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Vocalizzazione della voce assente: strategie di empowerment del soggetto

marginale a partire dalla filosofia della voce femminile di Adriana Cavarero

Mario Rossi
Università di Vienna

Riassunto
Il saggio di Adriana Cavarero A più voci. Filosofia dell'espressione vocale termina con un
importante capitolo dedicato alla critica della direzione di lettura verso cui si muove la speculazione
di Derrida a proposito del rapporto tra voce, presenza e scrittura: la filosofa italiana mette in rilievo
la forte relazione tra voce e corpo nell'esperienza femminile e del femminile. A partire da una
ricostruzione della posizione della filosofa della differenza sessuale si cercherà di costruire una
proposta per un'emancipazione del soggetto migrante femminile.
Parole chiave: filosofia dell'espressione vocale, soggetto femminile, emancipazione, migranti.
Abstract
The essay by Adriana Cavarero For More than One Voice. Toward a Philosophy of Vocal
Expression ends with an important chapter that criticizes Derrida’s speculations about the
relationship between voice, presence and writing. The Italian philosopher emphasizes the strong
relationship between voice and body in women and female experience. Starting from a
reconstruction of the Italian philosopher’s ideas regarding sexual differences, we will try to define a
proposal for the emancipation of female migrant subjects.
Keywords: philosophy of vocal expression, female subject, empowerment, migrants.

1. Introduzione
Nel presente saggio affronterò il problema dell'attribuzione al migrante e in particolar modo
alla migrante del diritto di una parola profilata e incarnata. Il migrante è sempre più presente nei
paesi economicamente più forti e socialmente più stabili, ma viene percepito e valutato in modo
diametralmente opposto secondo che si presenti come produttore di cultura o potenziale
consumatore di cultura. Infatti la letteratura della migrazione e la letteratura postcoloniale, sia sul
piano metodologico generale sia in particolare per quanto riguarda la produzione letteraria di
scrittori e scrittrici, anche nell'italianistica hanno ricevuto attenzione critica grazie al lavoro di un
gran numero di studiose e studiosi: tra le ricercatrici e i ricercatori di nazionalità italiana basti fare i
nomi di Daniele Comberiati, Lidia Curti, Armando Gnisci, Cristina Lombardi-Diop, Maria Cristina
Mauceri, Nora Moll, Graziella Parati, Fulvio Pezzarossa, Gabriele Proglio e Franca Sinopoli. Sul
piano editoriale i concorsi di scritture migranti organizzati da Eks&Tra e Linguamadre,
rispettivamente dal 1995 e dal 2006, si preoccupano o di spingere soggetti migranti a esprimersi in
lingua italiana o di accogliere la scrittura dei medesimi. Case editrici minori come Besa, Cosmo
Iannone, Fara, Mangrovie, Rayuela e Sinnos hanno dato voce a migranti 1 affiancandosi a iniziative
numericamente meno appariscenti, ma ugualmente rilevanti, di Einaudi, Frassinelli, Donzelli e
Meltemi. Anche periodici, tra i quali menzioniamo El ghibli, Kumá e Altremodernità, si occupano
del tema delle letteratura migrante con un ampio panorama di formati. Esiste inoltre dal 1997 un

1
Qui e in seguito l'omissione dell'articolo determinativo plurale davanti a „migranti“ segnala l'inclusione di soggetti
femminili e maschili.
repertorio bibliografico in rete che allo stato attuale porta il nome di Banca dati degli Scrittori
Immigrati (sic!) in Lingua Italiana e della Letteratura Italiana della Migrazione Mondiale e che
raccoglie in modo sistematico notizie su autori e autrici migranti e su ciò che si pubblica su di essi.
Dipartimenti di comparatistica e di italianistica di importanti atenei, italiani e non, si sono mobilitati
per organizzare convegni, mentre docenti sensibili accolgono la guida di tesi che si occupino di
autori e autrici con un passato radicato in culture diverse rispetto a quella italiana.
Se attenzione è dedicata all'interpretazione di testi letterari di scrittrici e scrittori che abbiano
un percorso di vita e culturale movimentato dalla provenienza da culture diverse rispetto a quella di
temporanea sosta e da una produzione artistica che testimonia in diversi gradi il loro transito da una
cultura a un'altra, scarso è l'interesse nei confronti dei soggetti migranti e in particolar modo
femminili: ciò non può non stupire perché questi potrebbero costituire uno dei versanti di potenziali
destinatari delle opere di creazione di migranti che con maggior fortuna giungono alla scrittura. A
quanto mi consta, manca una riflessione su ciò che significhi dar voce al soggetto migrante
femminile a prescindere dall'appartenenza alla fortunata schiera delle scrittrici. A partire dalla
filosofia della voce plurale sviluppata da Adriana Cavarero, cercherò di enucleare cosa possa o
debba significare dar voce incarnata e, a partire dai tratti individuati, presenterò cosa si dovrebbe e
potrebbe proporre sul piano sociale e pedagogico per garantire l'empowerment del soggetto
femminile migrante. Della filosofa veronese prenderò in considerazione il capitolo che chiude A più
voci, che presenta un'articolata critica alla concezione di Derrida della voce come consustanziale a
una metafisica della presenza; pur non rinunciando a una contestualizzazione del testo della
filosofa, esprimo il desiderio che si intendano le riflessioni che seguono più come uno stimolo alla
lettura della recente produzione di Cavarero e di filosofe e filosofi con cui lei dialoga che come
introduzione al suo pensiero: sotto questo profilo, i rimandi bibliografici vorrebbero stimolare la
lettura attraverso percorsi non sempre scontati2.
2. Una voce incarnata e dotata di identità propria: Adriana Cavarero e Jacques Derrida
a proposito di phoné semantiké, traccia e voce incarnata
Con osservazione ampiamente condivisibile, Cavarero riconosce la matrice del pensiero del
giovane Derrida nella fusione di due assi: la critica heideggeriana della metafisica della presenza e
l'interesse per la contrapposizione tra parola e scrittura tematizzata dagli studi sull'oralità. A
proposito di quest'ultimo filone Cavarero sostiene che in realtà Derrida non si rivolge alla voce “per
salvaguardare la specificità delle culture orali in quanto distinte da quelle alfabetizzate”(233) 3 . La
voce dovrebbe esser collocare sul versante della metafisica della presenza mentre la scrittura su
2
Il capitolo finale del saggio di Cavarero chiude un percorso attraverso analisi che mettono in dialogo voci da testi
creativi con voci da testi di carattere saggistico: ricordo le voci di Calvino e del suo Un re in ascolto, di Omero,
Kafka e Adorno e Horkheimer, che si fanno sentire tramite l'Odissea, le sirene e la Dialektik der Aufklärung, Hannah
Arendt e Primo Levi, Ovidio e il mito di Eco.
3
Poiché cito quasi esclusivamente da Cavarero 2003, indico tra parentesi solo il numero di pagina.
quello della traccia, da intendere come instabile momento della significazione che vede il
significante slittare continuamente sul significato, differire rispetto ad esso nel processo che viene
definito dal neologismo omofono di différance: la différence, la differenza, è un differimento.
Cavarero si propone di “capire quale sia questa voce che l'orecchio metafisico, secondo la tesi di
Derrida, privilegia; ossia di accertare se sia veramente sonora questa voce cui la filosofia
presterebbe ascolto affidandole la categoria di presenza, piuttosto che contare sul celebrato potere
dell'occhio” (235). Secondo Cavarero l'interesse del mondo anglo-americano nei confronti di
Derrida - dato il tema del mio intervento, direi della sua voce filosofica - prenderebbe avvio con la
pubblicazione di Firma evento e contesto in lingua inglese4, cui seguirebbe la nota polemica con
Searle e segnerebbe un'accensione del dibattito sulla teoria degli atti linguistici da parte di Derrida.
Questa osservazione posta in nota da Cavarero ci sarà utile in seguito: per il momento seguiamo la
filosofa sottolineando come la riflessione di Derrida nella sua prima fase appaia tanto condizionata
dalla matrice solipsistica della fenomenologia husserliana, da ridurre il dialogo a una forma di
riproduzione nell'interlocutore dell'atto con cui il soggetto si sente parlare in una circolarità fra
occhio e orecchio che annullerebbe la concretezza della voce in una linea monologica tanto estranea
al dialogismo di Bachtin quanto in linea con il “circuito di autoaffezione noetica dell'insonoro
cogito cartesiano” che “sarebbe più che sufficiente per investigare gli effetti di presenza del sistema
metafisico “moderno” incentrato sulla coscienza” (241). Cavarero si chiede quale sia il motivo per
cui Derrida metta in campo la voce, visto che sarebbe sufficiente la tradizione di pensiero che fa
capo a Cartesio per esercitare un'articolata critica della metafisica della presenza: la risposta
andrebbe ricercata nel fatto che per Derrida la voce sarebbe il tempo nella sua declinazione secondo
la forma del presente, mentre la scrittura sarebbe una forma di spaziatura che attraverso le tracce
destabilizzerebbe il sistema di significazione della phoné centrata sulla presenza. In realtà, secondo
Cavarero, il percorso non è poi così lineare, visto che anche all'interno della metafisica cartesiana la
semantica della visione e la metaforica della luce acquisterebbero un significato rilevante (243).
Queste incoerenze potrebbero esser superate se si volesse vedere una confluenza tra l'antica
metafisica videocentrica e la moderna metafisica fonocentrica basata sulla presenza a sé della
coscienza. Tuttavia Cavarero intende battere la via di un ripensamento della voce tanto contro il
regno del videocentrico quanto contro l'insonoro del pensiero (245). La voce della tradizione
metafisica occidentale sarebbe una voce metaforica, voce della coscienza e quindi non espressione
sonora, cosicché cadrebbe nel regno della différance che, secondo lo sviluppo da parte di Cavarero
della posizione di Derrida, mostrerebbe tutto il suo potere eversivo proprio in quanto metafora. La
metafisica occidentale inaugurata da Platone, degradando la scrittura a qualcosa di inerte,
“mortifica” (248) la scrittura stessa e così raggiungerebbe lo scopo di ignorare la inquietante

4
Derrida Jacques, Signature Event Context, in Limited Inc. Evanston: Northwestern Univ. Press, 1988, 1-24.
mobilità del significante. Questo risultato, pur apprezzato da Cavarero, sul piano argomentativo
verrebbe raggiunto da Derrida sacrificando la differenza tra significante acustico e significante
intelligibile, che risulterebbe invece fondamentale nella posizione platonica per come appare
sedimentata nella VII lettera e nel Fedro. In un passo da quest'ultimo dialogo platonico analizzato
da Derrida si parla del logos vivente rispetto al quale quello scritto è un simulacro (Platone, Fedro,
276 a); Cavarero giustamente corregge sottolineando come il logos di cui parla Socrate non sia una
phoné disincarnata ma il dialogo concreto tra persone (251). Tanto concreto, aggiungo io, che
contempla la scelta dell'interlocutore e la scelta della facoltà di parlare o tacere. Inoltre, riprendendo
il filo del discorso di Cavarero, si deve tener presente che il logos che viene scritto nell'anima non è
la voce ma la lingua delle idee che, eventualmente, possono esser viste ma non rese con la phoné: la
diretta visione è affidata nel sistema platonico alla metafisica maggiore dell'intuizione, mentre la
loro illuminazione verbale è affidata alla metafisica minore dell'arte dialettica, che è un'arte dello
sfregamento delle parole (Platone, Lettera VII, 341 d e 344 b-c). In fin dei conti Derrida, da un lato,
non si renderebbe conto che la voce del logos platonico guarda alle idee e, dall'altro, che il logos
vivente della dialettica non è autoaffezione ma dialogo tra voci concrete e quindi tendenzialmente
polifonia. “Si aprirebbe così per la voce – se questo è appunto il tema – un orizzonte di relazione
piuttosto che di autoaffezione, di polifonia piuttosto che di monologia. Si aprirebbe però anche un
varco dove la voce si fa sentire come vibrazione di una gola di carne che annuncia l'unicità di chi la
emette invocandone un'altra nella risonanza” (255).
3. Il nome proprio e l'incarnazione della voce
Cavarero nel prosieguo abbandona il Derrida più noto per passare a un breve saggio scritto da
quest'ultimo circa vent'anni dopo i testi che hanno acceso il dibattito attorno alla sua figura e che la
filosofa italiana ha fino a questo punto discusso criticamente. Si tratta dell'introduzione a una
pubblicazione dedicata alla messa in scena di Romeo e Giulietta di Shakespeare ristampato in
Psyché. L'occasione editoriale dello scritto di Derrida, anche se non sottolineata da Cavarero, non è
di poco momento proprio per l'assunto di fondo della filosofa: si tratta infatti della prefazione a una
stampa del lavoro teatrale del drammaturgo inglese legata a un suo allestimento, e quindi è uno
scritto che introduce alla trascrizione di un tessuto di dialoghi presenti nella forma letteraria della
rappresentazione teatrale. Ci si potrebbe aspettare una sorta di ponte gettato tra la scrittura e la voce.
Ebbene, Derrida a distanza di vent'anni non cambia registro e così, stando a quanto sostiene
Cavarero, metterebbe a nudo la propria incapacità di cogliere la manifestazione della voce nella sua
potente singolarità. La scena commentata da Darrida e controcommentata da Cavarero è quella in
cui Giulietta nel secondo atto, di notte, affacciata al balcone della sua casa si rivolge a Romeo in un
soliloquio senza sapere che l'amato è nascosto nel giardino e che ascolta le sue parole. Stando a
Cavarero, Derrida, concentrandosi sulla dissociazione tra il nome, da un lato, e il soggetto che lo
porta, dall'altro, non coglierebbe nel testo il riferimento a una voce che veicola significati a
prescindere dalla presenza alla vista. Non solo: il contenuto della sua orazione riguarda
l'inconfondibile singolarità del soggetto umano che si troverebbe schiacciato dal potere dei nomi di
famiglia che, nel caso specifico della sua vita, inimicano lei a Romeo attraverso la rivalità tra
Capuleti e Montecchi. Il medesimo torno di parole in cui Giulietta esprime la sua disperazione per
questa struttura coercitiva, contiene una singolare osservazione sul nome di un oggetto: si tratta
della rosa, della quale si dice che avrebbe lo stesso odore anche se avesse un altro nome. Tutto il
passo è una strenua difesa dell'insopprimibile unicità del soggetto incarnato nella sua vulnerabilità,
che lungo lo sviluppo del dramma è rappresentata dalla messa in scena di un desiderio che ogni
amante vorrebbe veder realizzato: non assistere alla morte dell'altro. Notoriamente nel dramma i
due per una frazione di tempo assistono alla morte dell'amato reciprocamente. Derrida interpreta il
dramma come una rappresentazione della questione del nome che si unirebbe e allo stesso tempo si
staccherebbe dal soggetto che lo porta in quanto lo identifica ma allo stesso tempo gli sopravvive;
ignorando il contesto puramente sonoro della situazione comunicativa della scena su cui si
concentra, non comprenderebbe il forte valore di incarnazione della voce e non comprenderebbe
che “il vero lato tragico di Romeo e Giulietta sta dunque nell'impotenza della comunità degli amanti
rispetto alla comunità politica del nome. La socialità storicamente determinata del nome vince, nella
tragedia, sull'unicità socialmente imprescindibile della voce” (261).
Per parte mia registro che Cavarero manca di sottolineare con la forza che ci si aspetterebbe
come la conclusione cui giunge Derrida risulti tanto più sorprendente se si considera che la
parentesi tra i primi scritti su fonocentrismo e logocentrismo e il saggio sul Romeo e Giulietta è
costituita da un ventennio in cui l'autore si è tra l'altro confrontato con la filosofia del linguaggio
quotidiano e la questione della performatività linguistica, che egli lega alla sostanza della firma e al
suo rapporto con il contesto. Sarebbe quindi risultato necessario sottolineare che il saggio di Derrida
su Romeo e Giulietta risulta sorprendente anche per la scarsa tematizzazione del soggetto
contestualmente determinato che risponde al nome proprio, anche se si deve ammettere che il
soggetto animato umano è pur implicitamente presente nell'analisi del desiderio che Derrida evoca
nel saggio.
Su questo complesso di temi si potrebbero seguire gli sviluppi della riflessione di Cavarero
sedimentata in Inclinazioni. Critica della rettitudine e metterla in tensione con tre linee di pensiero:
anzitutto con le osservazioni di Judith Butler contenute nel capitolo introduttivo di Excitable Speech
dal significativo titolo On linguistic vulnerability, che mette in tensione i concetti di appello e
performatività elaborati da Althusser e Austin; in secondo luogo con un percorso di lettura che a
partire dalla critica di Derrida a Platone passi per il Barthes di L'écoute e il Foucault della
parrhesia5 e infine con le riserve elaborate da Cavell in A Pitch of Philosophy. Autobiographical
Exercises alle critiche di Derrida nei confronti di Austin. Invitando il lettore e la lettrice a seguire il
percorso disegnato dai testi menzionati secondo la propria sensibilità e sperando di potermici
dedicare con l'attenzione che merita, di questo potenziale campo di discussione nelle pagine
seguenti cerco di metter in relazione solo concetti che mi paiono utili per un'attribuzione della voce
alla migrante: contesto, atto linguistico illocutorio e perlocutorio, atto linguistico felice 6, appello,
risposta, vulnerabilità, forza enunciativa.
4. Dare voce alla migrante: appello per una pendolarità pensosa
Cogliendo l'appello di Cavarero per una filosofia dell'espressione vocale della singolarità
esposta alla vulnerabilità, cerchiamo di capire cosa possa significare concedere alla migrante una
voce che le consenta, pur nella sua fragilità e vulnerabilità, di presentarsi in maniera incarnata nel
contesto acquisito dello Stato di accoglienza, cioè nell'ambiente sociale in cui non è nata, che
potenzialmente le è estraneo per lingua, costumi e retaggio storico e che potenzialmente le rivolge
imperativi di particolare forza enunciativa. Come già osservato, a migranti si accorda volentieri,
anzitutto, diritto di parola e, in seconda battuta, attenzione, nel caso in cui scrivano e quindi si
presentino sulla scena pubblica e, nel caso in cui presentino testi che siano esteticamente elaborati,
si concede loro anche l'attenzione di una critica letteraria che ne valorizza la produzione.
A ciò non sembra corrispondere un'attenzione nei confronti di soggetti migranti che faccia
tesoro degli strumenti messi a punto particolarmente da studi postcoloniali, cultural studies e
subaltern studies. In generale per migranti si prevedono misure di accoglienza che portino alla
pronta integrazione nel paese di arrivo, poco importa se questo è la loro meta finale: la misura
principale a loro favore è spesso l'allestimento di corsi di lingua ed eventualmente di informazione
sui valori di base della cultura occidentale che accelerino l'integrazione nella cultura – verrebbe da
dire assimilazione alla cultura - del paese di accoglienza, cosicché concetti come in-between,
mimicry, hyphenation, schismogenesi e altri, con frutto applicati a scrittori migranti, sembrano
perdere la loro rilevanza se si tratta di valorizzarli nella relazione con soggetti migranti tout-court.
L'appello rivolto alla scrittrice e allo scrittore migrante attraverso l'etichetta di letteratura della
migrazione porta al riconoscimento di un soggetto che si riconosce grazie a un atto illocutorio
(l'indizione di un concorso) che ha effetti perlocutori (la partecipazione al concorso e gli atti
linguistici che ciò comporta). Il soggetto migrante tout-court invece si trova in una situazione di
indecisione: non è né uno straniero con particolare fisionomia né un appartenente allo Stato di
accoglienza, cosicché l'atto linguistico col quale lo si invita a partecipare a corsi di lingua e corsi di

5
Mersch 2006 sviluppa il menzionato tessuto di relazioni in relazione alla sua filosofia dell'evento.
6
La questione della felicità degli atti linguistici è determinante nella riflessione di Austin. Per la posizione di Austin
rimando alle lezioni tre, quattro e cinque di How to do Things with Words, Oxford, Oxford Univ. Press, 1962, 25-52.
Rolf : 2009 offre una panoramica dettaglia del dibattito attorno agli atti linguistici.
apprendimento dei valori del paese di accoglienza risulta essere infelice7.
Migranti si trovano in una condizione di particolare vulnerabilità perché dell'ambiente dal
quale provengono hanno perso l'accesso ai beni culturali in senso ampio: i beni della cultura
materiale, ma anche forme e contenuti di comunicazione che, nel contesto di provenienza,
definiscono, con tacita ma chiara forza enunciativa, la collocazione del soggetto in una rete di
relazioni significative. Sarebbe interessante pensare a forme nuove di accesso a oggetti culturali che
garantiscano anche nei soggetti migranti passivi più fragili un'apertura al dialogo tra mondi diversi
dei quali curare la permanenza nel medesimo soggetto secondo la proposta del pensiero pendolare
avanzata da Francesca Rigotti e basata, tra l'altro, sull'opera di Vilém Flusser: il soggetto che vive
tra due contesti culturali - ma, in fin dei conti, ogni soggetto - albergherebbe più dimensioni
culturali e quindi compierebbe un movimento oscillatorio tra due o più poli 8. In questa prospettiva
gli appelli degli apparati di stato e della società si fanno plurimi, non solo perché molteplici sono le
istanze che li enunciano, ma anche perché diverse sono le sfere di valori che possono rispondere a
quegli appelli. Il soggetto che nasce e cresce in uno stesso contesto risulta attrezzato per rispondere
agli appelli di assunzione di norme di comportamento che gli giungono dagli apparati dello Stato
attraverso atti illocutori. Il soggetto migrante invece si troverebbe in una posizione di vulnerabilità
in quanto continuamente esposto ad atti illocutori che ne determinano l'esistenza senza previa
definizione del contesto. Di seguito cerco di dare ragione di un progetto volto a sostenere il soggetto
migrante nel difficile compito di riconoscere il contesto in cui si formano gli appelli che lo
costituiscono e di reagirvi nell'ambito di strutture educative in senso lato, tra scuola, università, e
interventi legati all'attività di mediatori culturali. Anticipo che il progetto non può non esser
sostenuto dalla volontà politica di accogliere il migrante: in esso quindi dimensione filologico-
teorica e dimensione etico-politica sono distinguibili ma intrecciate.
Anzitutto definisco il quadro in cui si colloca l'intervento di un'agenzia educativa come la
scuola. In termini generali si può dire che nella tradizione occidentale moderna di ispirazione
illuminista e liberale, organi centrali dello Stato definiscono i programmi per la formazione di un
cittadino e di una cittadina che sia in grado di collocarsi in maniera cosciente nella società in cui
vive a partire dalla propria personalità e con rispetto delle strutture sociali esistenti comprese nella
loro complessità storica. Alla base dell'atto giuridico di iscrizione alla scuola sta un'implicita
accettazione da parte della famiglia dello studente o della studentessa dell'appello dello Stato alla

7
Sulla potenziale ambiguità dei testi legislativi si veda Metzeltin, Wallmann: 2016, 84-85.
8
Per una documentata descrizione della doppia collocazione del soggetto migrante in ambito francofono si veda
Sayad 1999 del cui eloquente sottotitolo non condividiamo il pessimismo o l'atteggiamento di adeguamento allo
status quo: “des illusions de l'émigré au souffrances de l'immigré“. Più che di doppia assenza, come recita il titolo,
vorrei che si parlasse di doppia presenza e più che di movimento da una situazione a un'altra, preferirei si parlasse di
stabilizzazione di una dinamica pendolare. L'uso di verbi modali in questa nota rende chiaro che ciò che si propone è
più una scelta politica sorretta da puntuali argomenti linguistici che una descrizione di fatti, che era invece l'intento
di Sayad 1999; diversa la posizione dell'autore nei suoi contributi di carattere più strettamente pedagogico.
significanza di materie e di contenuti che il legislatore ha ritenuto fondamentali per la formazione
del buon cittadino. Lo studente e la studentessa fino a una certa età devono accettare che la realtà
culturale della quale fanno parte ha elaborato conoscenze scientifiche e prodotti artistici che
sfuggono a un'immediata e ingenua acquisizione e che quindi richiedono riflessione e confronto con
diverse forme di alterità dislocate nello spazio e nel tempo, ma tutte appartenenti a ciò che l'istanza
statale ha definito come facenti parte del patrimonio nazionale o transnazionale con cui vale la pena
confrontare studenti e studentesse al fine di farne partecipanti coscienti e attivi alla vita dello Stato.
In questo modo l'apparato statale esercita una funzione di soggettivazione attraverso un appello che
richiede risposta, la cui accettabilità è certificata attraverso diversi strumenti di rilevamento
(compiti domestici e sotto sorveglianza e verifiche orali) e di valutazione (i voti). In maniera più
sottile rispetto agli apparati repressivi votati al controllo della popolazione (apparati di polizia e di
salute mentale), il sistema educativo può creare soggetti omologhi all'ideologia che informa lo Stato
senza che gli stessi avvertano il processo in cui sono coinvolti. Poiché ogni sistema educativo
democratico, almeno nelle intenzioni, lascia libero spazio allo sviluppo del soggetto, è
nominalmente aperta la creazione di un'istanza critica che risulta tanto più rilevante proprio per il
contrasto tra questa e la forma in cui viene veicolata, appunto un sistema educativo gerarchico e
coercitivo; ma questa è la condizione per la partecipazione alla società di cui si è figli 9. Studenti e
studentesse di origine diversa rispetto a quella del paese di accoglienza si trovano nella condizione
di vivere tra sistemi socio-culturali che possono esser regolati da norme implicite o esplicite diverse
e che quasi sempre hanno realizzazioni culturali di riferimento diverse: la tradizione culturale
italiana annovera auctores diversi o percepiti in maniera diversa rispetto ad altre tradizioni. Ma non
si dimentichi che anche nell'ambito della medesima lingua veicolare il quadro degli auctores di
riferimento può variare sensibilmente: basti pensare a ciò che significa letteratura spagnola per uno
spagnolo, per un messicano, per un argentino e per un peruviano. Il soggetto migrante per godere di
un autentico diritto allo studio che mantenga aperta un'opzione di creatività nel processo di
soggettivazione deve avere il medesimo diritto alla parola rispetto agli altri soggetti: tra il diritto
alla parola ci deve essere anche quello di esser autorizzato a confrontarsi con la propria cultura in
quanto tratto essenziale della propria personalità e di rappresentarla a sé e agli altri. Rappresentare
la propria cultura tuttavia non significa ottenere il diritto di riprodurre stereotipi del paese di
provenienza per esser invitati ad abbandonare quanto prima questa stessa cultura in favore di
un'assimilazione a quella del paese di accoglienza. Significa piuttosto esser posti nella condizione di

9
La metafora che assimila il rapporto tra cittadino e leggi a quello tra genitore e generato risale agli albori della
riflessione filosofica occidentale: alle proposte di fuga dei suoi discepoli Socrate risponde che non può violare le
leggi che lo hanno creato come soggetto libero anche quando queste si rivolgono contro lui stesso. Si veda in
particolare Critone, 49e–50a dove si legge della prosopopea delle leggi; ma tutti i dialoghi platonici dedicati alla
presentazione del processo e della morte del maestro sono permeati dalla ferrea idea del rispetto delle leggi accanto
all'altrettanto ferreo imperativo di piegarsi solo alla voce della ragione.
doversi confrontare con le proprie radici in costruttivo dialogo con l'ambiente di accoglienza per
metter in moto un processo di soggettivazione anche doloroso e per nulla legato a spontanee molle
di desideri casualmente maturati. Una responsabile azione educativa dovrebbe stimolare migranti ad
attrezzarsi per affrontare la contingenza e la potenziale vulnerabilità, invece di dar loro l'illusione
della certezza veicolata dalla folclorizzazione della loro cultura e dall'assunzione non dialogica della
cultura del paese di accoglienza: tutto ciò affinché possano prendere la voce e possano farsi
ascoltare in senso ampio. Una strategia performativa di questo tipo è implicita non solo nella
filosofia dell'espressione di Cavarero ma anche nella concezione del genere e della costruzione della
soggettività proposte da Judith Butler cui si possono affiancare le precedenti riflessioni di
Benveniste e Searle sugli atti linguistici10. Secondo gli autori menzionati potremmo interpretare
l'azione dell'istituzione come animata dal seguente atto linguistico di fondo: potresti renderti autore
della tua identità cultura?11
Come rendere il soggetto migrante femminile aperto alla costruzione della propria
soggettività? Da alcuni anni, anche sulla base della mia esperienza nei corsi di lingua e cultura
italiana a favore delle collettività italiane e di origine italiana all’estero, cerco di proporre lo
sviluppo di una piattaforma virtuale che sostenga le agenzie educative nel riconoscimento del diritto
del soggetto migrante a una partecipata inclusione. Le difficoltà sono di diversa natura: anzitutto i
migranti sono di solito presenti in maniera diffusa nelle istituzioni che si occupano di istruzione; in
secondo luogo nel medesimo gruppo può esser presente un numero di culture rappresentato da
diversi soggetti tale per cui risulta difficile pensare che un docente possa padroneggiarne tutti gli
strumenti di comunicazione; infine risulta problematico individuare di volta in volta quali siano i
contenuti di interesse per le attività programmate nelle quali può esser coinvolto il soggetto
migrante affinché risponda all'appello di creare la propria soggettività.
La piattaforma sopra menzionata dovrebbe offrire materiali di diversa natura (testuale e
visuale), provenienti da diverse culture, raccolti per aree tematiche e corredati di un lessico
organizzato per aree semantiche strutturate plurilingui: a termini della lingua della cultura di
provenienza di un certo documento culturale corrispondono i termini della cultura del paese di
accoglienza. La tematica sotto la quale il materiale può esser rubricato e la lista dei termini
raggruppati per aree semantiche sono accessibili tanto al docente o mediatore culturale quanto al
soggetto migrante, che quindi può ricevere l'appello da parte dell'istituzione nella quale si trova
affinché metta in atto il processo di soggettivazione che, per esser significativo, deve consistere nel
confrontarsi in maniera critica con la propria cultura di provenienza. Il confronto critico avviene

10
Per una decolonizzazione del pensiero varrebbe la pena arricchire il postcolonial main stream con la riflessione di
pensatori e letterati dell'America Latina e africani come J. C. Mariátegui, P. Freire, L. Senghor, A. Cesaire e H.
Odera Oruka.
11
Per le interpretazioni di Austin offerte da Butler, Benveniste e Searle si rimanda senz'altro a Rolf 2009.
attraverso il movimento pendolare tra il documento della cultura di provenienza e la concreta
situazione comunicativa in cui si trova immerso il soggetto migrante che quindi viene invitato ad
assumere il ruolo di traduttore culturale affidabile della propria cultura per un ambiente in cui la sua
testimonianza acquista valore significativo. Se si tiene presente che alle volte i soggetti migranti
provengono da culture tendenzialmente patriarcali, le migranti si trovano nella condizione di
doversi doppiamente emancipare: dalla cultura patriarcale e dalla società nella quale cercano
inclusione. Il docente o il mediatore culturale attraverso notizie sui materiali messi a disposizione
dalla piattaforma dovrebbe aver la possibilità di stimolare la migrante a farsi traduttrice accurata e
critica dell'oggetto in questione attraverso appelli che siano volti a chiedere ragione di oggetti o fatti
presenti nel documento ma che eventualmente, contrariamente alle aspettative del docente, non
vengono tematizzati nella presentazione della migrante. In un contesto dialogico e di inclusione il
soggetto verrebbe invitato a sviluppare strategie di inclusione critica.
Concludendo, mi pare di poter sostenere che la filosofia di una vocalità plurima come quella
proposta da Adriana Cavarero giustifichi e imponga un'attenzione nei confronti della voce del
migrante e della migrante che la inserisca in un concerto polifonico di soggettività precarie in
divenire che lo Stato ha il dovere di sostenere, a meno che non voglia ipocritamente lanciare un
appello all'integrazione, mentre impone di fatto l'assimilazione, là dove dovrebbe creare le
condizioni per l'inclusione 12.

Bibliografia
Butler, Judith (1997). Excitable Speech. A Politics of the Performative. Londra, New York,
Routledge.
Cavarero, Adriana (2003). A più voci. Filosofia dell'espressione vocale. Milano: Feltrinelli
Cavarero, Adriana (2014). Inclinazioni. Critica della rettitudine. Milano: Raffaello Cortina,
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Stimme, Francoforte s. M.: Suhrkamp, pp. 211-236.
Metzeltin, Michael e Wallmann, Thomas (2016). Designing a European Constitution, Vienna,
Praesens.

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Butler, sulla traccia di Althusser, sembra rimarcare il carattere potenzialmente coercitivo del sistema educativo: io
rimarco il dovere da parte dello Stato di rivolgere un appello al soggetto affinché si collochi nelle coordinate
all'interno delle quali può avvenire la comunicazione. Una linea di ricerca per una migliore articolazione di questa
complessa situazione dovrebbe mettere in tensione il concetto di discours di Michel Foucault, il frame di Gregory
Bateson e la structure of feeling di Raymond Williams. Sul piano puramente linguistico in una prospettiva testuale si
veda Metzeltin, Wallmann 2016, 15, fermo restando che il saggio oltre a ciò ha il valore di costituire un utile
prontuario di osservazioni linguistiche sulla natura dei testi costituzionali e di fornire un concreto progetto di
costituzione europea.
Rigotti, Francesca (2006). Il pensiero pendolare. Bologna: Mulino.
Rigotti, Francesca (2010). Partorire con il corpo e con la mente. Torino: Bollati Boringhieri.
Rolf, Eckard (2009). Der andere Austin. Zur Rekonstruktion/Dekonstruktion performativer
Äußerungen - von Searle über Derrida zu Cavell und darüber hinaus, Berlin: De Gruyter.
Sayad, Abdelmalek (1999). La double absence. Des illusions de l'émigré aux soufferances de
l'immigré. Parigi: Seuil.

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