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di Raffaele Avico

 
In questa lezione tenuta per il master in psicoterapia di comunità fatto per Il Porto
(Moncalieri), Antonello Correale si addentra nel vissuto di un soggetto con un disturbo
grave di personalità: il suo obiettivo è comprendere dall’interno il “troppo” di un
soggetto Borderline.

 
Cerchiamo di comprendere per punti quali sono gli aspetti principali del suo intervento:

1. LA MANCANZA DI SOLITUDINE BUONA


citando l’opera A Porte chiuse di Sartre, Correale immagina due persone costrette a
una convivenza forzata in una stanza chiusa (da quest’opera è citata la frase
“l’inferno sono gli altri”). Il Soggetto borderline viene “penetrato” dall’altro in
senso emotivo: reagisce all’altro in modo forte ed eccessivo, a causa di
un mancanza di “spazio” personale, che diviene difficilmente ritagliabile, di una
mancanza di “solitudine” buona che possa consentirgli/le una decompressione
emotiva e soprattutto un dialogo immaginato con l’altro, una riflessione sull’altro.
Con il borderline si entra “subito in camera da letto”, intendendo con questo un
istantaneo accesso all’area intima del rapporto interpersonale, verso un “troppo
vicino” che non consente una presa di distanza buona.
2. LA FRUSTRAZIONE SI FA AZIONE
Correale ragiona sulla difficoltà per un soggetto borderline di costruire una
sdoppiamento “interno” dell’altro, che possa diventare oggetto di pensiero
“calmo”. Per il borderline ogni attesa diviene mancanza, ogni solitudine vuoto,
ogni distanziamento abbandono: l’altro viene percepito come troppo
“significativo”, in grado di “produrre un segno”, troppo presente e quindi doloroso
(da qui di nuovo “l’inferno sono gli altri”), il che porta il soggetto a contro-reagire
in modo attivo ed eccessivo a seguito della frustrazione interpersonale.
3. DIPENDENZA AGGRESSIVA
Il borderline, continua Correale, sembra “aver bisogno di qualcuno di cui non si
fida”. Ovvero, siamo di fronte a una dipendenza “corrotta” da una sfiducia di base
che genera delle paurose alternanze  tra sei qui ma mi tradirai/non
andartene. Quindi: nè con te, nè senza di te. Questa difficile gestione
dell’emotività da parte del borderline, produce due risposte tipiche nell’operatore,
che oscilla, anch’esso, tra una risposta depressiva (il paziente non progredisce, io
non servo a nulla, la colpa è solo mia-qui il “delirio” del depresso) e una risposta
paranoicale (la colpa è solo dell’altro, che devo allontanare -qui invece il
“delirio” del paranoico); l’alternanza tra le due risposte andrebbe considerata
segno, in sè, di una dinamica interpersonale borderline, costituendosi
come IL problema centrale del lavoro con questo tipo di pazienti. Correale
suggerisce inoltre di affrontare con il paziente borderline il tema, ampio,
dell’amore, spesso vissuto come problematico da parte del borderline (oscillante
appunto tra dipendenza e sfiducia aggressiva)
4. ASPETTI MORALI
Correale ragiona quindi sugli aspetti morali/filosofici della psicologia del soggetto
borderline. Il borderline sembra aver minata alla base la fiducia nella bontà morale
degli esseri umani, per via di una profanazione, di un danno iniziale (qui entra
la Teoria dell’attaccamento di Bowlby, relativamente per esempio alla questione
degli Sviluppi Traumatici -d’altronde trauma e quadri borderline vengono sempre
più spesso accostati). Correale prosegue ragionando tuttavia su una sorta di
“rimpianto” del borderline per questa fiducia tradita, una non-rassegnazione di
fronte a questa iniziale ingiustizia, come una sorta di nostalgia “fiduciosa” verso
quello che c’era prima, o nonostante, il trauma. Correale descrive il problema
borderline come un problema opposto al problema depressivo. Non siamo qui di
fronte a soggetti melanconici, o svuotati di energia vitale; siamo di fronte invece a
soggetti ambivalenti nei confronti della realtà, o della loro stessa storia,
fondamentalmente profondamente coinvolti dall’esperienza vitale.
5. TRAUMA
Correale individua, come prima accennato, l’origine del problema borderline, in
uno sviluppo traumatico. Trauma va qui inteso come esercizio arbitrario di
sopruso e violenza (fisica o psicologica) di un individuo su di un altro individuo
impotente (bambino), in modo soprattutto ripetuto e continuativo. Non parliamo
qui dunque di trauma singolo, di unico evento traumatico, ma di singoli, minori
episodi traumatici che si protraggono per tutta l’infanzia del bambino, senza che
questo riesca a darsene una spiegazione comprensibile. Questo procura
l’impossibilità di introiettare, seguendo una logica esplicativa psicoanalitica, quello
che Winnicott chiama “oggetto buono”, presupposto fondamentale per far sì che il
soggetto riesca a generare un’”anticamera”, uno spazio interno di riflessione e,
attraverso questo, regolare la sua emotività. Il centro, il nucleo centrale del
problema borderline, si situa qui: non tanto nell’essere o meno amati, ma
nel come si viene amati.
6. DISSOCIAZIONE E IDENTIFICAZIONE CON L’AGGRESSORE
Nel contesto di uno sviluppo traumatico, il borderline sperimenta una dissociazione
strutturale della personalità che fa sì che alcune parti rimangano “congelate” al
tempo del trauma, e altre proseguano il loro sviluppo temporale, spesso
però identificandosi con l’aggressore stesso. Qui torna il tema delle strategie
controllanti ben descritte da Liotti: in un rapporto burrascoso tra madre abusante e
figlio impotente, per fare un esempio, è possibile che il figlio nel suo sviluppo
faccia suoi alcuni aspetti identitari del genitore, in questo modo
acquisendo maggiore quote di potere e di controllo. Correale sottolinea infatti
come la condizione di helplessness sia intollerabile, sul lungo periodo, in senso
psichico. Meglio dunque aggressivi e rabbiosi, ma “potenti”, che docili e buoni, ma
“impotenti” e in balia dell’altro. É evidente come su questo punto convergono la
psicotraumatologia, la psicoanalisi e la Teoria dell’attaccamento, con un
accento tuttavia posto sugli aspetti “psicotraumatologici” dei primi anni di vita,
costellati per borderline da traumi “reali”, veri, realmente accaduti, per nulla
“inventati” o immaginati dal bambino. Il trauma, quando di trauma si possa parlare,
è sempre reale e generato nell’adattamento dell’individuo alla sua realtà.
7. RIPETIZIONE
Il trauma induce la ripetizione. Correale su questo punto sottolinea come uno degli
aspetti più drammatici del post-trauma sulla vita del soggetto, sia la riproposizione
di dinamiche interpersonali disfunzionali. Antonio Semerari li chiama “cicli
interpersonali problematici”: la tendenza cioè a ripetere pattern disfunzionali al
fine di acquisire maggiori quote di controllo sul trauma originario stesso, oppure
per giocare su un terreno già conosciuto.

A proposito dei cicli interpersonali problematici e delle dinamiche relazionali dei


soggetti borderline, merita fare un accenno al lavoro di Antonio Semerari “I disturbi di
personalità: modelli e trattamento”. Nella parte del libro dedicata ai quadri borderline,
Semerari (che ha una formazione diversa da Correale, arrivando da una scuola cognitivo
comportamentale) intende allargare il discorso relativo agli aspetti integrativi del lavoro
da fare con il paziente borderline: non si tratterebbe cioè di lavorare per un’integrazione
solamente relativa ad aspetti affettivi scissi verso lo stesso oggetto (amore/odio,
dipendenza/sfiducia), ma di muoversi verso un lavoro di integrazione più ampio, più
“totale”. L’integrazione di quelli che Semerari chiama “stati mentali” diversi e
disarmonici, è il presupposto per una coerenza del comportamento. Senza integrazione,
non c’è coerenza comportamentale (e questo lo si osserva facilmente nei soggetti
borderline). Se poniamo il lavoro “integrativo” come drive centrale e scopo ultimo del
lavoro con questa tipologia di pazienti, lavoro da effettuarsi su più livelli, meglio
comprendiamo il razionale di intervento di un modello multi-disciplinare e ampio come
la Dialectical Behavioral Therapy, la migliore forma di trattamento con questo tipo di
problema, riassunta in questo articolo.

http://www.ilfogliopsichiatrico.it/2020/04/04/9797/

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