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TESORI SOMMERSI

1. LA TEORIA: IDENTITA’, EMIGRAZIONE E DISAGIO

1. TEORIE SULLO SVILUPPO DELL’IDENTITA’


Il concetto di identità è indissolubilmente legato allo sviluppo dell’uomo.
Rousseau , nell’Emilio definisce tale periodo come una seconda nascita, una metamorfosi in cui si
svegliano il senso sociale, l’emotività e la coscienza morale. (adolescenza)
Stanley Hall definisce l’adolescenza come periodo di preparazione alla vita adulta, in cui al giovane
deve essere offerta la possibilità di sfogare le forze istintuali da cui viene spinto biologicamente.
Seguono numerosi contributi, i primi furono realizzati in Germania negli anni 20, che presentano
un’adolescenza introversa, romantica e amante della natura.
Freud considerò l’adolescenza come una ricapitolazione delle esperienze infantili.
Aichorn fu uno dei promotori, ad orientamento psicoanalitico, ad affrontare i problemi concreti
dell’adolescenza, mentre la prima analisi sistematica fu condotta da Anna Freud, che la definisce
come un periodo di interruzione di una crescita pacifica, in cui subentrano dei disturbi evolutivi,
nell’ambito dei quali l’adolescente ricorre alla fuga dalla famiglia e sviluppa fantasie di onnipotenza.
Un ulteriore filone fu costituito dagli studi etnologici, come quelli condotti da Margaret Mead e
Thorndike che mostrarono che lo sviluppo umano varia in base alla cultura, al punto che in alcune
società non esiste l’adolescenza.
Vygoskij affermava che lo sviluppo dei singoli individui avviene tramite l’appropriazione dei prodotti
culturali e storici, mentre Leontjev mette in evidenza come il bambino divenga uomo solo grazie
alle relazioni con gli altri.

1.1 PROSPETTIVA PSICANALITICA DI ERIKSON


Riesce ad armonizzare le conoscenze della psicoanalisi classica con quelle dell’interazionismo
simbolico e definisce l’identità come una specifica sintesi, come un lavoro di integrazione dell’io,
un’attività che implica sia aspetti psichici sia sociali.
Ci sono otto stadi, e in ogni stadio è presente una crisi evolutiva con relativi conflitti. Nel caso di
risposta adeguata e di soluzione dei conflitti, l’individuo riesce a passare al livello più elevato,
rinforzando la propria personalità.
Nel caso in cui le crisi evolutive non vengano superate, possono subentrare comportamenti
devianti o disturbi a livello intrapsichico e sociale.
Avviene ciò che Erikson definisce sviluppo non riuscito dell’identità, ossia confusione dell’identità.
Nelle società industrializzate, assistiamo ad una graduale perdita dell’identità di gruppo e dei valori
di gruppo. In questo modo ogni individuo viene sottoposto ad un numero eccessivo di compiti che
deve risolvere da solo.

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Il processo di assunzione dell’identità può essere agevolato da fattori come la presenza di una
costellazione familiare con sufficienti modelli di identificazione o dall’attuazione di strategie come la
rimozione degli aspetti della cosiddetta identità negativa, ossia delle componenti indesiderate o
negative del proprio io, oppure il riuscire a realizzare un legame culturale che non si manifesti
come fissazione ad un determinato gruppo, bensì come apertura per successivi sviluppi in
rapporto a tutta l’umanità.
Marcia ha postulato altre due possibilità, accanto alle alternative di Erikson tra l’identità dell’io e la
dispersione dell’identità:
 L’identità negata
 Moratorium
Tali alternative da non considerare come statiche, ma dinamiche, in particolare comprendono:
a) Identità raggiunta, quando un soggetto ha superato un periodo di crisi e si sente legato al
suo mestiere e ad una sua ideologia, i suoi atteggiamenti nei confronti della religione e
della politica sono univoci, sa rispondere a quesiti aperti.
b) Dispersione dell’identità, quando non risulta chiaro se un soggetto ha vissuto e superato un
periodo di crisi
c) Moratorium, quando si trova ancora all’interno di una crisi e non riesce ad assumersi delle
responsabilità nei confronti di un mestiere o di un’ideologia
d) Identità negata, quando il soggetto non ha vissuto alcun periodo di crisi, ma si è lo stesso
assunto delle responsabilità nei confronti di un mestiere o di una ideologia.

1.2 L’interazionismo simbolico: Mead, Goffman e Krappmann


Stati Uniti d’America tra il 1890 e il 1935, attingendo dalle conoscenze filosofiche del pragmatismo
americano, comprende una serie di teorie socio-filosofiche e socio-psicologiche, non
necessariamente univoche.
Tiene soprattutto conto dell’analisi delle esperienze quotidiane e dell’osservazione del
comportamento in situazioni abituali.
Considera importanti i rapporti sociali e considera i fenomeni sociali come un processo aperto e
dinamico, in cui ogni sistema di interazione deve essere integrato sempre in maniera nuova.
Adotta una visione di tipo sistematico e definisce l’identità come il risultato dell’interazione di una
persona col suo ambiente, come risultato delle capacità, del ruolo sociale e delle attribuzioni
acquisite mediante interazione sociale.
Effettua inoltre una differenziazione dell’identità, distinguendo tra I e ME
Il ME comprende le aspettative sociali interiorizzate dall’individuo, mentre l’I include idee e
atteggiamenti.
L’identità si concretizza nell’interazione reciproca tra I e ME.

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Sviluppa un concetto di identità che permette di analizzare i conflitti ed il modo di affrontarli o di
risolverli nella quotidianità.
Individua tre livelli:
 IDENTITA’ SOCIALE: comprende le aspettative di ruolo del sistema normativo dei singoli
gruppi di riferimento sociale. Viene distinta l’identità sociale virtuale, i presupposti
nell’individuo che non ha bisogno di possedere realmente. L’identità sociale attuale, ovvero
gli attributi che possono essere dimostrati.
 IDENTITA’ PERSONALE: caratteristiche personali esterne al soggetto
 IDENTITA’ DELL’IO: abbraccia le sensazioni e le emozioni soggettive, riferite alla propria
situazione
Mentre l’identità sociale e personale rappresentano l’aspetto oggettivo, l’identità dell’io rimanda
verso la prospettiva interiore. Goffman ha studiato anche in maniera approfondita i processi di
stigmatizzazione. Krappmann concepisce l’identità non come un’istanza psichica stabile, ma come
un processo di esperienze aperte ed interattive, passibili di interpretazione soggettiva.
Per riuscire a raggiungere un’identità stabile l’adolescente dovrebbe riuscire ad interpretare le
norme sociali e le aspettative dei partener di interazione, tenendo presente la propria situazione
attuale ed il proprio ruolo.
L’identità come un atto di bilanciamento dell’individuo tra il compito di essere così come tutti e di
essere così come nessuno.
Kappmann introduce nel processo di assunzione dell’identità una dimensione orizzontale che
comprende gli aspetti sociali dell’identità ed una dimensione verticale, che rimanda ad un livello
personale. Per proteggersi da una non identità e poter ribilanciare al meglio la propria, il soggetto
necessita anche di alcune qualificazioni di base, sviluppate mediante la concreta assunzione di
ruoli.
I più importanti sono: la distanza dai ruoli, ossia la capacità di atteggiarsi in maniera interpretativa
e riflessiva nei confronti dei ruoli; l’empatia, la tolleranza dell’ambiguità, rappresentazione
dell’identità, ossia la capacità di rappresentare la propria identità nell’ambito del processo
interattivo.

1.3 Il modello ecologico di Bronfenbrenner


Bronfenbrenner per lo sviluppo di ogni soggetto e per la costruzione della propria identità, assume
particolare significato il microsistema. Esso viene messo in rapporto a tre fattori principali: le attività
molari, i rapporti e i ruoli.
Le attività molari sono quelle considerate attività considerate come significative per il soggetto.
Il rapporto si riferisce alla capacità del soggetto di seguire con attenzione o di partecipare alle
attività di un’altra persona.

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Nel rapporto madre-bambino è fondamentale che entrambi i partner avvertano sentimenti positivi
per l’altro e che tali sentimenti restino nella coscienza anche quando il partner non è presente
(diade primaria).
Quando la complessità dei comportamenti comuni all’interno delle diadi primarie lentamente
aumenta ed il bambino riesce sempre più ad influenzare le situazioni esterne, allora siamo di fronte
ad una diade di sviluppo.
I ruoli vengono visti come risultato delle attribuzioni. In tal senso, le aspettative sociali possono
caratterizzarsi come stimolanti o inibenti rispetto a determinati comportamenti.

1.4 La crescita della personalità di Rogers


I rappresentanti della psicologia umanistica non partono dal concetto di identità, bensì dal concetto
di sé, in cui gli esseri umani vengono considerati come individualmente differenti e nella loro
totalità (spirito, anima, corpo, ambiente).
Grande importanza viene attribuita al vissuto dei singoli individui ed al significato soggettivo.
Rogers ha fondato il modello della terapia centrata sul cliente.
L’uomo è abitato da una tendenza verso lo sviluppo di tutte le sue potenzialità, che servono al
mantenimento o all’ulteriore crescita del suo organismo, comprendente la globalità della sua
persona, della sua mente e del suo corpo.
Tale attività è stata definita tendenza attualizzante.
Secondo rogers la struttura del sé scaturisce dall’interazione con l’ambiente geografico e sociale
circostante. Il bambino vive in un campo fenomenologico.
Nel corso del suo sviluppo non interiorizza tutte le esperienze, ma solo quelle che vengono
considerate significative.
Nel successivo corso della vita nel Sé vengono simbolizzate, ossia accettate ed integrate, solo le
esperienze che si armonizzano con il concetto di Sé preesistente, mentre tutte le altre vengono
negate con il concetto in maniera distorta.
Comprende solo esperienze assunte da altre persone.
Nel caso in cui il concetto di sé sia costituito da un elevato numero di esperienze interiorizzate
acriticamente, nel momento in cui il soggetto scopre delle incongruenze tra il proprio sé ed alcune
sue esperienze o comportamenti, possono scatenarsi conflitti o tensioni psichiche.
Alcune persone riescono a rivedere o modificare l’immagine del proprio sé, in modo che le
esperienze corporee sensitive dell’organismo possano essere interpretate ed eventualmente
integrate nel concetto di sé, altre percepiscono le esperienze contradditorie come una minaccia,
reagendo con meccanismi di difesa che irrigidiscono ulteriormente la struttura del sé.

1.5 Riflessione critica sui modelli presentati

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Il modello psicoanalitico di Erikson si presta ad alcune critiche, ovvero che la fase di latenza (dai
sei ai dodici anni) e quella relativa all’età adulta non vengono poste in sufficiente rilievo per lo
sviluppo dell’identità. Le varie fasi dello sviluppo si articolano in modelli rigidi e schematici in
contraddizione con le moderne teorie sullo sviluppo della personalità.
I rappresentanti dell’interazionismo simbolico hanno avuto il grande merito di aver incluso nel
processo di assunzione dell’identità elementi di tipo sociale e componenti di carattere situativo-
interattivo, nonché di aver sottolineato l’aspetto dominante di tale processo.
Mead ha considerato in maniera eccessiva l’importanza delle dinamiche sociali nel processo di
assunzione dell’identità, a discapito delle componenti affettivo-emozionali.
Goffman viene apprezzato per i processi di stigmatizzazione, ma non sembra aver differenziato il
concetto dell’identità dell’io. Si è concentrato troppo sugli aspetti dinamici dell’identità, senza aver
elaborato le componenti stabili e permanenti.
L’importanza del modello ecologico di Bronfenbrenner ha un’ottica sistemica in cui sono presi in
considerazione tutti i settori.
L’approccio centrato sulla persona può difficilmente essere applicato in maniera acritica su
individui provenienti da un’area culturale mediterranea.
Consente di comprendere però, non solo l’insorgere di concetti e preconcetti, ma anche di molti
conflitti intrapsichici e sociali presenti in contesto migratorio.

2. TRA EMIGRAZIONE ED EMARGINAZIONE


2.1 L’emigrazione nella storia dell’umanità
La storia dell’Italia può essere letta come storia di migrazioni: da sempre serbatoio di emigrati, è
divenuta ora paese d’immigrazione. Nei primi decenni dell’Ottocento furono i precursori
dell’immigrazione di massa. A fine Ottocento, negli anni della grande fuga dalle campagne, i
lavoratori italiani si riversarono nelle Americhe e in molti paesi europei del Nord, nei cantieri edile,
nella costruzione di strade.

2.1.1 Cenni storici e statistici sull’emigrazione italiana


L’emigrazione italiana viene suddivisa in tre grandi periodi: dal 1876 al 1915, dal 1916 ql 1945, dal
1946 fino ad oggi.
Durante il primo periodo i più poveri, i meno istruiti e senza preparazione professionale. Nei primi
anni, principalmente gruppi liguri, piemontesi e lombardi in un esodo di tipo temporaneo verso le
nazioni vicine. A partire dalla fine del secolo, l’onda delle partenze diventa permanente e in
prevalenza si riversa su Pesi transoceanici.
Inizialmente sono soprattutto veneti e friulani che espatriano. Assistiamo al vero grande esodo
migratorio verso gli Stati Uniti.

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Nel secondo periodo vi è un diminuire del flusso di espatri in conseguenza alle remore
sull’emigrazione poste dal fascismo, alla grave crisi economica degli anni 30, provvedimenti
restrittivi all’emigrazione adottati dagli Usa nel 1924.
Nel terzo periodo si assiste ad una nuova modesta crescita del flusso migratorio, con l’eccezione
del Veneto che fino al 1961 detiene il primato di espatri.
Dal 1948 l’emigrazione non avviene più per iniziativa individuale, ma in seguito ad accordi stipulati
dal governo italiano, dapprima Svizzera e Belgio.
Negli anni 70 Molti Paesi tentarono il primo vero blocco dell’immigrazione, adottando misure
restrittive o vere e proprie sanzioni.
Non solo non si riuscì a bloccare l’emigrazione, ma per gli immigrati si creò una situazione di
maggiore insicurezza e precarietà, da cui scaturì un ulteriore aggravio della loro situazione
psichica e materiale.

2.1.2 Aspetti dell’immigrazione


Adesso siamo noi a sentirci invasi e minacciati. In Italia la percentuale di persone che cercano
rifugio è tra le più basse d’Europa.
Fra i vari paesi con più altra presenza di stranieri, troviamo al primo posto il Lussembutgo,
seguono Belgio, Germania, Francia, Olanda, Gran Bretagna, Danimarca.
La maggioranza vive, quindi, nel rispetto delle leggi, in maniera dignitosa, silenziosa, invisibile.
La temporaneità del soggiorno all’estero, l’illusione del ritorno, dopo aver guadagnato nel minore
tempo, più denaro possibile, sufficiente a conferire maggiore dignità e sicurezza all’esistenza
propria e dei propri cari.

2.1.3 Cause e conseguenze dell’emigrazione


Motivi dell’emigrazione distinti tra push e pull factors. Emergono quasi esclusivamente fattori di
spinta e di tipo economico.
Fra i fattori di richiamo, ossia i motivi di scelta di un determinato paese per l’emigrazione, nella
letteratura si fa riferimento all’attrazione esercitata dalle nazioni industrializzate con il loro
potenziale lavorativo. Sono vere e proprie catene migratorie, a volte invece è stato deciso per caso
o per motivi esterni.
Le conseguenze dell’emigrazione non sono rilevabili solamente nel settore economico e sociale,
ma anche in quello psichico. Definisce eventi critici, eventi che subentrano nella vita di una
persona, caratterizzati da un cambiamento della situazione di vita e che necessitano di risposta da
parte della persona mediante adeguati comportamenti adattivi. L’emigrazione è complessivamente
come evento critico o stressante della vita.
Ma l’emigrazione deve essere necessariamente associata a conseguenze psichiche negative?

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Situazioni stressanti possono avere anche effetti positivi per lo sviluppo della persona e possano
persino stimolarne un miglioramento nelle prestazioni.

2.2 Situazione psicosociale e scolastica dei giovani italiani in Germania


La grande maggioranza degli immigrati italiani (73 %), il terzo gruppo dopo quello turco e quello
proveniente dall’ex Jugoslavia, vive nella RFT da più di 10 anni, la maggiorparte di essi giudica
l’emigrazione come fatto prettamente provvisorio, ed orienta la propria vita verso un rimpatrio.
Godono della libera circolazione. In Germania hanno avuto bisogno della loro forza-lavoro, e
vengono, più o meno direttamente, spinti e ritornare nei rispettivi paesi d’origine.
Pertanto rimangono letteralmente sospesi tra i due paesi: in Germania, nonostante tutto, sono solo
lavoratori ospiti, in Italia sono talmente estraniati da sentirsi pure ospiti.
Fra tutti gli italiani il prezzo più alto sembra essere pagato proprio dai giovani. I giovani italiani della
seconda generazione compiono il loro processo di inculturazione sotto la spinta di influenze
culturali diverse.
Il conflitto consiste quindi, se vogliono seguire il loro bisogno di individualizzazione, nel doversi
decidere tra la famiglia e il gruppo dei pari, dove però la scelta dell’uno comporta la rinuncia
dell’altra istanza. Giacchè per ogni sviluppo equilibrato della personalità è basilare non solo la
fiducia di base e l’attaccamento, ma anche la desatelizzazione dalla famiglia, nel senso di Ausbel
grazie all’appoggi simmetrico del gruppo dei pari.
Come risolveranno i giovani italiani questo conflitto? Schradre, nickles e Griese hanno effettuato
una ricerca empirica su dei campioni rappresentativi di giovani stranieri in Germania.
Le difficoltà dei giovani intervistati vengono suddivise in base all’età di arrivo in Germania.
 Il primo gruppo viene costituito da Schulkinder, bambini arrivati in Germania in età scolare,
dopo aver concluso il loro processo di inculturazione con una personalità di base
monoculturale, da stranieri.
 Il secondo gruppo comprende bambini arrivati in Germania in età compresa tra il primo ed il
quinto anno di vita, ossia dopo aver iniziato, ma non concluso, il processo di inculturazione.
Svilupperanno una personalità di base incerta o diffusa ed avranno difficoltà a scegliere se
orientarsi più verso la cultura tedesca o verso quella italiana.
 I bambini nati in Germania o arrivati prima del compimento del primo anno di vita, durante il
loro processo di inculturazione verranno influenzati soprattutto dalla subcultura di
appartenenza presente in Germania ed assumeranno una personalità di base provvisoria.
Secondo gli autori, i Kleinstkinder, avrebbero più possibilità di inserimento (assumerebbero
un’identità da neotedeschi), i Schulkinder resterebbero fondamentalmente degli stranieri, i
Vorschulkinder, riconoscerebbero con difficoltà la cultura di appartenenza, svilupperebbero
un’identità diffusa e si troverebbero male sia in Germania sia in Italia.

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Il modello di Claessens non viene usato correttamente, in quanto quest’ultimo non vede le fasi del
processo di inculturazione in maniera rigida, ma dinamica.
Inoltre come criterio di differenziazione dei singoli gruppi, viene usato il concetto di cultura senza
chiarire a cosa ci si riferisce, ad esempio alla cultura tedesca, a quella italiana, a quella turca o alla
Subkultur? E nella ricerca non vengono presi in considerazione importanti elementi collegati con
l’acquisizione dell’identità, come l’emigrazione pendolare, le aree socioculturali di appartenenza
dei giovani, il sesso, le strutture familiari, la situazione economica, l’orientamento socioculturale.
Il rischio maggiore è rappresentato dal fatto che dalla ricerca si potrebbe dedurre che l’inserimento
nella cultura tedesca sia l’unica meta auspicabile dei giovani stranieri e l’unico modo per
mantenere la stabilità psichica.
È stata realizzata una ricerca empirica, con l’aiuto delle storie di vita come metodo di indagine.
Dalla ricerca è risultato che l’arrivo in Germania non rappresenta l’unico, ma uno dei fattori che
influenzano il processo di acquisizione dell’identità.
Fra tali fattori si è rivelato importante l’orientamento socioculturale della famiglia. Altrettanto
importante è la posizione geografica dell’alloggio.
Infine, sono decisive le prime esperienze nella cultura tedesca: più negative sono le esperienze
effettuate al momento dell’arrivo in Germania, maggiormente i giovani si arroccano all’interno della
famiglia o della subcultura italiana.
I giovani orientati più verso la cultura di provenienza, sono quelli che hanno problemi a scuola, nel
mondo del lavoro e con la comunità tedesca.
Quelli invece che si orientano più verso la Germania, vivono rapporti in famiglia in maniera
conflittuale, in compenso però sono coloro che mostrano i migliori successi scolastici ed in
Germania risentono meno della discriminazione.

2.2.1 Famiglia, alloggio, lavoro


La famiglia. Il problema della separazione ha investito in maniera molto forte le famiglie straniere.
Solo il 6 % delle famiglie intervistate erano giunte al completo in Germania.
Durante i primi anni, molti bambini erano affidati a parenti o accuditi da amici o vicini.
Per quanto concerne la situazione economica viene riscontrato un peggioramento fra prima e dopo
l’emigrazione.
Studi più recenti mostrano un miglioramento della situazione lavorativa, avvenuto soprattutto negli
ultimi vent’anni.
Da rilevare è anche il recente fenomeno della disoccupazione: dagli anni 80 il tasso degli immigrati
risulta essere molto più ampio rispetto a quello della popolazione tedesca.
La situazione abitativa degli anni 70: alloggi inadeguati perché troppo stretti o con insufficienti
servizi sanitari, 19 % delle famiglie viveva in ghetti. Anche da ricerche più recenti si evince la
percentuale delle famiglie italiane proprietarie di una abitazione è rimasta molto bassa. È

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aumentata la percentuale di famiglie che abita in affitto ed è diminuita quella di coloro che
occupano alloggi in comune.
Le conoscenze della lingua tedesca sono inadeguate, specialmente da parte delle donne. I giovani
mostrano tuttavia una maggiore padronanza linguistica.
Anche la pianificazione familiare e le previsioni rispetto al futuro sono rimaste disattese o si sono
rilevate irreali.
Solo il 5, 2 % degli intervistati italiani affermava di voler rimanere per sempre in Germania.

2.2.2 Scuola
La scuola viene spinta in una situazione paradossale: da un canto deve assolvere al compito di
importante istanza di socializzazione ed inserire gradatamente bambini stranieri nella società
tedesca; dall’altro dovrebbe cercare di non estraniare culturalmente gli alunni dal proprio paese di
provenienza per agevolare un possibile ritorno in patria.
Tali messaggi, che assumono le caratteristiche del doppio legame spingono i bambini in una
situazione in cui, qualsiasi comportamento assumano, non possono che sbagliare.
Il numero degli alunni italiani diviene più basso a mano a mano che si passa dalle scuole più
qualificate alle scuole meno ambite.
Nel 1993 un quarto dei giovani tedeschi, solo il 6,2 % degli stranieri, frequentava un liceo (nel 1990
il 3,8 %).
Per quanto riguarda la frequenza di Sonderschulen, scuole differenziali per bambini portatori di
handicap o con gravi difficoltà di apprendimento, mentre la percentuale dei bambini tedeschi è del
3,4 %, quello degli stranieri è del 5,9 %.
Ancora oggi la scuola tedesca risulta essere esclusivamente orientata ad elaborare programmi e
contenuti basati sulla propria cultura e sulla propria storia, mentre cultura e storia delle minoranze
straniere non vengono adeguatamente considerate.
Concetti della pedagogia e dell’apprendimento interculturale nella pratica scolastica restano
ancora poco conosciuti e raramente applicati. I bambini di nazionalità italiana vengono costretti a
frequentare dei corsi di lingua e cultura italiana, spesso al pomeriggio, in aggiunta alle lezioni
regolare.
Si ripercuote negativamente sui risultati scolastici complessivi.

2.2.3 Disagio e malattia


La popolazione straniera presente in Germania sembrava ammalarsi meno spesso di quella
tedesca. I motivi erano sicuramente la selezione positiva e le visite sanitarie cui dovevano
sottoporsi gli immigrati.
Venne avvertito anche un costante aumento del loro tasso di malattia.

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I sintomi più frequenti (apatia, paura, rassegnazione) (depressioni ipocondriache da sradicamento:
disturbi dell’umore, tristezza, depressività).
Molto spesso vennero riscontrate malattie gastrointestinali, sindromi nevrotico-conversive e
paranoiche (talvolta erroneamente diagnosticate come psicosi).
Cominciarono a soffrire d’asma, cardiopatie gravi, già all’età di 30-40 anni; i dolori alla colonna
vertebrale.
Il tasso di morbilità dei bambini e dei giovani stranieri è complessivamente e significativamente più
elevato rispetto a quello dei bambini tedeschi.
Già a partire dalla gravidanza e dal parto si riscontrano i primi problemi.
Bambini e giovani stranieri si ammalano spesso di malattie infettive dell’apparato respiratorio, di
disturbi gastrointestinali, infezioni urogenitali, altre infezioni.
Nel caso di adulti italiani sembrano essere frequenti disturbi depressivi o depressioni manifeste,
sintomi paranoici, impotenza sessuale, o dolori alla testa e allo stomaco, che vengono
diagnosticati e trattati con difficoltà.
Il numero dei casi di malattie croniche e gli handicap gravi presso i bambini stranieri sembra
essere doppiamente elevato ed in costante crescita rispetto ai coetanei tedeschi.
Anche l’assistenza psicopedagogica dei bambini e dei giovani stranieri sembra essere quanto
meno inadeguata. Far i motivi, vanno ricordate le insufficienti conoscenze da parte delle famiglie
straniere concernenti i servizi e le strutture psicopedagogiche e psichiatriche tedesche.

2.3 Emigrazione di ritorno e pendolarismo


Il ritorno degli immigrati in Italia (emigrazione pendolare).
Moscato spiega tale fenomeno, che investe in modo particolare i lavoratori stagionali, come
indispensabile o persino curativo per poter salvare interi gruppi o comunità da emergenze
economiche. Tali persone vivono come portatori di una sorte collettiva, che li spingerebbe a
seguire il lavoro.
Mendorla e Castorina hanno cercato di rilevare i disturbi psichici dei bambini italiani reinmigrati,
riscontrando un numero superiore di disturbi aggressivi, spesso di carattere autoagressivo come
autopunizioni o idee di suicidio.
Emerge che nelle scuole siciliane si ripresentano per i bambini rimpatriati problemi simili a quelli
riscontrati nelle scuole tedesche, soprattutto problemi di tipo linguistico, senso di inferiorità e
difficoltà di socializzazione con i compagni.
Zanniello che in parte riprende i risultati di Caputo, mostra come la difficile situazione scolastica,
riscontrabile specialmente all’inizio presso i bambini reinmigrati, nel corso di qualche anno subisca
dei miglioramenti in relazione alla presenza di alcune variabili, quali la conoscenza della lingua
italiana, il ritorno di almeno uno dei genitori, il sostegno scolastico, la comprensione da parte
dell’insegnante.

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2.4 Criminalità e criminalizzazione
Gli stranieri detengono un tasso di criminalità maggiore rispetto alla popolazione autoctona. Il
tasso di criminalità del gruppo degli stranieri è significativamente più elevato rispetto al gruppo di
controllo tedesco.
Da alcuni anni è stato possibile rivedere i suddetti risultati grazie soprattutto alla ricerca di Mansel,
condotta tenendo conto sia di alcuni errori di tipo metodologico, sia di alcune dimenticanze insite
nelle precedenti ricerche:
 Non è stato considerato un esecutore per ogni delitto, ma gli esecutori di più delitti sono
stati contati solo una volta
 Non è stato preso in considerazione in maniera indifferenziata un gruppo di stranieri, che
nelle altre ricerche includeva anche gli illegali, i turisti e i militari stazionanti in Germania.
 Il gruppo di confronto tedesco non è stato ricavato da tutta la popolazione residente, bensì
solo da quella appartenente allo stesso ceto sociale
 Si è cercato di non includere nell’indagine i delitti specifici dello status di straniero, non
riscontrabili presso il gruppo di confronto tedesco
 Il gruppo tedesco detiene un tasso di imputazione molto più elevato rispetto al gruppo di
stranieri
Non esistono delle differenze significative né rispetto al tipo di reato commesso, né rispetto alla
frequenza.

2.5 Sintesi della situazione psico-sociale


La situazione psico-sociale sembra essere tutt’altro che positiva: le conoscenze della lingua
tedesca sono molto ridotte, le loro abitazioni sono spesso anguste, umide, piccole e situate in
quartieri svantaggiati. La maggiorparte di loro non riesce a pianificare in maniera chiara e realistica
il proprio futuro.
Anche per quanto riguarda la situazione lavorativa, è caratterizzata da discriminazione sociale,
finanziaria.
In tante famiglie è stata riscontrata un’elevata attività lavorativa di entrambi i genitori, ma
nonostante ciò, le loro condizioni economiche continuano ad essere molto precarie e talvolta
superano appena il livello minimo di sussistenza.
Rispetto alla loro situazione sanitaria viene rilevato un numero particolarmente elevato di disturbi: i
sintomi variano da problemi comportamentali a disturbi di apprendimento e difficoltà emotive e
sociali.
La situazione scolastica.
Molti non riescono a conseguire il diploma finale e circa la metà dei giovani non detiene alcun titolo
di studio professionale.

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Persino dopo il rientro in Italia, nella maggior parte dei casi, presso i cosiddetti ‘’ orfani bianchi’’
vengono rilevati soprattutto problemi e conflitti: difficoltà linguistiche, di apprendimento, scarso
successo scolastico, un numero superiore di disturbi aggressivi e di malattie psicosomatiche.
Come mai solo pochi soggetti riescono a trarne profitto, mentre tanti altri addirittura si ammalano?
È possibile realizzare concretamente i presupposti della pedagogia interculturale, o essi
rappresentano solo un’utopia?
Proprio nel settore pedagogico, alla luce dell’irreversibile processo di trasformazione, che vede le
nostre società diventare sempre più multietniche e multiculturali, tali interrogativi diventano sempre
più urgenti.

3. Emozione e disagio
Freud muoveva dal presupposto che i disturbi comportamentali ed emozionali fossero la
manifestazione di conflitti intrapsichici irrisolti, scaturiti durante gli stadi evolutivi antecedenti.
Erikson ha approfondito ed ulteriormente sviluppato tali riflessioni.
Egli fornisce indicazioni molto interessanti rispetto ai fattori connessi all’insorgere di disturbi
psichici, svelando determinati fattori a rischio, differenziabili secondo l’età.
Già in età neonatale, il bambino può sviluppare un sentimento di sfiducia di base, nel caso in cui la
madre o la persona di riferimento principale non gli dedichi sufficienti attenzioni oppure si comporti
in modo inaffidabile.
Tale sentimento di sfiducia può innescare delle depressioni infantili.
Durante il successivo sviluppo verso l’autonomia se l’ambiente non riesce a trasmettergli la
certezza di essere amato e apprezzato, anche se si comporta in maniera aggressiva e se cerca di
ottenere l’indipendenza mediante la ribellione, egli rivolge l’aggressività verso se stesso, provando
sentimenti di vergogna e di insicurezza.
Verso la fine del terzo anno d’età, quando il bambino rafforza il desiderio di libertà avverte il
bisogno di iniziativa, nel caso in cui tali impulsi vengano repressi, potrebbero sorgere in lui dei
sensi di colpa, che nei casi più gravi sfocerebbero in reazioni isteriche o in disturbi psicosomatici.
Nella pubertà e nell’adolescenza, Erikson colloca il grande desiderio di individualizzazione, di
assunzione di una identità personale. Nel caso in cui i giovani non riescono ad acquisire una
specifica identità etnica o sessuale, possono subentrare dei comportamenti devianti, nonché
svariati disturbi di tipo psicosomatico.
La psicologia comportamentista considera i sintomi e i disturbi psichici come comportamenti
inadeguati appresi durante lo sviluppo, che si consoliderebbero nel caso in cui l’individuo ne
percepisse una certa utilità.
Fra le teorie l’interazionismo simbolico, secondo cui il disturbo psichico è considerato come un
fenomeno prettamente sociale, il comportamento deviante come strategia inconscia o conscia
mirante alla soluzione di problemi di identità.

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Rogers intravede nel concetto rigido di sé, un’ulteriore causa scatenante dei conflitti psichici. In
base a ciò il disturbo psichico insorgerebbe quando il giovane cerca di essere ciò che gli altri si
aspettano che egli sia, invece di essere ciò che realmente è.

3.1.1 Risultati di ricerche eziologiche


Vi è un’opportunità di crescita personale insita in ogni crisi.
I disturbi evolutivi e lo sviluppo normale vengono ad ora, considerati come un continuum tra l
vulnerabilità e la forza di resistenza.
Complessivamente da tali ricerche sono emersi i seguenti fattori a rischio: carichi perinatali,
disarmonia cronica in famiglia, status socioeconomico negativo, famiglie numerose, prolungata
separazione dalla persona di riferimento primaria, divorzio, morte di un membro della famiglia,
criminalità di un genitore, disturbo psichico della madre.
Solo la presenza di quattro o più fattori di rischio permetterebbe di sostenere con elevata
probabilità l’insorgere di disturbi psichici.
Sono stati individuati anche alcuni fattori protettivi, quali ad esempio, caratteri disposizionali:
elevati livelli di attività, comportamento sociale positivo, elevata intelligenza, genere, elevata forza
di resistenza.
Risorse personali: capacità di adoperare al meglio le proprie potenzialità, l’elevata autonomia ed il
positivo orientamento sociale nell’età neonatale, il positivo concetto di sé e l’elevato senso del
valore di se stessi, la flessibilità nel comportamento.
Rispetto alle strategie per la soluzione dei problemi, Brenner distingue tra strategie di coping
attraverso cui ci si confronta con lo stress e strategie miranti ad evitarlo.
Al primo gruppo appartengono: altruismo, ossia il tentativo di aiutare gli altri, l’umorismo, lo
spostamento, l’anticipazione, la sublimazione.
Fra le strategie che tendono ad evitare lo stress si collocano soprattutto: il rifiuto, la negazione,
quando il bambino, per diminuirne il dolore, si comporta come se non esistessero gli agenti
stressanti, la regressione, la retrazione, quando il bambino si allontana dalle altre persone o si ritira
dalla situazione stressante, diventa taciturno e passivo, oppure incanala la propria attenzione
verso animali, l’agire impulsivo, quando il bambino mostra comportamenti spropositati.

3.2 Fattori patogeni legati all’emigrazione


Si parte dal presupposto che il Kulturscock subito in seguito all’emigrazione può provocare delle
gravi situazioni di crisi nelle persone coinvolte, che vengono sradicate dall’ambiente e vivono una
fase di desocializzazione e di destabilizzazione.
Devereux descrive come lo stress diventi traumatizzante solo quando è atipico, quando la cultura
non mette a disposizione specifici meccanismi di difesa, adeguati per diminuire o per attenuare lo
schock.

13
3.3 Correlazioni tra migrazione e disagio o malattia
Odegaard ha pubblicato uno degli studi più dettagliati sugli emigrati norvegesi che sono stati
ricoverati per schizofrenia, confrontandoli con un campione di norvegesi non-emigrati.
Come risultato Odegaard ha sviluppato la teoria della social selection, secondo la quale
emigrerebbero solamente le persone socialmente labili.
Dunham e Da Faris hanno contraddetto la tesi, dimostrando come siano principalmente le
numerose fatiche legate all’emigrazione e le negative condizioni di vita nel paese di accoglimento
a causare crisi e disturbi psichici.
La teoria della selezione positiva, secondo la quale emigrerebbero solo i soggetti più stabili e sani.
La teoria della interazione nel paese di accoglimento, secondo la quale i disturbi psichici
scaturirebbero dall’interazione tra gli emigranti e la società di accoglimento, in seguito alle
differenze culturali, e ai problemi sociali e materiali incontrati.
Tyhurst ha riscontrato dei periodi caratteristici in cui la reazione psichica è legata al cambiamento
del luogo di residenza.
Inizialmente prevarrebbe il benessere. Dopo circa sei mesi si sarebbe più coscienti dei problemi
quotidiani, il paese di emigrazione verrebbe idealizzato e comparirebbero alcuni sintomi psichici.
Bush ha realizzato a Colonia una ricerca su due gruppi, costituiti complessivamente da cinquanta
donne provenienti dal Sud Italia, di cui circa la metà soffriva di disturbi psichici.
Come risultato dello studio è emerso che la perdita dei rapporti con i parenti e la mancanza di
persone fidate sono correlati.
Porter attribuisce alla coesione della famiglia italiana un ruolo centrale per la stabilità psichica dei
singoli membri.
Ulteriori fattori a rischio: negativa situazione professionale e le difficoltà di ritrovare dei centri per la
custodia dei bambini, l’insufficiente conoscenza della lingua tedesca, il forte desiderio di ritorno in
seguito alla nostalgia.
Ulteriori ricerche hanno rilevato delle correlazioni significative tra i disturbi psichici e il basso ceto
sociale di appartenenza, nel senso di un aumento della percentuale di ricoveri psichiatrici nelle
classi sociali più basse.

3.4 Riflessioni critiche


Complessivamente molte di esse si sono concentrate soprattutto su problemi di carattere medico-
organico ed hanno tralasciato i disagi o i sintomi di tipo cognitivo, affettivo e comportamentale.
Hanno considerato in maniera insufficiente la specifica cultura di appartenenza, la reale situazione
socioeconomica, i vissuti e le reazioni dei singoli bambini stranieri prima, durante e dopo
l’emigrazione.
Ci si accorge che molto spesso non sono stati considerati adeguatamente i seguenti elementi:
 La popolazione straniera è molto eterogena

14
 Molti immigrati provenienti da zone rurali, influenzati dalla loro cultura di origine e dalla
medicina tradizionale, attribuiscono ai concetti di disagio e di malattia psichica un peculiare
significato semantico, che può divergere nettamente da quello vigente nelle società
industrializzate.
 Molti hanno remore a dare informazioni su argomenti strettamente personali
 Bassa scolarizzazione e della loro scarsa padronanza linguistica, non è in grado di
concentrarsi per lungo tempo per rispondere.

2. LA RICERCA: GIOVANI CON ESPERIENZA MIGRATORIA E BISOGNI EDUCATIVI


4. Metodologia

4.1 Finalità
Tali risultati si pongono in netto contrasto con le ipotesi formulate soprattutto in ambito pedagogico,
secondo le quali lo sviluppo all’interno di più culture, attraverso l’apprendimento di nuove lingue,
nuovi valori, nuove modalità comportamentali, nuove possibilità di coping, può rappresentare un
rilevante arricchimento.
La presente indagine si prefigge lo scopo per prospettare in tempo le strategie d’intervento più
incisive.
Si cercherà di studiare la realtà soggettiva di alcuni giovani di origine italiana con esperienza
migratoria.
Prestando attenzione ai problemi e alle risorse reali, ai singoli fattori positivi o negativi, nonché alle
strategie comportamentali adottate per la risoluzione dei conflitti, si cercherà di rispondere
all’interrogativo come mai tanti giovani di origine italiana, sia in Germania sia dopo il rientro in
Italia, non solo sembrano trarre profitto dalla vita in contesto multiculturale, ma anche traggano da
tale situazione molto spesso disagi, se non addirittura disturbi o malattie.
L’obiettivo sarà di rilevare i fattori negativi e i meccanismi psicologici che influenzano
negativamente il processo di acquisizione dell’identità e che potrebbero essere correlati con tali
disturbi.
Per fare questo si userà la dinamica del conflitto che verrà seguita dal momento dell’insorgere,
durante tutta l’evoluzione.
A loro volta i disturbi verranno considerati come tentativi di reazione.
Verranno analizzati anche casi di giovani con esperienza migratoria che sono riusciti ad acquisire
un’identità personale chiare ed unica, una certa stabilità psichica e una posizione sociale alquanto
riconosciuta, con lo scopo di individuare al meglio i fattori positivi che riescono a promuovere la
stabilità di questi giovani.
Si cercherà di rilevare i fattori positivi e negativi, i meccanismi della nostra società e le strategie
comportamentali soggettive che concorrono a promuovere o inibire lo sviluppo positivo e
15
l’applicazione della potenzialità dei giovani. Il fine sarà quello di far conoscere quali sono i fattori,
gli interventi e le strategie di coping o di defunding di una stabile identità culturale.

4.2 Premesse teorico-scientifiche


Attraverso l’avvicinamento delle ricerche sociologiche, psicologiche e pedagogiche ai metodi di
indagine di tipo naturalistico, si è cercato di costruire una base metodologica solida e di liberare le
scienze sociali dal sospetto di speculazione. Sulla scia delle conseguenti metodologie
neopositivistiche sono state effettuate indagini quantitativo-particolari, i cui risultati ricavati
attraverso la verifica di ipotesi, mostravano un alto livello di astrazione e di oggettività.

4.3 Metodi di lavoro nel settore interculturale


Per poter far emergere nel modo più esatto e differenziato possibile i vissuti, i conflitti e le risorse
dei singoli soggetti con esperienza migratoria, almeno fino ad oggi, a mio avviso, è da ritenere più
appropriato un metodo di ricerca di tipo qualitativo.
Alla ricerca occorre, peraltro, conferire un carattere esplorativo, in modo da poter rilevare la realtà
soggettiva di ogni singolo individuo senza eccessive categorizzazioni aprioristiche.
In base al livello di ricerca attuale, criteri simili si possono soddisfare meglio per mezzo di studi
approfonditi di singoli cosi.
Permette di considerare la verità soggettiva, la specificità delle norme e dei valori culturali dei
singoli soggetti, nonché di seguire nella concretezza e nella globalità, l’origine e l’evoluzione del
disagio.
Per conoscere da vicino sia i singoli fattori negativi e le strategie di soluzione dei problemi, come
pure i fattori favorevoli e gli interventi educativi più positivi, nell’ambito delle analisi qualitative, le
interviste detengono indiscutibili vantaggi, poiché al centro dell’indagine viene posto il soggetto
nella sua interezza e globalità.
L’individuo diventa in questo modo il miglior informatore di se stesso.
Le interviste narrative di Schutze e le interviste aperte di Cicoreul sembrerebbero essere
particolarmente indicate per la elevata libertà che concedono all’intervistatore.
Si tratterà di realizzare un lavoro a carattere esplorativo, che non lascia spazio alla formulazione
aprioristica di rigide ipotesi o categorie: è indispensabile mantenere una certa apertura per settori,
interrogativi e sviluppi non prevedibili.
In base a tali riflessioni, come metodologia di ricerca si è ritenuto opportuno optare per una
soluzione intermedia, adottando le interviste semistrutturate.
Come modello teorico di base è stato utilizzato quello delle interviste centrate sul problema,
sviluppato da Witzel e già più volte sperimentato con successo in settori difficili da investigare.

4.3.1 Possibilità delle interviste centrate sul problema

16
Combinazione di metodi qualitativi per appurare la realtà in cui vive un determinato soggetto.
Come base di partenza vengono collocati uno o più interrogativi posti dal ricercatore.
Secondo Witzel ci sono i seguenti vantaggi:
 Opportunità di risalire ai veri problemi degli intervistati attraverso domande elastiche, di
stimolare la riflessione e l’esplorazione dell’intervista, di costruire in maniera attiva il
rapporto con l’intervistatore
 Opportunità di rendere flessibile la metodologia usata ed orientarla effettivamente
all’oggetto della ricerca
 Plasticità della ricerca e opportunità di effettuare un’analisi flessibile dei settori della ricerca

4.3.2 Limiti delle interviste centrate sul problema


Accanto ai molteplici vantaggi, le interviste centrate sul problema presentano anche diversi limiti.
Non è affatto possibile ottemperare alla pretesa di effettuare ricerche senza alcuna anticipazione
teorica.
In seguito a tali riflessioni ritengo più vantaggioso che il ricercatore, prima di iniziare un’indagine,
chiarisca gli orientamenti teorici cui intende riferirsi, per tentare poi di neutralizzarli il più possibile.
Un ulteriore limite è rappresentato dalla forte influenza che l’intervistatore esercita, specialmente al
momento dell’intervista, in carenza o assenza di una chiara e specifica struttura metodologica di
riferimento. Ho ritenuto opportuno integrare nella ricerca alcuni elementi teorici, presentati
precedentemente.
Saranno utilizzati alcuni presupposti dell’approccio centrato sulla persona di Rogers.
Metodo che mette al centro il soggetto intervistato ed il processo interattivo tra persona e Umwelt
(ambiente circoscritto), conferisce al ricercatore l’opportunità di una profonda, discreta ed
imparziale conoscenza dell’intervistato, del suo vissuto e dei suoi punti di vista, attraverso
soprattutto le tre variabili basilari, l’empatia, ossia la possibilità di immedesimarsi nella situazione
dell’intervistato e vedere il suo mondo attraverso i suoi stessi occhi.
Le interviste possono realizzarsi in un’atmosfera di comprensione e fiducia.
L’approccio centrato sulla persona permette di considerare maggiormente la processualità, non
solo degli stadi psichici di ogni soggetto, ma anche delle interviste stesse, nonché quelle
componenti che intervengono durante la raccolta del materiale.
Mediante i colloqui si realizzerà per lui l’opportunità di prendere coscienza della propria situazione
Alla luce dei pregevoli risultati ottenuti da Bronfenbrenner e dai rappresentanti dell’interazionismo
simbolico, ha cercato di considerare i giovani e l’ambiente in cui vivono reciprocamente dipendenti,
analizzandoli come un unico sistema interagente.
Ha ritenuto opportuno integrare con osservazioni partecipanti sul campo e interviste con le
principali persone di riferimento dei giovani.

17
4.4 Scelta del campione e conduzione delle interviste
23 giovani che presentavano le caratteristiche più differenziate possibili, in rapporto al sesso, allo
stato sociale, scolarizzazione, durata del soggiorno all’estero, situazione psicosociale, ritorno ed
emigrazione pendolare.
Fra tutte le biografie raccolte sono state successivamente considerate le storie di vita dei soggetti
in cui dati forniti corrispondevano alla realtà.
Va individuata nell’aver incluso non solo soggetti per cui l’emigrazione e la vita in contesto
multiculturale hanno avuto ripercussioni negative, ma anche giovani che da questa esperienza
sembravano aver tratto soprattutto dei vantaggi.
Sono state analizzate in maniera approfondita le storie di vita di 12 soggetti, divisi in due
sottogruppi: sei giovani che durante e alla fine della ricerca si trovavano ancora in una crisi non
risolta, ed altri sei che mostravano di averla superata.
Le interviste sono state realizzate con l’aiuto di una griglia interpretativa.
La maggiorparte è stata effettuata in un posto neutro e nel rispetto della segretezza delle
informazioni raccolte.
La durata delle singole interviste variava dai 45 ai 120 minuti, ed il numero degli incontri da 6 a 61.
Sono state effettuate delle osservazioni partecipanti a scuola, a casa e durante il tempo libero.
Durante tali osservazioni difficilmente è stato possibile mantenere il ruolo dell’osservatore neutro
poiché, specialmente nelle famiglie, veniva richiesta, ed è stato opportuno realizzare colloqui con
le persone di riferimento più importanti.
La maggioranza dei casi sono stati indagati in maniera longitudinale (fino a 7 anni), in modo da
poter seguire direttamente i soggetti della fase dell’insorgere delle crisi fino a quella dell’eventuale
superamento.
In quattro casi è stata effettuata anche un’analisi approfondita, con l’aiuto di test psicopedagogici.
I colloqui sono stati raccolti mediante l’uso del registratore.
Gli altri elementi non verbali, sono stati documentati in maniera scritta mediante protocolli.
La validità e l’affidabilità dei risultati risultano ulteriormente garantite grazie ai seguenti
provvedimenti: incomprensioni, imprecisioni e dati contradditori sono stati chiariti e risolti tramite il
confronto fra le singole fonti e soprattutto mediante il contributo dei soggetti intervistati.

4.4.1 Griglia delle interviste


Interviste possibilmente aperte. Contemporaneamente si è voluto restringere l’area della ricerca e
delimitarne nettamente i settori più importanti, per strutturare meglio i dati raccolti e, mediante una
certa omologazione, agevolare la valutazione finale dei risultati.
Complessivamente sono stati presi in considerazione quelle variabili ritenute rilevanti, rispetto
all’insorgere del disagio e del disturbo, che sono state ricavate sia in base agli studi realizzati da

18
altri autori in questo settore, sia da una precedente ricerca empirica sui problemi dell’acquisizione
dell’identità di giovani italiani in Germania.
La versione definitiva della griglia è stata stilata in seguito ad un’indagine esplorativa.
La griglia comprendeva i settori: anamnesi e biografia, situazione familiare e scolastica, tempo
libero, conflitti e sintomi, peculiarità migratorie.

4.5 Indicazione sui singoli casi


Le interviste sono state effettuate dalla primavera del 1984 all’estate del 1991. Le età indicate si
riferiscono alla fine del periodo di analisi.
Si è seguito un taglio psicopedagogico. Durante la ricerca sono state utilizzate prevalentemente le
teorie sull’assunzione dell’identità presentate, in particolare l’approccio centrato sulla persona e la
teoria psicoanalitica di Erikson, con l’impiego di elementi delle recenti teorie eziologiche sulla
vulnerabilità e sulla invulnerabilità.

5. VEDI SINGOLI CASI DA PAGINA 85 A PAGINA 142

3. LA VALUTAZIONE DEI RISULATATI E L’INTERVENTO EDUCATIVO


INTERCULTURALE
6. FATTORI A RISCHIO, FATTORI PROTETTIVI E STRATEGIE COMPORTAMENTALI
6.1 Fattori negativi
Per quanto attiene ai fattori a rischio, non è stato possibile stabilire un rapporto diretto fra conflitti o
deficit durante lo sviluppo e i successivi disturbi. Mentre in alcuni giovani determinanti fattori
negativi hanno ingenerato delle crisi o dei disturbi, altri soggetti, nonostante l’esposizione a simili
fattori di rischio, sono riusciti a costruire una struttura della personalità alquanto stabile: hanno
risolto positivamente problemi e conflitti, senza soffrire di disturbi o mostrare devianze
comportamentali.
I disturbi evolutivi ed evoluzioni normali non sono da considerarsi come contrapposti, bensì come
un continuum tra vulnerabilità e capacità di dare una risposta adeguata.
Tutti i giovani con esperienze multiculturali sono stati posti di fronte a ulteriori fattori negativi,
connessi all’emigrazione, che sono andati a sommarsi ai fattori negativi o positivi, presenti nella
vita di ogni individuo.
1) Spesso non basta un fattore negativo per ingenerare disagio o malattia: in genere si tratta di
più elementi stressanti
2) Sia i fattori negativi, sia i fattori positivi mostrano la loro influenza non solo durante l’infanzia,
bensì in tutte le fasi evolutive
3) I fattori negativi e i disturbi precoci possono essere compensati o corretti mediante future
esperienze positive.
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Possono essere individuati principalmente i seguenti fattori negativi collegabili con esperienze di
vita in contesto multiculturale:
1- RISCHI EVOLUTIVI SOVRACULTURALI
Nella vita di ogni soggetto si sommano una serie di compiti normativi e non normativi che egli deve
assolvere per riuscire a mantenere una certa stabilità psichica.
Sembrano essere investiti in maniera più forte da tali fattori negativi, emersi da precedenti ricerche.
a. Difficoltà pre e peri-natali scaturite soprattutto dalla scarsa conoscenza o accettazione del
sistema di assistenza medica tedesco da parte dei genitori stranieri
b. Difficoltà croniche, dovute a gravi disturbi psichici da parte di uno dei genitori, come nel
caso della madre Maria che, a causa di tali disturbi, proiettava su quest’ultima tutte le
componenti indesiderabili della propria personalità.
c. Condizioni socioeconomiche svantaggiate, poiché come rilevato, la maggior parte delle
famiglie straniere in Germania appartiene al ceto sociale più basso
d. Particolari esperienze di vita critiche
e. Ulteriori carichi familiari, con i relativi effetti negativi, sono stati riscontrati in quasi tutte le
biografie: conflitti all’interno della famiglia, famiglie numerose in alloggi inadeguati o
malsani, divorzi, separazioni e presenza di un solo genitore

2. Esperienze di separazione
Separazione precoce ed improvvisa. Non hanno potuto maturare il sentimento della protezione di
base e dell’affidabilità della persona di riferimento in maniera adeguata, col risultato di uno
sviluppo insufficiente della fiducia di base.
Nelle storie di vita analizzate è stato possibile constatare che pure le esperienze di separazione
effettuate dopo i primi tre anni di vita possono innescare dei processi negativi.
Specialmente i soggetti che non sono stati sufficientemente preparati alla separazione, oppure
coloro che dopo la separazione non hanno avuto contatti regolari con i genitori, hanno sofferto
maggiormente e hanno reagito più frequentemente con sintomi e disturbi.
Non è indispensabile che la persona principale di riferimento sia la madre. Peraltro i rapporti
emotivamente significativi con altre persone ed altri fattori o eventi sono di fondamentale
importanza e possono rafforzare le esperienze positive o addirittura svolgere delle funzioni
compensatrici.

3. Pendolarismo
La mancanza o irreale pianificazione del futuro da parte delle famiglie italiane comporta un
continuo spostamento tra la Germania e l’italia, a volte soltanto in seguito a crisi momentanee o ad
aspettative elevate in uno dei due paesi.

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Le conseguenze di tale pendolarismo sono che ne i genitori ne i loro figli riescono a porsi in
rapporto costruttivo con la situazione reale in cui vivono.
Invece di affrontare i problemi fuggono spesso in un mondo fantastico.
È stato possibile appurare che i genitori italiani utilizzano la separazione territoriale come strategie
di soluzione dei problemi.
Per i bambini che mostravano problemi di apprendimento o di comportamento nelle scuole
tedesche, venivano iscritti in scuole italiane, la separazione dai genitori e la mancanza di sostegno
contribuivano spesso ad aggravare ulteriormente i problemi. Molti genitori si accorgevano del
fallimento, cercavano di reinserire il loro figlio in una scuola tedesca.
Non restava altra scelta che la scuola differenziale.
Probabilmente, il pendolarismo e la mancata pianificazione del futuro potrebbero essere
considerati fra i fattori più significativi che spiegano il triste primato degli alunni italiani nelle
Sonderschulen, non solo in riferimento ai coetanei tedeschi, ma anche rispetto a tutti gli altri gruppi
di stranieri.

4. Comportamenti ambivalenti
Molti di loro vengono sottoposti a differenti forme educative tra la scuola e la famiglia. I genitori
cercano frequentemente di educare i loro figli alla coesione familiare, all’ubbidienza, al rispetto per
gli educatori adulti, dall’altro gli insegnanti tedeschi si aspettano da loro iniziativa personale,
autonomia, indipendenza ed emancipazione dalla famiglia.
Molto spesso sono proprio i soggetti che a scuola non mostrano la loro alterità e che non
presentano degli stigma esteriori accentuati coloro che vivono nella maniera più marcata i conflitti
culturali e manifestano più acuti i problemi d’identità. Tali giovano che a scuola e durante il tempo
libero vengono considerati come tedeschi, da loro non ci si aspetta diversità, vengono costretti a
rimuovere le componenti culturali assimilate in famiglia o all’interno della subcultura e ad assumere
strategie comportamentali di coping tipiche della società tedesca.
Vivono dei rapporti conflittuali tanto con gli insegnanti e con i loro amici tedeschi, quanto con i
familiari: a scuola, a causa della rimozione o negazione di una parte della loro personalità ed in
famiglia per le differenze, manifeste, di pensiero e di comportamento.
Anche i genitori mostrano sentimenti e comportamenti ambivalenti: famiglia nucleare anziché
famiglia estesa, famiglia di contatti, aumento di divorzi.
Il loro ruolo sociale viene anche reso ulteriormente insicuro dal modo paradossale in cui vengono
trattati, socialmente e legislativamente, in Germania: contemporaneamente da Gaste (ospiti) e da
Arbeiter (lavoratori).
Le conseguenze sono: aumento della diffidenza nei confronti della società tedesca, paura,
depressività, aggressività e dogmatismo.
5. Marginalità sociale e ulteriori carichi materiali.

21
Tramite la presente ricerca è emerso in maniera inequivocabile che la scarsa opportunità di
raggiungere traguardi economici di successo, l’alto indebitamento, l’elevata mobilità sociale
discendente, la marginalità, causano delle intense esperienze di frustrazione
6.Stigmatizzazione e discriminazione
La maggior parte delle difficoltà rispetto alla stigmatizzazione nella letteratura viene attribuita a
componenti di popoli che mostrano marcate differenze religiose o fisiche.
Molti sono stati oggetto di discriminazione a causa soprattutto di differenze di tipo linguistico,
comportamentale o di pensiero.
7. Isolamento e solitudine
Tante volte più che di solitudine realmente vissuta, si trattava del sentimento di ‘’sentirsi soli’’.
Un’ulteriore forma di isolamento è stata caratterizzata dal vissuto dell’alterità, dell’essere diversi
dagli altri e dal dover assumere costantemente un ruolo sociale diverso.
8. Problemi linguistici
Sono da considerare soprattutto come derivanti da stimoli sociali inadeguati o insufficienti.
Dall’inadeguata competenza linguistica sono scaturiti dei fattori negativi che hanno contribuito ad
un rinforzo dell’isolamento e del sentimento della diversità.
9. Severità e rigidità educativa
Molti genitori dei soggetti intervistati, tendono ad educare i loro figli in maniera molto più rigida sia
rispetto alle regole del paese di accoglimento sia a quello di provenienza ed in seguito ad un
sentimento, di tipo riparatorio nei confronti di tale paese.
I genitori spesso non si accorgono che le norme e le modalità comportamentali che cercano di
trasmettere ai loro figli ha perso importanza e validità anche nel paese di origine.
10. Orientamento biculturale
Le conseguenze sono state: crisi d’identità e difficoltà di orientamento, che molto spesso si sono
manifestate in devianze comportamentali e disturbi, anche gravi, di tipo psichico e psicosomatico,
oppure in tentativi di suicidio.

6.2 Fattori positivi


Hanno avuto il potere non solo di diminuire il livello di crisi o di promuoverne il superamento, ma
che, in alcuni casi, hanno persino contribuito a connotare l’emigrazione e l’assunzione d’identità in
contesto multiculturale come esperienza nettamente positiva ed arricchente.
Tali fattori, non solo si sono rivelati come positivi, ma hanno nel vero senso della parola, salvato la
vita di alcuni giovani.
I più significativi sono stati: caratteristiche disposizionali o costituzionali; rapporto affidabile con
almeno una persona di riferimento principale, apertura dei genitori nei confronti dell’ambiente
sociale tedesco, comprensione e fiducia da parte dei genitori, degli insegnanti e degli educatori,

22
preparazione alla separazione, accettazione e rispetto nel paese di accoglimento, importante
funzione ponte degli amici e sostegno tramite gruppi.
1. Caratteristiche disposizionali e costituzionali: alcuni fattori genetici (personalità aperta e
allegra, elevata intelligenza)
2. Rapporto positivo con almeno una persona di riferimento principale durante i primi anni di
vita. I soggetti che hanno trascorso i primi anni di vita insieme alla madre sembrano trarre
da tale legame un grande profitto per il loro ulteriore sviluppo.
3. Apertura dei genitori nei confronti dell’ambiente sociale tedesco
4. Comprensione e fiducia da parte dei genitori: casi in cui i genitori hanno mostrato fiducia
nei confronti dei figli e hanno concesso loro una certa autonomia, hanno sviluppato
maggiore autostima e migliori capacità di risolvere i conflitti.
5. Preparazione al distacco
6. Esperienza positiva di accettazione e di rispetto nel paese di accoglimento specialmente
durante i primi contatti: nei casi in cui l’impatto con l’ambiente tedesco, è stato
caratterizzato prevalentemente da esperienze positive, i soggetti intervistati hanno potuto a
loro volta assumere un atteggiamento di apertura e di interesse rispetto al nuovo e
all’alterità.
7. Comprensione da parte degli insegnanti e degli educatori: nei casi in cui gli insegnanti
hanno reagito con rispetto, oppure ancora meglio, con curiosità nei confronti delle
differenze culturali degli alunni di origine italiana, non cercando ne di negarle, ne di
esasperarle, hanno permesso a tali soggetti di sviluppare maggiore sicurezza di sé,
apertura e fiducia.
8. Nessuna forzatura verso l’assimilazione a scuola e durante il tempo libero: nei casi in cui gli
insegnanti e gli educatori non hanno cercato di far pervenire ai giovani intervistati
accettazione, riconoscimento e stima solo a costo della negazione di alcune componenti
della propria identità, per questi ultimi è stato facile superare le difficoltà e le tensioni
esistenti.
9. Importante ruolo degli amici come funzione ponte tra le due culture: questa funzione,
estremamente protettiva, ha agevolato o addirittura permesso a molti soggetti l’assunzione
di contatti non conflittuali sia con la nuova cultura, sia con le norme ed i valori vigenti nel
loro paese di origine dopo il rientro in Italia. In alcuni casi, proprio l’arrivo in Germania,
proprio gli amici italiani o altri amici stranieri, hanno assunto il ruolo di mediatori culturali,
fungendo da competenti intermediari tra le due culture. I giovani intervistati hanno potuto
fruire della loro esperienza ed assumere strategie di soluzione dei problemi già collaudate.
10. Importante appoggio tramite gruppi di doposcuola, consulenza o terapia: in alcuni casi il
sostegno e gli interventi sul piano cognitivo o emozionale si sono rivelati particolarmente

23
efficaci tanto per l’inserimento scolastico e sociale, quanto per la prevenzione o il
superamento dei conflitti o dei disturbi presenti.

6.3 Strategie di coping e di defending


Fra i risultati del presente studio è possibile rilevare che le strategie adottate dai singoli soggetti si
differenziano a seconda che siano orientate più verso la sociocultura italiana o quella tedesca.
I giovani che vivevano nell’Italia meridionale o che in Germania erano più orientati verso standard
culturali appresi in famiglia adottavano preferibilmente strategie di coping e di defending rivolte
verso l’interno, verso la persona.
Queste strategie in base alla definizione di Brenner assumerebbero complessivamente un
carattere di negazione del conflitto.
Coloro che erano più orientati verso la società tedesca, più spinti verso l’autonomia e
l’emancipazione dalla famiglia, hanno sviluppato invece strategie rivolte verso l’esterno.
Cambiando orientamento culturale, i giovani sembravano anche modificare il tipo di strategie
adottate.
Soprattutto per coloro che vivono in Germania, si sono rivelate più efficaci le strategie di
accettazione attiva dello stress: Carla, Flavia e Franco sono riusciti a superare le difficoltà
mediante un maggior impegno scolastico; Stefano e Teresa, pur provenendo da ambienti
socioeconomici differenti, hanno saputo tramutare l’emigrazione in chance per l’arricchimento
personale: mediante l’assunzione di una certa aggressività misurata, di maggiore studio sono
riusciti a diventare così sicuri di sé e cosi stimati dagli altri, da poter invertire le parti: un po' come è
avvenuto per i neri d’America con lo slogan ‘’Black is beatiful’’.
Contrariamente a quanto si possa presumere, anche i soggetti con esperienze migratorie che
hanno adottato le strategie della negazione e della rimozione dei problemi e dei sentimenti negativi
connessi, non sempre hanno ottenuto effetti negativi da tali strategie.
Anche i soggetti con disturbi psichici o comportamenti devianti sembravano adoperare tali
comportamenti come strategie, inconsce, di risoluzione dei problemi, dopo che tutti i tentativi
precedenti non avevano portato a successo.
Alcuni giovani adottavano infine strategie che potrebbero quasi essere definite ‘’ specifiche per
l’emigrazione’’, come la fuga, nella speranza di potersi sottrarre alla situazione negativa, come la
fuga, o il non rispetto dei limiti, ossia non riconoscere o accettare le regole e le norme sociali
esterne. Ma anche l’eccessivo consumo di televisione, nonostante parere negativo di pedagogisti e
psicologici, non solo è servito ad apprendere la nuova lingua, ma li ha anche aiutati a conoscere
modalità di pensiero e strategie comportamentali e di coping appropriate all’ambiente esterno.

7. RISVOLTI SULLE TEORIE DELL’IDENTITA’

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Si cercherà di analizzare le biografie utilizzando due dei modelli teorici precedentemente
presentati, ossia la teoria epigenetica di Erikson e l’approccio centrato sulla persona di
Rogers.
Ciò servirà sia per comprendere sia per comprendere alcuni conflitti ed alcune scelte dei giovani
intervistati, sia per verificare la validità di tali teorie in contesto multiculturale.
Lo scopo ultimo consisterà nel cercare di cogliere eventuali nessi o correlazioni tra l’emigrazione o
la vita in contesto multiculturale o l’insorgere del disagio o del disturbo in fase adolescenziale.

7.1 Tentativi di interpretazione in base al modello di Erikson


Muovendo dai primi cinque stadi evolutivi del modello epigenetico di Erikson, si cercherà
inizialmente di far luce sulle ripercussioni che l’emigrazione e la vita interculturale possono avere
sullo sviluppo dell’identità dei giovani intervistati.
Durante il primo stadio, fiducia verso sfiducia, quando nel bambino dovrebbe svilupparsi il
sentimento della fiducia di base, è possibile individuare soprattutto ostacoli: in seguito all’alto
carico lavorativo e al desiderio del ritorno dei genitori, molti dei soggetti intervistati sono costretti a
separarsi precocemente dalla madre e vengono affidati a parenti in Italia, altri vengono accuditi da
vicini di casa, subendo le conseguenze del continuo cambiamento della principale persona di
riferimento, sperimentando sistemi educativi e reazioni differenti.
La conseguenza principale di questa particolare situazione è che superino di molto il limite della
sana ‘’sfiducia’’ di base. L’eccessivo sviluppo della sfiducia potrebbe spiegare molti dei disagi e dei
disturbi riscontrati nei giovani intervistati. Persino gli atteggiamenti devianti si possono
comprendere meglio alla luce di altre osservazioni di Erikson, il quale in situazioni molto simili ha
riscontrato lo sviluppo del sadismo morale (bisogno che danneggia se stessi e gli altri).
All’interno del secondo stadio, autonomia, verso vergogna (secondo, terzo anno di vita),
quando il bambino comincia a separarsi dalla madre, in base ai risultati della ricerca emerge che
alcuni giovani in emigrazione sono stati a contatto con madri iperprotettive, che in conformità ai
propri standard culturali, invece di incoraggiare i loro tentativi verso l’autonomia, cercavano di
educarli alla coesione familiare, alla dipendenza, alla non partecipazione e alla sottomissione. Ma
anche il non essere riusciti ad acquisire abbastanza fiducia di base nello stadio precedente
ostacola l’adeguata ricerca di autonomia.
Pertanto in questo stadio troviamo sia alcuni bambini che hanno sviluppato in maniera forte e
vincolante un distruttivo sentimento di vergogna o di incertezza, che si manifesta nel
comportamento passivo, apatico ed insicuro; sia altri che non essendo stati abituati ad accettare
limiti stabili, hanno poi sviluppato la tendenza verso forme comportamentali aggressive, impulsive
e distruttive.
Durante il terzo stadio, iniziativa verso senso di colpa, nel corso della ricerca si è potuto
osservare che molti dei giovani non sono riusciti ad interiorizzare parametri di misura univoci.

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Anche l’apertura verso la società esterna è avvenuta con difficoltà: problemi linguistici, isolamento,
stigmatizzazione come stranieri, differenti modalità comportamentali, hanno ostacolato il loro
desiderio di iniziativa e di sviluppo, per cui alcuni giovani sembrano mostrare un atteggiamento
univoco verso la subcultura italiana.
In tali soggetti, il sentimento di odio, che secondo Erikson è orientato verso uno dei genitori e ne
aiuta la separazione, viene indirizzato verso se stessi o verso l’ambiente esterno (considera i
comportamenti isterici come possibile reazione successiva alla rimozione del bisogno di iniziativa).
Durante il quarto stadio, industriosità verso senso di inferiorità, età scolare.
Quando il bambino si orienta verso l’apprendimento accade spesso quello che Erikson ha
formualto nel seguente modo: ‘’La vita familiare forse non lo ha preparato alla vita scolastica, o la
scuola non traduce in realtà le promesse di fasi precedenti della vita, perché nulla di ciò che il
bambino aveva appreso fino ad ora sembra contare per i compagni e gli insegnanti.’’
Tali esperienze sono state effettuate soprattutto da coloro per i quali l’ingresso a scuola
rappresentava la prima vera occasione di contatto con la cultura tedesca, ma anche in altri casi,
quando nel settore scolastico non riuscivano a trovare partner con i quali condividere idee e valori,
invece di identificarsi e confrontarsi con i coetanei, hanno continuato a farlo con uno dei genitori.
In base alla teoria di Erikson potrebbero scaturire molti dei disturbi psichici e psicosomatici (disturbi
nell’apprendimento, nella concentrazione, enuresi, mutismo elettivo).
Nel quinto stadio, identità verso dispersione, la fase dell’adolescenza, il giovane cerca attività e
idee in cui poter credere, che non gli provocano sentimenti di vergogna.
Se è riuscito a superare le crisi degli stadi precedenti, assumerà una stabile identità dell’io, che lo
proteggerà da conflitti e diffusioni di ruolo.
Molti dei giovani intervistati, hanno sperimentato che i criteri secondo cui ricevere riconoscimento e
stima differivano fra casa e scuola.
Le biografie analizzate hanno confermato presso i giovani la crudele tendenza riscontrata da
Erikson ad escludere tutti coloro che sono diversi per colore della pelle e condizione culturale,
gusti e doti, e spesso anche per quei particolari del vestire e dell’atteggiarsi che sono stati
temporaneamente assunti come elementi distintivi di chi fa parte di un gruppo rispetto a chi ne è
escluso.
Soprattutto a causa della mancata o insufficiente integrazione delle aspettative e delle esperienze
effettuate, sono subentrate delle confusioni di ruolo, crisi d’identità e sentimenti di dubbio, che
secondo Erikson potrebbero causare ‘’atteggiamenti criminali, borderline e psicotici’’.
Il concetto di ‘’dispersione dell’identità’’ spiegherebbe anche l’insorgere delle depressioni, dei
disturbi psicotici, del comportamento aggressivo e apatico.
Dallo studio di alcuni casi si evince che non sono solo gli atteggiamenti discriminatori da parte
degli insegnanti ad alimentare i conflitti culturali e a causare l’insorgere di disagi o disturbi
comportamentali, ma anche il loro atteggiamento apparentemente amorevole. I soggetti che hanno

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ceduto all’alta pressione assimilatoria di tali insegnanti, per non deludere le loro aspettative, hanno
interiorizzato forme di pensiero e modalità comportamentali valevoli nell’ambiente tedesco, ma in
contrasto con la cultura italiana. Sono scaturiti conflitti.

7.1 Possibilità e limiti della teoria di Erikson


Benchè in base al modello di Erikson sia stato possibile in maniera pregnante delineare molti
fattori legati all’emigrazione, appare indispensabile effettuare delle chiarificazioni.
 Suddivisione e durata delle fasi. Bisogna chiedersi se sia possibile considerare ancora una
definizione così rigida. Lo sviluppo umano non è definibile in rigida successione, ancor più
se si considera l’influenza delle varie culture.
 Nessuna contrapposizione. Sebbene Erikson nel modello epigenetico delinei tendenze
sintoniche e distoniche, in opposizione.
È stato invece possibile osservare come siano entrambe necessari in momenti differenti.
 Valenza culturale dei compiti evolutivi. Molti fattori indicati da Erikson (attaccamento,
fiducia) possono assumere valore differente nelle diverse culture.
 Connotazioni differenti. Molti termini utilizzati da Erikson sono vincolati culturalmente ed il
loro significato può variare a seconda della persona che li usa.
Per esempio il concetto di autonomia veniva concepito in maniera differente dai soggetti
intervistati: i giovani orientati verso la cultura tedesca, vi associano il distacco, la ricerca
della felicità individuale… mentre per i giovani orientati più verso la cultura italiana il
raggiungimento dell’autonomia era possibile solo considerando i bisogni della famiglia o
gruppo di appartenenza.
 Comprensione dell’identità legata alla cultura. In alcune aree culturali, specie nei paesi o
zone del Mediterraneo, l’immagine di se si orienta più verso il sentimento del noi, pertanto
l’identità assume connotazioni differenti, rispetto alla società americana, nella quale prevale
il sentimento dell’io.
Una certa confusione dell’identità sembra un compito evolutivo ineluttabile, almeno nel
caso della crescita in contesti migratori.
Peraltro, sulla base di tali concetti, giacchè Erikson alla diffusione dell’identità associa gravi
disagi evolutivi e disturbi psichici, non possono essere compresi i casi di quei giovani che
verso l’esterno mostrano un’identità stabile, ma che nello stesso tempo, manifestano
un’eccessiva dipendenza familiare, molti conflitti e disturbi. Evidentemente tali soggetti
anche se in apparenza hanno interiorizzato delle ideologie e dei compiti specifici, si trovano
ancora di fronte a crisi irrisolte, da cui scaturirebbero disagio e disturbi.

7.2 Tentativi di comprensione in base al modello di Rogers


Il suo approccio sembra colmare molte lacune.

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I giovani con esperienze migratorie, nel momento in cui avvertono chiaramente i desideri di
realizzazione e di individualizzazione soggettiva, accanto a quelli di riconoscimento sociale,
di accettazione e di protezione, sembrerebbero risolvere i conflitti culturali fra famiglia e
scuola, rimuovendo una parte del bisogno di sé, decidendosi per una delle due istanze.
I disagi, o disturbi osservabili, scaturirebbero dall’incongruenza, ossia dalla non
corrispondenza fra il concetto di sé e le esperienze che il soggetto realmente effettua,
portando alla luce i desideri insoddisfatti.
Il contributo di Rogers non permette però di conoscere in modo approfondito i rapporti tra i
singoli fattori e l’insorgere del disagio o del disturbo.
In conformità al suo marcato orientamento verso la filosofia esistenzialista che considera
l’uomo come unico ed irripetibile, anche i successori di Rogers, almeno fino ad oggi, non
sono riusciti a fornire elementi sufficienti per una comprensione approfondita delle cause
scatenanti il disagio ed il disturbo psichico.

8. Tentativi di sviluppo di una teoria dei bisogni fondamentali dell’essere umano


8.1 Ampliamento del modello di Rogers

In base ai risultati della presente ricerca, è possibile affermare che i tre fattori individuati da
Rogers come necessari per l’efficacia di ogni forma di consulenza e di trattamento
psicoterapeutico, l’accettazione incondizionata positiva, l’empatia e la conseguenza,
andrebbero considerati come prerogative indispensabili per il sano sviluppo della
personalità. Andrebbero pertanto collocati alla base di ogni rapporto interpersonale,
specialmente di quelli di tipo educativo.
 Prima dimensione: accettazione incondizionata. Con ciò si intende l’esperienza
positiva di accettazione, di attenzione emotiva, di affetto, verso l’essere protetto.
Si è potuto assodare come tali aspetti, importanti per tutte le fasi evolutive, formano
le prerogative di base per il sano sviluppo di ogni soggetto. La mancanza o
sufficiente accettazione da parte degli educatori principali possono causare lo
sviluppo di personalità nevrotiche, con gravi disturbi psichici e sociali. (vedi esempi
legati alle storie pagina 170).
 Seconda dimensione: empatia. Si riferisce alla capacità di comprensione profonda
della persona con la quale si sta interagendo, al tentativo di immedesimarsi, di
mettersi nei pani degli altri, di calare nell’altro.
Dalle storie di vita analizzate, non è difficile accorgersi come tale mancanza o
anche solo la realizzazione parziale della comprensione empatica, specialmente in
età neonatale, può causare gravi patologie psichiche o psicosomatiche.

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In Maria il blocco di empatia è stato probabilmente causato dai messaggi dei
genitori: ‘’ Noi riusciamo a capirti meglio di te stessa.’’ Come conseguenza, non è
riuscita a sviluppare fiducia nei propri sentimenti e nelle emozioni che percepiva.
La mancanza di limiti si è manifestata anche nei furti, nel consumo di eroina, nella
prostituzione, in comportamenti devianti, che a loro volta, testimoniavano una
personalità di tipo asociale.
 Terza dimensione: la congruenza. Una persona completamente sana sarebbe
quella che si trova in perfetta armonia o corrispondenza tra il proprio sé e le
esperienze quotidiane, in congruenza appunto, ossia integra, completa e autentica.
Dalle storie analizzate si può più volte comprendere che gli atteggiamenti contrari,
incongruenza, ambivalenza e discontinuità, possono ingenerare grave disagio
evolutivo con negative conseguenze psichiche e comportamentali.
Uno sviluppo patologico è riscontrabile nei giovani le cui persone di riferimento
mostravano strategie comportamentali non univoche.
Nel settore migratorio è stato possibile riscontrare abbastanza spesso dei deficit
proprio nel settore della congruenza.

8. Teoria dei bisogni dell’essere umano


Dall’insieme degli elementi emersi dai risultati della ricerca, i tre presupposti dell’accettazione,
dell’empatia e della congruenza non solo possono essere confermati, ma anche ampliati
ulteriormente.
In riferimento soprattutto agli studi di Maslow, che assieme a Rogers fondò la corrente della
psicologia umanistica, si tenterà ora di elaborarli ulteriormente.
Verranno definiti BIOSGNI FONDAMENTALI DELLO SVILUPPO UMANO.
A differenza della teoria di Maslow il quale muoveva dalla premessa che i bisogni seguono uno
schema piramidale, sviluppandosi uno sull’altro.
Nella presente esposizione i bisogni non verranno sottoposti ad alcune stratificazione gerarchica.
Non saranno da considerare come statici, ma come dinamici, come processo interattivo tra il
soggetto e l’ambiente circostante. Non saranno orientati solo verso il passato (per capire da dove
deriva il disturbo), ma si cercherà di metterne in luce soprattutto l’utilità rispetto al futuro, indicando
le strategie d’intervento.
Fra i bisogni individuati: bisogno di benessere organico, di rapporti sociali, di appartenenza, di
attaccamento, di separazione, di attenzione, di congruenza, di fiducia, di partecipazione attiva, di
comunità.
 Bisogno di benessere organico. Vengono annoverati soprattutto i bisogni fisiologici
descritti da Maslow, come metabolismi, stati di pace-stimolo, alimentazione, sonno,
temperatura corporea.

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 Bisogno di rapporti sociali e di appartenenza. Accanto a quelli fisiologici, l’uomo
necessita anche di soddisfare alcuni bisogni di natura sociale.
 Bisogno di attaccamento. Costruire un legame profondo.
 Bisogno di separazione. Non va considerata solo come perdita, ma anche come
vero bisogno fondamentale dell’individuo. Ogni crescita comporta una separazione.
 Bisogno di attenzione emozionale positiva. Assieme all’empatia e alla congruenza,
l’attenzione rappresenta una condizione indispensabile per il sano sviluppo della
personalità. Comprende l’esperienza fondante di ogni soggetto di essere preso in
considerazione in maniera positiva, di ricevere attenzione. Ha bisogno poi di
accettazione, di essere accettato a prescindere dai criteri di valutazione.
 Bisogno di comprensione profonda, rimanda alla necessità di comprendere e
conoscere più aspetti possibili del mondo fisico e psichico legato alla propria
personalità. Nel corso del proprio sviluppo, il soggetto dovrebbe acquisire la
capacità di riconoscere la massima parte dei propri impulsi e le proprie emozioni.
 Il bisogno di congruenza. Armonia tra proprio sé e mondo esterno, ossia alla
possibilità di essere autentici e raggiungibili come persona. Nel contesto
multiculturale significa non sentirsi costretti a rimuovere parti di sé.
 Bisogno di fiducia. Ogni essere umano dovrebbe riuscire a sviluppare fiducia in se
stesso, nelle proprie potenzialità e nel mondo esterno. Senza fiducia in se stessi
non è possibile un’articolazione sana ed armonica della personalità, il
raggiungimento dell’autonomia e l’inserimento da protagonisti nella società in cui si
vive. Il pieno sviluppo delle proprie responsabilità richiede un certo rischio.
 Il bisogno di partecipazione attiva si riferisce alla possibilità di influenzare
attivamente il mondo esterno, di avere l’opportunità di vivere da protagonisti e non
da succubi.
In secondo luogo, comprende l’importanza di percepirsi come simile agli altri
componenti del gruppo e di poter rivestire un ruolo attivo, partecipando attivamente
alla vita sociale. È legata al bisogno di struttura, di giustizia, e di legalità. Ogni
soggetto necessita di limiti chiari, ed affidabili verso cui potersi orientare.
 Bisogno di continuità, rimanda alla necessità umana di essere a contatto con criteri
di valutazione, il più possibile chiara, univoca e duratura nel tempo, in modo da
poter interiorizzare dei parametri di riferimento stabili.

8.2.1 Ulteriori riflessioni sulla teoria dei bisogni


I suddetti bisogni non vanno considerati singolarmente, ma collegati fra loro, non sono suddividibili
gerarchicamente, ma modificano la loro importanza, anche in base all’età, al contesto sociale e
culturale o alla situazione soggettiva.
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Pertanto non sono statici, ed il loro appagamento non avviene solo nell’ambito di un rapporto di
dipendenza. Costituiscono un processo interattivo e dinamico tra il soggetto e l’ambiente
circostante.
In secondo luogo, tutti i bisogni esposti vanno considerati come sottostanti ad alcune leggi e
principi generali, i più importanti dei quali possono essere riferiti ai seguenti contesti esperienziali:
 Anche se il loro significato è maggiore durante l’infanzia non perdono di significato
nelle fasi successive
 Singole persone possono soddisfare meglio tali bisogni se durante il proprio
sviluppo hanno ricevuto un sufficiente appagamento degli stessi
 Durante le prime fasi evolutive, la madre sembra essere la figura di riferimento che
può soddisfare al meglio tali bisogni, ma anche altre persone di riferimento possono
assumere una funzione analoga
 Se durante l’infanzia l’appagamento di qualche bisogno è avvenuta solo in maniera
parziale, un soddisfacimento nelle fasi successive può assumere una funzione
positiva
 Alcuni bisogni possono venire alla luce contemporaneamente e in parte anche
coesistere, così che l’adempimento ad uno di essi può ostacolare la soddisfazione
di un altro.

8.3 Ripercussioni per lo sviluppo cognitivo, affettivo e comportamentale


Nel caso in cui tali bisogni non vengano soddisfatti, lo sviluppo cognitivo, affettivo e
comportamentale potrebbe venirne influenzato in maniera talmente negativa da costituire la causa
scatenante di difficoltà di apprendimento, di concentrazione, di comportamento e di relazione con
gli altri, sino ad innescare disturbi psichici e psicosomatici.
Come tentativo di appagamento, si possono adottare delle strategie comportamentali rivolte verso
due opposte direzioni:
a. Assumere comportamenti socialmente accettati, che consentono non solo l’appagamento
del bisogno, ma anche una migliore attenzione alla realizzazione della sua personalità.
b. Tendere verso comportamenti in contrasto con norme e regole sociali, che generalmente si
rivelano come ulteriori ostacoli per il proprio sviluppo.
Questi due atteggiamenti, rappresentano il tentativo di compensare deficit derivanti dalla
insufficiente o mancata soddisfazione di determinati bisogni.
Persino il ricorso a comportamenti definibili come devianti e patologici spesso si manifesta come il
tentativo di soddisfare tali bisogni.
Il livello meno grave è costituito da soggetti, nella nostra società definiti come normali, che però
adottano delle modalità di risposta di fatto deviante ed assumono una struttura della personalità
nevrotica.

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Attingendo a recenti elaborazioni di psicopatologia (Swildens, Graessner, Pfeiffer), rapportandoli
con la suddetta teoria dei bisogni, si possono individuare quattro modalità di reazione:
1. L’individuo si orienta principalmente verso l’esterno. In tale gruppo potrebbero rientrare i
soggetti con le seguenti caratteristiche:
 Personalità isterico-teatrali: si svilupperebbero in seguito a carenze nella
soddisfazione del bisogno primario di accettazione, di attenzione, di empatia e
congruenza. Mostrano una tale esigenza di autorappresentazione, di attenzione e di
conferma.
 Personalità anancastiche: si sviluppano in seguito a mancanza di comprensione e di
accettazione. Il soggetto sviluppa determinati rituali, lievi forme di nevrosi ossessive:
pulire, ordinare, controllare, che limitano sostanzialmente la propria vita. In questo
modo possono tentare di legarsi ad un’altra persona per riceverne l’attenzione
forzata.
2. Il soggetto si orienta verso l’interno.
 Personalità fobiche: soprattutto in caso di soddisfacimento parziale del bisogno di
protezione e in caso di confronto con una madre iperprotettiva, il soggetto
svilupperebbe delle paure estreme e irreali. Cerca compagnia e dipendenza.
 Personalità depressive: si svilupperebbero come conseguenza inadeguata del
bisogno di accettazione incondizionata positiva. In questo caso tutti gli impulsi
spontanei ed aggressivi, vengono repressi e subentrano comportamenti
autoagressivi. Cercano di ottenere l’attenzione tramite la trasmissione dei sensi di
colpa
3. Il soggetto cerca di sfuggire dalla realtà. Apparentemente non sa o non vuole accettare
alcuna norma. Le forme più evidenti si riscontrano presso le personalità devianti: nel
tentativo di soddisfare i bisogni di autonomia, non riescono riconoscere limiti a cui
orientarsi. Cercano di ottenere stima, protezione, comprensione, accettazione.
4. Il soggetto si comporta in maniera mutevole. Poiché non si sente in grado di prendere una
decisione, assume modalità comportamentali che variano in base a criteri individuali o
sociali.
Un esempio sono le personalità ambivalenti: in seguito alla loro difficoltà a decidersi, si
comportano in modo estremamente instabile e inaffidabile.

Nelle biografie sono presenti in forme miste, non così rigide. Nel corso del tempo possono
svilupparsi nel seguente modo:
1. Strategie possono essere utilizzate per molto tempo e in maniera illimitata
2. Nel caso in cui siano affiancati da comportamenti adeguati e correttivi, possono affievolirsi
oppure scomparire completamente.

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3. Nel caso in cui non riescano più a raggiungere l’obiettivo prefissato, l’equilibrio viene messo
in discussione, si possono verificare disturbi psichici.
Anche gli eventuali disturbi cognitivi, emotivi e comportamentali seguirebbero un simile sviluppo:
nel caso in cui permettano al soggetto di raggiungere l’obiettivo prefissato, potrebbero stabilizzarsi
e consolidarsi come status quo, nel caso di aiuto esterno potrebbero perdere d’intensità o
scomparire.

8.4 Ripercussioni in contesto multiculturale


Tale modello, riferito a tutti gli esseri umani, assume connotazioni diverse se applicato a soggetti
diversi.
Molti bisogni in contesto multiculturale, vengono ostacolati da una serie di fattori negativi.
D’altro canto va sottolineato che, la difficoltà di adempiere ad alcuni bisogni non dipende solo
dall’essere stranieri o di aver interiorizzato norme e valori culturali diversi dal gruppo dominante.
Molto più spesso si tratta di fenomeni di sopraffazione, di discriminazione, riscontrabili in ogni
contesto.
Ma è possibile affermare che l’emigrazione da sola non basta a giustificare la percentuale di
disagio do di malattia riscontrabili nei soggetti coinvolti. Non rappresenta solo un rischio.
In relazione a determinati fattori, possono rivelarsi anche come chance.

9. SPECIFICITA’ ED OPPORTUNITA’ DI INTERVENTI EDUCATIVI INTERCULTURALI


9.1 Riflessioni sui risultati della ricerca

Dai risultati della ricerca è stato innanzitutto possibile confermare l’ipotesi che l’emigrazione,
inizialmente, causi un impedimento nella soddisfazione dei bisogni. Le probabilità di successo
delle strategie di soluzione dei problemi si riducono fortemente a causa delle differenze culturali, e
persino in caso di disagio o di disturbi psichici, dell’ambiente esterno che difficilmente riesce a
reagire in maniera adeguata.
Fra i fattori che hanno influenzato negativamente lo sviluppo dei soggetti intervistati, che sembrano
aver contribuito maggiormente allo sviluppo di disturbi nel settore cognitivo, emotivo o
comportamentale, troviamo soprattutto: il cambiamento della struttura familiare ed il cambiamento
dei ruoli al suo interno, le precarie e sfavorevoli condizioni abitative…
Durante le successive fasi evolutive, le loro difficoltà a livello affettivo si sono manifestate in
svariati modi. Molti hanno riscontrato notevoli difficoltà a rispettare i limiti esterni posti dagli
educatori.
Rinforzati nell’idea di valere poco, hanno cercato di attirare l’attenzione dei compagni, dei genitori,
degli insegnanti. Per soddisfare il loro bisogno di amore hanno intrapreso quindi dei percorsi

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devianti: hanno assunto atteggiamenti esibizionistici, hanno rubato per poi regalare il tutto a
qualche amico o conoscente.
Altri, hanno avuto difficoltà nell’assunzione del contatto e nel rapporto con coetanei e adulti.
Alcuni soggetti hanno cercato e adottato strategie comportamentali valevoli in entrambi i contesti
culturali, che permettevano di risolvere eventuali conflitti e di soddisfare molti dei loro bisogni.
Tra i fattori positivi sono stati individuati la possibilità di assumere durante i primi anni di vita
rapporti stabili, l’apertura dei genitori nei confronti del nuovo contesto, l’atteggiamento di
comprensione e la stima nei confronti dei figli.
Educatori e insegnanti inoltre possono sostenere al meglio lo sviluppo dei soggetti con esperienza
multiculturale, quando riescono a lasciarli liberi di assumere gli standard della personalità che
ritengono più opportuni.
Dalla ricerca si evince con chiarezza, che purtroppo, ancora oggi, non solo la famiglia, ma anche la
scuola, si presentano impreparate ad affrontare la sfida posta dalle situazioni multiculturali.
Particolarmente negativo, se non addirittura dannoso per un sano sviluppo dei bambini, si è
indubbiamente rivelato il comportamento di insegnanti che nei loro confronti hanno adottato
atteggiamenti di tipo discriminatorio o ostile.
D’altra parte anche l’atteggiamento di iperidentificazione cosidetto ‘’Wohlwollend’’ (voler far bene)
ovvero ‘’ Xenophil’’, assunto da alcuni insegnanti tedeschi ha avuto dei risvolti negativi.

9.2 Possibilità di interventi educativi interculturali


Come abbiamo constatato, l’esperienza di vita e lo sviluppo all’interno dei due o più contesti
culturali può rappresentare, sia una fonte di disagio, sia di arricchimento.
Dai risultati della presente ricerca si è potuto anche appurare il delicato ruolo che viene accreditato
all’educatore, che sembra quasi detenere il potere di manovrare gli scambi binari.

9.2.1 Multi, meta, trans, inter-cultura: chiarificazioni di ordine epistemologico


Prima di trattare dell’applicazione pratica dei risultati della ricerca nel settore della pedagogia
interculturale, ritengo opportuno, considerando anche l’uso talvolta improprio che ne viene fatto,
inserire una breve parentesi di carattere terminologico-concettuale.
Le radici di una educazione non intesa in senso nazionalistico e contro la violenza possono essere
rintracciate in numerosi pensatori e pedagogisti, Comenio, Locke, Maria Montessori, che in
educazione, perseguivano la realizzazione di aspirazioni quali la pace, la giustizia, la libertà e la
fraternità universale.
A tutt’oggi, la pedagogia interculturale, manca di una chiara definizione epistemologica. L’elemento
che maggiormente incide sul persistere di tale carenza, secondo Pati sembra essere
rappresentato dalla difficoltà di identificare un oggetto di studio distinto dalla pedagogia generale e
di enucleare circostanzianti metodi d’indagine.

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La METACULTURA disegna una cultura situata al di la della cultura, che rimanderebbe ad una
sorta di supra-cultura. La PLURICULTURA corrisponde ad una sovrapposizione di culture.
Rimanda al concetto di irripetibilità e non componibilità di ciascuna cultura, nonché al diritto di una
propria autonomia.
L’intervento educativo si configurerebbe come sensibilizzazione alle molteplici culture presenti.
Tale approccio è stato anche definito dal MULTICULTURALISMO. Si parte dalla situazione di fatto,
la presenza di due o più culture, studiando comunanze e differenze.
Al contrario la TRANSCULTURA da il senso di qualcosa che attraversa. La transcultura
presuppone una demarcazione che trascende la particolarità e la specificità delle culture. Si
riferisce alle strategie educative che mirano agli elementi universali, comuni a tutti gli uomini. Tale
visione di carattere strutturalista, oltre a non riuscire a tenere conto dei movimenti e dei processi di
cambiamento, rischia di sorvolare sulle sfumature presenti nella vita culturale concreta e di
alimentare una pedagogia aculturale.
Sebbene dall’inizio degli anni 80 il concetto di pedagogia interculturale si sia ampiamente diffuso in
tanti paesi europei, influenzando non solo la produzione di lavori scientifici, ma anche la
legislazione scolastica, ancora oggi sembrano sussistere, oltre che incertezze, anche imprecisioni
ed errori sia di tipo terminologico, sia operativo.
Solo recentemente alcuni autori, come ad esempio, Gundara, ribadiscono con fermezza la
necessità di progetti metdologici-didattici di tipo non più multi o pluri, ma interculturali.
Nel settore della ricerca scientifica, per molti anni, si è pensato che l’emigrazione, il cambiamento
di tipo culturale fossero accompagnati da problemi e conflitti riguardo allo sviluppo sociale o
all’acquisizione di un’identità stabile.
Secondo tale impostazione, prima avveniva il passaggio da una cultura all’altra e meno problemi
avrebbe riscontrato il bambino ad inserirsi nel nuovo contesto sociale e le possibilità di ascesa
economica venivano considerati come inversamente proporzionali alla durata del soggiorno
all’estero.
A tale proposito è stato coniato il termine PEDAGOGIA PER STRANIERI, in Germania, partendo
dal presupposto che fossero un gruppo problematico, che necessitava di una pedagogia speciale.
Questo filone di ricerche considerava i concetti di cultura e di identità in maniera statica e lasciava
facilmente dedurre che l’assimilazione nella cultura di accoglimento fosse il modo ideale di
convivenza multietnica.
Solamente dagli anni 70, si assiste ad un cambiamento in Europa.
Ma come definire la pedagogia interculturale? In cosa si differenzia dagli altri concetti?
Mentre la multi e pluricultura richiamano fenomeni di tipo descrittivo, riferendosi alla convivenza più
o meno pacifica, gli uni accanto agli altri, di persone provenienti da culture diverse, il prefisso iter
presuppone la messa in relazione, l’interazione, lo scambio di due o più elementi.

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Può essere intesa nel senso di possibilità di dialogo, di confronto paritetico, senza la costruzione
per i soggetti coinvolti di dover rinunciare a parti significative della propria identità.
Porcher ne sottolinea l’aspetto dinamico, asserendo che l’educazione interculturale rappresenta un
principio di azione risultante dalla situazione di fatto, la multiculturalità delle nostre società, che va
messa in movimento per farla sfociare in interculturalità.
Per Secco si configura come dialogo non giudicante e paritetico. Il concetto di intercultura è
astratto e fonte di equivoci. Non esiste, esistono i rapporti tra le persone appartenenti a diverse
culture, ed è su questi che occorre fermare l’attenzione.
Deve basarsi sul confronto del pensiero, nonché sul confronto di concetti e di preconcetti, ed egli
suggerisce di non effettuare particolari distinzioni fra la pedagogia interculturale e la pedagogia
tout court: la pedagogia non prevede alcuna differenza tra autoctoni e stranieri, è rivolta a tutti gli
uomini.
Si basa sull’uomo definito attraverso il suo pensiero, che è universale e nega ogni barriera. In tal
senso, la presenza di soggetti con caratteristiche socioculturali non va considerata come minaccia,
bensì come fonte di arricchimento.

9.2.2 Indicazioni per l’intervento nel settore interculturale


Muovendo dai risultati della ricerca, cercheremo ora di enucleare limiti e possibilità di applicazione
dei principi della pedagogia interculturale, al fine sia di prevenire il disagio o la malattia, sia di
stimolare i soggetti coinvolti in esperienze multiculturali a cogliere e utilizzare il meglio possibile gli
elementi positivi a loro disposizione.
LIMITI: in presenza di problemi materiali, lavorativi, economici, di alloggio o dalla reale scarsa
possibilità di ascesa sociale, sarebbe un grave errore cercare di pedagogizzarli, perseguendo
magari lo scopo più o meno manifesto, di promuovere un atteggiamento di accettazione,
rassegnazione.
Un discorso simile va fatto anche per la presenza disturbi psichici e psicosomatici.
In questi casi uno dei rischi più frequenti da parte degli insegnanti è costituito dall’assunzione
impropria di un ruolo semiterapeutico o dall’eccessiva identificazione con i bambini o i genitori
stranieri.
A livello pedagogico l’intervento potrebbe piuttosto sostanziarsi nella consulenza delle persone
interessate, al fine di stimolarle a raggiungere livelli di vita più soddisfacenti, nella collaborazione
con altri operatori, sia pure per trasmettere i casi di loro competenza, permettendo ai soggetti
stranieri di accedere a strutture assistenziali a loro poco note o precluse, nella sensibilizzazione e
nel coinvolgimento con istituzioni e organismi preposti. Un ulteriore campo di intervento riguarda le
informazioni. Come si è potuto evincere dalla ricerca, la popolazione di origine straniera, a causa
delle scarse conoscenze linguistiche, dei pochi contatti sociali, delle differenze di tipo culturale,
istituzionale e burocraatico-amministrativo esistenti fra il loro paese di origine e quello di

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accoglienza, del poco tempo libero a loro disposizione e della presunta temporaneità del soggiorno
all’estero, molto spesso detiene carenti, se non addirittura errate, informazioni sia per questo
riguardanti questioni di ordine pratico, sia, in riferimento a conoscenze di tipo psicopedagogico.
Tanti problemi del settore educativo potrebbero essere affrontati e spesso anche risolti, mediante
delle appropriate consulenze, in cui ai genitori vengono spiegati, in modo a loro comprensibile.
OPPORTUNITA’: di intervento prettamente pedagogico, troviamo i problemi scolastici e di
discriminazione, dentro e fuori la scuola. Alle scuole è accreditato il compito della valorizzazione
della cultura altra: è compito principale degli insegnanti stimolare l’interesse e la creatività per il
nuovo ed il diverso. Occorre ripensare alla pedagogia in termini di accoglienza, intesa come valore
culturale e imperativo educativo, non fondato sulla motivazione dell’utile proprio, ma
sull’educazione, specialmente dei più giovani, riconoscendo alle singole culture ed ai singoli
individui, pari diritti di integrazione, non solo semplice senso di solidarietà o del deleterio e vacuo
slogan.
Le potenzialità dell’educando vanno valorizzate a prescindere dalla cultura di appartenenza. Egli è
al centro dell’attenzione pedagogica, si serve della cultura, occorre un dialogo non giudicante.
In base alla ricerca, molti dei problemi derivano dal sentimento di diversità, e diventa dall’altro lato
indispensabile non costringere l’educando di provenienza straniera a negare o rimuovere parti di
sé.
Più che conoscenze etno-antropologiche diventa necessaria l’educazione al cambiamento, nel
modo descritto da Ravaglioli, di imparare a penetrare nel mutamento, occorre sviluppare modlaità
di interazione col diverso.

9.2.3 Riflessioni di carattere metodologico-didattico


Cosa possiamo definire dai risultati acquisiti, rispetto alla metodologia di un’educazione
interculturale?
Alberti: non può esistere una metodologia uguale per tutti, perché entrerebbe nettamente in
contrasto con l’unicità e l’irripetibilità di ogni essere umano, nonché la specificità di ogni rapporto
interpersonale di tipo educativo.
Non si tratterà di inventare nuove strategie, delle tecniche diverse. Le strategie da elaborare
dovranno mirare al sostegno di ciò che rappresenta l’oggetto dell’educazione: l’educando.
Dai risultati della ricerca abbiamo visto con chiarezza che l’appagamento di determinati bisogni è
da ritenersi come fondamentale per sano sviluppo della personalità.
Anche all’interno dell’aula scolastica o in contesto di educazione professionale possono essere
articolate delle strategie volte a stimolare il soggetto educando, al fine di mettere in atto le
potenzialità che gli permetteranno di inserirsi utilmente nel contesto sociale. Il fulcro del discorso
metodologico verterà, nel sostegno adeguato alla personalità dell’educando e si prefigurerà nello

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sviluppo di una modalità e di strategie idonee tanto al rilevamento quanto all’appagamento dei
bisogni.
Dai singoli bisogni individuati è possibile ricavare una serie di compiti educativi, che potremmo
sintetizzare nel modo seguente:
 Per quanto attiene i bisogni di benessere organico definiti da Laborit come istintivi, facenti
parte della memoria più remota di tipo immunitario del sistema limbico non si dovrebbero
porre grossi problemi di ordine educativo, in quanto il loro riconoscimento ed il loro
appagamento non richiederebbero eccessivi sforzi.
Tuttavia, l’educatore dovrebbe appurare se l’educando riesca a soddisfare con successo
tali bisogni fisiologici.
 Riguardo ai bisogni di rapporti sociali e di appartenenza, è molto importante tenere conto
che ogni bambino necessita di contatti con coetanei e adulti.
Maritain afferma che l’educazione sociale non è il fine principale dell’educazione, ma il
secondo dei suoi scopi essenziali. Proprio i bambini cosiddetti difficili, in classe,
necessitano dell’aiuto degli adulti e dei coetanei, in quanto ancora non hanno appreso delle
modalità comportamentali adeguate per inserirsi nel gruppo.
 Il bisogno di attaccamento, Non si riferisce solo al rapporto madre-bambino, anche in
ambito extrafamiliare, specialmente in contesto migratorio, assume una rilevanza
particolare.
L’educatore cercherà di instaurare un rapporto positivo col bambino straniero, si offrirà
come modello educativo, cercando soprattutto di evitare coalizioni contro la famiglia o il
gruppo culturale di riferimento. Ideale sarebbe se da tale rapporto potesse svilupparsi un
rapporto con la possibilità di influenza di tipo interattivo in cui il bambino non sarebbe ne
sottomesso o succube, ne lasciato solo a se stesso.
 Affinchè l’appagamento del bisogno di separazione, ovvero la separazione di tipo
emozionale, avvenga in maniera propositiva, occorre innanzitutto che sia vissuta dai
soggetti interessati come opportunità di crescita e non come perdita.
In contesto educativo o scolastico è importante che l’insegnante non viva i tentativi di
separazione da parte dell’educando come disconferma per la propria persona o per la
propria modalità d’intervento. Nel caso di soggetti con esperienza migratoria avranno
bisogno di tempo per compensare eventuali vissuti di abbandono o di perdita.
È auspicabile preparare gli alunni stranieri ad eventuali separazioni, stimolandoli
all’autonomia e a mantenere dei contatti.
 Per quanto attiene al bisogno di accettazione emozionale positiva particolarmente
importante è che la persona di riferimento principale abbia la capacità di soddisfare tale
bisogno del bambino, anche nei casi in cui non condivida alcune delle sue manifestazioni
comportamentali.

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Anche nel rapporto extrafamiliare è indispensabile riuscire ad accettare l’educando a
prescindere dalle sue modalità comportamentali, dalle idee o da aspetti esteriori.
Alcuni educatori molto spesso sembrano confondere il concetto di accettazione con quello
dell’essere d’accordo: l’accettazione si riferisce solo alla persona; ciò non significa
automatica condivisione del suo pensiero o del suo comportamento. È l’essere umano che
va accettato e rispettato nella sua dignità.
 Per quanto concerne la comprensione profonda, occorre ricordare che l’essere umano, pur
venendo al mondo con la predisposizione della socialità, necessita della interazione con i
propri simili per diventare anche essere sociale.
Affinchè il soggetto riesca a riconoscere i propri sentimenti e le proprie idee e a calarsi in
quelle degli altri, è necessario che la persona di riferimento sappia cogliere i segnali.
Nel settore della pedagogia interculturale, l’indirizzo da seguire è quello di insegnare a
pensare in modo originale, creativo, libero e autonomo, a comprende se stessi e l’altro in
maniera profonda, empatica, a riflettere prima di parlare, ad ascoltare, ad esprimersi.
 Il bisogno di congruenza. Per aiutare l’educando a sviluppare atteggiamenti di congruenza
interna ed esterna, non è necessario soddisfare tutti i desideri o i capricci. Al contrario il
soddisfacimento dei bisogni emersi grazie ad un rapporto caratterizzato da accettazione,
empatia e congruenza dovrebbe avvenire solo tenendo conto anche dei bisogni degli
individui che vivono nell’ambiente circostante.
L’appagamento del bisogno di congruenza comporta, peraltro, il superamento da parte
dell’educando della paura di dover rinunciare al ruolo di reale o presunta superiorità.
L’educatore congruente non si serve della manipolazione delle altre persone per i propri
interessi, ciò significa concretamente interrompere anche la catena di violenza e aggressività,
basata sul famoso principio del capo espiatorio.
L’attenzione al principio di congruenza da parte dei soggetti coinvolti permetterà di instaurare
dei rapporti interpersonali basati veramente sul confronto, ovviando al suddetto rischio della
dicotomia tra xenofoabia e xenofilia.
 Il bisogno di fiducia, da parte della persona di riferimento può essere soddisfatto soprattutto
permettendo al soggetto di sentirsi degno di fiducia.
La persona di riferimento dovrà permettere al bambino non solo di adoperare le proprie
facoltà, in caso di errori o insuccessi, va stimolato alla riflessione, va incoraggiato e non
modificato. Dovrà riuscire a educere anche le facoltà nascoste.
In particolare i cittadini di origine straniera, in base alle loro esperienze effettuate prima o
dopo l’emigrazione, hanno appreso a diffidare delle istituzioni o delle autorità, e
necessitano pertanto di costruire dei modelli interattivi differenti, ovvero rapporti paritetici e
dialogici.

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 Il bisogno di partecipazione attiva. L’educatore si configura principalmente nel garantire che
l’educando possa sentirsi costantemente protagonista, che non venga escluso o
discriminato in alcuna forma, tanto meno in base al colore della pelle ecc…
Si tratta di ricordare che le diversità rappresentano una forza, un’occasione.
 Il bisogno di continuità, che si riferisce alla necessità dell’educando di essere a contatto con
criteri di valutazione il più possibile chiari e univoci.
Non è necessario e nemmeno positivo, che cresca nell’ambito di influenze socioculturali
univoche, ma occorre che venga costretto a subire o ancor peggio, a condividere criteri di
valutazione ambivalenti e contradditori.
In contesto multiculturale non si tratta solo di documentarsi mediante libri sul significato di
certi comportamenti. Sarà proprio applicando pienamente e correttamente i principi del
dialogo e del confronto che potrà avvenire una crescita.

9.2.4 Interventi clinici, preventivi e di consulenza


Dopo aver accennato alle modalità di intervento educativo, in questo paragrafo ci soffermeremo, in
maniera succinta, sugli accorgimenti da adottare in contesto di consulenza, non solo pedagogica,
ma anche psicologica o medica e di psicoterapia.
Gli utenti stranieri non sono da considerare come gruppo omogeneo, ma sono riscontrabili
elementi comuni: difficoltà materiali, linguistiche, un diverso concetto di patologia, mancanza di
motivazione.
Non è facile garantire loro efficaci forme di consulenza o terapia. Essi non soddisfano i criteri
indicati da molte scuole terapeutiche, che possono essere annoverati tra coloro che Schofield,
hanno più possibilità di essere accettati in trattamento: non sono attrattivi, verbali, di successo.
Occorre focalizzare l’attenzione sull’attività preventiva. I conflitti, ma soprattutto i disturbi
riscontrabili in contesto migratorio, non solo necessitano di essere affrontati, ma occorre che
vengano anticipati, prevenuti.
Dalla presente ricerca, ma anche da altri studi, è emerso che le famiglie straniere fanno
pochissimo uso delle visite preventive e si recano presso gli enti assistenziali solo quando sono in
stato di crisi.
L’intervento di prevenzione dovrebbe abbracciare in tre settori in cui essa viene suddivisa:
 Livello di prevenzione primaria, un lavoro di profilassi, nel quale attraverso la soluzione di
possibili fattori aggravanti si impedisce il manifestarsi di disturbi o di malattie psichiche.
Rendere consapevoli dei rischi derivanti dal pendolarismo, dalla separazione precoce con
la madre. Ne fa parte anche l’intervento concreto mirante al miglioramento della loro
situazione.
 Livello di prevenzione secondaria, riguarda il riconoscimento precoce dei disturbi, per
evitare il peggioramento.

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Risulta fondamentale l’intervento di sensibilizzazione da parte di insegnanti ecc..
 Livello di prevenzione terziaria, da effettuare quando la malattia è già in corso e dovrebbe
tentare di ridurre i disturbi già presenti. Stimolare le famiglie di nazionalità straniera ad
usufruire delle possibilità di assistenza e di cura.

Un primo aspetto fondamentale del lavoro di consulenza e di terapia in contesto multiculturale si


sostanzia, nel tenere conto del differente bagaglio culturale.
Adeguata conoscenza degli standard culturali permettono una comprensione più profonda dei
problemi, ed aiutano a differenziare gli sviluppi patologici da quelli culturali. Significa essere
consapevoli di tali differenze ed adottare quegli atteggiamenti, le abitudini dinamiche, che
permettono il loro rispetto.
Un secondo aspetto, che potrebbe pregiudicare il setting di consulenza o terapeutico, può essere
individuato nella diffidenza, riscontrabile in larga parte della popolazione immigrata, che scaturisce
non solo dal loro retroterra culturale, ma anche dalle esperienze di discriminazione, emarginazione
e sfruttamento che hanno vissuto sia prima sia dopo l’emigrazione.
Il raggiungimento di una fiducia di base va considerato come il primo, importante traguardo della
consulenza, è necessario rispettare sia le norme ed i valori culturali già noti, sia ulteriori:
interpretazioni della malattia, spiegazioni o atteggiamenti estranei: occorre accettare il cliente
come si presenta.
Come terzo punto, effettuare un’attività di chiarimento, nel corso del quale da un canto si dovrebbe
conoscere le aspettative dell’utente, dall’altro il consulente o il terapeuta dovrebbero illustrare, con
la maggiore chiarezza possibile, le modalità e gli scopi dell’attività diagnostica e clinica da
effettuare.
Il quarto aspetto riguarda il lavoro di motivazione, che in molti casi può alleggerire, se non
addirittura rendere possibile, il trattamento psicoterapeutico.
Tale lavoro di motivazione dovrebbe essere effettuato non solo durante il trattamento, ma
soprattutto prima che il cliente venga invitato a recarsi presso un consultorio, da parte di tutte
quegli operatori che sono già a contatto con bambini stranieri con disturbi del comportamento, fra
cui soprattutto gli educatori e gli inseganti.
Un quinto aspetto è rappresentato dalla cooperazione di più operatori.
Per quanto riguarda la cooperazione interna, il sostegno non dovrebbe limitarsi soltanto ad una
supervisione dei casi, ma dovrebbe prevedere anche forme di intervento in sinergia.
La cooperazione esterna, oltre che in riferimento al lavoro di motivazione e di prevenzione,
assume un ruolo preponderante nella fase di consulenza o di trattamento psicoterapeutico.
Bisogna che vengano incluse non solo le istituzioni educative, ma tutti gli operatori con cui il
bambino entra in contatto.

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Per quanto concerne la possibilità concreta di intervento psicoterapeutico vero e proprio, tramite
l’approccio centrato sulla persona, grazie alle tre variabili di base della congruenza,
dell’accettazione incondizionata e della empatia, e alla possibilità da parte del cliente di ampliare la
propria immagine di sé, nel senso di un’integrazione di esperienze rimosse, deformate o non prese
in considerazione.
Ancor più importante del metodo seguito, ritengo la consapevolezza che la consulenza e la
psicoterapia in contesto multiculturale non solo sono possibili, ma anche utili e urgenti.

9.2.5 Riflessione sull’efficacia degli interventi


Riassumendo le possibilità concrete d’intervento, in seguito ai risultati della ricerca, è possibile
affermare che in contesto migratorio sorgono dei conflitti la cui lettura non può assolutamente
limitarsi alle sole differenze di tipo culturale ed il cui trattamento non deve limitarsi ad un’analisi
multifattoriale.
È importante realizzare interventi congiunti di natura clinica ed educativa.
Pertanto il concetto di interculturalità non è scindibile da quello di interdisciplinarità.
Tali discipline non vanno considerate ausiliari, ma alla pari, perché è importante che il pedagogista
lo tenga presente, solo mediante un loro concorso armonico è possibile riconoscere ed affrontare
con successo la multifattorialità dei conflitti.
Sintetizzando le caratteristiche degli interventi da adottare, l’educazione interculturale trova la sua
espressione più profonda e si configura come educazione ai sentimenti, alla comprensione,
all’ascolto, al dialogo, al pluralismo, alla legalità, alla gestione del conflitto, all’amore.
1. Educazione interculturale come educazione ai sentimenti.
È di basilare importanza non solo per un sano sviluppo, ma per un confronto con l’alterità o
per il discorso interculturale.
Brezinka precisa come certi sentimenti, la disposizione a legarsi affettivamente ad altre
persone, a cose, attività, idee, siano presenti nel bambino prima delle capacità cognitive e
intellettuali: ‘’l’abilità della vita dipende dal rapporto armonico tra ragione e sentimento’’.
Necessitano però di esercizio ed educazione.
In famiglia e a scuola diventa indispensabile ciò che in passato veniva chiamata
educazione al sentimento. (Contini mette in evidenza come per educare al sentimento è
opportuno procedere mediante l’educazione all’ascolto, agevolare nel soggetto educativo la
progressiva presa di coscienza delle informazioni che gli provengono dai vissuti emotivi.
L’educazione alla capacità di comunicazione.
Goleman indica due passi come necessari per sviluppare l’intelligenza emotiva: quello
dell’autoconsapevolezza e dell’autocontrollo).
2. Educazione come educazione alla comprensione, al dialogo e all’ascolto.

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3. Educazione al pluralismo: interculturalità e pluralismo sono estremamente connessi.
Educare al pluralismo include anche il rispetto e la solidarietà. Significa inoltre educare alla
complessità, nel senso di gusto di ricerca e dell’avventura intellettuale, guardandosi da un
eccesso di semplificazione e di schematizzazione, che può arrivare ad acritiche adesioni
ideologiche, ma anche la pretesa di fondare il proprio insegnamento solo sul buon senso e
sulla propria limitata cultura o esperienza di vita, senza impegno di ricerca e confronto
culturale.
4. Educazione alla legalità. Educazione interculturale non è possibile senza regole chiare e
condivise. Occorre conoscere le regole del gioco, i fini educativi che si vogliono perseguire.
Richiama all’importanza delle regole, ma anche dei valori. Il dialogo interculturale non va
costruito solo fra soggetti, ma anche fra cittadini e stato.
Serve non solo a prevenire il disagio e la criminalità, ma anche ad aumentare il rispetto e la
pace fra gli esseri umani.
5. Educazione alla pace, ma anche al conflitto. Sono due concetti che si completano, si
richiamano e si integrano a vicenda. Don Milani asseriva che per educare alla criticità è
necessario educare al conflitto.
Per Buttarini l’educazione alla pace e al dialogo rimanda ad una modalità di relazione attiva
e sanamente conflittuale.
Di per se il significato etimologico di aggressione si rifa all’etimo latino aggredi (mi muovo
verso). I settori principali in cui poter esercitare l’aggressività benigna sarebbero non solo le
relazioni verso gli altri e nel gruppo, ma anche verso se stessi e verso l’assetto socio-
politico.
6. Educazione all’amore. Soltanto l’amore ha il potere di unire senza prevaricare l’altro della
sua dignità, del suo io. Soltanto l’amore non esercita un geloso possesso sugli uomini e
sulle nazioni. Soltanto l’amore può fornire le inesauribili energie necessarie a sconfiggere la
fame e la disperazione.
La valenza terapeutica ed educativa dell’amore è quella della sua capacità di far fronte e
risolvere nel modo più radicale uno dei più grossi problemi della nostra esistenza: la
solitudine.
Nel libro l’arte di amare, Fromm distingue solo poche forme di amore vero: l’amore fraterno
(include il senso di responsabilità, le premure, il rispetto, la comprensione), l’amore
materno, l’amore erotico (desiderio d’unione con un'altra persona ed è esclusivo), l’amore
per se stessi (non è una forma egoistica d’amore, amare se stessi porta ad amare il
prossimo allo stesso modo), l’amore per Dio, corrisponde ad una forma più matura di
amore che nasce dalla necessità di superare la separazione per raggiungere l’unione.

9.3 Prospettive per la ricerca interculturale

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VEDI RIFLESSIONI CONCLUSIVE PAGINA 222-225

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