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Il processo di assunzione dell’identità può essere agevolato da fattori come la presenza di una
costellazione familiare con sufficienti modelli di identificazione o dall’attuazione di strategie come la
rimozione degli aspetti della cosiddetta identità negativa, ossia delle componenti indesiderate o
negative del proprio io, oppure il riuscire a realizzare un legame culturale che non si manifesti
come fissazione ad un determinato gruppo, bensì come apertura per successivi sviluppi in
rapporto a tutta l’umanità.
Marcia ha postulato altre due possibilità, accanto alle alternative di Erikson tra l’identità dell’io e la
dispersione dell’identità:
L’identità negata
Moratorium
Tali alternative da non considerare come statiche, ma dinamiche, in particolare comprendono:
a) Identità raggiunta, quando un soggetto ha superato un periodo di crisi e si sente legato al
suo mestiere e ad una sua ideologia, i suoi atteggiamenti nei confronti della religione e
della politica sono univoci, sa rispondere a quesiti aperti.
b) Dispersione dell’identità, quando non risulta chiaro se un soggetto ha vissuto e superato un
periodo di crisi
c) Moratorium, quando si trova ancora all’interno di una crisi e non riesce ad assumersi delle
responsabilità nei confronti di un mestiere o di un’ideologia
d) Identità negata, quando il soggetto non ha vissuto alcun periodo di crisi, ma si è lo stesso
assunto delle responsabilità nei confronti di un mestiere o di una ideologia.
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Sviluppa un concetto di identità che permette di analizzare i conflitti ed il modo di affrontarli o di
risolverli nella quotidianità.
Individua tre livelli:
IDENTITA’ SOCIALE: comprende le aspettative di ruolo del sistema normativo dei singoli
gruppi di riferimento sociale. Viene distinta l’identità sociale virtuale, i presupposti
nell’individuo che non ha bisogno di possedere realmente. L’identità sociale attuale, ovvero
gli attributi che possono essere dimostrati.
IDENTITA’ PERSONALE: caratteristiche personali esterne al soggetto
IDENTITA’ DELL’IO: abbraccia le sensazioni e le emozioni soggettive, riferite alla propria
situazione
Mentre l’identità sociale e personale rappresentano l’aspetto oggettivo, l’identità dell’io rimanda
verso la prospettiva interiore. Goffman ha studiato anche in maniera approfondita i processi di
stigmatizzazione. Krappmann concepisce l’identità non come un’istanza psichica stabile, ma come
un processo di esperienze aperte ed interattive, passibili di interpretazione soggettiva.
Per riuscire a raggiungere un’identità stabile l’adolescente dovrebbe riuscire ad interpretare le
norme sociali e le aspettative dei partener di interazione, tenendo presente la propria situazione
attuale ed il proprio ruolo.
L’identità come un atto di bilanciamento dell’individuo tra il compito di essere così come tutti e di
essere così come nessuno.
Kappmann introduce nel processo di assunzione dell’identità una dimensione orizzontale che
comprende gli aspetti sociali dell’identità ed una dimensione verticale, che rimanda ad un livello
personale. Per proteggersi da una non identità e poter ribilanciare al meglio la propria, il soggetto
necessita anche di alcune qualificazioni di base, sviluppate mediante la concreta assunzione di
ruoli.
I più importanti sono: la distanza dai ruoli, ossia la capacità di atteggiarsi in maniera interpretativa
e riflessiva nei confronti dei ruoli; l’empatia, la tolleranza dell’ambiguità, rappresentazione
dell’identità, ossia la capacità di rappresentare la propria identità nell’ambito del processo
interattivo.
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Nel rapporto madre-bambino è fondamentale che entrambi i partner avvertano sentimenti positivi
per l’altro e che tali sentimenti restino nella coscienza anche quando il partner non è presente
(diade primaria).
Quando la complessità dei comportamenti comuni all’interno delle diadi primarie lentamente
aumenta ed il bambino riesce sempre più ad influenzare le situazioni esterne, allora siamo di fronte
ad una diade di sviluppo.
I ruoli vengono visti come risultato delle attribuzioni. In tal senso, le aspettative sociali possono
caratterizzarsi come stimolanti o inibenti rispetto a determinati comportamenti.
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Il modello psicoanalitico di Erikson si presta ad alcune critiche, ovvero che la fase di latenza (dai
sei ai dodici anni) e quella relativa all’età adulta non vengono poste in sufficiente rilievo per lo
sviluppo dell’identità. Le varie fasi dello sviluppo si articolano in modelli rigidi e schematici in
contraddizione con le moderne teorie sullo sviluppo della personalità.
I rappresentanti dell’interazionismo simbolico hanno avuto il grande merito di aver incluso nel
processo di assunzione dell’identità elementi di tipo sociale e componenti di carattere situativo-
interattivo, nonché di aver sottolineato l’aspetto dominante di tale processo.
Mead ha considerato in maniera eccessiva l’importanza delle dinamiche sociali nel processo di
assunzione dell’identità, a discapito delle componenti affettivo-emozionali.
Goffman viene apprezzato per i processi di stigmatizzazione, ma non sembra aver differenziato il
concetto dell’identità dell’io. Si è concentrato troppo sugli aspetti dinamici dell’identità, senza aver
elaborato le componenti stabili e permanenti.
L’importanza del modello ecologico di Bronfenbrenner ha un’ottica sistemica in cui sono presi in
considerazione tutti i settori.
L’approccio centrato sulla persona può difficilmente essere applicato in maniera acritica su
individui provenienti da un’area culturale mediterranea.
Consente di comprendere però, non solo l’insorgere di concetti e preconcetti, ma anche di molti
conflitti intrapsichici e sociali presenti in contesto migratorio.
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Nel secondo periodo vi è un diminuire del flusso di espatri in conseguenza alle remore
sull’emigrazione poste dal fascismo, alla grave crisi economica degli anni 30, provvedimenti
restrittivi all’emigrazione adottati dagli Usa nel 1924.
Nel terzo periodo si assiste ad una nuova modesta crescita del flusso migratorio, con l’eccezione
del Veneto che fino al 1961 detiene il primato di espatri.
Dal 1948 l’emigrazione non avviene più per iniziativa individuale, ma in seguito ad accordi stipulati
dal governo italiano, dapprima Svizzera e Belgio.
Negli anni 70 Molti Paesi tentarono il primo vero blocco dell’immigrazione, adottando misure
restrittive o vere e proprie sanzioni.
Non solo non si riuscì a bloccare l’emigrazione, ma per gli immigrati si creò una situazione di
maggiore insicurezza e precarietà, da cui scaturì un ulteriore aggravio della loro situazione
psichica e materiale.
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Situazioni stressanti possono avere anche effetti positivi per lo sviluppo della persona e possano
persino stimolarne un miglioramento nelle prestazioni.
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Il modello di Claessens non viene usato correttamente, in quanto quest’ultimo non vede le fasi del
processo di inculturazione in maniera rigida, ma dinamica.
Inoltre come criterio di differenziazione dei singoli gruppi, viene usato il concetto di cultura senza
chiarire a cosa ci si riferisce, ad esempio alla cultura tedesca, a quella italiana, a quella turca o alla
Subkultur? E nella ricerca non vengono presi in considerazione importanti elementi collegati con
l’acquisizione dell’identità, come l’emigrazione pendolare, le aree socioculturali di appartenenza
dei giovani, il sesso, le strutture familiari, la situazione economica, l’orientamento socioculturale.
Il rischio maggiore è rappresentato dal fatto che dalla ricerca si potrebbe dedurre che l’inserimento
nella cultura tedesca sia l’unica meta auspicabile dei giovani stranieri e l’unico modo per
mantenere la stabilità psichica.
È stata realizzata una ricerca empirica, con l’aiuto delle storie di vita come metodo di indagine.
Dalla ricerca è risultato che l’arrivo in Germania non rappresenta l’unico, ma uno dei fattori che
influenzano il processo di acquisizione dell’identità.
Fra tali fattori si è rivelato importante l’orientamento socioculturale della famiglia. Altrettanto
importante è la posizione geografica dell’alloggio.
Infine, sono decisive le prime esperienze nella cultura tedesca: più negative sono le esperienze
effettuate al momento dell’arrivo in Germania, maggiormente i giovani si arroccano all’interno della
famiglia o della subcultura italiana.
I giovani orientati più verso la cultura di provenienza, sono quelli che hanno problemi a scuola, nel
mondo del lavoro e con la comunità tedesca.
Quelli invece che si orientano più verso la Germania, vivono rapporti in famiglia in maniera
conflittuale, in compenso però sono coloro che mostrano i migliori successi scolastici ed in
Germania risentono meno della discriminazione.
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aumentata la percentuale di famiglie che abita in affitto ed è diminuita quella di coloro che
occupano alloggi in comune.
Le conoscenze della lingua tedesca sono inadeguate, specialmente da parte delle donne. I giovani
mostrano tuttavia una maggiore padronanza linguistica.
Anche la pianificazione familiare e le previsioni rispetto al futuro sono rimaste disattese o si sono
rilevate irreali.
Solo il 5, 2 % degli intervistati italiani affermava di voler rimanere per sempre in Germania.
2.2.2 Scuola
La scuola viene spinta in una situazione paradossale: da un canto deve assolvere al compito di
importante istanza di socializzazione ed inserire gradatamente bambini stranieri nella società
tedesca; dall’altro dovrebbe cercare di non estraniare culturalmente gli alunni dal proprio paese di
provenienza per agevolare un possibile ritorno in patria.
Tali messaggi, che assumono le caratteristiche del doppio legame spingono i bambini in una
situazione in cui, qualsiasi comportamento assumano, non possono che sbagliare.
Il numero degli alunni italiani diviene più basso a mano a mano che si passa dalle scuole più
qualificate alle scuole meno ambite.
Nel 1993 un quarto dei giovani tedeschi, solo il 6,2 % degli stranieri, frequentava un liceo (nel 1990
il 3,8 %).
Per quanto riguarda la frequenza di Sonderschulen, scuole differenziali per bambini portatori di
handicap o con gravi difficoltà di apprendimento, mentre la percentuale dei bambini tedeschi è del
3,4 %, quello degli stranieri è del 5,9 %.
Ancora oggi la scuola tedesca risulta essere esclusivamente orientata ad elaborare programmi e
contenuti basati sulla propria cultura e sulla propria storia, mentre cultura e storia delle minoranze
straniere non vengono adeguatamente considerate.
Concetti della pedagogia e dell’apprendimento interculturale nella pratica scolastica restano
ancora poco conosciuti e raramente applicati. I bambini di nazionalità italiana vengono costretti a
frequentare dei corsi di lingua e cultura italiana, spesso al pomeriggio, in aggiunta alle lezioni
regolare.
Si ripercuote negativamente sui risultati scolastici complessivi.
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I sintomi più frequenti (apatia, paura, rassegnazione) (depressioni ipocondriache da sradicamento:
disturbi dell’umore, tristezza, depressività).
Molto spesso vennero riscontrate malattie gastrointestinali, sindromi nevrotico-conversive e
paranoiche (talvolta erroneamente diagnosticate come psicosi).
Cominciarono a soffrire d’asma, cardiopatie gravi, già all’età di 30-40 anni; i dolori alla colonna
vertebrale.
Il tasso di morbilità dei bambini e dei giovani stranieri è complessivamente e significativamente più
elevato rispetto a quello dei bambini tedeschi.
Già a partire dalla gravidanza e dal parto si riscontrano i primi problemi.
Bambini e giovani stranieri si ammalano spesso di malattie infettive dell’apparato respiratorio, di
disturbi gastrointestinali, infezioni urogenitali, altre infezioni.
Nel caso di adulti italiani sembrano essere frequenti disturbi depressivi o depressioni manifeste,
sintomi paranoici, impotenza sessuale, o dolori alla testa e allo stomaco, che vengono
diagnosticati e trattati con difficoltà.
Il numero dei casi di malattie croniche e gli handicap gravi presso i bambini stranieri sembra
essere doppiamente elevato ed in costante crescita rispetto ai coetanei tedeschi.
Anche l’assistenza psicopedagogica dei bambini e dei giovani stranieri sembra essere quanto
meno inadeguata. Far i motivi, vanno ricordate le insufficienti conoscenze da parte delle famiglie
straniere concernenti i servizi e le strutture psicopedagogiche e psichiatriche tedesche.
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2.4 Criminalità e criminalizzazione
Gli stranieri detengono un tasso di criminalità maggiore rispetto alla popolazione autoctona. Il
tasso di criminalità del gruppo degli stranieri è significativamente più elevato rispetto al gruppo di
controllo tedesco.
Da alcuni anni è stato possibile rivedere i suddetti risultati grazie soprattutto alla ricerca di Mansel,
condotta tenendo conto sia di alcuni errori di tipo metodologico, sia di alcune dimenticanze insite
nelle precedenti ricerche:
Non è stato considerato un esecutore per ogni delitto, ma gli esecutori di più delitti sono
stati contati solo una volta
Non è stato preso in considerazione in maniera indifferenziata un gruppo di stranieri, che
nelle altre ricerche includeva anche gli illegali, i turisti e i militari stazionanti in Germania.
Il gruppo di confronto tedesco non è stato ricavato da tutta la popolazione residente, bensì
solo da quella appartenente allo stesso ceto sociale
Si è cercato di non includere nell’indagine i delitti specifici dello status di straniero, non
riscontrabili presso il gruppo di confronto tedesco
Il gruppo tedesco detiene un tasso di imputazione molto più elevato rispetto al gruppo di
stranieri
Non esistono delle differenze significative né rispetto al tipo di reato commesso, né rispetto alla
frequenza.
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Persino dopo il rientro in Italia, nella maggior parte dei casi, presso i cosiddetti ‘’ orfani bianchi’’
vengono rilevati soprattutto problemi e conflitti: difficoltà linguistiche, di apprendimento, scarso
successo scolastico, un numero superiore di disturbi aggressivi e di malattie psicosomatiche.
Come mai solo pochi soggetti riescono a trarne profitto, mentre tanti altri addirittura si ammalano?
È possibile realizzare concretamente i presupposti della pedagogia interculturale, o essi
rappresentano solo un’utopia?
Proprio nel settore pedagogico, alla luce dell’irreversibile processo di trasformazione, che vede le
nostre società diventare sempre più multietniche e multiculturali, tali interrogativi diventano sempre
più urgenti.
3. Emozione e disagio
Freud muoveva dal presupposto che i disturbi comportamentali ed emozionali fossero la
manifestazione di conflitti intrapsichici irrisolti, scaturiti durante gli stadi evolutivi antecedenti.
Erikson ha approfondito ed ulteriormente sviluppato tali riflessioni.
Egli fornisce indicazioni molto interessanti rispetto ai fattori connessi all’insorgere di disturbi
psichici, svelando determinati fattori a rischio, differenziabili secondo l’età.
Già in età neonatale, il bambino può sviluppare un sentimento di sfiducia di base, nel caso in cui la
madre o la persona di riferimento principale non gli dedichi sufficienti attenzioni oppure si comporti
in modo inaffidabile.
Tale sentimento di sfiducia può innescare delle depressioni infantili.
Durante il successivo sviluppo verso l’autonomia se l’ambiente non riesce a trasmettergli la
certezza di essere amato e apprezzato, anche se si comporta in maniera aggressiva e se cerca di
ottenere l’indipendenza mediante la ribellione, egli rivolge l’aggressività verso se stesso, provando
sentimenti di vergogna e di insicurezza.
Verso la fine del terzo anno d’età, quando il bambino rafforza il desiderio di libertà avverte il
bisogno di iniziativa, nel caso in cui tali impulsi vengano repressi, potrebbero sorgere in lui dei
sensi di colpa, che nei casi più gravi sfocerebbero in reazioni isteriche o in disturbi psicosomatici.
Nella pubertà e nell’adolescenza, Erikson colloca il grande desiderio di individualizzazione, di
assunzione di una identità personale. Nel caso in cui i giovani non riescono ad acquisire una
specifica identità etnica o sessuale, possono subentrare dei comportamenti devianti, nonché
svariati disturbi di tipo psicosomatico.
La psicologia comportamentista considera i sintomi e i disturbi psichici come comportamenti
inadeguati appresi durante lo sviluppo, che si consoliderebbero nel caso in cui l’individuo ne
percepisse una certa utilità.
Fra le teorie l’interazionismo simbolico, secondo cui il disturbo psichico è considerato come un
fenomeno prettamente sociale, il comportamento deviante come strategia inconscia o conscia
mirante alla soluzione di problemi di identità.
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Rogers intravede nel concetto rigido di sé, un’ulteriore causa scatenante dei conflitti psichici. In
base a ciò il disturbo psichico insorgerebbe quando il giovane cerca di essere ciò che gli altri si
aspettano che egli sia, invece di essere ciò che realmente è.
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3.3 Correlazioni tra migrazione e disagio o malattia
Odegaard ha pubblicato uno degli studi più dettagliati sugli emigrati norvegesi che sono stati
ricoverati per schizofrenia, confrontandoli con un campione di norvegesi non-emigrati.
Come risultato Odegaard ha sviluppato la teoria della social selection, secondo la quale
emigrerebbero solamente le persone socialmente labili.
Dunham e Da Faris hanno contraddetto la tesi, dimostrando come siano principalmente le
numerose fatiche legate all’emigrazione e le negative condizioni di vita nel paese di accoglimento
a causare crisi e disturbi psichici.
La teoria della selezione positiva, secondo la quale emigrerebbero solo i soggetti più stabili e sani.
La teoria della interazione nel paese di accoglimento, secondo la quale i disturbi psichici
scaturirebbero dall’interazione tra gli emigranti e la società di accoglimento, in seguito alle
differenze culturali, e ai problemi sociali e materiali incontrati.
Tyhurst ha riscontrato dei periodi caratteristici in cui la reazione psichica è legata al cambiamento
del luogo di residenza.
Inizialmente prevarrebbe il benessere. Dopo circa sei mesi si sarebbe più coscienti dei problemi
quotidiani, il paese di emigrazione verrebbe idealizzato e comparirebbero alcuni sintomi psichici.
Bush ha realizzato a Colonia una ricerca su due gruppi, costituiti complessivamente da cinquanta
donne provenienti dal Sud Italia, di cui circa la metà soffriva di disturbi psichici.
Come risultato dello studio è emerso che la perdita dei rapporti con i parenti e la mancanza di
persone fidate sono correlati.
Porter attribuisce alla coesione della famiglia italiana un ruolo centrale per la stabilità psichica dei
singoli membri.
Ulteriori fattori a rischio: negativa situazione professionale e le difficoltà di ritrovare dei centri per la
custodia dei bambini, l’insufficiente conoscenza della lingua tedesca, il forte desiderio di ritorno in
seguito alla nostalgia.
Ulteriori ricerche hanno rilevato delle correlazioni significative tra i disturbi psichici e il basso ceto
sociale di appartenenza, nel senso di un aumento della percentuale di ricoveri psichiatrici nelle
classi sociali più basse.
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Molti immigrati provenienti da zone rurali, influenzati dalla loro cultura di origine e dalla
medicina tradizionale, attribuiscono ai concetti di disagio e di malattia psichica un peculiare
significato semantico, che può divergere nettamente da quello vigente nelle società
industrializzate.
Molti hanno remore a dare informazioni su argomenti strettamente personali
Bassa scolarizzazione e della loro scarsa padronanza linguistica, non è in grado di
concentrarsi per lungo tempo per rispondere.
4.1 Finalità
Tali risultati si pongono in netto contrasto con le ipotesi formulate soprattutto in ambito pedagogico,
secondo le quali lo sviluppo all’interno di più culture, attraverso l’apprendimento di nuove lingue,
nuovi valori, nuove modalità comportamentali, nuove possibilità di coping, può rappresentare un
rilevante arricchimento.
La presente indagine si prefigge lo scopo per prospettare in tempo le strategie d’intervento più
incisive.
Si cercherà di studiare la realtà soggettiva di alcuni giovani di origine italiana con esperienza
migratoria.
Prestando attenzione ai problemi e alle risorse reali, ai singoli fattori positivi o negativi, nonché alle
strategie comportamentali adottate per la risoluzione dei conflitti, si cercherà di rispondere
all’interrogativo come mai tanti giovani di origine italiana, sia in Germania sia dopo il rientro in
Italia, non solo sembrano trarre profitto dalla vita in contesto multiculturale, ma anche traggano da
tale situazione molto spesso disagi, se non addirittura disturbi o malattie.
L’obiettivo sarà di rilevare i fattori negativi e i meccanismi psicologici che influenzano
negativamente il processo di acquisizione dell’identità e che potrebbero essere correlati con tali
disturbi.
Per fare questo si userà la dinamica del conflitto che verrà seguita dal momento dell’insorgere,
durante tutta l’evoluzione.
A loro volta i disturbi verranno considerati come tentativi di reazione.
Verranno analizzati anche casi di giovani con esperienza migratoria che sono riusciti ad acquisire
un’identità personale chiare ed unica, una certa stabilità psichica e una posizione sociale alquanto
riconosciuta, con lo scopo di individuare al meglio i fattori positivi che riescono a promuovere la
stabilità di questi giovani.
Si cercherà di rilevare i fattori positivi e negativi, i meccanismi della nostra società e le strategie
comportamentali soggettive che concorrono a promuovere o inibire lo sviluppo positivo e
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l’applicazione della potenzialità dei giovani. Il fine sarà quello di far conoscere quali sono i fattori,
gli interventi e le strategie di coping o di defunding di una stabile identità culturale.
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Combinazione di metodi qualitativi per appurare la realtà in cui vive un determinato soggetto.
Come base di partenza vengono collocati uno o più interrogativi posti dal ricercatore.
Secondo Witzel ci sono i seguenti vantaggi:
Opportunità di risalire ai veri problemi degli intervistati attraverso domande elastiche, di
stimolare la riflessione e l’esplorazione dell’intervista, di costruire in maniera attiva il
rapporto con l’intervistatore
Opportunità di rendere flessibile la metodologia usata ed orientarla effettivamente
all’oggetto della ricerca
Plasticità della ricerca e opportunità di effettuare un’analisi flessibile dei settori della ricerca
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4.4 Scelta del campione e conduzione delle interviste
23 giovani che presentavano le caratteristiche più differenziate possibili, in rapporto al sesso, allo
stato sociale, scolarizzazione, durata del soggiorno all’estero, situazione psicosociale, ritorno ed
emigrazione pendolare.
Fra tutte le biografie raccolte sono state successivamente considerate le storie di vita dei soggetti
in cui dati forniti corrispondevano alla realtà.
Va individuata nell’aver incluso non solo soggetti per cui l’emigrazione e la vita in contesto
multiculturale hanno avuto ripercussioni negative, ma anche giovani che da questa esperienza
sembravano aver tratto soprattutto dei vantaggi.
Sono state analizzate in maniera approfondita le storie di vita di 12 soggetti, divisi in due
sottogruppi: sei giovani che durante e alla fine della ricerca si trovavano ancora in una crisi non
risolta, ed altri sei che mostravano di averla superata.
Le interviste sono state realizzate con l’aiuto di una griglia interpretativa.
La maggiorparte è stata effettuata in un posto neutro e nel rispetto della segretezza delle
informazioni raccolte.
La durata delle singole interviste variava dai 45 ai 120 minuti, ed il numero degli incontri da 6 a 61.
Sono state effettuate delle osservazioni partecipanti a scuola, a casa e durante il tempo libero.
Durante tali osservazioni difficilmente è stato possibile mantenere il ruolo dell’osservatore neutro
poiché, specialmente nelle famiglie, veniva richiesta, ed è stato opportuno realizzare colloqui con
le persone di riferimento più importanti.
La maggioranza dei casi sono stati indagati in maniera longitudinale (fino a 7 anni), in modo da
poter seguire direttamente i soggetti della fase dell’insorgere delle crisi fino a quella dell’eventuale
superamento.
In quattro casi è stata effettuata anche un’analisi approfondita, con l’aiuto di test psicopedagogici.
I colloqui sono stati raccolti mediante l’uso del registratore.
Gli altri elementi non verbali, sono stati documentati in maniera scritta mediante protocolli.
La validità e l’affidabilità dei risultati risultano ulteriormente garantite grazie ai seguenti
provvedimenti: incomprensioni, imprecisioni e dati contradditori sono stati chiariti e risolti tramite il
confronto fra le singole fonti e soprattutto mediante il contributo dei soggetti intervistati.
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altri autori in questo settore, sia da una precedente ricerca empirica sui problemi dell’acquisizione
dell’identità di giovani italiani in Germania.
La versione definitiva della griglia è stata stilata in seguito ad un’indagine esplorativa.
La griglia comprendeva i settori: anamnesi e biografia, situazione familiare e scolastica, tempo
libero, conflitti e sintomi, peculiarità migratorie.
2. Esperienze di separazione
Separazione precoce ed improvvisa. Non hanno potuto maturare il sentimento della protezione di
base e dell’affidabilità della persona di riferimento in maniera adeguata, col risultato di uno
sviluppo insufficiente della fiducia di base.
Nelle storie di vita analizzate è stato possibile constatare che pure le esperienze di separazione
effettuate dopo i primi tre anni di vita possono innescare dei processi negativi.
Specialmente i soggetti che non sono stati sufficientemente preparati alla separazione, oppure
coloro che dopo la separazione non hanno avuto contatti regolari con i genitori, hanno sofferto
maggiormente e hanno reagito più frequentemente con sintomi e disturbi.
Non è indispensabile che la persona principale di riferimento sia la madre. Peraltro i rapporti
emotivamente significativi con altre persone ed altri fattori o eventi sono di fondamentale
importanza e possono rafforzare le esperienze positive o addirittura svolgere delle funzioni
compensatrici.
3. Pendolarismo
La mancanza o irreale pianificazione del futuro da parte delle famiglie italiane comporta un
continuo spostamento tra la Germania e l’italia, a volte soltanto in seguito a crisi momentanee o ad
aspettative elevate in uno dei due paesi.
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Le conseguenze di tale pendolarismo sono che ne i genitori ne i loro figli riescono a porsi in
rapporto costruttivo con la situazione reale in cui vivono.
Invece di affrontare i problemi fuggono spesso in un mondo fantastico.
È stato possibile appurare che i genitori italiani utilizzano la separazione territoriale come strategie
di soluzione dei problemi.
Per i bambini che mostravano problemi di apprendimento o di comportamento nelle scuole
tedesche, venivano iscritti in scuole italiane, la separazione dai genitori e la mancanza di sostegno
contribuivano spesso ad aggravare ulteriormente i problemi. Molti genitori si accorgevano del
fallimento, cercavano di reinserire il loro figlio in una scuola tedesca.
Non restava altra scelta che la scuola differenziale.
Probabilmente, il pendolarismo e la mancata pianificazione del futuro potrebbero essere
considerati fra i fattori più significativi che spiegano il triste primato degli alunni italiani nelle
Sonderschulen, non solo in riferimento ai coetanei tedeschi, ma anche rispetto a tutti gli altri gruppi
di stranieri.
4. Comportamenti ambivalenti
Molti di loro vengono sottoposti a differenti forme educative tra la scuola e la famiglia. I genitori
cercano frequentemente di educare i loro figli alla coesione familiare, all’ubbidienza, al rispetto per
gli educatori adulti, dall’altro gli insegnanti tedeschi si aspettano da loro iniziativa personale,
autonomia, indipendenza ed emancipazione dalla famiglia.
Molto spesso sono proprio i soggetti che a scuola non mostrano la loro alterità e che non
presentano degli stigma esteriori accentuati coloro che vivono nella maniera più marcata i conflitti
culturali e manifestano più acuti i problemi d’identità. Tali giovano che a scuola e durante il tempo
libero vengono considerati come tedeschi, da loro non ci si aspetta diversità, vengono costretti a
rimuovere le componenti culturali assimilate in famiglia o all’interno della subcultura e ad assumere
strategie comportamentali di coping tipiche della società tedesca.
Vivono dei rapporti conflittuali tanto con gli insegnanti e con i loro amici tedeschi, quanto con i
familiari: a scuola, a causa della rimozione o negazione di una parte della loro personalità ed in
famiglia per le differenze, manifeste, di pensiero e di comportamento.
Anche i genitori mostrano sentimenti e comportamenti ambivalenti: famiglia nucleare anziché
famiglia estesa, famiglia di contatti, aumento di divorzi.
Il loro ruolo sociale viene anche reso ulteriormente insicuro dal modo paradossale in cui vengono
trattati, socialmente e legislativamente, in Germania: contemporaneamente da Gaste (ospiti) e da
Arbeiter (lavoratori).
Le conseguenze sono: aumento della diffidenza nei confronti della società tedesca, paura,
depressività, aggressività e dogmatismo.
5. Marginalità sociale e ulteriori carichi materiali.
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Tramite la presente ricerca è emerso in maniera inequivocabile che la scarsa opportunità di
raggiungere traguardi economici di successo, l’alto indebitamento, l’elevata mobilità sociale
discendente, la marginalità, causano delle intense esperienze di frustrazione
6.Stigmatizzazione e discriminazione
La maggior parte delle difficoltà rispetto alla stigmatizzazione nella letteratura viene attribuita a
componenti di popoli che mostrano marcate differenze religiose o fisiche.
Molti sono stati oggetto di discriminazione a causa soprattutto di differenze di tipo linguistico,
comportamentale o di pensiero.
7. Isolamento e solitudine
Tante volte più che di solitudine realmente vissuta, si trattava del sentimento di ‘’sentirsi soli’’.
Un’ulteriore forma di isolamento è stata caratterizzata dal vissuto dell’alterità, dell’essere diversi
dagli altri e dal dover assumere costantemente un ruolo sociale diverso.
8. Problemi linguistici
Sono da considerare soprattutto come derivanti da stimoli sociali inadeguati o insufficienti.
Dall’inadeguata competenza linguistica sono scaturiti dei fattori negativi che hanno contribuito ad
un rinforzo dell’isolamento e del sentimento della diversità.
9. Severità e rigidità educativa
Molti genitori dei soggetti intervistati, tendono ad educare i loro figli in maniera molto più rigida sia
rispetto alle regole del paese di accoglimento sia a quello di provenienza ed in seguito ad un
sentimento, di tipo riparatorio nei confronti di tale paese.
I genitori spesso non si accorgono che le norme e le modalità comportamentali che cercano di
trasmettere ai loro figli ha perso importanza e validità anche nel paese di origine.
10. Orientamento biculturale
Le conseguenze sono state: crisi d’identità e difficoltà di orientamento, che molto spesso si sono
manifestate in devianze comportamentali e disturbi, anche gravi, di tipo psichico e psicosomatico,
oppure in tentativi di suicidio.
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preparazione alla separazione, accettazione e rispetto nel paese di accoglimento, importante
funzione ponte degli amici e sostegno tramite gruppi.
1. Caratteristiche disposizionali e costituzionali: alcuni fattori genetici (personalità aperta e
allegra, elevata intelligenza)
2. Rapporto positivo con almeno una persona di riferimento principale durante i primi anni di
vita. I soggetti che hanno trascorso i primi anni di vita insieme alla madre sembrano trarre
da tale legame un grande profitto per il loro ulteriore sviluppo.
3. Apertura dei genitori nei confronti dell’ambiente sociale tedesco
4. Comprensione e fiducia da parte dei genitori: casi in cui i genitori hanno mostrato fiducia
nei confronti dei figli e hanno concesso loro una certa autonomia, hanno sviluppato
maggiore autostima e migliori capacità di risolvere i conflitti.
5. Preparazione al distacco
6. Esperienza positiva di accettazione e di rispetto nel paese di accoglimento specialmente
durante i primi contatti: nei casi in cui l’impatto con l’ambiente tedesco, è stato
caratterizzato prevalentemente da esperienze positive, i soggetti intervistati hanno potuto a
loro volta assumere un atteggiamento di apertura e di interesse rispetto al nuovo e
all’alterità.
7. Comprensione da parte degli insegnanti e degli educatori: nei casi in cui gli insegnanti
hanno reagito con rispetto, oppure ancora meglio, con curiosità nei confronti delle
differenze culturali degli alunni di origine italiana, non cercando ne di negarle, ne di
esasperarle, hanno permesso a tali soggetti di sviluppare maggiore sicurezza di sé,
apertura e fiducia.
8. Nessuna forzatura verso l’assimilazione a scuola e durante il tempo libero: nei casi in cui gli
insegnanti e gli educatori non hanno cercato di far pervenire ai giovani intervistati
accettazione, riconoscimento e stima solo a costo della negazione di alcune componenti
della propria identità, per questi ultimi è stato facile superare le difficoltà e le tensioni
esistenti.
9. Importante ruolo degli amici come funzione ponte tra le due culture: questa funzione,
estremamente protettiva, ha agevolato o addirittura permesso a molti soggetti l’assunzione
di contatti non conflittuali sia con la nuova cultura, sia con le norme ed i valori vigenti nel
loro paese di origine dopo il rientro in Italia. In alcuni casi, proprio l’arrivo in Germania,
proprio gli amici italiani o altri amici stranieri, hanno assunto il ruolo di mediatori culturali,
fungendo da competenti intermediari tra le due culture. I giovani intervistati hanno potuto
fruire della loro esperienza ed assumere strategie di soluzione dei problemi già collaudate.
10. Importante appoggio tramite gruppi di doposcuola, consulenza o terapia: in alcuni casi il
sostegno e gli interventi sul piano cognitivo o emozionale si sono rivelati particolarmente
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efficaci tanto per l’inserimento scolastico e sociale, quanto per la prevenzione o il
superamento dei conflitti o dei disturbi presenti.
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Si cercherà di analizzare le biografie utilizzando due dei modelli teorici precedentemente
presentati, ossia la teoria epigenetica di Erikson e l’approccio centrato sulla persona di
Rogers.
Ciò servirà sia per comprendere sia per comprendere alcuni conflitti ed alcune scelte dei giovani
intervistati, sia per verificare la validità di tali teorie in contesto multiculturale.
Lo scopo ultimo consisterà nel cercare di cogliere eventuali nessi o correlazioni tra l’emigrazione o
la vita in contesto multiculturale o l’insorgere del disagio o del disturbo in fase adolescenziale.
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Anche l’apertura verso la società esterna è avvenuta con difficoltà: problemi linguistici, isolamento,
stigmatizzazione come stranieri, differenti modalità comportamentali, hanno ostacolato il loro
desiderio di iniziativa e di sviluppo, per cui alcuni giovani sembrano mostrare un atteggiamento
univoco verso la subcultura italiana.
In tali soggetti, il sentimento di odio, che secondo Erikson è orientato verso uno dei genitori e ne
aiuta la separazione, viene indirizzato verso se stessi o verso l’ambiente esterno (considera i
comportamenti isterici come possibile reazione successiva alla rimozione del bisogno di iniziativa).
Durante il quarto stadio, industriosità verso senso di inferiorità, età scolare.
Quando il bambino si orienta verso l’apprendimento accade spesso quello che Erikson ha
formualto nel seguente modo: ‘’La vita familiare forse non lo ha preparato alla vita scolastica, o la
scuola non traduce in realtà le promesse di fasi precedenti della vita, perché nulla di ciò che il
bambino aveva appreso fino ad ora sembra contare per i compagni e gli insegnanti.’’
Tali esperienze sono state effettuate soprattutto da coloro per i quali l’ingresso a scuola
rappresentava la prima vera occasione di contatto con la cultura tedesca, ma anche in altri casi,
quando nel settore scolastico non riuscivano a trovare partner con i quali condividere idee e valori,
invece di identificarsi e confrontarsi con i coetanei, hanno continuato a farlo con uno dei genitori.
In base alla teoria di Erikson potrebbero scaturire molti dei disturbi psichici e psicosomatici (disturbi
nell’apprendimento, nella concentrazione, enuresi, mutismo elettivo).
Nel quinto stadio, identità verso dispersione, la fase dell’adolescenza, il giovane cerca attività e
idee in cui poter credere, che non gli provocano sentimenti di vergogna.
Se è riuscito a superare le crisi degli stadi precedenti, assumerà una stabile identità dell’io, che lo
proteggerà da conflitti e diffusioni di ruolo.
Molti dei giovani intervistati, hanno sperimentato che i criteri secondo cui ricevere riconoscimento e
stima differivano fra casa e scuola.
Le biografie analizzate hanno confermato presso i giovani la crudele tendenza riscontrata da
Erikson ad escludere tutti coloro che sono diversi per colore della pelle e condizione culturale,
gusti e doti, e spesso anche per quei particolari del vestire e dell’atteggiarsi che sono stati
temporaneamente assunti come elementi distintivi di chi fa parte di un gruppo rispetto a chi ne è
escluso.
Soprattutto a causa della mancata o insufficiente integrazione delle aspettative e delle esperienze
effettuate, sono subentrate delle confusioni di ruolo, crisi d’identità e sentimenti di dubbio, che
secondo Erikson potrebbero causare ‘’atteggiamenti criminali, borderline e psicotici’’.
Il concetto di ‘’dispersione dell’identità’’ spiegherebbe anche l’insorgere delle depressioni, dei
disturbi psicotici, del comportamento aggressivo e apatico.
Dallo studio di alcuni casi si evince che non sono solo gli atteggiamenti discriminatori da parte
degli insegnanti ad alimentare i conflitti culturali e a causare l’insorgere di disagi o disturbi
comportamentali, ma anche il loro atteggiamento apparentemente amorevole. I soggetti che hanno
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ceduto all’alta pressione assimilatoria di tali insegnanti, per non deludere le loro aspettative, hanno
interiorizzato forme di pensiero e modalità comportamentali valevoli nell’ambiente tedesco, ma in
contrasto con la cultura italiana. Sono scaturiti conflitti.
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I giovani con esperienze migratorie, nel momento in cui avvertono chiaramente i desideri di
realizzazione e di individualizzazione soggettiva, accanto a quelli di riconoscimento sociale,
di accettazione e di protezione, sembrerebbero risolvere i conflitti culturali fra famiglia e
scuola, rimuovendo una parte del bisogno di sé, decidendosi per una delle due istanze.
I disagi, o disturbi osservabili, scaturirebbero dall’incongruenza, ossia dalla non
corrispondenza fra il concetto di sé e le esperienze che il soggetto realmente effettua,
portando alla luce i desideri insoddisfatti.
Il contributo di Rogers non permette però di conoscere in modo approfondito i rapporti tra i
singoli fattori e l’insorgere del disagio o del disturbo.
In conformità al suo marcato orientamento verso la filosofia esistenzialista che considera
l’uomo come unico ed irripetibile, anche i successori di Rogers, almeno fino ad oggi, non
sono riusciti a fornire elementi sufficienti per una comprensione approfondita delle cause
scatenanti il disagio ed il disturbo psichico.
In base ai risultati della presente ricerca, è possibile affermare che i tre fattori individuati da
Rogers come necessari per l’efficacia di ogni forma di consulenza e di trattamento
psicoterapeutico, l’accettazione incondizionata positiva, l’empatia e la conseguenza,
andrebbero considerati come prerogative indispensabili per il sano sviluppo della
personalità. Andrebbero pertanto collocati alla base di ogni rapporto interpersonale,
specialmente di quelli di tipo educativo.
Prima dimensione: accettazione incondizionata. Con ciò si intende l’esperienza
positiva di accettazione, di attenzione emotiva, di affetto, verso l’essere protetto.
Si è potuto assodare come tali aspetti, importanti per tutte le fasi evolutive, formano
le prerogative di base per il sano sviluppo di ogni soggetto. La mancanza o
sufficiente accettazione da parte degli educatori principali possono causare lo
sviluppo di personalità nevrotiche, con gravi disturbi psichici e sociali. (vedi esempi
legati alle storie pagina 170).
Seconda dimensione: empatia. Si riferisce alla capacità di comprensione profonda
della persona con la quale si sta interagendo, al tentativo di immedesimarsi, di
mettersi nei pani degli altri, di calare nell’altro.
Dalle storie di vita analizzate, non è difficile accorgersi come tale mancanza o
anche solo la realizzazione parziale della comprensione empatica, specialmente in
età neonatale, può causare gravi patologie psichiche o psicosomatiche.
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In Maria il blocco di empatia è stato probabilmente causato dai messaggi dei
genitori: ‘’ Noi riusciamo a capirti meglio di te stessa.’’ Come conseguenza, non è
riuscita a sviluppare fiducia nei propri sentimenti e nelle emozioni che percepiva.
La mancanza di limiti si è manifestata anche nei furti, nel consumo di eroina, nella
prostituzione, in comportamenti devianti, che a loro volta, testimoniavano una
personalità di tipo asociale.
Terza dimensione: la congruenza. Una persona completamente sana sarebbe
quella che si trova in perfetta armonia o corrispondenza tra il proprio sé e le
esperienze quotidiane, in congruenza appunto, ossia integra, completa e autentica.
Dalle storie analizzate si può più volte comprendere che gli atteggiamenti contrari,
incongruenza, ambivalenza e discontinuità, possono ingenerare grave disagio
evolutivo con negative conseguenze psichiche e comportamentali.
Uno sviluppo patologico è riscontrabile nei giovani le cui persone di riferimento
mostravano strategie comportamentali non univoche.
Nel settore migratorio è stato possibile riscontrare abbastanza spesso dei deficit
proprio nel settore della congruenza.
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Bisogno di rapporti sociali e di appartenenza. Accanto a quelli fisiologici, l’uomo
necessita anche di soddisfare alcuni bisogni di natura sociale.
Bisogno di attaccamento. Costruire un legame profondo.
Bisogno di separazione. Non va considerata solo come perdita, ma anche come
vero bisogno fondamentale dell’individuo. Ogni crescita comporta una separazione.
Bisogno di attenzione emozionale positiva. Assieme all’empatia e alla congruenza,
l’attenzione rappresenta una condizione indispensabile per il sano sviluppo della
personalità. Comprende l’esperienza fondante di ogni soggetto di essere preso in
considerazione in maniera positiva, di ricevere attenzione. Ha bisogno poi di
accettazione, di essere accettato a prescindere dai criteri di valutazione.
Bisogno di comprensione profonda, rimanda alla necessità di comprendere e
conoscere più aspetti possibili del mondo fisico e psichico legato alla propria
personalità. Nel corso del proprio sviluppo, il soggetto dovrebbe acquisire la
capacità di riconoscere la massima parte dei propri impulsi e le proprie emozioni.
Il bisogno di congruenza. Armonia tra proprio sé e mondo esterno, ossia alla
possibilità di essere autentici e raggiungibili come persona. Nel contesto
multiculturale significa non sentirsi costretti a rimuovere parti di sé.
Bisogno di fiducia. Ogni essere umano dovrebbe riuscire a sviluppare fiducia in se
stesso, nelle proprie potenzialità e nel mondo esterno. Senza fiducia in se stessi
non è possibile un’articolazione sana ed armonica della personalità, il
raggiungimento dell’autonomia e l’inserimento da protagonisti nella società in cui si
vive. Il pieno sviluppo delle proprie responsabilità richiede un certo rischio.
Il bisogno di partecipazione attiva si riferisce alla possibilità di influenzare
attivamente il mondo esterno, di avere l’opportunità di vivere da protagonisti e non
da succubi.
In secondo luogo, comprende l’importanza di percepirsi come simile agli altri
componenti del gruppo e di poter rivestire un ruolo attivo, partecipando attivamente
alla vita sociale. È legata al bisogno di struttura, di giustizia, e di legalità. Ogni
soggetto necessita di limiti chiari, ed affidabili verso cui potersi orientare.
Bisogno di continuità, rimanda alla necessità umana di essere a contatto con criteri
di valutazione, il più possibile chiara, univoca e duratura nel tempo, in modo da
poter interiorizzare dei parametri di riferimento stabili.
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Attingendo a recenti elaborazioni di psicopatologia (Swildens, Graessner, Pfeiffer), rapportandoli
con la suddetta teoria dei bisogni, si possono individuare quattro modalità di reazione:
1. L’individuo si orienta principalmente verso l’esterno. In tale gruppo potrebbero rientrare i
soggetti con le seguenti caratteristiche:
Personalità isterico-teatrali: si svilupperebbero in seguito a carenze nella
soddisfazione del bisogno primario di accettazione, di attenzione, di empatia e
congruenza. Mostrano una tale esigenza di autorappresentazione, di attenzione e di
conferma.
Personalità anancastiche: si sviluppano in seguito a mancanza di comprensione e di
accettazione. Il soggetto sviluppa determinati rituali, lievi forme di nevrosi ossessive:
pulire, ordinare, controllare, che limitano sostanzialmente la propria vita. In questo
modo possono tentare di legarsi ad un’altra persona per riceverne l’attenzione
forzata.
2. Il soggetto si orienta verso l’interno.
Personalità fobiche: soprattutto in caso di soddisfacimento parziale del bisogno di
protezione e in caso di confronto con una madre iperprotettiva, il soggetto
svilupperebbe delle paure estreme e irreali. Cerca compagnia e dipendenza.
Personalità depressive: si svilupperebbero come conseguenza inadeguata del
bisogno di accettazione incondizionata positiva. In questo caso tutti gli impulsi
spontanei ed aggressivi, vengono repressi e subentrano comportamenti
autoagressivi. Cercano di ottenere l’attenzione tramite la trasmissione dei sensi di
colpa
3. Il soggetto cerca di sfuggire dalla realtà. Apparentemente non sa o non vuole accettare
alcuna norma. Le forme più evidenti si riscontrano presso le personalità devianti: nel
tentativo di soddisfare i bisogni di autonomia, non riescono riconoscere limiti a cui
orientarsi. Cercano di ottenere stima, protezione, comprensione, accettazione.
4. Il soggetto si comporta in maniera mutevole. Poiché non si sente in grado di prendere una
decisione, assume modalità comportamentali che variano in base a criteri individuali o
sociali.
Un esempio sono le personalità ambivalenti: in seguito alla loro difficoltà a decidersi, si
comportano in modo estremamente instabile e inaffidabile.
Nelle biografie sono presenti in forme miste, non così rigide. Nel corso del tempo possono
svilupparsi nel seguente modo:
1. Strategie possono essere utilizzate per molto tempo e in maniera illimitata
2. Nel caso in cui siano affiancati da comportamenti adeguati e correttivi, possono affievolirsi
oppure scomparire completamente.
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3. Nel caso in cui non riescano più a raggiungere l’obiettivo prefissato, l’equilibrio viene messo
in discussione, si possono verificare disturbi psichici.
Anche gli eventuali disturbi cognitivi, emotivi e comportamentali seguirebbero un simile sviluppo:
nel caso in cui permettano al soggetto di raggiungere l’obiettivo prefissato, potrebbero stabilizzarsi
e consolidarsi come status quo, nel caso di aiuto esterno potrebbero perdere d’intensità o
scomparire.
Dai risultati della ricerca è stato innanzitutto possibile confermare l’ipotesi che l’emigrazione,
inizialmente, causi un impedimento nella soddisfazione dei bisogni. Le probabilità di successo
delle strategie di soluzione dei problemi si riducono fortemente a causa delle differenze culturali, e
persino in caso di disagio o di disturbi psichici, dell’ambiente esterno che difficilmente riesce a
reagire in maniera adeguata.
Fra i fattori che hanno influenzato negativamente lo sviluppo dei soggetti intervistati, che sembrano
aver contribuito maggiormente allo sviluppo di disturbi nel settore cognitivo, emotivo o
comportamentale, troviamo soprattutto: il cambiamento della struttura familiare ed il cambiamento
dei ruoli al suo interno, le precarie e sfavorevoli condizioni abitative…
Durante le successive fasi evolutive, le loro difficoltà a livello affettivo si sono manifestate in
svariati modi. Molti hanno riscontrato notevoli difficoltà a rispettare i limiti esterni posti dagli
educatori.
Rinforzati nell’idea di valere poco, hanno cercato di attirare l’attenzione dei compagni, dei genitori,
degli insegnanti. Per soddisfare il loro bisogno di amore hanno intrapreso quindi dei percorsi
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devianti: hanno assunto atteggiamenti esibizionistici, hanno rubato per poi regalare il tutto a
qualche amico o conoscente.
Altri, hanno avuto difficoltà nell’assunzione del contatto e nel rapporto con coetanei e adulti.
Alcuni soggetti hanno cercato e adottato strategie comportamentali valevoli in entrambi i contesti
culturali, che permettevano di risolvere eventuali conflitti e di soddisfare molti dei loro bisogni.
Tra i fattori positivi sono stati individuati la possibilità di assumere durante i primi anni di vita
rapporti stabili, l’apertura dei genitori nei confronti del nuovo contesto, l’atteggiamento di
comprensione e la stima nei confronti dei figli.
Educatori e insegnanti inoltre possono sostenere al meglio lo sviluppo dei soggetti con esperienza
multiculturale, quando riescono a lasciarli liberi di assumere gli standard della personalità che
ritengono più opportuni.
Dalla ricerca si evince con chiarezza, che purtroppo, ancora oggi, non solo la famiglia, ma anche la
scuola, si presentano impreparate ad affrontare la sfida posta dalle situazioni multiculturali.
Particolarmente negativo, se non addirittura dannoso per un sano sviluppo dei bambini, si è
indubbiamente rivelato il comportamento di insegnanti che nei loro confronti hanno adottato
atteggiamenti di tipo discriminatorio o ostile.
D’altra parte anche l’atteggiamento di iperidentificazione cosidetto ‘’Wohlwollend’’ (voler far bene)
ovvero ‘’ Xenophil’’, assunto da alcuni insegnanti tedeschi ha avuto dei risvolti negativi.
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La METACULTURA disegna una cultura situata al di la della cultura, che rimanderebbe ad una
sorta di supra-cultura. La PLURICULTURA corrisponde ad una sovrapposizione di culture.
Rimanda al concetto di irripetibilità e non componibilità di ciascuna cultura, nonché al diritto di una
propria autonomia.
L’intervento educativo si configurerebbe come sensibilizzazione alle molteplici culture presenti.
Tale approccio è stato anche definito dal MULTICULTURALISMO. Si parte dalla situazione di fatto,
la presenza di due o più culture, studiando comunanze e differenze.
Al contrario la TRANSCULTURA da il senso di qualcosa che attraversa. La transcultura
presuppone una demarcazione che trascende la particolarità e la specificità delle culture. Si
riferisce alle strategie educative che mirano agli elementi universali, comuni a tutti gli uomini. Tale
visione di carattere strutturalista, oltre a non riuscire a tenere conto dei movimenti e dei processi di
cambiamento, rischia di sorvolare sulle sfumature presenti nella vita culturale concreta e di
alimentare una pedagogia aculturale.
Sebbene dall’inizio degli anni 80 il concetto di pedagogia interculturale si sia ampiamente diffuso in
tanti paesi europei, influenzando non solo la produzione di lavori scientifici, ma anche la
legislazione scolastica, ancora oggi sembrano sussistere, oltre che incertezze, anche imprecisioni
ed errori sia di tipo terminologico, sia operativo.
Solo recentemente alcuni autori, come ad esempio, Gundara, ribadiscono con fermezza la
necessità di progetti metdologici-didattici di tipo non più multi o pluri, ma interculturali.
Nel settore della ricerca scientifica, per molti anni, si è pensato che l’emigrazione, il cambiamento
di tipo culturale fossero accompagnati da problemi e conflitti riguardo allo sviluppo sociale o
all’acquisizione di un’identità stabile.
Secondo tale impostazione, prima avveniva il passaggio da una cultura all’altra e meno problemi
avrebbe riscontrato il bambino ad inserirsi nel nuovo contesto sociale e le possibilità di ascesa
economica venivano considerati come inversamente proporzionali alla durata del soggiorno
all’estero.
A tale proposito è stato coniato il termine PEDAGOGIA PER STRANIERI, in Germania, partendo
dal presupposto che fossero un gruppo problematico, che necessitava di una pedagogia speciale.
Questo filone di ricerche considerava i concetti di cultura e di identità in maniera statica e lasciava
facilmente dedurre che l’assimilazione nella cultura di accoglimento fosse il modo ideale di
convivenza multietnica.
Solamente dagli anni 70, si assiste ad un cambiamento in Europa.
Ma come definire la pedagogia interculturale? In cosa si differenzia dagli altri concetti?
Mentre la multi e pluricultura richiamano fenomeni di tipo descrittivo, riferendosi alla convivenza più
o meno pacifica, gli uni accanto agli altri, di persone provenienti da culture diverse, il prefisso iter
presuppone la messa in relazione, l’interazione, lo scambio di due o più elementi.
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Può essere intesa nel senso di possibilità di dialogo, di confronto paritetico, senza la costruzione
per i soggetti coinvolti di dover rinunciare a parti significative della propria identità.
Porcher ne sottolinea l’aspetto dinamico, asserendo che l’educazione interculturale rappresenta un
principio di azione risultante dalla situazione di fatto, la multiculturalità delle nostre società, che va
messa in movimento per farla sfociare in interculturalità.
Per Secco si configura come dialogo non giudicante e paritetico. Il concetto di intercultura è
astratto e fonte di equivoci. Non esiste, esistono i rapporti tra le persone appartenenti a diverse
culture, ed è su questi che occorre fermare l’attenzione.
Deve basarsi sul confronto del pensiero, nonché sul confronto di concetti e di preconcetti, ed egli
suggerisce di non effettuare particolari distinzioni fra la pedagogia interculturale e la pedagogia
tout court: la pedagogia non prevede alcuna differenza tra autoctoni e stranieri, è rivolta a tutti gli
uomini.
Si basa sull’uomo definito attraverso il suo pensiero, che è universale e nega ogni barriera. In tal
senso, la presenza di soggetti con caratteristiche socioculturali non va considerata come minaccia,
bensì come fonte di arricchimento.
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accoglienza, del poco tempo libero a loro disposizione e della presunta temporaneità del soggiorno
all’estero, molto spesso detiene carenti, se non addirittura errate, informazioni sia per questo
riguardanti questioni di ordine pratico, sia, in riferimento a conoscenze di tipo psicopedagogico.
Tanti problemi del settore educativo potrebbero essere affrontati e spesso anche risolti, mediante
delle appropriate consulenze, in cui ai genitori vengono spiegati, in modo a loro comprensibile.
OPPORTUNITA’: di intervento prettamente pedagogico, troviamo i problemi scolastici e di
discriminazione, dentro e fuori la scuola. Alle scuole è accreditato il compito della valorizzazione
della cultura altra: è compito principale degli insegnanti stimolare l’interesse e la creatività per il
nuovo ed il diverso. Occorre ripensare alla pedagogia in termini di accoglienza, intesa come valore
culturale e imperativo educativo, non fondato sulla motivazione dell’utile proprio, ma
sull’educazione, specialmente dei più giovani, riconoscendo alle singole culture ed ai singoli
individui, pari diritti di integrazione, non solo semplice senso di solidarietà o del deleterio e vacuo
slogan.
Le potenzialità dell’educando vanno valorizzate a prescindere dalla cultura di appartenenza. Egli è
al centro dell’attenzione pedagogica, si serve della cultura, occorre un dialogo non giudicante.
In base alla ricerca, molti dei problemi derivano dal sentimento di diversità, e diventa dall’altro lato
indispensabile non costringere l’educando di provenienza straniera a negare o rimuovere parti di
sé.
Più che conoscenze etno-antropologiche diventa necessaria l’educazione al cambiamento, nel
modo descritto da Ravaglioli, di imparare a penetrare nel mutamento, occorre sviluppare modlaità
di interazione col diverso.
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sviluppo di una modalità e di strategie idonee tanto al rilevamento quanto all’appagamento dei
bisogni.
Dai singoli bisogni individuati è possibile ricavare una serie di compiti educativi, che potremmo
sintetizzare nel modo seguente:
Per quanto attiene i bisogni di benessere organico definiti da Laborit come istintivi, facenti
parte della memoria più remota di tipo immunitario del sistema limbico non si dovrebbero
porre grossi problemi di ordine educativo, in quanto il loro riconoscimento ed il loro
appagamento non richiederebbero eccessivi sforzi.
Tuttavia, l’educatore dovrebbe appurare se l’educando riesca a soddisfare con successo
tali bisogni fisiologici.
Riguardo ai bisogni di rapporti sociali e di appartenenza, è molto importante tenere conto
che ogni bambino necessita di contatti con coetanei e adulti.
Maritain afferma che l’educazione sociale non è il fine principale dell’educazione, ma il
secondo dei suoi scopi essenziali. Proprio i bambini cosiddetti difficili, in classe,
necessitano dell’aiuto degli adulti e dei coetanei, in quanto ancora non hanno appreso delle
modalità comportamentali adeguate per inserirsi nel gruppo.
Il bisogno di attaccamento, Non si riferisce solo al rapporto madre-bambino, anche in
ambito extrafamiliare, specialmente in contesto migratorio, assume una rilevanza
particolare.
L’educatore cercherà di instaurare un rapporto positivo col bambino straniero, si offrirà
come modello educativo, cercando soprattutto di evitare coalizioni contro la famiglia o il
gruppo culturale di riferimento. Ideale sarebbe se da tale rapporto potesse svilupparsi un
rapporto con la possibilità di influenza di tipo interattivo in cui il bambino non sarebbe ne
sottomesso o succube, ne lasciato solo a se stesso.
Affinchè l’appagamento del bisogno di separazione, ovvero la separazione di tipo
emozionale, avvenga in maniera propositiva, occorre innanzitutto che sia vissuta dai
soggetti interessati come opportunità di crescita e non come perdita.
In contesto educativo o scolastico è importante che l’insegnante non viva i tentativi di
separazione da parte dell’educando come disconferma per la propria persona o per la
propria modalità d’intervento. Nel caso di soggetti con esperienza migratoria avranno
bisogno di tempo per compensare eventuali vissuti di abbandono o di perdita.
È auspicabile preparare gli alunni stranieri ad eventuali separazioni, stimolandoli
all’autonomia e a mantenere dei contatti.
Per quanto attiene al bisogno di accettazione emozionale positiva particolarmente
importante è che la persona di riferimento principale abbia la capacità di soddisfare tale
bisogno del bambino, anche nei casi in cui non condivida alcune delle sue manifestazioni
comportamentali.
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Anche nel rapporto extrafamiliare è indispensabile riuscire ad accettare l’educando a
prescindere dalle sue modalità comportamentali, dalle idee o da aspetti esteriori.
Alcuni educatori molto spesso sembrano confondere il concetto di accettazione con quello
dell’essere d’accordo: l’accettazione si riferisce solo alla persona; ciò non significa
automatica condivisione del suo pensiero o del suo comportamento. È l’essere umano che
va accettato e rispettato nella sua dignità.
Per quanto concerne la comprensione profonda, occorre ricordare che l’essere umano, pur
venendo al mondo con la predisposizione della socialità, necessita della interazione con i
propri simili per diventare anche essere sociale.
Affinchè il soggetto riesca a riconoscere i propri sentimenti e le proprie idee e a calarsi in
quelle degli altri, è necessario che la persona di riferimento sappia cogliere i segnali.
Nel settore della pedagogia interculturale, l’indirizzo da seguire è quello di insegnare a
pensare in modo originale, creativo, libero e autonomo, a comprende se stessi e l’altro in
maniera profonda, empatica, a riflettere prima di parlare, ad ascoltare, ad esprimersi.
Il bisogno di congruenza. Per aiutare l’educando a sviluppare atteggiamenti di congruenza
interna ed esterna, non è necessario soddisfare tutti i desideri o i capricci. Al contrario il
soddisfacimento dei bisogni emersi grazie ad un rapporto caratterizzato da accettazione,
empatia e congruenza dovrebbe avvenire solo tenendo conto anche dei bisogni degli
individui che vivono nell’ambiente circostante.
L’appagamento del bisogno di congruenza comporta, peraltro, il superamento da parte
dell’educando della paura di dover rinunciare al ruolo di reale o presunta superiorità.
L’educatore congruente non si serve della manipolazione delle altre persone per i propri
interessi, ciò significa concretamente interrompere anche la catena di violenza e aggressività,
basata sul famoso principio del capo espiatorio.
L’attenzione al principio di congruenza da parte dei soggetti coinvolti permetterà di instaurare
dei rapporti interpersonali basati veramente sul confronto, ovviando al suddetto rischio della
dicotomia tra xenofoabia e xenofilia.
Il bisogno di fiducia, da parte della persona di riferimento può essere soddisfatto soprattutto
permettendo al soggetto di sentirsi degno di fiducia.
La persona di riferimento dovrà permettere al bambino non solo di adoperare le proprie
facoltà, in caso di errori o insuccessi, va stimolato alla riflessione, va incoraggiato e non
modificato. Dovrà riuscire a educere anche le facoltà nascoste.
In particolare i cittadini di origine straniera, in base alle loro esperienze effettuate prima o
dopo l’emigrazione, hanno appreso a diffidare delle istituzioni o delle autorità, e
necessitano pertanto di costruire dei modelli interattivi differenti, ovvero rapporti paritetici e
dialogici.
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Il bisogno di partecipazione attiva. L’educatore si configura principalmente nel garantire che
l’educando possa sentirsi costantemente protagonista, che non venga escluso o
discriminato in alcuna forma, tanto meno in base al colore della pelle ecc…
Si tratta di ricordare che le diversità rappresentano una forza, un’occasione.
Il bisogno di continuità, che si riferisce alla necessità dell’educando di essere a contatto con
criteri di valutazione il più possibile chiari e univoci.
Non è necessario e nemmeno positivo, che cresca nell’ambito di influenze socioculturali
univoche, ma occorre che venga costretto a subire o ancor peggio, a condividere criteri di
valutazione ambivalenti e contradditori.
In contesto multiculturale non si tratta solo di documentarsi mediante libri sul significato di
certi comportamenti. Sarà proprio applicando pienamente e correttamente i principi del
dialogo e del confronto che potrà avvenire una crescita.
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Risulta fondamentale l’intervento di sensibilizzazione da parte di insegnanti ecc..
Livello di prevenzione terziaria, da effettuare quando la malattia è già in corso e dovrebbe
tentare di ridurre i disturbi già presenti. Stimolare le famiglie di nazionalità straniera ad
usufruire delle possibilità di assistenza e di cura.
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Per quanto concerne la possibilità concreta di intervento psicoterapeutico vero e proprio, tramite
l’approccio centrato sulla persona, grazie alle tre variabili di base della congruenza,
dell’accettazione incondizionata e della empatia, e alla possibilità da parte del cliente di ampliare la
propria immagine di sé, nel senso di un’integrazione di esperienze rimosse, deformate o non prese
in considerazione.
Ancor più importante del metodo seguito, ritengo la consapevolezza che la consulenza e la
psicoterapia in contesto multiculturale non solo sono possibili, ma anche utili e urgenti.
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3. Educazione al pluralismo: interculturalità e pluralismo sono estremamente connessi.
Educare al pluralismo include anche il rispetto e la solidarietà. Significa inoltre educare alla
complessità, nel senso di gusto di ricerca e dell’avventura intellettuale, guardandosi da un
eccesso di semplificazione e di schematizzazione, che può arrivare ad acritiche adesioni
ideologiche, ma anche la pretesa di fondare il proprio insegnamento solo sul buon senso e
sulla propria limitata cultura o esperienza di vita, senza impegno di ricerca e confronto
culturale.
4. Educazione alla legalità. Educazione interculturale non è possibile senza regole chiare e
condivise. Occorre conoscere le regole del gioco, i fini educativi che si vogliono perseguire.
Richiama all’importanza delle regole, ma anche dei valori. Il dialogo interculturale non va
costruito solo fra soggetti, ma anche fra cittadini e stato.
Serve non solo a prevenire il disagio e la criminalità, ma anche ad aumentare il rispetto e la
pace fra gli esseri umani.
5. Educazione alla pace, ma anche al conflitto. Sono due concetti che si completano, si
richiamano e si integrano a vicenda. Don Milani asseriva che per educare alla criticità è
necessario educare al conflitto.
Per Buttarini l’educazione alla pace e al dialogo rimanda ad una modalità di relazione attiva
e sanamente conflittuale.
Di per se il significato etimologico di aggressione si rifa all’etimo latino aggredi (mi muovo
verso). I settori principali in cui poter esercitare l’aggressività benigna sarebbero non solo le
relazioni verso gli altri e nel gruppo, ma anche verso se stessi e verso l’assetto socio-
politico.
6. Educazione all’amore. Soltanto l’amore ha il potere di unire senza prevaricare l’altro della
sua dignità, del suo io. Soltanto l’amore non esercita un geloso possesso sugli uomini e
sulle nazioni. Soltanto l’amore può fornire le inesauribili energie necessarie a sconfiggere la
fame e la disperazione.
La valenza terapeutica ed educativa dell’amore è quella della sua capacità di far fronte e
risolvere nel modo più radicale uno dei più grossi problemi della nostra esistenza: la
solitudine.
Nel libro l’arte di amare, Fromm distingue solo poche forme di amore vero: l’amore fraterno
(include il senso di responsabilità, le premure, il rispetto, la comprensione), l’amore
materno, l’amore erotico (desiderio d’unione con un'altra persona ed è esclusivo), l’amore
per se stessi (non è una forma egoistica d’amore, amare se stessi porta ad amare il
prossimo allo stesso modo), l’amore per Dio, corrisponde ad una forma più matura di
amore che nasce dalla necessità di superare la separazione per raggiungere l’unione.
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VEDI RIFLESSIONI CONCLUSIVE PAGINA 222-225
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