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L'uomo del nostro tempo ha sovente la sensazione che le sue difficoltà trascendano la cerchia in
cui vive. Alla base di questa sensazione vi sono i mutamenti di struttura delle grandi società
continentali in cui i singoli uomini sono immersi. Non si può comprendere la vita dei singoli se non si
comprende quella della società e viceversa. Ma di solito l'uomo non vede i suoi problemi in termini di
mutamenti storici o di conflitti istituzionali. Non attribuisce il benessere di cui gode o la miseria di cui
soffre ai grandi alti e bassi della società in cui vive. Non sa affrontare i suoi problemi personali in modo
tale da giungere a controllare le trasformazioni strutturali che generalmente sono alla loro base. Dopo
due secoli di ascesa il capitalismo si rivela soltanto come uno dei modi di trasformare una società in
un'organizzazione industriale. La democrazia, anzi l'apparenza della democrazia, si è ristretta ad una
minima parte dell'umanità. L'uomo ordinario per difendere se stesso, la propria intimità, diventa
moralmente insensibile. In questa nostra età del fatto, l'informazione domina e spesso supera la
capacità dell'uomo di assimilarla. L'uomo ha bisogno e sente di avere bisogno di una qualità della
mente che lo aiuti a servirsi dell'informazione e a sviluppare la ragione fino ad arrivare ad una lucida
sintesi di quello che accade e può accadere nel mondo e in lui. È appunto tale qualità che chiameremo
“immaginazione sociologica”.
L'immaginazione sociologica permette a chi la possiede di vedere e valutare il grande contesto
dei fatti storici nei riflessi sulla vita e sul comportamento esteriore di tutta una serie di categorie
umane. Gli permette di capire perché nel caos dell'esperienza quotidiana gli individui si formino un'idea
falsa della propria posizione sociale. Il primo frutto di questa facoltà e la lezione di scienza sociale che
ne consegue, consistono nell'idea che l'individuo può comprendere la propria esperienza e
valutare il proprio destino soltanto collocandosi dentro la propria epoca. Può conoscere le
proprie probabilità soltanto rendendosi conto di quelle di tutti gli individui nelle sue stesse condizioni.
Siamo giunti oggi a sapere che i margini della natura umana sono spaventosamente vasti, che
costruisce una biografia nell'ambito di una particolare sequenza storica. Con il fatto stesso di vivere
l'uomo concorre a formare questa società e ad alimentare questa storia: è la società che lo forma e
la storia che lo spinge. L'immaginazione sociologica ci permette di afferrare biografia e storia e il
loro mutuo rapporto nell'ambito della società.
Il buon sociologo si pone tre ordini di problemi:
• Qual è la struttura di quella particolare società nel suo complesso? Quali sono i componenti e in quali
rapporti reciproci si trovano?
• Qual è il posto di questa società nel quadro della storia umana? Qual è la meccanica del suo
mutamento? Quali sono le caratteristiche essenziali di questo periodo storico? In che senso differisce
da altri periodi?
• Quali tipi di uomini e di donne prevalgono in questa società e in questo periodo? Per quali vie si
selezionano e si formano, sono liberi o repressi, sensibilizzati o resi insensibili?
Sono le questioni che chiunque possegga immaginazione sociologica solleva. Questa facoltà consiste
nel saper passare da una prospettiva ad un'altra: da una prospettiva politica ad una psicologica,
dall'esame di un singolo caso ad uno studio comparativo, dalla scuola di teologia alle istituzioni militari,
dall'analisi dei problemi di un'industria petrolifera alla critica della poesia contemporanea. Insomma,
con la riflessione e la sensibilità si afferra il significato culturale delle scienze sociali.
Un'altra delle distinzioni sulle quali lavora l'immaginazione sociologica e quella che contrappone
le difficoltà personali ai problemi pubblici di struttura sociale. Si consideri sotto questi due
diversi angoli visuali ad es. la questione della disoccupazione, la guerra o anche il matrimonio. Finché
un'economia è organizzata in modo tale da presentare delle depressioni, il problema della
disoccupazione sfugge a qualsiasi soluzione personale. Finché la guerra è inerente al sistema degli
stati-nazione e ai dislivelli di industrializzazione nel mondo, l'individuo ordinario sarà incapace di
risolvere nell'interno della propria orbita ristretta le difficoltà che il sistema o la mancanza di sistema
gli crea. Finché l'istituto della famiglia sarà tale da fare della donna l'adorabile schiava dell'uomo e
dell'uomo il dispensatore di alimenti che non sa vivere senza la donna il problema del matrimonio
continuerà a non poter essere risolto sul piano personale.
Il principale compito politico e intellettuale del sociologo oggi è quello di individuare e definire gli
elementi del disagio e della indifferenza dell'uomo contemporaneo. Questo compito e questo impegno
stanno facendo delle scienze sociologiche il denominatore comune del nostro periodo culturale e
dell'immaginazione sociologica la più necessaria delle nostre facoltà mentali. Tuttavia, i filosofi che
parlano nel nome della scienza la trasformano spesso in “scientismo” (ovvero un indebita estensione di
metodi scientifici validi nell'ambito di scienze particolari, come ad es. quelle naturali, ad altri aspetti
della realtà, ma con pretese di conoscenza altrettanto rigorosa). Con tutto ciò, molti hanno finito per
considerare la scienza come un messia falso e sbruffone.
II – La Grande Teorizzazione
Il fatto che la Grande Teorizzazione di Parsons sembri addirittura impossibile da comprendere è
sicuramente un vantaggio protettivo, anzi, ammalia proprio per la sua spesso stupenda mancanza di
intelleggibilità. I grandi teorizzatori sono talmente sprofondati nell'intelligibilità che dovremmo proprio
chiederci se la Grande Teorizzazione non sia soltanto un confuso gioco di parole. La domanda è quindi:
che cosa dice la Grande Teorizzazione una volta che sono stati rimossi tutti gli impedimenti alla
comprensione e che sia stato portato alla luce ciò che vi è di intelligibile? Se “traducessimo” ciò che
postula in altre parole, potremmo dire che questa teoria afferma che:
“Gli uomini agiscono l'uno contro l'altro e l'uno con l'altro. Ciascuno tiene conto di ciò che gli altri si
aspettano. Quando queste aspettative sono sufficientemente definite e costanti allora le chiamiamo
standards. Inoltre ogni uomo si attende che gli altri reagiscono a ciò che egli fa. Queste reazioni attese
le chiamiamo sensazioni. Alcune di queste sensazioni sembrano essere molto soddisfacenti, altre no.
Quando gli uomini sono guidati da standards e sensazioni possiamo dire che svolgano insieme i loro
ruoli. È una metafora comoda. E, in verità, quella che chiamiamo istituzione può essere forse definita
meglio come un complesso più o meno stabile di funzioni. Quando nell'interno di una istituzione o di
una intera società composta da tali istituzioni gli standards e le sensazioni non fanno più presa sugli
uomini allora possiamo parlare, con Durkheim, di anomia. Ad un'estremità vi sono delle istituzioni con
standards e sensazioni precisi e ordinati, all'altra estremità vi è l'anomia. Quando gli uomini
condividono gli stessi valori tendono a comportarsi in conformità con il modo nel quale si aspettano
che gli altri uomini si comportino. Inoltre essi considerano molto spesso tale conformismo come cosa
buona, anche quando sembra contrastare con i loro interessi immediati. Che tali valori comuni siano
appresi piuttosto che ereditati non ne diminuisce l'importanza della motivazione umana, al contrario
diventano parte della personalità stessa. In quanto tali, essi legano insieme una società poiché ciò che
è aspettativa sociale diventa necessità individuale. Il che è tanto importante per la stabilità di qualsiasi
sistema sociale che me ne servirò come principale punto di partenza ogni qualvolta vorrò analizzare
una società come organismo vivente”.
In pratica di The Social System suppergiù solo 150 pagine di linguaggio sono intelligibili su 555. Il
contenuto di queste 150 pagine non farebbe più molta impressione, ma in compenso presenterebbe
nei termini più chiari il problema chiave del libro e la soluzione che questo offre al problema. È vero
che ogni idea, ogni libro, può essere riassunto in una frase o sviluppato il 20 volumi, ma qui si tratta di
vedere quale ampiezza debba avere un'esposizione per rendere chiara una data cosa, quale gamma di
problemi ci permetta di risolvere o perlomeno di porre. Non sempre più ampio equivale a più
conforme. Inoltre, i grandi teorizzatori non scendono mai dalle generalità ai contesti storici e strutturali
dei problemi. L'assenza di un solido senso della concretezza dei problemi spiega a sua volta l'irrealtà
così evidente nelle loro pagine. La Grande Teorizzazione è ubriaca di sintassi ed è circa alla semantica.
I grandi teorizzatori sono così preoccupati dei significati sintattici e così poco sensibili ai riferimenti
semiologici, rigidamente ancorati ai loro alti livelli di astrazione, che le tipologie da essi costruite
sembrano più un arido gioco di concetti che un tentativo per definire in modo chiaro e ordinato i
problemi in esame per guidare i nostri sforzi alla loro soluzione. Ogni pensatore consapevole deve
saper rendersi conto dei livelli di astrazione sui quali lavora ed essere quindi in grado di controllarli.
Attorno a parole come “capitalismo” o “classe media” o “democrazia totalitaria”, aleggiano spesso dei
significati contorti e confusi che devono essere tenuti sotto controllo quando si usano quelle parole,
poiché attorno vi sono sovente delle mescolanze di fatti e di rapporti, di osservazioni e fattori
puramente supposti che devono essere accuratamente chiariti nella nostra definizione e nel nostro
impiego.
Gli scienziati sociali parlano di “concezioni di legittimazione” usando termini diversi: Locke le chiama
“principio di sovranità”, Sorel “mito del potere”, Arnold “folklore”, Durkheim “rappresentazioni
collettive”, Marx “idee dominanti”, Russeau “volontà generale”, Laswell “simboli di autorità”, Mannheim
“ideologia”, Herbert Spencer “sentimenti pubblici”. Queste ed altre parole sono la prova del posto
centrale occupato dai simboli dominanti nell'analisi sociale. Ciò che Parsons e gli altri grandi
teorizzatori chiamano insomma “orientamenti valutativi” e “struttura normativa” ha a che fare
principalmente con simboli dominanti di legittimazione. La loro importanza psicologica risiede nel fatto
che essi diventano la base per il consenso o l'opposizione alla struttura del potere. Si presume allora
che le idee e non gli ambienti o le persone che di quelle idee si servono, governino. Per conferire
continuità alla sequenza di tali simboli essi vengono presentati come concatenati in qualche modo l'uno
con l'altro. Allora possono essere presentati come una successione di filosofi il cui pensiero determina
la dinamica istituzionale. Da questo punto di vista potrebbe sembrare quindi che siano auto-
determinantisi. Ma se così fosse vorrebbe dire che non ci resta altra scelta in quanto individui che
accettare la struttura normativa nella quale Parsons ravvisa il cuore del sistema sociale. L'idea
dell'ordine normativo formulata dai grandi teorizzatori ci porta a concludere che ogni potere sia
virtualmente legittimato e che il mantenimento delle aspettative di ruolo, una volta stabilito, non è
problematico e non occorre alcun meccanismo quindi per spiegarlo. Tuttavia in questi termini non è
possibile formulare efficacemente l'idea di “conflitto”: antagonismi strutturali, ribellioni su vasta scala,
rivoluzioni, ecc. sono tutte cose che non hanno spazio per essere immaginate in base a questi termini.
Infatti si presume che il sistema una volta istituito non soltanto sia stabile, ma anche armonico.
L'eliminazione magica del conflitto e il miracoloso instaurarsi dell'armonia eliminano da questa teoria
sistematica e generale ogni possibilità che ci si debba scontrare con i mutamenti sociali e con la storia.
nelle strutture sociali dei grandi teorizzatori non trova posto il comportamento collettivo di massi
terrorizzate o di folle eccitate di cui è pieno il nostro secolo.
Il problema dell'ordine potrebbe ora essere chiamato il problema dell'integrazione sociale. Prima di
tutto la domanda “che cosa tiene assieme una struttura sociale?” non comporta una sola risposta,
perché le strutture sociali differiscono profondamente. Con la Grande Teorizzazione non possiamo
pensare la varietà umana, non possiamo concepire ad esempio la Germania nazista del 1936, la
Sparta nel settimo secolo a.C., gli Stati Uniti del 1836, la Roma del tempo di Diocleziano. Il solo fatto
di elencare questa varietà suggerisce che qualunque cosa tali società abbiano in comune, è proprio la
cosa che deve essere scoperta con la ricerca empirica. Istituzioni quali quella politica, familiare,
militare, economica, religiosa, ecc. una volta definite in modo tale da poterne riconoscere i contorni in
una data società storica, ci si chiede come l'uno sia collegato con gli altri, vale a dire come essi si
compongono in una struttura sociale. Per Mills è ovvio che non vi è una grande teoria, uno schema
unico universale nei cui termini si possa comprendere l'unità della struttura sociale, non vi è una
risposta sola al problema dell'ordine sociale.
Ad ogni modo, Mills non espone questi punti nella pretesa di formulare una soluzione definitiva dei
problemi dell'ordine e del mutamento, ovvero della struttura sociale e della storia, tuttavia sostiene
che in The Social System, Parsons non sappia fare della vera scienza sociale perché è dominato
dall'idea che quell'unico unico modello di ordine sociale, che egli stesso ha costruito, sia una specie di
modello universale, in altri termini perché ha fatto del suo concetto un feticcio.
IV – Tipi di praticità
Per giudicare i problemi e i metodi delle varie scuole di scienza sociale dobbiamo orientarci su un gran
numero di valori politici e di questioni intellettuali, poiché non c'è problema che possa essere
impostato bene se non si sa a chi e a che cosa si riferisce. Il lavoro di scienza sociale è stato sempre
accompagnato da problemi di valutazione, ma l'intellettuale cercherà di operare nella piena
consapevolezza dei suoi presupposti e implicazioni, fra cui il significato morale e politico, oltre che la
funzione, del suo lavoro per la società nella quale lo compie. La maggior parte delle questioni sociali
contengono concezioni non chiare e pregiudizi valutativi. Determinare se un simile conflitto esista o
non esista è uno dei primi compiti che spesso gli scienziati sociali si addossano. Un simile lavoro porta
talvolta ad una nuova formulazione della questione che apre la via alla soluzione. Al traguardo ultimo
tuttavia i problemi morali diventano problemi di potere e la forma finale del potere è la coercizione.
Nella scelta dei problemi che studiamo sono impliciti dei valori ed anche nelle concezioni chiave di cui
ci serviamo ed il processo risolutivo sono influenzati da valori con implicazioni morali e politiche. Lo
scienziato sociale non può limitarsi a descrivere i fatti neutralmente, che lo voglia o no, che ne sia
consapevole o no, chiunque spendere la propria vita studiando la società e pubblicando i risultati del
suo studio, agisce moralmente, e di solito anche politicamente. Al giorno d'oggi la ricerca sociale è
spesso destinata a servire direttamente i generali dell'esercito, i dirigenti di società e così via. Questo
impiego burocratico non ha fatto che crescere e non c’è dubbio che continuerà a farlo. Da un punto di
vista storico la scienza sociale è stata usata più a scopi ideologici che a scopi burocratici, tuttavia oggi
pare che tale equilibrio si stia appunto spostando. Per Mills, le scienze sociali non possono non essere
importanti ai fini burocratici e ideologici. Si prenda ad es. la seconda metà del XIX secolo in cui la
scienza sociale è stata direttamente collegata negli Stati Uniti con i movimenti di riforma e le attività di
miglioramento sociale nel tentativo di applicare la scienza ai problemi sociali, cercando di trasformare
le difficoltà della classe inferiore in problemi pubblici della classe media. Da qui scaturirono le varie
associazioni professionali e col tempo, le varie discipline accademiche delle scienze sociali. Ma tale
divisione non è valsa a rendere moralmente neutre e scientificamente asettiche le specialità
accademiche.
A differenza degli europei, i sociologi americani hanno rivelato una forte tendenza a trattare un
problema per volta. In altre parole hanno suddiviso e disperso la loro attenzione presupponendo,
secondo la teoria democratica della conoscenza, che tutti i fatti nascano e uguali. Hanno persistito
nell'idea che per ogni fenomeno sociale debba necessariamente esservi un grandissimo numero di
piccole cause. Questo pluralismo causale è utilissimo ai fini di una politica liberale di piccole riforme.
L'idea infatti che le cause degli eventi sociali siano necessariamente numerose, piccole e sparse si
trasforma facilmente nella prospettiva che potremmo chiamare “praticità liberale”. Insomma, la
divisione e dispersione degli studi, l'indagine dei fatti e l'inerente confusione pluralistica delle cause
sono le caratteristiche essenziali della praticità liberale come stile di studio sociale. Nella praticità
liberale si dà generalmente rilievo a tutto ciò che tende ad un equilibrio armonico. Ogni cosa è vista
come processo continuo, non si avvertono i mutamenti improvvisi di velocità e gli spostamenti
rivoluzionari così caratteristici del nostro tempo (o quando si avvertono sono considerati
semplicemente come segni di uno stato patologico). La praticità liberale tende ad essere a-politica,
aspira ad una specie di opportunismo democratico. Quando i suoi seguaci si imbattono in qualcosa di
politico, gli aspetti patologici di questo qualcosa vengono solitamente indicati con termini quali
antisociale, corruzione, ecc. Spesso la praticità liberale considera come problema qualunque cosa che
devii dai modi di vita della classe media e non sia in linea con i principi della stabilità e dell'ordine.
Negli ultimi decenni sono sorte diverse nuove specie di praticità. Il liberalismo è diventato più che
movimento di riforma, una forma di amministrazione dei servizi sociali in uno Stato assistenziale. La
sociologia ha perduto la sua spinta riformatrice, la sua tendenza alla divisione e alla dispersione dei
problemi, è stata utilizzata a favore delle grandi compagnie, dell'esercito, dello Stato. Con il
progressivo affermarsi di queste burocrazie sul piano economico, politico, militare, il significato di
“pratico” ha subito uno spostamento. Si è finito per considerare pratico ciò che si ritiene serva agli
scopi di queste grandi istituzioni. È quella che chiameremo la “praticità illiberale”. Istituzioni nelle
quali si è insediata questa praticità illiberale sono ad es. centri di relazioni industriali, uffici universitari
di ricerca, nuovi settori di ricerca di grandi compagnie, nel governo. Queste istituzioni non si occupano
dei calpestati esseri umani che vivono al fondo della società, ma piuttosto si collegano idealmente e di
fatto con i livelli superiori della società e in particolare con gli illuminati circoli dei direttivi affaristici.
Per la prima volta, gli studiosi di scienze sociali sono entrati in rapporto professionale con poteri privati
e pubblici ben più alti dell'ente assistenziale. Così la loro situazione muta da accademica a burocratica,
il loro pubblico muta da ambienti che vogliono una riforma ad ambienti che prendono le decisioni, i
loro problemi mutano da problemi di propria scelta a problemi scelti da nuovi clienti. Anche gli studiosi
mutano, tendendo a diventare meno ribelli intellettualmente e più pratici in senso amministrativo.
Finiscono inoltre generalmente per accettare lo status quo. La nuova praticità in effetti è una risposta
accademica ad una fortemente aumentata richiesta di tecnici amministrativi che trattino le “relazioni
umane”. Per Mills, la comunità accademica americana nel suo complesso è moralmente aperta alla
nuova praticità che la sta permeando sia dentro che fuori dell'università. Gli uomini della cultura si
trasformano in esperti nell'interno i meccanismi amministrativi.
V – L’ethos burocratico
Mills intende inoltre aprire una discussione sull'ethos della praticità illiberale affermando che chi
pratica questo stile di ricerca assume ben presto la prospettiva politica del suo cliente e
signore burocratico ed assumerla significa spesso, con l'andare del tempo, accettarla. Può
sembrare un'ironia che proprio chi è più interessato a sviluppare metodi moralmente puri sia fra i più
profondamente impegnati nella “scienza sociale applicata”. Poiché il lavoro di studio nello stile
empirico astratto è costoso, questo stile è di conseguenza identificato con determinati
centri istituzionali: quello della pubblicità, delle organizzazioni di vendita, delle grandi
compagnie e delle organizzazioni sindacate per la raccolta delle preferenze (polling
agencies), oppure nei reparti di ricerca del governo federale. All'idea dell'università intesa come
circolo aristocratico di professionisti, ciascuno con i suoi apprendisti e con la sua arte, tende a
sostituirsi quella dell'università intesa come complesso di burocrazie di ricerca contenenti ciascuna
un'elaborata divisione del lavoro e quindi dei tecnici intellettuali. L'istituto di ricerca è anche in larga
misura un centro di addestramento. In questi istituti sorgono, a fianco degli studiosi e ricercatori della
vecchia scuola, due tipi di uomini nuovi sulla scena accademica: da un lato il promotore della ricerca,
che è colui che può dare un posto, far compiere un viaggio, affidare una ricerca. Poi c'è la giovane
recluta che sarà meglio definita come tecnico della ricerca anziché come vero e proprio scienziato
sociale. In alcuni di questi studenti l'intelligenza è spesso dissociata dalla personalità, essi la
considerano come un congegno e in quanto tale sperano di poterla commerciare con profitto.
Appartengono a coloro che si sono impoveriti umanisticamente e che vivono riferendosi a valori che
escludono tutto ciò che nasce dal rispetto della ragione umana. Si tratta di tecnici dall'ambizione che
un'errata prassi educativa e una falsa richiesta hanno reso incapaci di possedere l'immaginazione
sociologica. Tuttavia il “mondo delle cricche” non è tutto il mondo accademico. Vi sono anche gli
indipendenti. La cricca dominante può vedere nell'indipendente colui che tiene un atteggiamento
neutrale nei confronti della sua scuola e che può essere considerato come eclettico o semplicemente
come privo di inclinazione sociale, a seconda che il suo lavoro riscuota attenzione favorevole o appaia
valido e utile. I membri della cricca cercheranno di attirarlo a sé e di indirizzarlo, ma fra gli
indipendenti possono esservi anche quelli che non stanno al gioco. Tra gli slogan usati da un gran
numero di scuole di scienza sociale il più frequente è: lo scopo delle scienze sociali è di prevedere e
controllare il comportamento umano. In certi ambienti si sente oggi parlare molto anche di “ingegneria
umana”, sinonimo di “controllo della società”. Chi parla con tanta disinvoltura di previsione e di
controllo adotta evidentemente il punto di vista del burocrate, per il quale, come detto una volta da
Marx, il mondo è un oggetto da manipolare. Ma gli scienziati sociali non possono presumere di avere a
che fare con oggetti così altamente manipolabili né di essere dei despoti illuminati fra gli uomini. Del
resto la nostra sembra essere un'età nella quale le cause dei mutamenti storici risiedono sempre più
nelle decisioni chiave prese o non prese da élite burocraticamente costituite. Tuttavia, è possibile
parlare di controllo anche da un punto di vista che non sia burocratico e la stessa cosa vale per la
previsione. Il punto è che, dire che lo scopo reale e finale dell'ingegneria umana o delle scienze sociali
è di prevedere, equivale a sostituire uno slogan a quella che dovrebbe essere una ragionata scelta
morale ed accettare una prospettiva burocratica dentro la quale una volta che si è pienamente
sviluppati, è molto minore la possibilità di scelta morale. Ad ogni modo la burocratizzazione dello
studio sociale è una tendenza ormai sempre più generale, infatti secondo Mills se i due stili di lavoro
dell'empirismo astratto e della Grande Teorizzazione dovessero finire per godere di un monopolio
intellettuale o diventare gli stili di lavoro predominanti, rappresenterebbero una grave minaccia per la
promessa intellettuale delle scienze sociali stesse.
IX – Ragione e libertà
Liberalismo e socialismo sono due ideologie scaturite dall'Illuminismo che hanno in comune molti
valori. In ambedue si considera l'aumento di razionalità come la condizione prima dell'aumento di
libertà. La nozione di progresso come liberazione operata dalla ragione, la fede nella scienza come
bene puro, la richiesta di educazione popolare, la fede nel valore dell'educazione per la democrazia:
tutti questi ideali dell'Illuminismo riposano sul presupposto di un rapporto inscindibile fra ragione e
libertà. I pensatori che più hanno contribuito a modellare il nostro modo di pensare sono andati avanti
secondo questo presupposto. Lo si trova ad es. in ogni sfumatura dell'opera di Freud: per essere liberi
gli individui devono diventare più consapevoli razionalmente. Oppure, lo si trova nel pensiero
marxista: gli uomini devono diventare razionalmente consapevoli della loro posizione nella società.
Tuttavia, per Mills gli sviluppi del suo tempo non possono essere compresi né in termini liberali né in
termini marxisti poiché queste forme di pensiero sorsero per la riflessione su tipi di società che non
esistono più. Mills si trova al cospetto di nuovi tipi di struttura sociale dove il segno ideologico della
Quarta Epoca (nome per definire periodo post-moderno secondo Mills) è che le idee di libertà e di
ragione sono diventate opinabili e non si può più accettare il presupposto che una maggiore razionalità
contribuisca ad una maggiore libertà. Inoltre, il problema della libertà è il problema di come e da chi
devono essere prese le decisioni circa il futuro degli affari umani. Sotto il profilo organizzativo è il
problema del meccanismo di decisione. Sotto il profilo morale è il problema della responsabilità
politica. Inoltre il problema della libertà è che, secondo Mills, è diventato chiaro per tutti che non c'è
uomo che per natura voglia essere davvero libero. In quali condizioni giungono gli uomini a voler
essere liberi e a sapere agire liberamente? In quali condizioni vogliono e sanno gli uomini sopportare i
fardelli che la libertà impone? Mills si domanda anche se si possono portare gli uomini a voler
diventare dei docili robot e se fosse arrivato il momento, nella sua epoca, di prepararsi alla possibilità
che la mente umana come fatto sociale si deteriori qualitativamente senza che molti se ne accorgano,
sopraffatti dalla massa delle piccole invenzioni tecnologiche.
X – La politica
Non c'è modo per lo studioso di scienze sociali di evitare di assumere delle scelte di valore e di inserirle
nel suo lavoro. Tre sono gli ideali politici essenziali che a Mills sembrano inerenti alle tradizioni delle
scienze sociali. Il primo è il valore della verità, del fatto. Le scienze sociali nel momento in cui
determinano il fatto, questo acquista un significato politico. Praticare le scienze sociali significa
anzitutto, secondo Mills, praticare la politica della verità (verità dei reperti, delle ricerche). Il secondo
valore riguarda il ruolo della ragione negli affari umani. Il terzo valore è la libertà umana, in tutta
l'ambiguità del suo significato. Libertà e ragione sono fondamentali ed uno dei compiti intellettuali
come studiosi di scienze sociali è proprio quello di spiegare, definire l'ideale di libertà e quello di
ragione.
Conclusione
L'immaginazione sociologica consiste in gran parte nella capacità di passare da una prospettiva a
un'altra, costruendo, nel corso di questo processo, una visione adeguata di una società e dei suoi
componenti. Questa immaginazione è ciò che distingue gli studiosi di scienze sociali dai tecnici puri e
semplici. Per Mills, l'immaginazione sociologica ha la possibilità di stabilire la caratteristica qualitativa
della vita umana del tempo nostro.