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Federico Chabod,

Storia dell'idea d'Europa.


'animo si
volge, nostalgicamente, verso quei
belli, splendidi tempi in cui
l'Europa era una terra cristiana, in
cui un'unica Cristianit abitava
a cura di Ernesto Sestan e Armando Saitta.
Copyright 1961 Gius. Laterza e Figli, Roma-Bari.
Nella "Economica Laterza" Prima edizione 1995.
Come e quando i nostri avi hanno
acquistato coscienza di essere
europei?
Uno dei pi grandi storici italiani
ripercorre la storia di questa
consapevolezza quale si venuta
svolgendo all'interno di una
tradizione di pensiero che parte dai
Greci per arrivare alla fine
dell'Ottocento. Un libro nato dalla
fede in alcuni valori supremi, morali
e spirituali, che sono creazione della
nostra civilt europea.
Federico Chabod (Aosta, 1901 - Roma,
1960), per i nostri tipi autore
anche di Storia della politica estera
italiana (1965), L'idea di nazione
(1967), Lezioni di metodo storico
(1969).
Prefazione
Anche questo volumetto, come l'altro
su :L'idea di nazione (1) racchiude
un corso universitario di Federico
Chabod: quello sulla Storia di
Europa, da lui professato la prima
volta alla Facolt di Lettere di
Milano nel 1943-44 (come parte di un
corso pi ampio, abbracciante l'idea
di nazione) e successivamente, per due
volte, presso la Facolt di Lettere di
Roma (anni accademici 1947-48 e
1958-59). Allo stesso argomento Chabod
aveva dedicato pure la sua prolusione
romana del gennaio 1947, poi data alle
stampe; tema, dunque, - poteva egli
ben dire, ad apertura del corso del
1958-59 - che mi particolarmente
caro, e che desta in me una profonda
risonanza, morale e spirituale: dalla
fede in alcuni valori supremi, morali
(1) Cfr' :L'idea di nazione, Bari,
Laterza, 1967.
e spirituali, che sono creazione della
nostra civilt europea, nato infatti
l'impulso a ripercorrere storicamente
l'iter di questa civilt, e,
anzitutto, a rispondere al quesito,
come e quando i nostri avi abbiano
acquistato coscienza di essere
europei.
Questa dichiarazione, che forse pu
sorprendere sotto la penna di un uomo

schivo del parlar di s quale era


Federico Chabod, va ricollocata in
quella che era la particolare
atmosfera di impegno che egli creava
attorno a s dalla cattedra, con quel
suo tono pedagogico solenne e al tempo
stesso caldo di fermenti e suscitatore
di energie. Ci permettiamo, anzi, di
dire che proprio la pubblicazione di
questi corsi universitari consentir,
a chi non ha avuto la ventura di
essere suo ascoltatore, di cogliere
uno Chabod non certo diverso da quello
che le opere scritte per essere
pubblicate ci hanno fatto conoscere,
ma indubbiamente con delle inflessioni
pi vivaci, meno preoccupato di tener
al secondo posto la propria critica
personale per dar la prevalenza
all'esecuzione, in piena onest, del
precetto dell'audietur altera pars,
qui invece pi pronto nel rapido
guizzar di una frase, nel balenar di
un giudizio a dare il posto di
proscenio alle proprie intuizioni.
Persiste anche in questo corso
universitario quella estrema
sensibilit che fu propria di Chabod
nel voler salvaguardare ad ogni costo
la pulizia del lavoro storiografico
dalle commistioni con le passioni
della politica: se nel saggio su
Croce storico del 1952 aveva rivolto
l'attenzione verso i pericoli di
commistione provenienti da sinistra,
qui lo sguardo si volge preoccupato
verso destra, verso chi eventualmente
vorr confondere una seria ricerca
storiografica sull'idea di Europa con
i calcoli, i progetti e - perch no? la civetteria di un europeismo oggi
di moda; ma in queste pagine vi sono
pure dei pensieri che denotano
tutt'altre preoccupazioni: Vien da
pensare che l'umanit non possa
procedere se non per via polemica, e
che l'alterare proporzioni e misure
sia necessario all'uomo che lotta per
affermare un proprio ideale. Anche il
momento metodologico - ed era cosa ben
naturale - balza in primo piano in
queste lezioni: nella fattispecie, per
l'idea di Europa, ricordiamo il canone
che il momento della
"contrapposizione" [] sempre decisivo
in simile processo di delineazione da
parte degli europei dei propri
caratteri e, con questo, ricordiamo
pure il canone, che potrebbe forse
esser detto di storia integrale: Non
perdiamo mai di vista simili
connessioni del nostro problema
particolare con l'insieme della vita
spirituale europea, ch, altrimenti,

sfuggirebbero tanti aspetti del nostro


problema e altri sarebbero fraintesi.
Non il caso di insistere sulla
grande fecondit dell'uno e dell'altro
di questi due criteri storiografici,
tanto essa risulta evidente;
ricordiamo soltanto che essi
giustificano in pieno quanto stato
scritto di recente: Sulla traccia
dell'idea d'Europa, il mondo
ellenistico e il mondo romano, la
respublica christiana, l'Umanesimo,
il Rinascimento, la Riforma con la
diaspora dei fuorusciti italiani.
L'Occidente delle invenzioni e delle
scoperte, il Settecento e la
Rivoluzione, il Romanticismo e il
nazismo erano per lui altrettanti
momenti di riflessione e di
illuminazione (G' Falco, :L'idea
d'Europa, in :Federico Chabod nella
cultura e nella vita contemporanea,
in Rivista storica italiana, Lxxii,
1960, p' 741).
Lo studioso di Chabod storico
dell'idea di Europa dovr affrontare
la questione della genesi delle sue
riflessioni sull'argomento: il primo
corso, quello milanese, si svolse nel
1943-44 e tale data di per s, accanto
al fatto che l'idea d'Europa faceva
parte di un corso sull'idea di
nazione, pi che illuminante: erano
gli anni tragici nei quali i barbari
dell'anti-Europa, ancora restii a
percepire lo scricchiolare dei loro
vasti e frettolosi imperi, si erano
tramutati in assertori di una nuova
Europa sotto i segni della svastica e
del littorio; il richiamo di Chabod al
quando i nostri avi si erano sentiti
europei, al momento
rousseauiano-mazziniano della nazione,
sprizzava come autoctona
contrapposizione alla Neue Ordnung.
Ma Chabod, certamente, non aveva
atteso il 1943 per meditare
sull'argomento (lavoratore tenace
quanto metodico, in ogni sua pagina
versava il dossier di un numero
rilevante di letture, di schede e di
appunti, costituito in anni di assidua
ricerca), e forse si nel vero
congetturando che il primo stimolo
sorse per opposizione polemica a certe
ouvertures della politica culturale e
della propaganda ufficiale dell'ra
del Bottai. Non certo senza
significato che, nella redazione del
corso milanese del 1943-44, data alle
stampe a cura di Bianca Maria
Cremonesi, Chabod abbia iniziato
l'introduzione con queste parole, che
non torneranno pi nelle edizioni

romane del 1947-48 e 1958-59:


In questi ultimi anni stato, ed
, un gran parlare di Europa e di
civilt europea, di anti-Europa e di
forze avverse alla civilt europea,
ecc'. Appelli, articoli di giornali e
di riviste, discussioni e polemiche:
insomma, il nome Europa stato con
insolita frequenza tirato in ballo, a
torto e a ragione, per dritto e per
rovescio.
Ma se ci fermiamo ad analizzare un
po' da vicino che cosa s'intenda per
Europa, ci accorgiamo subito
dell'enorme confusione che regna nella
mente di coloro che pur ne parlano e
scrivono con tanta foga e insistenza.
Quale sia il valore esatto di tal
termine, rimane nascosto: e si
potrebbe proprio ripetere il che ci
sia ognun lo dice, dove sia nessun lo
sa.
Ci si serve, cio, di un concetto
del tutto indefinito, vago, confuso:
anzi, dobbiamo constatare che si
tratta generalmente di parole sonore e
vuote, senza nessun concetto dietro.
Come si sia venuto formando, e
attraverso a quali lunghe fasi; che
cosa s'intenda propriamente quando ci
si riferisce al concetto di Europa,
questo oscuro.
Questo ci sforzeremo di chiarire
nel nostro corso; questo e, ad un
tempo, la funzione storica che il
concetto ha gi avuto nel passato, il
suo divenire da semplice concetto,
idea, il suo trasformarsi, cio, da
pura nozione in aspirazione e volont,
da mero acquisto dell'intelletto in
fattore sentimentale e volitivo, da
conoscenza in valore.
La nostra sar dunque non la storia
d'Europa, secondo viene comunemente
intesa, come storia di accadimenti
politici e militari ed economici; non
la storia di una successione
cronologica di eventi, e nemmeno la
storia della civilt e della cultura
fiorite in Europa, bens la storia dei
pensieri sull'Europa.
una storia ancora assai mal
nota. Ripetiamo: tutti ne parlano, ma
quasi nessuno si chiede il valore
della parola che pronunzia. E ci, non
solo nel campo dei giornalisti.
Anche se passiamo nel campo degli
storici, degli studiosi, dobbiamo
infatti notare la limitatissima
attenzione sin qui dedicata
all'approfondimento dell'idea di
Europa.
Scarse sono cos le pubblicazioni
in merito.

vero che nel 1932 (14-20


novembre) la Reale Accademia d'Italia
dedic uno dei convegni Volta
proprio al tema Europa: e poteva
essere un'ottima occasione per
affrontare in pieno il problema. Ma i
contingenti motivi politici ebbero
assoluta prevalenza sui motivi
scientifici; e il convegno, a cui
parteciparono certo studiosi di valore
e seri ma anche politici e politicanti
di mediocre e mediocrissima levatura,
si trasform per la pi parte in una
discussione politica sul presente e
sull'avvenire dell'Europa (v' il
volume degli Atti, Roma, 1933).
Scientificamente, quindi, nulla usc
da quella riunione.
Pi presso a noi, nel 1942,
l'Istituto Nazionale di Cultura
Fascista fece discutere, prima in
riunioni dei locali Gruppi
Scientifici, poi in un convegno
nazionale a Roma, la Idea
dell'Europa (se ne pu vedere il
resoconto stenografato, in bozze di
stampa riservate). Ma anche qui la
discussione fu, sostanzialmente,
accentrata sul presente e
sull'avvenire; fu, cio, discussione
politica, con profezie e piani e
vagheggiamenti per il futuro. Per quel
che riguarda la storia dell'idea di
Europa, gli accenni fatti nel convegno
sono quasi tutti di una grande
genericit e banalit; ed errata poi
la tesi di C' Morandi, che cerc s di
delineare brevemente quella storia, ma
non seppe risalire oltre i primi
decenni dell'Ottocento.
Questi due tentativi, fatti per
iniziativa ufficiale nell'ultimo
decennio in Italia, sono quindi da
considerare del tutto falliti.
C' invece qualche buono studio
straniero, su alcuni momenti di quello
sviluppo storico (pp' 9-10).
Chi scorra il resoconto stenografato
del convegno del 1942, si accorger di
leggiervi della fondamentale esattezza
del giudizio di Chabob, anche se
qualche contributo scientifico non sia
stato del tutto assente (il dissenso
con Morandi dissenso di due storici
su un terreno storiografico; vorremmo
anche rilevare che la distinzione tra
concetto e idea di Europa fu uno
dei cardini del convegno, dal discorso
di apertura del Pellizzi
all'intervento di Ugo Spirito); poteva
quindi ben dire Chabod nelle redazioni
successive del suo corso: Sino a non
molti anni fa, il tema di cui
trattiamo era, si pu dire, ignorato,

e di rivendicare la qualit di essere


tra i primi al proprio lavoro e a
quello del compianto amico Carlo
Morandi.
Tra i primi e tra i pi fruttuosi,
possiamo aggiungere noi. Non che sia
stata del tutto inesistente un'eredit
dal convegno Volta e da quello
successivo del 1942: non sono mancati
in questi ultimi anni ritorni eruditi
ad antiche posizioni; ma - e siamo
certi che non l'amicizia a farci
velo - la via regia in Italia per gli
studi sull'idea di Europa, quelli
della Annoni, di Visconti e di tanti
altri, ancora, non passata di l;
passata attraverso i nomi di Chabod e
di Morandi, attraverso il loro stesso
amichevole contendere circa il
carattere e l'origine prevalentemente
settecentesca o prevalentemente
ottocentesca dell'idea di Europa.
Ristampiamo qui la terza ed ultima
redazione, quella del corso dell'anno
accademico 1958-59, esistente in
dispense ciclostilate. la redazione
pi ampia di tutte, che assorbe in s
letteralmente con l'aggiunta di
qualche ulteriore particolare la
redazione dell'anno accademico 1947-48
(esistente sotto il titolo generale di
:Lezioni di storia moderna, in
manoscritto calligrafico litografato
presso le Edizioni Studium Urbis di
Roma); la prima redazione, quella
della parte Ii del corso milanese del
1943-44 (a stampa, a cura di Bianca
Maria Cremonesi; Varese-Milano,
Istituto Editoriale Cisalpino, 1944),
da considerare soltanto come un
primo abbozzo, poi notevolmente
ampliato. Abbiamo gi riportato sopra
la pagina significativa
dell'introduzione di questa prima
redazione; quest'ultima, dopo
l'attuale rigo 21 di p' 65, Ii vol'
Braille, cio dopo l'esame dell'idea
di Europa in Voltaire, volgeva
rapidamente a termine in appena sette
pagine, che riportiamo qui in
appendice, ritenendo che esse, se sul
piano della concreta ricostruzione
storica sono ampiamente superate dai
capitoli V e Vi della redazione
definitiva, conservano tuttavia tutto
un loro valore, non foss'altro che di
reazione immediata dell'autore ad
alcune letture fatte in quel
particolare clima che fu degli anni
1943-1944.
Ernesto Sestan
Armando Saitta
Premessa
Riprendo oggi un tema su cui mi sono

gi intrattenuto nel passato: una


prima volta, al corso tenuto presso la
Facolt di Lettere dell'Universit di
Milano, fra l'autunno del 1943 e la
primavera del 1944, che toccava
parimenti dell'idea di Europa e di
quella di nazione; e successivamente,
nella prolusione pronunziata presso la
Facolt di Lettere dell'Universit di
Roma, (1) nel gennaio 1947, e nel
corso - questa volta specifico, e pi
ampio, sulla sola idea di Europa tenuto nell'anno accademico 1947-1948.
Tema, dunque, che mi
particolarmente caro, e che desta in
me una profonda risonanza, morale e
spirituale: dalla fede in alcuni
valori supremi, morali e spirituali,
che sono creazione della nostra
(1) Pubblicata, sotto il titolo
:L'idea di Europa, nella Rassegna
d'Italia, aprile e maggio 1947.
Continuazione dell'articolo suddetto
pu essere considerato l'altro mio
articolo :Nazione ed Europa nel
pensiero dell'Ottocento, in Quaderni
Aci (dell'Associazione Culturale
Italiana), n' 6, Torino, 1951.
civilt europea, nato, infatti,
l'impulso a ripercorrere storicamente
l'iter di questa civilt, e,
anzitutto, a rispondere al quesito,
come e quando i nostri avi abbiano
acquistato coscienza di essere
europei.
Problema storiografico strettamente
allacciato, dunque, con i problemi del
presente, sgorgante anzi direi dai
problemi del presente: come sempre
accade per i veri e grandi problemi
che la storiografia man mano si pone.
Cos si spiega, anche, l'ormai ricco
stuolo di articoli e volumi dedicati,
nell'ultimo decennio, alla storia
della nostra idea.
Sino a non molti anni fa, il tema di
cui trattiamo era, si pu dire,
pressoch ignorato. Ed curioso
constatare che i primi lavori
specifici toccassero il problema
Europa non gi nei tempi pi vicini
a noi, come pur sembrerebbe logico,
bens in quelli pi lontani.
Il primo, utile studio da ricordare,
quello di R' Wallach, apparso a
Lipsia-Berlino nel 1928, riguardava
:Das abendlndische
Gemeinschaftsbewusstsein im
Mittelalter. Non era, dunque, nemmeno
propriamente l'Europa il soggetto,
anche se una ricerca del genere di
quella di Wallach sia essenziale ai
fini pur della storia dell'idea di
Europa.

Segu, nel 1931, il notevole scritto


di W' Fritzemeyer, Christenheit und
Europa, Monaco-Berlino, 1931. E nel
1933 l'assai importante articolo di A'
Momigliano, :L'Europa come concetto
politico presso Isocrate e gli
Isocratei, nella Rivista di
filologia e d'istruzione classica,
Lxi, pp' 477-78. Poi, silenzio: sino,
appunto, agli anni della guerra e del
dopoguerra.
I miei studi, e quelli del compianto
amico Carlo Morandi (:L'idea
dell'unit politica d'Europa nel Xix e
Xx secolo, Milano, 1945) sono cos
fra i primi.
Oggi, invece, come ho gi avvertito,
assai pi fitta la congerie di
scritti sul tema. Rammentando solo i
pi importanti:
H' Gollwitzer, :Europabild und
Europagedanke. Beitrge zur deutschen
Geistesgeschichte des 18' und 19'
Jahrhunderts, Monaco, 1951, che, per
quanto dedicato specificamente al
pensiero tedesco del Sette e
dell'Ottocento, merita attenzione
anche sul piano generale (i capp' I e
Ii sono poi di carattere generale; e
cos osservazioni generali inquadrano
anche le successive analisi). Del
Gollwitzer si veda pure l'art' :Zur
Wortgeschichte und Sinndeutung von
Europa, in Speculum, Monaco, 1951,
pp' 161-71.
Essenziale, D' Hay, :Europe. The
Emergence of an Idea, Edinburgo,
1957. Pure dello Hay si veda
l'articolo :Sur un problme de
terminologie historique. Europe et
Chrtient, in Diogne, Parigi,
n' 17, gennaio 1957, pp' 50-62.
C' Curcio si era gi occupato del
problema nel volume Nazione, Europa,
Umanit, Milano, 1950. Nel giugno
1957 egli faceva uscire, a Roma, il
primo numero di una rivista Europa.
Finalmente, nel 1958, ha pubblicato
un'opera in due volumi: :Europa.
Storia di un'idea, Firenze,
Vallecchi. questa, indubbiamente,
la trattazione pi completa che si
abbia oggi sull'argomento: dalla
Grecia antica ai giorni nostri.
Assai meno importante, invece, il
profilo di P' Brezzi, :Realt e mito
dell'Europa. Roma, s' a' (ma 1954).
Lavori particolari, su momenti
determinanti, non mancano certo pi:
mi limito a segnalare i due che
concernono l'Italia. Di D' Visconti,
:La concezione unitaria dell'Europa
nel Risorgimento, Milano, 1948, e
quello, uscito or ora, di A' Annoni,

:L'Europa nel pensiero italiano del


Settecento, Milano, 1958.
Connesso col nostro tema, il saggio
di A' Saitta, :Dalla Res Publica
Christiana agli Stati Uniti di
Europa, Roma, 1948.
Da veder pure le discussioni
svoltesi a Magonza, in un apposito
congresso, nel marzo 1955, in:
:Europa. Erbe und Aufgabe.
Internationaler Gelehrtenkongress,
Mainz, 1955, ed' da M' Gohring,
Wiesbaden, 1956; e lo scritto di A'
Saitta, :L'idea di Europa dal 1815
al 1870, in Movimento Operaio, a'
Viii, n' 4, luglio-agosto 1956, pp'
403-45.
Come vedete dunque, fiorire di
scritti, in vari paesi, attorno a
questo tema, strettamente allacciato
alle aspirazioni, alle speranze, alle
preoccupazioni dei nostri giorni.
Esempio tipico del come l'impulso
primo, e vitale, alla ricerca storica
derivi sempre da ansie e affetti e
timori del presente, da problemi ben
vivi in tutti e per tutti.
Il che non significa - sia ben
chiaro - che poi nell'immergerci nel
passato, nel ricostruirne la
fisionomia sempre mutevole a seconda
delle epoche, nel ricrearlo
storiograficamente, ci si debba
lasciar guidare dai nostri pensieri e
affetti e ansie di oggi. L'impulso
alla ricerca sempre, e non pu non
essere, soggettivo: donde il continuo
riaffacciarsi di problemi storici
apparentemente identici, ma ai quali
le generazioni che si susseguono
chiedono risposte diverse. Cos,
nella Rivoluzione francese si
cercato, prima, nell'Ottocento, la
risposta al grave problema della
libert, dei rapporti fra autorit e
libert, ch'era anche il problema
concreto, preciso attorno a cui
lottavano gli uomini del 1830 e del
1848. Poi, si in essa cercata la
risposta al problema dei rapporti fra
classi sociali, movimenti operai,
condizioni dei contadini, rapporti
campagna-citt: in conformit dei
nuovi problemi che si imponevano fra
'800 e '900.
Come s' detto nella parte
metodologica (2) a proposito del ben
specifico problema della storia dei
prezzi, ogni storico degno di questo
nome si pone interrogativi che nascono
dalla sua coscienza, dal suo animo,
dal suo spirito; e nel volgersi a
considerare un determinato evento
storico egli lo fa per chiedere al

passato certe risposte, diverse da


quelle che al passato chiede, magari
(2) [qui non riprodotta.]
contemporaneamente, un altro studioso.
Per questo, l'una dopo l'altra tutte
le generazioni riprendono l'esame di
alcuni grandi periodi storici, di
certi eventi o personalit del
passato, che hanno inciso con
particolar forza sui destini
dell'umanit. Per questo, nessun
problema storico mai chiuso, o
risolto! Pensate un po', chi ardisse
dichiarare che ormai del trapasso dal
mondo classico greco-romano a quello
medievale, dei Comuni, del
Rinascimento, della Riforma ecc' non
s'ha pi da parlare perch ogni dubbio
dissolto, e la verit integrale,
totale risplende ai nostri occhi!
Questo , dunque, l'eterno momento
soggettivo della ricerca storica:
mancando il quale, non avremo pi
storia, ma cronaca. Una mera ricerca
erudita, che non direbbe pi nulla a
nessuno.
Ma, una volta voltosi a studiare un
determinato evento, prescelto per la
affinit con l'animo suo, lo storico
deve poi far getto, lontano da s, di
ogni preoccupazione, di ogni motivo
che non sia la sola ricerca della
verit.
Intanto: cercar di ricostruire i
fatti, i pensieri, i sentimenti di et
trascorse, con indagine accuratissima,
paziente, minuta, evitando con il
massimo scrupolo di imprestare a
generazioni lontane le nostre idee, i
nostri punti di vista, facendo ogni
sforzo per vivere con quelle
generazioni, per ricreare in noi il
loro modo di sentire, di pensare e
di agire, sulla base di un esame
filologicamente attentissimo di tutte
le testimonianze che ci rimangono. Il
momento filologico qui diviene
essenziale: e filologia significa
rispetto assoluto dei testi, che non
devono esser sollecitati ad
esprimere ci che non intendevano
esprimere!
Siamo, ora, nel momento oggettivo
della ricerca: dalla maggiore o minore
conoscenza delle fonti, perizia
filologica, accuratezza di
ricostruzione, congiunta con la
maggiore o minore acutezza di
introspezione, capacit di
presentazione stilistica e di taglio
della materia, di inquadramento dei
vari fatti in una linea prospettica
che stacchi i primi dai secondi piani,
l'una e l'altra qualit messe al

servizio di un rigido, intransigente


amore della verit, dipende il
maggiore o minor valore dell'opera di
uno storico. I due momenti, quello che
ho chiamato soggettivo e quello
oggettivo, il
politico-morale-filosofico - se
vogliamo cos definirlo - e il
filologico-erudito, condizionano
entrambi - e in indissolubile armonia
- il successo dell'opera. Senza
interessi vivi e profondi, connaturati
con la personalit di uno storico, non
v'ha sapienza filologica che basti; e,
viceversa, senza perizia filologica, e
lunga fatica erudita, nessun interesse
vivo sar mai in grado di andar oltre
lo stadio dell'opera di parte, del
pamphlet, dello scritto polemico.
E l'uno e l'altro pregio, poi,
sarebbero inutili se mancasse - ripeto
- l'amore della verit: quell'amore
per cui lo storico non esita a
ripudiare un suo primitivo modo di
vedere, un giudizio iniziale, quando
il controllo dei testi gli dimostra
che egli si era sbagliato; per cui,
anche quando per esempio si tratti di
riconoscere cose non piacevoli e non
belle, errori o colpe nella storia
della propria, non dir parte
politica, ma, ben pi, patria o
religione, lo storico degno di questo
nome le riconosce. Nessun ideale, per
alto che sia, pu a questo punto
intromettersi, pesare nella ricerca e
nella valutazione dello storico,
influenzare unilateralmente il suo
giudizio, indurlo a parteggiare con
animo fazioso.
Perci, e anzitutto, evitare le
trasposizioni di sentimenti e pensieri
dell'oggi nella ricostruzione storica
dello ieri: come invece successo e
succede sovente.
Questo desidero dire, proprio prima
di accingermi a trattare il tema
prescelto, perch si tratta di un tema
in cui sarebbe facilissimo andar in
cerca di precursori e di
precorrimenti delle nostre idee,
scoprire piani europeistici in
uomini del passato che non si sono mai
sognati l'europeismo.
Pochi giorni fa, trovandomi a
Colonia per un colloquio su Carlo V,
ho avuto modo di ascoltare assai
assennate considerazioni contro ogni
tendenza a far di Carlo V un
precursore dell'europeismo odierno.
L'idea unitaria di Carlo V non ha
nulla, assolutamente nulla a che
vedere con i pensieri europeistici.

Gli esempi si potrebbero moltiplicare:


ma basti l'accenno.
Tornando, dopo parecchio tempo e
dopo una cos copiosa fioritura di
stud, sull'argomento, devo dire di
non aver nulla da modificare alle
linee generali della mia trattazione
d'un tempo. Potrei, naturalmente,
aggiungere molti elementi nuovi,
arricchire il quadro - e qua e l lo
far -; ma l'impostazione e le linee
di svolgimento restano per me, oggi,
quelle che erano vari anni or sono.
Contro lo spirito della Rivoluzione
francese, il conservatore Burke aveva
esaltato, nelle Riflessioni famose,
lo spirito dell'antica cavalleria: lo
spirito, cio, che aveva improntato di
s l'Europa moderna, costituendo la
nota distintiva di tutte le sue forme
di governo, segnando in esse una
notevole superiorit rispetto agli
Stati del mondo asiatico e sin di
fronte a quelli ch'erano fioriti nel
periodo pi felice del mondo antico.
Due princpi avevano dato vita alle
tradizioni e alla civilt e agli alti
valori del mondo europeo: lo spirito
proprio dei gentiluomini e lo spirito
proprio della religione: l'uno e
l'altro, ora, minacciati paurosamente
dalla trivialit, dalla stupidit,
dalla ferocia dei rivoluzionari che
sovvertivano sentimenti, costumi, idee
morali. (3)
Alcuni anni pi tardi, nel 1796,
Burke riprendeva la sua polemica,
sempre per inneggiare ai valori della
civilt europea, a quel sistema di
vita e d'educazione pi o meno uguale
in tutta questa parte del mondo, che
addolc, fuse ed armonizz il colore
dell'insieme, creando una
somiglianza di consuetudini sociali e
di forme di vita, per cui nessun
europeo potrebbe essere completamente
esule in alcuna parte di Europa. (4)
Burke, dunque, aveva chiara
(3) :Riflessioni sulla Rivoluzione
francese, trad' it' a cura di V'
Beonio Brocchieri, Bologna, 1930, pp'
165 sgg'.
(4) :Letters on the Regicide
Peace, cit' in Chr' Dawson, :Il
giudizio delle nazioni, trad' it',
Milano, 1946, p' 73.
coscienza di quel che voleva dire
Europa ed europeo, anche se la sua
fosse quasi angoscia di veder
tramontare, sotto la furia delle forze
rivoluzionarie scatenate, e l'uno e
l'altra.
Ma risaliva molto in su, nel tempo,
una simile coscienza di europeo? O non

era proprio una gran conquista


spirituale di epoche recenti, assai
vicine al Burke, che quella coscienza
avevano chiaramente modellata,
traendola dall'indistinto fluttuare
d'idee e di sentimenti di et pi
antiche?
Con ci si pone il problema di come
sia sorto il concetto istesso
d'Europa. Non dal punto di vista
geografico, ben inteso; non riguardo
alla Europa fisica: s riguardo
all'Europa politica, all'Europa
culturale e morale, all'Europa che noi
abbiamo sentita distinta dalle altre
parti del globo per certe determinate
caratteristiche del modo di pensare e
di agire, dei sistemi filosofici e
politici, di tradizioni memorie
speranze; all'Europa come
individualit storica e morale.
Quel che a noi interessa il
concetto di Europa dal punto di vista
culturale e morale; dell'Europa che
forma un quid a s, distinta dalle
altre parti del globo, proprio
soprattutto per certe determinate
caratteristiche del suo modo di
pensare e di sentire, dei suoi sistemi
filosofici e politici; dell'Europa,
come individualit storica, che ha
una sua tradizione, che pu fare
appello a tutta una serie di nomi, di
fatti, di pensieri che le hanno dato,
nei secoli, una impronta
incancellabile.
Quando noi diciamo Europa, oggi,
intendiamo alludere non soltanto ad
una certa estensione di terre, bagnate
da certi mari, solcate da certe catene
montuose, sottoposte ad un certo clima
ecc'; intendiamo, assai pi, alludere
ad una certa forma di civilt, ad un
modo di essere che contraddistingue
di primo acchito l'Europeo dall'uomo
di altri continenti. L'Europeo
assai pi che il bianco (uomini di
razza bianca abitano, oggi, anche
altre parti del mondo, che pur
appaiono dotate di alcune, almeno,
caratteristiche diverse): ,
anzitutto, soprattutto, un certo abito
civile, un certo modo di pensare e di
sentire, a lui proprio e diverso, ben
diverso, da tradizioni memorie e
speranze di Indiani, Cinesi,
Giapponesi, Etiopi ecc'.
Anche qui, insomma, quel che importa
il fattore spirito, volont;
l'elemento morale che predomina di
gran lunga su quello fisico. Non si
vuole con ci negare che il fatto di
avere, per millenni, abitato queste
terre, fisicamente conformate in certo

modo, abbia influito sullo sviluppo di


tale forma mentis. Si vuole, si deve
per affermare recisamente, che quel
che importa la forma mentis, e che
essa pu essere s, in parte il
risultato dell'acclimatamento in
determinato ambiente geografico, ma
soprattutto opera della storia, cio
della volont degli uomini, la quale
ha, nei secoli, impresso il suo
durevole suggello sulle generazioni,
che si sono susseguite e si susseguono
nel continente chiamato Europa.
l'eredit dei padri, antica ormai di
millenni, che noi rechiamo in noi, sin
dal nostro nascere; e che a nostra
volta arricchiamo e facciamo sempre
pi complessa con la nostra
esperienza, i nostri pensieri, i
nostri affetti, per tramandarla ai
figli e ai nipoti.
Ora, il problema che poniamo
precisamente il seguente: quando gli
uomini abitanti in terra europea
cominciarono a pensare se stessi e con
s la propria terra, come un qualcosa
di essenzialmente diverso, per
costumi, sentimenti, pensieri, dagli
uomini abitanti in altre terre al di
l del Mediterraneo, sulla costa
africana, per esempio, o al di l
dell'Egeo e del Mar Nero in terra
asiatica? Quando, cio, il nome Europa
cominci a designare non solo un
complesso geografico, s anche un
complesso storico; non solo un
determinato fattore fisico, s anche
un determinato fattore morale,
politico, religioso, artistico della
vita dell'umanit? E quali furono le
caratteristiche con cui l'Europa si
discopr, moralmente, ai suoi figli;
quali, cio, i lineamenti morali che
le furono attribuiti, come propr di
essa e di essa sola?
Questo il problema,
sostanzialmente diverso, dunque, da
quell'altro, assai pi familiare agli
storici, di ricercare quali siano
state le basi dell'unit culturale
europea e di analizzare la nascita
dell'Europa, come di un organismo
dotato di certi lineamenti propr,
religiosi, politici, economici,
morali. Dalla ricerca dei fatti
passiamo alla ricerca della
coscienza di tali fatti; quel che
cerchiamo quando siffatte
caratteristiche siano state
consapevolmente avvertite per tali
dagli Europei; che , ripetiamo,
tutt'altro problema, a quella guisa in
cui tutt'altro problema dalla pratica
dei politici, assai simile da che

mondo mondo, la consapevolezza


dottrinaria che la politica la
politica, e va giudicata in base a
criter politici. Ancora una volta,
l'essenziale l'acquisto della piena
coscienza di s: momento, certo, assai
tardo e difficile da raggiungere,
eppur necessario, poich nella storia
ha posto solo ci che ha coscienza di
s. (5) Tanto vero, che se delle
basi, diremo di fatto, della civilt
europea si pu parlare sin dal mondo
antico e ancor pi dal trionfo del
cristianesimo e della civilt
cristiana e cio dal Medioevo, di una
precisa e chiara coscienza europea non
si pu discorrere se non nell'et
moderna.
(5) A' Omodeo, :La cultura francese
nell'et della Restaurazione, Milano,
1946, p' 91.
Capitolo primo
Coscienza europea significa infatti
differenziazione dell'Europa, come
entit politica e morale, da altre
entit, cio, nel caso nostro, da
altri continenti o gruppi di nazioni;
il concetto di Europa deve formarsi
per contrapposizione, in quanto c'
qualcosa che non Europa, ed acquista
le sue caratteristiche e si precisa
nei suoi elementi, almeno
inizialmente, proprio attraverso un
confronto con questa non-Europa. La
coscienza europea, al pari della
coscienza nazionale, per dirla con
Carlo Cattaneo, come l'io degli
ideologi che si accorge di s
nell'urto col non io; (1) il
fondamento polemico essenziale.
Ora la prima contrapposizione tra
l'Europa e qualcosa che Europa non
(precisamente l'Asia, (2) destinata a
rimaner sempre, fino agli ultimi
decenni del sec' Xviii, quando anche
l'America verr contrapposta
all'Europa, il termine di confronto)
opera del pensiero greco. Tra l'et
delle guerre persiane e l'et di
Alessandro Magno si forma, per la
prima volta, il senso di un'Europa
opposta all'Asia, per costumi, e,
soprattutto, per organizzazione
politica; una Europa che rappresenta
lo spirito di libert, contro il
dispotismo asiatico. (3)
Certo, quest'Europa ancora assai
limitata, come ambito geografico;
spesso, si identifica ancora con la
sola Grecia, come in Isocrate; e anche
(1) :Considerazioni sulle cose
d'Italia nel 1848, ed' Spellanzon,
Torino, 1942, p' 7.
(2) Sull'origine dei nomi cfr' H'Th'

Bossert, Asia, Istanbul, 1946, pp' 2


sgg', ma soprattutto S' Mazzarino,
:Fra Oriente ed Occidente, Firenze,
1947, pp' 43 sgg'.
(3) Sul concetto greco di tiranno,
che solo dall'et delle guerre
persiane diviene caratteristico
dell'Asia, cfr' acute osservazioni in
S' Mazzarino, :Fra Oriente ed
Occidente, p' 199, e, per il
contrasto Asia-Europa, pp' 65 sgg'.
quando abbraccia pi ampia estensione,
si pu dire che i suoi contorni
rimangono assai imprecisi e che,
comunque, quando si parla di Europa,
moralmente e politicamente, si pensa
al massimo ai popoli e alle regioni in
rapporti costanti col mondo greco,
permeati della civilt greca, e quindi
all'Italia e alle coste mediterranee
della Gallia e della Spagna. (4)
vero che Erodoto si meraviglia quando
vede che molti fanno l'Asia di
dimensioni uguali all'Europa; (5) ma
anche vero che egli dichiara che il
punto pi lontano dell'Occidente il
mare Adriatico, (6) e che il piano di
Serse , secondo lui, di fare avanzare
contro l'Ellade un esercito
attraverso l'Europa, percorrendo
tutta l'Europa onde, vincitore, il
Sole non veda terra alcuna che confini
con l'impero persiano, universale e
limitato soltanto dal mare: (7) onde
tutta l'Europa si riduce alla Tracia
e alla Macedonia. Da questi ultimi
passi soprattutto emerge che, se pure
dal punto di vista geografico, fisico,
Erodoto vede gi un'Europa che giunge
(4) Cfr' A' Momigliano, :L'Europa
come concetto politico presso Isocrate
e gli Isocratei, in Rivista di
filologia e d'istruzione classica,
Lxi (1933), p' 479.
(5) Le Istorie, Iv, 36, 43, 46
(nella recente trad' di P' Sgroi,
Napoli, 1947 I, pp' 337, 339, 341).
(6) Le Istorie, Iv, 33 (I, p'
335).
(7) Le Istorie, Vii, 8, 10, 54
(Ii, pp' 145, 146, 149, 174).
fino alle foci del Po e alle isole
Ebridi ad occidente, fino alla Siberia
a nord, concretamente il suo interesse
politico si rinserra in un'Europa
assai pi piccola, tra Egeo ed
Adriatico.
C' tutta una parte, grandissima,
che gi conglobata nell'Europa
fisica, ma non affatto nell'Europa
diciamo morale; che non Asia
geograficamente, ma anche
diversissima dai costumi e modo di
vivere e civilt dell'Ellade, cio

dell'Europa vera: ed la Scizia, il


cui popolo ha trovato, a propria
difesa, un sistema efficacissimo, ma
non tale da riscuotere, per il resto
(e cio per la valutazione
propriamente civile), l'ammirazione
dello storico greco: infatti quella
gente non ha costruito n mura n
citt, trasporta con s la propria
casa, ed tutta costituita di arcieri
a cavallo. Vive non dell'aratura ma
del bestiame, ed ha le sue case su
carri. (8) Cio, popolazioni nomadi,
che non conoscono le citt, vale a
dire non conoscono proprio quel che
caratterizza i Greci.
Poco pi tardi, anche Ippocrate
tratter specificamente della stirpe
(8) Le Istorie, Iv, 37 (I, p'
342).
degli Sciti che in Europa: vi
fisicamente, non ancora culturalmente.
(9)
Precisazione geografica e
precisazione culturale-morale-politica
non combaciano ancora: geografi ed
etnografi parlano di un'Europa gi
assai pi vasta di quel che possa
ammettere la coscienza morale dei
Greci, che non vede ancora nulla di
comune fra s e, per es', proprio
quegli Sciti lontani. E forse
proprio questo dissidio fra concezioni
geografiche e concezioni
morali-culturali che spiega come
Aristotele possa distinguere non solo
Europa da Asia, ma altres Grecia da
Europa (che s'identifica dunque con la
Scizia e, in genere, i paesi nordici):
(9) per arwn udtwn tpwn (:De
are aquis locis), ed' Heiberg,
Lipsia, 1927, 12, 16, e cfr' anche 23.
Quest'opera non attribuibile con
certezza ad Ippocrate; per
indubbiamente del V secolo, del
periodo tra il 460 e il 420 a'C'
(Secondo F' Heinimann, Nomos und
Physis, Basilea, 1945, nn' 13-41,
170-209, sarebbe di un medico che
scriveva poco prima del 430 a'C').
Infatti i popoli :nei paesi freddi e
nell'Europa, sono pieni d'animo, ma
difettosi d'intelligenza e di capacit
artistica: perci vivono costantemente
nell'indipendenza, ma non hanno un
governo ben formato e non sono in
grado di dominare sui vicini. I
popoli asiatici d'altra parte sono
intelligenti e industri, ma privi di
animo e perci vivono abitualmente in
sudditanza e in servit. La stirpe
ellenica invece, collocata in una
regione, media tra questi per
posizione geografica, partecipa del

carattere degli uni e degli altri,


essendo coraggiosa ed intelligente:
perci vive continuamente in libert,
con governi possibilmente perfetti,
con la capacit di dominare su tutti,
qualora fosse riunita in un solo
Stato. (10)
Questa diversit fra le
considerazioni di carattere
fisico-etnografico e quelle di
carattere morale-culturale-politico
spiega dunque l'oscillar di valore del
termine Europa, ora assunto in un
senso, ora nell'altro. Ma quando
appunto ci si fermi sul terreno
politico-culturale-morale certo che
l'Europa non abbraccia mai, al
massimo, oltre la Grecia, che l'Italia
(10) Politica, Vii, 1327 b (trad'
it' di V' Costanzi, Bari, 1918, p'
230).
e le coste mediterranee di Gallia e
Spagna, e cio la zona di
colonizzazione greca.
Ma quali sono, dunque, i criteri di
valutazione politico-culturale-morale
per definire questa Europa assai pi
ristretta dell'Europa degli etnografi?
Gi lo abbiamo accennato: criterio
fondamentale di differenziazione
quello della libert politica,
ellenica, contrapposta alla
tirannide asiatica; e la libert
significa partecipazione di tutti alla
vita pubblica (onde si hanno
cittadini, non sudditi) e vivere
secondo le leggi, non secondo
l'arbitrio di un despota.
Gi in Eschilo, la forza di Atene
consiste nell'aver un vallo di
cittadini, che combattono per la
patria: (11) gi in lui troviamo
l'affermazione
Chi assoluti signori a s buongrado@
comprar vorrebbe?@ (12)
E la gran possa dell'Asia, uscita
tutta con Serse contro la Grecia, cade
a terra, con grave crollo, nell'urto
contro i cittadini soldati.
Identica contrapposizione in
Erodoto; i Lacedemoni sono i pi
valorosi uomini del mondo perch sono
liberi, ma non del tutto. C' un
padrone su di loro, la Legge: che
essi temono molto pi ancora che i
tuoi non temano te; ed certo che ne
eseguono il comando, il quale sempre
lo stesso: divieto di sfuggire a
qualsiasi numero di uomini in
battaglia, e ordine di rimanere al
(11) I Persiani (racconto del
Nunzio).
(12) Le Supplici, (Pelasgo e il
Coro).

proprio posto per vincere o morire.


(13)
A questa differenza fondamentale,
altre se n'aggiungono: di costumi,
onde le Danaidi appaiono subito a
Pelasgo straniere, perch avvolte in
peregrini abbigliamenti e in barbari
veli (Le Supplici); e, pi
strettamente dipendente dalla diversa
organizzazione politica, di capacit
militare, cos che i Persiani, non
inferiori per coraggio e robustezza
fisica, vengono sopraffatti dagli
Spartani perch armati alla leggera e
:sprovvisti inoltre di scienza
militare e impari agli avversari per
abilit. (14)
(13) Istorie, Vii, 104 (Ii, p'
189).
(14) Istorie, Ix, 61 (Ii, p' 360).
Ma la nota fondamentale quella
politica, che riappare anche nel testo
ippocrateo, fra gli Europei che sono
autonomi, cio si reggono secondo le
leggi e sono padroni di s, e gli
Asiatici, che appaiono inferiori,
proprio perch non sono sui iuris ma
sotto il dominio di un re o despota:
(15) donde, militarmente, gli Europei
sono migliori combattenti, pi
animosi, proprio perch combattono per
s e non per un padrone. E nuovamente
in Aristotele, per il quale, come s'
visto, gli Asiatici vivono
abitualmente in sudditanza e in
servit, mentre i Greci vivono
continuamente in libert.
Teniamo ben presente questa
(15) Istorie, 16 e 23.
distinzione, destinata ad influire nei
secoli: ch da allora all'idea di
Europa si associer quella di libert,
all'idea dell'Asia quella di servit.
Onde, nuovamente, quando il
conflitto Oriente-Occidente si
riaprir bruscamente, in piena et
romana, concretizzandosi nell'urto fra
Augusto da una parte, Antonio e
Cleopatra dall'altra, al cantore della
vittoria di Anzio, ad Orazio,
esultante per la sconfitta
dell'orientale Cleopatra, invano
illusasi di poter abbattere la potenza
del Campidoglio, l'Oriente apparir
nuovamente terra di turpe schiavit,
di eunuchi proni al volere di un
despota. (16)
Certo dunque che fra V e Iv secolo
a'C' sorge una coscienza europea (od
(16) Odi, I, 37.
occidentale) contro una asiatica (od
orientale). (17) E se all'inizio essa
sorge diremo come coscienza di
difesa, pi tardi acquista anche

carattere di offesa,
espansionistico.
Tipico, a riguardo, quel che
succede dopo la pace di Antalcida.
Isocrate contrappone l'Europa
all'Asia, come l'Elleno al barbaro.
Nell'Elena (scritta poco prima del
380 a'C') la contrapposizione
proiettata nel passato, nella guerra
di Troia, vista appunto come lotta fra
Europa e Asia; nel Panegirico (finito
nel 380) la rivendicazione del
diritto dell'Europa, sempre minacciata
dagli Asiatici, a partecipare alle
ricchezze dell'Asia, e trasferire la
prosperit dall'Asia all'Europa. Scopo
(17) Cfr' anche le due iscrizioni di
Cipro, nel 449448, e di Xantos, post'
412-1 (Historische Griechische
Epigramme, ed' V' Gaertingen, Bonn,
1926, nn' 49 e 56).
del Panegirico persuadere i Greci
ad accettare l'egemonia di Atene per
una nuova guerra contro la Persia.
Parecchi anni pi tardi, Isocrate
torna sulla questione, questa volta
per allo scopo di invitare Filippo re
di Macedonia a scegliere, come linea
di condotta politica, una politica
asiatica, a preferenza di quella
europea: nel senso che Filippo
dovrebbe distruggere, con una
spedizione in Asia, l'ingiusta
superiorit economica dell'Asia
sull'Europa, dei barbari sui Greci
(nel Filippo, del 346). , insomma,
il programma che sar poi svolto da
Alessandro Magno.
La contrapposizione Europa-Asia
ripresa da due allievi di Isocrate,
Eforo e Teopompo. Soprattutto
importante la posizione di Teopompo,
il quale per diverge sostanzialmente
dal maestro, perch sostiene che
Filippo, anzich una politica
asiatica, deve seguire una politica
europea (nel Filippo, 346) proprio il punto di vista opposto a
quello di Isocrate.
C' un'Europa, che per Teopompo
abbraccia una sfera pi vasta della
Grecia; Filippo l'uomo pi grande
che la Grecia abbia mai avuto; suo
compito dev'essere quello di
costituire un grande Stato europeo
contrapposto al grande Stato persiano
di Asia. (18)
Senonch, una simile
contrapposizione di continenti era
(18) Per tutto questo cfr' A'
Momigliano, loc' cit', pp' 477 sgg'.
destinata ad aver breve vita; ch
proprio la conquista di Alessandro,
creando l'ecumene ellenistica, rendeva

impossibile ogni ulteriore sviluppo


del concetto appena nato; e, pi
tardi, a sua volta, l'ecumene romana,
anch'essa largamente
intercontinentale, una sola
contrapposizione poteva lasciare
sussistere, e non quella di
Europeo-non Europeo, s quella di
Romano-barbaro.
E fu, poi, la cristianit medievale,
dove pure la contrapposizione fu di
cristiano e pagano, affiancatasi,
talora assorbendola in s, talora
invece rimanendone ben distinta, alla
pi antica di Romano e barbaro.
Respublica christiana,
christianitas, Ecclesia: questo il
concetto in cui s'inquadran tutti i
valori, spirituali e morali. Mondo
civile (cio prima ellenistico poi
ellenistico-romano) contrapposto a
mondo di barbarie; mondo cristiano, in
opposizione a mondo pagano: ma
nell'una come nell'altra di queste
visioni unitarie l'Europa non ha
ancora acquistato una sua propria
fisionomia morale.
Come ha osservato Denys Hay, il
termine christianitas fa parte, nel
sec' Xii, del vocabolario abituale: il
termine Europa non gli fa
concorrenza, perch non usato se non
in senso geografico. (19) Anche il
ricorrere di Europa nella
terminologia dell'et di Carlomagno notato dallo Ullmann, (20) avviene
sempre con riferimento geografico:
Carlomagno rex pater Europae,
(19) :Sur un problme de
terminologie historique: Europe et
Chrtient cit', pp' 3 sgg'. E cfr'
Europe, The Emergence of an
Idea, pp' 22 sgg'.
(20) W' Ullmann, :The Growth of
Papal Government in the Middle Ages. A
Study in the ideological relation of
clerical to lawpower, London, 1955,
p' 95, nn' 3 e 4, e soprattutto pp'
105 sgg'.
Europae venerandus apex; ma il
contenuto morale, direi (modernamente)
ideologico, di questa Europa la
ecclesia romana, il regnum sanctae
ecclesiae, sono i Romani, in
contrapposizione ai Greci, a
Bisanzio, che tagliata fuori.
Cristianit occidentale=Europa,
sottoposta politicamente a Carlomagno;
cristianit orientale=Bisanzio,
sottoposta all'imperatore di
Costantinopoli. Contrapposizione,
questa, come vedremo, tipica - e non
certo solo dell'et carolingia.
Anche l'Europa menzionata da papa

Callisto Ii all'imperatore Enrico V,


nel 1122, all'indomani del Concordato
di Worms, sempre un puro concetto
geografico: quantum diutina ecclesie
imperiique discordia Europe
fidelibus intulerit detrimentum.
(21) I fedeli, i cristiani che
abitano in Europa: il contenuto
morale-ideologico dato da
fidelibus, e non da Europa.
Caratteristico, anche, che il
termine europeo, europeensis,
rimanga ignoto: e costituisce
un'eccezione la frase di un cronista
del secolo Viii, Isidoro Pacensis,
che, nel descrivere la battaglia di
Poitiers (o di Tours) del 732, quando
(21) Cit' da F' Calasso, :I
glossatori e la teoria della
sovranit, 3a ed', Milano, 1957, p'
9. Il Calasso modernizza troppo, a mio
parere, quando trova importante
questo concetto di un'Europa, nel
1122.
Carlo Martello ferma l'avanzata degli
Arabi in Europa, cos si esprime:
prospiciunt Europeenses Arabum
tentoria ordinata. (22)
Suggestivo quadro senza dubbio: ma,
comunque, del tutto isolato, perch,
come ha giustamente osservato lo Hay,
il termine europeo, europaeus,
entra nell'uso solo nel sec' Xv, con
Enea Silvio Piccolomini. (23)
Boccaccio aveva coniato il termine
europico: ma destinato alle maggiori
fortune fu l'europaeus di Enea
Silvio.
(22) Cfr' D' Hay, Europe, p' 25.
(23) D' Hay, Europe, pp' 86 sgg'; e
gi :Sur un problme de terminologie
historique, cit', p' 4.
Si potrebbe, a questo punto,
chiedersi se e come questa nuova
misura di valore (credente, non
credente) si associ o sovrapponga alla
misura di valore precedente (Romano,
barbaro), se e come cio il criterio
religioso accolga in s quello
civile, culturale-morale-politico,
ch'era stato il criterio del mondo
romano. In altri termini: il non
credente equivale anche al barbaro,
oppure no?
L'argomento non ancora stato
studiato a fondo; cos come sul
concetto di barbarie, non abbiamo
ancora un'indagine esauriente. Vi sono
tuttavia due tesi in antitesi.
Per E' Sestan, autore dell'articolo
Barbari nell'Enciclopedia Italiana
(Vi, pp' 123-24), il vecchio concetto
di barbarie si fonde con il nuovo di
fede cristiana, nel senso che il non

cristiano anche il barbaro.


Per R' De Mattei, invece, una simile
equivalenza non sussiste: anche dopo
il trionfo del cristianesimo, barbaro
continua a mantenere l'antico valore
di non Romano, e la contrapposizione
duplice, di barbaro e non Romano,
e di cristiano e pagano, senza che
questa seconda assorbisca in s la
prima. Barbarie rimane sempre, anche
per gli scrittori del Medioevo,
sinonimo di rozzezza, incoltura,
incivilt, sinonimo di non Romano, non
latino. (24)
Talora, ammette il De Mattei, il
concetto di barbaro viene anche
accresciuto del connotato di
(24) :Sul concetto di barbaro e
barbarie nel Medioevo, in :Studi di
storia e diritto in onore di Enrico
Besta, Milano, 1939, Iv, pp' 485
sgg'.
inappartenenza alla comunit
cristiana; pur se tal caso si
riscontri, di carattere suppletivo e
non essenziale, e comunque non
frequente o centrale. Anche quando,
insomma, :religio cum moribus
congruit, per servirsi
dell'espressione di Lattanzio, anche
quando cio, la pecca di barbarie si
aggiunge alla pecca di empiet, l'una
cosa rimane distinta dall'altra (loc'
cit', p' 502).
E quindi, non c' nessun bisogno di
attendere il Rinascimento dove, com'
notissimo, il sentimento nazionale
degli umanisti italiani contrappone al
gentil sangue latino (cio agli
Italiani) i barbari (cio gli
oltramontani): e pensate anche solo
alla canzone petrarchesca Italia
mia.
Alcuni dei testi addotti da De
Mattei, a sostegno delle sue
affermazioni, sono in effetti
persuasivi, altri lo sono invece meno;
e qualche commento non per nulla
persuasivo, come quello sulla formula
del diploma di Ottone Iii, di
distinguere nettamente non solummodo
:christianis sed etiam barbaricis
regionibus. Ma nel complesso, si pu
ritenere giusta la sua tesi: che cio,
anche nell'alto Medioevo permaneva
l'antica contrapposizione
Romani-barbari, e che distinta da
essa fosse la nuova contrapposizione
cristiani-pagani, anche se poi,
generalmente, le due si affiancassero,
almeno nel senso che il paganus fosse
anche, di necessit, barbarus (questo
mi sembra fuori dubbio: invece ci pu
essere un barbarus che

christianus).
Che poi barbaro non significhi
solamente forestiero, straniero, senza
significato spregiativo, come sostiene
il Dopsch, (25) e abbia invece spesso,
se non sempre, significato spregiativo
(com'era gi successo con i Greci tra
il V e il Iv secolo) dimostrano ad
evidenza alcuni passi: soprattutto
quello, notissimo, in cui Paolo Orosio
espone il programma di governo di
Ataulfo, il quale avrebbe voluto
dapprima far tutto con i soli Germani,
ma poi per multa experientia si
convinse neques Gothos ullo modo
parere legibus posse propter
affrenatam barbariem; (26) dove,
nuovamente, il barbaro non capace di
(25) W:irtschaftliche und Soziale
Grundlagen der europischen
Kulturentwicklung, 2a ed', Vienna,
1823, I, pp' 794 sgg'.
(26) :Historiarum adversus paganos
libri Vii, Vii, 43, ed' Zangemeister,
Vienna, 1882, p' 560.
sentire il limite della legge. Ma
anche il furor barbaricus, di cui
parlano s' Ambrogio e Vittore Vitense,
(27) la barbarica cupiditas di
Costanzo di Lione (28) - per citare
solo alcuni esempi - sono documento
abbastanza chiaro di come barbaro
equivalesse a senza legge e senza
freno, per gli uomini del Iv e del V
secolo; e lo conferma la stessa
polemica di s' Agostino, nel primo
libro del De Civitate Dei, a favore
dei barbari, che, nel sacco di Roma
del 410, per rispetto al nome di
(27) Per s' Ambrogio cfr' qui
appresso. Per Vittore Vitense cfr' la
:Historia persecutionis Africanae
provinciae temporibus Geiserici, ed'
Halm, in M'G'H', A'A' Vii, parte 1a
(Berlino, 1879), n' 3, e cfr' anche
Corippo, :Johannidos seu de bellis
libicis libri Viii, v' 28.
(28) :Vita Germani episcopi
Antissiodorensis, ed' Grusch e
Levison in M'G'H', Script' Rer'
Meroving', Vii, parte I (Hannover e
Lipsia, 1919), pp' 271-72.
Cristo, tanta gente risparmiarono e le
basiliche degli Apostoli, poich Dio
sbigott le menti crudelissime e
sanguinosissime, le fren e
mirabilmente le temper. (29)
Dunque, concetto di christianitas,
e non di Europa.
(29) Cap' Vii.
E infatti tutto il pensiero politico
medievale, come gi si detto, poggia
sull'idea di cristianit dalla quale
precisamente deriva le sue aspirazioni

e tendenze unitarie, dell'unit del


genere umano sotto un solo capo, nel
temporale l'imperatore, nello
spirituale il pontefice. L'uno e
l'altro potere non sono che i due
volti di un essere bifronte, i due
fianchi di uno stesso corpo.
L'Ecclesia unica, abbraccia tutto,
spirito e corpo, religione e politica:
solo a fini pratici, alcune mansioni
sono esercitate da un certo genere di
uomini (i chierici), altre da altri (i
laici).
Senonch, ci si deve ora chiedere: e
quali sono i limiti materiali,
geografici della christianitas,
dell'Ecclesia? Teoricamente, ovvio,
essi abbracciano l'universo, tutto
quanto l'humanum genus, senza
eccezioni; ma in concreto, sin dove si
estendono? Quando un s' Bonaventura o
un Dante parlano della necessit della
ordinatio ad unum dell'universo,
quali paesi, quali popoli si
presentano, concretamente, alla loro
immaginazione, qual la forma
determinata con cui ai loro occhi
appare la tanto vagheggiata
christianitas?
In altri termini, quali sono i paesi
che fanno parte delle conoscenze
comuni, che costituiscono per cos
dire lo sfondo territoriale dei
pensieri sul mondo?
L'ecumene romana, aveva abbracciato,
di suolo europeo, ancora Mezzogiorno
ed Occidente, quest'ultimo ormai pi
chiaramente e fortemente collegato con
il centro della civilt, Italia e
Grecia, dopo la conquista romana della
Gallia. Fuori dell'orbita civile era
restata tutta l'Europa centrale, oltre
il Reno: qui abitano barbare
nazioni, dir sul finir del Iv secolo
Ammiano Marcellino; (30) e contro di
esse s' Ambrogio, gran patriota
romano, esalta i confini, il :bonum
mare quo barbaricus furor
clauditur, il Danubio e il Reno che
costituiscono la muraglia difensiva
dell'impero romano, cio del mondo
civile, (31) contro il furore dei
barbari. (32) L'Europa l'Occidente e
il Mezzogiorno romano; ed ora, lamenta
Claudiano,
Geticis Europa catervis@ ludibrio
praedaeque datur@ (33)
Di qui la Romania, di l la
barbaries: ancora nel Vi secolo lo
constata Venanzio Fortunato. (34) Le
(30) R' De Mattei, loc' cit', p'
12.
(31) Roma e Italia sono, per gli
stessi barbari, sede della civilt:

ipsam civilitatis sedem dir


Teodorico in una lettera del 509
(Cassiodoro, Variae, ed' Mommsen,
M'G'H', A'A' Xii, I, 37).
(32) Cfr' J'R' Palanque, :Saint
Ambroise et l'Empire romain, Parigi,
1933, p' 334 (in genere pp' 330 sgg).
(33) In Rufinum (ed' Birt, in
M'G'H', A'A' X), 1. Ii, vv' 36-37.
(34) Opera poetica (ed' Leo, in
M'G'H', A'A', Iv, 1), I, I, Ii (De
Chariberctho rege), v' 7, e cfr'
anche Appendice, Ii, vv' 81-82.
stesse fonti germaniche contrappongono
ai Romani i barbari, nel senso di
Germani: questa volta, s'intende,
senza pi il senso spregiativo che era
stato sempre connesso con il termine.
Ora invece questo mondo, sin qui
escluso dalle concezioni degli uomini
civili, vi penetra, ne diviene
partecipe e presto anzi parte
integrante: e non soltanto per virt
della forza, quanto anche e forse pi
per la ormai trionfante concezione
cristiana, di cui s'era reso felice
interprete sin dall'inizio del V
secolo, Paolo Orosio quando aveva
affermato che se per la propagazione
della fede cristiana era necessario
che l'impero romano venisse invaso,
onde la Chiesa di Cristo accogliesse
nel suo grembo tutti i popoli, :etsi
cum labefactione nostri, ebbene si
doveva ringraziare ed esaltare la
misericordia di Dio.
Ora, Dante afferma bene che
Romanorum gloriosa potestas nec metis
Ytaliae nec tricornis Europe margine
coarctatur (Epistolae, Vii, 11). Ma
poi, in realt, quand'egli pensa
all'azione dell'imperatore, ai
problemi politici del suo tempo quel
che egli vede l'Europa fisica in cui
veramente e propriamente si condensa
l'humanum genus.
Europa: il termine appare pi di una
volta in Dante. Quale ne sia l'esatta
estensione geografica, non chiaro:
una precisa individuazione c' solo
per il settore Mediterraneo-Egeo-Mar
Nero, con l'accenno a Costantinopoli
ne lo stremo d'Europa.@
(Paradiso, Vi, 5; cfr' Monarchia,
Ii, Viii, 7)
Le regioni nordiche sembrerebbero,
tutte, comprese pure nel continente,
nel senso che ad esse pure si volge il
pensiero del poeta: cos almeno sembra
potersi argomentare dal passo del De
Vulgari Eloquentia in cui si parla
dei principali idiomi dell'Europa: et
affentium hoc alii meridionalem, alii
septentrionalem regionem in Europa

sibi sortiti sunt; et tertii, quos


nunc Graecos vocamus, partim Europe,
partim Asie occuparunt (I, Viii, 2).
Del tutto incerti, invece, i limiti
verso est (Russia): gli accenni agli
Sciti sono scarsi (Monarchia, I, Xiv,
6; Iii, 2), ma ad un certo punto
sembra che essi siano esclusi dalla
vera e propria Europa; e cio quando
si parla di Vesogi re d'Egitto, il
quale quamvis meridiem atque
septentrionem in Asia exagitaverit,
nunquam tamen dimidiam partem orbis
obtimit: qui ymo a Scithis est
aversus (Monarchia, Ii, Viii, 5).
Qui gli Sciti sembrerebbero dunque
compresi nell'Asia; e tale
interpretazione pare confermata
dall'accenno subito seguente a Ciro,
re dei Persiani: qui, Babilone
destructa imperioque Babilonis ad
Persas translato, nec adhuc partes
occidentales expertus, sub Tamiride
regina Scitharum vitam simul et
intentionem [di fondare una monarchia
universale] deposuit. La Scizia qui
distinta dalla parte occidentale,
cio dall'Europa.
Che l'Europa equivalga a pars
occidentis risulta anche da un passo
quasi immediatamente precedente su
Nino, re degli Assiri, aspirante anche
lui alla monarchia universale qui,
quamvis imperium mundi armis
temptaverit et Asiam totam sibi
subegerit, non tamen occidentales
mundi partes eis unquam subiecte
fuerunt.
Quindi nella mente di Dante l'Europa
, almeno verso Oriente, assai pi
limitata di quello che noi siamo
soliti raffigurarci, e,
sostanzialmente, il gran blocco
delle nazioni centro-occidentali, che
egli ha costantemente sott'occhio
nelle sue meditazioni e
preoccupazioni, il blocco nel cui
centro sta l'Italia Europa regione
nobilissima (Monarchia, Ii, Iii,
17), l'Italia, giardino de lo
imperio (Purgatorio, Vi, 105).
Dico il blocco delle nazioni
centro-occidentali, escludendo dunque
la penisola balcanica che pur
manifestamente da Dante compresa
nell'Europa geografica (cfr' qui sopra
lo stremo d'Europa) perch l'Europa
fisica non pi una unit
morale-religiosa, nonch politica;
perch, dunque, il concetto civile
non corrisponde a quello geografico.
Una parte notevole del continente
infatti, non ottempera all'autorit
della Chiesa, sfugge ad essa come le

sfuggono Asia ed Africa. Et quod


etiam ab adsensu omnium vel
prevalentium non habuerit quis
dubitat, cum non modo Asiani et
Africani omnes, quin etiam maior pars
Europam colentium hoc abhorreat?
(Monarchia, Iii, Xiv, 7).
Non solo non v' concretamente unit
di tutto il genere umano, ripartito
nei tre continenti classici, Europa,
Asia, Africa, ma nemmeno l'Europa
fisica costituisce una unit morale.
Il genere umano che all'atto
concreto, vive nelle meditazioni di
questi uomini, ispira i loro progetti,
vive nel loro pensiero e nella loro
poesia, linfa vitale del loro spirito,
assai ristretto geograficamente ed
etnicamente: , ripetiamo, il blocco
dell'Europa centro-sudoccidentale, o,
per riprendere un'espressione cara a
Leopoldo Ranke, il blocco dei popoli
romano-germanici.
E i Greci, direte voi? E tutto
l'Oriente europeo, gi culla della
civilt, poi trapassata in Occidente,
poi romana ed ora cristiana-medievale;
e la terra da cui pure sono usciti i
grandi sapienti e i grandi poeti,
raccolti nel Limbo dantesco a
rappresentare l'altezza dell'umano
pensiero - anche se privo della grazia
divina -, le figure degli eroi
dell'umanit che Dante evoca appunto
come coloro che sorreggono alla base
anche i successivi voli dell'ingegno
umano?
Ecco: i Greci attuali, l'Oriente
europeo dei tempi di Dante,
geograficamente compreso nell'Europa,
stan uscendo dalla sfera morale
dell'Europa. Mentre Germania,
Inghilterra, sono gli acquisti
recenti, sono le accessioni
medievali al mondo culturale gi
classico, al mondo cristiano romano,
quello che era stato il primo nucleo,
la cellula germinatrice di tale mondo,
se ne stacca, ormai, anzi, se n'era
gi staccata nei secoli precedenti.
L'inizio di questo processo di
separazione Occidente ed Oriente
risale gi al Basso Impero romano.
(35)
, si pu dire, dal Iv secolo che
le sorti cominciano a divergere:
politicamente il fatto palese,
documentato dalla rivalit fra gli
imperatori dell'una e dell'altra
parte, le gelosie, i sospetti che
possono persino far vedere con
compiacimento, all'uno dei due, le
difficolt in cui l'altro viene
cacciato da qualche popolo germanico,

(35) Cfr' per quanto segue, R'


Wallach, :Das abendlndische
Gemeinschaftsbewusstsein im
Mittelalter, Lipsia-Berlino, 1928; e,
anche, S' Mazzarino, Stilicone, Roma,
1942, passim e soprattutto pp' 317
sgg', 330 sgg'.
premente alle frontiere o gi
trascorso oltre il limes,
nell'interno dell'impero.
Alla rivalit politica si aggiunge
la rivalit religiosa, la contesa pro
e contro la primazia di Roma. E non
solo una lotta di primato: vescovi
occidentali, e papi tra cui Gregorio
Magno, lamentano le tendenze
eretiche degli orientali, che
costituiscono infatti la parte pi
irrequieta e dogmaticamente instabile
e malsicura del mondo cristiano. Non
solo: ma l'Occidente ha uno dei suoi
piloni d'appoggio, culturalmente e
moralmente, ancor sempre nella
tradizione di Roma; giacch, cos come
gli studi recenti han dimostrato,
inconsistente quel che per tanto tempo
si credette, che cio il culto di Roma
rinascesse solo con l'Umanesimo. Con
l'Umanesimo, con il Rinascimento, si
avr un nuovo modo di sentire, di
interpretare Roma e la tradizione
classica: le conseguenze ne saranno
grandi assai (cfr' Chabod, Il
Rinascimento, in :Problemi e
orientamenti storiografici, Como,
1942). Ma il ricordo di Roma, e non
solo della Roma cristiana, della Roma
di Pietro e Paolo, s anche della Roma
dei Cesari e di Virgilio e Cicerone,
vivo assai nell'alto Medioevo,
continua ad essere un punto di
riferimento obbligato per pensatori,
scrittori, ecc', come per le dottrine
politiche.
L'idea, cos importante per il
Medioevo, della translatio imperii
basta a dimostrarlo.
Nulla di tutto questo a Bisanzio,
che si scorda sempre pi della
tradizione romana e sempre pi si
afferma greca, quasi rivendicando la
grecit preesistente alla conquista
romana del mondo mediterraneo.
Il contrasto viene sempre pi
nettamente sentito, col tempo; ce ne
offre testimonianza perspicua, nel
sec' X, Liutprando da Cremona, con la
sua :Relatio de Legatione
Costantinopolitana (968). (36) Qui,
certo, traspare ancora, in un momento,
una differenza di altra natura,
nell'Occidente stesso, fra Germani
cio e Romani: ed quando Niceforo
Foca inveisce contro Liutprando ed i

suoi, dicendogli voi non siete


(36) :Scriptores Rerum Germanicarum
in usum scolarum, 3a ed', 1915.
Romani, siete Longobardi. Al che
Liutprando ribatte che noi, cio
Longobardi, Sassoni, ecc', i Germani
in genere, abbiamo in tanto sdegno i
Romani che quando siamo in collera,
per offendere i nostri nemici, ci
basta chiamarli Romano, comprendendo
in esso, cio nell'appellativo
Romano tutta l'ignobilit, la
timidezza, l'avidit, la lussuria, la
menzogna; in una parola, tutti i vizi
esistenti; che , ancora, la
contrapposizione di una coscienza
germanica ad una romana.
Ma, in genere, la contrapposizione
ben altra: ed fra l'Occidente e
l'Oriente. E l'Occidente ha s, nelle
parole di Liutprando, impronta
germanica per quel ch' struttura
politico-militare, ma impronta
cattolica, cio romana, per la vita
religiosa e morale. Uno dei rimproveri
che Liutprando muove a Niceforo (o,
almeno asserisce di aver mosso, e a
noi qui non importa se la sua
narrazione risponda interamente a
verit o no, perch quel che ci
interessa il modo di vedere di
Liutprando), infatti questo: che in
Oriente sono nate e prosperate tutte
le eresie, mentre noi, cio
Occidentali, le abbiamo soffocate.
Spesso i papi hanno liberato anche
l'Oriente da eresie.
La distinzione fra Germani e Romani
vien dunque superata da quella fra
Occidentali ed Orientali; onde sotto
il nome di Franchi appaiono gi
talvolta compresi tanto i Latini
quanto i Teutoni, come poi sar d'uso
generale. (37) Gli uni e gli altri,
(37) Cos nel '600 Franchi
continua ad equivalere ad Europei
centro-occidentali, e la nazione
dei Franchi (qui nazione ha lo
stesso significato diremo non
nazionale in senso moderno, come fino
al sec' Xiv la natio anglica
dell'Universit di Parigi: cfr' J'
Huizinga, :Sviluppo e forme della
coscienza nazionale in Europa sino
alla fine del secolo decimonono, in
Civilt e Storia [trad' it',
Modena, 1946, p' 204]) significa la
nazione europea cattolica, distinta
dalle altre sette nazioni di
Gerusalemme (Maroniti, Greci, Armeni,
Abissini, Siriani, Cofti, Georgiani);
cfr' Pietro Della Valle, Viaggio in
Levante, ed' Bianconi, Firenze, 1942,
pp' 12, 23, 80, 209 e soprattutto 162

e 167.
Occidentali ed Orientali, si
presentano ormai con caratteristiche
ben delineate in ogni campo: furbi,
infidi, traditori, volpi per
l'ingegno, Ulissi per lo spergiuro e
la menzogna, adulatori gli Orientali;
leali, onesti, franchi gli Occidentali
(per Liutprando s'intende; per i
Bizantini naturalmente vale il
contrario); effeminati, molli,
inadatti alla guerra i primi, eroi
avvezzi alla guerra e alla vittoria i
secondi. A queste differenze
fondamentali altre se ne aggiungono
che riguardano i costumi e la vita
quotidiana: dall'armatura pesante dei
guerrieri occidentali, di cui si
prende giuoco l'imperatore Niceforo,
al vino dei Greci, imbevibile per
Liutprando perch mescolato con pece,
resina e gesso, ai costumi muliebri
indossati dagli uomini dell'Oriente e
che muovono a sdegno Liutprando.
Tutto dunque diverso, fra Occidente e Oriente. Ma se in tale contrasto
riappaiono taluni dei motivi gi emersi nel V-IV secolo a'C', v' una differenza
fondamentale tra quel lontano periodo e il Medioevo: ed che allora l'Oriente
voleva dire l'Asia e l'Occidente la Grecia, cio l'Europa civile; ora,
l'Occidente significa le regioni ad ovest dell'Adriatico e il disprezzato
Oriente comprende la Grecia.
Popoli nuovi, non conosciuti dai Greci del V secolo a'C', compongono il nuovo
Occidente, che abbraccia anche l'Europa centrale e si dilatato assai oltre le
regioni propriamente mediterranee.
Contrapposizione di gran conto, perch allontanava l'Oriente europeo dalla
comunit civile a cui, primo, esso aveva dato nutrimento, ed era destinata a
continuar per secoli, (38) anzi ad aggravarsi ancora dopo la conquista turca che
fin di staccare la Grecia e i Balcani dall'Europa morale, in cui quei popoli
cominciarono ad essere riaccolti soltanto nel momento dell'appello all'europeo
principio di nazionalit, e cio nel secolo Xix. Oriente ed Occidente: non per
nulla il termine Occidente, Abendland, stato pi e pi volte assunto come
equivalente d'Europa, soprattutto nella storiografia tedesca, la quale ha pure
messo in voga un'altra e consimile espressione, anch'essa come equivalente di
Europa, e cio la comunit dei popoli romano-germanici. Siffatta
contrapposizione culmina nel campo religioso con lo scisma d'Oriente e la
separazione definitiva (38) Vedi nota precedente.
della chiesa greca da quella romana, nel campo politico con le Crociate e i
progetti e le imprese di conquista di prncipi occidentali in Oriente. I Greci
non appaiono nemmeno pi veri cristiani, anzi, un che di mezzo tra cristiani e
Saraceni; sono eretici poco meno pericolosi dei Turchi. (39) Essi si
contrappongono ai Latini e
Franchi: che sono le due denominazioni
complessive sotto cui vengono
raggruppati gli uomini delle nazioni
occidentali. Pensate, appunto,
all'impero latino d'Oriente, che
segna il trionfo, sia pur breve, della
campagna offensiva dell'Occidente
contro l'Oriente. L'Occidente, gli
Occidentali, i Franchi: ed ecco,
talvolta, il nome Europa assunto
(39) R' Wallach, op' cit', p' 25.
proprio ad indicare gli Occidentali, e
i Franchi o Latini ed essi soli. (40)
Alla contrapposizione dei termini

Franco o Latino contro Greco o


Bizantino, corrispondono contrastanti
caratteristiche morali, vale a dire,
nei cronisti e scrittori dei secoli
Xii-Xiii si completa il tipo
dell'Occidentale in confronto
all'Orientale: e le fonti occidentali
dipingono a foschi colori la doppiezza
e furberia, la perfidia greca
(ricordate il timeo Danaos ecc': e
pensate a Ulisse e Diomede
nell'inferno dantesco), lo spirito
sottile e sofistico dei Greci, che
hanno l'animo dei traditori,
tratteggiando invece la figura
dell'Occidentale come quella del
cavaliere coraggioso, leale e fedele
(40) R' Wallach, loc' cit'.
alla sua parola, tutto onore e
cortesia; mentre a loro volta i Greci
parlano di avidit di dominio e di
assenza di scrupoli degli Occidentali,
sulla cui ottusit mentale poi
fioriscono ironici commenti. La
diversit vien messa in rilievo anche
fuori dal puro ambito psicologico:
fisicamente, ecco l'apprezzamento
della statura imponente dei Franchi.
E al di l delle differenze
psicologiche e fisiche, ecco, sulle
orme di Liutprando, differenze di
istituti, di forme di vita: cos i
Bizantini considerano come tipici
degli Occidentali il feudo,
l'armamento e il modo di combattere
della cavalleria. (41) E a loro volta
i Latini, nel contrasto con i
Bizantini, sentono pi viva la
(41) R' Wallach, op' cit', p' 30.
comunanza di vita, di costumi, di
tradizione fra le nazioni
dell'Occidente.
Insomma, si delineano due mondi,
nettamente, profondamente distinti; e
tale anche il giudizio dei terzi che
osservano le beghe interne del mondo
cristiano, vale a dire degli Arabi, i
quali pure scoprono, al disotto del
cristiano le differenze profonde tra
Franchi e Greci.
dunque attraverso simili
contrasti e grazie ad essi, che si
cominciano a precisare i caratteri
dell'Europa romano-germanica.
E questo va sottolineato, anche per
la trattazione ulteriore: noi possiamo
seguire lo sviluppo dell'idea di
Europa essenzialmente attraverso le
polemiche e le discussioni contro
altre idee, contro altri continenti;
ed sempre lo stesso procedimento
attraverso la polemica che, in nome di
certi ideali politici e morali, molti
scrittori, dal '500 in poi condurranno

contro istituti e tendenze di vita


dell'Europa del loro tempo, additando
a modello, per suffragare i propri
ragionamenti, istituti e tendenze di
altri continenti idealizzati.
Ora, non si tratta ancora
propriamente di Europa: come s' gi
detto, se talora appare gi il nostro
nome, la contrapposizione ancora
generalmente fra Latini (o Franchi) e
Greci (o Bizantini): ma il
procedimento polemico vivo gi ora,
il metodo di definizione lo stesso.
Dunque, concludendo, ecco come
l'Oriente europeo si andato
straniando dall'Occidente durante il
Medioevo. E nell'Oriente era compresa
non solo la penisola balcanica, s
anche l'Ungheria e la Rumenia, la
prima, rimasta fuori per vero anche
dall'orbita della civilt classica; la
seconda, gi romana, gi entrata a far
parte del nucleo delle nazioni civili,
ma poi, dice Enea Silvio Piccolomini,
diventata barbara. Anche qui, dunque,
come per i Greci, processo di graduale
allontanamento dall'Occidente, mentre
con processo opposto, nell'unit
civile occidentale sono penetrati i
Germani, i barbari divenuti
compartecipi della vita, delle sorti
dei Romani.
Questo senso di estraneit
dell'Oriente europeo cresce,
naturalmente, dopo la conquista turca
dei Balcani e di Costantinopoli: ch
allora tutta questa parte dell'Europa
fisica diviene focolaio di rovina,
nido del pi pericoloso nemico che la
cristianit abbia mai avuto, punto di
partenza per gli ulteriori attacchi
contro il ventre della cristianit,
cio contro l'Europa
centro-occidentale.
Nell'estremo momento di vita
dell'impero di Oriente, la coscienza
occidentale s'era, in parte almeno,
scossa dinanzi al pericolo, aveva
risentito come un senso di fraternit,
di affinit morale e spirituale con
quei Greci, con cui tanto s'era
litigato, ma che ora stavano per
soccombere e poi soccombevano sotto i
colpi del Turco: e lo dimostrano le
espressioni degli scrittori e i
progetti di crociate, le doglianze, il
lamento per la caduta della citt
ch'era il secondo occhio della
Cristianit, il secondo occhio
dell'Europa, il baluardo della
libert dell'Europa. In quell'ora
suprema, nuovamente cristianit ed
Europa si erano per cos dire
dilatate, avevano ritrovata l'antica

estensione geografica, richiudendo in


s, con gli Occidentali, anche gli
Orientali. Ma l'ora pass; i Turchi
conquistarono Costantinopoli, furono
padroni di tutto l'Oriente europeo. E
allora quest'ultimo cess di fare
parte della coscienza cristiana
occidentale.
Soltanto, mentre scompaiono
definitivamente per pi di tre secoli
(fino al terzo decennio del secolo
Xix), dall'anima dell'Europa i Greci,
vi entrano o vi rientrano alcuni altri
popoli: quelli cio che, per essere
alle frontiere estreme verso il
dominio ottomano, e per costituire,
pertanto, il baluardo della
cristianit contro l'infedele, vengono
accolti nella comunit cristiana
europea, vengono associati agli
Occidentali. Cos succede per
l'Ungheria e la Transilvania che
divengono una difesa della cristianit
proprio contro il dilagare del
pericolo turco. Cos per la Polonia
stessa, anch'essa baluardo del mondo
cristiano verso Oriente, contro i
Tartari.
un processo di trasformazione
interna, di spostamento del
concetto, anche solo fisico, di
Europa, che assai bene espresso dal
Machiavelli: Escono i popoli grossi e
sono usciti tutti de' paesi di
Scizia E se da cinquecento anni in
qua non occorso che alcuni di questi
abbiano inondato alcun paese, nato
per pi cagioni. La prima, la grande
evacuazione che fece quel paese nella
declinazione dell'imperio, donde
uscirono pi di trenta popolazioni. La
seconda, che la Magna e l'Ungheria,
donde ancora uscivano di queste genti
hanno ora il paese bonificato in modo,
che vi possono vivere agiatamente,
talch non sono necessitati di mutare
luogo. D'altra parte, sendo loro
uomini bellicosissimi, sono come un
bastione a tenere che gli Sciti, i
quali con loro confinano, non
presumano di poterli vincere o
passarli. E spesse volte occorrono
movimenti grandissimi dei Tartari che
sono dipoi dagli Ungheri e da quelli
di Polonia, sostenuti, e spesso si
gloriano, che se non fossero le armi
loro, l'Italia e la Chiesa avrebbe
molte volte sentito il peso degli
eserciti tartari (Discorsi, Ii, 8).
La Russia (Scizia) , evidentemente,
non Europa; Europa invece sono
diventate Germania e Ungheria
bonificate, non solo materialmente,
s anche moralmente, culturalmente, da

barbare fatte civili. Escono i Greci


dalla grande comunit e vi entrano
altri popoli: come si vede, i limiti
anche geografici della comunit, della
cristianit oscillano e variano
parecchio nei secoli.
In Enea Silvio c' l'apprezzamento
dei valori culturali europei, fondati
sulla tradizione classica, sul culto
di Roma e del pensiero antico: egli
comincia a intravvedere l'Europa anche
come l'insieme dei dotti, degli
umanisti intenti a chiosare i grandi
testi antichi, come - per dirla con
espressione cara al Voltaire assai pi
tardi - la repubblica della
intelligenza e della cultura.
vero che Enea Silvio non giunge
ancora ad affermare veramente e
pienamente il senso della comunit,
che non perviene ad un concetto
veramente e propriamente unitario, e
che dalla concezione volteriana della
repubblica letteraria egli resta
dunque ancora lontano. (42) Ma egli
pur sempre all'inizio della via che
condurr alla concezione volteriana;
il suo senso umanistico lo porta gi
ad avvertire affinit culturali,
motivi di vita morale e spirituale,
identit di costumi fra questo e quel
popolo dell'Europa fisica: e ci
evidente nei suoi giudizi sulla
Polonia, ancora arretrata di fronte
all'Occidente.
Il senso dell'unit culturale, oltre
che religiosa, europea, si va man mano
rafforzando: lo si avverte gi
nell'umanista tedesco Jakobo
Wimpfeling (1450-1528) dove l'Europa
colta un qualcosa di esistente e di
vivo; (43) ma soprattutto in Erasmo da
Rotterdam (1466-1536), il principe
(42) W' Fritzemeyer, :Christenheit
und Europa. Zur Geschichte des
europischen Gemeinschaftsgefhls von
Dante bis Leibniz, Monaco-Berlino,
1931, pp' 27-28.
(43) W' Fritzemeyer, op' cit', p'
45.
degli umanisti europei.
L'Europa dei letterati, degli uomini
uniti nel culto della intelligenza,
dei dotti, che apportano luce di
civilt l dove altrimenti non sarebbe
se non barbarie: un elemento
d'importanza fondamentale per la
storia del concetto di Europa,
dell'Europa morale e civile di cui
andiamo cercando l'origine. E nasce
ora per influsso dell'Umanesimo, nella
piena civilt del Rinascimento.
Quando pi tardi il Voltaire parler
della rpublique littraire

stabilitasi in Europa, nonostante le


guerre (:Le sicle de Louis Xiv,
cap' Xxxiv) egli non far se non dar
formulazioni definitive, precise, ad
un modo di sentire che risale,
appunto, all'Umanesimo italiano.
Al qual riguardo, anzi, occorre
notare, anche qui, notevoli
trasformazioni interne nel seno dello
stesso Umanesimo. Inizialmente gli
umanisti italiani sono, diremo con
espressione moderna, nazionalisti;
il Petrarca battezzava barbari tutti
i non Italiani (44) e persino ancora
in Enea Silvio non mancano tracce di
tale modo di sentire. (45) Il grido
Fuori i barbari che echeggia nella
penisola nel Cinquecento ed passato
alla tradizione che lo ha raccolto
sulle labbra del pontefice Giulio Ii,
e lo ha risentito, fremente, nella
chiusa del Principe del Machiavelli,
(44) Cfr' R' De Mattei, loc' cit',
pp' 486 sgg'.
(45) R' Wallach, op' cit'.
bene la ripresa, sul terreno
politico, dell'antibarbarismo
culturale degli umanisti.
Solo che, le cose mutano:
inizialmente ristretto all'Italia,
l'Umanesimo diviene poi fenomeno
europeo (dell'Europa
centro-sudoccidentale, ben inteso).
come una successione di circoli,
concentrici, ma progressivamente
maggiori, che va mano a mano
dilatandosi, occupando maggior spazio,
allontanandosi dal centro iniziale.
Succede, anche qui, nel campo
culturale, quel che vedremo succedere
con il cosiddetto principio
dell'equilibrio europeo, che, nato in
Italia, vien poi esteso all'Europa
centro-occidentale fra '500 e '600,
all'Europa nordica ed orientale col
'700, e poi travalicher anche gli
Oceani e si trasformer in equilibrio
mondiale.
Processo di sviluppo analogo nei due
settori che costituiscono, uniti,
l'Europa: il settore politico ed il
settore culturale.
E dunque, alla fine del '400 e
all'inizio del '500 accanto agli
umanisti italiani ci sono gli umanisti
europei, che spesso sono anche essi
animati da orgoglio nazionalistico
(cos proprio il Wimpfeling) e
reagiscono quindi contro la taccia di
barbarie alla loro nazione; e maggiore
di tutti , nei primi decenni del
'500, proprio un non Italiano: Erasmo;
e le discussioni filologiche e la
critica dei testi e la cura di uno

stile forbito, della eleganza nel


dire, non sono pi limitate fra
Napoli, Roma, Firenze, Bologna,
Venezia, Padova, Milano, ma sono
comuni anche a Parigi, a Oxford, a
Londra, a Basilea. E quindi barbaro,
prima uguale a non Italiano, diviene,
ora, uguale a non Europeo (sempre
l'Europeo centro-sudoccidentale) e
barbari saranno popoli di altri
continenti, siccome dimostreranno le
polemiche a proposito degli Indiani
d'America. Ecco perch il senso
dell'unit spirituale europea pi
vivo, assai pi vivo in Erasmo che in
Enea Silvio: non solo questione di
essere nato pi tardi, ma anche di
essere nato in altro paese che non
fosse l'Italia.
Gran momento, dunque, questo
dell'Umanesimo europeo per la storia
del nostro concetto.
Senonch occorre pure avvertire che
cultura , ancora, strettamente
connessa con religione; che, cio,
l'Europeo ancora il cristiano; che
la parola suprema rimane sempre
christianitas, respublica
christiana, christianus populus,
(46) in cui si fonde anche il fattore
culturale.
una posizione in questo senso
antitetica a quella che sar pi tardi
la posizione volteriana: quest'ultima
infatti valuta i letterati, i
filosofi, gli uomini di cultura in
genere: la sua rpublique littraire
si costituisce :malgr les guerres et
malgr les religions diffrents. Il
fattore religioso quindi un
ostacolo alla formazione di questa
comunit spirituale.
Per gli umanisti, nessuno escluso,
ma soprattutto per gli umanisti non
Italiani, in cui la preoccupazione
(46) W' Fritzemeyer, op' cit', p'
22.
religioso-cristiana sempre
fondamentale, il fattore religioso, la
credenza nella fede di Cristo e il
bisogno di credere, sono invece la
base stessa della comunit. Cultura
s, ma innestata nella religione;
alta vita dello spirito, certo, ma in
quanto sgorga da una coscienza
cristiana e rampolla sulla fede di
Dio. Erasmo , a questo proposito,
l'esempio tipico.
Ecco perch rimaniamo ancora nella
christianitas. Il valore
dell'elemento culturale vi , senza
dubbio, enormemente accresciuto, di
fronte alla christianitas medievale:
la cultura , per cos dire, cresciuta

di statura, quasi portandosi


all'altezza della fede, ma
quest'ultima resta pur sempre la
primogenita per dirla con parole
dantesche, degna di reverentia da
parte della cultura.
Ecco perch, come gi s' detto, il
termine generalmente usato, e con
perfetta coerenza, ancora
christianitas.
Capitolo secondo
La prima formulazione dell'Europa
come di una comunit che ha caratteri
specifici anche fuori dell'ambito
geografico, e caratteri puramente
terreni, laici, non religiosi,
del Machiavelli. E poich del
Machiavelli, non potr essere che una
formulazione di carattere politico.
(1)
Il senso della differenza tra i vari
continenti , in lui, nettissimo; e,
(1) Mantengo l'interpretazione, che
ho sempre data, del pensiero del
Machiavelli, nonostante le
osservazioni in contrario del Curcio
(:Europa. Storia di un'idea, cit',
I, p' 252, n' 12; e gi prima in altri
suoi scritti). Il motivo determinante,
per il Curcio, che il passo
dell'Arte della guerra, che ho
addotto, non basta perch le
considerazioni ivi fatte dal
Machiavelli valgono per l'et antica,
non per il presente, quando queste
provincie d'Europa sono sotto
pochissimi capi, rispetto allora. E
questo l'avevo gi osservato anch'io,
anche se, poco dopo, segue un altro
passo di ben diverso tono: Nella
quale Germania, per essere assai
Principati e repubbliche, vi assai
virt, e tutto quello che nella
presente milizia di buono, dipende
dallo esempio di quegli popoli.
Coerentemente a tutto il suo modo di
giudicare, il Machiavelli esalta i
popoli della Magna (Germania vera e
propria, Svizzera), e biasima gli
Italiani, Francesi, Spagnoli: ma ci
non significa che l'Europa non sia
ancor oggi diversa dall'Asia, non
fosse che per merito della sola
Magna!
Ma soprattutto, il Curcio ha
totalmente trascurato il cap' Iv del
Principe, dove la differenza di tipi
di Stato categorica, ed affermata
per il presente, non meno che per il
passato.
per quanto si valga anche di qualche
esempio non europeo (Mos e Ciro e
Dario re di Persia: cfr' Principe,
Iv-Vi), in genere egli non si

preoccupa se non di problemi europei,


e talora avverte chiaramente che il
ragionamento mio delle cose della
guerra non ha a passare i termini
d'Europa. Quando cos sia, io non vi
sono obbligato a rendere ragione di
quello che si costumato in Asia
(Arte della guerra, Ii, ed' Mazzoni
e Casella, p' 288).
Ma in che consiste la diversit?
Essa non soltanto fisica, ma ben pi
di istituzioni e di modo di essere e
quindi di storia.
Voi sapete come degli uomini
eccellenti in guerra ne sono stati
nominati assai in Europa, pochi in
Africa e meno in Asia. Questo nasce
perch queste due ultime parti del
mondo hanno avuto uno principato o due
e poche repubbliche; ma l'Europa
solamente ha avuto qualche regno e
infinite repubbliche. E il mondo
stato pi virtuoso dove sono stati pi
Stati che abbiano favorita la virt o
per necessit o per altra umana
passione (Arte della guerra, Ii,
pp' 300, 301).
Vero che, attualmente, sembra che
anche in Europa si vadano concentrando
i poteri: Queste provincie [nazioni]
d'Europa sono sotto pochissimi capi,
rispetto allora; perch tutta la
Francia obedisce a uno re, tutta
l'Ispagna a un altro, l'Italia in
poche parti (ib', p' 302).
Ma anche se pi ridotto di prima
il numero degli Stati, la differenza
fra vita politica europea e vita
politica degli altri continenti pur
sempre radicale, tale da
caratterizzare due modi di essere
permanenti, due forme di reggimento
politico: e' principati, de'
quali si ha memoria, si truovano
governati in dua modi diversi: o per
uno principe e tutti li altri servi,
e' quali, come ministri per grazia e
concessione sua, aiutono governare
quello regno; o per uno principe e per
baroni, li quali, non per grazia del
signore, ma per antiquit di sangue,
tengano quel grado Li esempli di
queste dua diversit di governi sono,
ne' nostri tempi, el Turco et il re di
Francia. Tutta la monarchia del Turco
governata da uno signore; gli altri
sono sua servi; Ma el re di Francia
posto in mezzo di una moltitudine
antiquata di signori, in quello stato
riconosciuti da' loro sudditi e amati
da quelli: hanno le loro preeminenzie;
non le pu il re torre loro sanza suo
periculo (Principe, cap' Iv).
Come vedete, la precisazione non

potrebbe essere pi netta. L'Europa questa volta proprio l'Europa -; la


christianitas, il Machiavelli l'ha
completamente dimenticata, cos come
ha totalmente dimenticato l'impero, di
medievale e dantesca memoria. L'Europa
dunque ha una sua personalit, una
individualit basata su un proprio
caratteristico modo di organizzazione
politica. Organizzazione politica di
tipo permanente. Poich, se uno
obiettasse che la diversit nei
nostri tempi, il Machiavelli risponde,
poco appresso nello stesso capitolo:
se voi considerrete di qual natura di
governi era quello di Dario, lo
troverrete simile al regno del
Turco Di qui nacquono le spesse
ribellioni di Spagna, di Francia e di
Grecia da' Romani, per li spessi
principati che erano in quegli
stati. Gi nell'antichit il
contrasto c'era e l'impero turco
dell'inizio del secolo Xvi non fa che
continuare una tradizione, un tipo di
governo, che era gi quello
dell'antica monarchia persiana, mentre
pure gi nell'antichit, gli Stati
occidentali eran assai pi divisi,
frazionati, anche all'interno.
Dunque non si tratta di una
diversit momentanea, legata ad una
particolare e transeunte condizione di
cose; bens di una vera e propria
diversit costituzionale. Asia ed
Occidente europeo offrono due tipi
diversi di organizzazione politica.
Ed una diversit ricca di
conseguenze, come che favorisca lo
svilupparsi della virt, cio della
capacit di fare, dell'energia
creatrice: e questo non tanto per il
maggior numero degli Stati (elemento
puramente quantitativo); bens per la
diversa qualit fra Stato europeo e
Stato asiatico; in Europa repubblica o
monarchia non assoluta, in Asia
monarchia assoluta dispotica.
Perch qui riposta la vera
diversit (il capitolo Iv del
Principe decisivo al riguardo, se
pur gi non bastasse l'accenno alla
virt nell'Arte della guerra): il
governo repubblicano d adito alla
feconda gara dei partiti (ricordate
sempre, quando si parla di Machiavelli
e del suo pensiero politico, il
capitolo Iv del libro I dei Discorsi,
:Che la disunione della plebe e del
senato romano fece libera e potente
quella repubblica), e sprone alla
virt dei singoli: e anche il governo
monarchico, in Europa, limitato da
leggi, consuetudini, animo delle

popolazioni, s da permettere che vi


alligni la virt individuale almeno
per necessit.
Vediamo cos apparire, sullo sfondo,
anche nel Machiavelli, qualcosa che
arieggia quel senso della libert che
vedremo dominante nel Settecento.
Certamente si tratta di un'apparizione
di tipo molto diverso: il Machiavelli
non sogna arcaiche libert, non
rimpiange l'et dell'oro, lontana
ormai, dei liberi uomini, e
soprattutto mentre il Montesquieu e il
Voltaire rivendicheranno la libert
contro lo Stato, il Machiavelli
parte sempre dal punto di vista dello
Stato, e considera semmai la libert
necessaria proprio per la maggior
potenza solidit gloria dello Stato
stesso. Negli uni c' la rivolta
dell'individuo e del ceto contro
l'azione politica del governo
centrale; nell'altro c' il desiderio
di rendere sempre pi chiara,
coerente, decisa, la politica di
questo governo.
Ma insomma, quali che siano le
differenze profondissime fra gli uni e
l'altro, c' per anche nel
Machiavelli il senso delle diversit
fra le nazioni europee e le altre.
L'Europa vuol dire molte virt
individuali; l'Oriente, l'Asia
vogliono dire dispotismo, uno
padrone e tutti gli altri servi. E non
vi dubbio che il Machiavelli
propende per il sistema europeo.
Dispotismo orientale: affiorano in
questo momento nel pensiero del
Machiavelli, vecchie reminiscenze,
tutta una lunga tradizione, talora
alquanto vaga, ma ininterrotta. Poich
certo, per questa contrapposizione fra
dispotismo orientale e libert dei
popoli siti in Europa si deve risalire
su su nei secoli fino all'et delle
guerre persiane, della lotta delle
citt greche contro la monarchia
asiatica, fino, cio, al quinto secolo
a'C'. l, fra Maratona e le
Termopili e Salamina, che si foggi
l'immagine del re orientale come del
despota; e da allora l'immagine non
si cancell mai pi e venne anzi
rafforzata ancora, quando, nel Basso
Impero, i Romani e gli Occidentali
videro i loro imperatori avvolgersi di
forme orientali, porsi su di un
piedistallo che li innalzava ad
altezze inaccessibili per gli altri
mortali trasformando completamente
l'antica figura dell'imperator e
princeps in quella di un autocrate.
proprio dal contrasto con siffatte

forme e modi che escir, come vedremo,


la celebrazione delle libert
germaniche.
Oriente, dispotismo, schiavit di
tutti di fronte ad uno solo.
L'eco di questa tradizione in quei
pubblicisti tedeschi dell'et della
Riforma che oppongono la libert
germanica, il diritto germanico alle
costituzioni babilonesi. Cos come
l'eco delle lontane polemiche
antiasiatiche, l'eco delle discussioni
greche, riappare in un altro notevole
scrittore spagnuolo, in Juan Luis
Vives. Nel :De Europae dissidiis et
bello turcico (2) che del 1526,
egli riesprime infatti concetti che
gi abbiamo rinvenuti e che vedremo
ripresi dall'Illuminismo
settecentesco: l'Asia imbelle, e
imbelle non occasionalmente, per una
diremo congiuntura momentanea, ma per
natura; mentre la razza che popola
l'Europa, come ha dimostrato
Aristotele, la pi forte e
coraggiosa. Gli Asiatici non sono atti
alla guerra. Tant', stata la
discordia dell'Europa ad aprire ai
Turchi le vie della potenza.
(2) Ora in traduzione spagnuola in
Obras completas, ed' L' Riber,
Madrid, 1948, Ii, pp' 58-59.
Anche nel Machiavelli, dunque,
l'eco di una tradizione. Solo che il
Machiavelli, con il consueto taglio
preciso secco e netto trasforma un
vago, nebuloso motivo, appena
affiorante dal fondo della coscienza
tradizionale, in una chiara, ben
definita sistemazione concettuale; e
anzich limitarsi ad una generica
contrapposizione, delinea con pochi,
ma sicuri tocchi il carattere
dell'Europa.
Carattere politico dunque: ora,
l'avvenire dar all'Europa anche altri
contrassegni, creer una figura assai
pi complessa e ricca e varia,
abbracciando molti pi motivi di vita
e di pensiero di quanto il Machiavelli
non si sognasse di vedere. Ma il
motivo politico rester d'ora in poi
fermo. L'Europa quale uscir dalle
meditazioni degli scrittori del '700 e
'800 avr sue caratteristiche morali,
culturali, economiche, di costumi, ma
manterr, sempre, anche e anzitutto
caratteristiche politiche.
Con tali lineamenti l'Europa appare
per la prima volta con una sua
caratteristica morale, non fisica,
nella storia moderna.
Che se il pensiero non era
propriamente nuovo, e, come s' detto,

si collegava anzi con la lontana


tradizione greca del V-Iv secolo a'C'
rivissuta nell'epoca della lotta per
il primato di Augusto, e con la
tradizione medievale dell'antitesi
Oriente-Occidente, ora soltanto
avrebbe potuto svilupparsi in tutta la
sua portata. Quali possano essere gli
addentellati con i ricordi
dell'antichit, non sarebbe, certo, la
prima volta nella storia dell'umanit
che pensieri non nuovi, acquistano
importanza mai prima avuta o assumono
aria di nuovi, per il felice
accordarsi con le circostanze dei
tempi, le quali consentono loro pieno
sviluppo. Alla contrapposizione
aristotelica erano succedute l'ecumene
ellenistica e poi quella romana; il
Machiavelli enuncia il suo proposito
proprio quando, sulle rovine delle due
grandi ideologie medievali dell'impero
e del papato, gli Stati europei
dispiegano la loro individualit pi
forte e libera, pi sciolta che mai da
legami con idee universali.
Cos che l'idea della necessaria
molteplicit di Stati s'inserisce da
allora, saldamente, nella
pubblicistica; e vi s'inserisce
anzitutto attraverso quella sua
applicazione pratica che la
cosiddetta dottrina dell'equilibrio
europeo.
Anch'essa, sbocciata la prima volta
in Italia, e proprio essenzialmente
nell'et del Machiavelli e del
Guicciardini, con le considerazioni
sulla bilancia d'Italia, accortamente
tenuta in bilico da Lorenzo il
Magnifico, ma poi trapassata nella
pubblicistica europea con Francia e
Spagna piatti ed Inghilterra ago
della bilancia, secondo si esprime,
verso il 1590, uno scrittore inglese,
(3) con Francia e Spagna come i due
poli da cui discendono gli influssi
della pace e della guerra sugli altri
Stati, secondo afferma il duca Enrico
di Rohan. (4) E poi, ancora, ripresa,
portata al suo massimo sviluppo dalla
pubblicistica inglese nell'et della
(3) E' Kaeber, :Die Idee des
europischen Gleichgewichts in der
publizistischen Literatur vom 16' bis
zur Mitte des 18' Jahrh', Berlino,
1907, p' 28.
(4) :De l'interest des Princes et
Estats de la Chrestient, Parigi,
1638, prefazione. Cfr' F' Meinecke,
:Die Idee der Staatsrson in der
neueren Geschichte, Monaco-Berlino,
1924, pp' 211-12.
regina Anna, quando il principio

dell'equilibrio viene anteposto al


medesimo principio di giustizia,
poich, afferma il Defoe: La pace del
Regno Unito, la tranquillit generale
dell'Europa devono prevalere su una
considerazione di pura giustizia; (5)
fino a pervenire alle considerazioni
del Lehmann, nel 1716, sull'equilibrio
come una specie di costituzione
(5) E' Kaeber, op' cit', p' 66. In
un altro scritto inglese del 1743,
:Histoire de la grande crise de
l'Europe, si ripete che all'interesse
pubblico dell'Europa, conformemente al
diritto naturale ed al diritto delle
genti, devono essere sacrificati gli
interessi particolari di ogni Stato
(ib', p' 93).
dell'Europa, (6) o alla categorica
dichiarazione del Voltaire che tra i
princpi di diritto pubblico e di
politica, tipici dell'Europa e
sconosciuti alle altre parti del
mondo, quello, saggio, di mantenere
tra i vari Stati una bilancia uguale
di poteri, a mezzo di incessanti
trattative diplomatiche, anche durante
le guerre, (7) o, ancora, alla
constatazione dell'abate Mably che
proprio per avere attuato pienamente
(6) J' Termeulen, :Der Gedanke der
Internationalen Organisation in seiner
Entwicklung, I, L'Aja, 1917, p' 42.
(7) :Le sicle de Louis Xiv, cap'
Ii.
il sistema dell'equilibrio, l'Italia
del '400 stata una immagine di ci
ch' oggi l'Europa, la quale
costituisce un tutto politico, in cui
una parte necessariamente legata
alle altre da un reciproco e continuo
influsso. (8)
Molteplicit di Stati in Europa;
necessit di tener in piedi siffatta
molteplicit per salvare la libert
dell'Europa e impedire l'avvento di
una monarchia universale, fosse di
Carlo V o Filippo Ii, fosse di Luigi
Xiv, che avrebbe significato la fine
di quella libert; necessit pratica
conseguente di un continuo lavorio
(8) :Principes des ngociations
pour servir d'introduction au droit
public de l'Europe fond sur les
traits, in Oeuvres compltes, ed'
Parigi, 1797, V, pp' 4, 6, 7, 8, 25
ecc'.
diplomatico, a mezzo di una diplomazia
stabile, ch'era appunto creazione,
dopo che italiana, dell'Europa
moderna, cinque e seicentesca: tali i
presupposti e le giustificazioni della
dottrina dell'equilibrio.
Che se ad essa badavano i

pubblicisti e i politici, i cosiddetti


uomini pratici, (9) anche gli
ideologici, o, come venivano chiamati,
gli utopisti, muovevano nei loro
progetti da un identico punto di
partenza, cio dalla molteplicit
degli Stati europei: soltanto che,
contrariamente al detto dei pratici,
(9) Cfr' per es' S'K' Padover,
Prince Kaunitz. Rsum of his
Eastern Policy (1763-1771), in
Journal of Modern History, V (1933),
p' 356.
essi cercavano di ovviare ai danni di
quella molteplicit - le guerre mediante sistemi di organizzazione
internazionale, sempre pi scostantisi
dai vecchi schemi di lega per la
crociata contro il Turco, cari ancora
al '400 e al '500, e sempre pi
mirando ad una forma di organizzazione
permanente, europea, non in vista di
una lotta contro l'infedele, ma per
sopire i dissid tra i prncipi
dell'Europa. Europea, anche essa,
quest'organizzazione, anche se l'abate
di Saint-Pierre proprio nell'ultimo
articolo del suo progetto del 1713 di
pace perpetua stabilisce che l'unione
europea cercher di far sorgere in
Asia una Societ permanente, simile a
quella dell'Europa, per mantenervi la
pace; e soprattutto per non aver nulla
da temere da alcun sovrano asiatico,
sia per propria tranquillit, sia per
il commercio in Asia. (10) Questo, di
un organismo permanente, sarebbe stato
il :nouveau systme de l'Europe,
preferibile al sistema dell'equilibrio
tra la casa di Francia e la casa di
Austria, scriveva un anonimo, nel
1745. (11)
Comunque, per l'una e per l'altra
via, la via dei politici e la via
degli utopisti, quella che n'usciva
con contorni sempre pi netti,
precisi, era l'immagine dell'Europa
come di un corps politique, unitario
per certi princpi comuni, anche se
diviso in var organismi statali; un
corpo dalle molte anime. (12)
(10) J' Ter Meulen, op' cit', p'
200 e cfr' p' 189.
(11) Ibid', pp' 230 sgg'.
(12) In Europa le cose sono
combinate in modo che tutti gli Stati
dipendono gli uni dagli altri
L'Europa uno Stato composto di molte
provincie. Montesquieu, Riflessioni
e pensieri inediti (1716-1755), trad'
it', Torino, 1943, pp' 100, 101.
:Considrations sur l'tat prsent du
corps politique de l'Europe,
intitolava Federico il Grande, ancora

principe ereditario, il suo primo


saggio politico; vent'anni dopo, in
piena guerra dei Sette anni, in uno
scritto apparso a Francoforte,
l'Europa raffigurata a guisa di un
sistema politico, un corpo dove tutto
collegato dalle relazioni e dai
diversi interessi delle Nazioni, che
abitano questa parte del globo da
questa famosa idea della bilancia
politica e dell'equilibrio dei
poteri; (13) e infine, nel 1769, il
Robertson, pubblicando la sua :Storia
del regno dell'Imperatore Carlo V,
dichiara di essersi accinto a scrivere
le vicende di quel periodo, perch
allora le potenze di Europa si
unirono in un gran sistema politico
i princpi politici, e le massime
stabilite allora sono tuttavia in
vigore, e le idee di potere che furono
introdotte, o rese generali in quei
tempi, influiscono tuttora sopra i
consigli delle nazioni. (14)
Con ancora pi largo respiro, al
Voltaire l'Europa appariva da lungo
tempo, eccetto la Russia come una
specie di grande repubblica divisa in
vari Stati, gli uni monarchici, gli
altri misti, gli uni aristocratici gli
(13) :Mmoires politiques
concernant la guerre, Francoforte,
1753. Di un :corps gnral de
l'Europe o, anche di una repubblica
dell'Europa, sono d'altronde assai
frequenti le menzioni nella
pubblicistica: cfr' per es' il
Politique Danois di Maubert De
Gouvest, nel 1756 (Kaeber, op' cit',
p' 129).
(14) Prefazione (cit' dalla trad'
ital', Milano, 1824, p' 2).
altri popolari, ma tutti collegati gli
uni con gli altri, tutti con ugual
fondamento religioso, anche se divisi
in varie stte, tutti con gli stessi
princpi di diritto pubblico e di
politica, sconosciuti nelle altre
parti del mondo. (15)
Princpi di diritto pubblico comuni,
non pi assiomi di mera politica
(15) :Le sicle de Louis Xiv, cap'
Ii.
pratica: un gran passo innanzi di
fronte alla concezione del
Machiavelli, sempre fermo nella
valutazione della virt politica e
militare. L'Europa ha sempre le sue
caratteristiche politiche, ma queste
non bastan pi: con il tipo politico
europeo collegato un tipo di civilt
diversa da quella degli altri
continenti.
Capitolo terzo

Ora, per comprendere come questo


tipo di civilt si sia venuto
delineando, dobbiamo rivolgere la
nostra attenzione ad un tutt'altro
ordine di idee, e fermarci, anzitutto,
sulle grandi scoperte geografiche e le
loro ripercussioni.
Queste ripercussioni di solito
vengono esaminate e riconosciute nel
settore economico e poi, di riverbero,
in quello politico: l'attenzione degli
studiosi si fissa, cio: 1) sullo
spostamento del centro del commercio
internazionale dal Mediterraneo, che
era stato il punto di convergenza
maggiore del traffico medievale,
all'Atlantico e con ci al decadere
della fortuna economica delle grandi
repubbliche italiane (Venezia, Genova)
e al sorgere o meglio consolidarsi e
svilupparsi della floridezza economica
e della potenza marittima degli Stati
situati sull'Atlantico o a brevissima
distanza da esso; 2) sul grande
afflusso di metalli preziosi (oro e
argento) dall'America in Europa, sui
conseguenti profondi perturbamenti
della vita economica europea (ascesa
vertiginosa dei prezzi dalla met del
secolo in poi, ecc').
Ora, queste considerazioni sono
certamente giustissime; ma non
bastano. Le grandi scoperte
geografiche, e segnatamente la
scoperta dell'America, incidono s
profondamente sulla vita economica, ma
insieme non meno profondamente sulla
vita spirituale europea. questo un
problema assai poco studiato (1) e pur
di decisiva importanza per la
formazione dello spirito moderno.
Scoperta di nuovi mondi,
contemplazione di infinite meraviglie
non conosciute dagli antichi al dire
dello stesso Varchi, che era pur un
pensatore molto ligio
all'aristotelismo, al culto
dell'antichit, molto ossequiente alle
regole tradizionali; constatazione che
molte affermazioni, religiosamente
(1) Cfr' F' Chabod, Giovanni
Botero, Roma, 1934, pp' 74 sgg'.
credute dall'antichit in poi erano o
inesatte, o completamente errate:
aggiungete dunque tutto questo
all'impressione gi destata negli
uomini dalle due grandi invenzioni, la
stampa e l'artiglieria, entrambe non
conosciute dagli antichi, e avrete lo
sconvolgimento di tutto un modo di
pensare e di sentire vecchio, ormai,
di molti secoli.
Il Rinascimento, infatti, con tutta
la modernit di molte sue

affermazioni, era come mentalit,


rimasto fisso all'idea del
momento-modello nel passato, visto in
Roma e nella Grecia antiche. Cio: per
gli uomini del Rinascimento, c' nella
storia passata dell'umanit, un
periodo in cui arte, lettere, pensiero
filosofico e politico hanno raggiunto
la perfezione, il summum possibile ad
ingegno umano. Pi in l, non
possibile andare. Questo periodo
quello che va dai tempi di Pericle ai
tempi di Augusto e dei suoi immediati
successori: l, l'umano ingegno ha
detto la sua parola, ha espresso
tutta la sua possanza. Al di l,
impossibile andare; per riprendere una
immagine cara al mondo
antico-medievale, quelle sono le
colonne d'Ercole del sapere umano.
E questa concezione spiega
l'imitazione, principio caro ad
artisti, letterati, ecc', del
Rinascimento: imitazione della
cultura, dell'arte classica, in quanto
in esse si rispecchiano la sapienza e
la bellezza stesse, per quel che
dato agli uomini di raggiungerle.
Imitare, per cercare di avvicinarsi a
quella perfezione.
Ora, questa forma mentis la
perfetta prosecuzione della forma
mentis cristiano-medievale e in
genere della forma mentis religiosa.
Per il cristiano c' infatti un
momento nella storia dell'umanit in
cui tutto racchiuso, che principio
e fine ad un tempo: ed il momento
della Rivelazione, il momento della
discesa del figlio di Dio in terra,
che il punto centrale di tutta la
religione. Incarnazione, Passione e
Resurrezione: l il faro di luce che
deve guidare l'umanit, che solo pu
strapparla al peccato e alla morte
(dell'anima).
Ecco perch, nei grandi movimenti
religiosi, sia che si mantengano entro
i binari dell'ortodossia, sia che poi
sbocchino nell'eresia, voi vedete,
costantemente, proclamata la necessit
del ritorno ai princpi, vale a dire
ritorno ai tempi evangelici, alla
purezza, carit, fede dei primi tempi
quando lo spirito era tutto e la carne
nulla. Pensate anche solo a s'
Francesco e alla sua predicazione.
Identica la mentalit del
Rinascimento. C', s, una gran
novit, che consiste nel trasferire il
problema dal campo religioso a quello
puramente terreno, mondano, nel
cercare un momento-modello, non pi
per la salvezza dell'anima, bens per

la gioia dello spirito e l'affinamento


della cultura: ed una novit che ha
formidabili conseguenze. Ma la forma
mentis, il modo di pensare, il
criterio diremmo metodologico
rimangono identici: ci si volge,
anzich alla predicazione di Cristo e
all'et apostolica, alle discussioni
dell'et platonica e aristotelica o al
discorrere di Cicerone o al poetare di
Orazio: ma ci si volge sempre
indietro, perch dietro a noi, alle
nostre spalle oramai, sta la verit.
Mentalit completamente opposta a
quella moderna che, movendo dal
concetto di progresso e da quello di
svolgimento (completamente sconosciuti
alla mentalit del Rinascimento)
afferma che la vita moderna pi
ricca, complessa e quindi alta di
quella delle et passate, come quella
che ha accolto in s tutto il succo
fecondo di quelle et, tutte le loro
conquiste, ma vi ha pure aggiunto
qualcosa che a quelle mancava.
Insomma, per dirla con Giordano Bruno,
i veri antichi (cio i saggi) siamo
noi.
, come vedete, una rivoluzione
completa nel modo di pensare, una
rivoluzione copernicana che sbocca
nella :querelle des anciens et des
modernes e conduce, tra la fine del
'600 e l'inizio del '700, a ben
definiti ripudi del mito del
momento-verit nel passato, e
all'affermarsi della mentalit
illuministica e del concetto di
progresso nella storia umana.
Ora, nel determinare una siffatta
rivoluzione, le scoperte geografiche,
con l'ampliarsi del mondo fisico che
dava a conoscere, appunto, infinite
meraviglie non conosciute dagli
antichi ebbero senza dubbio peso
decisivo.
La letteratura geografica
s'infittisce a dismisura nel '500;
pullulano le relazioni di viaggi, le
descrizioni di paesi extraeuropei,
dall'Asia all'Africa all'America: e
basti, qui, rinviare ad opere come
quelle di Atkinson, :Les nouveaux
horizons de la Renaissance Franaise,
Parigi, 1935, di C'D' Rouillard, The
Turk in French History, Thought and
Literature (1520-1660), Parigi, s' d'
(ma 1938), e di F' de Dainville, :La
gographie des humanistes, Parigi,
1940. E questa letteratura agisce,
ora, in profondit, nel senso di
determinare mutamenti di giudizi e di
modi di pensare.
Un'eccellente analisi, al riguardo,

per l'Italia quella di R' Romeo,


:Le scoperte americane nella
coscienza italiana del Cinquecento,
Milano-Napoli, 1954 (e si noti che le
ripercussioni sul pensiero italiano
sono ben lungi dall'intensit con cui
agiscono sul pensiero di un
Montaigne).
Nell'ambito di un simile
rivolgimento complessivo trova posto
anche il rapido accentuarsi dei
lineamenti morali dell'Europa.
La conoscenza di nuovi mondi induce,
per naturale tendenza, gli Europei a
cercare di delineare pi chiaramente i
propri caratteri in contrapposizione
a quelli altrui: il momento della
contrapposizione essendo sempre
decisivo in simile processo.
E ci si sentir, ora, sempre pi
Europei e non cristiani, e si
insister vieppi sulle differenze
culturali, politiche, morali, di
costumi, a preferenza di quelle
religiose: sia perch il formarsi di
comunit cristiane oltre i mari, in
America ed anche in Asia toglie al
fattore cristiano quella sua
equivalenza con l'Europa che aveva
permesso al termine cristianit di
assorbire in s tutti i caratteri
distintivi degli uomini del
continente, cultura e fede, politica e
consuetudine; sia anche perch
l'ideale della cristianit svanisce
rapidamente, perde il suo imperio
sugli uomini.
Vi contribuisce certamente assai la
Riforma con la profonda divisione
degli uomini che ne consegue sul
terreno religioso: per quanto Lutero
riassuma, per conto suo, l'idea del
corpus christianum, un corpus che
non ha pi per la rigidit del
sistema papale di organizzazione
gerarchica, i nessi fissi della
Ecclesia medievale. (2)
Ma vi contribuisce anche il
progressivo laicizzamento del
pensiero, di cui s' gi fatto cenno,
lo staccarsi dell'ideologia dalla
grande idea di cristianit.
Uno staccarsi certo progressivo,
lento: tant' che ancora per tutto il
'500, anzi nello stesso '600 si vedono
(2) W' Fritzemeyer, op' cit', pp'
45 sgg'.
rinnovare ancora spesso appelli alla
repubblica cristiana.
Ma uno staccarsi continuo e
infrenabile: e in questo processo di
dissolvimento del vecchio ideale,
viene fuori, pi chiara e netta,
l'idea di Europa.

Questi sono, dunque, i grandi motivi


che permettono il delinearsi del
concetto d'Europa, che sorge dunque in
stretta connessione con il tramonto di
un mondo di valori e l'affermarsi di
un altro.
Non perdiamo mai di vista simili
connessioni del nostro problema
particolare con l'insieme della vita
spirituale europea, ch, altrimenti,
sfuggirebbero tanti e tanti aspetti
del nostro problema stesso e altri
sarebbero fraintesi.
Per esempio, le stesse scoperte
geografiche, possono agire in
profondit nel pensiero umano, in
quanto sono connesse con quelle altre,
contemporanee, scoperte nel campo
dello spirito che sono le scoperte,
cio le affermazioni del pensiero del
Rinascimento: i due fenomeni storici
operano insieme, e cos possono dare
tutti i loro frutti.
Ora, nel modo di impostare i
rapporti Europa-America (o Asia o
Africa) interessa soprattutto fin dal
Cinquecento, il rivelarsi di una
corrente polemica antieuropea. E cio:
l'insofferenza di certe forme di vita
europea, e soprattutto l'insofferenza
dei sistemi politici e delle guerre
continue, guerre fratricide, eccita un
certo numero di scrittori a creare il
mito dei felici mondi lontani, dove
non si conoscono guerre, dove gli
uomini, naturalmente buoni, non sono
ancora corrotti dalla vita di corte,
dagli intrighi dei politici e dalla
turpe ragione di Stato, dalla auri
sacra fames; non appetiscono quindi
l'altrui e si astengono dalle rapine
continue che caratterizzano i
cosiddetti civili europei. Nasce,
cos, il mito del buon selvaggio, che
continuer fino al Settecento e nel
Settecento culminer, contribuendo non
poco al vagheggiamento rousseauiano
dello stato di natura.
L'Europa viene contrapposta alla
non-Europa (e, questa volta, Cina e
America fanno tutt'uno, perch la
Cina, come vedremo, il regno della
saggezza e della moralit), non come
civile a barbaro, ma anzi come
sanguinario depredatore inumano a mite
pacifico umano. Le parti sono
invertite: la figura dei barbari, dei
veri barbari, la fanno qui gli
Europei.
Risuonano due motivi contrastanti:
quello della pace, della tranquillit
delle terre lontane, quello della
lotta continua che strazia l'Europa,
cristiana di nome ma di fatto dominata

dai briganti che trascorrono il loro


tempo ad ammazzarsi, peggio ancora, a
fare ammazzare tra di loro i popoli,
stanchi oppressi e martoriati.
Naturalmente, in questo quadro avete
la stilizzazione delle terre lontane
e del selvaggio, stilizzazione,
s'intende, ideale, in bene. Tutto
appare buono, lieto e roseo, laggi,
fosco brutto, dolente qua fra noi.
Come lussureggiante e splendida la
vegetazione di quelle regioni lontane,
cos felici i costumi, beati gli
animi. , sempre, una specie di
Paradiso terrestre che viene
raffigurato fuori dell'mbito europeo;
e senza dubbio, il vecchio mito
medievale del Paradiso terrestre ha
influito largamente nel determinare la
stilizzazione cinquecentesca
dell'innocente Peruviano o del
Brasiliano, che abita in una terra di
sogno. Soltanto, nel nuovo mito non
v' pi nulla del sapore religioso
dell'antico: allora il Paradiso
terrestre rappresentava il
vagheggiamento, nell'animo dei
peccatori, di un lontano mondo senza
peccato e senza colpa, ora il
vagheggiamento, da parte di uomini
stanchi di guerre, di un mondo senza
guerre, o con pochissime guerre,
dunque il vagheggiamento della pace
terrena anzich celeste. Voi misurate
con ci, di colpo, l'abisso fra le due
concezioni.
Stilizzazione dei paesi lontani,
polemica contro l'Europa, ecco i
caratteri salienti della corrente che
stiamo studiando. Essa si recluta non
fra viaggiatori, bens fra uomini di
studio pensosi dell'avvenire dei
popoli, preoccupati di tante stragi;
si costituisce non ad opera di gente
che ha visto, cio di osservatori
della realt di fatto (marinai,
geografi, ecc') bens ad opera di
gente che vuole esprimere un proprio
ideale.
Da questo punto di vista, la
contrapposizione Europa-non Europa,
noi-loro, di cui stiamo parlando,
dunque tipica manifestazione di un
certo modo di essere dello spirito
umano, quando intende polemizzare con
il proprio tempo. Questo spirito
polemico non si accontenta infatti,
quasi mai, della pura discussione
teorica, del dibattito a base di
ragioni, ma cerca di appoggiarsi su
una documentazione, di render pi
salde le ragioni mediante l'appello a
qualche esempio. Ora l'esempio pu
essere di due specie: o puramente

fittizio, inventato; o storicamente


precisato.
Nel primo caso avete l'utopia: cio
lo scrittore che vuole combattere
istituti, usi, costumi della societ
del suo tempo, crea uno Stato
immaginario, che modella a sua guisa,
secondo i propri ideali. il
procedimento di un Tommaso Moro, di un
Campanella, ecc'.
Nel secondo caso, invece, lo
scrittore, rifuggendo
dall'architettare completamente, di
propria fantasia, un modello, cerca il
modello stesso in qualcosa di gi
esistente, ch'egli idealizza e
stilizza, accentuandone violentemente
le linee di contrasto con la societ
di cui si vogliono mettere in luce i
difetti. E ci pu essere fatto in
duplice modo: sia esaltando lo stato
di natura (Rousseau), vale a dire
dando fissit di linee precise ad una
condizione di cose che di per se
stessa mancherebbe proprio di ogni
precisione di contorni; sia, pi di
frequente, esaltando qualche popolo
specifico, storicamente ben
determinato, in contrapposizione al
proprio popolo.
il procedimento di Tacito nella
Germania; eccessiva idealizzazione
dei costumi dei Germani, della loro
purezza, semplicit, ecc' in aperta
antitesi con la corruttela del troppo
raffinato e decadente mondo romano.
, ora, il procedimento di Montaigne,
quando loda i cannibali; sar, poi, il
procedimento degli illuministi quando
contrapporranno la saggezza morale
della Cina e la larghezza d'idee dei
seguaci di Confucio alla barbarie
morale e all'intolleranza religiosa
degli Europei.
Naturalmente, per poter attuare
questo procedimento polemico, occorre
creare il mito; il mito del buon
selvaggio, della Cina saggissima,
moralissima, ecc'. superfluo
aggiungere che questi miti non possono
essere compresi come quadri storici,
come raffigurazioni dal vero.
Per, questi miti hanno una forza,
un'efficacia morale enorme: attraverso
ad essi e grazie ad essi, la lotta
contro vecchie posizioni, contro il
mondo che si vuol disfare viene
condotta innanzi con un vigore che il
solo ragionamento non avrebbe. Vien da
pensare che l'umanit non possa
procedere se non per via polemica, e
che l'alterare proporzioni e misure
sia necessario all'uomo che lotta per
affermare un proprio ideale.

Certo, il mito di cui parliamo ebbe


importanza enorme nella storia del
pensiero europeo. Iniziato nel
Cinquecento, esso culmin nel
Settecento; e volle dire, appunto,
battaglia aperta contro le istituzioni
ed i princpi dell'antico regime, e
fece dunque tutt'uno con la grande
opera dell'Illuminismo.
Si tenga ben presente il motivo
ispiratore del mito del selvaggio:
l'amore di pace, l'orrore delle guerre
continue che desolano l'Europa. Ora,
questo motivo, che ispira agli uni
l'elogio fin dei cannibali, ispirer
ad altri i progetti di lega o
federazione europea, o almeno di un
supremo tribunale arbitrale, che renda
impossibili i conflitti tra Stato e
Stato. Cio, vagheggiamento di felici
terre lontane e vagheggiamento
politico di una societ europea
ideale, unitaria, senza guerre,
muovono da una stessa fonte e tendono
ad uno stesso scopo; sono i due
aspetti diversissimi in apparenza, ma
congiunti nella sostanza, di un unico
modo di sentire e di pensare.
Questa constatazione necessaria
anche per un'altra avvertenza. Cio,
la polemica anti-europea non viene
condotta perch poi veramente si
voglia la fine dell'Europa, ma anzi
perch se ne vuole una pi alta vita;
deriva non da odio, ma da grande
amore. Nessuno pi europeo di
sentire di questi uomini i quali
biasimano le costumanze dell'Europa;
nessuno apprezza pi di loro gli alti
valori civili che la tradizione
europea rappresenta. proprio per
salvaguardare questi valori civili,
umani, che questi filosofi e
letterati, da Montaigne a Voltaire,
deprecando le male consuetudini
europee soprattutto in fatto di
politica, deprecano cio le guerre
continue e gli odi fra Stato e Stato e
partito e partito.
Non lasciamoci dunque trarre in
inganno, la polemica anti-europea in
funzione non gi del desiderio di
annullare l'Europa, ma anzi del
desiderio di renderla pi grande, pi
saggia, una vera maestra di vita a
tutti.
Questo spiega anche come, ad un
certo punto, sotto la penna di
qualcuno di questi scrittori, che ha
pure lungamente esaltato poniamo la
Cina e la superiorit morale dei
Cinesi, sgorghi poi irresistibile
l'alto elogio dell'Europa (come
vedremo, questo succeder proprio col

Voltaire). Anche sotto le apparenze


pi cosmopolitiche, gli scrittori e
pensatori di cui parliamo
continuarono, sempre, a pensare con
mentalit di Europei, a misurare il
mondo e la storia umana secondo misure
di valore tipicamente europee.
L'espressione pi alta della
polemica antieuropea offerta dal
Montaigne. (3)
Due capitoli degli Essais sono
consacrati al problema che ci occupa:
il trentesimo del libro primo che
dedicato ex professo ai cannibali;
il sesto del libro terzo, che
dedicato bens ai coches, ma che, ad
un certo punto, trascorre a parlare
del Nuovo Mondo, dei suoi abitanti e
della crudelt degli Europei verso di
(3) Cfr' Chinard, :L'exotisme
americain dans la littrature
franaise au Xvi'me sicle, Parigi,
1911, pp' 193 sgg'.
essi. In pi, vari accenni, in altri
capitoli: soprattutto nel capitolo Xii
del libro Ii, la celebre :Apologie de
Raimond Sebon.
Il capitolo sui cannibali ,
sostanzialmente, l'esaltazione della
vita dei selvaggi. Qui, il mito del
Paradiso terrestre, spogliato
s'intende di ogni valore religioso,
sembra ripreso in pieno.
Selvaggi li chiamiamo (Montaigne
parla dei Brasiliani): ma sono
selvaggi come i frutti che la natura
produce da s, spontaneamente, cio
pi ricchi e pieni di virt
naturali, mentre nei nostri frutti,
coltivati ed addomesticati, tali virt
sono imbastardite, poich le abbiamo
volute accomodare au plaisir de notre
goust corrompu. Da noi l'arte, da
loro natura; da noi l'invenzione, da
loro la spontaneit: ora, l'arte
molto ma molto inferiore alla natura.
Quegli uomini, che chiamiamo
selvaggi e barbari, solo perch
ciascuno definisce barbarie ci che
non rientra nei suoi usi, vivono sotto
l'imperio delle leggi di natura, si
trovano ancora allo stato di natura:
in uno stato di tale purezza, che ci
che vediamo presso di loro per
esperienza diretta sorpassa non
soltanto tutte le pitture di cui la
poesia ha abbellito l'et dell'oro, e
tutte le sue invenzioni per fingere
una condizione felice di vita umana,
ma anche la concezione ed il desiderio
stesso della filosofia; i filosofi
stessi non hanno potuto immaginarsi
una ingenuit cos pura e semplice,
come la vediamo per esperienza, n

hanno potuto credere che la nostra


societ potesse reggersi con s poco
artificio umano. Ecco una nazione direi a Platone - dove non alcuna
sorta di traffico, alcuna conoscenza
di lettere, alcuna scienza dei numeri,
alcun nome di magistrato o di
superiorit politica, alcun uso di
servizio, di ricchezza o di povert;
dove non sono contratti di nessun
genere, successioni, separazioni di
beni; dove nessuno deve attendere ad
occupazioni; dove non v' rispetto di
parentela, perch la parentela
comune a tutti; dove non ci sono
vestiti, agricolture, metalli, vino e
grano; dove sono sconosciute le parole
stesse che significano menzogna,
tradimento, dissimulazione, avarizia,
invidia, calunnia, perdono. Come
Platone troverebbe lontana da una
simile perfezione la Repubblica
ch'egli ha immaginato!.
Quadro, come vedete, che pi
idillico di cos non si potrebbe
immaginare; e se aggiungete che quei
felici mortali vivono in una contrada
piacevolissima e sana tanto, ch'
difficile vedervi dei malati, avrete
il vero Eden.
C', vero, un'ombra in simile
quadro ed che, quando fanno dei
prigionieri in guerra (e i loro
scontri sono mirabili per fermet,
perch nessuno fugge mai, e, o si
vince, o si cade sul terreno), li
trattano s assai bene per parecchio
tempo, ma, quando sono ben pasciuti li
ammazzano, li fanno rosolare per bene
e poi li mangiano, in banchetto di
amici, mandando anche qualche pezzetto
agli amici assenti.
Ora, questo certamente barbaro, se
si pon mente ai dettami della ragione.
Ma noi Europei dovremmo stare ben
zitti e non volger la voce contro
simili colpe, dimenticando le nostre.
Vi maggior barbarie a mangiare un
uomo vivo che morto - qui l'allusione
agli usurai europei: motivo identico
a quello espresso per primo da un
altro francese, il Lry -; a torturare
con strumenti appositi un corpo vivo,
che sente e soffre, a farlo bruciare
poco a poco, a farlo addentare da cani
e maiali - come si visto far di
recente, non soltanto fra nemici di
antica data, ma fra cittadini di uno
stesso Stato, col pretesto di
religione - che non a rosolarlo e
mangiarlo una volta ch' corpo senza
vita. L'allusione alle atrocit delle
guerre civili francesi della seconda
met del '500 qui evidente: e anche

qui, Montaigne riprende e sviluppa un


motivo gi accennato dal Lry. (4)
La loro stessa guerra nobile e
generosa et a autant d'excuse et de
beaut que cette maladie humaine en
peult recevoir: elle n'a d'autre
fondement parmy eux, que la seule
jalousie de la vertu. Non avidit di
dominio, ma solo amore della gloria,
desiderio di primeggiare in virt, li
muove gli uni contro gli altri.
Perfino la poligamia loro bella
cosa (e qui il Montaigne si scosta
risolutamente dal moralismo di un
Lry): da noi, le mogli fanno ogni
sforzo per impedire che il marito goda
dell'amicizia di altre donne; da loro,
le mogli mettono anzi ogni cura nel
procurare al marito simili amicizie,
come si legge nel Vecchio Testamento
di Lia, Rachele, Sara, ecc'.
La loro poesia non barbara, ma ha
(4) :Histoire d'un voyage fait en
la terre du Brsil (1579). Cfr'
Chinard, op' cit', pp' 125 sgg'.
accenti anacreontici; il loro
linguaggio dolce, gradevole, e ha
anche affinit con il greco (supremo
elogio!).
Tre di quei Brasiliani, ignorando
quanto cara coster un giorno alla
loro felicit e tranquillit la
conoscenza delle concezioni europee e
che dal commercio con noi nascer la
loro rovina, son venuti una volta in
Francia; e hanno trovato degno di
stupore e meraviglia: 1) l'obbedienza
assoluta che tanti uomini, forti
vigorosi e ben armati, dimostravano
per il loro re, un fanciullo, (Carlo
Ix); 2) che da un lato vi erano in
Francia uomini ricchi e provvisti di
ogni comodit, e dall'altro una folla
di mendicanti e affamati. Mirabile,
invero, che questi ultimi non
saltassero alla gola degli altri, o
appiccassero il fuoco alle loro case!
Le due frecciate sono rivolte contro
l'assolutismo monarchico e contro le
sperequazioni sociali; ordinamento
politico e sociale ne fanno le spese.
E con un'ultima frecciata contro gli
Europei in genere, i civili che
disprezzano come barbari degli uomini
per tanti riguardi migliori di loro,
solo perch diversi di costumi (tout
cela ne va pas trop mal: mais quoy!
ils ne portent point de hault de
chausses), si chiude il capitolo dei
cannibali.
V'era, in esso, gi un avvertimento
fosco: attenti a voi, poveri
Brasiliani e in genere poveri indigeni
dell'America, ch il commercio con

noi sar la vostra rovina. Ora, questo


motivo viene ripreso e svolto, con ben
altra ampiezza e vigore, nel capitolo
des coches, dove Montaigne parla
della conquista spagnola del Messico e
del Per. Qui, alla descrizione dello
stato idillico degli indigeni, succede
la descrizione della crudelt dei
conquistatori. Torniamo a Las Casas.
Il nostro mondo (Europa) ne ha
scoperto test un altro, non meno
grande e vigoroso, ma ancora cos
fanciullo, che ancora all'abc:
cinquant'anni fa non conosceva la
scrittura, n pesi, n misure, n
vestiti, n frumento, n vino: era
ancora tutto nudo, e non viveva che di
ci che gli dava la terra, sua
nutrice. un mondo che dovrebbe
salire in alto, in piena luce, quando
il nostro mondo entrer in declino,
l'uno nel pieno delle forze, l'altro
ormai al tramonto della sua forza. Ma
forse, noi, col nostro contagio
abbiamo accelerato la sua rovina.
Era un mondo bambino (c'estoit un
monde enfant) ma non inferiore a noi
in chiarezza naturale d'ingegno; e
anche in capacit di fare,
l'espoventable magnificence delle
citt di Cusco e di Messico, e la
bellezza dei loro lavori di oreficeria
li dimostrava pari a noi (come si
vede, Montaigne alterna ora gli esempi
della semplicit e ingenuit
primitiva, rilevati nei Brasiliani,
ora gli esempi della civilt fastosa
degli Incas peruviani e dei Messicani,
secondo la tradizione di Lopez de
Gomara ecc').
Ma se non cedevano a noi n in
ingegno, n in industriosit, ci erano
di gran lunga superiori in qualit
morali: e bene per i conquistatori che
noi non s'avesse bont, liberalit,
lealt, franchezza quanto loro, perch
quelle virt li hanno traditi e
perduti.
E coraggiosi anche erano, fermi,
intrepidi dinanzi al pericolo e alla
morte: gli esempi che ne hanno dato
possono benissimo essere paragonati ai
pi famosi esempi della nostra
antichit. Furono vinti da noi, ma si
pensi alla loro sorpresa nel veder
arrivare uomini barbuti, cos diversi
da loro in linguaggio e religione, in
forme et contenance, uomini armati
di armi ad essi sconosciute, archibugi
e cannoni che avrebbero sconvolto lo
stesso Cesare; si pensi all'inganno in
cui li abbiamo trascinati, protestando
amicizia e lealt, quando invece
nutrivamo malvagi disegni di

conquista; si pensi a tutto questo e


si vedr perch questi indigeni, cos
coraggiosi, potessero essere vinti in
casa loro.
Perch mai una cos nobile conquista
non avvenuta ai tempi di Alessandro
Magno e degli antichi Romani! Allora,
mani sapienti avrebbero doulcement
incivilito e coltivato ci che vi era
di selvaggio, avrebbero dato valido
aiuto alle buone sementi sparse dalla
natura, mescolando non soltanto le
arti nostre alla coltivazione della
terra e alla edificazione di belle
citt, ma anche mescolando le virt
greche e romane alle virt originali
del paese. Noi avremmo dovuto, come
buoni Europei, chiamare questi popoli
all'ammirazione ed imitazione della
virt, in guisa da stabilire, fra
loro e noi, une fraternelle socit
et intelligence. E sarebbe stato cos
facile, valersi di animi cos nuovi,
cos affamati di imparare, dotati, per
lo pi, di cos bei princpi naturali!
E invece noi ci siamo valsi della
loro ignoranza e inesperienza, per
piegarli pi facilmente verso il
tradimento, la lussuria e l'avarizia,
verso ogni sorta di inumanit e di
crudelt, sull'esempio dei nostri
costumi. Per scopo di lucro, per
incrementare il commercio, per avere
perle e pepe, il risultato questo,
tante citt rase al suolo, tante
nazioni sterminate, tanti milioni di
popoli passati a fil di spada, e la
pi ricca parte del mondo sconvolta.
Mechaniques victoires! Giammai
l'ambizione, giammai l'inimicizia
spinsero gli uomini in cos orribili
ostilit e calamit.
La storia della conquista del
Messico e del Per, la storia della
barbarie europea (spagnuola) scatenata
contro gli infelici innocenti; la
storia di un macello (boucherie),
come di bestie selvagge.
Rare volte lo spirito di conquista e
l'avidit del dominio sono stati cos
fortemente flagellati; rare volte la
voce dell'umanit si levata con tale
altezza di accento contro la barbarie
della guerra di conquista come nel
Montaigne. Il suo un tremendo atto
di accusa contro la civilt europea;
nuovo atto di accusa dopo quello del
Las Casas.
I motivi scarsamente accennati, gi
in terra di Francia, dagli altri
scrittori del secolo, sono ora
ripresi, svolti compiutamente e
armonicamente, coordinati in una
visione d'insieme, che poggia su due

basi: idillica vita degli indigeni


d'America prima dell'azione degli
Europei; barbarie, morte e desolazione
apportate dagli Europei. Come si vede,
la polemica anti-europea non potrebbe,
certo, essere pi esplicita e forte.
E non solo gli Indiani d'America:
anche i musulmani, i pagani ci sono
superiori, per Montaigne. Paragonate i
nostri costumi a quelli di un
musulmano, di un pagano: e vedrete che
noi saremo sempre inferiori, laddove
considerando la superiorit della
nostra religione, dovremmo esser
incomparabilmente superiori, s da far
dire: Sono uomini cos giusti, cos
caritatevoli, cos buoni? Dunque sono
cristiani. (5)
Se tiriamo le somme, e, prescindendo
dalla diversit di tendenze, ci
chiediamo quali siano i risultati, ai
fini della nostra ricerca, di tutte le
descrizioni, discussioni, polemiche
del '500 giungiamo alla constatazione
che, in opposizione al barbaro e
selvaggio, viene ampiamente elaborato
(5) Lib' Ii, cap' Xii.
il concetto di civilt. Se manca
ancora la parola, o meglio, se essa
parola ancora usata raramente nel
significato odierno, gli elementi che
le infonderanno poi tutto il suo
valore sono ormai raccolti.
Era l'italiano Botero a
tratteggiare, in una delle pagine pi
significative delle Relazioni
universali (nella parte quarta,
uscita nel 1596), il processo
dell'incivilimento: processo che
richiedeva non solo lo sviluppo della
coscienza religiosa, il passaggio
dalla idolatria alla concezione
cristiana, bens anche il trapasso
dalla pastorizia all'agricoltura e il
sorgere dell'attivit industriale e
commerciale (elemento economico), e la
formazione di governi stabili e la
promulgazione di leggi certe (elemento
politico-giuridico). Momento
essenziale della civilt, per dirla
col Botero stesso, della politia, era
la citt: la citt, che significa
appunto trionfo dell'agricoltura sulla
pastorizia, inizio del commercio e
dell'industria, stabile assetto
politico, vita religiosa continua, che
significa cultura e arti, belle
fabbriche, cio palazzi, chiese,
teatri e discussioni di societ e
studi e costumi ingentiliti e
raffinati. (6)
Nel quale apprezzamento della citt,
come principio ideale del vivere
civile, come necessario contrassegno

di civilt, era tutta l'esperienza del


mondo greco-latino, basato sulla
polis, sulla citt, materialmente e
moralmente intesa: quella esperienza
continuata poi, nel Medioevo, dalle
(6) Cfr' F' Chabod, op' cit', pp'
80 sgg'.
citt italiane e francesi, e ch'era
diventata pure esperienza di citt
germaniche. Proprio col divenire, a
loro volta, costruttori di citt, da
nomadi che erano, i Germani avevano
dimostrato il loro incivilirsi, il
loro accostarsi, anzi entrare a far
parte della pi antica unit civile a
base greco-romana, la quale unit
civile grazie alle citt - centro di
vita culturale, oltre che
politico-economica - s'era estesa dal
bacino del Mediterraneo pi su verso
il nord.
Facendo della citt la necessaria
premessa del vivere civile, il Botero
si ricollegava ad una particolare
tradizione, che si riallacciava ad
Aristotele, ch'era passata nella
Scolastica, congiungendosi con l'altro
filone di origine sacra e non profana,
il filone che faceva capo
all'Ecclesiastico: la tradizione
pienamente ripresa da san Tommaso
d'Aquino e da Egidio Romano, nei loro
trattati politici, ed intesa ad
esaltare, per l'appunto, la fondazione
e l'ingrandimento e abbellimento di
citt come il massimo
e pi degno compito di un re.
:Aedificatio civitatis confirmabit
nomen. (7)
Ed era caratteristico che simile
elogio della citt fiorisse sotto la
penna di un italiano, di un uomo cio
nato e vissuto nella terra che pi di
ogni altra (Grecia antica eccettuata)
aveva trovato nella citt l'anima di
tutta la sua civilt, nel paese dalle
molte citt, ognuna ricca di una sua
tradizione culturale e politica.
(7) Cfr' F' Chabod, op' cit', p'
43.
Criteri non dissimili affiorano
negli scrittori francesi del secolo
Xvi. E insistendo che il nuovo mondo
(o almeno parte di esso) sino
all'arrivo degli Europei non conosceva
n le lettere (scrittura, ecc'), n
pesi, n misure, n grano, n viti, n
vestiti; non conosceva n commercio,
n agricoltura, n magistratura e
cariche politiche, n leggi e processi
(Montaigne, e analogamente gi il
Ronsard) si giungeva precisamente allo
stesso risultato del Botero.
Vita economica basata

sull'agricoltura, sull'industria e sul


commercio, cio su di una sistematica
e ben regolata coltura della terra,
sulla produzione, continua, di
strumenti di lavoro o di oggetti
comunque necessari o utili o
semplicemente comodi alla vita
dell'uomo, e sullo scambio, pur
regolare e continuo, di derrate e
manufatti (lo spagnuolo Lopez de
Gomara aveva giustificato il lavoro
obbligatorio degli Indiani nelle
miniere, cio la schiavit, col motivo
che gli Spagnuoli avevano pieno
diritto d'impadronirsi di ricchezze
che rimanevano non sfruttate e di
metterle in circolazione: tipico
criterio europeo e quasi gi
capitalistico!). (8)
Vita politica basata su di una
organizzazione stabile di poteri
pubblici, ai quali spetta il decidere
le cose della collettivit, ai fini
del bene comune (non importa, ora,
donde quei poteri derivino il loro
diritto di comando).
Vita morale e culturale fondata
(8) Chinard, op' cit', p' 211.
sulle norme della religione cristiana
(elemento, questo, sin allora
dominante), sulle norme della morale
tradizionale, con i suoi criteri di
giusto ed ingiusto, onesto e
disonesto, pudico e impudico ecc'; e
fondata sulla tradizione
letteraria-scientifica dell'antichit,
passata e arricchita attraverso il
Medioevo e il Rinascimento.
Questi sono i fattori base, che con
maggiore o minore chiarezza,
traspariscono dai commenti di tutti
quei narratori, scrittori, ecc' e son
tutti fattori scelti in base
all'esperienza europea.
Vedete, per esempio, un altro
esploratore francese, il Villegagnon,
(9) come giudica i Brasiliani lontani
da cortesia ed umanit, senza
(9) Chinard, op' cit', p' 147.
conoscenza di onest n di virt, n
di ci che giusto o ingiusto: sono
tutti termini in cui si raccoglie
l'esperienza secolare della gente
europea.
Courtoisie: e pensate alla cortesia
dantesca, alla cortesia che con
valore, soleva trovarsi
in sul paese ch'Adige e Po riga@
(Purgatorio, Xvi, v' 107)
e che nasce in cor gentile; pensate
alla courtoisie celebrata e invocata
pure in quelle altre culle della
civilt europea che furono, sulla fine
del Medioevo, Francia settentrionale e

Paesi Bassi (cfr' J' Huizinga,


Autunno del Medioevo, trad' it',
Firenze, 1940, passim).
Umanit: e pensate alla humanitas
cara a Lorenzo e a Poliziano, a
Niccol da Cusa e a Pico della
Mirandola, ad Erasmo da Rotterdam e a
Tommaso Moro; o, pi semplicemente, a
quell'umanit meno complessa, meno
ricca di elementi culturali, pi
sentimentale diremo, che venne poi
celebrata dall'Illuminismo del '700,
cio all'umanit come capacit di
sentire e condividere i moti
dell'animo altrui, capacit di
compassione e di piet.
Onest, virt, giusto ed ingiusto:
anche qui, tutti riferimenti
sottintesi - sotto la penna di un
conquistatore e colonizzatore all'esperienza europea del giusto e
dell'ingiusto, dell'onesto ecc'.
Altro fattore di civilt legato
strettamente all'esperienza europea
il fattore costumi, vita sociale. A
questo proposito , anzi, interessante
osservare l'insistenza con cui gli
scrittori francesi battono sul tasto
nudit indiana-vestiti europei,
semplicit indiana-raffinatezza
europea: ricordiamo il Lry e le sue
osservazioni (pessimistiche) sulla
complicazione del vestire femminile
europeo; ricordiamo il Montaigne e il
sarcasmo finale del capitolo Xxx del
libro I ils ne portent point de
hault de chausses. una insistenza
francese, che manca, per esempio,
nell'italiano Botero: e, direi, una
insistenza caratteristica di un popolo
che sta dando sempre maggiore peso
alla vita di societ, ai rapporti fra
le classi, al modo di fare, di vestire
ecc'. Come vedremo, uno dei motivi di
contrasto fra Europa e non-Europa
maggiormente svolto dagli illuministi
francesi del Settecento, sar questo
della cosiddetta vita di societ: la
quale vita di societ comprende tutto,
dall'esteriorit (vestire, etichetta,
ecc') all'interiorit (esprit, brio,
arguzia della conversazione, ecc'),
abbraccia dunque tanto i costumi, cio
vestiti ecc', quanto la scena in cui i
costumi si producono (vita di salotto)
ed il modo con cui si producono.
la vita di societ, insomma, che
diventa fattore di civilt non meno
importante della salda organizzazione
politica e del razionalismo economico:
e lo diventa soprattutto ad opera
francese.
Ma non sono certo solo i Francesi ad
insistere sulle differenze di costumi.

Anche Francesco Carletti, il mercante


fiorentino che dal 1594 al 1606, gira
per il mondo, dall'America alle
Filippine, al Giappone, a Macao ed a
Goa, pone in rilievo le stravagantie
dei Giapponesi: s come anche sono
non meno stravaganti che varii ne'
loro costumi, de' quali ne avevo fatto
una nota e contrapostoli in tutto e
per tutti alli nostri, come essi sono
contraposti a noi nel sito della loro
terra. (10)
Dunque, il concetto di ci che sia
civile, in contrapposto a barbaro,
ben chiaro.
E, naturalmente, civile l'Europa.
Anche il pi deciso nella polemica
antieuropea, anche il Montaigne,
quando disegna il quadro della societ
primitiva (le monde enfant) e lo
contrappone al mondo che ora, en
lumire, contrappone precisamente
Nuovo Mondo ed Europa. La societ non
primitiva delineata coi caratteri
della societ europea, il mondo non
enfant nostre monde parde
(dell'Oceano Atlantico). (11)
Parde e par del: i due mondi
in antitesi sono, entrambi, affacciati
(10) :Ragionamenti del mio viaggio
intorno al mondo, ed' Silvestro,
Torino, 1958, p' 134.
(11) Questa espressione ricorre nel
cap' Vi del lib' Iii (nell'ed' degli
Essais che cito, Parigi, Garnier, s'
a', vol' Ii, p' 296), Par del,
ib', p' 297.
sull'Atlantico. Fronte a fronte,
stanno leur ignorance et
inesperience e nos moeurs.
Si potr bens dire che questa
vantata civilt europea tuttavia
capace pur sempre di grandi delitti;
che, sotto allo splendore apparente
della vita cittadina, della cultura,
dell'ordine si cela una barbarie non
meno grande di quella tanto
rinfacciata ai poveri, ingenui
selvaggi, e che quindi anche noi siamo
lontani dall'aver attuato le norme
della raison (Montaigne, in questo,
diretto precursore degli illuministi).
Si potr dire che questa una civilt
mechanique (per riprendere la
stupenda espressione del Montaigne
sulle mechaniques victoires): cio
una civilt di tecnica, non di animo,
di mezzi di produzione e d'istruzione,
non di sentire.
Ma tutti gli accenti polemici non
impediscono che, per forza di cose, la
contrapposizione fra il mondo
primitivo dei selvaggi americani ed il
mondo non primitivo, sia

contrapposizione tra America ed


Europa. E dunque, per mechanique che
possa essere, la civilt Europa.
Cio, per essere pi precisi: il
quadro che viene tracciato di ci che
civilt un quadro tutto contessuto
di elementi europei. E, quindi,
l'Europa , certamente, paese di
civilt.
Ma civile soltanto l'Europa? O, in
altri termini, quella civilt di cui
si parla propria soltanto
dell'Europa o non concessa anche ad
altre terre?
Per quel che riguarda lo stesso
Nuovo Mondo alle descrizioni dei
selvaggi sono frammischiate le
descrizioni delle meraviglie del
Messico e del Per: la nuova Spagna,
dice il Botero, non cede alle pi
famose province d'Europa n in
magnificenza, n in ricchezza, n in
politica, n in nobilt (Relazioni
Universali, parte I, vol' Ii, lib'
Ii, p' 358); la spaventevole
magnificenza della citt di Cusco e di
Messico, dice il Montaigne, e la
bellezza dei lavori di oreficeria,
delle pitture, ecc', dimostrano che
questi indigeni non erano inferiori
agli Europei nemmeno in industrie. E
inutile sarebbe rammentare ancora i
paragoni fra le grandi strade degli
Incas e le opere romane, ecc'.
In certi momenti dunque, lo stesso
Nuovo Mondo par essere, in parte,
almeno, tutt'altro che selvaggio e
barbaro, sembra anch'esso civile,
anche se la sua civilt abbia
caratteri diversi dalla nostra, per
religione, tenore di vita, modo di
pensare ecc'. , fra l'altro, una
civilt che ignora le armi da fuoco e
la stampa, le due recenti meraviglie
europee.
Per, nel complesso, e nonostante
simili riconoscimenti parziali, il
quadro che viene tracciato del Nuovo
Mondo pur sempre quello di una
societ primitiva venuta bruscamente a
contrasto con una societ assai pi
evoluta e civile, quella europea; e le
altre invocazioni del Las Casas e del
Montaigne a favore degli Indiani,
sono, appunto, a favore di povera
gente, innocente, ingenua, sorpresa,
tradita, massacrata da pi esperti
subdoli e potenti invasori.
Dunque, nel complesso, il Nuovo
Mondo passa alla tradizione sotto il
segno del primitivismo.
Ma, oltre all'Europa, non c' solo
l'America. E il vecchio continente
africano? E, soprattutto, il vecchio

continente asiatico, i tre continenti


della tradizione sacra e profana?
C' fra l'altro, la Cina. Ora nei
riguardi della Cina gli scrittori si
esprimono come potrebbero esprimersi
nei riguardi di un grande Stato
europeo. Nessuno, certo, si sogna di
dire che la Cina un monde enfant,
terra di primitivi: anzi!
Per il Botero, un regno di cui non
mai esistito uno pi grande n pi
popolato n pi ricco e dovizioso
d'ogni bene; un regno come non ve n'
un altro antico e moderno meglio
regolato.
E gi prima di lui Ludovico
Guicciardini aveva esaltato quella
grande, ricca et ben politiata
provincia della Cina (:Descrittione
de i Paesi Bassi, ed' Anversa, 1588,
p' 251). Notate il termine
politiata, soprattutto: lo stesso
termine cio, che viene usato per le
maggiori nazioni europee.
A sua volta, ecco il Montaigne:
nella Cina la cui organizzazione
[police] e le cui arti, senza avere
relazioni n conoscenza delle nostre,
sorpassano i nostri esempi in
parecchie parti di eccellenza, e la
cui storia mi insegna quanto il mondo
pi ampio e vario, di quel che gli
antichi e noi ci figuriamo (Essai,
lib' Iii, cap' Xiii).
Il nostro Carletti sale ancora di
tono: Il modo di stampare et il fare
l'artiglieria et polvere (con la quale
fanno apparire ingeniose et
meravigliose cose come alberi di fuoco
lavorati) sono tanto antiche
inventioni nella Cina, che passano
migliaia d'anni et si pu senz'alcun
dubbio credere che tutte venghino da
loro; et io concorrerei a dire che non
solamente queste, ma ogni altra
inventione di buono o di cattivo, di
bello o di brutto, fussero venute da
quel paese, o almeno si pu affermare
che abbino il conoscimento di ogni
cosa da lor medesimi, et non da noi n
da' Grechi o altre nationi che le
hanno insegnate a noi. (12) Son
notazioni che anticipano talune pagine
dell':Essai sur les moeurs di
(12) Op' cit', p' 176.
Sull'orgoglio dei Cinesi, che
stimansi ripieni d'ogni scienza e
nelle scienze si tengono li primi
uomini del mondo, e non pensano che
sia sapere fuora della loro natione,
tenendo tutti li altri per gente
barbara, pp' 164 e 176.
Voltaire.
Il Carletti, d'altronde, pi d'una

volta dimostra di apprezzare anche


altri popoli che non siano il cinese:
severo, anch'egli, nel giudicare la
politica coloniale degli Spagnuoli,
impadronitisi con la violenza
dell'arme dell'argento e dell'oro
degli indigeni d'America (13)
mutatori per non dire distruttori
d'ogni cosa, (14) pronto nel mettere
in rilievo come, per esempio, per
tutte quell'Indie occidentali vi
(13) Ib', p' 57.
(14) Ib', p' 103.
questa felicit, che non si trovano
assassini n gente che rubbi alla
strada n meno per le case, e si pu
andare da un luogo all'altro con
l'argento e l'oro, come si dice, in
mano, senza portare arme di sorte
alcuna per diffenderlo, poich nemmeno
gli Indiani le portano, non essendo
dediti a questo. (15)
E mentre condanna la giustizia non
meno crudele e barbara in uso nel
Giappone, (16) ammira la estrema
virt morale dei mercanti che
trafficano a Goa, in tutto quello che
dicono e che fanno, a cominciare
dall'osservanza della realt et
fedelt in tutte le loro attioni; et
nel comprare et vendere realissimi e
sopramodo osservatori della parola et
(15) Ib', p' 37.
(16) Ib', p' 116.
di quello che promettono. (17)
Quindi, c' almeno un altro paese
pienamente civile, la Cina. Ora la
civilt europea in che cosa differisce
- dato che differisca - da quella
cinese? Sono due cose identiche,
oppure c' un mondo europeo diverso
dal mondo cinese? una domanda
essenziale: solo la risposta ad essa
potr dare veramente e completamente
all'Europa un suo proprio volto
morale, far vivere, cio, l'Europa
come un corpus civile a s.
Ora, questa risposta non ci viene
data ancora nel '500. L'esaltazione ed
ammirazione per la Cina ancora
generica, si appaga di definizioni che
non distinguono molto dell'Europa
(cfr' le definizioni del Botero, del
(17) Ib', pp' 216-18.
Guicciardini e dello stesso Montaigne;
solo il Carletti pi concreto e
preciso).
Qua e l, qualche barlume di
individuazione come nel cosmografo
Jean Alfonse le Saintongeois quando
ammira la tranquillit e la saggezza
della Cina, in confronto alle guerre e
alle pazzie degli Europei. (18) un
barlume che lascia, certo,

intravvedere parecchio in profondit:


giacch questo motivo Cina pacifica e
saggia-Europa guerriera e folle, sar
il gran motivo svolto a piena
orchestra dall'Illuminismo
settecentesco.
Ma un barlume subito spento.
Perch si giunga a chiare e precise
distinzioni fra civilt europea e
civilt cinese, in genere fra civilt
(18) Cfr' Chinard, op' cit', p'
47. La Cosmographie di Jean
Fontenau, detto Jean Alfonse le
Saintongeois, fu scritta nel 1544, ma
pubblicata solo nel 1904.
europea e civilt non europea, occorre
attendere proprio il Settecento.
Il Cinquecento ha distinto
nettamente fra la civilt e la
primitivit: fra il Seicento ed il
Settecento gli scrittori
distingueranno ulteriormente, nel
senso della stessa civilt, separando
una civilt da un'altra civilt, e
dando cos maggior precisione di
contorni al volto dell'Europa.
Capitolo quarto
Se infatti il mito del buon
selvaggio americano, gi elaborato
come s' visto, dal Las Casas e dal
Montaigne non pi perso di vista
dalla pubblicistica europea, che se ne
torner ad impadronire soprattutto nel
'700, s'intende a scopo polemico, per
opporlo alla corruzione e alla
malvagit dell'Europa, lo sguardo
viene tuttavia attratto, fra '600 e
'700, soprattutto su altri, pi vecchi
paesi. E non solo la Cina, il pi
vecchio mito esotico che gli Europei
si siano forgiati. La Cina continua,
certo, a tenere il posto d'onore fra i
paesi stranieri, sempre il Paradiso
terrestre, la terra della saggezza e
della pace, la nazione che appare pi
che divina, la nazione dove dominano
i filosofi. Confucio sugli altari:
c' chi a mala pena si trattiene
dall'esclamare: :Sancte Confuci, ora
pro nobis!. (1)
Ma la Cina non pi sola a
(1) Cfr' P' Hazard, :La crise de la
conscience europenne, Parigi, 1935,
I, p' 30.
suscitare ammirazione.
Appare anche l'Egitto, l'Egitto che
stato l'iniziatore dell'umana
civilt e che trova ora i suoi
esaltatori: un Bousset, che appunto ne
esalta l'antica gloria nel :Discours
sur l'Histoire Universelle, gloria
nel campo delle leggi, della morale,
dell'economia (agricoltura), delle
monumentalit (piramidi); un Giovanni

Polo Marana, genovese, autore di


:Entretiens d'un philosophe avec un
solitaire, sur plusieurs matires de
morale et d'rudition (1696), che
esalta la filosofia, la scienza
egiziana, scopritrice di tutti i
segreti; l'abate Terrasson, nel
Settecento, che delinea la figura del
saggio egiziano, il filosofo Sethos,
modello di alta umanit. (2)
Accanto all'Egitto, l'Arabia e, pi
precisamente, gli Arabi e Maometto.
il tema di uno dei lavori di quel
curioso spirito che fu il conte di
Boulainvilliers, autore, fra l'altro,
di una Vie de Mahomet (pubblicata
postuma nel 1730), ch' appunto, una
idealizzazione polemica del mondo
arabo. Polemica, contro istituti, usi
e credenze dell'Europa
monarchico-assolutistico-clericale;
polemica, attraverso il mito arabo,
come polemiche per via diretta erano
state le altre opere del
Boulainvilliers, accanito oppositore
dell'assolutismo monarchico alla Luigi
Xiv. Da una parte, cio, egli scrive
saggi di storia francese (:Lettres
sur les anciens parlements ecc') per
dimostrare che inizialmente i Germani,
(2) Cfr' P' Hazard, op' cit', pp'
18 sgg'.
insediatisi da padroni in Gallia, al
di sopra della popolazione
gallo-romana vinta e privata di ogni
diritto, erano tutti liberi ed uguali,
e che solo col tempo e grazie ad un
lavoro sistematico di corruzione, i re
poterono a loro volta imporsi da
padroni anche sulla nobilt, in cui si
perpetua appunto il sangue germanico
dei vincitori (Boulainvilliers ,
forse, il primo precorritore del
razzismo); dall'altra contrappone
all'intolleranza del clero cattolico
lo spirito di tolleranza degli Arabi
ed esalta la grandezza di Maometto,
questo nemico del nome cristiano per
tanti secoli esecrato dall'Occidente
europeo. Il mito arabo serve dunque,
qui, ad un preciso scopo politico.
Politico e religioso, anche.
Perch - e dobbiamo insistere su
quest'avvertenza - se il Cinquecento
ha potuto essere polemico antieuropeo
dal punto di vista politico, se cio
ha potuto deplorare la pazzia
europea (guerra, spirito di conquista
ecc') non lo certo dal punto di
vista religioso. Eccettuato il
Montaigne, parecchio scettico, tutti
gli altri scrittori, cattolici o
calvinisti che fossero, hanno anzi
concordemente trovato che gli indigeni

erano adatti per ricevere la parola


del vero Dio, per convertirsi alla
vera fede, quella cristiana. Sul
valore di quest'ultima, nemmeno il pi
lontano dubbio.
Ora, invece, alla polemica
antieuropea per le questioni
politiche s'aggiunge anche la
polemica religiosa: vale a dire, si
combattono non soltanto gli istituti
politici europei e la ragion di
Stato bens anche la religione
europea, la religione cristiana (gli
illuministi condannano tanto il
fanatismo dei moines cattolici,
quanto quello dei calvinisti e dei
luterani). La ragion di Stato ha, come
conseguenza, le guerre continue, i
massacri dei popoli innocenti e
l'oppressione interna; la religione,
qual professata negli Stati europei,
ha per conseguenza il fanatismo,
l'intolleranza: proprio ci contro cui
il pensiero del '700 intende
combattere le sue maggiori battaglie.
Quest' il motivo del tutto nuovo,
di fronte allo spirito cinquecentesco,
che s'avverte gi negli scritti del
Boulainvilliers, come poi si avvertir
in quelli del Montesquieu, del
Voltaire, ecc'.
La stessa ammirazione per la Cina si
converte - e questo nuovo, nei
confronti dell'atteggiamento
tradizionale - in mal velato attacco
contro il cristianesimo. Ecco infatti
il Boulainvilliers: I Cinesi sono
privati della Rivelazione, essi
attribuiscono alla potenza della
materia tutti gli effetti che noi
attribuiamo alla natura spirituale, di
cui essi negano l'esistenza e la
possibilit. Essi sono ciechi, e forse
cocciuti.
Ma essi sono cos da quattro o
cinquemila anni; e la loro ignoranza e
cocciutaggine non ha privato il loro
stato politico di alcuni di quei
meravigliosi vantaggi che l'uomo
razionale spera e deve trovare
naturalmente nella societ: comodit,
abbondanza, pratica delle arti
necessarie, studi, tranquillit,
sicurezza. O ancora: ci si pu
stupire che tra le varie religioni del
mondo ve ne sia stata una sola (quella
di Confucio), la quale, senza l'aiuto
della Rivelazione, e rifiutando del
pari i sistemi meravigliosi ed i
fantasmi della superstizione e del
terrore, che si pretendono essere di
tanta utilit per condurre gli uomini,
non si fondata che sul dovere
naturale. (3)

Ed gi sufficiente indizio di tale


atteggiamento degli spiriti
l'ammirazione per gli Arabi, per i
Persiani, perfino per i Turchi: cio
per gente che, per lungo tempo, era
apparsa agli Europei come il nemico
mortale.
Il mito esotico alligna dunque
sempre pi, i confronti fra noi e
gli altri incalzano. L'atteggiamento
(3) P' Hazard, op' cit', pp'
30-31.
polemico sempre pi netto: anzi, per
esprimerlo meglio, ecco sorgere una
caratteristica forma letteraria. Sin
qui, abbiamo assistito alla fortuna
straordinaria della letteratura dei
viaggi: dall'inizio del '500 in poi le
relazioni, descrizioni geografiche di
terre lontane, contano fra i massimi
successi editoriali, direbbe un uomo
del tempo nostro. Ora, tra la fine del
'600 e l'inizio del '700 ecco fiorire
anche, e con enorme fortuna, una
letteratura di pseudo-viaggi, in
genere, raccolte di lettere, che si
fingono scritte da un Turco, un
Persiano, insomma un non Europeo che,
in viaggio per l'Europa, informa i
suoi amici di laggi dei costumi,
istituzioni ecc' dell'Europa.
S'intende che in tal modo lo
pseudo-Turco, Persiano, ecc' ha modo
di criticare apertamente quello che
gli sembra difettoso: e le critiche
non mancano davvero. Se c' una
espressione chiara, decisa dello
spirito polemico che anima gli
scrittori del '700 contro istituti
politici e tradizioni religiose
dell'antico regime, questa proprio
la letteratura degli pseudo-viaggi.
soprattutto qui, in questa
letteratura, che anche il concetto di
Europa si precisa definitivamente.
Secondo l'acuta osservazione dello
Hazard, (4) anche il pi ottuso dei
lettori dovette comprendere che fuori
d'Europa v'erano esseri non inferiori
a lui, eppure di vita profondamente
diversa dalla sua: egli dovette quindi
sostituire alla nozione di superiorit
(sua) che gli era familiare, la
(4) Op' cit', p' 24.
nozione di diversit.
Cio, in altri termini, si comp
allora quel processo di
differenziazione dell'Europa dagli
altri continenti che il Cinquecento
non aveva ultimato e che era invece
necessario si ultimasse, per poter
parlare con chiarezza di idee e
precisione di concetti di una Europa
civile.

La fortuna della letteratura dei


viaggi immaginari, fu anche
accresciuta dal fatto che, quasi
all'inizio, pot annoverare un
capolavoro e furono le Lettres
persanes del Montesquieu.
Le Lettres persanes, la prima
delle grandi opere del Montesquieu,
apparvero nel 1721.
Qualche decennio innanzi, nel 1684,
quello stesso Marana, genovese, che
nel 1696 doveva poi esaltare l'Egitto,
aveva pubblicato anonima un'opera in
sei volumi, :L'espion du Grand
Seigneur et les relationes secrtes
envoyes au Divan de Costantinople,
dove si fingeva che lo spione turco
Mamut, da Parigi, per ben
quarantacinque anni, inviasse di
continuo relazioni al governo turco e
lettere ad amici e conoscenti: lettere
assai irriverenti per i costumi e la
vita degli Europei. Successo
grandissimo: tra il 1684 e il 1710,
tredici edizioni.
Nel 1705, ecco gli :Amusements
srieux et comiques del Dufresny,
dove si racconta ci che un Siamese
direbbe e farebbe se venisse a Parigi.
Nel 1711, nello Spectator l'inglese
Addison pubblica supposte impressioni
di rajahs indiani a spasso per
Londra.
Ora, a sua volta, il Montesquieu
ricorre alla Persia (che,
naturalmente, non ha mai conosciuto di
persona e per cui deve ricorrere alle
relazioni di viaggiatori e di
missionari servendosi soprattutto dei
Voyages du Chevalier Chardin en
Perse et
autres lieus). Egli immagina, cio,
che un Persiano di alto lignaggio,
Usbek, per evitare di cadere vittima
dei potenti nemici che ha, decide di
allontanarsi dal paese e di fare un
lungo viaggio in Occidente con un
amico, Rica: primi forse tra i
Persiani che il desiderio di
apprendere abbia fatto uscire dal loro
paese (lett' I e Viii). La
corrispondenza, tra Usbek e Rica da
una parte, i loro amici, conoscenti,
gli eunuchi dell'harem, le favorite,
ecc' dall'altra, costituiscono appunto
le Lettres persanes.
Naturalmente, quel che interessa non
sono le notizie dalla Persia e sulla
Persia, ma le notizie alla Persia e
sull'Europa, essenzialmente sulla
Francia, su Parigi che il luogo di
soggiorno dei due amici. Di persiano giusta l'idea che si aveva allora
della Persia -, di color locale il

Montesquieu ha messo soprattutto le


storie e storielle dell'harem, che
servirono a dare un certo tono leggero
e piccante all'opera e ne
facilitarono, senza dubbio, il
successo. Il quale fu, in effetti,
grandissimo: tra il 1721 ed il 1754,
in vita dunque del Montesquieu,
ventisette edizioni.
Notizie sulla Francia e sull'Europa:
perch al di l della Francia, si
parla di Europa, come di un corpus
civile e politico ben diverso
dall'Asia.
Dal punto di vista politico,
riappare, anche qui, la distinzione
del Machiavelli: Europa=molti Stati,
ciascuno di potere non illimitato
all'interno e spesso a forma
repubblicana; Asia=pochi Stati e un
potere illimitato del sovrano sui
sudditi e niente repubbliche. Molti
Stati e vari modi di governo: non
come in Asia, dove le regole della
politica sono dovunque le medesime
(lett' Lxxxi; e cfr' lett' Cxxxviii,
immutabilit dei sistemi finanziari in
Turchia e Persia, estrema mutevolezza
dei sistemi francesi). Vi sono, in
Europa, alcuni Stati pi potenti:
l'Impero, la Francia, la Spagna e
l'Inghilterra (notate l'assenza della
Russia, che non ancora considerata
Europa). Ma l'Italia e la Germania
sono divise in numero infinito di
piccoli principati, i cui prncipi
sono, a dire il vero, i martiri della
sovranit. I sultani hanno pi mogli
che alcuni di tali prncipi non
abbiano sudditi (lett' Ciii).
In maggior parte i governi europei
sono monarchici o, almeno, sono cos
denominati: Usbek dubita se ve ne sia
mai stato uno solo di propriamente
monarchico. Ma, per quanto grande sia
il potere dei re, essi non
l'esercitano con tanta estensione
quanto i sultani (ib'); onde i
governi orientali appaiono
tirannici, onde la diversit di
metodo delle rivoluzioni, in Asia
bastando colpire il principe, in
Europa occorrendo sollevare rivolte
(lett' Ciii). Quanto agli Inglesi poi,
essi rifiutano ogni idea di
sottomissione servile: se un principe
vuole opprimerli, essi rientrano
nella loro libert naturale (lett'
Cv).
Ma, oltre alla monarchia, vi sono
repubbliche in Europa: ed questa una
delle cose che attira maggiormente la
curiosit perch la maggior parte
degli Asiatici non ha nemmeno l'idea

di questa forma di governo, e


l'immaginazione non li ha aiutati a
comprendere che sulla terra vi possa
essere altra cosa che il dispotismo.
Le repubbliche nacquero in Grecia:
ad esse fu dovuto il fiorire della
civilt che fece della Grecia la sola
nazione polie (civile) in mezzo ai
barbari. Dalla Grecia l'amore del
governo repubblicano, cio l'amore
della libert, si diffuse, con i
coloni greci, in Italia, in Spagna, in
Gallia. E, d'altronde, anche i popoli
nordici erano liberi: i Germani
limitavano enormemente l'autorit dei
loro re, che erano propriamente solo
dei generali (ecco, qui, l'idea della
libert primitiva nei Germani). E la
storia dello sviluppo europeo
questa, appunto: proprio dell'Europa
il regime repubblicano, cio la
limitazione dell'autorit centrale a
vantaggio della libert dei singoli. E
solo dell'Europa perch, quanto
all'Asia e all'Africa, esse sono state
sempre schiacciate sotto il
dispotismo (lett' Cxxxi).
Anche per quel che riguarda
l'amministrazione della giustizia,
questo fundamentum regni, profonda
differenza tra Oriente e Occidente: in
Europa, governo spesso dolce e pene
miti e, soprattutto, sempre graduate
all'entit del delitto; in Asia
governo dispotico e pene terribili,
esagerate, senza che ci sia
vantaggioso alla causa della
giustizia. Non vedo che l'ordine, la
giustizia e l'equit siano meglio
osservate in Turchia, in Persia,
presso il Mogol, che nelle repubbliche
di Olanda, di Venezia e nella stessa
Inghilterra; non vedo che ci si
commettano meno delitti e che gli
uomini intimiditi dalla grandezza
delle pene vi siano pi sottomessi
alle leggi. Otto giorni di prigione e
una leggera multa colpiscono lo
spirito di un Europeo nutrito in un
paese di dolcezza, tanto quanto la
perdita di un braccio intimidisce un
Asiatico. Anzi il sistema asiatico
pi ingiusto e vessatorio (lett'
Lxxxi).
Sin qui, dunque, la distinzione a
favore dell'Europa: gi emerge il
motivo della libert (esempio
inglese), gi traspare l'ammirazione
per le repubbliche (Olanda e Venezia)
il cui spirito informatore la
virt, dir pi tardi il Montesquieu
nell'opera maggiore, l'Esprit des
lois. Questo senso, vivissimo, della
libert, cio dei diritti del singolo,

rende assai diverso l'apprezzamento


delle repubbliche, apparentemente
identico nel Montesquieu e nel
Machiavelli, dato che nel secondo,
come s' detto a suo tempo, non v'
alcun riguardo alla libert dei
singoli e tutto viene giudicato dal
solo punto di vista dell'interesse
dello Stato.
Libert, o almeno potere meno
illimitato del sovrano di quanto non
si usi in Asia; maggiore giustizia,
sono dunque le caratteristiche del pi
vario e complesso sistema politico
europeo, di fronte a quello orientale
(e si noti che Montesquieu parla di
Asia, senza eccettuarne la Cina).
Ma proprio perch queste sono, sin
d'ora, le grandi aspirazioni del
Montesquieu (il quale poi,
nell'Esprit des lois, elaborer la
dottrina della ripartizione e
dell'equilibrio dei poteri,
legislativo, esecutivo, giudiziario,
chiave di volta del liberalismo
europeo posteriore), proprio per
questo ecco, allato dei punti a
vantaggio dell'Europa, i punti a
sfavore.
Il lato negativo - occorre dirlo? riguarda anzitutto i rapporti
internazionali. Siamo, cio, sempre al
solito tasto: la ripugnanza per le
continue guerre: la repulsione per i
metodi della conquista brutale;
l'ostilit alla tanto deprecata
ragion di Stato (e, di riverbero,
l'odio contro il suo teorico, il
Machiavelli: voi capite
l'antimachiavellismo, imponente
corrente culturale che attraverser la
storia europea dal '500 all''800).
Il diritto pubblico, scrive Usbek
(lett' Cxxv), pi conosciuto in
Europa che in Asia; tuttavia si pu
dire che le passioni dei prncipi, la
pazienza dei popoli, l'adulazione
degli scrittori ne hanno corrotti
tutti i princpi. Quel diritto - cos
come si presenta oggi - una scienza
che insegna ai prncipi sino a che
punto essi possano violare la
giustizia senza danneggiare i propri
interessi. Qual proposito, di volere,
per indurire le loro coscienze,
erigere l'iniquit a sistema, darne le
regole, formarne i princpi e trarne
le conseguenze!
La potenza illimitata dei nostri
sultani, che non ha altra norma che se
stessa, non produce mostri maggiori di
quest'arte indegna che vuole fare
piegare la giustizia.
Si direbbe che vi siano due

giustizie del tutto diverse: l'una,


che regola le questioni dei privati,
che regna nel diritto civile; l'altra,
che regola le controversie tra popolo
e popolo, che regna tiranna nel
diritto pubblico: come se il diritto
pubblico non fosse esso stesso un
diritto civile non di un singolo
paese, ma del mondo (lett' Xcv).
Come i magistrati fanno giustizia ai
cittadini, cos ogni popolo dovrebbe
rendere giustizia da se medesimo ad un
altro popolo: ed in questa seconda
distribuzione di giustizia, non ci si
pu servire di massime diverse che
nella prima. Gli oggetti di
controversia tra popolo e popolo sono
quasi sempre chiari e facili da
eliminare; gli interessi di due
nazioni sono di ordinario, cos
diversi, che non occorre se non amar
la giustizia per trovarla.
Diritto pubblico, diritto delle
genti o meglio diritto della
ragione.
A trar le somme, quindi, si dovrebbe
concludere questo: netta superiorit
europea per quanto dei princpi
informatori degli istituti
fondamentali della vita politica,
soprattutto perch l'Europa vuol dire
libert (almeno entro certi limiti) e
l'Oriente vuol dire dispotismo. Ma il
modo con cui i governanti europei
cercano di applicare, soprattutto
nelle relazioni internazionali, le
massime della esecrabile ragion di
Stato, causa di gravi mali
all'Europa: difetto, insomma, di
applicazione dovuto alla corruttela
degli uomini. Bisognerebbe por rimedio
a questo: e voi capite come, con ci,
si giustifichi appunto tutta l'opera
dell'Illuminismo, sul terreno politico
intesa appunto a riformare
l'andamento delle cose.
Questo modo di vedere trova piena
conferma proprio nell'esame delle
condizioni particolari della Francia.
Qui troviamo s il motivo delle
antiche libert dei Franchi,
progressivamente eliminate; il motivo
tipico, cio, della pubblicistica
francese antimonarchica o almeno
antiassolutistica dalla seconda met
del '500 in poi, comune pure alla
pubblicistica germanica. Chi potrebbe
pensare che un regno, il pi antico e
il pi potente d'Europa, sia
governato, da pi di dieci secoli, da
leggi che non sono fatte per lui? Se i
Francesi fossero stati conquistati,
ci non sarebbe difficile da capire,
ma essi sono stati i conquistatori.

Essi hanno abbandonato le leggi


antiche, fatte dai loro primi re nelle
assemblee generali della nazione; e
ci che v' di singolare, che le
leggi romane che essi hanno adottate
in luogo di quelle, erano state in
parte fatte e in parte redatte da
imperatori contemporanei dei loro
legislatori. E affinch l'acquisto
fosse completo, e tutto il buon senso
venisse loro da altrove, essi hanno
adottato tutte le costituzioni dei
papi, e ne hanno fatto una nuova parte
del loro diritto; nuovo genere di
servit.
Questa abbondanza di leggi
adottate e, per cos dire,
naturalizzate, cos grande ch'essa
opprime ugualmente la giustizia e i
giudici Non tutto: queste leggi
straniere hanno introdotto formalit
il cui eccesso la vergogna della
ragione umana (lett' Ci).
In questa pagina che precede di
parecchio pagine del tutto simili di
un Mser e le requisitorie contro
Carlomagno e la schiavit imposta ai
Sassoni, che lo sbocco della
polemica francese antiassolutistica e
antipapale, in questa pagina voi avete
la polemica addirittura contro le
forme istituzionali stesse del regno
di Francia.
In generale per, la polemica
contro la corruzione, cio la mala
applicazione concreta, sia che si
rivolga contro la persona dello stesso
Luigi Xiv (lett' Xxiv, Luigi Xiv
zimbello del papa; lett' Xxxvii, ho
studiato il suo carattere, e vi ho
trovato contraddizioni impossibili da
risolvere ecc'; lett' Cviii,
dominato dalle donne; lett' Cxxxviii,
la Francia, alla morte del Re Sole
era un corpo afflitto da mille
mali); sia che si rivolga contro i
Parlamenti che hanno perso autorit,
e che rassomigliano a quelle rovine
che si calpestano ma che richiamano
sempre l'idea di qualche tempio
famoso (lett' Xciii e Cxl).
Queste dunque, le considerazioni
politiche delle Lettres persanes,
da cui emerge, netta, la differenza
tra Europa e Asia (o Africa). E ci si
devono aggiungere ancora le
considerazioni sul preteso
spopolamento attuale del globo di
fronte ai tempi antichi: questione che
appassiona il Montesquieu, tanto da
esser discussa in non meno di undici
lettere (Cxii-Cxxii). Anche in tale
questione, infatti, diverse sono le
cause che agiscono in Europa, in Asia,

in Africa, in America, diverse nei


paesi maomettani e nei paesi
cristiani, il fattore religioso
essendo, infatti, per Montesquieu
largamente responsabile di un tale
stato di cose: presso i maomettani, la
poligamia; presso i cristiani, la
proibizione del divorzio e il gran
numero di eunuchi (cio di sacerdoti
e monaci votati alla continenza).
Ed nuovamente notevole, qui,
l'esaltazione delle repubbliche, che,
anche per tal riguardo, sono i
migliori dei governi: la mitezza del
governo contribuisce meravigliosamente
alla propagazione della specie (lett'
Cxxii).
Se, dal problema politico, si passa
al capitolo vita e costumi, la
diversit dell'Europa di fronte
all'Asia appare non meno forte. Ed ,
naturalmente, il capitolo dove pi
abbondano le piccole frecciate
polemiche, il piccante e
l'aneddotico.
La differenza marcatamente segnata
sin dallo sbarco di Usbek a Livorno,
la prima citt europea del suo
viaggio: un gran spettacolo per un
maomettano di veder per la prima volta
una citt cristiana. Non parlo delle
cose che colpiscono a prima vista
l'occhio di tutti, come la diversit
di edifizi, di vestire, delle
principali usanze: vi , anche nelle
minime cose, qualcosa di singolare che
avverto e che non potrei dire (lett'
Xxiii). Qualcosa di singolare, un non
so che, che Fontenelle chiama un
certain gnie che abbraccia
jusqu'aux choses d'agrment.
Naturalmente, gran sensazione per la
libert di cui godono le donne: e su
questo tema, adatto a sollecitare la
curiosit del pubblico, Montesquieu
svilupper poi molteplici
variazioni, parecchio battendo sulla
diversit fra Europei e Asiatici nel
modo di comportarsi di fronte al sesso
gentile (lett' Xxxviii); talvolta non
senza veri o finti sdegni per
l'impudenza brutale europea, che
sottentra all'amabile pudore orientale
(lett' Xxvi), per l'incostanza amorosa
ecc' (lett' Lv), ma anche con galanti
riconoscimenti della maggior vivacit
e brio delle donne occidentali (lett'
Xxxiv). In genere, e ci vale anche
per gli uomini, al brio e alla gaiezza
degli Europei (rappresentati dai
Francesi), si oppone la gravit des
Asiatiques; all'intensit delle
relazioni sociali in Europa, dove
regna l'amicizia, l'isolamento in cui

vivono gli Orientali, che hanno peu


de commerce entre eux (lett' Xxxiv).
In Francia, invece, l'uomo par fatto
unicamente per la societ (lett'
Lxxxviii).
Attenti a questo motivo che abbiamo
gi trovato nel Cinquecento francese,
il motivo della socievolezza, dell'es
-prit de socit: ripetiamo,
motivo d'importanza fondamentale,
anche se le sue manifestazioni possano
spesso apparire confinate nel dominio
del pittoresco, dell'aneddotico, del
leggero; un motivo che dar al
concetto di civilisation e di Europe
un particolare sapore, e ne sar, per
cos dire, come il marchio di fabbrica
francese.
Per, caratteristicamente europeo
non solo lo spirito di societ,
bens un'altra qualit, che, con
espressione dei nostri giorni,
potremmo definire dinamismo, e che
il Montes
-quieu chiama passione per il
lavoro, passione di arricchirsi. In
ogni gradino sociale, dagli artigiani
fino ai grandi nessuno vuol essere
pi povero di colui ch'egli vede
immediatamente al disopra di s. Voi
vedete a Parigi un uomo che ha
abbastanza da vivere fino al giorno
del giudizio e che pure lavora senza
posa, e rischia di accorciare i suoi
giorni per accumulare, dice egli, di
che vivere. Lo stesso spirito pervade
la nazione, non vi si vede che lavoro
e industria (lett' Cvi). Di qui
l'impressione di frettolosi, di
indaffarati che danno gli Occidentali:
da un mese, scrive Rica, che son qui
[a Parigi], non ho ancora visto
camminare nessuno i Francesi
corrono, volano: le lente vetture
asiatiche, il passo regolato dei
nostri cammelli, li farebbero cadere
in sincope (lett' Xxiv).
Con queste osservazioni Montesquieu
scolpisce quello che destinato
ad essere uno dei caratteri tipici
dell'Europeo per lungo tempo: la
febbre del lavoro, l'attivit
incessante, contrapposte alla
placidit e all'inerzia dell'Oriente.
Per primo, forse: giacch nella pagina
surriferita, c' parecchio di pi che
non la semplice constatazione della
brama di arricchire gi apposta dal
Lry e dal Montaigne agli Europei,
come loro nota caratteristica di
fronte alla innocenza dei selvaggi. La
auri sacra fames, tanto esecrata
dai due scrittori cinquecenteschi, c'
s, ancora, anche per il Montesquieu

ma, lungi dall'essere nota di biasimo,


finisce col diventare elogio come che
da essa e per essa derivi la gran
voglia di lavorare, di fare che
caratterizza l'Europa.
Forzando un poco - ma non troppo le note, si potrebbe dire che in
Montesquieu avete gi il preannunzio
della societ capitalistica moderna,
con il suo bisogno di fare, di
produrre senza requie, mentre in Lry
e Montaigne avete il riaffiorire
dell'antico moralismo cristiano
avverso alla ricchezza. Forse che nel
Montesquieu non v' la difesa anche
delle industrie cosiddette di lusso,
le industrie che non servono che alla
volutt e alla fantasia, quelle contro
cui il moralismo, prima d'allora e
dopo d'allora, s' spesso scagliato, e
mancando le quali, dice egli, la
prosperit generale riceverebbe
durissimo colpo? Forse che egli non
parla gi della circolazione delle
ricchezze e progredire dei redditi,
che deriva dalla dipendenza reciproca
in cui si trovano le varie arti e
industrie?
Questa febbre di lavoro ha poi, al
suo servizio, mezzi potenti: cio la
tecnica enormemente perfezionata dalle
invenzioni, di cui la storia europea
cos ricca in quest'ultimo periodo.
Proprio su questi progressi delle
scienze e delle arti coltivate in
Occidente c' uno scambio di lettere
fra Usbek e un altro Persiano venuto
in Europa (in Italia), Rhedi.
Quest'ultimo tende a considerare in
ultima analisi pi dannose che utili
le invenzioni per il cattivo uso che
se ne fa, e cita come esempio le armi
da fuoco, dopo le quali non vi pi
asilo sulla terra contro l'ingiustizia
e la violenza, la chimica che sembra
essere un quarto flagello,
aggiuntosi alla guerra, alla peste,
alla carestia, e la stessa bussola e
le grandi scoperte geografiche, che
sono state fonti di guai per tutti e
hanno condotto allo sterminio di
popoli interi. Ma il pi maturo Usbek
replica, difendendo le arti e le
scienze, senza le quali noi
piomberemmo nuovamente nella barbarie,
in uno stato infelice. Rhedi ha
affermato che quasi tutti gli imperi
sono stati fondati sulla ignoranza
delle arti, e sono crollati per avere
poi troppo coltivato le arti; Usbek
replica, che certo, popoli barbari
hanno potuto espandersi, a guisa di
torrenti impetuosi sulla terra e
coprire con i loro feroci eserciti i

regni pi civili; ma questi stessi


barbari hanno poi appreso le arti o le
hanno fatte esercitare dai popoli
vinti, senza di che la loro potenza
sarebbe passata come il fragore dei
tuoni e delle tempeste.
In entrambe queste due
importantissime lettere (Cv e Cvi),
c' Montes
-quieu: nel deplorare, cio, il
cattivo uso, soprattutto a fine di
conquista e di dominio brutale, di
alcune invenzioni; e, per
contrapposto, nell'esaltare, in linea
di principio, i benefici grandi
effetti dei progressi dello spirito
umano. Accade, qui, quel che gi
abbiamo segnalato dal punto di vista
politico: eccellenza europea in fatto
di princpi, che pu essere alterata
dal cattivo uso dovuto alle ambizioni
politiche degli uomini, al desiderio
di potenza e di dominio.
Siamo, come vedete, in pieno clima
illuministico.
E del tutto illuministica questa
esaltazione delle scienze e delle
arti, dei progressi dello spirito
umano; cos come del tutto moderna
l'esaltazione della tecnica, della
scienza.
Questa una nuova, grande
caratteristica europea. Ed la
maggior novit di fronte al sentire
europeo del '500 il quale si fondava
soprattutto sul fattore religioso
(cristianit), e culturale, ma d'una
cultura prettamente umanistica, cio
letterario-filosofica. Ora, a siffatta
cultura (les arts) s'aggiunge la
cultura scientifica (les sciences),
la quale, anzi, andr sempre pi
primeggiando. Tenete ben presente
questo fatto, ch' d'importanza
decisiva nella formazione del mondo
moderno.
Fino al '500, importanza
assolutamente preponderante nella
formazione spirituale dell'uomo
avevano avuto le arti e le scienze
cosiddette morali (filosofia), nei
confronti con le scienze cosiddette
esatte e con le scienze della natura.
Dal '600 in poi, dall'et di Galileo
e Newton, procedimento inverso:
sbalorditi per i progressi
meravigliosi delle scienze fisiche e
naturali, colpiti dalla grandiosit
dei risultati a cui si pervenuti
grazie all'applicazione del nuovo
metodo, del metodo sperimentale, e
rifiutando la vecchia logica formale
aristotelico-scolastica, gli uomini
riguardano sempre pi come miracolo

vero e maggiore della mente umana la


scienza della natura. Da essa, si
ritiene di poter conseguire quella
verit obbiettiva, quella certezza
matematica ch' impossibile ottenere
nelle scienze morali. Il bisogno di
una verit sicura, incontrastabile,
pone, dunque, sugli altari, le scienze
fisiche; anzi, induce i cultori delle
scienze morali a cercare di
adottare, anche in queste, i metodi di
quelle, appunto per giungere alla
verit. la scientificizzazione (mi
si passi la brutta parola) della
morale, della pedagogia, della storia
ecc': che fenomeno tipico del mondo
moderno, ed pervenuto alla sua
massima espressione col positivismo
della seconda met del secolo scorso.
Invece, mentre si pone sugli altari
la scienza, si cerca di cacciarne la
religione dei padri.
il terzo, grande aspetto delle
Lettres persanes. E qui la polemica
veramente decisa e totale. Non si
tratta pi di avversione a malo uso, a
corruttela di princpi buoni, come
nel campo delle scienze e della stessa
politica; si tratta, ora, di una
opposizione di princpi. La civilt
europea , s, in larga parte dominata
dalla religione cattolica, dalla
chiesa, dal papato e dal clero: questa
una constatazione di fatto, che
Montesquieu non si sogna certo di
negare, ch'egli, se mai, tende anzi ad
accentuare proprio pei suoi fini
polemici. Cos, per esempio, quando fa
dire a Usbek che i dervis, cio il
clero, hanno nelle loro mani quasi
tutta la ricchezza dello Stato nei
paesi cattolici (lett' Lxvii).
Ma laddove la constatazione di fatto
si mutava nel '500, in un Lry, come,
e ancor pi nettamente, in un Botero,
in esaltazione, e l'esser l'Europa
cristiana era la prima delle sue virt
di fronte alla non-Europa, ora avviene
il contrario: se l'Europa - che
politicamente, culturalmente vale di
pi degli altri - ha una pecca, questa
dovuta proprio al clero, al papismo,
al fanatismo religioso, allo spirito
teologico che impaccia la scienza, e
contraddice alla filosofia (lett'
Lxvi).
Gli esempi qui abbondano e non
importa riferirli tutti: basti
accennare alla lettera Xxix, una delle
pi notevoli in materia, dove si
leggono frasi come queste: il papa
il capo dei cristiani. un vecchio
idolo che si incensa per forza di
abitudine. Una volta era temibile per

i prncipi stessi Ma non lo si teme


pi la religione cristiana
gravata di una infinit di pratiche
rituali assai difficili; e poich si
ritenuto che era meno facile adempiere
ai propri doveri che avere vescovi i
quali dispensino da tali doveri, si
scelto quest'ultimo partito.
Infine, interminabili le dispute
religiose: cos che non vi mai
stato regno in cui siano successe
tante guerre civili come nel regno di
Cristo. Quindi, Chiesa
cattolica=seminatrice di discordie.
Noi - fa dire Montesquieu ad un
ecclesiastico - turbiamo lo Stato, noi
ci tormentiamo noi stessi, per fare
accettare dei punti di religione che
non sono affatto fondamentali (lett'
Lxi).
Questo spirito di proselitismo
passato dagli Egiziani negli Ebrei, e
dagli Ebrei nei cristiani e nei
maomettani, come una malattia
epidemica. Di qui, dallo spirito di
intolleranza, le guerre che hanno
insanguinato l'umanit; di qui quello
spirito di vertigine i cui progressi
devono essere considerati come una
eclissi totale della ragione umana
(lett' Lxxxvi).
Coloro che disputano poi cos
accanitamente sulla religione, sono
anche quelli che fanno a gara
nell'osservarla di meno: sono peggiori
cittadini e peggiori cristiani,
laddove il mezzo migliore per piacere
al Signore sarebbe di vivere da buon
cittadino nella societ dove mi avete
fatto nascere, e da buon padre nella
famiglia che mi avete dato (lett'
Xlvi).
S che c' da concludere che
meglio se in uno Stato ci sono
parecchie religioni: quelli che
professano le religioni tollerate
sono, di ordinario, pi utili alla
patria che i seguaci della religione
dominante, perch, tenuti lontani
dagli onori e dalle cariche pubbliche,
sono riusciti a crearsi una fortuna
con l'attivit ed il lavoro. Tutte le
religioni contengono precetti utili
alla societ (lett' Lxxxv).
Come vedete, qui sono i princpi
stessi delle religioni positive ad
essere oppugnati; e, per quanto del
cattolicesimo in particolare, notate
che il Montesquieu definisce
soperchierie del papa il dogma della
Trinit e quello dell'Eucarestia
(lett' Xxiv). Naturalmente, poi, la
pratica, i costumi dei religiosi
offrono ancor pi continuo bersaglio

agli strali del Montesquieu: e basti


l'esordio della lettera Lvii: I
libertini mantengono qui un numero
infinito di cortigiane, ed i devoti un
numero innumerevole di monaci. Questi
ultimi pronunziano tre voti: di
obbedienza, di povert e di castit.
Si dice che il primo sia il meglio
osservato fra tutti, quanto al
secondo, vi assicuro che non punto
osservato, e vi lascio quindi
giudicare del terzo.
Preti e monaci sono avidi e avari,
prendono sempre e non restituiscono
mai, e con l'accumulare ricchezze che
non si rimettono in circolazione,
provocano gravi guai agli Stati; cessa
la circolazione delle ricchezze,
cessano il commercio e l'industria, le
arti (lett' Cxvii). Sono ghiottoni
ignoranti (lett' Cxxxiii).
Se dalle Lettres persanes passiamo
all'opera maggiore di Montesquieu,
l'Esprit des lois, uscita
ventisette anni dopo (1748), il quadro
dell'Europa acquista ancor maggior
rilievo, forza, profondit;
soprattutto - ed forse il carattere
saliente, pi nuovo - si permea assai
di pi di senso storico. Nelle
Lettres persanes l'Europa vista
com' attualmente, diremo
staticamente, salvo i rapidi accenni
al senso della libert presso i Greci
e presso i Germani ed alla rovina
delle antiche istituzioni in Francia.
Ora, questi accenni si svolgono, in
ampiezza ed in profondit: e la
libert politica, che resta sempre il
nucleo del pensiero del Montesquieu,
l'orrore del despota, che sempre la
caratteristica dell'uomo europeo, sono
storicamente spiegati.
L'Europa terra di libert, l'Asia
di dispotismo (lib' Ii, cap' V; lib'
Iii, cap' Ix; lib' V, cap' Xiv; lib'
Xv, cap' Ix e Xx ecc'): ma a chi
dovuta la libert europea? Senza
dubbio, le antiche repubbliche greche
e Roma repubblicana rimangono sempre
il lontano primo esempio di libert
europea; ma poi con il Basso Impero
questo senso della libert s'era
perduto. Gli imperatori romani,
all'inizio, si tenevan ben lontani dal
dispotismo e dal fasto asiatico; ma,
col tempo, il loro divenne un potere
dispotico e militare, simile a quello
degli Orientali, come simile al fasto
orientale fu quello della corte
imperiale.
Queste idee, Montesquieu le aveva
gi svolte nella seconda delle sue
grandi opere, le :Considrations sur

les causes de la grandeur des Romains


et de leur dcadence, nel 1734 (cfr'
soprattutto cap' Xvii e anche Xviii):
l'opera propriamente di storia, che
appunto costituisce il momento
decisivo di trapasso della mentalit,
ancor poco attenta alla storia e alle
vicende del passato, delle Lettres
persanes, e la mentalit dell'Esprit
des lois, che cerca invece la
spiegazione storica del presente, ed
il perch ed il come del formarsi nel
tempo delle istituzioni politiche che
contraddistinguono l'Europa presente.
Il punto di partenza nella storia
questo: crollo totale della civilt
antica fra il Iv ed il V secolo d'C'.
La nuova civilt si fonda, dunque,
sulle istituzioni dei nuovi venuti, i
Germani, le quali sono basate,
precisamente, sulla libert. I Germani
sono nos pres (lib' Xxviii, cap'
Xvii); e la libert nacque nei boschi,
fra le fiere trib dei Germani,
insofferenti di alcun potere
dispotico. Infatti, nemmeno gli
antichi conoscevano quella forma di
governo che tipica dell'Europa: la
monarchia temperata, moderata o, com'
in Inghilterra e com' l'ideale del
Montesquieu, la monarchia
costituzionale, dove i tre poteri
(esecutivo, legislativo, giudiziario)
sono separati e, proprio con ci,
garantiscono la libert politica.
Questo tipo di organizzazione
statale una creazione nuova nella
storia, che il mondo antico non
conosceva: ed dovuta precisamente ai
Germani (lib' Xi, capp' Viii e Ix).
Per vero, quali sono le
caratteristiche della monarchia
temperata, cio dell'Europa
continentale? Che il potere del
sovrano limitato dai pouvoirs
intermediaires, cio dalla nobilt, e
dalle lois fondamentales, fra cui
primissima la legge salica: cio da
istituti e leggi di netta origine
germanica (lib' Ii, cap' Iv).
Di qui, l'elogio del governo
gotico, cio medievale (lib' Xi,
cap' Viii), che era un buon governo,
che aveva in s la capacit di
divenire migliore; e in nessun punto
della terra vi fu un governo cos ben
temperato come quello gotico.
Di qui, l'elogio, anche, di
istituzioni medievali e perfino la
giustificazione di quelle che pi
potevan ripugnare al razionalismo
settecentesco: come il duello
giudiziario, le varie prove del fuoco,
dell'acqua bollente ecc' (lib' Xxviii,

cap' Xvii). Cio, l'elogio del


Medioevo politico, e anche di molti
costumi dei Germani antichi, di quei
costumi la cui conoscenza
indispensabile per capire il nostro
diritto politico cio l'Europa
moderna (lib' Xxx, cap' Xix).
Ora, in questa valutazione piena
dell'elemento germanico, appena
affiorante nelle Lettres persanes,
rifluisce nel Montesquieu della piena
maturit tutta un'esperienza
storico-politica, che fa di lui
l'esponente massimo di un modo
generale di pensare. Cio:
l'esaltazione della libert germanica
nell'Esprit des lois la
conclusione, lo sbocco di tutto uno
sviluppo di idee, affiorante gi nei
polemisti tedeschi dell'et della
Riforma, negli Ugonotti francesi dopo
la Notte di S' Bartolomeo, in Grozio e
negli scrittori inglesi del '500 e del
'600, i quali tutti avevano esaltato,
chi la libert degli antichi Sassoni,
chi la libert degli antichi Franchi,
chi la libert degli antichi Batavi,
chi la libert degli antichi
Anglosassoni. Montesquieu fonde tutti
questi motivi in uno solo, e parla di
libert generale, comune a tutti i
popoli germanici.
Ma come mai emerge improvvisamente
(in apparenza) questo motivo? Anche in
questo, il trapasso dalle Lettres
persanes all'Esprit des lois
s'inserisce nella storia della cultura
francese tra la Reggenza ed il primo
periodo del regno di Luigi Xv.
Il problema dell'origine della
monarchia francese, del diritto
pubblico francese, era stato infatti
sollevato dal conte di Boulainvilliers
i cui scritti in materia erano
apparsi, postumi, sei anni dopo la
pubblicazione delle Lettres
persanes, nel 1727 (:Histoire du
gouvernement de la France, ds le
commencement de la Monarchie e
:Lettres sur les anciens Parlements
de France que l'on nomme Etats
Gnraux), e, ancora, nel 1732
(:Essai sur la noblesse). S'era
avuto un sistema Boulainvilliers:
sistema basato, appunto,
sull'affermazione che la conquista
franca della Gallia aveva posto fine a
tutte le istituzioni ecc' romane, che
soltanto ai Germani, tutti liberi e
uguali (lo stesso re non che un
primus inter pares), era spettata
l'autorit pubblica, anzi addirittura
il dominio, anche civile, sulla
popolazione gallo-romana ridotta in

servit; che lo Stato francese era


quindi uno Stato dei liberi basato
sulle assemblee nazionali e sui
diritti di ognuno. La storia
successiva era stata per la lotta
continua condotta dalla monarchia, con
l'aiuto dei giuristi e del clero, per
instaurare il proprio potere assoluto
sulle rovine dell'antica libert: e
questo era avvenuto, e la tirannide
aveva trionfato nella terra dei liberi
Franchi.
Al sistema Boulainvilliers aveva
risposto l'abate Du Bos, con la
:Histoire critique de l'tablissement
de la Monarchie franaise dans les
Gaules (1734). Se Boulainvilliers era
stato il caposcuola della corrente
diremo germanistica, Du Bos era
stato il caposcuola della corrente
diremo romanistica: anticipando di
un secolo e mezzo quasi su Fustel de
Coulanges, egli neg infatti la
conquista violenta ad opera dei
Germani e la distruzione totale del
mondo romano, sostenendo invece che
anche i Germani avevano accettato
idee, istituzioni ecc' romane. Su
queste basi, Du Bos neg la libert
originaria del regno franco: i re
germanici sono non elettivi, come
voleva Boulainvilliers, bens per
diritto di eredit; i loro poteri,
uguali a quelli degli imperatori
romani, non sono limitati da nessun
privilegio di casta, da nessuna
libert ereditaria. (5)
(5) Cfr' A' Lombard, L'abb Du
Bos. Un initiateur de la pense
moderne (1670-1752), Parigi, 1913,
pp' 454 sgg'.
La polemica divamp, appassion
larghissimi circoli: perch al di
sopra del problema propriamente
storico, era in giuoco un problema
politico d'interesse eccezionale in un
momento in cui la reazione contro
l'assolutismo monarchico di Luigi Xiv
prorompeva da ogni parte. Era
colpevole o no la monarchia di aver
alterato, corrotto e calpestato la
struttura originaria dello Stato?
Tale l'ambiente attorno a Montesquieu,
fra il 1722 e il 1748, che
spiega la parte storica dell'Esprit
des lois. Questa pi matura e
approfondita considerazione storica,
che vede nel gotico un buon governo,
e quindi guarda al Medioevo non con
l'acre polemismo di un Voltaire, ma
con simpatia, come alla culla della
libert, conduce anche ad un
importante mutamento di atteggiamento
nei riguardi della religione. Nelle

Lettres persanes, abbiamo visto, il


cristianesimo e in ispecie il
cattolicesimo erano stati
violentemente aggrediti: persino
contro i dogmi della Trinit e
dell'Eucarestia s'era esercitato il
sarcasmo. In esse era gi tutto lo
spirito volteriano. Solo che, mentre
Voltaire dall'inizio alla fine rimarr
fermo in un simile atteggiamento, il
Montesquieu della piena maturit
attenua d'assai il suo
anticlericalismo: nell'Esprit des
lois il cristianesimo appare la
religione che meglio s'accorda con il
governo temperato, mentre la religione
musulmana e i riti cinesi si accordano
col dispotismo (lib' Xix, cap' Xviii;
lib' Xxiv, capp' Iii e Iv). Ammirevole
cosa, dice Montesquieu, il
cristianesimo, che sembra aver per
fine soltanto la felicit
ultraterrena, produce anche la nostra
felicit terrena. il cristianesimo
che, nonostante la grandezza
dell'impero e il vizio del clima, ha
impedito al dispotismo di impiantarsi
in Etiopia, e ha introdotto nel mezzo
dell'Africa i costumi e le leggi
dell'Europa. Ora, chi tenga presente
che il nocciolo centrale, continuo del
pensiero del Montesquieu proprio
l'odio contro il dispotismo e l'amore
della libert, vedr subito che cosa
significhi per lui dire che il
cristianesimo la religione dei
governi temperati: pi consono alla
monarchia il cattolicesimo, pi
consono alla repubblica il
protestantesimo ma, insomma, entrambi
lontani dall'arbitrio del dispotismo.
E gi si coglie una sostanziale
differenza tra il Montesquieu e il
Voltaire. Il primo muove da un
interesse politico, antiassolutista
e perci, conformemente alla tendenza
degli scrittori antiassolutistici
(Boulainvilliers), preso da
ammirazione per l'antica libert
germanica, si volge ad un certo punto
con simpatia verso quel Medioevo, che
era stato s epoca di superstizione,
di fanatismo religioso, ma era stato
anche il periodo in cui quella libert
aveva prosperato. Il secondo muove da
interessi essenzialmente culturali:
e perci, gi avverso a quel Medioevo
che per lui rappresenta la decadenza,
anzi la morte di tutte le arti belle,
il deserto nella storia della
cultura e della intelligenza, da
questo suo disprezzo per il gotico,
l'et dei monaci e della barbarie
culturale, vede rinfocolato ancor pi

il suo continuo, fremente


anticlericalismo, anzi
anticristianesimo. Montesquieu finisce
con il parlar dei riti cinesi come
religione da dispotismo; Voltaire
esalta, sempre, la saggezza di
Confucio, la moralit ragionevolezza
umanit della religione cinese, posta
tanto pi in alto della superstizione
e del fanatismo europei.
La libert dei Germani per un
Voltaire la barbarie dominante il
mondo.
Ecco dunque quali profonde
conseguenze ha avuto il mito della
libert germanica nel Montesquieu.
Esso ha, per cos dire, storicizzato,
reso corposo e attuabile il concetto
di libert che nelle Lettres
persanes era ancora un principio
alquanto indeterminato. L'enorme
influsso che il Montesquieu esercit
sul pensiero europeo del secolo Xviii
e, anche, del secolo Xix, fece poi s
che il mito della originaria libert
germanica dominasse, incontrastato,
nel pensiero politico e nella
storiografia europea sin quasi alla
fine del secolo Xix, quando Fus
-tel de Coulanges gli port, in sede
storiografica, il colpo decisivo.
Anche per altri riguardi - e sempre
relativamente al nostro problema l'Esprit des lois segna, non solo
un ampliamento, s anche un
approfondimento di vedute rispetto
alle Lettres persanes.
Cos, fra molteplicit di Stati e
libert, caratteristiche dell'Europa,
si stabilisce una strettissima
correlazione, nel senso che la
repubblica, cio lo Stato che
rappresenta il pi alto ideale di
libert e di virt civica, non pu
essere che di piccola estensione: e
anche la monarchia temperata non pu
andare oltre una certa estensione:
appena si hanno i grandi imperi, si ha
pure il dispotismo: Un grande impero
presuppone un'autorit dispotica in
colui che governa (lib' Viii, capp'
Xvi, Xvii, Xix, Xx, Xxi).
Ecco perch l'Asia la terra degli
immensi imperi, e, ad un tempo, del
dispotismo; l'Europa, la terra dei
molti Stati e della libert. Anche la
Cina uno Stato dispotico, checch ne
dicano i suoi ammiratori.
Nell'Esprit des lois, insomma,
Montesquieu lega strettamente l'un
fatto all'altro, cerca, ovunque, il
principio comune a tutti i fenomeni.
Ed ecco, dunque, che anche nella
vita economica la differenza

Europa-Asia, cio libert-dispotismo,


influisce chiaramente. Gli Stati
dispotici ignorano gli scambi
internazionali, vivendo chiusi in s.
Le nazioni libere, cio europee,
devono invece la loro prosperit
proprio alla grande attivit
industriale e commerciale; e il
commercio europeo con le colonie
retto da leggi fondamentali, onde,
come nel diritto pubblico, cos
nell'economia l'Europa si affida a
certe norme sconosciute nelle altre
parti del mondo.
Cos, ancora, la condizione della
donna diversa a seconda dei var
tipi di costituzione; e perci le doti
devono esser ben diverse, grandi nelle
monarchie, mediocri nelle repubbliche,
quasi nulle nel dispotismo (lib' Vii,
cap' Xv).
I caratteri essenziali che
contraddistinguono l'Europa rimangono,
certo, quelli gi additati nelle
Lettres persanes: libert contro
dispotismo, attivit incessante contro
nonchalance, pigrizia, mollezza; (6)
progresso portentoso delle scienze,
della tecnica, contro tradizionalismo,
immobilit; vita di societ europea,
brio e gaiezza contro isolamento,
gravit, melanconia degli Asiatici.
Il risultato ultimo l'inno
all'Europa, alla civilt europea.
Montesquieu osserva che, se si voul
dare un'occhiata a quello che avviene
attualmente nel mondo, vedremo che,
quanto l'Europa predomina sugli altri
tre continenti, e fiorisce mentre il
resto del mondo geme nella schiavit e
nella miseria, tanto essa pi
illuminata, in proporzione, delle
(6) Lib' Xiii, cap' Xv. E cfr' pure
le :Considrations sur les causes de
la grandeur des Romains, cap' Xxii.
altre parti, dove le lettere sono
immerse in una notte profonda. (7)
Anche se si guarda al passato la
storia non offre nulla che possa
essere paragonato al grado di potenza
a cui l'Europa pervenuta. (8) E
perci si deve rendere omaggio ai
nostri tempi moderni, alla ragione
presente, alla religione di oggi, alla
nostra filosofia, ai nostri costumi.
(9)
Progresso europeo contro immobilit
asiatica: la fede del secolo nel
progresso rafforza il senso europeo,
gli conferisce un respiro ampio e
sicuro, lo ravviva con l'orgoglio
della propria superiorit di fronte
alle altre terre e agli altri popoli
(7) :Riflessioni e pensieri

inediti, pp' 57-58. Qui la


valutazione muove soprattutto dal
punto di vista culturale. Nell'Esprit
des lois (lib' Xxi, cap' Xxi)
l'identica affermazione dovuta
invece a presupposti
politico-militari: si l'on considre
l'immensit des dpenses, la grandeur
des engagements, le nombre des troupes
et la continuit de leur
entretien.
(8) Esprit des lois, lib' Xxi,
cap' Xxi.
(9) Ib', lib' X, cap' Iii.
viventi, cos come - dopo la querelle
degli antichi e dei moderni - gli
infonde il senso della propria
superiorit, di Europeo moderno, di
fronte agli stessi suoi avi, di fronte
all'Europeo del passato. Del tempo e
dello spazio trionfa l'Europa di oggi:
onde, se da un lato Montesquieu
constata l'immobilit asiatica,
dall'altro - ed lo stesso spirito
che detta la diversa sentenza dall'altro osserva che gli antichi
facevano passi da giganti, e
indietreggiavano nello stesso modo;
loro scrivevano sulla sabbia, noi
scriviamo sul bronzo. (10)
Diversa assai, la figura del
Voltaire. Ma anche in lui, ecco un
altro esaltatore, nonostante tutto,
dell'Europa, ecco un altro dei massimi
forgiatori della coscienza europea.
Cosmopolitismo, il suo, si dice.
Certamente. Apriamo l':Essai sur les
moeurs et l'esprit des nations (1756)
ed ecco nell'Avant-propos (e poi,
nuovamente, infine, nelle
:Remarques l'Essai sur les
(10) :Riflessioni e pensieri
inediti, p' 208.
moeurs, I), la critica a Bossuet il
quale, nel suo Discours sur l'Histoire Universelle, ha trattato troppo
sdegnosamente gli Arabi, che pure
fondarono un cos grande impero e una
religione cos fiorente, e ha
dimenticato completamente gli antichi
popoli dell'Oriente, come Indiani e
Cinesi, i quali sono stati cos grandi
prima che le altre nazioni fossero
formate. Perch dovremmo noi
trascurare di conoscere l'esprit di
tali nazioni, quando ci nutriamo dei
prodotti della loro terra, ci vestiamo
di stoffe da loro fabbricate, ci
divertiamo con giuochi che essi hanno
inventato, ci istruiamo perfino con le
loro antiche favole morali?
Gli Indiani del Gange sono forse gli
uomini pi da antica data raccolti
:en corps de peuple (che equivale al

nostro concetto di nazione culturale e


di Stato politico: prima, parlando
dell'antichit delle nazioni, Voltaire
ha infatti detto che, acci una
nation sia raccolta :en corps de
peuple, ch'essa sia potente,
agguerrita, sapiente, certo che
occorre un tempo prodigioso. Dove
nazione=gens, cio popolo nel senso
etnico; e corps de peuple la
nostra nazione civile e ad un tempo il
nostro Stato). All'India dobbiamo
tante invenzioni, e l'origine delle
arti, le dobbiamo anche il giuoco che
fa maggiormente onore allo spirito
umano (gli scacchi). Nell'India i
Greci si recavano per cercarvi la
scienza, assai prima di Alessandro
Magno. La loro religione fu altamente
morale: essi hanno un orrore per
l'omicidio e per ogni violenza, ch'
divenuto una seconda natura, e sono
perci i pi miti fra gli uomini. Ed
vero che anche il cristianesimo
nemico del sangue: ma i cristiani non
hanno mai osservato la loro religione,
e le antiche caste indiane hanno,
invece, sempre praticata la loro
(Introduction e cfr' cap' Iii).
Quanto ai Cinesi, che dire di questo
potentissimo e antichissimo impero che
sussiste da pi di 4000 anni senza che
le leggi, i costumi, la lingua, il
modo stesso di vestire abbiano
sofferto alterazioni sensibili; di
questa nazione che era gi civile
(police) quando noi eravamo ancora
dei selvaggi? I loro annali hanno un
carattere di certezza, come nessun
altro: i Cinesi hanno scritto la loro
storia con una continuit e chiarezza
non raggiunte da alcun altro popolo,
senza contraddizioni (come succede,
per esempio, nella cronologia
cristiana).
Ora, in questa storia non v' mai
menzione di un collegio di preti che
abbia mai influito sulle leggi; in
quegli annali - e ci d loro una
incontestabile superiorit su quelli
di tutte le altre nazioni - non si
vede alcun prodigio, alcuna profezia,
perfino alcuna di quelle imposture
politiche che noi attribuiamo ai
fondatori degli altri Stati. Il
giornale dell'impero cinese il pi
autentico e il pi utile di quanti
siano al mondo.
Questo popolo, di cos antica
civilt, dunque, ammirevole
soprattutto per la sua morale e le sue
leggi.
Giammai la religione degli
imperatori e dei tribunali fu

disonorata da imposture, giammai


turbata dalle lotte fra sacerdozio ed
impero; giammai fu aggravata di
assurde innovazioni che si combattono
l'una con l'altra a mezzo di argomenti
altrettanto assurdi quanto esse, e la
cui demenza ha, in fine, posto il
pugnale nelle mani dei fanatici
guidati dai faziosi. soprattutto
per questo che i Cinesi sono superiori
a tutte le altre nazioni
dell'universo.
Il loro Confucio non immagin n
nuove opinioni, n nuovi riti, non
fece l'ispirato n il profeta: era un
saggio magistrato che insegnava le
antiche leggi. Egli non raccomanda se
non la virt; non predica nessun
mistero; si accontenta di insegnare la
pi pura morale alla nazione cinese
(cfr' anche le :Remarques
l'Essai sur les moeurs, Ix).
Non si parla, nella religione
cinese, di pene e ricompense eterne;
prova, questa, dell'antichit della
loro religione. Essi non hanno voluto
affermare quel che non sapevano.
Giustizia, moralit, riverenza verso
il cielo e verso il capo della
famiglia, sono i solidi fondamenti
morali della Cina. E poich il re
considerato come il padre dell'impero
ed i mandarini i padri delle citt e
province (dunque, tutto riposa
sull'idea dell'autorit paterna), ecco
che questo Stato immenso costituisce
una famiglia: perci in Cina pi che
altrove si considerato il bene
pubblico come il primo dei doveri. E
se in Cina esistono, come altrove, i
vizi, essi sono certamente repressi
meglio dal freno delle leggi; dato che
le leggi sono sempre uguali e non
mutano di continuo, come in Occidente.
Ecco dunque l'alto elogio della Cina
e di Confucio (Introduction e capp'
I-Ii).
Come vedete, siamo, anche qui, nello
stesso orientamento del Montesquieu:
superiorit religiosa, morale
dei popoli dell'Oriente. Anzi, qui la
superiorit nettamente affermata,
mentre il Montesquieu si limitava
essenzialmente a porre in luce il
carattere negativo del cristianesimo
senza, per questo, esaltare poi troppo
i maomettani. Ma identico lo spirito
polemico anticattolico, l'avversione
recisa ad ogni forma di fanatismo, a
quei tempi di guerra e di fanatismo
sanguinario che spengono ogni umanit
e che dei costumi, delle leggi, della
religione di un popolo fanno l'oggetto
dell'orrore di un altro popolo

(Introduction).
Anche politicamente sono evidenti le
frecciate antiassolutistiche: che in
Cina pi che altrove il bene pubblico
sia considerato il primo dei doveri,
ci equivale a dire che altrove (leggi
Francia ed in genere Stati europei) il
bene pubblico non sempre perseguito,
anzi sottost spesso al bene
particolare (del re, di un ministro,
di una favorita ecc'). L'avversione al
malo uso della politica in Europa,
alla ragion di Stato pi forte
ancora nel Voltaire che nel
Montesquieu.
Soltanto, siccome gi abbiamo
osservato, mentre l'avversione al
cattolicesimo, al papismo, ed in
genere al cristianesimo sic et
simpliciter, avversione di
principio, che investe le fondamenta
stesse dell'edificio cristiano,
l'avversione alla politica, la
diffidenza verso lo Stato cos forti
nel Settecento, (11) sono pi verso i
modi di applicazione, che verso il
principio stesso, che contro lo Stato
in s. Ponete a capo di uno Stato un
re illuminato, un re filosofo,
tollerante in materia religiosa,
protettore delle arti e delle lettere,
che faccia eseguire molti lavori
pubblici ed incrementi la vita
economica del paese (infatti per il
Voltaire dalla cura del bene pubblico
deriva in Cina attenzione continua
dell'imperatore e dei tribunali a
riparare le grandi strade, a unire i
fiumi scavando canali, a favorire
l'agricoltura e l'industria) e
vedrete che l'ostilit degli
illuministi alla politica scomparir,
e che essi eleveranno plausi ed encomi
a quel re. L'ostilit, insomma, del
'700 contro lo Stato assolutistico
alla Luigi Xiv: l'esperienza di mezzo
(11) Su ci cfr' il libro assai
interessante di A' Gerbi, :La
politica del Settecento, Bari, 1928,
passim.
secolo determina, proprio soprattutto
in terra di Francia, una reazione che,
iniziata dal trio Boulainvilliers,
Fnelon, Saint-Simon, prosegue col
Montesquieu e col Voltaire e gli
altri, trasformandosi per da pura
reazione di stampo feudale-nobiliare,
che vagheggia il ritorno ad un passato
lontano come all'ottimo dei regimi
(Boulainvilliers ed anche
Saint-Simon), in una dottrina gi
apertamente costituzionale-liberale
(Montesquieu), anche per il decisivo
influsso esercitato dal pensiero

politico e dalla prassi politica


dell'Inghilterra sul pensiero politico
del continente a partire dal
secondo-terzo decennio del '700.
L'ostilit al Cristianesimo
travolge, invece, almeno nel Voltaire,
proprio i valori essenziali della
religione, proprio quel che fa di essa
una religione e la differenzia
radicalmente da un movimento
filosofico, da un pensiero puramente
morale.
Una religione puramente etica e
razionale, costituita solo da norme
di vita, alta e pura ed umana ad un
tempo: ecco l'ideale degli
illuministi. Ma cos si perde
completamente il senso del divino,
il senso, ineffabile, della gloria e
potenza di Dio, il senso del mistero,
dove racchiusa proprio l'essenza
dell'anima religiosa: il peccato
originale e l'ansia per la salvezza
dell'anima, l'Incarnazione e la
Passione di Cristo, la Morte e la
Resurrezione - vale a dire i momenti
culminanti del dramma dell'umanit -,
tutto questo diviene o una
soperchieria dei moines o, nella pi
benevola delle ipotesi, un assurdo
errore della mente umana che vaneggia
e che occorre ricondurre sul terreno
del razionale, del comprensibile.
Che sarebbe, propriamente, la fine del
cristianesimo, anzi di ogni religione.
Queste sono, dunque, le falle de
notre Europe di fronte ai Cinesi. N
soltanto di fronte ai Cinesi. La
polemica contro il suo tempo, nei suoi
mali aspetti, si pu dire anzi
raggiunga tono ancor pi acre in una
pagina sui selvaggi, che sembra
riecheggiare motivi del vecchio
Montaigne: Intendete per selvaggi dei
rustici che vivono in capanne con le
loro femmine e qualche animale,
esposti senza posa a tutta
l'inclemenza delle stagioni, non
conoscendo che la terra che li nutre
ed il mercato dove si recano talora a
vendere le loro derrate per
acquistarvi qualche vestito
grossolano; che parlano un gergo
incomprensibile nelle citt; che hanno
poche idee e di conseguenza poche
espressioni; che sono sottomessi,
senza che ne sappiano il perch, ad un
uomo di penna [l'esattore delle
imposte], a cui portano ogni anno la
met di quello che hanno guadagnato
col sudore della fronte; che si
radunano, in certi giorni, in una
specie di capanna per celebrarvi
cerimonie [religiose], di cui non

capiscono nulla; che ascoltano un


uomo, vestito diversamente da loro e
che non capiscono punto; che
abbandonano talora i loro tuguri
allorquando risuona il tamburo
[reclutamento militare] e che
s'impegnano ad andarsi a fare
ammazzare in terra straniera ed a
uccidere i loro simili per la quarta
parte di quel che potrebbero
guadagnare lavorando a casa? Di simili
selvaggi ve n' in tutta Europa
(Introduction, Des sauvages). Qui
la polemica contro le imposte, contro
la religione, contro la guerra
violentissima.
Ma la medaglia ha il suo rovescio:
inferiore moralmente alla Cina,
l'Europa prende la sua brava rivincita
nel campo delle scienze e delle
lettere, cio culturalmente e
spiritualmente.
Senza dubbio, i Cinesi furono
iniziatori in quasi tutti i rami del
sapere umano: essi erano gi civili,
quando noi eravamo ancora pochi di
numero e selvaggi, nelle foreste delle
Ardenne. Ma poi si fermarono l:
raggiunto un certo punto, non
riuscirono a progredire oltre, come se
le colonne d'Ercole del sapere umano
fossero veramente, per essi,
invalicabili. Invece, in Occidente,
gli uomini venuti dopo, fattisi pi
lentamente, continuarono ad avanzare:
Ulisse lanci la sua nave oltre le
colonne d'Ercole.
Qui il contrasto Europa-Cina
assoluto, e serve a caratterizzare
pienamente le due diverse civilt.
Ci si chiede perch i Cinesi,
ch'erano andati cos lontani, in tempi
tanto remoti, siano rimasti sempre
fermi a questi limiti Sembra che la
natura abbia dato a questa specie di
uomini, cos diversi da noi, degli
organi fatti per trovare di colpo
tutto ci che era loro necessario ed
incapaci di andar pi in l. Noi, al
contrario, abbiamo avuto delle
conoscenze assai tarde, ed abbiamo
perfezionato tutto rapidamente Se
si cerca perch tante arti e scienze
coltivate senza interruzione da s
antica data in Cina, abbiano tuttavia
fatto cos poco progresso, se ne
trovano forse due ragioni: l'una il
rispetto prodigioso che questi popoli
hanno per ci che stato loro
tramandato dai loro padri e che fa s
che ogni cosa antica sia perfetta ai
loro occhi; l'altra, la natura del
loro linguaggio, principio primo di
ogni conoscenza (cap' I).

Ecco perch i Cinesi sanno


fabbricare il vetro da duemila anni,
ma meno bello e trasparente del
nostro; non conoscono la stampa a
caratteri mobili perch avrebbero
dovuto adottare l'alfabeto, e non
hanno mai voluto abbandonare la
scrittura simbolica, tanto sono
attaccati a tutti i loro antichi
metodi: hanno coltivato la chimica,
ma hanno dovuto apprendere dai
Portoghesi l'uso delle armi da fuoco;
hanno strumenti astronomici inferiori
ai nostri, pur essendo superiori a
quelli degli altri popoli dell'Asia,
ed in geometria non sono mai andati
oltre gli elementi (loc' cit'). Essi
sono cos cattivi fisici, lo
confessano, come lo eravamo noi circa
duecento anni fa (Introduction).
Circa duecento anni fa: cio, prima
appunto di Galileo e di Newton.
Eccoci, daccapo, allo stato d'animo
che abbiamo gi lumeggiato a proposito
del Montesquieu: l'uomo in se stesso
si esalta pensando ai progressi
prodigiosi della scienza, che gli
scopre nuovi mondi, gli addita
meraviglie mai conosciute, gli apre la
via dei cieli e dei grandi spazi
interplanetari. Copernico, Keplero,
Galileo, Newton, quali nomi, per gli
uomini del Settecento, i quali nella
scoperta della legge di gravitazione
universale vedono un momento
fondamentale nella storia
dell'umanit!
Scienza, progresso: questo Europa
e solo Europa. Perch vero che anche
altri popoli avevano fatto progressi
nelle scienze, precedendoci anzi: noi
non conoscemmo la chimica e
l'astronomia che grazie agli Arabi
(cap' Vi). L'algebra fu un'invenzione
araba; e anche in medicina la scuola
araba disse parecchio di nuovo.
Insomma, cessato il grande movimento
espansionistico, gli Arabi si
civilizzarono tanto che i cristiani
dell'Occidente dovettero istruirsi
presso i musulmani.
Ma anche qui, noi ora abbiamo
sorpassato tutti i modelli: abbiamo
perfezionato la chimica e le altre
scienze.
Noi, vero, non esistiamo che da
ieri: ma abbiamo sopravanzato gli
altri popoli in pi cose, e ci forse
appunto perch siamo venuti per ultimi
(cap' Vi). Abbiamo preso dagli altri,
abbiamo sviluppato, perfezionato, ed
oggi siamo i primi.
Il concetto di progresso sta,
evidentemente, a base di simili

affermazioni, dalle quali viene fuori


il volto dell'Europa, improntato alla
scienza, alla tecnica. la ripresa e
lo sviluppo dell'identico pensiero gi
abbozzato dal Montesquieu.
Ma non si tratta solo di scienza. Ci
sono accanto, le arti e le lettere.
Uomo di lettere nel pieno e pi alto
senso della parola, il Voltaire, che
sente il problema politico assai meno
del Montesquieu, sente assai di pi il
problema culturale: la sua Europa
tale, perch patria del recente,
prodigioso sviluppo scientifico, ma
anche perch patria di una
tradizione artistico-letteraria
ineguagliata.
Una prova infallibile della
superiorit di una nazione nelle arti
dello spirito, il fiorire della
poesia, di quella poesia saggia ed
ardita, quale fior al tempo di
Augusto, quale si vista rinascere al
tempo di Luigi Xiv (cap' Vi). Ora,
questa poesia (e cos la pittura ecc')
poesia dell'Europa: i Cinesi hanno
s forte passione per il teatro, ma la
loro tragedia non perfezionata, e i
loro scritti sono come le loro
pitture, senza prospettiva e
chiaroscuro. Essi non conoscono i
segreti dell'arte.
Gli Arabi, s, hanno conosciuto
anch'essi in un certo momento della
loro storia questa poesia d'immage et
de sentiment (cap' Vi), la poesia
dell'et di Augusto e di Luigi Xiv:
ma, insomma, si tratta pur sempre di
una poesia tipicamente europea.
E carattere particolare, glorioso,
dell'Europa, del suo gnie, proprio
questo: che in mezzo a tutte le
innumerevoli guerre, di successione,
di religione, civili, fra le
cospirazioni, i delitti, le follie, vi
siano stati uomini che hanno coltivato
le arti utili e le arti piacevoli. Ci
non successo per esempio, nei domini
turchi. Bisogna che la nostra parte
dell'Europa abbia avuto nei suoi
costumi o nel suo gnie un carattere
che non si trova n nella Tracia, dove
i Turchi hanno stabilito la sede del
loro Impero, n nella Tartaria, da cui
sono usciti altra volta. Le guerre
civili hanno desolato, nel passato,
Francia, Inghilterra e Germania; ma
alle rovine s' posto subito riparo
perch quando una nazione conosce le
arti, quando essa non soggiogata
dallo straniero, essa esce facilmente
dalle sue rovine e si risolleva
sempre (cap' Cxcvii).
Guai quando le arti decadono, ch

allora la barbarie: come avvenne con


le inondazioni dei barbari che
spensero la civilt romana e le fecero
succedere quel periodo fosco di
superstizioni assurde e di
abbruttimento che fu il Medioevo, le
gotique, dominio di preti e monaci
ignoranti; finch le arti, qui
adoucissent les esprits en les
clairants, cominciarono a rinascere
in Italia e a dar vita alla nuova
fioritura dello spirito umano.
E fu il Rinascimento italiano, nuovo
faro di luce a cui si destarono i
popoli sino allora abbrutiti.
Queste idee erano state espresse,
gi prima, nel :Sicle de Louis Xiv,
l'altra grande opera storiografica del
Voltaire (1738-1751). La prima
conclude con la superiorit
dell'Europa, ma vuol mantenere tono
cosmopolitico; la seconda
propriamente la celebrazione
dell'Europa.
Apriamo la Introduzione,
celeberrima e degna veramente di tanta
fama: e vi troviamo le grandi
affermazioni: Tutti i tempi hanno
prodotto degli eroi e dei politici,
tutti i popoli hanno sperimentato
rivoluzioni; tutte le storie sono
quasi uguali per colui che non vuol
porre che dei fatti nella sua memoria.
Ma chiunque pensa e, cosa ancora pi
rara, chiunque ha gusto, non annovera
se non quattro secoli nella storia del
mondo. Queste quattro et felici sono
quelle in cui le arti sono state
perfezionate e che, servendo da misura
della grandezza dello spirito umano,
sono l'esempio della posterit.
Orbene, quali sono queste quattro
epoche, pietre miliari nella storia
dell'umanit?
L'et di Pericle, o, pi
precisamente, il secolo da Pericle ad
Alessandro Magno; l'et di Cesare e
Augusto; l'et del Rinascimento, dalla
caduta di Costantinopoli in poi, l'et
della gloria italiana; infine il
secolo di Luigi Xiv.
Nemmeno a farlo apposta, dunque,
sono quattro et tolte dalla storia
dell'Europa. Tutta l'ammirazione per
la morale dei Cinesi, per le grandi
gesta degli Arabi, tutto lo spirito
polemico antieuropeo in religione, e,
parzialmente, in politica, non
impediscono che alla resa dei conti
l'Europa, unit culturale e morale,
non appaia alla testa del genere
umano.
una constatazione implicita
nell':Essai sur les moeurs; nel

:Sicle de Louis Xiv essa era stata,


senz'altro, criterio di
interpretazione della storia.
L'Europa una unit culturale
anzitutto; Si vista una repubblica
letteraria stabilita insensibilmente
nell'Europa, malgrado le guerre e
malgrado le religioni diverse. Tutte
le scienze, tutte le arti hanno
ricevuto cos dei soccorsi reciproci;
le accademie hanno costituito questa
repubblica. L'Italia e la Russia sono
state unite dalle lettere. L'Inglese,
il Tedesco, il Francese, andavano a
studiare a Leyda i veri scienziati
in ogni ramo hanno stretto i legami di
questa grande societ degli spiriti,
ovunque diffusa, e sempre
indipendente. Questi legami durano
tuttora; essi sono una delle
consolazioni ai mali che l'ambizione e
la politica spargono sulla terra
(:Sicle de Louis Xiv, cap' Xxxiv).
Societ degli spiriti: questa
bellissima espressione compendia bene
il pensiero di Voltaire.
Non che egli veda solo l'unit
culturale. Nel secondo capitolo del
:Sicle de Louis Xiv, egli osserva
infatti: Da gran tempo si poteva
considerare l'Europa cristiana,
eccettuata la Russia, come una specie
di grande repubblica, divisa in vari
Stati, gli uni monarchici, gli altri
misti; questi aristocratici, quelli
popolari, ma tutti in relazioni
scambievoli; tutti con uno stesso
fondo di religione, sebbene divisi in
varie stte; tutti con gli stessi
princpi di diritto pubblico e di
politica, sconosciuti nelle altre
parti del mondo. Qui il motivo
politico Machiavelli-Montesquieu
viene, dunque, anch'esso ripreso; e
viene ripreso, perfino, come elemento
differenziatore, il motivo religioso,
caro ai cinquecentisti. Ma
quest'ultimo accettato come dato di
fatto, non certo amato e vagheggiato
come ideale; ed anche l'altro, il
motivo politico, sentito assai meno
vivacemente che nel Montesquieu. Anzi,
in altro luogo, Voltaire polemizza
proprio col Montesquieu, e dichiara di
non essere vero che le repubbliche
siano caratteristiche dell'Europa,
essendovene state in Asia parecchie e
potenti (:Essai sur les moeurs, cap'
Cxcvii; e cfr' anche Dictionnaire
philosophique, s' v').
Invece quando si fa ad affrontare il
problema culturale, vita
dell'intelligenza, allora Voltaire
torna veramente se stesso: voglio dire

trova il se stesso europeo, cos


potente in lui. Culmina in lui quel
processo di europeizzazione culturale
che aveva trovato gi cos alti
accenti in Erasmo da Rotterdam,
all'inizio del '500: in Erasmo, di cui
Voltaire vero, pieno prosecutore.
Questa l'Europa, che il
letteratissimo signor di Voltaire
sente: l'Europa degli artisti e dei
letterati, degli scienziati e delle
accademie, l'Europa di Newton e Locke,
di Leibniz e di Galileo, di Corneille
e di Racine. Ed a questa Europa, egli
impone, effettivamente, il sigillo
definitivo di un corpus solo, di una
unit culturale e spirituale ben
distinta dal resto del mondo.
Europa culturale, dunque.
Ma non la sola Europa che ci si
presenti, sotto la penna di Voltaire,
come un quid a s stante.
Accanto ad essa c' infatti l'Europa
dei costumi, l'Europa della vita di
societ.
Gi a proposito del Montesquieu s'
messa in rilievo l'importanza
grandissima che il fattore vita
sociale esercita sul pensiero
francese. Ora, ne abbiamo una
eloquente riprova.
Fra noi da una parte e gli Asiatici
e gli Africani dall'altra tutto
differisce: religione, governo,
costumi, modi di esprimersi e di
pensare, scrittura, modi di vestire.
La pi grande somiglianza fra noi e
loro, questo spirito di guerra, di
assassinio e di distruzione, che ha
sempre spopolato la terra, per quanto
a dire il vero questo furore meno
accentuato negli Indiani o nei Cinesi
che in noi.
Ma la differenza pi grande fra noi
e gli Orientali il modo con cui noi
trattiamo le donne (cap' Cxcvii).
Potrebbe sembrare una facezia, se non
si pensasse che su quella differenza
costituita tutta la vita sociale
europea; e che la societ cos com'
organizzata in Europa ha una delle sue
basi proprio nella libert europea
della donna, in contrasto con il
costume asiatico di schiavit.
E questa vita di societ una gran
cosa.
Sentiamo Fontenelle negli
:Entretiens sur la pluralit des
mondes: Vi certo gnie che non
s' ancora avuto fuori della nostra
Europa o che almeno non se ne di
molto allontanato. Forse non gli
consentito di espandersi su di una
grande distesa di terra

contemporaneamente, e qualche fatalit


gli prescrive dei limiti piuttosto
stretti. Godiamone finch lo
possediamo: ci che esso ha di meglio,
che non si rinchiude nelle scienze
ed in aride speculazioni, ma si
estende, invece, con altrettanto
successo, fino alle cose dilettevoli
in cui dubito assai che alcun popolo
ci uguagli. (12)
Les choses d'agrment: la vita
di societ, quel che rende
pienamente polic (dicevano allora),
civile (si direbbe oggi) un popolo.
Montesquieu, Fontenelle, Voltaire:
uomini assai diversi, vari anche di
(12) Cit' in P' Hazard, op' cit',
Ii, p' 286.
opinioni (e di dissidi Montesquieu
--Voltaire ho gi recato esempio)
eppure tutti concordi in questa
esaltazione della vita di societ. Che
poi quel che caratterizza il
concetto di civilisation francese e
di civilt italiana di fronte alla
Kultur tedesca: assai pi manchevole,
quest'ultima, di quel senso dei valori
di grazia, di politesse, di mondanit
o, per dirla con Dante, di cortesia,
che sono poi, in ultima analisi, dei
valori altamente umani, pi
massiccia e pi dura.
Cos l'Europa esce con una sua
fisionomia ben precisa proprio di
mezzo al cosmopolitismo. Perch,
certo, tutto ci che strettamente
connesso con la natura umana si
assomiglia da un capo all'altro della
terra; ma tutto ci che dipende dal
costume diverso: e l'impero del
costume ben pi vasto di quello
della natura, e se quest'ultima sparge
nell'universo l'unit, esso sparge la
variet (:Essai sur les moeurs, cap'
Cxcvii). E cos dalle ricerche di
storia universale, dai paralleli fra i
vari popoli, dallo stesso anelito di
far trionfare il principio comune
della raison, unico per tutti, vien
fuori la particolarit di
quest'Europa, de notre Europe.
Corpus a s, con proprie
caratteristiche politiche, sociali,
culturali, con una propria tradizione,
risplendente di luce per i quattro
secoli della storia umana: tale
l'Europa che esce dalle meditazioni
degli illuministi.
E se gi il Voltaire, pur serbando
le sue preferenze per la repubblica
letteraria, la societ delle
intelligenze legate da continui
rapporti da un capo all'altro
dell'Europa, ha pure riconosciuto che

l'Europa costituisce un'unit anche


politica, nel senso di avere princpi
di diritto pubblico e di politica,
sconosciuti nelle altre parti del
mondo, di costituire, cio, un
sistema a s, l'abate Mably insiste
sul sistema politico e trova una
correspondance continuelle che lega
tutti i popoli europei, dal punto di
vista politico; trova, cio, che
l'Europa costituisce, dal secolo Xvi
in poi, un tutto politico, in cui una
parte necessariamente legata alle
altre da un reciproco e continuo
influsso, e che esiste un droit
public de l'Europe (:Principes des
ngociations, pour servir
d'introduction au droit public de
l'Europe, fond sur les traits, in
Oeuvres compltes, V, Londra, 1789,
pp, 8, 10, 32 ecc'). Espressione di
tal necessario legame, il famoso
principio dell'equilibrio europeo. La
dottrina del sistema politico europeo
pienamente definita.
Non diversamente, gli stessi motivi
svolti dal Montesquieu e dal Voltaire
sugli usi e costumi europei, sulla
loro diversit da quelli asiatici,
riappaiono in molti altri scrittori:
un coro, impostato dai grandi solisti,
ma ripreso da molti minori.
Apriamo, per esempio, le :Lettres
chinoises ou correspondance
philosophique, historique et critique,
entre un chinois voyageur et ses
correspondants la Chine, en
Moscovie, en Perse, et au Japon,
apparse anonime, ma scritte dal
marchese J'B' de Boyer d'Argens (cito
dalla Ii edizione, l'Aja, 1755; la I
del 1742). Vi troviamo, dopo
l'immancabile esaltazione di Confucio,
il pi grande uomo del mondo (dedica),
temi gi toccati dal Montesquieu nelle
Lettres persanes, della curiosit
dei Francesi, della loro volubilit e
vivacit, del loro brio (lett' I), del
movimento, della animazione per le vie
di Parigi, al cui paragone la fiera di
Pechino un deserto (ib'); della
libert delle donne, contrapposta
all'isolamento in cui vivono le donne
cinesi, le une sempre per via e nei
salotti, fuori casa, il pi possibile
lontane dai mariti (lett' Ii), le
altre sempre in casa, sempre con i
mariti, ed in conversazione solo con
loro (lett' Ii).
Donde, l'estrema cortesia, urbanit
di modi (politesse) dei Francesi,
anche dei pi umili - il popolo
parigino non ha nulla di rozzo e di
grossolano (lett' Iii) - ma anche

l'eccessiva vivacit, nel gestire e


nel parlare, l'eccessivo discorrere
(ib').
E, ancora, ecco le considerazioni di
stile volteriano sul conformismo,
sul tradizionalismo dei Cinesi, che
impediscono loro di fare passi innanzi
sulla via del progresso, e di
accogliere le novit utili che altre
nazioni scoprono: donde per esempio la
grande superiorit della marineria
europea, dotata di navi moderne, ben
attrezzate, mentre quelle cinesi sono
antiquate, pericolose - e tuttavia i
Cinesi non vogliono rinunciare ai loro
vecchi sistemi di costruzione,
soltanto perch sono i loro sistemi,
e crederebbero di commettere un
delitto di lesa maest nei riguardi
dell'impero se approfittassero dei
perfezionamenti tecnici dei cantieri
europei (lett' V).
Naturalmente, ecco poi le
considerazioni sulle dispute religiose
in Europa, sulle guerre ed i massacri
determinati dagli urti confessionali;
sullo spirito di intolleranza delle
religioni europee, le quali, non
appena ne hanno la possibilit, cercan
di piegare le coscienze, anche con la
violenza: Ti confesso che prima di
venire in Francia, e di conoscere
tutti i mali che le dispute religiose
hanno causato all'Europa, io avevo una
migliore opinione del Cristianesimo
(lett' Viii).
Come si vede, dunque, non sono
soltanto alcuni grandi scrittori;
invece proprio la communis opinio
che si foggia (certo, sulla traccia
dei grandi scrittori) un'immagine
dell'Europa: e perci quest'immagine
, da allora, continuamente viva e
presente.
Comune la fede, l'orgoglio
nell'Europa, che la regina della
terra, afferma il poeta tedesco
Klopstock. (13) E se Voltaire ha
parlato di una grande repubblica
europea, a fine secolo un assai meno
noto ed assai meno importante storico
di Magonza, Niklas Vogt, scriver
un'opera :ber die Europische
Republik; (14) e a opera della scuola
di Gottinga, soprattutto di A'H'L'
Heeren, autore del classico :Handbuch
der Geschichte des europischen
Staatensystems und seiner Kolonien von
seiner Bildung seit der Entdeckung
beider Indien (1809), verr elaborata
la dottrina del sistema europeo (15)
destinata ad influenzare il pensiero
(13) H' Gollwitzer, Europabild und
Europagedanke, cit', p' 72.

(14) Ib', p' 95.


(15) Ib', pp' 99 sgg'; e C' Antoni,
:La lotta contro la ragione,
Firenze, 1942, pp' 114-16.
storiografico e politico sino ai tempi
nostri.
Capitolo quinto
Senonch, proprio mentre il senso
europeo si afferma cos fortemente e
con tanta chiarezza di linee, ecco
sorgere voci contrastanti. Nella
seconda met del sec' Xviii, contro
l'europeismo di mezzo il secolo, ecco
affermarsi l'idea di nazione: il
particolare contro il generale,
l'individualit contro l'universalit.
E proprio perch si teme che
l'universalit soffochi
l'individualit, ed il generale
sopprima il particolare, proprio per
questo negli assertori della
individualit nazionale, dell'anima
nazionale, fortissimo
l'atteggiamento polemico contro
l'europeismo.
Prendiamo Rousseau: eccoci in un
mondo profondamente diverso da quello
dei Montesquieu e dei Voltaire.
Le nazioni, queste individualit
maggiori e composite, sono diverse
l'una dall'altra: e guai a voler
applicare ovunque le stesse regole, a
pretendere di imporre leggi uniformi,
valide per tutti i popoli, quale che
sia il loro passato, la loro anima
nazionale. Contrario, ferocemente
contrario all'uniformit dei costumi,
delle idee e dei sentimenti, in una
parola a tutto ci che sminuisce o
addirittura soffoca la personalit
di ognuno, Rousseau perci avverso
all'europeismo propugnato dai
Montesquieu
e dai Voltaire.
Non vi sono oggi pi Francesi,
Tedeschi, Spagnoli, perfino Inglesi,
checch se ne dica; non vi sono che
degli Europei. Tutti hanno gli stessi
gusti, le stesse passioni, gli stessi
costumi, perch nessuno stato
nazionalmente formato da particolari
istituzioni. Tutti, nelle stesse
circostanze, faranno le stesse cose;
tutti si diranno disinteressati e non
saranno che canaglie; tutti parleranno
del bene pubblico e non penseranno che
a se stessi; tutti vanteranno la
mediocrit e vorranno essere dei
Cresi; non hanno ambizione che per il
lusso, passione che per l'oro: sicuri
di avere con l'oro tutto ci che li
tenta, si venderanno al primo che
vorr pagarli. Che importa loro il
padrone cui obbediscono, di quale

Stato seguono le leggi? Purch essi


trovino denaro da rubare e donne da
corrompere, si sentono ovunque in
patria (:Considerations sur le
gouvernement de la Pologne, cap'
Iii).
Ecco, ancora, i contrastanti giudizi
attorno a Pietro il Grande e all'opera
sua. Montesquieu e pi ancora
Voltaire, hanno ammirato ed esaltato
nello zar l'uomo che ha fatto della
Russia una nazione europea, uno Stato
moderno: Pietro I, dando i costumi e
i modi dell'Europa a una nazione
d'Europa, dice Montesquieu (Es
-prit des lois, Xiv, 14). E
Voltaire, cos pronto a disprezzare,
svilire l'eroe, a beffarsi delle
tradizioni storiche sugli eroi, fa,
proprio lui, di Pietro il Grande un
portentoso eroe, capace di colossali
imprese: un sol uomo [pietro] ha
mutato il pi grande Impero del mondo
(:Histoire de Charles Xii, cap' I);
infine Pietro nacque e la Russia fu
formata (Histoire de Russie, cap'
Ii).
In Rousseau, non v' la minima
traccia di questa ammirazione: anzi!
L'opera dello zar stata, non un
bene, s un male: e proprio perch
egli ha snaturata la Russia,
imponendole leggi e abitudini
modellate dal di fuori ed estranee
all'anima nazionale. I Russi non
saranno mai veramente inciviliti,
perch lo sono stati troppo presto.
Pietro aveva il genio imitativo; ma
non aveva il vero genio; quello che
crea e fa tutto dal nulla. Alcune
delle cose che egli fece erano buone,
ma la maggior parte erano
intempestive. Egli ha visto che il suo
popolo era barbaro, ma non ha visto
che non era ancora maturo per la
civilt; egli ha voluto civilizzarlo
quando bisognava solo agguerrirlo. Ha
voluto farne senz'altro dei Tedeschi,
degli Inglesi, mentre bisognava
cominciare col farne dei Russi: ha
impedito cos per sempre ai suoi
sudditi di diventare quello che
avrebbero potuto essere, persuadendoli
che erano quello che non sono. cos
che un precettore francese forma il
suo allievo per brillare durante la
sua infanzia, e dopo per non essere
mai niente (Contrat sociale, Ii,
8).
Di qui, anche, i consigli ai
Polacchi perch siano fedeli alle
usanze patrie, e si tengan lontani dai
mescolamenti su quel ch' straniero: e
cio, l'esortazione ad una sorta di

autarchia spirituale, quale si ritrova


anche in scrittori tedeschi come il
Mser e lo Herder, con il loro
rimpianto degli antichi costumi
germanici e la loro avversione
all'influsso straniero (del mondo
latino) sulla cultura germanica.
Rousseau - bene notarlo - non pu
negare la realt, non pu misconoscere
che l'Europa sia una unit civile.
Tutte le potenze dell'Europa
costituiscono tra di loro una specie
di sistema che le unisce con una
stessa religione, con un identico
diritto delle genti, con i costumi,
con le lettere, con il commercio e con
una sorta di equilibrio ch' l'effetto
necessario di tutto ci. Aggiungeteci
la particolare situazione dell'Europa,
pi ugualmente popolata, pi
ugualmente fertile, pi unita in tutte
le sue parti, l'intreccio continuo
d'interessi che i vincoli di sangue e
gli affari commerciali, le arti, le
colonie hanno stabilito fra i
sovrani l'umore incostante degli
abitanti che li trascina a viaggiare
senza posa, l'invenzione della stampa
e l'inclinazione generale alle
lettere, che ha costituito fra essi
una comunanza di studi e di
conoscenze Tutte queste cause
insieme fanno dell'Europa non
soltanto, come l'Asia o l'Africa, una
collezione ideale di popoli che non
hanno di comune che un nome, ma una
societ reale che ha la sua religione,
i suoi costumi, le sue abitudini e
perfino le sue leggi, da cui nessuno
dei popoli che la compongono pu
scostarsi senza provocare
immediatamente dei torbidi. (1)
Soltanto questa societ reale ha i
(1) Extrait du projet de paix
perptuelle de M' l'abb de
Saint-Pierre (Oeuvres, ed' Parigi,
1864, Iii, pp' 76-77). In questo
scritto, ch' del 1761, Rousseau
lumeggia, con molta acutezza, come si
sia pervenuti a siffatta socit des
peuples de l'Europe; ed notevole il
giudizio, cos anti-volteriano,
l'on ne peut nier que ce ne soit
surtout au Christianisme que l'Europe
doit l'espce de socit qui s'est
perptue entre ses membres (ib', p'
76).
suoi grossi difetti: soprattutto,
quello di render troppo uniforme la
vita, di sacrificare la originalit,
la personalit delle singole parti (e
Rousseau intende salvare, sempre, la
originalit del singolo). Perci,
nel campo politico Rousseau non si

accontenta dell'attuale sistema


dell'Europa (il sistema
dell'equilibrio), che gli appare come
un vincolo sociale imperfetto
sufficiente soltanto per potersi
mantenere fra continue agitazioni,
senza crollare completamente, ma
incapace di impedirle, anzi
suscitatore di quelle agitazioni; e
vagheggia invece una organizzazione
internazionale, su basi federali, che
trasformi l'Europa in un vero corpo
politico, solido ed efficiente. In
campo culturale e, generalmente, in
tutto quel ch' vita, costumi, usanze,
Rousseau risolutamente avverso ad un
europeismo, che non rispetti le
caratteristiche nazionali: contro la
ragione, e per la coscienza,
l'immaginazione, la passione,
l'entusiasmo; pertanto, logicamente,
contro l'uniformit, quel che oggi
diremmo la standardizzazione dei
sentimenti, delle idee, dei costumi.
Su tali basi, dunque, alla vigilia
della Rivoluzione francese la
coscienza europea entra in crisi.
Ideali di vita comuni, un solo
programma, un solo modo di vivere;
oppure, un ideale per ogni patria,
programmi diversi, modi di vivere
diversi?
La nazione si affaccia in primo
piano, nella storia: intendo, la
nazione come coscienza, volont di
essere nazione, come programma, non la
nazione come fatto etnico-linguistico,
gi da secoli operante. E in questo
suo affacciarsi, in questo prepotente
bisogno di affermare se stessa,
naturale che la nazione rivendichi i
suoi diritti, anche a costo di
incrinare fortemente il senso
dell'unit europea.
Ho seguito lo sviluppo di tali idee
nelle lezioni dell'anno scorso
sull'idea di nazione: (2) non ho,
quindi, che da richiamarlo brevemente.
l'Alfieri che proclama, nel
Misogallo, la necessit degli odi
nazionali; sono i patrioti dei vari
paesi che, dalla Marsigliese ai
Sepolcri foscoliani proclamano sacro,
santo l'amor di patria, e reagiscono
contro il cosmopolitismo (cio
sostanzialmente, l'europeismo), che
minaccerebbe di soffocare il senso
della patria e di tramutarsi in arma a
favore dello Stato pi potente, il
mezzo per consolidare, culturalmente,
un'egemonia politica. Avete cos
l'antifrancesismo, soprattutto in
Germania e in Italia, dell'et
napoleonica; pensate, ancora e sempre

al Foscolo, massimo propugnatore, in


(2) [cfr' :L'idea di nazione,
cit'.]
Italia, dell'idea di patria.
Ha inizio, allora, il gran problema,
dominante poi in tutta la storia
contemporanea, dei rapporti fra il
tutto, cio l'unit civile d'Europa
che tutti ammettono, e il singolo,
cio la patria singola: donde, poi, il
contrapporsi delle tendenze pacifiste,
le Leghe e Associazioni per la pace, i
progetti di Stati Uniti d'Europa, da
un lato, e d'altro lato le dottrine
nazionalistiche, l'esaltazione del
proprio paese, l'anelito alla
grandezza e potenza della propria
patria.
Tuttavia, anche nel divampare della
passione nazionale, allora equivalente
anche a senso di libert, che
appunto l'elemento caratteristico del
venticinquennio 1790-1815, il senso
dell'unit europea, cio di una
comunanza di cultura, di modi di vita,
di princpi, non si annulla.
Talvolta, certo, soprattutto
all'inizio, esso si esprime sotto
forma di rimpianto: rimpianto di un
passato bello e nobile, che sta
crollando sotto i colpi pazzi dei
rivoluzionari. questo un
atteggiamento da conservatori: ed
logico, quindi, rinvenirlo
nell'inglese Burke, che
antirivoluzionario e perci rimpiange
la vecchia Europa, una per
consuetudini sociali e forma di vita.
Logico, anche, rinvenirlo in un
convinto antidemocratico come lo
svizzero Mallet du Pan, uno dei pi
acuti critici della Rivoluzione e dei
suoi successi, avverso alla sua mania
democratica ed egualitaria, al
dispotismo della maggioranza che
precorre la dittatura e la servit;
anche per lui l'Europa minacciata da
nuove barbarie, e questa volta i
Barbari non verranno dal di fuori,
come nel dissolversi dell'impero
romano o dell'impero bizantino, perch
sono fra noi. (3) Ma un simile stato
d'animo vien superato abbastanza
rapidamente, non ci si limita pi a
rimpiangere, bens si fanno proposte,
si escogitano programmi per ridare
forza e vigore ad un principio
unitario comune, che valga a salvare
la comunit dei popoli, la civilt
generale. Si cercano, cio, i rimedi.
Ora, in questa ricerca, e lasciando
da parte progetti come quelli di Kant,
per la pace perpetua (1796), che
riecheggiano ancora soprattutto lo

spirito pacifista del '700, occorre


(3) Cfr' A' Passerin d'Entrves,
Mallet du Pan: A Swiss
Critic of Democracy, in The
Cambridge Journal, I, n' 2, novembre
1947, pp' 99 sgg'.
fermare la nostra attenzione anzitutto
sullo scritto di Federico Novalis,
Cristianit o Europa (1799; trad'
it' di M' Manacorda, Torino, 1942).
Novalis ostilissimo all'europeismo
degli illuministi: l'Europa
vagheggiata dal '700, la repubblica
delle lettere di Voltaire, sono gi
per lui decadenza, rovina. L'animo si
volge, nostalgicamente, verso quei
belli, splendidi tempi in cui
l'Europa era una terra cristiana, in
cui un'unica Cristianit abitava
cotesta parte del mondo umanamente
configurata, ed un unico grande
interesse comune univa le province pi
remote di questo vasto reame
spirituale. Senza grandi possessi
terreni, un solo capo supremo dirigeva
ed unificava le grandi forze
politiche. Una numerosa corporazione,
cui ognuno aveva accesso, gli era
immediatamente sottoposta, ne eseguiva
i cenni e si adoperava con ogni zelo a
consolidarne la benefica potenza. Ogni
membro di questa comunit era dovunque
onorato: e se gli umili cercavano
presso di lui conforto o aiuto,
protezione o consiglio, ed in cambio
provvedevano volentieri e con
generosit ai suoi molteplici bisogni,
anch'egli trovava protezione, rispetto
ed ascolto presso i potenti; e tutti
si tenevano cari questi uomini eletti,
armati di forza prodigiosa, come figli
del cielo la cui presenza e
benevolenza diffondevano molteplici
benedizioni. Una infantile fiducia
legava gli uomini ai loro messaggi.
Con che serenit ciascuno poteva
compiere la sua quotidiana opera
terrena, poich grazie a questi santi
uomini un avvenire sicuro l'attendeva
e da loro poteva aspettarsi venia per
ogni passo falso e da loro veder
cancellato e schiarito ogni oscuro
istante della vita. Erano essi i
piloti esperti sul gran mare
sconosciuto, sotto il cui usbergo si
poteva tenere in non cale tutte le
tempeste e tranquillamente confidare
nell'approdo e nello sbarco sicuro
sulle rive della patria vera.
Le inclinazioni pi selvagge e
struggenti dovevano piegarsi alla
venerazione ed all'obbedienza verso le
loro parole. Da loro si diffondeva la
pace. Essi non predicavano altro che

l'amore alla santa e bellissima


Signora della Cristianit, che, dotata
di potenza divina, era pronta a
salvare ogni fedele dai pi terribili
pericoli Questa potente comunit
diffonditrice di pace cercava
assiduamente di fare tutti gli uomini
partecipi di questa bella fede, ed
inviava in ogni parte del mondo i suoi
confratelli per annunciare dovunque
l'Evangelo della vita e per fare del
Regno di Dio l'unico regno di questo
mondo. Giustamente il saggio Capo
supremo della Chiesa si opponeva al
temerario sviluppo delle facolt umane
a scapito del sentimento religioso, e
a premature e pericolose scoperte nel
campo delle scienze. Viet egli perci
ad arditi pensatori di affermare
pubblicamente che la terra fosse un
vagante pianeta senza importanza:
perch sapeva che gli uomini, col
rispetto per la loro dimora e per la
loro patria terrena, perderebbero
anche il rispetto per la patria
celeste e per il genere umano, e si
abituerebbero a preferire il sapere
limitato alla fede infinita, a
disprezzare ogni grande e mirabile
cosa, ed a considerarla come
l'inanimato effetto d'una legge. Alla
sua corte si radunavano tutti gli
uomini saggi e venerandi d'Europa.
Ogni tesoro vi affluiva: la distrutta
Gerusalemme si era vendicata e Roma
stessa era diventata Gerusalemme, la
residenza sacra del regno divino in
terra. I prncipi presentavano le loro
controversie davanti al padre della
Cristianit, ponevano spontaneamente
ai suoi piedi le loro corone e la loro
magnificenza, e stimavano addirittura
loro gloria il concludere la sera
della loro vita, come membri di
quest'altra congrega, in divine
contemplazioni tra le solitarie mura
di un chiostro. Come questo governo,
questo ordinamento, fosse benefico, e
quanto fosse consono all'intima natura
degli uomini, lo mostr la potente
ascesa di tutte le altre forze umane,
lo sviluppo armonioso di tutte le
facolt; l'incredibile altezza
raggiunta da alcuni uomini ne' vari
campi delle scienze umane e delle
arti, ed il commercio di prodotti
spirituali e materiali fiorente per
ogni dove, nella sfera d'Europa e fino
alle Indie lontane.
Che cosa successe, invece, dalla
Riforma protestante in poi? Venne
separato l'inseparabile, divisa la
Chiesa indivisibile, disertata
empiamente l'universale comunit

cristiana: con la Riforma finisce la


cristianit, e comincia l'Europa dei
filosofi i quali, nell'ingannevole
sentimento della loro missione, si
affaccendarono a distruggere tutto, e
trascinati dall'odio per la religione,
abbatterono tutti gli oggetti
dell'entusiasmo, sconsacrando
fantasia e sentimento, morale e amor
dell'arte, speranze e tradizioni.
Quei messeri [i filosofi] erano
occupati a purificare d'ogni traccia
di poesia la natura, il mondo, l'anima
umana e le scienze, a distruggere ogni
resto di religiosit, a ridurre la
storia a casalingo e borghese quadro
familiare e di costumi. Il risultato
quello che si visto: guerre
terribili, distruzioni. Per porre
rimedio alla tragedia, non resta che
la religione la quale, sola, pu
ridestare l'Europa, rendere sicuri i
popoli e ristabilire con nuova
magnificenza la cristianit visibile
sulla terra nel suo antico uffizio di
pacificazione. Dal santo grembo di un
degno concilio europeo risorger la
Cristianit e sar compiuta l'impresa
del risveglio religioso secondo un
universale piano divino.
Ora, quel che importa notare, perch
prelude all'atteggiamento dei
romantici, non certo il sogno in s
della restaurazione della cristianit
di stampo medievale, quanto la
rivalutazione del Medioevo. Siamo qui
al polo opposto di Voltaire: in luogo
dell'et di altissima vita spirituale,
il gotico merita non pi disprezzo,
bens ammirazione. E questa sar
infatti una delle note caratteristiche
fondamentali che distinguono l'idea di
Europa dell'et romantica dall'idea
dell'Illuminismo.
A Novalis segue Federico Schiegel
che, nella Philosophie der
Geschichte (1829), d sistemazione
organica alla visione storica del
Romanticismo cattolico, onde il
cristianesimo che trionfa proprio con
il Medioevo, diviene elemento
fondamentale della civilt europea che
poggia spiritualmente su di esso, come
politicamente sulla libert germanica
e culturalmente sull'eredit del mondo
classico. (4)
Ma una seconda sostanziale diversit
tra la coscienza europea degli
illuministi e la coscienza europea dei
romantici, s'ha da ricercare proprio
nel rapporto che si istituisce fra
l'Europa e le nazioni, cio fra il
tutto e le singole parti.
Abbiamo detto che la fine del

Settecento e l'inizio dell'Ottocento


avevano visto insorgere la nazione
contro l'Europa. Ora, come si pongono
i successivi rapporti fra queste due
idealit, entrambe cos forti?
Qui, le vie possono essere
(4) Cfr' G' Falco, :La polemica sul
Medioevo, Torino, 1933, pp' 383 sgg'.
divergenti. Da una parte, infatti, si
pu cercare di reagire contro la
strapotenza della Francia napoleonica,
il timore che, a lasciare libero corso
alle passioni nazionali, si finisca a
mettere a soqquadro l'Europa,
precipitando nel caos. la via, come
ovvio, dei conservatori, i quali
pertanto si rifanno ai princpi
settecenteschi del sistema di Stati
europeo, basato sul principio
dell'equilibrio politico. Di questo
sistema europeo il massimo formulatore
lo storico tedesco A'H'L' Heeren
autore nel 1809 di un celebre
:Handbuch der Geschichte des
europischen Staatensystems und seiner
Kolonien, e tale idea, cara gi nella
seconda met del Settecento alla
scuola di Gottinga, costituisce la
base dottrinale degli uomini di Stato
della Restaurazione, e anzitutto del
principe di Metternich.
Metternich considera l'Europa come
una patria (lettera a Wellington del
1824); il suo un tipico europeismo
settecentesco, onde non stupisce
ascoltare da lui precetti del tutto
identici a quelli gi formulati in
pieno Illuminismo.
Tuttavia, poich oggi non esistono
pi Stati isolati come quelli di cui
si narra negli annali del mondo pagano
e nelle astrazioni dei sedicenti
filosofi, non si deve mai perdere di
vista la societ degli Stati, questa
condizione essenziale del mondo
moderno. Ogni Stato ha dunque, al di
l dei suoi interessi particolari,
altri interessi che gli sono comuni,
sia con tutti gli altri Stati
complessivamente sia con dei semplici
gruppi di Stati Ci che
caratterizza il mondo moderno, ci che
lo distingue essenzialmente dal mondo
antico, la tendenza degli Stati ad
avvicinarsi gli uni agli altri ed a
formare una sorta di corpo sociale
riposante sulla medesima base della
grande societ umana formatasi in seno
al Cristianesimo Nel mondo antico
la politica si chiudeva
nell'isolamento, e praticava il pi
assoluto egoismo senz'altro freno che
la prudenza umana. La legge del
taglione elevava delle barriere eterne

e provocava eterne inimicizie fra i


diversi raggruppamenti: in ogni pagina
della storia antica ci si incontra con
la reciprocit del male.
La societ moderna, invece, ci
mostra l'applicazione del principio
della solidariet e dell'equilibrio
fra gli Stati, ci offre lo spettacolo
degli sforzi concordi di parecchi
Stati per opporsi alla preponderanza
di uno solo, per arrestare
l'estendersi della sua influenza, e
forzarlo a rientrare nel diritto
comune. Il ristabilimento dei rapporti
internazionali sulla base della
reciprocit, sotto la garanzia del
riconoscimento dei diritti acquisiti e
del rispetto alla fede giurata,
costituisce ai nostri giorni l'essenza
della politica, di cui la diplomazia
non che la quotidiana applicazione.
Fra le due vi , secondo me, la stessa
differenza che c' fra la scienza e
l'arte (Metternich, Memorie, trad'
it', Torino, 1943, pp' 38-39).
E se apriamo la corrispondenza di
lord Castlereagh, l'inglese collega e
amico del Metternich e con lui autore
massimo della sistemazione dell'Europa
nel 1814-1815, troviamo le stesse
idee, sulla necessit di salvaguardare
la libert e la tranquillit del
Commonwealth of Europe, sul sistema
europeo, basato sull'equilibrio e sul
concerto delle grandi potenze ecc':
troviamo cio gli stessi appelli
all'Europa come ad un tutto organico
(British Diplomacy 1805-1815.
Select documents dealing with the
reconstruction of Europe, ed' da C'K'
Webster, Londra, 1921, pp' 93, 101,
116, 126, 141, 194-95, 218, 228,
238-39, ecc').
un europeismo, come si vede, di
stampo prettamente politico e
conservatore. Ma anche questa, una
corrente che avr lunghissima vita
onde, ancora negli ultimi decenni del
secolo e all'inizio del secolo Xx,
ritorneranno, sotto la penna di uomini
politici e di diplomatici, gli appelli
all'Europa come ad un corpo politico
complessivo, fondato sulle grandi
potenze, sul loro concerto,
sull'equilibrio europeo ecc' (cfr' F'
Chabod, Il pensiero europeo della
Destra di fronte alla guerra
franco-prussiana, in La Comunit
Internazionale, I, 1946, pp' 212
sgg').
Senonch l'europeismo di un
Metternich significa ripudio del
principio di nazionalit. Tipicamente
settecentesco nelle origini del suo

pensiero e politicamente fermo su


posizioni di conservazione pura, cio
su posizioni reazionarie, Metternich
rifiuta di accettare la nazione, la
patria, cos come rifiuta di accettare
l'idea di libert: queste due potenti
forze spirituali, che l'et della
Rivoluzione francese ha lanciato nel
mondo, Metternich non solo le ignora,
ma anzi le vuole combattere. Tutto ci
che rivoluzione lo ha nemico
dichiarato.
Per questa via dunque non si sarebbe
certo mai pervenuti a conciliare
nazione ed Europa: le due idee
sarebbero rimaste ciascuna chiusa in
s e contrapposta all'altra. E ci
infatti avvenne, sul terreno politico,
fra il 1815 ed il 1848, con la lotta
dei patrioti liberali contro la
reazione, cio contro il sistema di
Metternich.
La conciliazione doveva invece
avvenire per tutt'altra via, ed a
opera soprattutto dell'uomo che fu
l'anti-Metternich: Giuseppe Mazzini.
Mazzini infatti, che esalta tanto la
nazione, la patria, pone tuttavia la
nazione in connessione strettissima
con l'umanit. La nazione non
solamente non fine a se stessa, ma
mezzo, necessario e nobilissimo, per
il compimento del fine supremo, e vale
a dire l'umanit. La patria il
punto d'appoggio della leva che si
libra tra l'individuo e l'Umanit.
Ora l'umanit ancora Europa: il
pensiero di Mazzini sempre rivolto
all'Europa giovane, all'Europa dei
popoli che sta per trionfare,
succedendo alla vecchia e morente
Europa dei prncipi. Sogno del Mazzini
non solo Italia, ma Italia ed
Europa: e infatti alla Giovine Italia
segue la Giovine Europa.
Ora, come possono operare
armonicamente le nazioni per il fine
comune? Ecco, a questo punto, il
concetto di missione, che serve
precisamente per armonizzare il tutto
e le singole parti. Ogni popolo ha
avuto da Dio una sua missione;
l'insieme di tutte quelle missioni
compiute in bella e santa armonia pel
bene comune, rappresenter un giorno
la patria di tutti, la Patria delle
Patrie, l'Umanit (:Ai giovani in
Italia, 1859, in Scritti Ed' In',
ed' naz', Lxiv, p' 164).
L'epoca nuova, l'epoca sociale, che
succede all'epoca individuale, ha per
programma Dio e l'Umanit: l'Umanit
l'anima, il pensiero, il verbo
dell'Epoca nuova: occorre quindi

ritemprare la nazionalit e metterla


in armonia coll'Umanit: in altri
termini redimere i popoli colla
coscienza d'una missione speciale
fidata a ciascuno di essi e il cui
compimento, necessario allo sviluppo
della grande missione umanitaria, deve
costituire la loro individualit ed
acquistare ad essi un diritto di
cittadinanza nella Giovane Europa che
il secolo fonder (:Dell'Iniziativa
rivoluzionaria in Europa, 1834, in
Scritti Ed' In', Iv, pp' 167 e
180).
L'idea di missione dunque il mezzo
per accordare vigoroso sviluppo delle
singole individualit nazionali e
aspirazioni ad una pi ampia comunit
civile.
L'idea non era certamente nuova,
quando Mazzini la riprese; era anzi
ormai un motivo ben vivo nella cultura
europea, ad opera di scrittori
francesi e tedeschi. Gi il De Maistre
aveva affermato che ogni nazione, come
ogni individuo, ha una missione da
assolvere, e aveva rivendicato alla
Francia la magistratura francese
sull'Europa, rinvenendo nella lingua e
nello spirito di proselitismo
caratteristico dei Francesi, i due
strumenti con cui la nazione francese
muoveva il mondo (:Considrations sur
la France, 1796, cap' Ii).
E dall'altra parte del Reno la
missione tedesca era stata esaltata da
Federico Schiller, il quale, in un
frammento preparatorio di una lirica
sulla grandezza tedesca (probabilmente
del 1801) aveva esclamato anche se il
mondo ha disposto diversamente,
bisogna che colui che forma lo
spirito, sebbene da principio sia
dominato, finisca per dominare. Gli
altri popoli saranno stati il fiore
caduco, questo sar il durevole frutto
dorato. Gli Inglesi sono avidi di
tesori, i Francesi di splendore, ai
Tedeschi spetta in sorte il destino
pi alto: vivere a contatto con lo
spirito del mondo Ogni popolo ha la
sua giornata nella storia, la giornata
dei Tedeschi sar la messe di tutte le
et. (5)
Gi due anni prima, d'altronde, il
(5) F' Meinecke, :Cosmopolitismo e
Stato nazionale, trad' it',
Perugia-Venezia, 1930, pp' 54-55.
Novalis aveva espresso idee non
dissimili, anche se il concetto di
missione vi era meno marcato: in
Germania si possono gi indicare con
piena sicurezza le tracce di un nuovo
mondo. La Germania precede con passo

lento ma sicuro i rimanenti paesi


europei. Mentre questi sono impegnati
nella guerra, nella speculazione e
nello spirito di partito, il Tedesco
fa di se stesso con ogni diligenza il
partecipe di una pi alta epoca della
civilt; e questo progresso dovr
dargli nel corso dei secoli una grande
preponderanza sugli altri (op'
cit', pp' 18-19).
Mazzini dunque il pi tipico, il
pi alto rappresentante di una
imponente corrente di pensiero europeo
che cerca di salvaguardare in pari
tempo i diritti delle singole nazioni
e i diritti della maggiore comunit
che si chiama Europa. Per dirla ancora
con Novalis, questo lo sforzo di
universalizzare, e cos canonizzare e
rendere generale tutto ci che
nazionale, temporale, locale,
individuale (Frammenti
antropologici, Xii, op' cit', p'
62).
Ora, a prescindere qui dalle molte
altre e importantissime conseguenze,
di carattere ideologico e politico,
che l'idea di nazione ebbe sulla
storia europea del sec' Xix, quali
furono le ripercussioni che
l'affermazione della nazione e di una
missione affidata ai singoli popoli, a
tutti i popoli, ebbe sulla coscienza
europea?
Essenzialmente questo: storicizzare,
per cos dire, i caratteri tipici
della civilt europea, nel senso di
ricercare come essi si fossero venuti
svolgendo, attraverso una storia ormai
millenaria, ad opera delle varie
nazioni. Il Settecento aveva delineato
la fisionomia morale dell'Europa: ma
era una fisionomia per cos dire
immobile, nel senso che si precisavano
quali fossero i suoi lineamenti
attuali, senza troppo preoccuparsi di
chiedersi come essi si fossero
costituiti attraverso i secoli.
Qualche accenno di carattere storico
indubbiamente c'era stato: basti
pensare alla libert germanica in
Montesquieu, o alle quattro grandi et
dello spirito umano (et di Pericle,
et di Augusto, et di Leone X, et di
Luigi Xiv) che Voltaire aveva esaltato
come le pietre miliari della storia
dell'umanit. Ma erano rari accenni,
che non incidevano poi a fondo sul
pensiero: il quadro effigiato era
quello dell'Europa di oggi; e anzi,
per essere ancora pi precisi, era
quello della Francia del Settecento,
giacch la Francia assorbiva l'Europa.
Ora invece non soltanto si vedr la

civilt europea formata grazie agli


apporti di molte nazioni, ma si
cercher di indagare nel passato come
e quando questi apporti siano stati
dati. La valutazione storica acquista
un'importanza mai prima avuta: non v'
che da aprire l':Histoire gnrale de
la civilisation en Europe del Guizot
per rendersene conto. Come il pi
ricco senso storico induce a
rivalutare il Medioevo, cos induce a
vedere la civilt europea non soltanto
nel suo punto di arrivo, bens anche
nel suo secolare svolgimento, in cui
le nazioni maggiori appaiono di volta
in volta tenere lo scettro della
civilt, succedendosi l'una all'altra
in tale compito di guida e
contribuendo cos ciascuna
all'infinita variet e ricchezza della
presente civilt europea. E cos la
coscienza europea della prima met
dell'Ottocento, che accoglie quasi
tutti i motivi illuministici, li
arricchisce per e li trasforma
soprattutto in motivi di
considerazione storica.
Capitolo sesto
I caratteri che abbiamo sopra
descritti si presentano con il massimo
rilievo nelle due opere dello storico
francese Guizot, l'Histoire gnrale
de la civilisation en Europe, depuis
la chute de l'Empire romain jusqu' la Rvolution franaise, e
l':Histoire de la civilisation en
France depuis la chute de l'Empire
romain jusqu'en 1789, che, insieme,
formarono il :Cours de l'histoire
moderne. (1)
Guizot vuol fare la storia della
civilt europea, perch evidente
che esiste una civilt europea; che
una certa unit risplende nella
civilt dei diversi Stati dell'Europa;
ch'essa deriva da fatti press'a poco
simili, nonostante grandi diversit di
tempo, di luogo e di circostanze; che
essa si ricollega agli stessi princpi
e tende a produrre quasi ovunque
risultati analoghi (lezione I, p' 8).
Qui, come chiaro, abbiamo la ripresa
piena dei motivi europeistici del
Settecento, e soprattutto di quelli
culturali e morali gi cos fortemente
(1) Cito dall'edizione di Bruxelles,
1839.
marcati da un Voltaire. L'Europa
unit civile, l'Ottocento accetta in
pieno l'affermazione del secolo che lo
ha preceduto.
Ma questa civilt non pu essere
cercata e la sua storia non si
riassume nella storia di uno solo

degli Stati europei: se essa


unitaria, la sua variet non meno
prodigiosa; essa non si sviluppata
tutta intera in nessun paese singolo.
I lineamenti della sua fisionomia sono
sparsi: bisogna cercare gli elementi
della sua storia ora in Francia, ora
in Inghilterra, ora in Germania, ora
in Spagna. E qui, invece, cogliete
quel che di nuovo apporta il
Romanticismo nella coscienza europea.
Non che, gi nel Settecento, non vi
fossero stati accenni al contributo
delle varie nazioni nel formarsi della
civilt europea; basti pensare
all'esaltazione che del Rinascimento
aveva fatto il Voltaire, al suo
fissare le quattro grandi et dello
spirito umano in quattro paesi
diversi, Grecia e Roma antica (secolo
di Pericle e secolo di Augusto) e, per
l'et moderna, nell'Italia e nella
Francia (secolo di Leone X e secolo di
Luigi Xiv). Ma, come si gi detto,
il dato storico non trova sviluppo,
rimane un rapido accenno, perch quel
che interessa , allora, precisamente
non lo sviluppo storico, bens
semplicemente il punto di arrivo; e
perch, anche, la nazione non ancora
per gli illuministi la grande
personalit morale e spirituale che
invece per i romantici.
Ora, invece, riaffermata l'esistenza
di una civilt europea, accettato cio
il punto di arrivo in conformit del
pensiero settecentesco, si chiede come
ci si sia giunti; e tale domanda, che
risponde al pi ricco senso storico
dell'et romantica nei confronti di
quella illuministica, offre ad un
tempo piena soddisfazione al senso
della nazione che proprio il
Romanticismo ha svolto. Se il punto di
arrivo infatti unitario, e tende un
po' a fare scomparire le diversit
nazionali nel complesso comune, lo
svolgimento storico che a tale punto
di arrivo ha condotto invece
un'esaltazione della variet
nell'unit: quest'ultima ha potuto
affermarsi solo perch da tutte le
parti, in forme e modi diversi, si
collaborato all'opera comune; e la
collaborazione reca, incancellabile,
l'impronta dei singoli gen
nazionali. La civilt europea pu
esistere in quanto sono esistite ed
esistono molte civilt nazionali,
ciascuna delle quali d qualcosa che
le altre non possono dare: il connubio
tra particolare e generale, tra
nazione ed Europa dunque felicemente
concluso.

A prescindere anche dal particolare


risalto che il Guizot, come vedremo
pi avanti, d alla libert politica,
quale caratteristica dell'Europa, gi
la stessa impostazione generale una
esaltazione della libert: perch un
simile confluire di motivi
diversissimi in un'unit comune, un
simile armonizzarsi di tendenze e
princpi variatissimi, che pur trovan
modo di alimentare una civilt
complessiva comune a tutti, accettata
da tutti, che cosa significa se non la
libera collaborazione dei popoli,
nessuno chiuso in s e rifiutante il
progresso altrui, tutti invece
simultaneamente disposti a dare ed a
ricevere?
Per vero, il Guizot sottolinea con
molta chiarezza questo fatto.
Paragonando infatti la civilt
dell'Europa moderna con le civilt che
l'hanno preceduta, sia in Asia, sia
altrove, comprendendovi perfino la
civilt greco-romana, impossibile egli afferma - di non essere colpiti
dall'uniformit che regna in quelle
altre civilt. Esse sembrano emanate
da un solo fatto, da una sola idea; si
direbbe che la societ ha appartenuto
ad un principio unico che l'ha
dominata, e ne ha determinato le
istituzioni, i costumi, le credenze,
in una parola tutto lo sviluppo
(lezione Ii, p' 16). In Egitto, per
esempio, la societ era interamente
dominata dal principio teocratico e
nell'India lo stesso; altrove la
societ fu l'espressione del principio
democratico, come nelle repubbliche
commerciali fiorite sulle coste
dell'Asia Minore, della Siria ecc';
altrove ancora fu il dominio di una
casta guerriera, di guisa che tutte le
civilt antiche hanno un singolar
carattere di unit e derivano e sono
dominate da una forza unica. Se in
qualche momento vi stata lotta fra
due princpi (per es' casta dei
guerrieri contro casta dei preti), la
lotta quasi sempre rapidamente
terminata col trionfo esclusivo o
quasi di uno dei due princpi.
Deriva da ci la notevole semplicit
delle civilt antiche, la rapida
decadenza di paesi come la Grecia che
pur avevano avuto un meraviglioso
sviluppo, ma in cui il principio
creatore della civilt, una volta
esauritosi, non stato sostituito da
nessun altro; oppure, come nell'Egitto
e nell'India, l'immobilit della
societ, fermatasi ad un certo punto
del suo sviluppo.

La stessa causa d origine al


fenomeno politico della tirannia,
tipico di tutte le civilt antiche.
Persino nella letteratura, nell'arte,
nella vita spirituale insomma,
identica unit, semplicit, monotonia
di motivi.
Completamente diverso il carattere
della civilt dell'Europa moderna
(intendendosi per moderna dal Guizot
l'Europa medievale e moderna, cio
l'Europa dalla fine del mondo romano e
quindi, potremmo dire con Cesare
Balbo, dell'Europa cristiana). La
civilt europea varia, anche
tempestosa: Vi coesistono tutte le
forme, tutti i princpi di
organizzazione sociale; i poteri
spirituale e temporale, gli elementi
teocratico, monarchico, aristocratico,
democratico, tutte le classi, tutte le
situazioni sociali si frammischiano e
premono l'una sull'altra; vi sono
infiniti gradi nella libert, nella
ricchezza, nella influenza. E queste
forze diverse sono fra loro in uno
stato di lotta continua, senza che
nessuna riesca a soffocare le altre ed
a prendere da sola possesso della
societ. Nei tempi antichi, ad ogni
grande epoca, tutte le societ
sembravano forgiate sullo stesso
stampo: ora prevale la monarchia pura,
ora la teocrazia o la democrazia, ma
ciascuna a sua volta prevale
completamente. L'Europa moderna offre
esempi di tutti i sistemi, di tutti
gli esperimenti di organizzazione
sociale; le monarchie pure o miste, le
teocrazie, le repubbliche pi o meno
aristocratiche vi hanno vissuto
simultaneamente, fianco a fianco le
une alle altre; e malgrado la loro
diversit, esse hanno tutte una certa
somiglianza, una certa aria di
famiglia che impossibile
misconoscere.
Stessa variet, stessi contrasti
nelle idee e nei sentimenti
dell'Europa. Le credenze teocratiche,
monarchiche, aristocratiche, popolari,
s'incrociano, si combattono, si
limitano e si modificano. Aprite gli
scritti pi audaci del Medioevo: mai
un'idea vi seguita fino alle estreme
conseguenze. I partigiani del potere
assoluto indietreggiano
improvvisamente, e a loro insaputa,
davanti ai risultati della loro
dottrina; si sente che attorno a loro
vi sono idee, influssi che li fermano
e impediscono loro di andare sino in
fondo. I democratici subiscono la
stessa legge. Mai quella

imperturbabile audacia,
quell'accecamento della logica che
rifulgono nelle civilt antiche.
Stessa variet, stessi contrasti nei
sentimenti, nella letteratura,
nell'arte: e se la letteratura e
l'arte sono dal punto di vista della
forma meno perfette di quelle antiche,
ci deriva appunto dal fatto della
prodigiosa diversit di idee e di
sentimenti della civilt europea, che
ha scosso l'anima umana su pi vasta
distesa ed a pi grande profondit, ma
che per questo pi difficilmente pu
giungere a quella chiarezza e
semplicit in cui risiede la bellezza
formale dell'opera d'arte.
Tale dunque il carattere dominante
della civilt europea. Perci civilt
incomparabilmente pi ricca di tutte
le altre; civilt che dura da quindici
secoli e che tuttavia in continuo
progresso: molto meno rapida nel suo
dispiegarsi della civilt greca, essa
non cessa di crescere, mentre l'altra
dopo la prodigiosa ascesa aveva
conosciuto il rapido declino. Perci,
anche, mentre le altre civilt hanno
conosciuto soltanto la tirannia, che
si esercitata nelle forme pi varie
ed in nome dei princpi pi diversi,
anche nell'apparente democrazia delle
citt greche, perch ogni tendenza
diversa da quella dominante era
proscritta, l'Europa moderna la
madre della libert: che significa
impossibilit per una sola forza di
soffocare le altre: non potendo
determinarsi, i princpi diversi hanno
dovuto vivere assieme, venire a
transazione, accontentarsi ciascuno
solo di una parte di dominio: la
libert stata cos il risultato
della variet degli elementi della
civilt europea. La quale non dunque
n ristretta, n esclusiva, n
stazionaria; essa entrata se
permesso dirlo, nella eterna verit,
nel piano della Provvidenza; essa
cammina sulle vie di Dio. il
principio razionale della sua
superiorit (lezione Ii, pp' 17-18).
In questo quadro fondamentale su cui
il Guizot richiama l'attenzione del
lettore, il principio
dell'unit-variet viene svolto intero
tanto da condurre ad alcune
conseguenze che ci portano oltre il
modo di vedere degli europeisti del
Settecento. Identica l'esaltazione
della gloria dell'Europa; identico,
l'esaltare la libert europea contro
la tirannia, fatto non europeo;
identico, ancora, il sottolineare

l'immobilit delle civilt non


europee. Ricordiamo le affermazioni di
Montesquieu e di Voltaire sulla
immobilit asiatica, sulla
impossibilit dei Cinesi di progredire
oltre un certo limite, tanto che la
loro rapidissima ascesa iniziale ad un
certo punto s'arresta e la loro vita
diviene stazionaria. Ma il fatto
caratteristico nel Guizot che anche
la Grecia e Roma antiche sono
accomunate, sotto questo punto di
vista, ai paesi dell'Oriente.
Abbiamo visto come gi per un
Machiavelli e poi soprattutto per un
Montesquieu la libert politica avesse
avuto le sue origini nelle antiche
repubbliche greche e nella repubblica
romana. Poi, s, era sopravvenuto
l'impero romano, che aveva distrutte
quelle libert, rendendo necessaria,
per un Montesquieu, l'apparizione
nella storia dei Germani, padri
diretti delle libert moderne. Ma
anche per un Montesquieu, con tutta la
sua esaltazione della libert nata nei
boschi, tra i rudi popoli germanici,
Sparta e Atene e Roma repubblicana
conservavano tutto il fascino di cui
le aveva rivestite una tradizione
secolare; anche per lui la libert era
nata nel mondo con la grande lotta dei
liberi Greci contro la tirannide
asiatica, incarnata nel re dei
Persiani.
Dal punto di vista culturale,
identico atteggiamento. Un Voltaire,
non solo pone il secolo di Pericle e
il secolo di Augusto sullo stesso
piano del secolo di Leone X e del
secolo di Luigi Xiv, ma vede nel
Rinascimento italiano, cio nella
prima grande epoca spirituale
dell'Europa moderna, il risultato del
rifiorire degli studi sull'antichit
classica, il risultato
dell'imitazione. Il vero
Rinascimento comincia per lui infatti
dopo la caduta di Costantinopoli in
mano ai Turchi, con l'esodo dei dotti
greci in Italia. La poesia greca,
l'arte greca non presentano per lui
nessun carattere fondamentale diverso
dalla poesia, dall'arte delle grandi
epoche dell'Europa moderna; persino la
poesia araba egli esalta come potrebbe
esaltare la poesia europea. Non
diversit di principio tra la vita
culturale del mondo antico e quella
dell'Europa moderna; ma diversit,
invece, tra queste due, insieme a
quella del Medioevo, rozza e barbara.
Nella storia dell'umanit c' un
periodo oscuro di dieci secoli, che si

chiama appunto Medioevo; al di sopra


di esso si tendono la mano due grandi
et dello spirito umano, l'et
greco-romana e l'et che dal
Rinascimento continua poi, in
progresso incessante, verso
l'avvenire.
Il quadro di Guizot , come vedete,
completamente diverso. Per la prima
volta, il principio della tirannide
abbraccia non solo tutte le civilt
extraeuropee, ma tutto il mondo
antico, Grecia e Roma comprese: per la
prima volta letteratura arte pensiero
dei Greci e dei Romani vengono
assimilati a pensiero letteratura arte
degli Orientali e divisi invece, per
una diversit sostanziale, da pensiero
letteratura arte dell'Europa moderna.
La separazione non pi soltanto
tra Asia, antica e moderna, ed Europa;
bens tra Asia pi mondo antico, anche
greco-romano, ed Europa moderna.
Viceversa, nonch essere ributtato
lontano come periodo di barbarie e di
decadimento completo del genere umano,
il Medioevo diventa l'inizio della
civilt europea di cui si tesse
l'elogio.
E in questo appunto si avverte bene,
riflesso nel problema particolare di
cui ci occupiamo, il profondo
mutamento di concezioni e di
prospettive che caratterizzano il
Romanticismo nei riguardi
dell'Illuminismo.
Rivalutazione della forza e
fecondit del sentimento religioso:
quindi atteggiamento di piena
comprensione e simpatia per le epoche
in cui il sentimento religioso
vigoreggia. Il Guizot calvinista, ma
il suo modo di sentire da questo
punto di vista generale all'unisono
con il sentimento dei romantici
cattolici, che assai prima di lui
hanno scoperto il Medioevo
e lo hanno proposto non pi al
disprezzo bens all'ammirazione dei
popoli. Si pensi ad un Novalis, ad un
Federico Schiegel. L'Europa l'Europa
cristiana, la cristianit.
Non per nulla, dopo Guizot, uno
storico italiano cattolico, che del
Guizot sub l'influsso, ripercorrendo
anch'egli le vicende passate d'Italia
e d'Europa parl quasi sempre pi che
di Europa, di cristianit; e fu Cesare
Balbo, nei cui :Pensieri sulla Storia
d'Italia e nelle cui Meditazioni
storiche il problema del formarsi
della civilt europea ritorna, anche
qui come flusso e riflusso di motivi
che vengono da diverse parti, ma che

trovano una fondamentale unit proprio


nel comune denominatore cristiano.
L'accentuazione religiosa della
civilt europea trova nel Balbo
espressioni meno passionali, certo, e
immaginative che nel Novalis, ma
sostanzialmente non molto diverse.
Su questo punto dunque, il punto
storico della civilt europea subisce
modificazioni profonde rispetto alle
concezioni dell'Illuminismo. E si deve
ancora notare che la scarsa
considerazione delle repubbliche
antiche, esempio ancora per un
Montesquieu di libert, non una
novit del Guizot, bens s'inquadra in
tutto il generale atteggiamento del
pensiero storico-politico del
Romanticismo. Perch, se Benjamin
Constant pone una netta differenza
teorica tra la libert degli antichi e
quella dei moderni, in sede di
applicazione storica lo sguardo dei
romantici si appunta non pi verso
Sparta o Atene o Roma repubblicana,
bens verso le repubbliche medievali,
verso le citt soprattutto italiane
alle quali si attribuisce l'onore di
essere state le madri della libert
del mondo moderno. Pensiamo a Sismondi
e alla sua :Histoire des rpubliques
italiennes du Moyen Age, opera che
ebbe vasta ripercussione e che appunto
costituisce l'esaltazione delle
repubbliche italiane medievali con le
quali s'inizia la storia della libert
e in pari tempo del progresso civile
dell'Europa moderna.
Fermo restando dunque il concetto
settecentesco dell'unit della civilt
europea, quest'unit si presenta ora
articolata, ricca di una molteplicit
di motivi e di una variet di toni che
permettono appunto di esaltare ad un
tempo l'unit europea e le singole
civilt nazionali, cio la nazione,
questo nuovo ideale del pensiero
europeo. Tutte le nazioni
contribuiscono, ciascuna per la sua
parte e a modo suo. Per, pur non
potendo nessuna nazione pretender di
essere l'esclusiva depositaria della
verit, cio di aver da sola creata la
civilt europea, fra tutte le nazioni
qualcuna ve n' che ha dato pi delle
altre e che nel suo carattere riassume
meglio il carattere generale europeo.
Ed eccoci dunque al terzo punto, la
missione di una nazione; anzi,
addirittura, il primato di una
nazione sulle altre. Il concetto di
missione infatti, di cui abbiamo gi
parlato, e che nel Mazzini
soprattutto dovere di una nazione

verso l'umanit, si tramuta facilmente


in quello di primato, dove si accentua
il diritto di una nazione a guidare
le altre: ed anche qui
caratteristico che le maggiori nazioni
europee rivendichino, ciascuna, tale
primato di civilt. Gi nelle
affermazioni che abbiamo visto del De
Maistre da una parte, del Novalis e
dello Schiller dall'altra, avete
potuto osservare questa nota di
orgoglio nazionale; Francesi e
Tedeschi rivendicano a s il maggior
merito dell'incivilimento del mondo.
Proprio alla tesi largamente sostenuta
del primato francese Mazzini
contrapporr, sin dal 1834,
l'iniziativa italiana assegnando
cio all'Italia il compito di essere
iniziatrice della nuova ra
dell'umanit: nel che, sar palese il
bisogno di salvare l'individualit
nazionale italiana contro l'imitazione
altrui. (2)
E poi, sar il Gioberti a proclamare
apertamente il primato morale e civile
dell'Italia accentuando assai la nota
nazionalistica.
Non il caso di sottolineare qui
come un siffatto concetto di primato
recasse in s germi pericolosi per
l'avvenire: esso poteva diventare
infatti, come divenne, un eccitamento
allo smodato orgoglio nazionale, alla
presunzione ed alla irragionevole
superbia, come deplorava infatti,
proprio riferendosi al Gioberti,
Cesare Balbo, (3) e con ci esso
poteva diventare, come divenne, un
elemento fortemente dissolvitore della
stessa idea dell'unit civile europea.
A forza di insistere sui titoli di
merito di una nazione singola, tutta
la grandezza della civilt comune
finiva col concentrarsi in quella sola
(2) Cfr' A' Omodeo, :Primato
francese e iniziativa italiana, in
:Figure e passioni del Risorgimento,
Palermo, 1932, pp' 51 sgg'.
(3) :Della monarchia
rappresentativa in Italia, Firenze,
1857, p' 148.
nazione, senza pi bisogno dunque
della collaborazione delle altre: la
verit-unit esaltata dai romantici
diventava una semplice unit in cui la
Francia o la Germania o l'Inghilterra
o l'Italia (a seconda si esaltasse il
primato dell'una o dell'altra di
queste nazioni) facevan tutt'uno con
l'Europa stessa.
Ci basti ora osservare che se nel
Guizot non si giunge ancora a una
simile ipertrofia del primato

nazionale, il primato per


chiaramente affermato e s'intende a
favore della Francia: Credo che si
possa dire senza adulazione che la
Francia stata il centro, il focolaio
della civilt europea. Sarebbe
eccessivo pretendere che essa abbia
sempre camminato, in tutte le
direzioni, alla testa delle nazioni.
In diversi periodi, essa stata
superata, nelle arti, dall'Italia; dal
punto di vista delle istituzioni
politiche, dall'Inghilterra. Forse,
sotto altri riguardi, in certi
momenti, si troverebbero altri paesi
europei che le sono stati superiori;
ma impossibile misconoscere che,
ogni qualvolta la Francia si vista
superata nella via della civilt, essa
ha ripreso nuovo vigore, si lanciata
e si ritrovata ben presto al livello
degli altri o innanzi a tutti. Non
soltanto le cos successo; ma le
idee, le istituzioni civilizzatrici,
per cos dire, nate in altri paesi,
quando hanno voluto trapiantarsi,
diventar feconde e generali, agire nel
vantaggio comune della civilt
europea, sono state in qualche modo
costrette a subire in Francia una
nuova preparazione; ed dalla Francia
come da una seconda patria, pi
feconda, pi ricca, che esse si sono
slanciate alla conquista dell'Europa.
Non vi quasi nessuna grande idea,
nessun grande principio di civilt
che, per diffondersi ovunque, non sia
anzitutto passato attraverso la
Francia.
Gli che nel genio francese v'ha
qualche cosa di socievole, di
simpatico, qualche cosa che si
diffonde con maggior facilit ed
energia che nel genio di ogni altro
popolo: sia la nostra lingua, sia il
particolare modo di essere del nostro
spirito, dei nostri costumi, le nostre
idee sono pi popolari, si presentano
con maggior chiarezza alle masse, vi
penetrano pi facilmente: in una
parola la chiarezza, la socievolezza,
la simpatia sono il carattere
particolare della Francia, della sua
civilt, e tali qualit la rendono
adatta in modo eminente a marciare
alla testa della civilt europea
(lezione I, p' 8).
Le fondamenta del primato francese
cos gi poste, vengono ancora
consolidate nella successiva
:Histoire de la civilisation en
France.
Perch qui infatti la socievolezza e
la simpatia, o per dirla con termini

odierni la capacit propagandistica


della Francia, non sono pi le sole
ragioni del primato francese: vi sono
cause pi generali e profonde, che
l'opinione pubblica europea ha
istintivamente riconosciute, e tali
cause sono strettamente collegate con
la natura stessa della civilt.
Per Guizot, la civilt consiste
infatti essenzialmente in due motivi:
lo sviluppo della condizione sociale e
lo sviluppo della condizione
intellettuale, vale a dire lo sviluppo
delle condizioni esteriori e generali,
e quello della natura interiore,
personale dell'uomo, insomma il
perfezionamento della societ e
dell'umanit. Ora perch la civilt
sia piena, occorre che questi due
fatti si verifichino simultaneamente,
siano strettamente collegati, agiscano
l'uno sull'altro; altrimenti, quando
l'uno si sviluppa e l'altro no, nasce
il senso dell'incompletezza della
civilt. Quando in un popolo si ha un
grande miglioramento sociale, un
grande progresso del benessere
materiale, ma senza sviluppo
culturale, senza progresso nelle idee,
il miglioramento sociale sembra
precario, inesplicabile. Viceversa se
in un paese si assiste ad un grande
sviluppo intellettuale non
accompagnato dal progresso sociale,
par di vedere un bell'albero senza
frutto, un sole che non scalda, che
non feconda e si finisce con lo
sdegnarsi per delle idee cos sterili
e che non padroneggiano il mondo
esteriore. Necessit quindi
dell'unione, simultaneit,
interdipendenza dello sviluppo
intellettuale e dello sviluppo
sociale.
Ora, se si considerano le civilt
delle varie nazioni d'Europa si scorge
che la civilt francese la pi
completa, la pi conforme al tipo
della civilt in genere, e pertanto
quella che meglio rappresenta la
storia dell'Europa nel suo insieme.
La civilt inglese infatti ha avuto
di mira particolarmente lo sviluppo
sociale; il suo principio ispiratore,
e la sua forza, ma nello stesso tempo
il suo limite, l'utilit,
l'applicazione pratica. Il suo trionfo
la vita politica e sociale, di cui
il Guizot ha tessuto un altissimo
elogio gi nella :Histoire de la
civilisation en Europe (lezione Xiv,
p' 166); il suo limite, lo sviluppo
delle idee, l'attivit intellettuale.
Esattamente opposto il carattere della

civilt tedesca: qui lo sviluppo


intellettuale ha sempre sopravanzato
lo sviluppo sociale; la pura attivit
intellettuale ha sempre dominato, ma
senza capacit di azione sul mondo
esterno.
Quanto all'Italia, la sua civilt
non stata n essenzialmente pratica,
n quasi esclusivamente speculativa;
gli Italiani hanno conosciuto i grandi
sviluppi dell'intelligenza individuale
e anche dell'attivit sociale, hanno
brillato contemporaneamente nelle
scienze, nelle arti, nella filosofia,
cos come nella politica e negli
affari. Ma all'Italia manca la fede
nella verit, cio quella fede per cui
non solamente l'intelligenza
soddisfatta, ma sorge la volont di
piegare e governare i fatti e di
dominare sul mondo, in maniera che
l'uomo, convinto di esser nel vero,
s'impegna a far trionfare questo vero,
riformando anche le situazioni
esterne. Ora questo generalmente
mancato all'Italia: essa stata
feconda in grandi intelletti, in idee
generali; stata piena di uomini di
una rara abilit pratica, espertissimi
nell'arte di condurre la societ; ma
queste due classi di uomini sono
rimaste estranee l'una all'altra. I
grandi ingegni speculativi non si sono
applicati a far trionfare praticamente
la loro verit, agendo sulla societ;
mentre d'altra parte gli uomini
d'affari e i politici non hanno quasi
tenuto alcun conto delle idee generali
e delle conquiste dell'intelligenza, e
non hanno quasi mai provato il bisogno
di organizzare la vita pratica secondo
certi princpi, gli uni e gli altri
hanno agito come se la verit non
fosse buona che a conoscersi e non
avesse nulla da chiedere n da fare di
pi. Questo stato, nel Quattrocento
come pi tardi, il lato debole della
civilt italiana, che ha colpito di
una specie di sterilit sia il suo
genio speculativo, sia la sua abilit
pratica.
Quanto alla Spagna, essa stata una
societ solennemente immobile, nella
cui storia non mancano certo n grandi
ingegni n grandi fatti, ma sono
isolati, buttati qua e l, senza
continuit. La Spagna poco ha ricevuto
e poco ha dato all'Europa: la sua
civilt ha scarsa importanza nella
storia europea.
Inghilterra, Germania, Italia,
Spagna, nessuna di queste nazioni
offre l'immagine press'a poco
completa, il tipo puro della civilt,

ove si abbia riguardo al fatto


fondamentale, al fatto sublime, vale
a dire l'unione intima rapida, lo
sviluppo armonico delle idee e dei
fatti, dell'ordine intellettuale e
dell'ordine pratico.
In Francia, invece, lo sviluppo
intellettuale e lo sviluppo sociale
hanno sempre camminato se non proprio
di pari passo, almeno a brevissima
distanza l'uno dall'altro. A lato di
grandi eventi, di rivoluzioni
politiche, di miglioramenti nelle
condizioni della societ, nella storia
francese si scorgono sempre idee
generali, dottrine che corrispondono a
quei fatti. Nulla avvenuto nel mondo
pratico, di cui l'intelligenza non si
sia immediatamente impossessata,
traendone per proprio conto una nuova
ricchezza; e nulla avvenuto nel
dominio dell'intelligenza che non
abbia avuto, e molto presto, le sue
ripercussioni nel mondo pratico. In
genere anzi, le idee in Francia hanno
preceduto e persino provocato il
progresso dell'ordine sociale che si
preparato nelle dottrine prima di
compiersi nelle cose. Questo doppio
carattere di attivit intellettuale e
di abilit pratica, di meditazione e
di applicazione, impronta tutti i
grandi eventi della storia di Francia,
in tutte le grandi classi della
societ francese, e d loro una
fisionomia che non si trova altrove.
Da qualunque punto di vista si
consideri la Francia, si trover in
essa questo doppio carattere; i due
fattori essenziali della civilt vi si
sono sviluppati in stretta
correlazione; mai l'uomo stato privo
di grandezza individuale, mai la sua
grandezza individuale stata priva di
utilit pubblica. Il buon senso, di
cui si parla come di un carattere
tipico del genio francese, non un
buon senso puramente pratico, ma un
buon senso elevato, ampio, un buon
senso filosofico, che penetra nel
fondo delle idee, e le comprende e le
giudica in tutta la loro portata,
nello stesso tempo tenendo conto dei
fatti esterni. Questo buon senso la
ragione; lo spirito francese
simultaneamente razionale e
ragionevole. Perci la civilt
francese la pi completa, la pi
vera, quella che vi produce meglio di
ogni altra l'idea fondamentale della
civilt (:Histoire de la civilisation
en France, pp' 128-33).
evidente l'approfondimento del
genio francese dalla prima alla

seconda Histoire. Nella prima siamo


ancora fermi ai motivi ereditati dal
Settecento e accettati anche da un De
Maistre. Sostanzialmente, carattere
distintivo del genio francese la
socievolezza, l'esprit de socit
dei Montesquieu e dei Voltaire, vale a
dire la capacit di suscitare larghi
consensi, di modificare le idee, di
renderle accessibili a tutti, anche
mediante quel magnifico istrumento che
la lingua francese, chiara e
precisa. Nella seconda Histoire, non
pi solo questione di socievolezza e
di capacit propagandistica, ma
proprio del fatto che in Francia alta
capacit speculativa ed energia
pratica si fondono in un insieme
armonioso: del fatto cio che le idee
francesi non sono soltanto pi
accessibili, ma sono pi vere, e
diventano pi accessibili precisamente
perch pi vere.
Quanto ai caratteri attribuiti agli
altri popoli, essi sono delineati
secondo formule abbastanza
convenzionali. Sul carattere pratico
degli Inglesi, convengono gi assai
prima del Guizot si pu dire tutti gli
scrittori che ne parlano, sia che gli
uni pongano particolarmente in rilievo
la loro capacit politica, il loro
spirito di libert (quel che il Guizot
chiama la loro capacit di
perfezionamento sociale), come negli
anglofili del Settecento e
dell'Ottocento; sia che si sottolinei
invece, con un certo senso di
disprezzo, la loro tendenza
commerciale, la loro avidit di
tesori, secondo aveva detto lo
Schiller.
Che la Germania sia la terra dei
grandi pensatori, delle profonde
teorie, dell'intimit poetica, questo
era diventato luogo comune in Francia
da quando, per la prima volta, lo
aveva affermato M'me de Stal nella
celebre opera De l'Allemagne
(1810).
Quanto all'Italia, il giudizio del
Guizot sulla mancanza di fede nella
verit che la caratterizzerebbe,
rientra nel pi generale giudizio che
imputava agli Italiani precisamente la
fiacchezza del senso morale, la scarsa
fede che vuol dire anche lo scarso
spirito di sacrificio per far
trionfare le proprie idee: del che si
rinveniva la prova nel tiepido senso
religioso degli Italiani, nel loro
cattolicesimo formale, tutto pratiche
esteriori di culto e niente intimit
di coscienza religiosa, e nella loro

incapacit di attuare una grande


riforma religiosa (scarsissime
ripercussioni della Riforma
protestante nel Cinquecento in
Italia). Ed giudizio che troviamo
non soltanto espresso da stranieri ma
da Italiani, e tra i maggiori: quando
Balbo battezza il Rinascimento
italiano epoca di grande cultura ma
non di grande civilt, e allo
splendore delle arti contrappone la
corruzione morale e la fiacchezza del
sentire civico, che preparano la
rovina politica d'Italia e lo stesso
decadere della cultura, non fa che
riprender sostanzialmente la
distinzione del Guizot fra gli uomini
di pensiero italiani, chiusi in s e
incapaci di agire sulla realt, e gli
uomini pratici, politici o mercanti,
abilissimi nel maneggio quotidiano
degli affari, ma incapaci di dare un
indirizzo, uno stile alla loro
abilit, subordinandola al
conseguimento di un ideale. Anche
l'atto di accusa che Francesco de
Sanctis ha elevato contro il
Rinascimento, dal punto di vista
morale rientra in siffatto genere di
considerazioni, all'origine delle
quali forse si potrebbero ritrovare le
stesse invettive del Machiavelli
contro i prncipi italiani senza anima
e senza fede.
Tale dunque l'inquadramento
generale della civilt europea nel
Guizot. E vi scorgiamo rimaner ben
fermo il principio, posto dal
Settecento, dell'unit civile europea;
ma vi scorgiamo pure gli ulteriori
sviluppi e arricchimenti di quel
principio attraverso il pensiero
dell'et romantica. La civilt europea
non pi riguardata semplicemente
cos come si presenta ora, ma seguita
nella sua evoluzione storica; in
quest'evoluzione storica il Medioevo
acquista parte decisiva, diventando la
base senza la quale sarebbero
incomprensibili gli svolgimenti
ulteriori. L'unit non annulla la
variet, anzi come un raro profumo
composto di mille essenze diverse: con
ci il senso della nazione pu
accordarsi perfettamente con la
coscienza unitaria e l'amore della
patria non ha pi bisogno, per
vigoreggiare, di atteggiarsi ad
antieuropeo, siccome era succeduto con
Gian Giacomo Rousseau. Si perviene,
cio, ad una situazione di equilibrio
tra senso dell'unit generale e senso
del particolare. , certo, un
equilibrio che rischia di non durar

molto, perch l'esaltare la missione


di un particolare popolo, anzi il suo
primato, condurr tosto o tardi alla
sopravalutazione di quel popolo,
aprendo la via al nazionalismo moderno
che sar la negazione del senso
unitario europeo: e nel Guizot, come
da un lato si dispiega tutta l'eredit
del Settecento, cos d'altro lato si
rivelano gi i germi di sviluppi di
idee che condurranno tanta parte del
pensiero su posizioni antitetiche a
quelle settecentesche. Ma, quali che
siano gli sviluppi futuri, nazione e
missione della nazione costituiscono
il caratteristico riflesso della
mentalit romantica sull'idea di
Europa, creata dal Settecento
illuministico.
Segue il quadro propriamente
storico, in cui il Guizot cerca di
ricostruire, momento per momento, le
varie fasi del successivo sviluppo
della civilt europea. Perch se essa,
come si detto, abbraccia l'Europa
medievale e moderna e ha ormai
quindici secoli di vita, non men
vero che si possano distinguere fasi
successive di sviluppo, di progresso
per cui, nell'insieme, la storia della
civilt europea pu riassumersi in tre
periodi.
Periodo delle origini, della
formazione: il periodo che va dal
quinto secolo fin quasi al
decimosecondo, e in cui i diversi
elementi costitutivi della nostra
societ si liberano dal caos, si
mostrano quali sono, nelle loro forme
native con i princpi che li
animano. Secondo periodo, sino al
secolo decimosesto: un periodo di
tentativi, in cui quei diversi
elementi si avvicinano e si mischiano,
senza tuttavia poter generare nulla di
regolare e di durevole. Terzo periodo,
che comincia col secolo decimosesto e
continua ancora: il periodo dello
sviluppo propriamente detto, quando la
societ umana assume in Europa una
forma definitiva, segue una direzione
determinata, cammina rapidamente ed
insieme verso uno scopo chiaro e
preciso (lezione Viii, pp' 71-72).
L'aver reintrodotto il Medioevo
nella storia non significa quindi che
dal Medioevo in poi non ci sia stato
un gran progresso: allora barbarie,
forza, violenza; ora la condizione
degli uomini, paragonata a quel che
era prima, dolce, giusta, onde noi
moderni potremmo ripetere il detto
omerico, noi rendiamo grazie al cielo
per il fatto che valiamo infinitamente

pi che i nostri predecessori


(lezione I, p' 15). E qui, dunque,
riappare la fiducia settecentesca del
progresso.
Parimenti riappare la distinzione,
ormai ben nota, fra l'immobilit
dell'Asia e il movimento incessante
dell'Europa: distinzione che il Guizot
amplia ancora, perch egli non si
limita, per esempio, a constatare il
fatto della tirannide orientale e
antica, ma lo ricollega ad una causa
di carattere pi generale, e
precisamente all'immobilit della
societ dovuta al fatto, di cui
abbiamo gi discorso, che nell'Oriente
una classe ha trionfato, schiacciando
le altre, trasformandosi in casta e
immobilizzando quindi la vita politica
e sociale, mentre in Europa nessuna
classe, nessun gruppo sociale ha mai
potuto sterminare o soggiogare
completamente le classi o i gruppi
rivali, ma ha dovuto spartire con essi
il dominio, di guisa che la vita
politica stata un continuo intrico
di contrasti e di lotte che rendevano
impossibile qualsiasi tirannia. La
lotta, in Europa, invece di farsi
principio di immobilit, fu causa di
avanzamento. Sono considerazioni,
queste, che ci portano in pieno
nell'atmosfera di dopo la Rivoluzione
francese, quando il problema politico
ormai abbraccia il ceto, la classe
che esprime dal suo seno i detentori
del potere. Non siamo ancora,
naturalmente, al concetto di classe
marxistico; la classe, cio, non ha
ancora un contenuto rigidamente
economico. Ma gi significativo che
il problema politico-sociale si
configuri sotto l'aspetto di contrasti
di gruppi, di classi, diverse le une
dalle altre, e dalla cui lotta
scaturiscono le forme politiche.
La differenza dal Settecento sta
qui: per il Montesquieu, la tirannide
nel suo significato classico, di
dominio violento o illegale di uno
solo, causa della immobilit della
societ; per il Guizot, la tirannide,
nel suo significato nuovo di dominio
esclusivo di un qualsiasi gruppo o
tendenza, anche se si chiami
democrazia effetto di quel
prevalere assoluto, totale di un solo
principio, di una sola casta, che
genera, contemporaneamente, la
tirannide politica e la immobilit
della societ.
Altra novit introdotta dal Guizot
nella ormai tradizionale esaltazione
della libert europea, l'appello al

principio di legittimit politica.


Cio: la forza sta all'origine di
tutti indistintamente i poteri
politici; eppure, nella civilt
europea, nessun potere vuol saperne di
una simile origine, nessuno vuole
riconoscere di essere nato grazie alla
forza, ma tutti ricercano un qualche
titolo di legittimit (lezione Iii,
pp' 27-28). E anche qui una tale
affermazione ci riporta in pieno
nell'atmosfera politica della
Restaurazione, quando il principio di
legittimit viene invocato (vedi
Congresso di Vienna) per il
riordinamento dell'Europa dopo le
tempeste della Rivoluzione francese e
dell'impero napoleonico.
Terza, e maggiore novit rispetto
alla libert del Settecento, il
congiungimento operato da Guizot della
libert politica e della libert
religiosa. C' un singolare
parallelismo di sviluppo, nella storia
dell'Europa moderna, tra la societ
religiosa e la societ civile, nelle
loro vicende e rivoluzioni.
La Societ cristiana ha
cominciato con l'essere una societ
perfettamente libera, costituita
esclusivamente in nome di una fede
comune, senza istituzioni, senza
governo vero e proprio, regolata
unicamente da poteri morali e mobili,
secondo il bisogno del momento. Inizi
simili ha avuto la societ civile in
Europa, almeno in parte, ad opera di
bande di barbari; societ
perfettamente libera, dove ognuno
rimaneva senza leggi n poteri
costituiti, perch voleva cos.
All'uscire da questa condizione di
cose, che non poteva conciliarsi con
un grande sviluppo sociale, la societ
religiosa si pone sotto un governo
essenzialmente aristocratico; il
corpo del clero, sono i vescovi, i
concil, l'aristocrazia ecclesiastica
che la governano. Un fatto di eguale
natura avviene nella societ civile,
all'uscire dalla barbarie;
egualmente l'aristocrazia, la
feudalit laica che si impadronisce
del potere. La societ religiosa esce
dalla forma aristocratica per entrare
in quella della monarchia pura: tale
il significato del trionfo della curia
di Roma sui concil e sulla
aristocrazia ecclesiastica europea. La
stessa rivoluzione si compie nella
societ civile; la monarchia prevale e
prende possesso del mondo europeo a
mezzo di analoga distruzione del
potere aristocratico. Nel secolo Xvi,

nel seno della societ religiosa,


scoppia una rivoluzione contro il
sistema della monarchia pura, contro
il potere assoluto nell'ordine
spirituale. Questa rivoluzione
introduce, consacra, stabilisce in
Europa il libero esame. Ai giorni
nostri abbiamo visto, nell'ordine
civile, un evento identico. Il potere
assoluto temporale egualmente
attaccato e vinto. Voi lo vedete; le
due societ hanno attraversato le
stesse vicissitudini, hanno subto le
stesse rivoluzioni; soltanto, la
societ religiosa ha sempre marciato
per prima in questa via (lezione Xii,
p' 107).
Quel profondo apprezzamento della
religione e dei valori religiosi di
cui abbiamo parlato, si esprime qui
pienamente. Nessun illuminista,
nemmeno il Montesquieu pi temperato
dell'Esprit des lois, avrebbe mai
potuto pensare ad un simile
accostamento, che conclude addirittura
con il riconoscere che la chiesa ha
sempre marciato per prima segnando la
via su cui successivamente si
incamminata la societ civile.
naturale poi che il calvinista
Guizot veda un progresso, e grande
progresso, laddove un Novalis,
cattolico, aveva visto invece
addirittura la fine dell'unit
europea: la Riforma, per il Novalis
inizio di tutte le aberrazioni, per
il Guizot l'inizio dell'Europa
moderna, perch allora trionfa il
principio del libero esame, cio la
libert dello spirito umano, che uno
dei grandi fatti di questa Europa. Ed
pure sintomatico che per il Guizot
il Settecento sia uno dei pi grandi
secoli della storia, forse quello che
ha reso all'umanit i pi grandi
servizi e l'ha fatta pi progredire,
nonostante i suoi traviamenti ed i
suoi errori (lezione Xiv, p' 124).
L'Histoire del Guizot riassume
dunque le varie fasi dello sviluppo
dell'idea di Europa, fra Settecento ed
Ottocento. Cos come la troviamo in
lui, essa ormai completa, cio si
presenta coi caratteri che manterr
anche in seguito; l'eredit del
Settecento, il secolo a cui dobbiamo
il sorgere stesso della nostra
coscienza di Europei, si integrata
nel Romanticismo, arricchita di
elementi nuovi, storicizzata. Il senso
della storia, trionfante nella prima
met dell'Ottocento, impronta di s
anche la coscienza europea, le
permette di comporre armonicamente le

esigenze diverse dell'unit e della


variet, cio della nazione e
dell'Europa; le permette di
comprendere anche le epoche che prima
erano state messe da parte come epoche
di barbarie e di oscurantismo e che
ora invece diventano momento
necessario della formazione di questa
Europa moderna di cui si celebrano i
trionfi.
Perch, identico rimanendo il
principio della grande unit civile
europea, negli uomini del Settecento
come negli uomini della prima met
dell'Ottocento, identica rimane anche
la conclusione: il senso della
superiorit della civilt europea su
tutte le altre, passate e presenti, e
la fiducia piena nell'avvenire, che
dovr vedere ulteriori progressi e
nuovi splendori dell'Europa.
Appendice
Il quadro completo.
E per vero da allora l'idea di
Europa, come di un'entit civile e
morale, ben pi ancora che geografica,
ebbe vita e fortuna. Cos come noi
l'abbiamo accolta, quest'idea tipica
elaborazione settecentesca; i motivi
gi accennati nel Cinquecento soltanto
ora ricevono forma compiuta e
definita. Il sentire europeo un
sentire di schietta impronta
illuministica.
Non che le et successive non
abbiano apportato, anch'esse, qualche
cosa di loro in tal sentire.
E la variazione fondamentale
attuatasi nel concetto di Europa, ad
opera del Romanticismo, fu
precisamente la fine
dell'atteggiamento polemico di fronte
alla religione, soprattutto di fronte
alla chiesa cattolica.
Come abbiamo visto, questo
atteggiamento aveva costituito un
filone continuo, copioso, costante
negli illuministi, quali che fossero
le loro divergenze su altri punti. Il
Romanticismo invece significava anche
ripresa di valori religiosi, anche nel
senso tradizionale della parola;
ripresa di cattolicesimo: pensate
anche solo al Manzoni in Italia, allo
Chateaubriand in Francia. Il
Romanticismo significa, quindi,
rivalutazione, esaltazione del fattore
religioso nella vita umana e quindi
nella storia e nella vita europea; si
riallaccia, in questo senso, alla pi
antica tradizione cinquecentesca,
senza pi il pathos propagandistico
di questa, ma con la stessa
sensibilit per i problemi Dio e

Chiesa.
E ne deriva la rivalutazione del
Medioevo. Nella storia dell'umanit,
per Voltaire e i suoi colleghi, c'era,
ad un certo punto, un grosso buco, una
zona oscura, senza fondo n luce: ed
era il Medioevo. La caduta dell'Impero
romano - dovuta s alle inondazioni
dei barbari, ma anche al
cristianesimo, che indebol, snerv le
forze, rivolgendo gli animi al cielo e
facendo andare in rovina la terra aveva segnato la fine della civilt e
l'avvento della barbarie, del :chaos
de notre Europe che cominci a
riprender forma solo nell'et di Carlo
Magno (Essai sur les moeurs,
Avant-propos): affermazione comune
al Voltaire e al Montesquieu, agli
inglesi Gibbon e Robertson. Ed
un'affermazione in cui confluiscono le
tradizioni del nostro Rinascimento,
sdegnoso della cosiddetta rozzezza
culturale-artistica dei secoli
precedenti il Xiv, convinto che
pittura e scultura e poesia fossero
risorte solo con Giotto e con
l'Umanesimo; e la tradizione
protestante, avversa al Medioevo come
all'epoca del predominio di Roma
cattolica, all'epoca del papismo. (1)
Il Romanticismo invece rivaluta il
Medioevo, il suo pensiero, la sua
arte, la sua fede; riporta in alto il
tanto disprezzato gothique; colloca
anche questa et fra quelle fruttuose
dello spirito umano.
Alla tradizione classica
greco-romana, iniziale fondamento di
tutto il pi tardo sviluppo del
pensiero europeo, al Rinascimento, al
secolo di Luigi Xiv, il Romanticismo
aggiunge, giustamente, il Medioevo:
l'et che ha segnato di indelebile
(1) Cfr' G' Falco, :La polemica sul
Medioevo, Torino, 1933.
impronta cristiana il volto
dell'Europa, l'et per cui il pensiero
e il modo di sentire degli Europei non
possono non poggiare su basi
cristiane, oltre che greco-romane.
Noi siamo cristiani, e non possiamo
non esserlo: lo ha luminosamente
provato, or poco, Benedetto Croce.
(2) Non possiamo non esserlo, anche se
non seguiamo pi le pratiche di culto,
perch il cristianesimo ha modellato
il nostro modo di sentire e di pensare
in guisa incancellabile; e la
diversit profonda che c' fra noi e
gli antichi, fra il nostro modo di
sentire la vita e quello di un
contemporaneo di Pericle e di Augusto
proprio dovuta a questo gran fatto,

il maggior fatto senza dubbio della


(2) B' Croce, :Perch non possiamo
non dirci Cristiani, in La
Critica, Xl (1942), pp' 289 sgg'
[ora, Bari, Laterza, 1959].
storia universale, cio il verbo
cristiano. Anche i cosiddetti liberi
pensatori, anche gli anticlericali
non possono sfuggire a questa sorte
comune dello spirito europeo.
Con pieno diritto papa Leone Xiii
poteva quindi affermare,
nell'enciclica Immortale Dei, il 1o
novembre 1885: Se l'Europa cristiana
dom le nazioni barbare e le trasse
dalla ferocia alla mansuetudine, e
dalla superstizione alla luce del
vero; se vittoriosamente respinse le
invasioni dei musulmani, se tenne il
primato della civilt, e si porse
ognora duce e maestra alle genti in
ogni maniera di lodevole progresso, se
di vere e larghe libert pot
allietare i popoli, se a sollievo
delle umane miserie semin dappertutto
istituzioni sapienti e benefiche; non
ci dubbio, che in gran parte ne va
debitrice alla religione, in cui trov
ed ispirazione ed aiuto alla grandezza
di tante opere. (3)
Questa dunque la gran variazione
apportata ai concetti dell'Illuminismo
dalle posteriori et.
Ma, chi ben guardi, non una
variazione che alteri la fisionomia
dell'Europa quale s'era foggiata nel
'700.
Che l'Europa fosse stata, fosse
ancora cristiana, questo avevano
dovuto ammettere anche gli
illuministi: soltanto, era questa, per
essi, una nota di bruttezza (mentre
poi sar nota di bellezza), un neo che
era bene cercare di strappare o,
(3) Il testo in l' Giordani, Le
Encicliche Sociali, Roma, 1942, p'
93.
almeno, di coprire il pi possibile.
Ma la constatazione del fatto era
esplicita.
E rimase, del Settecento, il senso
dell'Europa come di un gran corpo
civile, culturalmente uno (la
repubblica delle lettere),
politicamente diviso s in tanti
Stati, ma tutti legati da un continuo,
incessante intreccio di rapporti, che
s'esprimevano in un diritto pubblico
europeo e in una dottrina
dell'equilibrio: un corpo che aveva
usi, costumi, particolarit di vita
tutti propri; un corpo, infine, che la
scienza conduceva innanzi, sulla via
del progresso.

Civile, cio umano e socievole;


colto ed esperto di lettere e di arti;
forte di princpi morali vecchi di
secoli e di un'esperienza politica
anch'essa plurisecolare, pi libera
di quella degli altri popoli della
terra; animale razionale e
raziocinante e tendente a
razionalizzare sempre pi la propria
vita, economica o no, l'Europeo
acquista nel '700 piena coscienza di
s. Al di sotto del cosmopolitismo
c' un sentire, un pensare europeo di
una intensit e forza quale raramente
stato dato poscia di riscontrare:
forse, soltanto nell'et della
Restaurazione e della monarchia di
Luglio, fra il 1815 e il 1848, si fu
ancora pi europei. Perch, invece,
nella seconda met del secolo Xix e
sull'inizio del secolo Xx, se poteva
sembrare che, per ovvie ragioni di
differenziazione circostante, sempre
meglio conosciuto, sempre pi alla
ribalta, e soprattutto per
differenziarsi dal nuovo potente
corpus apparsi sulla scena della
storia, il corpus nordamericano, se
poteva sembrare, dico, che gli Europei
dovessero sentirsi sempre pi
europei, in realt non fu cos.
Non solo proprio l'imporsi sulla
scena dei Nordamericani attenuava,
prima, e poi faceva addirittura
scomparire uno dei caratteri tipici
dell'Europa, vale a dire la scienza e
la tecnica, la razionalizzazione
della vita, come che, secondo s' gi
osservato, tecnica e razionalizzazione
(economica, ecc') facessero oltre
Oceano progressi ancora pi rapidi che
nella vecchia Europa: onde, nei giorni
nostri, con il cessare anche del
sistema politico europeo e @@
l'imporsi di un sistema politico
mondiale, e il dilatarsi a tutta la
scena del mondo del sistema delle
relazioni continue, prima tipico
solo degli Stati europei, quel che
resta di pi proprio dell'Europa sono
le sue tradizioni morali e culturali,
la sua storia, politica e spirituale,
oseremmo quasi dire pi il suo passato
che il suo presente, se non fosse di
un certo abito sentimentale, di un
certo modo di sentire e di pensare,
non sempre facilmente precisabile, ma
sempre intuibile, di un certo gnie,
per dirla col Fontenelle, anche nelle
piccole cose, di un non so che, che
continua a rivelarti l'Europeo (e in
questo gnie lo spirito di societ
alla francese ha ancora larga parte).
C'era di pi: c'erano motivi assai

pi gravi che sopravvivevano ad


attenuare il senso europeo nell'et
che detta dell'imperialismo.
L'erompere del nazionalismo, di cui
s' detto a suo luogo, tolse al
sentire europeo gran parte della sua
forza e del suo fascino, spost
l'accento dall'insieme, l'Europa, al
particolare, la singola nazione, la
singola patria. Perfino la grande
societ degli spiriti, la
repubblica delle lettere, si scisse,
sotto la pressione delle passioni
nazionali; e l dove, prima, gli
uomini di alta cultura e alto ingegno
s'erano generalmente sentiti europei
pi ancora o almeno quanto francesi,
italiani ecc', poi si sentirono
anzitutto, anzi spesso esclusivamente
francesi, italiani, tedeschi ecc'. I
chierici del mondo moderno, cio gli
uomini di studio, per dirla con Julien
Benda (:La trahison des clercs),
divennero anch'essi uomini di parte e
anzich all'avvento di una grande
cmunit spirituale europea lavoravano
spesso a dissolvere ogni possibilit
di comunit, per lasciar sussistere
soltanto la nuova divinit, il singolo
Stato lanciato sulla via della
conquista, cio proprio sulla via che
al senso europeo degli uomini del '700
era apparsa la via del male. (4)
Prima di concludere, occorre ancora
fare alcune osservazioni.
La prima riguarda l'estensione
territoriale dell'Europa secondo gli
uomini del Settecento.
Come abbiamo gi visto, Voltaire
esclude dall'Europa spirituale la
penisola balcanica, sottoposta ai
Turchi (bisogna che: :notre partie de
l'Europe abbia nel suo gnie un
carattere diverso di quello della
Tracia ecc'; :Essai sur les moeurs,
cap' Cxcvii); vi include invece, da
(4) anche questo, tra i molti, un
motivo che impedisce in modo assoluto
di accettare la tesi di C' Morandi, a
cui abbiamo accennato: che cio di
Europa, di coscienza europea si possa
parlare soltanto a partire dal secolo
Xix.
ultimo, la Russia (L'Italie et la
Russie ont t unies par les lettres:
:Sicle de Louis Xiv, cap' Xxxiv).
Da ultimo, cio dopo Pietro il
Grande, che port idee e sistemi
europei nel suo impero: perch prima
di lui, la Russia, quasi sconosciuta
ai popoli meridionali dell'Europa, era
rimasta sepolta sotto un dispotismo
sciagurato dei prncipi sui boiari, e
dei boiari sui contadini. Gli abusi

di cui si lamentano oggi le nazioni


civili sarebbero state leggi divine
per i Russi. Fu merito di Pietro il
Grande d'aver posto fine a questa
situazione: trenta secoli non
avrebbero potuto fare ci che egli
fece viaggiando per qualche anno
(:Essai sur les moeurs, cap' Cxc).
In effetti, la penisola balcanica
diventata Europa civile assai tardi,
solo dopo la liberazione dal dominio
ottomano, solo tra la fine del secolo
Xix e l'inizio del Xx.
Quanto alla Russia, il giudizio del
Voltaire anticipava alquanto. Senza
dubbio, proprio gli illuministi
allacciarono continui rapporti
culturali con l'impero della grande
Caterina. Senza dubbio, da allora
l'influsso culturale europeo in Russia
(anche mediante lunghi soggiorni di
scienziati, studiosi ecc') divenne
continuo ed ebbe inizio la
occidentalizzazione culturale
dell'impero moscovita, dopo la forzata
occidentalizzazione di usi e metodi
imposta da Pietro il Grande:
occidentalizzazione esaltata dal
Voltaire, ma contro cui poi dovevano
reagire nel secolo Xix vigorose
correnti russe, e massime il
Dostojevskij.
Ma, appunto, la Russia rimase
ancora, per allora, in fase diciamo
passiva; accett, sub gli influssi
francesi e tedeschi soprattutto, ma
dando ancora ben poco di suo.
Ora, la civilt europea ha questo
anche di proprio, che sente come suoi
figli veri quelli che non solo
ricevono, ma danno, quelli, cio, che
assorbono dall'eredit comune ma per
contribuire, poi, a loro volta, con
nuovi acquisti di alto pensiero morale
e di cognizioni scientifiche o di
creazione poetica. Nella storia
europea, volta a volta un popolo
stato l'antesignano, ha portato la
fiaccola della civilt: ma tutti
quelli che sentivamo veramente come
Europa sono stati, almeno in un punto
e in un momento, antesignani e hanno
dato agli altri. Francesi e Italiani,
Tedeschi e Inglesi, Spagnuoli e
Svizzeri e Olandesi e Polacchi e
Scandinavi, tutti hanno aggiunto
qualcosa di proprio al gran bene
comune: quasi una famiglia i cui
membri debbono contribuire, sia pure
in diverse proporzioni, ad accrescere
il possesso comune.
Bisogna che ogni popolo, per avere
riconosciuta veramente la sua
appartenenza alla societ degli

spiriti, possa vantare qualche nome,


di pensatore, scienziato, artista,
poeta, che sia nome familiare a tutti
gli Europei colti, qualche nome, la
cui ignoranza non sia ammessa, e le
cui opere siano, come si suol dire, in
circolazione. Un paese vi dar Dante e
Michelangelo, e Tiziano, Leonardo e
Galileo, e Vico, Palestrina e Verdi;
un altro, Corneille e Voltaire, Pascal
e Montesquieu, Manet e Debussy; un
altro Shakespeare e Bacone, Newton e
Locke, Adamo Smith e Shelley; un altro
Goethe e Kant, Drer e Bach, Mozart e
Beethoven; un altro ancor Cervantes e
Velasquez, oppure Rembrandt e Spinoza,
altri saranno gi meno ricchi, ma
daranno pur sempre Copernico e Chopin
e Mickiewitz, o Ibsen: ma insomma,
tutti qualcosa han dato.
Ora, questo non poteva dirsi ancora
della Russia del Settecento. E
difatti, ancora a lungo si rimase
incerti: anche dopo lo zar Alessandro
I e la sua apparizione sulla scena
politica europea come il novello
Messia vendicatore dei popoli contro
Napoleone I, nel 1813-1814, anche dopo
la Santa Alleanza si rimase incerti se
in Russia predominasse la
civilisation europea o le gnie
asiatique, secondo si esprimeva, nel
maggio 1878, a proposito di questioni
politiche (ma il suo dire si adattava
benissimo anche alle questioni
culturali) l'ambasciatore di Francia a
Pietroburgo marchese di Harcourt. (5)
Perch la Russia divenga veramente
parte attiva dell'Europa culturale e
sia sentita come tale, occorre
scendere assai pi in gi dell'et del
signor di Voltaire e giungere alla
seconda met dell''800. Allora, i
grandi romanzieri e scrittori russi,
Tolstoj e Dostojevskij in testa,
divennero nomi comuni anche per
l'uomo dell'Occidente; l'ampio fiume
di poesia di Guerra e pace
(5) Cfr' Documents diplomatiques
franais, serie I, vol' Ii, p' 319.
soprattutto entr a far parte,
durevole, del comune patrimonio
europeo. E vi si aggiunse la coralit
possente del Boris Godunov di
Mussorgski; e, seppure su piano
minore, Anton Cecov, e poi Diagilev e
i balletti russi e Stravinskij.
Cos, l'Europa morale-culturale si
ampliata nei confronti di quella
dell'Illuminismo anche
quantitativamente.
Seconda osservazione: abbiamo
insistito sugli scrittori francesi del

'700 perch in verit la definitiva


formulazione del concetto d'Europa
soprattutto opera loro. Nessuno pi di
essi ebbe senso europeo; nessuno
contribu tanto ad imporlo e farlo
trionfare.
Senza dubbio, per quel che del
corpus politico dell'Europa parte
assai importante ebbero, nel
precisarlo, i pubblicisti inglesi, i
quali, propugnando a tutto spiano,
dalla fine del '600 in poi, il
principio dell'equilibrio europeo che del corpus politico era appunto
l'espressione -, furono tra i massimi
creatori del sistema europeo: ma di
ci diremo a suo tempo. E, anche fuor
di politica, indubbio che un robusto
senso dell'Europa moderna, come di un
tutto, pervadeva le grandi
raffigurazioni storiche del Settecento
inglese, dal Gibbon al Robertson, la
cui introduzione alla :Storia
dell'impero di Carlo V non meno
europea dell'introduzione di Voltaire
al :Sicle de Louis Xiv.
Ma, tutto sommato, nemmeno gli
Inglesi possono reggere a confronto
dei Francesi: e potrebbe qui ripetersi
l'osservazione del Voltaire nel
:Sicle de Louis Xiv, oltremodo
calzante col nostro discorso: L'esprit de socit est le partage naturel
des Franais: c'est un mrite et un
plaisir dont les autres peuples ont
senti le besoin. La langue franaise
est de toutes les langues celle qui
exprime avec le plus de facilit, de
nettet, et de dlicatesse tous les
objets de la conversation des honntes
gens et par l elle contribue, dans
toute l'Europe, un des plus grands
agrments de la vie. :L'esprit de
socit la lingua succeduta al
latino nella universalit: erano,
diremo, come i segni della
Provvidenza, perch il compito di
diffondere il senso europeo toccasse
alla Francia.
Non alla Germania, il cui pensiero,
in quel che aveva di pi nuovo e
robusto, si indirizzava, proprio in
quel secolo, non verso la comunit,
s verso la singolarit, cio non
verso la repubblica europea, bens
verso la nazione, che di quella
repubblica ideale sarebbe, a lungo
andare, diventata la pi fiera nemica.
(6) E gi nei suoi stessi inizi in
terra tedesca questa idea di nazione
palesava (come abbiamo detto a suo
luogo) pericolose tendenze ad una
autarchia spirituale (Mser, in
certi momenti lo stesso Herder), che

era proprio quanto di pi opposto


potesse immaginarsi all'europea
societ degli spiriti.
Ed sintomatica, anche da questo
punto di vista, l'ostilit tedesca
alla politesse francese, la polemica
contro lo spirito di societ, che
per i Tedeschi diventa frivolezza,
(6) Anche la dottrina del sistema
politico europeo, che l'Antoni
attribuisce allo storico tedesco
Heeren all'inizio del secolo Xix (op'
cit', p' 114), era gi stata
enunciata, come abbiamo visto, dal
Mably e dallo stesso Voltaire.
superficialit ecc' (e questo giudizio
, esso, superficiale assai, e si
lascia sfuggire il profondo valore
umano di quella socievolezza), cio
proprio contro quella che per un
Voltaire e un Fontenelle fra le
caratteristiche pi notevoli della
civilt europea: ostilit e polemica
che costituiscono, come abbiamo visto,
lo spunto primo per il formarsi
dell'idea di nazione, e che alimentano
il pensiero tedesco del Settecento.
Sono veramente due mondi in
antitesi.
Non all'Italia che nel Settecento,
nonostante Vico, occupa un posto di
secondo piano nella vita spirituale
europea: siccome dimostra proprio il
fatto che il problema di cui ci
occupiamo ebbe, tutto sommato, scarso
rilievo nelle preoccupazioni dei
nostri scrittori.
Troviamo, s, affermazioni sulla
diversit dell'Europa, anche dal punto
di vista civile e culturale, dagli
altri continenti, sulla superiorit
degli Europei sugli Asiatici
(Algarotti), e, in genere, dell'Europa
sugli altri continenti (Baretti): ma
nulla v' di propriamente originale in
simili affermazioni, d'altronde
frammentarie, cos come nulla vi di
originale, ma molto di modellato su
esempi stranieri che abbiamo appreso a
conoscere bene, nell'ammirazione di
Scipione Maffei per la Cina.
La maggiore importanza ancora del
Vico, anche per questo problema: del
Vico per cui caratteri specifici
dell'Europa sono lo spirito
scientifico e la molteplicit di
Stati, dunque due motivi identici a
quelli che abbiamo trovati sviluppati
nel Montesquieu
(In questa parte del mondo
solo, perch coltiva scienze, di pi
sono gran numero di repubbliche
popolari che non si osservano affatto
nell'altre tre [parti del mondo];

Scienza nuova seconda, libro V,


cap' Iii, :Descrizione del mondo
antico e moderno, ed' Nicolini, Bari,
3a ed' 1942, pp' 151-52). E la dedica
della Scienza nuova prima Alle
accademie dell'Europa ci riavvicina
al concetto volteriano dell'Europa
:repubblica delle lettere, societ
degli spiriti.
Ma tutto sommato, ripetiamo, il
contributo italiano alla creazione del
senso europeo fu, nel Settecento,
assolutamente di secondo piano.
Infine (ed l'ultima osservazione):
il concetto di Europa, quale abbiamo
veduto formarsi lungo il Settecento,
costituito da elementi morali,
culturali, spirituali, non da elementi
naturalistici.
Parlando dell'idea di nazione,
abbiamo visto come due fossero i modi
di considerare la nazione: dal punto
di vista naturalistico l'uno (e lo
sbocco fatale ne sar il razzismo);
dal punto di vista volontaristico
l'altro.
Ora, il senso europeo tutto
costituito da volontarismo, non da
naturalismo.
ben vero che dei tre elementi
che, secondo il Voltaire, influiscono
di continuo sullo spirito umano, uno
il clima, cio un elemento prettamente
naturalistico: ma gli altri due sono
le gouvernement e la religion,
cio fattori morali (:Essai sur les
moeurs, cap' Cxcvii). E se i climi
orientali devono tutto alla natura
noi, nel nostro occidente
settentrionale, dobbiamo tutto al
tempo, al commercio, a una industria
sorta tardi (Essai sur les moeurs,
Avant-propos).
Industria, commercio, lo stesso
tempo (necessario appunto quando si
debbano cogliere i frutti
dell'attivit umana, pi lenta della
natura): sono tutti fattori non
naturalistici.
Per di pi, in concreto, quando ci
si faccia ad esaminare l'Europa
delineata dal Voltaire stesso, ci si
trova dinanzi un corpus che tale
per i suoi caratteri morali e
culturali, per lo spirito scientifico
e l'ordinamento politico, per le arti
e le lettere, per l'esprit de
socit e i costumi: il fattore
etnico-climatologico non si avverte
pi. Il senso europeo senso di
:solidariet morale e di connessione
spirituale, non di solidariet
razzistica.
La contrapposizione :bianco-uomo di

colore non ha pi ora, contrariamente


al Cinquecento, (7) importanza alcuna
nello sviluppo di tale sentimento:
tanto vero che dal punto di vista
morale (cio quello in cui le
cosiddette virt di una razza
dovrebbero farsi avvertire di pi), ai
bianchi europei vengono spesso e
volentieri anteposti i non bianchi
Cinesi.
Che tra le varie razze ci siano
(7) Cfr' pp' 141-144, cap' terzo,
vol' primo. [N'd'E']
profonde differenze, di questo solo un
cieco potrebbe dubitare, dice Voltaire
(:Essai sur les moeurs, Introduction,
Des diffrentes races d'hommes); ma
che dal fatto razza, in s e per s,
dipenda l'esprit, le gnie di una
nazione o dell'Europa, questo n
Voltaire n i suoi colleghi di fede
illuministica si sognarono mai di
pensare.
Possiamo dunque concludere, che nel
formarsi del concetto d'Europa e del
sentimento europeo, i fattori
culturali e morali hanno avuto, nel
periodo decisivo di quella formazione,
preminenza assoluta, anzi esclusiva.

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