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soc|a/| de/ /avoro e, grazie al lavoro su grande scala, applicazione della scienza e del macchinismo alla produzione immediata.

Da una
parte, il modo d| produz|one cap|ta/|st|co, che ora appare veramente come un modo di produzione su| gener|s, dalla produzione
materiale una forma diversa; dall'altra, questa variazione della forma materiale costituisce la base per lo sviluppo del rapporto
capitalistico, la cui forma adeguata corrisponde per ci ad un determinato grado di sviluppo delle forze produttive sociali del lavoro"
(pag. 69; ed. tedesca pag. 478).
ln queste condizioni, assoggettato a questa dinamica, il capitale si spoglia di ogni "individualit", diviene cap|ta/e soc|a/e. Ma pi
importante ancora il fatto che le "forze produttive" divengono immediatamente "sociali". ll macchinismo, la tecnologia ("determinata",
"situata" che si rinnova appunto nella sussunzione reale) lungi dall'essere solo "neutri" prodotti della "scienza", sono al contrario "forze
produttive" che, invadendo la realt, assumono in s non pi solo i lavoratori ma le popolazioni. l/ macch|n|smo |mbraga /a v|ta.
Guardiamo che cosa sono le macchine. Fuori dal capitalismo realizzato, Hegel ci insegna, lo strumento di lavoro un mezzo, un medio
per agire sulla natura. Fra l'uomo e la natura si pone lo strumento, la macchina. Ma nel capitalismo il rapporto subisce uno scarto: il
lavoro dell'operaio diviene mediazione fra la macchina (lo strumento) e la natura. La pervasivit della tecnologia al lavoro diviene totale.
Lo strumento non pi valore d'uso per l'operaio ma l'operaio diviene valore d'uso per il capitale, per la "sua" (del capitale) macchina
(capitale fisso). ".una volta assunto nel processo produttivo del capitale, il mezzo di lavoro percorre diverse metamorfosi, di cui l'ultima
la macch|na o, piuttosto un s|stema automat|co d| macch|ne, messo in moto da un automa, forza motrice che muove se stessa;
questo automa costituito da numerosi organi meccanici ed intellettuali di modo che gli operai stessi sono determinati solo come
organi coscienti di esso" (Grundr|sse, trad. Grillo, vol. ll pag. 389; ed. tedesca pag. 583). E ancora: "nella macchina, e ancor pi nel
macchinario come sistema automatico, il mezzo di lavoro trasformato, dal punto di vista del suo valore d'uso, cio della sua esistenza
materiale, in una esistenza adeguata al capitale fisso ed al capitale in generale, e la forma in cui esso stato assunto come metto di
lavoro immediato nel processi di produzione del capitale" (|v|). Ma se cos, quando questo sviluppo si compie, due tota/|t soc|a/| si
sovrappongono: il capitale (costante) che ha coperto l'intera realt sociale ed il capitale (variabile) che di questa realt sociale la
sorgente di valorizzazione. Queste pagine rappresentano allora una formidabile premessa ad una descrizione "biopolitica" della
sussunzione reale del lavoro nel capitale. Esplicitando la premessa: non c' pi valore d'uso, non c' pi nemmeno natura tutti i
rapporti sociali (ovviamente quelli di produzione ma anche quelli di riproduzione e di circolazione) sono trasposti sul terreno dello
sfruttamento insomma, /a v|ta sussunta ne/ cap|ta/e.
Nello sviluppare la precedente narrazione dello sviluppo capitalistico dalla sussunzione formale a quella reale, abbiamo oltre a
qualche nostro lavoro antico (per esempio gli opuscoli raccolti ne' l l|br| de/ rogo, Derive e approdi, Roma, 2006 e Marx o/tre Marx,
Feltrinelli, Milano, l979) tenuto presente il fondamentale commento al Cap. Vl lned|to di Claudio Napoleoni (lez|on| su/ Cap. Vl
lned|to d| Marx, Borighieri, Torino, l972) e lo abbiamo fatto perch, fino a questo punto, il commento di Napoleoni alle pagine di Marx
a nostro parere del tutto corretto. Da quanto fin qui sviluppato, Napoleoni trae una prima e definitiva conseguenza, e cio che in Marx la
sottomissione del lavoro sociale al capitale include anche il macchinario, lo strumento di lavoro, sia come macchina, sia come corpi dei
lavoratori; ne deduce logicamente che "una macchina non capitalisticamente usata dovrebbe essere d|versa da quella usata
capitalisticamente", ed evidentemente che anche i corpi dei lavoratori che si compongono in un certo modo in una certa forma dello
sviluppo capitalistico, dovranno altrimenti comporsi oltre il capitalismo; ed anche questa conclusione sembra corretta. Si da tuttavia che
questa conclusione vera solo finch si assumano linearmente le deduzioni marxiane dalla sussunzione reale. Quando invece esse
siano assunte "dialetticamente" (e cio sottoposte alle determinazioni storiche della lotta di classe) non sar pi possibile considerare la
"reificazione" del valore nel macchinario o l'"alienazione" del lavoratore come mondi chiusi (in questa inversione consiste la rottura
essenziale della lettura "operaista" de l/ Cap|ta/e). ll capitale invece sempre un rapporto di forza ed il macchinario stesso (sussunto
dal capitale sociale) esso stesso un rapporto. Questo rapporto non lo si pu definire in maniera determinista. lotta, conflitto, un
insieme storico quindi aperto di vittorie e di sconfitte: la politica abita qui e le trasformazioni, gli effetti della lotta, l'essere "dentro e/o
oltre" (dei corpi dei lavoratori) alle strutture dello sfruttamento, e le misure di questo "dentro e/o oltre", sono variabili, dinamiche, di volta
in volta ontologicamente definite. "Le macchine corrono la dove c' lotta", riconosce infatti Marx; ed anche i valori: le macchine ritornano
ad essere un "valore d'uso" operaio nella lotta un valore d'uso che la sussunzione (socializzazione del lavoro, caratteristiche
scientifiche della sua organizzazione) del lavoro sotto il capitale estende alla lotta sociale contro il capitale. Qui si definisce in maniera
conclusiva il rapporto antagonista che costituisce la realt del capitale togliendo al processo capitalistico che conduce alla
sussunzione reale, alla "reificazione" dei rapporti sociali, ogni determinismo ed insieme ogni scarto idealista e/o apocalittico. La
sussunzione della societ nel capitale tendenz|a/mente raffigura piuttosto un terreno b|opo/|t|co per le lotte d'emancipazione.
NB. Quando diciamo tendenz|a/mente, non assumiamo un orizzonte determinista ma ci muoviamo nel quadro conflittuale delle lotte di
classe. Su questo terreno, dopo aver registrato la "tendenza" ex post, dobbiamo verificare l'aprirsi di "dispositivi" ex ante. Qui tessuto
(e/o potenza) b|opo/|t|co e macchine del b|opotere significano, di conseguenza, rispettivamente, aperture ontologiche di "dispositivi"
desideri, programmi, macchine istituzionali biopolitici oppure accumulo ontologico di tendenze e strutture di potere sulla vita. Questo
il terreno nella lotta di classe nell'epoca attuale, in una condizione cio di sussunzione reale della societ nel capitale ormai completa.
Su questi temi hanno lavorato soprattutto l'ultimo Michel Foucault e Judith Revel.

Eccoci ad un altro punto essenziale del Cap. Vl lned|to: lavoro produttivo e lavoro improduttivo. Marx ne parla dalla pag. 73 alla pag. 92
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(nell'ed. tedesca da pag. 480 fino a pag. 490): anche in questo caso noi leggeremo queste pagine per avanzare nella nostra
comprensione del presente. Ora, alla domanda su cosa sia "lavoro produttivo", Marx risponde qui: il lavoro che produce plusvalore
cio attivit valorizzante il capitale. "Poich il fine immediato e lo spec|l|co prodotto della produzione capitalista il p/usva/ore, in essa
produttivo soltanto quel /avoro e produtt|vo solo quell'erogatore di forza-lavoro che produce direttamente p/usva/ore; quindi,
soltanto il lavoro consumato direttamente nel processo di produzione per valorizzare il capitale" (pag. 73; ed. tedesca pag. 480). Questo
punto di vista pesantemente e polemicamente ribadito nelle stesse pagine: "solo l'angusto orizzonte mentale borghese, che nella
produzione capitalistica vede la forma assoluta della produzione, la sua unica forma naturale, pu confondere il problema di che cosa
siano, dal punto di vista del capitale, /avoro produtt|vo e /avoratore produtt|vo con la questione di che cosa sia /avoro produtt|vo in
generale, e quindi appagarsi della risposta tautologica che produttivo ogni lavoro il quale in genere produca, cio metta capo a un
prodotto, a un valore d'uso qual si voglia, a un risultato in generale. produttivo soltanto l'operaio il cui processo lavorativo equivale al
processo d| consumo produtt|vo della forza-lavoro del depositario di questo lavoro da parte del capitale o del capitalista" (pag. 74;
ed. tedesca pag. 480).
Queste definizioni sembrano contradditorie con la nostra premessa (sviluppata al punto l.) ove si considerano coestensivi il lavoro
produttivo e lavoro sociale sussunto nel capitale: in ci consiste a nostro parere infatti la dimensione tendenzialmente biopolitica
dello sfruttamento. "Sembrano": noi non crediamo infatti di essere in contraddizione con Marx su questo terreno. infatti evidente che
noi teniamo fermo il punto di vista della critica del valore: in principio, non per noi "produttivo" ogni lavoro che produca "utilit"
quando si intenda, come Say, Bastiat ed altri economisti, l'utilit come un servizio qualunque in questo caso ogni attivit sociale
dovrebbe paradossalmente essere considerata come produttiva. Ma non cos! Tuttavia, anche a questo proposito dobbiamo subito
sottolineare uno scarto nella verifica della teoria del valore-lavoro. Quando il capitalista infatti vuole valore, lo vuol nella lorma de/
p/usva/ore al punto che, come vedremo pi tardi, in verit, non s| da ma| teor|a de/ va/ore che non s|a (dedotta dalla definizione) de/
p/usva/ore (cio dalla resistenza, meglio, dalla lotta operaia contro il plusvalore). Rinviamo a Marx, alle Teor|e su/ p/usva/ore, per
chiarire questa tematica. Ma, riprendendo il filo della nostra argomentazione, come reagiamo al fatto che con la sussunzione reale del
lavoro e della societ sotto il capitale, il processo lavorativo diviene, per intero, processo di valorizzazione? Quando Marx dice che "il
capitale produttivo" perch ha invaso e sottomesso la societ ai processi di produzione di plusvalore, che cosa pu pi intendere per
"lavoro produttivo" se non che tutta l'attivit sociale lo (contraddittoriamente rispetto alla precedente lettura del concetto di lavoro
produttivo)? Vi dunque problema, qui.
Togliamo subito di mezzo un equivoco. Qua e l, nelle sue opere, Marx si chiede se siano "produttivi" taluni lavori: preti, impiegati
pubblici, soldati, magistrati, avvocati. e risponde che, piuttosto che produttivi, essi sono "sostanzialmente distruttivi". ("Perch sanno
come appropriarsi di una grandissima parte della ricchezza "materiale", un po' vendendo le loro merci "immateriali", un po' imponendole
con la forza, a costoro non era affatto gradito di essere relegati, dal punto d| v|sta econom|co, nella stessa classe dei buffoni e dei
domestici, e di apparire, rispetto ai produttori veri e propri, come semplici consumatori, come parassiti. Ci era una singolare
profanazione proprio di quelle funzioni che erano state fino ad allora circondate da una aureola e avevano goduto di una venerazione
superstiziosa. L'economia politica, nel suo periodo classico, esattamente come la stessa borghesia nel primo periodo del suo
affermarsi, assume un atteggiamento severo e critico nei confronti della macchina statale etc. ln seguito essa comprende e impara
dall'esperienza, che la necessit della combinazione sociale ereditata dal passato di tutte queste classi, in parte completamente
improduttive, deriva dalla sua propria organizzazione".) (Marx, Teor|e su/ p/usva/ore, pag. 298). lnutile sottolineare l'intelligenza storica
di queste annotazioni che, confermando i criteri della "lunga durata", ridicolizza le "leggi eterne della tradizione" vantate dal Tocqueville
"sicofante" del potere borghese! Resta il fatto che talune di quelle malfamate funzioni sono ritornate oggi ad essere produttive per
quante "immateriali" e "cognitive" e a non essere pi scambiate con rendita ma con salario. Noi continuiamo ad odiare e a
considerare "parassitari" questi "apparati ideologici dello Stato" non questo tuttavia un elemento decisivo la novit consiste
piuttosto nel fatto che la sussunzione reale andata ben pi a fondo di quanto lo stesso Marx potesse immaginare e, dunque, che
dobbiamo anche noi andare avanti nell'analisi mantenendo il disprezzo per quei burocrati e quei servitori delle ideologie e dello Stato
che, quand'anche resi produttivi, restano ciononostante la feccia della societ.
Riaffrontiamo il problema: Marx non ci lascia disarmati. Ecco infatti come allarga egli stesso il concetto di "lavoro produttivo" dopo
averlo, come abbiamo visto, talmente ristretto. "Poich, con lo sviluppo della sottom|ss|one rea/e de/ /avoro a/ cap|ta/e e quindi del
modo d| produz|one spec|l|catamente cap|ta/|st|co, il vero lunz|onar|o del processo lavorativo totale non il singolo lavoratore, ma una
forza-lavoro sempre pi soc|a/mente comb|nata, e le diverse forze-lavoro cooperanti che formano la macchina produttiva totale
partecipano in modo diverso al processo immediato di produzione delle merci o meglio, qui, dei prodotti chi lavorando piuttosto con la
mano e chi piuttosto con il cervello, chi come direttore, ingegnere, tecnico etc, chi come sorvegliante, chi come manovale o come
semplice aiuto , un numero crescente di lunz|on| de//a lorza /avoro si raggruppa nel concetto immediato di /avoro produtt|vo, e un
numero crescente di persone che lo eseguiscono nel concetto di /avorator| produtt|v|, direttamente sfruttati dal capitale e sottomessi al
suo processo di produzione e valorizzazione. Se si considera quel /avoratore produtt|vo che la fabbrica, la sua att|v|t comb|nata si
realizza materialmente e in modo diretto in un prodotto tota/e, che nello stesso tempo una massa tota/e d| merc| dove del tutto
indifferente che la funzione del singolo operaio, puro e semplice membro del lavoratore collettivo, sia pi lontana o pi vicina al lavoro
manuale in senso proprio. Ma, d'altra parte, l'attivit di questa forza-lavoro collettiva il suo consumo produtt|vo |mmed|ato da parte de/
cap|ta/e, autovalorizzazione del capitale, produzione immediata di plusvalore; quindi, come vedremo meglio in seguito,
traslormaz|one |mmed|ata de//o stesso |n cap|ta/e" (Cap|to/o Vl lned|to, pag. 74; ed. tedesca pag. 480). lnoltre: "con lo sviluppo del
modo di produzione capitalistico, le condizioni oggett|ve de/ /avoro assumono una forma modificata a causa della dimensione in cui, e
dell'economia con cui, vengono impiegate (a prescindere completamente dalla forma del macchinismo etc.): diventano pi evolute
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come mezzi di produzione concentrati, rappresentanti r|cchezza soc|a/e, e, per dir tutto in uno, grazie all'ampiezza ed efficienza delle
condizioni produtt|ve del lavoro soc|a/mente comb|nato". (ivi, pag. 88; ed. tedesca pag. 489). lnfine: "la scienza come prodotto
intellettuale generale dell'evoluzione sociale appare essa stessa come direttamente incorporata al capitale (e la sua applicazione in
quanto scienza al processo di produzione materiale appare come distinta dal sapere e dalle capacit del singolo operaio), e lo sviluppo
generale della societ, essendo sfruttato dal capitale ed agendo come forza produttiva del capitale di contro al lavoro, appare a sua
volta come sv|/uppo de/ cap|ta/e, e ci tanto pi in quanto, per la grande maggioranza, gli si accompagna di pari passo uno
svuotamento de//a capac|t /avorat|va". (ivi, pag. 89; ed. tedesca pag. 489). E potremmo continuare ad inondare il nostro testo di
riferimenti marxiani.
Ma ci interessa discutere il problema: che cosa significa che il processo lavorativo sociale si , nella sussunzione reale, trasformato in
processo sociale di valorizzazione, e viceversa? Che cosa significa che le forze produttive sociali sono state assorbite dal capitale e
sono divenute forza produttiva del capitale? Significa due cose. La prima che ci muoviamo sempre di pi, quando consideriamo il
carattere produttivo del lavoro, sulla stessa dimensione b|opo/|t|ca sulla quale ci aveva condotto l'analisi del processo di sussunzione
reale. Non sono forze "individuali" ma "sociali" quelle che operano produttivamente all'interno del processo lavorativo, all'interno
"socialmente combinato" della macchina produttiva, meglio, "della fabbrica collettiva".
Ma in pi di questo (che gi al punto l. avevamo cominciato a comprendere) qui, questa fabbrica collettiva, presupposto e risultato della
produttivit di operai conglomerati, seconda cosa attraversata e riorganizzata dalla scienza, che anch'essa incorporata al
capitale ma che indica tuttavia uno sviluppo sempre pi "astratto" delle potenze del lavoro. Circa dieci anni prima, nei Grundr|sse tra il
l857 e il l858, Marx aveva in maniera ancora pi efficace (e con modi quasi idealisti) interpretato questo passaggio scientifico nello
sviluppo del capitale, ponendo il Genera/ lnte//ect come indice finale del processo di sussunzione reale della societ nel capitale e
facendone balenare la potenza come erede rivoluzionario del proletariato. (Si trattava dunque di una Aulhebung che si basava
sull'affermazione dell'assorbimento della vita nel capitale e quindi sulla negazione/inversione di quella subordinazione Aulhebung
dunque come soluzione della crisi del processo di socializzazione macchinica e sua trasformazione in egemonia del capitale cognitivo
cos si congiungono, in maniera innovativa, processo lavorativo e processo di valorizzazione). Per concludere: la seconda
considerazione che, lavorando sul Cap|to/o Vl lned|to, pu aiutarci ad avanzare nella formidabile "preveggente analisi" marxiana del
presente, dunque questo innesto della scienza e del lavoro cognitivo sul tetto dell'edificio capitalista costruito dalla sussunzione reale
della societ. Oggi si direbbe: dalla "messa a lavoro" dell'intera societ nello sfruttamento della cooperazione lavorativa e della
valorizzazione cognitiva alla determinazione di un nuovo soggetto rivoluzionario.
NB. Quando parliamo di "lavoro produttivo" nella sussunzione reale, noi parliamo, in consonanza con lo sviluppo immaginato da Marx,
di un lavoro compiuto da corpi operai/lavoratori/del braccio e della mente/ cooperanti socialmente e dobbiamo insistere sulla
trasformazione ("mostruosa" e felice) che questi corpi portano sul nuovo terreno bipolitico della lotta di classe. Naturalmente qui
soprattutto vige l'antagonismo "biopotere-biopolitica"; quindi bando ad ogni illusione continuistica, determinista, eurodemonica! Questi
corpi sono "mostruosi" ma in effetti "mostruoso" il desiderio del comune nella libert e nell'uguaglianza. (Su questa tematica dei
corpi "mostruosi" hanno lavorato Flix Guattari, Christian Marazzi, Matteo Pasquinelli).

Ma se le cose stanno cos, se il tessuto capitalistico tendenz|a/mente biopolitico e cognitivo nella considerazione marxiana,
ellett|vamente tale nell'attualit se dunque nel tessuto capitalistico completamente identificato e socialmente esaltato il processo
lavorativo dentro quello della valorizzazione, dove sta pi lo sfruttamento? Meglio, dove sono pi quelli che sfruttano, e chi pi lo
sfruttato?
fuori dubbio che nel Cap|to/o Vl lned|to, Marx, per alcuni versi, lascia questa questione senza risposta. ll lavoro oggettivato,
attraverso il processo storico della sussunzione reale, si estende tanto ampiamente ed assume una autonomia cos forte che
l'insorgenza della soggettivit, del lavoro vivo, risulta sempre pi difficilmente riconoscibile. ll lavoro morto diventa corpo sociale,
continente/contenente organico sempre pi enorme del lavoro vivo. Sembra quasi a leggere talune pagine del Cap|to/o Vl lned|to
che il mondo capitalistico, una volta conquistata la "combinazione sociale" delle forze produttive, riesca a bloccare lo sviluppo storico
della lotta di classe. Ma questa condizione solo "apparente". (Bisogna naturalmente far bene attenzione allo specifico valore
"dialettico" delle parole in Marx. "Apparente" non significa umbratile, superficiale o inconsistente; significa la concretezza materiale,
ontologica per quanto mistificata, del potere capitalistico globale nello sfruttamento della forza-lavoro ed insieme la sua capacit di
nascondere la potenza di questa ed i suoi effetti). Questa condizione dunque apparente. Perch? A Marx, probabilmente, non
verrebbe neppure in mente di porre la questione l'intero presupposto dialettico del suo metodo riduce a banalit l'eventuale
questione. Non per noi. Perch, dunque? Perch il rapporto di sfruttamento intrinseco, intransitivo, e non esteriore, non transitivo, al
rapporto di lavoro ed alla produttivit del capitale. Meglio detto: l'alienazione delle condizioni di lavoro, nella sussunzione reale della
societ del capitale, permane e si accresce quanto pi lo sviluppo capitalistico avanza. Nei Grundr|sse (vol. ll pag. 575) Marx annota: "il
fatto che con lo sviluppo delle capacit produttive del lavoro, le condizioni oggettive del lavoro aumentino rispetto al lavoro vivo..,
questo fatto assume dal punto di vista del capitale il seguente aspetto: che non uno dei momenti dell'attivit sociale ossia il lavoro
oggettivato che diventa corpo sempre pi potente dell'altro momento, del lavoro vivo, bens sono le condizioni oggettive del lavoro
che assumono rispetto al lavoro vivo un'autonomia sempre pi colossale che si manifesta attraverso la loro stessa estensione". Bene,
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questa alienazione colossale produce un processo storico attraverso il quale il lavoro (alienato, oggettivato) sempre pi "socializzato "
ritrova la propria autonomia (ora socializzata appunto rispetto alla sua primitiva individualizzazione) a fronte del capitale. Siamo dinanzi
ad una "inversione" del concetto di "forza produttiva sociale" del capitale che si manifesta storicamente nella socializzazione del lavoro
vivo: un'"inversione" soggett|va che sopprime l'alienazione, la reificazione del lavoro vivo (non qui luogo di distinguere questi concetti
quanto di assumerli uniti nella loro capacit descrittiva ed evocativa) nel lavoro morto. Ed attribuisce al lavoro vivo una potenza di
socializzazione, strappata ormai al lavoro morto. Attraverso questa inversione viene attribuito all'attivit degli individui un carattere
immediatamente sociale e produttivo.
convincente questo marxiano rovesciamento degli effetti della sussunzione sociale, fino a determinare il recupero dell'autonomia del
lavoro vivo in quanto lavoro socializzato, in quanto cio figura di una potenza comune di un lavoro fin qui sfruttato e oppresso? A noi
non sembra; a noi sembra piuttosto che qui il fatto di non considerare Hegel un "cane morto" tiri a Marx un brutto scherzo: quello di
sovrapporre un'intuizione ad un ragionamento, meglio, un cattivo ragionamento fondato sulla rivendicazione (indignata) della dignit del
lavoro ad un buon ragionamento, altre volte fatto (e con quale forza!) il riconoscimento fondativo della potenza antagonista che si
solleva (immediatamente) dall'esperienza dello sfruttamento sociale del lavoro contro l'astrazione crudele bastarda del plusvalore.
Ancora: qui sembra (quando si tenga presente l'inversione del rapporto "alienazione/socializzazione") che si tratti del passaggio dal
dentro (la sussunzione reale, l'alienazione produttiva) ad un luor| (un'integra socializzazione del lavoro vivo e la pienezza della sua
autonomia). Ma non cos: il capitalismo si combatte dentro e contro, esso non concede "fuori", e ci perch l'avversario del lavoro
vivo non semplicemente la figura astratta dello sfruttamento ritagliata dentro la continuit dei circuiti del processo lavorativo ma la
figura concreta del capitalista che succhia pluslavoro. "Cresc|ta de/ cap|ta/e e cresc|ta de/ pro/etar|ato appaiono quindi legate l'una
all'altra, anche se prodotti ai poli opposti di uno stesso processo". (Cap|to/o Vl lned|to, pag. 97; ed. tedesca pag. 493). Al punto in cui
arrivata la critica marxiana, non |/ processo /avorat|vo che |nc/ude |/ processo d| va/or|zzaz|one ma p|uttosto que//o d| va/or|zzaz|one
che conl|gura e d|sc|p/|na que//o /avorat|vo; ed il valore-lavoro stesso colto prima di tutto dall'esperienza dello sfruttamento, nella
figura del plusvalore. Marx sottolinea la fondamentale preminenza del plusvalore nella sua opera: "il meglio del mio libro scrive dopo
la pubblicazione del l|bro l del Cap|ta/e l) (su ci riposa tutta la comprensione dei lacts) il dopp|o carattere del /avoro subito messo
in rilievo nel pr|mo capitolo, a seconda che esso si esprima in valore d'uso o in valore di scambio; 2) la trattazione del p/usva/ore
|nd|pendentemente da//e sue lorme part|co/ar|, quali profitto, l'interesse, la rendita fondiaria, etc.". (Marx-Engels, Cartegg|o, pag. 52).
Solo ora si potr concludere: "cos svanisce anche l'apparenza che il rapporto possedeva in superficie, l'apparenza cio che nella
circolazione, sul mercato, si fronteggino propr|etar| d| merc| dotati di eguali diritti e distinti l'uno dall'altro come ogni proprietario di
merci soltanto a causa del contenuto materiale della loro merce, del particolare valore d'uso delle merci che hanno rispettivamente da
vendersi. Ovvero, questa forma or|g|nar|a del rapporto non sussiste pi che come apparenza del rapporto cap|ta/|st|co che sta alla sua
base". (Cap|to/o Vl lned|to, pag. 97; ed. tedesca pag. 493). Commenta lsaak Rubin (Sagg| su//a teor|a de/ va/ore d| Marx, Feltrinelli,
l976, pag. 52): "la formulazione consueta abbreviata di questa teoria che il valore della marce dipende dalla quantit di lavoro sociale
necessario per la sua produzione. Ossia, in forma ancor pi generale, il lavoro si cela o contenuto nel valore, il valore uguale a
lavoro "materializzato". Ma pi appropriato formulare inversamente il problema: .la teoria del valore-lavoro non si basa sull'analisi
dello scambio nella sua forma materiale, ma dei rapporti sociali di produzione che in esso si esprimono." Dunque, solo il contro che
spiega il dentro. /'es|stenza ant|tet|ca delle condizioni capitaliste dello sfruttamento rispetto al lavoro vivo che ci permette di
identificare chi che sfrutta e chi sfruttato.
Si aggiunga una ulteriore considerazione. Abbiamo visto al punto l., a proposito della concezione del "macchinismo" sviluppata nel
Cap|to/o Vl lned|to, come la dialettica hegeliana dello strumento sia stata qui modificata: lo strumento non pi mediazione fra il
lavoratore e la natura, bens il lavoratore lo strumento fra il capitalista e la ricchezza (abbondanza di merci e profitto). Ora, in secondo
luogo, avvertiamo che lo strumento, socializzandosi, si profondamente trasformato, meglio, ha di nuovo assunto una sua autonomia,
riapparso in primo piano. "Si vede qui come, sulla base del modo di produzione capitalistico, le categorie economiche comuni, anche
ad epoche di produzione antecedenti, assumano un carattere storico specificatamente diverso". (|v|, pag. l04; ed. tedesca pag. 442).
Queste annotazioni marxiane ci sono utili per concludere questo breve excursus sui caratteri "preveggenti" della critica marxiana delle
categorie economiche del capitalismo, cos com' condotta nel Cap|to/o Vl lned|to. Questa preveggenza non sostenuta da illusioni
deterministe ma aperta come dispositivo alle forze antagoniste che nella lotta di classe costruiscono storicamente il processo di
emancipazione. Dunque, se nella sussunzione reale il lavoro produttivo diviene forza produttiva del capitale, e se, cos compiendosi il
processo e determinandosi la sua inversione, il lavoratore collettivo, formato dalla combinazione sociale dei fattori produttivi, riconosce
la sua stessa natura trasformata in attore "comune" della produzione se dunque tutto questo avviene, potremo concludere che nella
figura "biopolitica" della sussunzione e nella determinazione "cognitiva" della produzione si riconosce al proletariato (strumento
collettivo della produzione) un nuovo protagonismo, cio la presa in conto di una "potenza comune", e si identifica quindi un dispositivo
"comune" radicalmente ordinato ad una egemonica pretesa di liberazione dal dominio del capitale. lo strumento stesso della
produzione che divenuto potenzialmente capace di liberarsi dallo sfruttamento e dal comando e di riconoscersi egemone nel produrre
la ricchezza del comune.
NB. La lotta di classe, condotta nella sussunzione reale della societ nel biopotere, sembra dover assumere una tonalit particolare.
infatti l'"esistenza antitetica del corpo indebitato, mediatizzato, securizzato, rappresentato che si indigna, si ribella, si organizza, lotta.
Deve farlo dentro questo mondo reificato dal biopotere, dal "pensiero unico", sempre dentro nuove configurazioni dell'alienazione (di qui
l'urgenza inesorabile della "conricerca" conoscitiva e sovversiva per dare inizio a qualsiasi progetto di emancipazione) e contro. Mentre
il "dentro" lo abbiamo ben identificato, il "contro" il terreno della prassi, affidata ormai all'immaginazione costituente ed alle pratiche
militanti. Si pu imparare moltissimo, a questo proposito, da Franz Fanon e in genere dalle prime generazioni dei militanti e degli
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S di 6 27/09/2012 00:47
studiosi del "post-coloniale". ll problema per oggi quello di organizzare la moltitudine cio di impegnare nella istituzione di una
"politica del comune" le reti biopolitiche (cio informatiche ed intelligenti, cooperanti e produttive, critiche dell'economia politica e
comunarde, partecipanti ed esperte democraticamente, etc) delle singolarit.

Queste ultime considerazioni ci permettono di riprendere, senza il pericolo di derive interpretative di stampo idealistico, il brano sul
Genera/ lnte//ect dei Grundr|sse al quale gi avevamo accennato e di rileggerne collocazione e sviluppo nel pensiero marxiano.
Avevamo detto che nei Grundr|sse sette e otto anni prima di redigere il Cap|to/o Vl lned|to, Marx aveva avanzato tesi che solo
nell'opera successiva, all'interno dunque della redazione del l|bro l de l/ Cap|ta/e, si dimostrano nella loro piena e materiale
consistenza. Gi nei Grundr|sse, per Marx il problema era quello di trovare il punto di appoggio per rovesciare gli effetti di "alienazione"
e "reificazione" (non per abbandonarli come per esempio voleva Althusser che li definisce come prodotti di una umanistica
adolescenza marxiana ma per darne giustificazione critica e materialista). Sono concetti, quelli, che gi prima del '58, negli scritti
giovanili, rappresentavano in maniera idealista una realt perversa, effetto dello sfruttamento capitalista, della quale si denunciava il
potere repressivo e nella quale si presentava, d'altra parte, l'occasione del passaggio dialettico, della negazione, verso un superamento
ideale. Ora, la rinnovata critica dell'economia politica permette di materializzare questo passaggio: passaggio storico, non dialettico;
non necessario ma effettualmente dato: un passaggio attraverso l'inferno dell'accumulazione primitiva, della sussunzione formale e
reale. "Nella misura in cui si sviluppa la grande industria, la creazione della ricchezza reale viene a dipendere meno dal tempo di lavoro
e dalla quantit di lavoro impiegato che dalla potenza degli agenti che vengono messi in moto durante il tempo di lavoro, e che a sua
volta questa loro powerlu// ellect|veness non minimamente in rapporto al tempo di lavoro immediato che costa la loro produzione
ma dipende invece dallo stato generale della scienza e dal progresso della tecnologia, o dall'applicazione di questa scienza alla
produzione. in questa trasformazione non n il lavoro immediato, eseguito dall'uomo stesso n il tempo che egli lavora ma
l'appropriazione della sua attivit generale, la sua comprensione della natura ed il dominio su di essa attraverso la sua esistenza di
corpo sociale in una parola lo sviluppo dell'individuo sociale che si presenta come il grande filone di sostegno della produzione e
della ricchezza" (K. Marx, Grundr|sse, vol. ll, pagg. 400 40l, ed. tedesca pagg. 592 593). Utopia? lllusione? Forse. Comunque un
dislocamento in avanti dell'intera "critica preveggente". Ne usciremo trasformati? Ne usciremo rivoluzionati? Nel '58 il Genera/ lnte//ect
un concetto-forza che permette di cogliere, dentro l'intuizione della sussunzione reale e dell'aggregazione/combinazione sociale delle
forze produttive, le maggiori determinazioni delle trasformazioni oggettive imposte dalla rivoluzione cap|ta/|sta: carattere intellettuale del
lavoro nella condizione sussunta della societ nel capitale. Ma qui non c' ancora la soggettivit rivoluzionaria comun|sta. Perch essa
insorga ci vogliono resistenza, ricomposizione sociale, desiderio, lotte, dispositivi pratici anticapitalisti. Si tratta in ogni caso di stabilire
un rapporto fra "composizione tecnica" e "composizione politica" del proletariato. Ci detto, solo il primo maturo passaggio teorico nel
materialismo (che avviene appunto nel decennio l858-l867) a produrre v|rtua/mente una soggettivit rivoluzionaria e comunista.
Finch tutto questo non c', l'analisi resta ipotetica, si chiude nella fragilit dell'assunto, nella retorica della dichiarazione e
nell'impotenza dell'azione. nel Cap|to/o Vl lned|to che, appunto, non solo la trasformazione teorica ma quella rivoluzionaria comincia
ad emergere. Non siamo pi solo dentro la sussunzione produttiva della societ nel capitale ma cominciamo ad esserne o/tre. La
trasformazione pu essere v|rtua/mente rivoluzionaria. Dopo esser stato costruito "dentro", lo strumento, il soggetto, l'onto/og|a
comune del produrre (una nuova realt del "lavoro produttivo") emergono "contro" il comando capitalistico. ll plusvalore non pi solo
una macchina che produce l'accumulazione del potere capitalistico di sfruttamento della societ ma anche l'occasione attraverso la
quale il proletariato innalza la sua rivolta. Di l a poco la Comune di Parigi mostrer a Marx una prima storica determinazione di questo
divenire ma soprattutto la prima soggettivazione.
Oggi, avendo subito un secolare orribile sfruttamento (fatto di miserie e di fatica e poi di, come se non bastasse, di mistificazioni
ideologiche e di barbarie religiosa) sappiamo finalmente dare nome sia al plusvalore sociale (= capitale finanziario) sia al Genera/
lnte//ect (= proletariato cognitivo). Quest'ultimo nella preveggente immaginazione marxiana una potenza che, distruggendo
l'alienazione e la reificazione in nome del "comune", propone un nuovo protagonismo rivoluzionario.
Toni Negri: SpunIi di 'criIica preveggenIe' neI CapiIoIo V! ine... hIIp://www.sinisIrainreIe.inIo/marxismo/22S9-Ioni-negri-spun...
6 di 6 27/09/2012 00:47

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