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I – La promessa

L'uomo del nostro tempo ha sovente la sensazione che le sue difficoltà trascendano la cerchia in
cui vive. Alla base di questa sensazione vi sono i mutamenti di struttura delle grandi società
continentali in cui i singoli uomini sono immersi. Non si può comprendere la vita dei singoli se non si
comprende quella della società e viceversa. Ma di solito l'uomo non vede i suoi problemi in termini di
mutamenti storici o di conflitti istituzionali. Non attribuisce il benessere di cui gode o la miseria di cui
soffre ai grandi alti e bassi della società in cui vive. Non sa affrontare i suoi problemi personali in modo
tale da giungere a controllare le trasformazioni strutturali che generalmente sono alla loro base. Dopo
due secoli di ascesa il capitalismo si rivela soltanto come uno dei modi di trasformare una società in
un'organizzazione industriale. La democrazia, anzi l'apparenza della democrazia, si è ristretta ad una
minima parte dell'umanità. L'uomo ordinario per difendere se stesso, la propria intimità, diventa
moralmente insensibile. In questa nostra età del fatto, l'informazione domina e spesso supera la
capacità dell'uomo di assimilarla. L'uomo ha bisogno e sente di avere bisogno di una qualità della
mente che lo aiuti a servirsi dell'informazione e a sviluppare la ragione fino ad arrivare ad una lucida
sintesi di quello che accade e può accadere nel mondo e in lui. È appunto tale qualità che chiameremo
“immaginazione sociologica”.
L'immaginazione sociologica permette a chi la possiede di vedere e valutare il grande contesto
dei fatti storici nei riflessi sulla vita e sul comportamento esteriore di tutta una serie di categorie
umane. Gli permette di capire perché nel caos dell'esperienza quotidiana gli individui si formino un'idea
falsa della propria posizione sociale. Il primo frutto di questa facoltà e la lezione di scienza sociale che
ne consegue, consistono nell'idea che l'individuo può comprendere la propria esperienza e
valutare il proprio destino soltanto collocandosi dentro la propria epoca. Può conoscere le
proprie probabilità soltanto rendendosi conto di quelle di tutti gli individui nelle sue stesse condizioni.
Siamo giunti oggi a sapere che i margini della natura umana sono spaventosamente vasti, che
costruisce una biografia nell'ambito di una particolare sequenza storica. Con il fatto stesso di vivere
l'uomo concorre a formare questa società e ad alimentare questa storia: è la società che lo forma e
la storia che lo spinge. L'immaginazione sociologica ci permette di afferrare biografia e storia e il
loro mutuo rapporto nell'ambito della società.
Il buon sociologo si pone tre ordini di problemi:
• Qual è la struttura di quella particolare società nel suo complesso? Quali sono i componenti e in quali
rapporti reciproci si trovano?
• Qual è il posto di questa società nel quadro della storia umana? Qual è la meccanica del suo
mutamento? Quali sono le caratteristiche essenziali di questo periodo storico? In che senso differisce
da altri periodi?
• Quali tipi di uomini e di donne prevalgono in questa società e in questo periodo? Per quali vie si
selezionano e si formano, sono liberi o repressi, sensibilizzati o resi insensibili?
Sono le questioni che chiunque possegga immaginazione sociologica solleva. Questa facoltà consiste
nel saper passare da una prospettiva ad un'altra: da una prospettiva politica ad una psicologica,
dall'esame di un singolo caso ad uno studio comparativo, dalla scuola di teologia alle istituzioni militari,
dall'analisi dei problemi di un'industria petrolifera alla critica della poesia contemporanea. Insomma,
con la riflessione e la sensibilità si afferra il significato culturale delle scienze sociali.
Un'altra delle distinzioni sulle quali lavora l'immaginazione sociologica e quella che contrappone
le difficoltà personali ai problemi pubblici di struttura sociale. Si consideri sotto questi due
diversi angoli visuali ad es. la questione della disoccupazione, la guerra o anche il matrimonio. Finché
un'economia è organizzata in modo tale da presentare delle depressioni, il problema della
disoccupazione sfugge a qualsiasi soluzione personale. Finché la guerra è inerente al sistema degli
stati-nazione e ai dislivelli di industrializzazione nel mondo, l'individuo ordinario sarà incapace di
risolvere nell'interno della propria orbita ristretta le difficoltà che il sistema o la mancanza di sistema
gli crea. Finché l'istituto della famiglia sarà tale da fare della donna l'adorabile schiava dell'uomo e
dell'uomo il dispensatore di alimenti che non sa vivere senza la donna il problema del matrimonio
continuerà a non poter essere risolto sul piano personale.
Il principale compito politico e intellettuale del sociologo oggi è quello di individuare e definire gli
elementi del disagio e della indifferenza dell'uomo contemporaneo. Questo compito e questo impegno
stanno facendo delle scienze sociologiche il denominatore comune del nostro periodo culturale e
dell'immaginazione sociologica la più necessaria delle nostre facoltà mentali. Tuttavia, i filosofi che
parlano nel nome della scienza la trasformano spesso in “scientismo” (ovvero un indebita estensione di
metodi scientifici validi nell'ambito di scienze particolari, come ad es. quelle naturali, ad altri aspetti
della realtà, ma con pretese di conoscenza altrettanto rigorosa). Con tutto ciò, molti hanno finito per
considerare la scienza come un messia falso e sbruffone.
II – La Grande Teorizzazione
Il fatto che la Grande Teorizzazione di Parsons sembri addirittura impossibile da comprendere è
sicuramente un vantaggio protettivo, anzi, ammalia proprio per la sua spesso stupenda mancanza di
intelleggibilità. I grandi teorizzatori sono talmente sprofondati nell'intelligibilità che dovremmo proprio
chiederci se la Grande Teorizzazione non sia soltanto un confuso gioco di parole. La domanda è quindi:
che cosa dice la Grande Teorizzazione una volta che sono stati rimossi tutti gli impedimenti alla
comprensione e che sia stato portato alla luce ciò che vi è di intelligibile? Se “traducessimo” ciò che
postula in altre parole, potremmo dire che questa teoria afferma che:
“Gli uomini agiscono l'uno contro l'altro e l'uno con l'altro. Ciascuno tiene conto di ciò che gli altri si
aspettano. Quando queste aspettative sono sufficientemente definite e costanti allora le chiamiamo
standards. Inoltre ogni uomo si attende che gli altri reagiscono a ciò che egli fa. Queste reazioni attese
le chiamiamo sensazioni. Alcune di queste sensazioni sembrano essere molto soddisfacenti, altre no.
Quando gli uomini sono guidati da standards e sensazioni possiamo dire che svolgano insieme i loro
ruoli. È una metafora comoda. E, in verità, quella che chiamiamo istituzione può essere forse definita
meglio come un complesso più o meno stabile di funzioni. Quando nell'interno di una istituzione o di
una intera società composta da tali istituzioni gli standards e le sensazioni non fanno più presa sugli
uomini allora possiamo parlare, con Durkheim, di anomia. Ad un'estremità vi sono delle istituzioni con
standards e sensazioni precisi e ordinati, all'altra estremità vi è l'anomia. Quando gli uomini
condividono gli stessi valori tendono a comportarsi in conformità con il modo nel quale si aspettano
che gli altri uomini si comportino. Inoltre essi considerano molto spesso tale conformismo come cosa
buona, anche quando sembra contrastare con i loro interessi immediati. Che tali valori comuni siano
appresi piuttosto che ereditati non ne diminuisce l'importanza della motivazione umana, al contrario
diventano parte della personalità stessa. In quanto tali, essi legano insieme una società poiché ciò che
è aspettativa sociale diventa necessità individuale. Il che è tanto importante per la stabilità di qualsiasi
sistema sociale che me ne servirò come principale punto di partenza ogni qualvolta vorrò analizzare
una società come organismo vivente”.

In pratica di The Social System suppergiù solo 150 pagine di linguaggio sono intelligibili su 555. Il
contenuto di queste 150 pagine non farebbe più molta impressione, ma in compenso presenterebbe
nei termini più chiari il problema chiave del libro e la soluzione che questo offre al problema. È vero
che ogni idea, ogni libro, può essere riassunto in una frase o sviluppato il 20 volumi, ma qui si tratta di
vedere quale ampiezza debba avere un'esposizione per rendere chiara una data cosa, quale gamma di
problemi ci permetta di risolvere o perlomeno di porre. Non sempre più ampio equivale a più
conforme. Inoltre, i grandi teorizzatori non scendono mai dalle generalità ai contesti storici e strutturali
dei problemi. L'assenza di un solido senso della concretezza dei problemi spiega a sua volta l'irrealtà
così evidente nelle loro pagine. La Grande Teorizzazione è ubriaca di sintassi ed è circa alla semantica.
I grandi teorizzatori sono così preoccupati dei significati sintattici e così poco sensibili ai riferimenti
semiologici, rigidamente ancorati ai loro alti livelli di astrazione, che le tipologie da essi costruite
sembrano più un arido gioco di concetti che un tentativo per definire in modo chiaro e ordinato i
problemi in esame per guidare i nostri sforzi alla loro soluzione. Ogni pensatore consapevole deve
saper rendersi conto dei livelli di astrazione sui quali lavora ed essere quindi in grado di controllarli.
Attorno a parole come “capitalismo” o “classe media” o “democrazia totalitaria”, aleggiano spesso dei
significati contorti e confusi che devono essere tenuti sotto controllo quando si usano quelle parole,
poiché attorno vi sono sovente delle mescolanze di fatti e di rapporti, di osservazioni e fattori
puramente supposti che devono essere accuratamente chiariti nella nostra definizione e nel nostro
impiego.

Gli scienziati sociali parlano di “concezioni di legittimazione” usando termini diversi: Locke le chiama
“principio di sovranità”, Sorel “mito del potere”, Arnold “folklore”, Durkheim “rappresentazioni
collettive”, Marx “idee dominanti”, Russeau “volontà generale”, Laswell “simboli di autorità”, Mannheim
“ideologia”, Herbert Spencer “sentimenti pubblici”. Queste ed altre parole sono la prova del posto
centrale occupato dai simboli dominanti nell'analisi sociale. Ciò che Parsons e gli altri grandi
teorizzatori chiamano insomma “orientamenti valutativi” e “struttura normativa” ha a che fare
principalmente con simboli dominanti di legittimazione. La loro importanza psicologica risiede nel fatto
che essi diventano la base per il consenso o l'opposizione alla struttura del potere. Si presume allora
che le idee e non gli ambienti o le persone che di quelle idee si servono, governino. Per conferire
continuità alla sequenza di tali simboli essi vengono presentati come concatenati in qualche modo l'uno
con l'altro. Allora possono essere presentati come una successione di filosofi il cui pensiero determina
la dinamica istituzionale. Da questo punto di vista potrebbe sembrare quindi che siano auto-
determinantisi. Ma se così fosse vorrebbe dire che non ci resta altra scelta in quanto individui che
accettare la struttura normativa nella quale Parsons ravvisa il cuore del sistema sociale. L'idea
dell'ordine normativo formulata dai grandi teorizzatori ci porta a concludere che ogni potere sia
virtualmente legittimato e che il mantenimento delle aspettative di ruolo, una volta stabilito, non è
problematico e non occorre alcun meccanismo quindi per spiegarlo. Tuttavia in questi termini non è
possibile formulare efficacemente l'idea di “conflitto”: antagonismi strutturali, ribellioni su vasta scala,
rivoluzioni, ecc. sono tutte cose che non hanno spazio per essere immaginate in base a questi termini.
Infatti si presume che il sistema una volta istituito non soltanto sia stabile, ma anche armonico.
L'eliminazione magica del conflitto e il miracoloso instaurarsi dell'armonia eliminano da questa teoria
sistematica e generale ogni possibilità che ci si debba scontrare con i mutamenti sociali e con la storia.
nelle strutture sociali dei grandi teorizzatori non trova posto il comportamento collettivo di massi
terrorizzate o di folle eccitate di cui è pieno il nostro secolo.

Il problema dell'ordine potrebbe ora essere chiamato il problema dell'integrazione sociale. Prima di
tutto la domanda “che cosa tiene assieme una struttura sociale?” non comporta una sola risposta,
perché le strutture sociali differiscono profondamente. Con la Grande Teorizzazione non possiamo
pensare la varietà umana, non possiamo concepire ad esempio la Germania nazista del 1936, la
Sparta nel settimo secolo a.C., gli Stati Uniti del 1836, la Roma del tempo di Diocleziano. Il solo fatto
di elencare questa varietà suggerisce che qualunque cosa tali società abbiano in comune, è proprio la
cosa che deve essere scoperta con la ricerca empirica. Istituzioni quali quella politica, familiare,
militare, economica, religiosa, ecc. una volta definite in modo tale da poterne riconoscere i contorni in
una data società storica, ci si chiede come l'uno sia collegato con gli altri, vale a dire come essi si
compongono in una struttura sociale. Per Mills è ovvio che non vi è una grande teoria, uno schema
unico universale nei cui termini si possa comprendere l'unità della struttura sociale, non vi è una
risposta sola al problema dell'ordine sociale.

Ad ogni modo, Mills non espone questi punti nella pretesa di formulare una soluzione definitiva dei
problemi dell'ordine e del mutamento, ovvero della struttura sociale e della storia, tuttavia sostiene
che in The Social System, Parsons non sappia fare della vera scienza sociale perché è dominato
dall'idea che quell'unico unico modello di ordine sociale, che egli stesso ha costruito, sia una specie di
modello universale, in altri termini perché ha fatto del suo concetto un feticcio.

III – L’empirismo astratto


Al pari della Grande Teorizzazione, l'empirismo astratto costituisce una rinuncia ai compiti delle scienze
sociali. La nuova scuola assume generalmente come fonte principale dei suoi dati un questionario-tipo,
sottoposto ad una serie di individui scelti in base ad un procedimento di campionatura. Le risposte
vengono classificate e le si usa poi per fare delle statistiche. È proprio questa facilità di apprendere il
procedimento che spiega l'attrattiva che tale sistema esercita. I risultati vengono espressi sottoforma
di giudizi statistici. Vi sono inoltre molti modi complicati di manipolare questi dati. La massima parte
del lavoro in questo stile ha per oggetto l'opinione pubblica, ma anche atteggiamenti, sentimenti,
valori, informazioni e le azioni corrispondenti. Ogni aggregato può quindi essere campionato
statisticamente. Nelle società occidentali il “pubblico” raggiunge il suo vertice nell'idea della società di
massa. Molti problemi che gli empiristi astratti cercano di trattare (ad es. gli effetti dei mezzi di
comunicazione di massa), non possono essere formulati adeguatamente se non sopra uno sfondo
strutturale. Il tentativo può essere indubbiamente di grande importanza per gli interessi della
pubblicità, ma non costituisce una base adeguata per sviluppare una teoria del significato sociale di
questi mezzi. L’empirismo astratto ha scelto come principale argomento lo studio della vita politica, il
comportamento elettorale, probabilmente perché molto accessibile alla ricerca statistica. Ma i risultati
sono esigui. Tale tipo di ricerca sociale può essere utile ai fini amministrativi, tuttavia i risultati
possono essere deludenti per chiunque aspiri a comprendere qualcosa come ad es. riguardo il “soldato
americano in guerra”. Il tentativo porterebbe nell'incerto regno della speculazione. Nell'empirismo
astratto persiste inoltre l'abitudine di scegliere delle piccole città come zone campione, nonostante il
fatto evidente che non si può portare un aggregato di studi del genere al punto da costituire un quadro
adeguato dell'intera struttura nazionale. Insomma, per Mills costoro hanno studiato problemi di
empirismo astratto formulando domande e risposte soltanto entro i limiti curiosamente auto-imposti
della loro arbitraria epistemologia. In quanto stile di scienza sociale l'empirismo astratto non è
caratterizzato da alcuna posizione o teoria sostanziale, è contraddistinta piuttosto dal genere di
problemi che i suoi seguaci tipicamente scelgono di studiare e dal modo in cui si studiano. Le
caratteristiche intellettuali dell'empirismo astratto che è più importante fissare sono la filosofia della
scienza dei suoi seguaci e il modo in cui se ne servono. Anche se i seguaci di questo stile non
sembrano generalmente consci del fatto che è proprio una filosofia quella sulla quale si fondano. Nelle
loro tesi un punto che rimane inalterato è che essi sono scienziati della natura. In pratica, gli empiristi
astratti sembrano spesso più interessati alla filosofia della scienza che allo studio sociale vero e
proprio. Insomma abbracciano una filosofia della scienza che chiamano Il Metodo scientifico, in base al
quale pare che sia la metodologia stessa a determinare i problemi. L'empirismo astratto sembra
spesso consistere di sforzi mirati a riconfermare certe filosofie di scienza naturale in modo da farne
una norma per il lavoro di scienza sociale. Inoltre, l'epistemologia della scienza è parassitaria dei
metodi che i fisici, sia teoretici sia sperimentali, adottano via via. La formulazione più esplicita
dell'empirismo astratto quale stile di lavoro è stata fornita da Paul Lazersfield, che è fra gli esponenti
più sofisticati di questa scuola. Lazersfield definisce la sociologia nei termini della sua qualità di
specialità metodologica, ma sotto questo profilo il sociologo diventa il metodologistica anche di tutte le
altre scienze sociali. Per Lazersfield vi è anzitutto uno spostamento dell'enfasi dalla storia delle
istituzioni e delle idee al comportamento concreto degli uomini, ma in realtà nell'empirismo astratto il
comportamento concreto degli uomini non è la vera unità di studio. In secondo luogo, prosegue
Lazersfield, vi è la tendenza a non studiare soltanto un settore delle questioni umane, ma a riferirlo ad
altri settori (mentre per Mills questo pare non sia esatto). In terzo luogo vi è la preferenza per lo
studio di quelle situazioni e di quei problemi sociali che si ripetono, piuttosto che per quelli che si
verificano una volta sola. Con ciò Lazersfield intende dire che le elezioni sono un fatto che impegna
molta gente e che si ripete, cosicché il comportamento elettorale dei singoli può essere studiato
statisticamente e ristudiato ancora e ancora. Infine, conclude Lazersfield, è posta una grande enfasi
sugli eventi sociali contemporanei piuttosto che su quelli storici. Il sociologo avrà quindi la tendenza a
trattare principalmente gli eventi contemporanei per i quali ha maggiori probabilità di procurarsi i dati
che gli occorrono. Ma per Mills questo preconcetto epistemologico è in contrasto con la formulazione di
problemi sostanziali come punti di orientamento del lavoro di scienza sociale. A questa concezione
della sociologia vengono attribuiti da Lazersfield altri due compiti: raccogliere i dati che gli occorrono e
fabbricare gli strumenti per le altre scienze sociali. Lo scienziato sociale molto spesso deve richiedere
materialmente alle persone ciò che hanno fatto o visto o voluto e non sempre le persone ricordano, a
volte sono riluttanti, oppure non comprendono esattamente ciò che si vuol sapere. Si è sviluppata così
l'importante e difficile arte dell'intervista. Ma il sociologo ha avuto storicamente anche una terza
funzione, ovvero quella di interprete ed è utile a questo punto distinguere fra descrizione ed
interpretazione dei rapporti sociali. Non si comprende chiaramente se Lazersfield voglia formulare nel
suo complesso una teoria della funzione storica effettiva dei sociologi o se invece voglia semplicemente
suggerire che i sociologi dovrebbero essere i custodi dell'interpretazione di ogni cosa. Per Mills forse si
tratta di propaganda a favore di una filosofia della tecnica. Questa concezione del sociologo come
creatore di scienza, costruttore di strumenti, custode delle interpretazioni nel tranquillo guscio degli
istituti di ricerca, solleva vari problemi. In primo luogo, questi studi, essendo generalmente molto
costosi hanno dovuto essere modellati sui problemi di quei gruppi di interessi che li hanno finanziati. I
ricercatori quindi non hanno potuto scegliere i problemi. Insomma, l'economia della verità (ovvero il
costo della ricerca) sarebbe stata in conflitto con la politica della verità (ovvero l'uso della ricerca per
chiarire i problemi e per avvicinare alla realtà la controversia politica). Dato l'alto costo de Il Metodo,
coloro che lo applicano inoltre sono spesso coinvolti nello sfruttamento commerciale e burocratico del
loro lavoro, il che ha influenzato il loro stile. Le scienze empiriche, scrive Lazersfield, devono lavorare
in problemi specifici e costruire una conoscenza più ampia mettendo insieme i risultati di molte
indagini minuziose. In pratica consiglia di restringere il lavoro a indagini minuziose partendo dal
presupposto che i risultati di queste indagini possono essere messi insieme e che l'ammasso possa
costituire una scienza sociale integrata. Via via che il creatore di scienza trasforma le filosofie sociali in
scienze empiriche e fonda istituti di ricerca nei quali ospitarle, si produce un gran numero di studi,
tuttavia non esiste principio o teoria che guidi la scelta di ciò che deve essere l'oggetto di questi studi.
Potrebbe essere la felicità, potrebbe essere il comportamento commerciale. Si parte sempre dalla
presunzione che basti applicare Il Metodo perché tutti gli studi si sommino alla fine in una scienza
pienamente organizzata e sviluppata dell'uomo e della società. Questi studi molto spesso vanno sotto il
nome di “psicologismo” poiché le questioni poste in questi studi sono espresse in termini di reazioni
psicologiche di singoli individui. Non si servono mai dell'idea basilare della struttura sociale storica, né
nel definire i loro problemi né nello spiegare i loro reperti microscopici. Tuttavia invece sappiamo che
le cause di molti mutamenti dell'ambiente sono spesso sconosciute agli intervistati di ambienti specifici
e che questi mutamenti possono essere compresi soltanto in termini di trasformazioni strutturali.
Naturalmente tale concezione generale è al polo opposto dello psicologismo. I tipi di variabili da
isolarsi e da osservarsi nell'interno dei singoli ambienti dovrebbero essere quelli che sono risultati
importanti al nostro esame della struttura. È difficile immaginare lo sviluppo della scienza sociale come
qualcosa che scaturisca da un gruppo sparso di individui, per quanto ben definito. Non è possibile
congiungere tra loro, in modo così meccanico, le singole parti, ma non è affatto insolito, nella pratica
dell'empirismo astratto, che i dati siano raccolti e manipolati con un'analisi statistica più o meno
standardizzata. Dopodiché si ingaggia un sociologo o addirittura una serie di sociologi, per analizzarli
veramente. Fra gli empiristi astratti la definizione della bibliografia del problema è eseguita solo dopo
che i dati sono stati raccolti ed elaborati. Inoltre, è un lavoro che richiede molto tempo e pazienza, per
cui lo si affida il più delle volte ad un assistente al fine di creare attorno allo studio empirico l'aureola
della “teoria” e dargli un significato. Sarà magari meglio di niente, ma potrà indurre in inganno. Ciò
riduce il termine “teoria” ad una raccolta di variabili interpretative. Negli studi dello stile empirico
astratto si usano concezioni generali per formulare problemi strutturali o psicologici che formino una
buona facciata per la stesura finale di uno studio. Tutto questo si risolve nell'uso della statistica per
illustrare dei punti generali e nell'uso di punti generali per illustrare la statistica. Ci si serve di questi
espedienti per dare un'apparenza di significato strutturale, storico e psicologico a studi che proprio in
virtù del loro stile di astrazione, hanno eliminato quel significato. A questo punto potremmo chiederci
per quale livello di verificazione dovrebbero decidersi i lavoratori della scienza sociale? Potremmo
diventare così esigenti da non poter necessariamente avere altro chi esposizioni molto
particolareggiate o potremmo all'incontrario essere così poco esigenti da avere soltanto delle
grandissime concezioni. Le vittime dell'inibizione metodologica si rifiutano di dire sulla società alcuna
cosa che non sia passata attraverso la macina del rituale statistico. Mills si chiede fino a che punto non
si confonda esattezza, o addirittura pseudo-precisione, con verità. Per Mills possiamo chiaramente
constatare che un empirismo rigido, qual’è l'empirismo astratto, esclude dal campo dell'indagine i
grandi problemi sociali e umani del nostro tempo. È chiaro che con una conveniente astrazione
possiamo essere esatti in qualsiasi cosa. Possiamo senz’altro affermare che i metodi specifici
dell'empirismo sono evidentemente adatti e opportuni per lavorare su molti problemi, come quando ad
es. nell'elaborare una teoria dell’élite abbiamo bisogno di conoscere le origini sociali di un gruppo di
generali e quindi cerchiamo di stabilire in quali proporzioni essi provengano da vari strati sociali e
facciamo una serie di diagrammi. Ma nessuno è tenuto a considerare questi procedimenti generalizzati
come l'unico tipo di procedimento adatto o ad accettare questo modello come una norma generale ed
esclusiva. Per Mills non è di certo l'unica maniera empirica. Intellettualmente, scuole come quelle della
Grande Teorizzazione o dell'empirismo astratto, rappresentano delle rinunce alla scienza sociale
classica e la principale ragione è la loro mancanza di solidi nessi con problemi effettivamente
sostanziali.

IV – Tipi di praticità
Per giudicare i problemi e i metodi delle varie scuole di scienza sociale dobbiamo orientarci su un gran
numero di valori politici e di questioni intellettuali, poiché non c'è problema che possa essere
impostato bene se non si sa a chi e a che cosa si riferisce. Il lavoro di scienza sociale è stato sempre
accompagnato da problemi di valutazione, ma l'intellettuale cercherà di operare nella piena
consapevolezza dei suoi presupposti e implicazioni, fra cui il significato morale e politico, oltre che la
funzione, del suo lavoro per la società nella quale lo compie. La maggior parte delle questioni sociali
contengono concezioni non chiare e pregiudizi valutativi. Determinare se un simile conflitto esista o
non esista è uno dei primi compiti che spesso gli scienziati sociali si addossano. Un simile lavoro porta
talvolta ad una nuova formulazione della questione che apre la via alla soluzione. Al traguardo ultimo
tuttavia i problemi morali diventano problemi di potere e la forma finale del potere è la coercizione.
Nella scelta dei problemi che studiamo sono impliciti dei valori ed anche nelle concezioni chiave di cui
ci serviamo ed il processo risolutivo sono influenzati da valori con implicazioni morali e politiche. Lo
scienziato sociale non può limitarsi a descrivere i fatti neutralmente, che lo voglia o no, che ne sia
consapevole o no, chiunque spendere la propria vita studiando la società e pubblicando i risultati del
suo studio, agisce moralmente, e di solito anche politicamente. Al giorno d'oggi la ricerca sociale è
spesso destinata a servire direttamente i generali dell'esercito, i dirigenti di società e così via. Questo
impiego burocratico non ha fatto che crescere e non c’è dubbio che continuerà a farlo. Da un punto di
vista storico la scienza sociale è stata usata più a scopi ideologici che a scopi burocratici, tuttavia oggi
pare che tale equilibrio si stia appunto spostando. Per Mills, le scienze sociali non possono non essere
importanti ai fini burocratici e ideologici. Si prenda ad es. la seconda metà del XIX secolo in cui la
scienza sociale è stata direttamente collegata negli Stati Uniti con i movimenti di riforma e le attività di
miglioramento sociale nel tentativo di applicare la scienza ai problemi sociali, cercando di trasformare
le difficoltà della classe inferiore in problemi pubblici della classe media. Da qui scaturirono le varie
associazioni professionali e col tempo, le varie discipline accademiche delle scienze sociali. Ma tale
divisione non è valsa a rendere moralmente neutre e scientificamente asettiche le specialità
accademiche.

A differenza degli europei, i sociologi americani hanno rivelato una forte tendenza a trattare un
problema per volta. In altre parole hanno suddiviso e disperso la loro attenzione presupponendo,
secondo la teoria democratica della conoscenza, che tutti i fatti nascano e uguali. Hanno persistito
nell'idea che per ogni fenomeno sociale debba necessariamente esservi un grandissimo numero di
piccole cause. Questo pluralismo causale è utilissimo ai fini di una politica liberale di piccole riforme.
L'idea infatti che le cause degli eventi sociali siano necessariamente numerose, piccole e sparse si
trasforma facilmente nella prospettiva che potremmo chiamare “praticità liberale”. Insomma, la
divisione e dispersione degli studi, l'indagine dei fatti e l'inerente confusione pluralistica delle cause
sono le caratteristiche essenziali della praticità liberale come stile di studio sociale. Nella praticità
liberale si dà generalmente rilievo a tutto ciò che tende ad un equilibrio armonico. Ogni cosa è vista
come processo continuo, non si avvertono i mutamenti improvvisi di velocità e gli spostamenti
rivoluzionari così caratteristici del nostro tempo (o quando si avvertono sono considerati
semplicemente come segni di uno stato patologico). La praticità liberale tende ad essere a-politica,
aspira ad una specie di opportunismo democratico. Quando i suoi seguaci si imbattono in qualcosa di
politico, gli aspetti patologici di questo qualcosa vengono solitamente indicati con termini quali
antisociale, corruzione, ecc. Spesso la praticità liberale considera come problema qualunque cosa che
devii dai modi di vita della classe media e non sia in linea con i principi della stabilità e dell'ordine.

Negli ultimi decenni sono sorte diverse nuove specie di praticità. Il liberalismo è diventato più che
movimento di riforma, una forma di amministrazione dei servizi sociali in uno Stato assistenziale. La
sociologia ha perduto la sua spinta riformatrice, la sua tendenza alla divisione e alla dispersione dei
problemi, è stata utilizzata a favore delle grandi compagnie, dell'esercito, dello Stato. Con il
progressivo affermarsi di queste burocrazie sul piano economico, politico, militare, il significato di
“pratico” ha subito uno spostamento. Si è finito per considerare pratico ciò che si ritiene serva agli
scopi di queste grandi istituzioni. È quella che chiameremo la “praticità illiberale”. Istituzioni nelle
quali si è insediata questa praticità illiberale sono ad es. centri di relazioni industriali, uffici universitari
di ricerca, nuovi settori di ricerca di grandi compagnie, nel governo. Queste istituzioni non si occupano
dei calpestati esseri umani che vivono al fondo della società, ma piuttosto si collegano idealmente e di
fatto con i livelli superiori della società e in particolare con gli illuminati circoli dei direttivi affaristici.
Per la prima volta, gli studiosi di scienze sociali sono entrati in rapporto professionale con poteri privati
e pubblici ben più alti dell'ente assistenziale. Così la loro situazione muta da accademica a burocratica,
il loro pubblico muta da ambienti che vogliono una riforma ad ambienti che prendono le decisioni, i
loro problemi mutano da problemi di propria scelta a problemi scelti da nuovi clienti. Anche gli studiosi
mutano, tendendo a diventare meno ribelli intellettualmente e più pratici in senso amministrativo.
Finiscono inoltre generalmente per accettare lo status quo. La nuova praticità in effetti è una risposta
accademica ad una fortemente aumentata richiesta di tecnici amministrativi che trattino le “relazioni
umane”. Per Mills, la comunità accademica americana nel suo complesso è moralmente aperta alla
nuova praticità che la sta permeando sia dentro che fuori dell'università. Gli uomini della cultura si
trasformano in esperti nell'interno i meccanismi amministrativi.

V – L’ethos burocratico
Mills intende inoltre aprire una discussione sull'ethos della praticità illiberale affermando che chi
pratica questo stile di ricerca assume ben presto la prospettiva politica del suo cliente e
signore burocratico ed assumerla significa spesso, con l'andare del tempo, accettarla. Può
sembrare un'ironia che proprio chi è più interessato a sviluppare metodi moralmente puri sia fra i più
profondamente impegnati nella “scienza sociale applicata”. Poiché il lavoro di studio nello stile
empirico astratto è costoso, questo stile è di conseguenza identificato con determinati
centri istituzionali: quello della pubblicità, delle organizzazioni di vendita, delle grandi
compagnie e delle organizzazioni sindacate per la raccolta delle preferenze (polling
agencies), oppure nei reparti di ricerca del governo federale. All'idea dell'università intesa come
circolo aristocratico di professionisti, ciascuno con i suoi apprendisti e con la sua arte, tende a
sostituirsi quella dell'università intesa come complesso di burocrazie di ricerca contenenti ciascuna
un'elaborata divisione del lavoro e quindi dei tecnici intellettuali. L'istituto di ricerca è anche in larga
misura un centro di addestramento. In questi istituti sorgono, a fianco degli studiosi e ricercatori della
vecchia scuola, due tipi di uomini nuovi sulla scena accademica: da un lato il promotore della ricerca,
che è colui che può dare un posto, far compiere un viaggio, affidare una ricerca. Poi c'è la giovane
recluta che sarà meglio definita come tecnico della ricerca anziché come vero e proprio scienziato
sociale. In alcuni di questi studenti l'intelligenza è spesso dissociata dalla personalità, essi la
considerano come un congegno e in quanto tale sperano di poterla commerciare con profitto.
Appartengono a coloro che si sono impoveriti umanisticamente e che vivono riferendosi a valori che
escludono tutto ciò che nasce dal rispetto della ragione umana. Si tratta di tecnici dall'ambizione che
un'errata prassi educativa e una falsa richiesta hanno reso incapaci di possedere l'immaginazione
sociologica. Tuttavia il “mondo delle cricche” non è tutto il mondo accademico. Vi sono anche gli
indipendenti. La cricca dominante può vedere nell'indipendente colui che tiene un atteggiamento
neutrale nei confronti della sua scuola e che può essere considerato come eclettico o semplicemente
come privo di inclinazione sociale, a seconda che il suo lavoro riscuota attenzione favorevole o appaia
valido e utile. I membri della cricca cercheranno di attirarlo a sé e di indirizzarlo, ma fra gli
indipendenti possono esservi anche quelli che non stanno al gioco. Tra gli slogan usati da un gran
numero di scuole di scienza sociale il più frequente è: lo scopo delle scienze sociali è di prevedere e
controllare il comportamento umano. In certi ambienti si sente oggi parlare molto anche di “ingegneria
umana”, sinonimo di “controllo della società”. Chi parla con tanta disinvoltura di previsione e di
controllo adotta evidentemente il punto di vista del burocrate, per il quale, come detto una volta da
Marx, il mondo è un oggetto da manipolare. Ma gli scienziati sociali non possono presumere di avere a
che fare con oggetti così altamente manipolabili né di essere dei despoti illuminati fra gli uomini. Del
resto la nostra sembra essere un'età nella quale le cause dei mutamenti storici risiedono sempre più
nelle decisioni chiave prese o non prese da élite burocraticamente costituite. Tuttavia, è possibile
parlare di controllo anche da un punto di vista che non sia burocratico e la stessa cosa vale per la
previsione. Il punto è che, dire che lo scopo reale e finale dell'ingegneria umana o delle scienze sociali
è di prevedere, equivale a sostituire uno slogan a quella che dovrebbe essere una ragionata scelta
morale ed accettare una prospettiva burocratica dentro la quale una volta che si è pienamente
sviluppati, è molto minore la possibilità di scelta morale. Ad ogni modo la burocratizzazione dello
studio sociale è una tendenza ormai sempre più generale, infatti secondo Mills se i due stili di lavoro
dell'empirismo astratto e della Grande Teorizzazione dovessero finire per godere di un monopolio
intellettuale o diventare gli stili di lavoro predominanti, rappresenterebbero una grave minaccia per la
promessa intellettuale delle scienze sociali stesse.

VI – Le filosofie della scienza


La confusione regnante nelle scienze sociali è legata alla lunga controversia sulla natura della scienza.
Non esiste un uso sistematico di una specifica versione. È in parte a causa di questa situazione che i
modelli epistemologici dei filosofi della scienza naturale esercitano l'attrattiva che esercitano. Il
compito dei prossimi decenni, dice Mills, è di unire i più grandi problemi e la massa del lavoro teoretico
del XIX secolo, soprattutto quello tedesco, con le tecniche di ricerca che predominano nel XX secolo,
soprattutto quella degli americani. In questo grande processo dialettico, si pensa, potranno essere
compiuti progressi importanti in fatto di rigore di procedura. Sotto forma di annotazioni marginali al
lavoro in corso si sviluppano generalmente delle utili discussioni di metodo e di teoria. Il metodo si
riferisce anzitutto al come porre quesiti e al come dare risposte certe più o meno durature. La teoria si
riferisce all'attenzione con la quale si usano le parole, specie per quanto riguarda il loro grado di
generalizzazione e le loro relazioni logiche. Scopo di ambedue è la chiarezza della concezione e
l'economia della procedura. Per Mills, essere giunto a dominare metodo e teoria significa essere
diventato un pensatore consapevole delle implicazioni di tutto ciò che fa. Inoltre, senza la volontà di
portare lo studio a risultati significativi, qualsiasi metodo è vuota presunzione. Per lo scienziato
classico i metodi sono metodi per una certa gamma di problemi, le teorie sono teorie per una certa
gamma di fenomeni. Sono come la lingua del paese nel quale si vive. Lo studioso di scienze sociali
deve dominare molto bene lo stato di conoscenza della zona a cui si riferiscono gli studi in esame. Per
Mills le dichiarazioni di metodo promettono di guidarci verso modi migliori di studiare qualcosa, spesso
addirittura di studiare ogni cosa. Le elaborazioni di queste teorie, sistematiche e non sistematiche,
promettono di renderci agili nel fare le opportune distinzioni quando dobbiamo interpretare ciò che
vediamo e ciò che facciamo. Ma ne’ il metodo né la teoria possono essere presi da soli come parte del
lavoro effettivo degli studi sociali. L'empirismo quotidiano del senso comune è gremito di preconcetti e
di stereotipi di questa o quella società particolare, poiché il senso comune determina ciò che si vede e
il modo di spiegarlo. Se tentate di sottrarvi a questa condizione mediante l'empirismo astratto, finite
lentamente per cercare di accumulare l'uno sull'altro i particolari astratti con i quali avete a che fare.
Se invece tentate di sottrarvi con la grande teorizzazione, svuotate i concetti di ogni riferimento
empirico e vi troverete del tutto soli nel mondo storico che state costruendo. Una concezione è un'idea
con un contenuto empirico. Se l'idea è troppo grande per il contenuto vuol dire che vi state avviando
verso la trappola della grande teorizzazione, se invece il contenuto inghiotte l'idea vuol dire che vi
state avviando verso il trabocchetto dell'empirismo astratto. Membri di ciascuna scuola ne sono
consapevoli. Ciò che gli empiristi astratti chiamano dato empirico è una visione molto astratta dei modi
sociali di ogni giorno. Il lavoro classico sta in gran parte fra l'empirismo astratto e la grande
teorizzazione. Il lavoro classico non è meno empirico dell'empirismo astratto, anzi spesso lo è di più. Il
problema della verifica empirica consiste nel come scendere ai fatti senza lasciarsene sopraffare, come
ancorare le idee ai fatti senza che affondino. Prima di tutto occorre sapere che cosa verificare, poi
come verificare. Nella grande teorizzazione la verifica è fiduciosamente deduttiva. Nell'empirismo
astratto ciò che si deve verificare non sembra essere preso come problema serio. Il come verificare è
quasi automaticamente determinato da come si formula il problema. Nella prassi classica ciò che si
deve verificare è considerato generalmente più importante di come verificarlo. La scelta di ciò che si
deve verificare è fatta in base a determinate regole come ad es. cercare di verificare quegli aspetti
dell'idea che sembrano promettere il maggior numero di conclusioni di rilievo per l'elaborazione. Questi
aspetti si chiamano cardinali (se questo è così allora ne consegue che anche questo e quest'altro
devono essere così, se invece così non è, diversa è la conclusione che ne consegue), una delle ragioni
che giustificano questo procedimento è il bisogno di economia di lavoro: verifica empirica, prova,
documentazione sono tutte perdite di tempo noiose. Di solito il maestro classico progetta il suo lavoro
sottoforma di una serie di studi empirici su piccola scala ciascuno dei quali si presenta come il cardine
di questa o quella parte della soluzione che sta elaborando. La soluzione viene confermata, modificata,
confutata a seconda dei risultati di questi studi empirici. Per Mills ogni modo di lavoro nel campo degli
studi sociali implica una teoria del progetto del progresso scientifico che è cumulativo, ovvero non è la
creazione di un solo uomo, ma il frutto del lavoro di revisione e di critica di molti uomini che aggiunge
o sottrae qualcosa allo sforzo di ciascuno. Ciò è necessario in nome dell'obiettività. Si deve dichiarare
ciò che si è fatto in modo che gli altri possano controllarlo. La teoria del progresso scientifico è cara
agli scienziati sociali classici che non ritengono che una serie di studi microscopici debba
necessariamente formare per accumulazione una scienza sociale pienamente sviluppata, come invece
credono i grandi teorizzatori. Si rifiutano di ammettere che tale materiale diventerà necessariamente
utile per scopi diversi dagli attuali, non accettano la teoria dello sviluppo a mosaico della scienza
sociale. La scienza sociale classica insomma, non costruisce dallo studio microscopico così come non
deduce dall'elaborazione concettuale. Il punto focale classico coincide piuttosto con i problemi
sostanziali. Che l'uomo se ne renda conto o no il modo in cui imposta i suoi problemi e l'ordine di
precedenza nel quale li colloca dipendono da metodi, teorie e valori. Certi studiosi di scienze sociali
tuttavia non sanno quale sia l'impostazione dei loro problemi. Non ne sentono neanche il bisogno,
perché in verità non determinano i problemi sui quali lavorano. Alcuni accettano come punti di
orientamento i problemi definiti ufficialmente dall'autorità o da gruppi di interesse, come ad es. è
accaduto ai colleghi dell'Europa orientale e della Russia perché hanno vissuto sotto un'organizzazione
politica che controlla ufficialmente la sfera intellettuale e culturale. Tale fenomeno in realtà non manca
anche in Occidente e in America. Nella scienza sociale burocratica, della quale l'empirismo astratto
costituisce lo strumento più idoneo e la grande teorizzazione rappresenta la corrispettiva mancanza di
teoria, l'intero sforzo sociologico è stato costretto al servizio dell'autorità dominante. Per Mills nessun
problema può considerarsi come formulato adeguatamente se manca la postulazione dei valori che
esso implica. Nel lavoro sociologico, obiettività significa sforzo continuo di diventare esplicitamente
consapevoli di tutto ciò che l'impresa implica.

VII – La varietà umana


Per Mills se la scienza sociale è piena di confusione si deve sfruttare tale confusione invece di
lamentarsene. Se è malata, il fatto stesso di riconoscerla tale può e deve essere considerato come un
invito alla diagnosi e addirittura come un segno di inizio di guarigione. Ciò di cui la scienza sociale si
occupa propriamente è la varietà umana e il complesso dei mondi sociali in cui vive ed ha vissuto.
L'Europa, la Cina, la Roma antica, Los Angeles, l'antico impero peruviano, tutti i mondi conosciuti
dall'uomo si aprono davanti a noi offrendosi al nostro esame. Lo studioso di scienze sociali cerca di
comprendere la varietà umana in modo ordinato, però, constatando l'ampiezza di questa varietà
avrebbe anche diritto di chiedersi: è veramente possibile comprenderla? La confusione delle scienze
sociali è il riflesso inevitabile della confusione di ciò che i loro adepti cercano di studiare. Per giungere
ad una comprensione ordinata di uomini e società occorre un complesso di angoli visuali molto
semplici da rendere possibile tale comprensione, ma che allo stesso tempo siano tanto estesi da
permettere di abbracciare con lo sguardo tutta l'ampiezza della varietà umana. Lo scopo è di definire
la realtà storica e discernerne i significati. Dal punto di vista storico gli studiosi di scienze sociali hanno
rivolto particolare attenzione alle istituzioni politiche ed economiche, militari e familiari, religiose ed
educative. Se comprendiamo come sono collegati fra loro questi ordini istituzionali comprendiamo
anche la struttura sociale di una società. Quindi il più ampio obiettivo dello studioso di scienze sociali è
di conseguenza quello di comprendere ogni singola varietà di struttura sociale nei suoi componenti e
nel suo complesso. Lo Stato-nazionale è oggi la forma dominante nella storia mondiale, ha organizzato
in vario modo i continenti della terra. Naturalmente gli studiosi di scienze sociali non si limitano a
studiare soltanto strutture sociali nazionali ma sta di fatto che lo Stato nazionale è la cornice entro la
quale sentono più spesso il bisogno di formulare i problemi di unità più piccole o più grandi. L'idea di
struttura sociale è storicamente associata in modo molto intimo con la sociologia. L'oggetto
tradizionale tanto della sociologia quanto dell'antropologia è stato la società nel suo complesso, o come
dicono gli antropologi, la cultura. Per Mills l'antropologia culturale, tanto nella sua tradizione classica
quanto nei suoi sviluppi più recenti, non può essere distinta in modo fondamentale dallo studio
sociologico. Con il progredire delle singole scienze sociali, la loro azione reciproca si fa più intensa. Non
si deve pensare che di fronte alla grande varietà della vita sociale, gli studiosi di scienze sociali
abbiano diviso razionalmente il lavoro da compiere. La specializzazione esiste e continuerà ad esistere,
ai tempi di Mills ad es., ad Oxford e a Cambridge non vi era una specializzazione di sociologia.

VIII – L’uso della storia


La scienza sociale ha a che fare con i problemi della biografia, della storia e della loro incidenza nel
corpo delle strutture sociali. I problemi della nostra epoca non possono essere formulati
adeguatamente se non si è messa concretamente in pratica la concezione che la storia è il sostegno
dello studio sociale e se non si è riconosciuta la necessità di sviluppare ulteriormente una psicologia
dell'uomo sociologicamente fondata e storicamente significativa. Senza l'uso della storia e senza un
senso storico delle questioni psicologiche, lo studioso di scienze sociali non può formulare
adeguatamente quelle specie di problemi che dovrebbero oggi essere i punti di orientamento dei suoi
studi. La storia, in quanto disciplina, invita alla ricerca del particolare, ma sollecita anche un
ampliamento dell'angolo visuale che consenta di abbracciare eventi chiave di epoche nello sviluppo di
strutture sociali. Nello studiare i tipi di istituzioni, gli storici tendono a sottolineare i mutamenti su di
un certo spazio di tempo e a lavorare in modo non comparativo. Invece, il lavoro di molti studiosi di
scienza sociale, che studiano i tipi di istituzioni, è stato più comparativo che storico. Ma la differenza è
soltanto di enfasi e di specializzazione nell'interno di un compito comune. Bisogna dire che già ai tempi
di Mills molti storici americani sono fortemente influenzati dalle concezioni, dai problemi e dai metodi
delle diverse scienze sociali. Per Mills il compito principale dello storico è di tenere in regola il diario
dell'umanità, poiché egli rappresenta la memoria organizzata dell'umanità che, tuttavia, sottoforma di
storia scritta è enormemente malleabile. Essa muta e spesso in modo del tutto radicale da una
generazione di storici all'altra. Cambiano i criteri di scelta fra gli innumerevoli fatti disponibili e al
tempo stesso cambiano le interpretazioni del loro significato. Lo storico non può evitare di compiere
una ristretta e selettiva scelta di fatti. Tutti questi pericoli dell'impresa rendono impressionante la
tranquilla incoscienza di molti storici. Oggi lo storico che non abbia una teoria può fornire il materiale
per scrivere la storia, ma non può scriverla egli stesso. La produzione degli storici può considerarsi
come un grande archivio indispensabile per tutta la scienza sociale. Ogni ben impostato studio sociale
deve essere concepito secondo uno scopo storico e condotto con largo uso di materiale storico. Questa
semplicissima nozione è l'idea madre per la quale Mills si batte. Secondo Sweezy, ad es. la sociologia è
un tentativo di scrivere “il presente come storia”. Molti sono i motivi di questo intimo rapporto tra
storia e sociologia:
1. Abbiamo bisogno della varietà offertaci dalla storia persino allo scopo di porre nel giusto modo le
domande sociologiche, anche più che per dar loro una risposta. La cosa che ci interessa deve
essere da noi studiata nella varietà delle circostanze, se non vogliamo essere confinati alla pura e
piatta descrizione. Se non teniamo conto di questa gamma, le nostre enunciazioni non possono
considerarsi come empiricamente adeguate. Non abbracciando con il nostro studio un arco più
ampio ci condanniamo spesso a risultati miseri e fallaci. Ad es. quando si dice che i contadini del
mondo preindustriale erano “politicamente indifferenti”, non si esprime la stessa cosa di quando si
dice che l'uomo della moderna società di massa è politicamente indifferente. Anzitutto, l'importanza
delle istituzioni politiche per la vita sociale differisce profondamente nelle società. Diverse sono poi
le possibilità formali che l'uomo ha di diventare politicamente impegnato. Nel mondo pre-industriale
non sempre vediamo sollecitate le aspettative di partecipazione politica che sono andate invece
accendendosi durante tutto il percorso di sviluppo della democrazia borghese nelle società
occidentali moderne. Per comprendere l’indifferenza politica, per cogliere il significato che essa ha
per le società moderne, occorre considerare i diversissimi tipi e le diversissime condizioni
dell'indifferenza, e per far questo occorre prendere in esame il materiale storico e comparativo
2. Gli studi astorici tendono generalmente ad essere studi statici. Ciò che Marx chiama “principio della
specificità storica” riguarda in primo luogo una linea-guida: qualsiasi società determinata non può
essere compresa se non nei termini del periodo specifico nel quale esiste. Ciò significa che
nell'interno di quel tipo storico si verifica un incontro specifico di diversi meccanismi di mutamento.
Questi sono proprio quelli che lo studioso di scienze sociali desidera afferrare quando si occupa di
struttura sociale. Infatti, i primi teorici sociali cercano di formulare delle leggi costanti della società
e valide per qualsiasi società al pari della scienza della natura.
3. Nella nostra epoca i problemi delle società occidentali sono quasi inevitabilmente i problemi del
mondo. Un fatto che caratterizza la nostra epoca è forse che, per la prima volta nella storia
dell'umanità, i vari e diversi mondi sociali che essa contiene sono tutti coinvolti in un processo di
rapido, concreto ed evidente interscambio. Studiare la nostra epoca significa esaminare
comparativamente questi mondi e la loro azione reciproca. Studio comparativo e studio storico
dovrebbero quindi essere profondamente intrecciati l'uno all'altro. Per comprendere e spiegare i
fatti comparativi, così come si presentano oggi ai nostri occhi dobbiamo conoscere le fasi storiche e
le ragioni storiche del mutare della velocità e della direzione dello sviluppo o della sua assenza.
4. Anche quando il nostro lavoro non è esplicitamente comparativo e ci interessiamo di una zona
limitata di una struttura sociale nazionale, abbiamo bisogno di materiale storico. Se vogliamo
comprendere i mutamenti dinamici della struttura sociale contemporanea dobbiamo cercare di
discernere i suoi sviluppi a più lunga scadenza e riferendoci ad essi, chiederci: secondo quale
meccanica si sono manifestati e sta mutando la struttura della società? Ogni epoca, una volta
definita correttamente, è un campo intelligibile di studio. Ad es. “status e classe” di Weber,
“militare e industriale” di Spencer, “gruppi primari e secondari” di Cooley, “meccanico e organico”
di Durkheim, ecc., sono tutte concezioni che hanno radici nella storia. Anche coloro che credono di
non lavorare storicamente rivelano di solito, per il fatto stesso di servirsi di determinati termini,
qualche nozione di tendenze storiche e fin’anche un senso dell'epoca.
Per Mills i problemi di psicologia sociale e storia sono per molti versi i più complicati che si presentino
al nostro studio oggi. Le trasformazioni storiche sono gravide di significato per il modo di vita
dell'individuo e addirittura per il suo carattere, per i limiti e le possibilità dell'essere. L'uomo non può
essere compreso adeguatamente se lo si considera come una creatura biologica isolata, come un
fascio di riflettori o un insieme di istinti o un sistema in sé e perse. Insomma, per Mills la vita di un
individuo non può essere compresa adeguatamente senza riferimento alle istituzioni entro le quali si
svolge la sua biografia.

IX – Ragione e libertà
Liberalismo e socialismo sono due ideologie scaturite dall'Illuminismo che hanno in comune molti
valori. In ambedue si considera l'aumento di razionalità come la condizione prima dell'aumento di
libertà. La nozione di progresso come liberazione operata dalla ragione, la fede nella scienza come
bene puro, la richiesta di educazione popolare, la fede nel valore dell'educazione per la democrazia:
tutti questi ideali dell'Illuminismo riposano sul presupposto di un rapporto inscindibile fra ragione e
libertà. I pensatori che più hanno contribuito a modellare il nostro modo di pensare sono andati avanti
secondo questo presupposto. Lo si trova ad es. in ogni sfumatura dell'opera di Freud: per essere liberi
gli individui devono diventare più consapevoli razionalmente. Oppure, lo si trova nel pensiero
marxista: gli uomini devono diventare razionalmente consapevoli della loro posizione nella società.
Tuttavia, per Mills gli sviluppi del suo tempo non possono essere compresi né in termini liberali né in
termini marxisti poiché queste forme di pensiero sorsero per la riflessione su tipi di società che non
esistono più. Mills si trova al cospetto di nuovi tipi di struttura sociale dove il segno ideologico della
Quarta Epoca (nome per definire periodo post-moderno secondo Mills) è che le idee di libertà e di
ragione sono diventate opinabili e non si può più accettare il presupposto che una maggiore razionalità
contribuisca ad una maggiore libertà. Inoltre, il problema della libertà è il problema di come e da chi
devono essere prese le decisioni circa il futuro degli affari umani. Sotto il profilo organizzativo è il
problema del meccanismo di decisione. Sotto il profilo morale è il problema della responsabilità
politica. Inoltre il problema della libertà è che, secondo Mills, è diventato chiaro per tutti che non c'è
uomo che per natura voglia essere davvero libero. In quali condizioni giungono gli uomini a voler
essere liberi e a sapere agire liberamente? In quali condizioni vogliono e sanno gli uomini sopportare i
fardelli che la libertà impone? Mills si domanda anche se si possono portare gli uomini a voler
diventare dei docili robot e se fosse arrivato il momento, nella sua epoca, di prepararsi alla possibilità
che la mente umana come fatto sociale si deteriori qualitativamente senza che molti se ne accorgano,
sopraffatti dalla massa delle piccole invenzioni tecnologiche.

X – La politica
Non c'è modo per lo studioso di scienze sociali di evitare di assumere delle scelte di valore e di inserirle
nel suo lavoro. Tre sono gli ideali politici essenziali che a Mills sembrano inerenti alle tradizioni delle
scienze sociali. Il primo è il valore della verità, del fatto. Le scienze sociali nel momento in cui
determinano il fatto, questo acquista un significato politico. Praticare le scienze sociali significa
anzitutto, secondo Mills, praticare la politica della verità (verità dei reperti, delle ricerche). Il secondo
valore riguarda il ruolo della ragione negli affari umani. Il terzo valore è la libertà umana, in tutta
l'ambiguità del suo significato. Libertà e ragione sono fondamentali ed uno dei compiti intellettuali
come studiosi di scienze sociali è proprio quello di spiegare, definire l'ideale di libertà e quello di
ragione.

Appendice – L’arte intellettuale


Per lo studioso di scienza sociale della tradizione classica la scienza sociale è l'esercizio di un'arte.
Impegnato nello studio di problemi di sostanza, le discussioni generiche di metodo e teoria lo annoiano
ed interrompono il suo vero studio. Il neofita potrà ricevere un'idea del metodo e della teoria solo
partecipando a conversazioni nelle quali gli studiosi si scambiano informazioni su come effettivamente
lavorano. Per Mills chi è dall'inizio dei suoi studi deve sapere che i pensatori più ammirevoli della
comunità accademica alla quale vuole unirsi, non distinguono mai il lavoro dalla condotta di vita,
prendono troppo seriamente l'uno e l'altra per poterli dissociare e si servono dell'uno per arricchire
l'altro, mentre nella generalità degli uomini il divorzio fra lavoro e vita è cosa normalissima, che
secondo Mills ha radice nella vacuità del lavoro che di solito questi individui fanno. Invece, in quanto
studiosi di scienze sociali si ha l'eccezionale opportunità di tracciarsi un vero e proprio programma di
condotta, poiché dedicarsi a uno studio significa scegliere un modo di vita ed una carriera.
Consapevolmente o inconsapevolmente, il lavoratore intellettuale forma il proprio io nel momento
stesso in cui lavora al proprio mestiere. Ciò significa che deve imparare a mettere la sua esperienza di
vita al servizio del suo lavoro intellettuale, studiandola e interpretandola continuamente. Il mestiere
diventa il centro della sua personalità e tutto il suo io si trova impegnato in ogni prodotto intellettuale
sul quale lavora. Per il sociologo l'esperienza personale è importantissima come fonte di lavoro
intellettuale originale. Tenendo un archivio adeguato, un diario, e sviluppando così l'abitudine a
riflettere su se stesso, imparerà a tenere desto il suo mondo interiore. Ogni qualvolta si sente preso
fortemente da avvenimenti o idee deve cercare di non lasciarseli uscire dalla mente, ma di fissarli
piuttosto nel suo archivio esternando ciò che è implicito, dimostrando a se stesso quanto assurde o
sfruttabili fossero le sue idee. L'archivio lo aiuterà inoltre a formarsi l'abitudine di scrivere. Mills si
serve ampiamente di questa “tecnica” nella sua vita e nei suoi lavori.

Conclusione
L'immaginazione sociologica consiste in gran parte nella capacità di passare da una prospettiva a
un'altra, costruendo, nel corso di questo processo, una visione adeguata di una società e dei suoi
componenti. Questa immaginazione è ciò che distingue gli studiosi di scienze sociali dai tecnici puri e
semplici. Per Mills, l'immaginazione sociologica ha la possibilità di stabilire la caratteristica qualitativa
della vita umana del tempo nostro.

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