locali che
abbiano la base del loro potere nel possesso di un castello ; ivi, p. 302-303, per il
ritardo del processo di incastellamento e la sua scarsa incisivit sull'organizzazione
del territorio. Vedi inoltre Fumagalli, Langobardia e Romania cit., p. 103-104.
Per l'esame di un caso particolare, che mi sembra significativo della sostanziale
debolezza dei centri di potere (anche in apparenza assai forti) alternativi alle civi-
tates in area romanica , cfr. M. Montanari, Una citt mancata : S. Cassiano di
Imola nei secoli XI-XII, in Studi romagnoli, XXIX, 1978, p. 495-526 (in particolare
vedi a p. 524-526).
606 MASSIMO MONTANARI

Anche la vita dei contadini fu profondamente segnata da questo stato


di cose. Le corves, dicevamo, andavano svolte all'interno di uno spazio
(quello facente capo alla citt) pubblicisticamente definito; e quando
capita - il che accade solo eccezionalmente - che si precisi dove svolgerle,
si tratta addirittura della citt stessa: come leggiamo in un gruppo di
contratti della fine del X secolo, dove ai coloni, che prendono a livello
terreni nell'area riminese, si impone di andare a lavorare per alcuni
giorni all'anno il broilum domnicatum che si trova nella citt di Rimini31.
Altra importante osservazione va fatta a proposito delle modalit di
riscossione del canone. Ai coloni dipendenti dall'episcopio ravennate si
ingiunge di portare i cereali, il vino e gli altri prodotti direttamente a
Ravenna, alla domus dell'arcivescovo32; oppure in altre citt dove la
Chiesa ravennate teneva granai e magazzini, da cui poteva facilmente
organizzare trasporti, preferibilmente via mare. quanto accade nel
Riminese, dove talora si prevede che i coloni trasportino il canone fino
alla riva del mare fino alla citt di Rimini33. Dunque i fundi contadini
fanno riferimento diretto all'amministrazione centrale e non ad un centro
di raccolta locale. Tutto ci doveva avere dei risvolti non secondari nel
determinare i modi di vita delle persone, costrette a spostamenti non di
rado lunghi ma, per ci stesso, maggiormente abituate a frequentare
ambienti e luoghi diversi. L'orizzonte cittadino, con quanto esso poteva
significare in possibilit di incontri e di scambi (personali e di mercato),
non doveva risolversi solo in una maggiore fatica del contadino e degli
animali da trasporto. Ma entriamo qui nel campo delle congetture, ed
meglio subito uscirne.
Molte cose ancora si potrebbero dire. Ad esempio sulla specificit
romanica dii certe realt produttive, indubbiamente diverse da quelle
che si riscontrano contemporaneamente nell'Italia longobarda: basti
pensare, nel settore cerealicolo, alla presenza e all'importanza nelle
campagne esarcali di un prodotto come il farro, retaggio evidente della
tradizione romana pi arcaica, scarsamente attestato altrove34; o, nel settore
pastorale, alla preminenza dell'allevamento ovino su quello suino, altrove
massicciamente prioritario : situazione nella quale non esito a scorgere, al

31 C. Curradi, Pievi del territorio riminese nei documenti fino al Mille, Rimini,
1984, n. 37-39, a. 997, p. 304-310.
32 Andreolli-Montanari, L'azienda curtense, cit., p. 170.
33 Ivi (con riferimento a un contratto agrario dell'anno 952 edito nei
Monumenti ravennati de' secoli di mezzo di M. Fantuzzi, I, Venezia, 1801, n. XXIV,
p. 131-132).
34 Montanari, L'alimentazione contadina, cit., p. 131-132.
CAMPAGNE E CONTADINI NELL'ITALIA BIZANTINA 607

di l di una differenza - peraltro abbastanza sfumata - di clima, di suoli


e di paesaggi, il retaggio, anche qui, di una tradizione che schiettamente
romana35.
Concludo ribadendo quella che mi sembra l'importanza metodologica
di fondo delle molte ricerche che in questi ultimi anni hanno contribuito
a definire nell'insieme e nel dettaglio la diversit e la specificit della
storia agraria romanica rispetto a quella longobarda. , come dicevo
all'inizio, la constatazione che esiste un legame piuttosto stretto fra
vicende dell'economia e della politica, del lavoro e delle istituzioni. Esse si
influenzano e si determinano a vicenda, all'interno di quella che
possiamo latamente chiamare una civilt o, se vogliamo, una cultura. La
diversit di tradizioni politiche, istituzionali, culturali trova un riscontro sul
piano delle strutture agrarie, dell'organizzazione produttiva, dei rapporti di
lavoro. Pensare per tutte queste realt a tempi diversi, a logiche diverse,
diventa sempre pi difficile.

Massimo Montanari

35 Id., Campagne medievali, cit., p. 8. E cfr. M. Baruzzi-M. Montanari, Porci e


porcari nel Medioevo. Paesaggio economia alimentazione, Bologna, 1981, p. 13-17.

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