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IL TYPUS MELANCHOLICUS E LA DEPRESSIONE MELANCOLICA.

LA MELANCOLIA COME DISTURBO DELL’IDENTITÀ.

Alessandra Ambrosini, Giovanni Stanghellini

Dipartimento di Scienze Biomediche, Università “G. D’Annunzio” Chieti-Pescara

Il tipo di esistenza del TM.

Il presente contributo intende analizzare la configurazione antropologica vulnerabile alla


depressione detta Typus Melancholicus di Hubertus Tellenbach (1961). Si evidenzia come nello
stile di vita e nella struttura dei valori del TM sia inscritta la potenzialità del dispiegamento della
Melanconia. Sono proposti due diversi modi di leggere la vulnerabilità del typus: la dialettica tra
identità di ruolo e identità egoica (Kraus, 1977) e la dialettica dell’identità narrativa nella tensione
tra identità idem e ipse (Ricoeur, 1984). Viene inoltre messo in evidenza come le nozioni di umore
(come Befindlichkeit) e di evento (come Situation) in un ottica antropologica rimandano al tema
dell’identità in quanto accessi strategici alla conoscenza di sè.

Le caratteristiche dell’ordinatezza e della coscienziosità descritte da Tellenbach e dell’iper/etero-


nomia e dell’intolleranza all’ambiguità, messe in luce da Alfred Kraus descrivono il nucleo
identitario delle persone vulnerabili alla Melanconia. Di seguito sono riportate le descrizioni degli
elementi distintivi del Typus Melancholicus e i criteri dell’intervista semi-strutturata che
discriminano la personalità TM vs NTM (Stanghellini, Bertelli, 2006).

Ordinatezza 

Definizione: fissazione sull'armonia nelle relazioni interpersonali.

Il comportamento del TM consiste nel soddisfare le aspettative dei partners sociali ed è guidato
dagli standard sociali. Le persone, incluso il TM stesso, sono inquadrate secondo ruoli sociali ben
precisi e gerarchie che regolano le relazioni interpersonali ed aiutano ad evitare conflitti e ad
ottenere consensi.

L'ordinatezza del TM deve essere differenziata dal comportamento ossessivo-compulsivo, in


quanto essa è primariamente orientata verso le relazioni interpersonali, nell' ossessivo-compulsivo
invece è finalizzata all'organizzazione delle cose. Nel TM manca inoltre l'esperienza soggettiva
della compulsione egodistonica che è propria dell'ossessivo.

Affermazioni tipiche  

"Io esisto per gli altri".

"La mia felicità dipende dalla felicità di quelli che mi circondano".

"Non sono capace di esprimere il mio disaccordo con gli altri".

"Sacrificherei la mia carriera se entrasse in conflitto con l'armonia della mia famiglia".

“Faccio sempre il possibile per accontentare tutti e non scontentare nessuno”.

“’Pace a tutti i costi è il mio motto”.

Coscienziosità

Definizione: necessità di prevenire attribuzioni e sentimenti di colpa.

Lo scopo principale del TM è evitare sensi di colpa e attribuzioni di colpevolezza. Si tratta di un


tipo secolarizzato di coscienza morale la cui motivazione è principalmente quella di essere
accettato dagli altri. Il TM soffre di un'elevata sensitività interpersonale, soprattutto ipersensibilità
al giudizio degli altri significativi. Egli si prodiga per mantenere una coscienza morale pulita
facendo continuamente il proprio dovere in accordo col proprio ruolo sociale e con le aspettative
altrui.

Affermazioni tipiche  

"La cosa più importante per me è avere una coscienza pulita".

"Se litigo con qualcuno, dopo mi sento in colpa".

"Il benessere dei miei colleghi è molto importante per me”.

"Sacrificherei il mio interesse per non dispiacere alla mia famiglia".

"Quando ho fatto qualcosa di sbagliato, mi torna continuamente in mente".


“Per evitare critiche, faccio il lavoro mio e se necessario anche quello degli altri”.

Ipernomia-eteronomia 

Definizione: esagerato adattamento alla regola (ipernomia), esagerata recettività di una norma
esterna (eteronomia).

Il TM cerca di conformarsi alle aspettative sociali, per esempio ruoli sociali prestabiliti e regole
incarnate negli altri significativi. Ruoli e regole sono per lo più accettati passivamente e seguiti
acriticamente (eteronomia). Inoltre il TM osserva rigidamente i ruoli e le regole sociali già adottate
in precedenza e si trova in estrema difficoltà se è costretto a modificarle o trascenderle
(ipernomia).

L’ipernomia deve essere differenziata dall’estrema coerenza morale; nella prima infatti la
motivazione sta nell’incapacità di cambiare il proprio quadro morale di riferimento.

L’eteronomia deve essere differenziata dall’adesione come-se ai dettati di un gruppo sociale per
trarre vantaggio dall’appartenenza a tale gruppo; nella prima infatti manca totalmente la distanza
dal ruolo sociale adottato.

Affermazioni tipiche

 “Quando faccio qualcosa, devo sempre farlo in modo accurato e perfetto”.

“Prima il dovere”.

“Una volta che ho preso una decisione è molto difficile che cambi idea”.

“Nel prendere una decisione cerco sempre di capire che cosa gli altri preferirebbero che facessi”.

“Mi sento in guai seri quando non posso fare ciò che gli altri si aspettano da me”.

“Nel fare il mio lavoro faccio sempre molta attenzione a cosa pensano i miei colleghi”.

Intolleranza dell’ambiguità
Definizione: incapacità di percepire emotivamente e cognitivamente caratteristiche opposte in
relazione ad uno stesso oggetto, persona o situazione.

Il TM è incapace di percepire caratteristiche opposte nello stesso oggetto, persona o situazione,


per esempio qualità buone e cattive in una persona importante o aspetti positivi e negativi in una
stessa situazione. L’atteggiamento mentale normo-orientato e rigido del TM non solo struttura il
suo comportamento, ma anche la sua percezione e concettualizzazione della realtà (iper-riduzione
della complessità). Il TM non arriva ad un’integrazione delle qualità contrastanti, ma all’esclusione
ad una componente del conflitto. Egli giunge così a percepire un mondo inevitabilmente bianco-o-
nero. Il TM assimila per lo più nuove acquisizioni (specialmente quelle concernenti le interazioni
sociali) a schemi pre-formati ed è incapace di adeguare tali schemi alle nuove situazioni.

Affermazioni tipiche

“Ciò che apprezzo di più nel mio partner è che riesco a capirlo”.

“Mi da fastidio quando le persone con le quali ho a che fare cambiano idea”.

“Mi sento molto male quando qualcuno che mi stima si comporta stranamente con me”.

“Quando mi faccio una buona idea di una persona, questa la deve fare proprio grossa per farmela
cambiare”.

“Una persona buona è buona a tutti gli effetti”.

“Mi rimane molto difficile adattarmi ad una nuova situazione”.

L’identità del TM; la crisi della dialettica identità egoica-identità di ruolo.

Il ruolo è una struttura di relazione e di identità in quanto descrive un determinato


comportamento dell’individuo rispetto agli altri, alla società e a se stesso. Il concetto di ruolo
esprime una posizione ambigua dell’essere umano ‘a doppio sguardo’; da un lato descrive come
l’identità umana sia determinata attraverso l’identificazione con i ruoli, d’altro canto esprime la
naturale distanza interna dell’individuo nel rapporto tra se stesso e i suoi ruoli sociali (Kraus,
1987). Dunque se l’identità di ruolo riguarda quella parte della personalità che si forma
nell’adempiere a specifiche attese di ruolo relative a una posizione sociale, l’identità egoica è
l’autodeterminazione della personalità, ciò che l’uomo è al di là e in più della sua semplice e pura
identificazione con il ruolo (Erikson). In tal modo nasce una relazione di tensione tra la persona e i
suoi ruoli che permette di conservare l’articolazione dell’identità personale evitando di diventare
semplice agente delle proprie funzioni sociali. La possibilità che questa dinamica si alteri
costituisce un pericolo che si può tradurre sul piano psicopatologico in due modi: una carente
capacità di identificazione che si riscontra nell’isteria e per alcuni versi nella schizofrenia, e
l’iperidentificazione attraverso una sclerotizzazione dell’identità (Kraus, 1987). Quest’ultimo
sembra essere il caso dei melancolici. Le persone vulnerabili alla melancolia presentano una fragile
identità egoica e si arroccano su rappresentazioni esterne dell’identità (identità di ruolo). Non
essendo in grado di trascendere gli standard socialmente stabiliti dando vita ad una
interpretazione soggettiva di se stesse, degli altri e del mondo, cercano continuamente la
conferma esterna della propria identità all’interno di rigidi involucri rischiando di coincidere
perfettamente con la propria identità sociale. Kraus afferma che qualora si trovi in una condizione
di contraddizione tra la propria l’identità e il ruolo sociale, il TM manca della possibilità di
preservare un senso di continuità della propria biografia. La melancolia ha luogo quando il TM si
sente minacciato dalla possibilità di perdere la stabilità insita nelle identità di ruolo acquisite o
quando egli è messo si vede chiamato ad assumere ruoli tra loro incompatibili.

L’identità del TM; la crisi della dialettica dell’identità narrativa.

Un secondo modo di leggere l’identità vulnerabile del TM è attraverso la dialettica dell’identità


narrativa che vede l’identità umana come risultato di un atto narrativo nell’integrazione tra la
dialettica sé e altro-da-sé (Ricœur 1984). L’identità umana non si fonda sul permanere statico della
personalità, bensì è frutto di una tensione dialettica tra un nucleo invariante del proprio sé nel
tempo (essere-lo-stesso o identità idem) e l’evoluzione del proprio sé (essere-se stesso o identità
ipse) che presuppone l’integrazione dell’altro-da-sé. L’identità narrativa deriva dalla capacità del
soggetto di riprendere e dare un senso al passato per superarlo verso un futuro capace di
illuminare e di guidare il presente; non è connotata dalla realizzazione di un fine predeterminato,
inscritto già nelle cose o suggerito da una situazione o da una realtà extra o superindividuale. “La
storia – scrive Sartre (1946) – non è caratterizzata né dal mutamento né dall’azione pura e
semplice del passato, ma è definita dalla ripresa intenzionale del passato ad opera del presente.”.
Il soggetto è il creatore del senso da dare alla situazione e del progetto per superarla.
Nel TM vi è un irrigidimento della dialettica identitaria che si radicalizza sulla staticità dell’essere
nella necessità di confermare sé stesso come lo stesso all’interno di una narrazione prestabilita
che dà vita ad una identità cristallizzata e refrattaria alla fisiologica metamorfosi dell’esistenza
(Stanghellini, Ambrosini, Ciglia, 2008). Questo tipo di identità a priori, che non richiede di essere
costruita giorno per giorno è minacciata sotto lo stimolo dell’alterità. In questa iperidentificazione
con l’identità idem la crisi melanconica può essere letta come l’esito di una identità vulnerabile che
cede di fronte al confronto con qualunque situazione esule da schemi previsti.

Evento, umore e narrazione

L’evento in un’ottica antropologica è considerato il combustibile che alimenta la dialettica


dell’identità, ciò che apporta quel quid novi indispensabile per mettere in moto la tensione tra il
già noto e l’alterità.

La nozione di evento rimanda al tema dell’identità in quanto inteso come Situation cioè come
l’insieme dei modi d’essere di una persona: il suo modo di intendere la vita e di impostare le
relazioni con gli altri, la gerarchia delle sue priorità e dei suoi valori. Dunque l’evento e la persona
si rispecchiano vicendevolmente nella situazione. Così il TM tende a situarsi all’interno di rapporti
tipici e a incontrare le situazioni che lo caratterizzano (Tellenbach, 1961). In quest’ottica la natura
traumatica dell’evento risiede nel rapporto tra la storia personale e il significato che tale evento
acquisisce per la persona. L’evento può essere considerato come traumatico in quanto non
corrispondente alla regola del già noto, ma al carattere di assoluta novità, della radicale alterità
(Straus, 1935). Al contrario, può rappresentare l’occasione elettiva dell’incontro della persona con
se stessa, l’opportunità di avviare un ulteriore processo di crescita identitaria. Accogliendo e
integrando l’evento nella storia di vita, la narrazione trasforma l’evento da causa di frattura
biografica – trauma - a ragione di evoluzione esistenziale, e da accadimento puramente
contingente ad avvenimento necessario. Infatti se l’evento è caratterizzato da un carico di
inopinata alterità, possiamo considerare la narrazione la pratica tramite la quale accogliamo
l’evento nella nostra storia di vita. Dunque esso può essere foriero di discordanza in quanto mette
in pericolo la stabilità dell’essere, ma può dirsi anche origine di concordanza in quanto senza
evento non vi può essere narrazione e, senza narrazione non c’è storia personale.
All’interno di questa costellazione rigida di ruoli e di valori, gli eventi, se non rispondenti a
caratterizzazioni prevedibili, rappresentano l’irruzione dell’alterità che minaccia il mantenimento
dello status quo. L’imprevedibilità dell’evento apre al rischio di incrinare l’ordine del proprio
mondo e di scompaginare la trama della propria storia. L’evento è accettato solo in quanto
riproposizione di un contesto o di un rapporto io-mondo già sperimentato, che il TM costituisce e
anticipa nella ricerca di una costante conferma della propria identità. Egli non tollera l’evento
alterità, cioè l’avvenimento non corrispondente alla regola del già noto, poiché non vi coglie
un’occasione per conoscere un altro aspetto di sé, ma solo una potenziale minaccia alla sua
identità (Stanghellini, Ambrosini, Ciglia, 2008).

Per illustrare il rapporto tra emozioni e conoscenza di sé e del mondo, Heidegger (1927) ha
coniato il concetto di Befindlichkeit. Termine di difficile traduzione, può essere reso con ‘situazione
emotiva’, o ‘stato d’animo’, o con la perifrasi ‘sentirsi situato in una certa emozione’.
Probabilmente, la forza più grande di tale concetto è il suo enfatizzare il ruolo delle emozioni come
ciò che rivela il mio essere situato nel mondo. Così le emozioni sono considerate responsabili del
nostro essere “ingranati” al mondo e orientati in una certa direzione in vista di un certo scopo
tanto da offrire un contributo fondamentale nel decidersi, nello scoprire il proprio coinvolgimento
in una data situazione, e più in generale nel definire la propria identità (Stanghellini, 2009).

Secondo la fenomenologia l’essere in un determinato stato d’animo è l’occasione regia che


ciascun essere umano ha per percepire il proprio modo di essere al mondo, per intuire, prima
ancora che emerga alla coscienza esplicita, tematica, linguistica, verbale, concettuale e narrativa, il
proprio rapporto con il mondo. La nozione di situazione emotiva non rimanda ad un rapporto di
casualità fra un certo tono dell’umore e una certa visione del mondo, bensì ad un rapporto di
auto-comprensione di se stessi in quanto in una determinata situazione emotiva conosco me
stesso a partire dal mio umore prima ancora di conoscermi attraverso una atto cognitivo esplicito.
Dunque in un ottica fenomenologica l’umore non è una premessa grazie alla quale io costruisco la
mia percezione del mondo, ma il canale preferenziale per la mia comprensione.

Infatti un’emozione, ad esempio un certo tipo di umore, è considerato come la tendenza a


muoversi in un certo modo, in una certa direzione, rivolgendosi a certi oggetti piuttosto che ad
altri, cogliendo di tali oggetti specifici significati (Stanghellini et al., 2008). Le emozioni dischiudono
un certo modo di essere nel mondo che rende possibile un particolare modo di dirigersi verso le
cose, cioè una determinata tendenza a vivere le cose. In questo modo le emozioni diventano una
parte essenziale dell’identità di una persona, del suo modo di sentirsi, di riconoscersi in una
specifica attitudine verso la vita. Esse hanno la funzione di pre-selezionare specifiche possibilità di
essere-nel-mondo, costituendo la via regia alla conoscenza di sé in quanto rivelano il legame
immediato della persona con il mondo.

Heidegger (1927) afferma che “La tonalità emotiva ha già da sempre aperto l’essere-nel-mondo
nella sua totalità, rendendo così possibile un dirigersi verso…» ().
La patologia delle emozioni si manifesta come predominio delle emozioni sulle facoltà riflessive,
cioè sulla capacità di articolare le emozioni con le situazioni e con la storia di vita. Vi è una
patologia delle emozioni quando assistiamo a una sproporzione tra l’entità dell’emozione stessa e
la capacità della persona di riflettere sul rapporto di tale emozione con la situazione in cui essa si
manifesta (Stanghellini et al., 2008).
Nel caso del melancolico determinate situazioni vanno oltre la possibilità di essere utilizzate in
quanto egli è in grado di gestire solo ciò che già conosce, ha già vissuto in precedenza o risulta
deducibile a partire dai suoi schemi relativi all’ordine delle cose. Di fronte ad una situazione che
esula dai suoi programmi egli si trova dibattuto nel dubbio, incapace di propendere per
un’opzione piuttosto che per un’altra. Ogni esperienza nuova, infatti, presuppone una
trasformazione del rapporto con il mondo e con se stessi, che il typus contempla solo entro i limiti
artificiosi e angusti di un circuito chiuso. Qualora si presenti una circostanza non riconducibile ai
rapporti consolidati, stenta a riconoscersi come soggetto intenzionale e si trova dilaniato tra
alternative impossibili (Stanghellini, Ambrosini, Ciglia, 2008).

La situazione pre-melancolica.

Quando il TM non riesce a bandire l’alterità come fonte di nullificazione, né ad escludere il tempo
e la storia con il loro carico di novità e il loro significato di apertura verso altre identità, si trova a
vivere uno stato di “disunione angosciosa” (Verzweiflung). Un’altra possibilità di essere svela
l’inautenticità della propria condizione e pone le basi di una contraddizione insolubile: “non può
più decidersi […] non può abituarsi più alla sua realtà, che nasce dalle sue possibilità”. Qui il
concetto di disperazione non sta ad intendere l’essere senza speranza, bensì un andare e venire,
cosicché non è raggiungibile alcuna decisione definitiva. La persona che dispera si vede sospesa su
possibilità non ancora divenute reali nel tentativo di essere contemporaneamente in due posti
(Tellenbach, 1961). Questo è il momento in cui inizia la Melancolia.
Possiamo considerare la situazione di disperazione del Typus Melancholicus come la condizione
opposta a quella della narrazione in quanto vi è l’impossibilità di dare senso e coerenza alla
propria storia di vita in presenza dell’evento-alterità.

Nella disperazione l’identità si presenta al Typus Melancholicus non più come un datum, ma come
una realtà condenda, non più come data, bensì come una realtà da costruire (Stanghellini et al.,
2008).

In questo senso la patologia melancolica può essere vista come l’impossibilità di mantenere aperta
la propria dialettica dell’identità di fronte all’alterità – sia essa rivelata dall’evento, sia rivelata
dall’umore.

Bibliografia

- Heidegger M., (1927), Essere e tempo, Torino, Utet, 1978.

- Kraus A., (1977) Sozialverhalten und Psychosen Manisch-Depressiver. Enke, Stuttgart.

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- Ricoeur, P., (1984) Tempo e racconto, Tr. It. Jaca Book, Milano, 1986.
- Sartre J.-P., (1946), Materialismo e Rivoluzione, tr. it., a cura di F. Fergnani e P.A. Rovatti,
Milano, 1977.

- Stanghellini, G., Bertelli, M., Assessing the social behavior of unipolar depressives: the criteria
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- Stanghellini, G., Bertelli, M., Raballo, A., Typus melancholicus: structur and the characteristics
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- Stanghellini G., Raballo A., Exploring the margins of the bipolar spectrum: Temperamental
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- Stanghellini, G., Psicopatologia del senso comune, Raffaello Cortina Editore, 2008.

- Stanghellini G., Ambrosini A., Ciglia R., Vulnerabilità alla depressione, L’altro, 3: 6-10, 2008.
- Stanghellini G., Rossi Monti M., Psicologia del Patologico, Raffaello Cortina Editore, Milano,
2009.
- Straus, E., 1935, Von Sinn der Sinne, Springer, Berlin.

- Tellenbach, H., (1961) Melanconia, Il Pensiero Scientifico Editore, 1975.

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