Sei sulla pagina 1di 5

FARE, PRASSI, PRODUZIONE. VALORE-PRODUZIONE E LAVORO NELLA SOCIETÀ GLOBALIZZATA.

, A CURA
DI C. TUOZZOLO, “PARADIGMI. RIVISTA DI CRITICA FILOSOFICA”; ANNO XXXII (2014), N. 1.

ARTICOLI PROF. TUOZZOLO

Articoli, parole per Aldo

Oggi → crisi radicale della “civiltà del fare, della prassi e del lavoro” che ha caratterizzato la storia
moderna e contemporanea. Sono molti i segni della crisi:

1. La maggior parte degli scambi non riguarda più i tipici prodotti della civiltà del fare, ovvero i
prodotti industriali → ci sono nuove merci che dominano i mercati mondiali; i nuovi prodotti
scambiati sono i prodotti finanziari. Crisi della civiltà industriale → si può constatare anche
attraverso i redditi. Oggi i redditi parassitari sono in espansione.

2. Riduzione dei redditi dei lavoratori.

3. In Italia → quotidianamente si verificano chiusure di attività industriali

4. Crisi della rilevanza politica e statuale dell’industria del lavoro

Sociologia contemporanea → declino della “società dei produttori” e affermarsi della “società dei
consumatori” (non è una crisi totale) → i consumatori hanno sempre più bisogno di merci → il
produrre, il fare, il lavorare non diminuiscono.

“Crisi radicale della civiltà industriale” → finanziarizzazione che dell’economia implica lo sviluppo
della crescita infinita (“finanziarizzazione dell’economia” → è uno dei tratti distintivi della fase
imperialista del capitalismo. Tra fine Ottocento e inizi Novecento la finanza cessa di essere
principalmente un supporto al mondo della produzione, per acquisire una sua sempre più grande
autonomia e addirittura assoggettare, per certi versi, la stessa industria). Se da un lato tale crisi
comporta l’aumento della produzione industriale mondiale, dall’altro mette al centro dell’economia
merci come i prodotti finanziari. Il produrre infinito è garantito dalla finanziarizzazione
dell’economia.

Aristotele → nel mondo del “fare” attribuisce la teoresi (“rapporto perfettamente circolare con
l’essere” cit. Totaro)

Necessità di ripensare il produrre come “produrre manifestativo” che non privilegi l’avere ma
l’essere, riscoprendo la vera ricchezza che implica anche esercizio di pratiche di frugalità (sobrietà).

[ non confondere globalizzazione con imperialismo ]

La “fine del lavoro”, ovvero la crisi planetaria dell’occupazione, è interpretata come l’effetto di
una crisi che investe insieme la proprietà, il lavoro e l’industria. Una crisi dovuta all’affermarsi del
FINANZCAPITALISMO e della sua etica → proclamando e praticando la crescita infinita, non
può che spingere l’intero sistema produttivo verso la produzione di merce finanziaria. Tale
produzione realizza al meglio la produzione capitalistica ma non può condurre alla crisi della
“proprietà” e “lavoro=industria”.
Oggi, l’affermarsi delle ricchezza impersonale conduce alla crisi dell’uomo-lavoratore e dell’uomo-
proprietario, imprenditore di se stesso. La società contemporanea è interpretata come luogo in cui il
capitalismo realizza pienamente se stesso, trasformandosi in CAPITALISMO ASSOLUTO.

Riscoperta della prassi → possibile soluzione dei problemi dell’uomo contemporaneo.

Carattere impersonale del capitalismo → Rullani → il capitalismo ottocentesco “distrugge la


vecchia economia personale e localizzata”. Egli vede nell’economia neoclassica il tentativo di
riscoprire i soggetti. Il fordismo è invece, per Rullani, il momento in cui le persone vengo assorbite
nell’organizzazione del capitalismo, nella flessibilità → “dobbiamo imparare a giocare al meglio le
nostre carte” all’interno del mondo globale.

Produrre infinito, fine del lavoro e crisi della proprietà personale nella società dominata dai
“troppo grandi”

La crisi del lavoro sperimentata nella società globalizzata può essere interpretata come un aspetto
della crisi della persona. Importanza del lavoro creativo → è necessario tener ben presente anche
le difficoltà strutturali che impediscono al lavoro creativo di svilupparsi nella società industriale.
L’angoscia per la scomparsa del lavoro può coincidere con l’angoscia per la scomparsa della
persona, ovvero angoscia per la scomparsa di se stessi.

Weber → delinea l’etica del capitalismo osservando che il “summum bonum” di quest’etica, il
guadagno di denaro, è pensato puramente come scopo a se stesso. L’uomo si riferisce al guadagno
come scopo della propria vita e come mezzo del soddisfacimento dei suoi bisogni vitali materiali.

Kant – Weber → la nostra società capitalistica minaccia il concetto di persona perché trasforma
l’uomo da fine a mezzo, esaltando come scopo il guadagno.

Croce → teoria del pluslaovor-pluslvalore → non si tratta di una teoria “economico-pura”, ma di


una teoria economico-sociologica. Tale teoria muove da una preoccupazione “morale o sociale” per
l’uomo lavoratore e descrive le sorti a cui va incontro nella società capitalistica l’uomo, in
particolare la sua attività lavorativa-ricreativa.

Paragone ellittico → attraverso questo procedimento si misura un fatto. La scoperta di tale fatto,
secondo Croce, è la vera forza del marxismo, il “dardo acuminato”. Il paragone prospettato dalla
sociologia economica marxiana si può riassumere in questi punti:

1. La società capitalistica è la società nella quale la produzione è messa in moto dal capitale che
compra il lavoro;

2. Se compariamo tale società con una società mercantile non capitalistica, nella quale il lavoro non
è una merce, allora possiamo scorgere facilmente che:

3. In quest’ultima società il lavoro ottiene la remunerazione sociale maggiore, ovvero il lavoratore


guadagna di più.

Società capitalistica → società in cui il lavoro si vende e il capitale ottiene una notevole quantità di
beni che remunerano il suo impiego.

Pluslavoro
Engels → legge valore = lavoro vivente → la legge che riconduce il valore delle merci
esclusivamente alla quantità di lavoro degli operai che trasformano la natura e producono beni, è la
legge generale dell’economia, una sorta di legge economica “naturale”. Ciò che vale è frutto del
lavoro umano (lavoro vivente); il capitale rappresenta un ostacolo all’affermarsi della

legge “valore = lavoro vivo” → fa del capitalismo una società in fondo “innaturale” → appare una
società con un difetto radicale.

Per l’economia sociologica comparativa delineata da Croce, la legge marxiana del valore è
un’ipotesi costruita da Marx su basi realistiche (non è una fantasticheria). Tale legge (valore =
lavoro vivo) è un’ipotesi utilizzata da Marx per spiegare la specificità atorica della società
capitalistica e le sorti del lavoro. Assumere la prospettiva della economia sociologica
comparativa significa:

1. Considerare il capitalismo una società storica, nata come ogni società dal “fare” degli uomini.

2. Ritenere che in essa si manifestino contraddizioni che non porteranno necessariamente verso un
sistema economico diverso.

3. Ritenere che non esistano “leggi storiche” capaci di sostituire il “fare” degli uomini e che il
passaggio dalla società feudale al capitalismo è stato frutto delle azioni degli uomini.

4. Ritenere che le società capitalistiche continueranno ad esistere fin quando gli uomini decideranno
di organizzare capitalisticamente la produzione accettando: che il lavoro vivente sia considerato
dalla società come una merce; che il capitale sia il motore dell’economia.

L’ingiustizia della società capitalistica consiste nella violazione del principio dell’”eguaglianza
umana” → i lavoratori, per ottenere una stessa quantità di beni, sono costretti a lavorare di più.

L’economia sociologica comparativa sostiene che il capitale cerca di acquistare sul mercato il
lavoro vivente. Nella società capitalistica il lavoro vivente è una merce → non è un fine, ma un
mezzo → così l’uomo-lavoratore diventa mezzo del capitale.

Capitalismo e società contemporanea

La società globalizzata in cui ci troviamo a vivere è una società propriamente capitalistica →


nell’economia il lavoro vivente è trattato sempre più come una merce → mercificazione non solo
del lavoro, ma di tutti gli aspetti della vita. In passato solo i lavori meno qualificati tendevano ad
essere trattati dalla società come merci → oggi anche i lavori più qualificati assumono la forma di
merce.

Tutto il lavoro, in ogni sua forma, si vende. Il fare lavorativo-creativo è sempre più un mezzo:
oggetto in vendita che serve ad altro.

Fine: per Weber è il guadagno di denaro. È il capitale che cerca sempre di auto accrescersi,
attraverso l’azione degli uomini che lavorano per lui. Il lavoro vivente si vende ad altro, si trasforma
in semplice mezzo del puro guadagno, della sola ricchezza fine a se stessa, ovvero quando il
capitale assume la sua forma pura. Divenuto finanza (bene monetario) il capitale prende una forma
che ha solo valore di scambio e che non ha mai la necessità di divenire un mezzo usato da altri. Chi
è l’“altro” rispetto al “lavoro vivente”? chi compra è la proprietà; la società contemporanea ha finito
per essere pensata dal pensiero economico e politico come il luogo del contrasto fra gli interessi di
uomini-lavoratori e di uomini-proprietari.

Guadagno fine a se stesso ≠ proprietà → implica il concetto di persona, ovvero di uomo inteso
come fine e mai come mezzo. Il capitale fine a se stesso non appartiene all’uomo. La sorte
dell’uomo-lavoratore, la sorte del lavoro vivente, non consiste semplicemente nel fatto che l’uomo-
lavoratore vende se stesso all’uomo-proprietario. Il capitalismo non sembra riservare alla proprietà
un destino migliore di quello che riserva al lavoro; la ricchezza, nel momento in cui diviene
propriamente capitale, assume un carattere impersonale. Il capitalista si fa mezzo della ricchezza
intesa come fine a se stessa. Oggi la novità sta nella forza con cui si manifesta, nell’economia
contemporanea, la caratteristica impersonale della ricchezza capitalistica. Ciò che possiamo
osservare è come la ricchezza muove i processi economici ed è, oggi, gestita NON DAI
PROPRIETARI ma dai funzionari dell’arricchimento del capitale, che tengono lontano ogni uso
personale del capitale.

CRISI DEL CAPITALISMO INDUSTRIALE-IMPRENDITORIALE → risiede nel manifestarsi di


quella natura impersonale che la ricchezza assume quando diventa capitale → è con tale natura che
devono fare i conti gli uomini.

Lo spazio sociale, il ruolo che la società della globalizzazione capitalistica riserva al lavoro vivente
appare molto limitato.

La crisi del lavoro vivente è dovuta anche allo sviluppo della tecnologia informatica → fenomeno
definito come “fine del lavoro”. La crisi del lavoro coincide anche con un fenomeno culturale più
complesso che consiste nel dissolversi dell’idea del lavoro come luogo di autorealizzazione della
persona.

I destini della proprietà e del lavoro sono strettamente legati da una sorte negativa. La vera proprietà
implica la presenza della persona come parte del tutto estranea ad un mondo economico nel quale la
ricchezza è gestita sempre più da “tecnici del guadagno” → essi sottraggono ai proprietari il reale
possesso dei beni.

Appare evidente che oggi l’etica economica dominante richiama costantemente ogni uomo a
rispettare ciò che “vogliono i mercati”; dall’altra parte chi chi dispone della gran parte della
ricchezza dell’umanità sono i tecnici del guadagno. La natura impersonale della ricchezza
capitalistica pare porre un limite radicale all’aspirazione degli uomini di disporre liberamente dei
beni.

Crisi della proprietà → si manifesta attraverso il fallimento delle imprese medio-piccole → sono le
imprese vere e proprie, quelle basate sul fare diretto e personale, ossia le imprese “proprietarie”.
Oggi la maggior parte della ricchezza è costituita da aziende impersonali.

La politica economica dominante dopo il 2007/2008 è la politica del “TROPPO GRANDI PER
FALLIRE” → idea che gli Stati debbano impegnarsi per evitare il fallimento dei grandi gruppi
finanziari considerati falliti → il fallimento diviene un fatto possibile solo per piccole e medie
imprese. Ma tutti possono fallire → questa è la società del rischio e della precarietà.

Ci sono soggetti economici che dispongono di beni maggiori. Il valore tutelato è la necessità di
salvare dal fallimento il valore fondante dell’etica del capitalismo, ovvero (chiaramente individuato
da Weber) la necessità di salvare l’idea del guadagno inteso come fine ultimo.
La ricchezza diviene impersonale non solo nel momento in cui i proprietari lasciano spazio ai
dirigenti che sono chiamati a gestire i beni per produrre nuovo “guadagno”, MA anche quando
nessun individuo riesce a vederne i confini. Marx aveva già intuito che il capitalismo avrebbe
potuto portare alla crisi della proprietà personale.

Il capitalismo maturo realizza la soppressione della proprietà privata, anche se in modo diverso.
Questo risultato del massimo sviluppo della produzione capitalistica è un momento necessario, di
transizione, per la ritrasformazione del capitale in proprietà privata. La fase storica post-
capitalista restaurerà la proprietà, la proprietà dei produttori → significa riconoscere l’importanza
della proprietà.

Il massimo sviluppo capitalistico non comporta solo la definitiva separazione fra chi gestisce la
proprietà e i proprietari ma, anche, la conseguente trasformazione dei proprietari in soggetti che non
sono effettivamente proprietari.

Potrebbero piacerti anche