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Sigmund Freud

In Freud vi è un’analisi dello stesso problema, cioè il problema del rapporto con la realtà. La realtà
costituisce un disagio rispetto al nostro desiderio e la soluzione più facile a questo disagio è la malattia,
ovvero la nevrosi. La nevrosi è la soluzione più facile al compito più difficile di affrontare la realtà. Quello
che N. aveva fatto in grande con questa complessa genealogia sulla storia della verità e della sua
autoespressione, Freud lo fa attraverso un’analisi metapsicologica dell’essere umano. Lo fa contrapponendo
l’ambizione alla trasparenza della coscienza all’inconscio. Tutto il discorso che N. ha fatto
sull’interiorizzazione come ipertrofia della coscienza, come ambizione a espellere qualsiasi residuo che non
fa tornare i conti, a salvaguardarci da qualsiasi contatto con l’estraneità, ritroveremo questo nell’istanza
dell’inconscio. Il nome che Freud dà a questa estraneità irriducibile è inconscio. L’idea che l’indagine
sull’inconscio in Freud non ha a che fare con un’indagine sulle profondità oscure e nascoste dell’animo
umano, ma ha a che fare con il nostro rapporto con la realtà. È come se F. ci dicesse che andare infondo
all’inconscio significa trovare il nostro rapporto con la realtà. C’è una domanda sul modo in cui l’essere
umano può sporgersi nella realtà. Il problema è lo stesso di Nietzsche, il rapporto con la realtà non è più un
rapporto naturale. La realtà può essere perduta. Il rapporto con il mondo è diventato un problema e la
soluzione che F. offre a questo problema è l’analisi dell’inconscio, cioè la necessità di familiarizzare con
quell’estraneità irriducibile che la realtà sempre rappresenterà rispetto al nostro desiderio. Anche in F. ci
troviamo difronte alla stessa alternativa. Da una parte quella che consiste nell’ambizione di eliminare ogni
residuo e di familiarizzare l’inconscio rendendo noto l’ignoto, riducendo l’ignoto alla coscienza. Questo
corrisponde in N. nell’ambizione del razionalismo di mettere in sicurezza l’essere umano raccogliendo la
realtà in un concetto. Da un lato l’ambizione a familiarizzare l’inconscio e dall’altra parte familiarizzare con
l’inconscio mantenendo l’inconscio nella sua estraneità e imparando ad avere a che fare con questo residuo
mai completamente controllabile e dominabile. Anche in Freud abbiamo da un lato la nevrosi religiosa e
dall’altra l’atteggiamento non religioso sano.

Freud vive a cavallo tra ‘800 e ‘900, vive tutta la vita a Vienna finché non viene costretto a emigrare a
Londra dove muore.

3 parole chiave per riassumere la meta psicologia di Freud: inconscio, conflitto, sviluppo.

❖ Inconscio: è il nome che F. dà alla dismisura tra desiderio e realtà, tra soggetto e mondo. F. sostiene che
il nostro desiderio è abnorme rispetto alla realtà, la realtà è sempre scarsa rispetto all’ambizione del
desiderio. La metapsicologica di F. ha una sua evoluzione graduale che produce due tipi di
organizzazioni della psiche. La prima topica prevede l’organizzazione della psiche in tre province
psichiche: conscio, preconscio e inconscio. La seconda topica invece sostituisce alle prime tre istanze
l’Io, l’Es e il Super-Io. L’Es è una particella impersonale, in tedesco indica un pronome neutro di terza
persona ed è il nome che F. da all’inconscio della prima topica. L’inconscio è inteso come il luogo dove
si trovano le pulsioni e i desideri. Per F. l’inconscio ha una sua evoluzione perché negli studi sull’isteria,
l’inconscio inizialmente non è un’istanza autonoma della psiche ma è un deposito temporaneo di desideri
rimossi. Solo successivamente a partire dall’interpretazione dei sogni (1900), questo deposito
temporaneo comincia a diventare un’istanza, una provincia psichica.
❖ Sviluppo: In che senso c’è una dismisura tra desiderio e realtà? F. interpreta lo sviluppo dell’essere
umano come il passaggio da una postura narcisistica, quella dell’infanzia dominata dal principio di
piacere, al sacrificio che il soggetto deve fare rispetto al suo principio di piacere quando entra nell’età
adulta e quindi deve sacrificare una parte del suo narcisismo al rapporto con la realtà e con gli altri. F.
interpreta l’essere umano dal punto di vista ontogenetico, come il passaggio da una condizione infantile
ad una condizione adulta laddove la condizione infantile è dominata dal principio di piacere e quella
adulta dal principio di realtà. Lo sviluppo consiste in questo oneroso passaggio dal principio di piacere
al principio di realtà. C’è una dismisura in quanto il desiderio è narcisistico nella condizione infantile ed
è quindi smisurato rispetto alla realtà. L’infante non accetta di sottostare al sacrificio del proprio
narcisismo che gli impone la realtà. Per questo il desiderio è abnorme rispetto alla realtà. F. poi dice che
lo sviluppo dell’essere umano consiste in questa sostituzione del principio di piacere con il principio di
realtà, poi precisa che questa sostituzione non è una destituzione del principio di piacere ma è una sua
salvaguardia. L’età adulta per Freud non è mai un lasciarsi completamente alle spalle l’età infantile. Nel
passaggio dall’età dell’infanzia all’età adulta il soggetto attraversa un momento critico, il complesso di
Edipo. La salute o la malattia dell’individuo adulto dipendono da come il complesso edipico viene
affrontato, superato o meno. La distinzione tra salute e malattia non è assoluta. Il passaggio dalla nevrosi
alla salute non avviene mai una volta per tutte perché queste due condizioni sono attraversabili in un
senso e nell’altro, mai in maniera definitiva, chi è sano può sempre tornare ad essere malato e viceversa.
C’è una reciproca permeabilità tra queste due condizioni. La soggettività non ha più una
rappresentazione fissa e senza età ma viene dipinta all’interno di uno sviluppo psico-sessuale che
presenta una sfida che riguarda chiunque venga al mondo. Nel complesso edipico, questo momento
critico, riguarda il rapporto con la realtà. Per Freud il rapporto con la realtà non è più naturale e scontato
ma può essere perduto e dev’essere riconquistato. La realtà è un atteggiamento verso l’altro che
dobbiamo sempre di nuovo conquistare e che possiamo perdere.
❖ Conflitto: la concezione che F. ha della soggettività è quella di un conflitto pulsionale. Il complesso di
Edipo rappresenta una condizione conflittuale che dev’essere superata.

Studi sull’isteria (1895)

La psicoanalisi nasce nell’ambito della medicina, tuttavia travalica questo stretto contesto perché nasce per
risolvere un problema davanti al quale la medicina non ha mezzi perchè l’isteria è un tipo di malattia che non
prevede una lesione organica. Dal punto di vista organico non c’è niente che non va ma il paziente affetto da
isteria presenta un disagio che impedisce i rapporti normali con il mondo. La causa non è più individuabile
con gli strumenti tradizionali nel corpo, in una lesione organica del cervello, per esempio, ma va cercata in
dinamiche psichiche. La psicoanalisi freudiana nasce da questa difficile relazione tra vita biologica e vita
biografica, questi isterici hanno problemi che riguardano le scelte, il significato della vita. La tensione tra
corporeo e psichico è al centro della nascita della psicoanalisi. L’isteria nasce come bestia nera della
medicina. Gli isterici nei secoli precedenti venivano bruciati, esorcizzati come ossessi. Nell’epoca di Freud
l’isterico è inteso come un simulatore, la medicina riteneva che questi individui stessero facendo finta di
avere qualcosa quando in realtà non avevano nulla. La psicoanalisi da dignità a questi isterici. Il primo passo
della psicoanalisi è dunque la liberazione dell’isterico. Abbandonare l’idea che la mancanza di un’affezione
organica sia equivalente all’assenza di qualsiasi problema.

. In cosa consiste il trattamento psichico?

La prima formulazione della cura psichica sarà affidata ai mezzi dell’ipnosi, della suggestione. L’idea che la
cura psichica debba consistere in un trattamento di ipnosi verrà però abbandonata quasi subito. È una prima
modalità della cura psichica che perde subito la sua posizione di privilegio per essere sostituita da una cura
della parola in cui il paziente è perfettamente vigile. Il trattamento psichico consisterà quindi in una “cura
della parola” (talking cure). Freud asserisce che le parole dei nostri discorsi quotidiani non sono altro che
magia sbiadita. La parola diventa il mezzo attraverso cui è possibile eliminare fenomeni patologici. L’isteria
non è una condizione che dipende dal corpo ma ha il suo luogo nella psiche che influenza il corpo e il mezzo
per curare queste affezioni del corpo da parte della psiche è la parola. Un altro modo per liberarsi dall’isteria
consiste nel collocare l’evento traumatico all’interno di un più ampio complesso di associazioni.

. In cosa consiste l’attacco isterico?

La prima teoria della psiche che F. utilizza per proporre la propria terapia è quella della definizione
dell’attacco isterico. F. dice che il contenuto costante ed essenziale di un attacco isterico è il ritorno di uno
stato psichico che il malato ha già vissuto, il ritorno di un ricordo. Il malato psichico soffre di reminiscenze.
Cosa riemerge come un ricordo? Come qualcosa che è stato inizialmente rimosso dalla memoria cosciente
ritorna ad imporsi al malato creandogli disagio? Come avviene questo ritorno del rimosso? Il funzionamento
dell’apparato psichico è regolato, secondo Freud, dal principio di costanza, il quale dice che il sistema
nervoso tende a mantenere costante qualcosa che potremmo chiamare somma di eccitamento e che esso
realizza questa condizione della sanità psichica liquidando ogni sensibile incremento di eccitamento per via
associativa o scaricandolo mediante una corrispondente reazione motoria. Freud comincerà a interpretare la
soggettività psichica come caratterizzata da pulsioni, desideri. La caratteristica del desiderio è quella di
presentarsi come un eccitamento doloroso che necessita una scarica. Le pulsioni fondamentali di
autoconservazione, la fame e il sesso, si presentano in questi termini. La fame e la pulsione sessuale sono
tensioni, un aumento della somma di eccitamento, che devono essere scaricate. In questa scarica della
tensione c’è il piacere. Sono queste tensioni dolorose che hanno bisogno di essere scaricate riportando
l’energia psichica ad una forma costante di eccitamento. Questa è la base fisiologica del funzionamento
pulsionale che F. da già negli studi sull’isteria e che si manterrà sempre costante.

La proprietà comune degli attacchi isterici che F. individua è quella di impressioni alle quali viene negata una
scarica adeguata (così come i malati per Nietzsche sono coloro che covano vendetta perché non sono stati
capaci di rispondere ad un torto subito), sia perché i malati respingono la liquidazione per paura di penosi
conflitti spirituali, sia perché essa è vietata dal pudore o dai rapporti sociali. L’isteria, la malattia, sta nel fatto
che una pulsione che dovrebbe essere scaricata viene invece rimossa, questa scarica che solleverebbe
l’individuo dalla tensione, questa scarica viene inibita. Questo avviene perché si crea una situazione di
conflitto che F definisce penosi conflitti spirituali, oppure perché la società ci impedisce di realizzare quella
pulsione. Per paura di conflitti sociali, pudore o rapporti sociali, questa impressione che dovrebbe essere
scaricata viene invece inibita. Questa è la prima definizione dell’isteria. L’isteria ha una natura traumatica. F
definisce il trauma psichico come un’impressione la cui liquidazione tramite lavoro mentale associativo o
mediante reazione motoria, presenti difficoltà per il sistema nervoso. Diventa trauma ogni impressione che
per motivi di conflitto non viene liquidata, cioè scaricata. Negli studi di isteria F. fa esempi quotidiani di
mancata liquidazione di un’impressione che per questo diventa trauma. F. fa riferimento a eventi quotidiani
come il fatto che non reagiamo ad un’offesa che subiamo. La mancata reazione ad un’offesa subita, la
mancata liquidazione di questa offesa, crea un trauma. È rilevante se si sia reagito energicamente o no
all’evento impressionante. Se la reazione a questa impressione traumatica avviene in misura sufficiente,
allora gran parte dell’effetto traumatico scompare. La prima definizione di trauma psichico consiste in una
sofferenza che viene subita in silenzio, alla quale non si risponde con una reazione adeguata. Qui emerge
un’altra figura classica: l’idea che reagire ad una sofferenza subita ha un effetto catartico. Catarsi qui
significa abreazione. Abreazione significa scarica dell’impressione traumatica. Mediante l’uso della parola,
questa reazione ha un effetto catartico perché consente all’affetto che ci ha impressionato di essere abreagito,
cioè scaricato. Mediante questa scarica noi priviamo l’evento del suo effetto traumatico. Se questa
abreazione catartica dell’impressione penosa subita non avviene, il ricordo dell’evento conserva un accento
affettivo destinato a creare disagio. La reazione che viene rimossa, questa torna ad agire sulla psiche.
L’abreazione in questa prima fase è il primo modo di reagire al trauma per liquidarlo.

Subiamo un’offesa che consiste in un’impressione che ci crea dolore, questa impressione crea una tensione
che ha bisogno di essere scaricata mediante reazione ma questa reazione viene inibita e questo crea il trauma.
Il trauma è un’impressione penosa la cui liquidazione viene impedita a causa di un conflitto.

Ci sono due modi di scaricare l’impressione penosa:

1. La reazione mediante la parola.


2. Inserire questa impressione penosa nel grande complesso dell’associazione facendo sì che questa
rappresentazione non diventi dominante. Se noi riusciamo a collegare questa impressione all’interno
di un più ampio contesto, allora siamo in grado di ridimensionare l’impressione subita ed evitare che
diventi traumatica, cioè che subisca una elazione, ovvero una espansione che occupa tutto il nostro
campo visivo. L’esempio che F. fa è quello dell’infortunio. L’incidente è un’impressione traumatica.
Freud dice che se io sono capace di mettere questa impressione penosa all’interno di un complesso
associativo più ampio riesco a ridimensionarla, a impedire cioè che l’affetto divenga problematico
perché ciò che avviene è una forma di fissazione al trauma. L’associazione consiste nel fatto che chi
subisce l’incidente accosta all’impressione subita una serie di considerazioni, il fatto che il pericolo è
scampato, che ora sono al sicuro, il fatto che le cose sono andate in un certo modo è come se io mi
facessi una ragione di ciò che è accaduto e così riuscissi a liquidare l’impressione penosa. La metto
all’interno di un contesto che offre una spiegazione di ciò che è accaduto, impedendo all’evento di
essere dominante. Freud spiega questa pratica come una forma di razionalizzazione di ciò che è
accaduto. A questo proposito Pier Janet interpreterà l’attitudine degli isterici come una difficoltà che
riguarda proprio questa capacità di sintesi, l’isterico non riesce a mettere in relazione l’evento
accaduto con tutta un'altra serie di considerazioni che danno a quell’evento una posizione nel
complesso della mia vita. Questa capacità di sintesi e di non isolare un pezzo di questo complesso
delle associazioni per totalizzarlo è questa una delle caratteristiche che manca all’isterico, il quale
soffre di una mancata capacità di sintesi. Anche nel caso della mortificazione, con la parola faccio
valere la mia ragione, non sono un soggetto semplicemente passivo e la mortificazione subita viene
corretta con una rettifica del mio comportamento e dei fatti dinnanzi all’interlocutore, in questo
modo liquidiamo l’affetto subito in modo da non farlo diventare patogeno.

03.05.2023

Negli studi sull’isteria, Freud dice che l’apparato psichico è regolato dal principio di costanza, ovvero l’idea
che il sistema nervoso tende a mantenere costante una somma di eccitamento, questo avviene liquidando
ogni incremento di eccitamento. Questa liquidazione prende il nome di catarsi o abreazione. L’apparato
psichico subisce un trauma nel momento in cui un certo effetto penoso che genera un incremento di
eccitamento non viene scaricato. L’idea è che l’energia psichica dev’essere mantenuta costante. Ogni
incremento di energia dev’essere scaricato. Se non viene scaricato questo affetto penoso crea un trauma.
Perché non avviene questa scarica di eccitamento? perché la scarica viene inibita? Perchè la scarica è vietata
dal pudore o dai rapporti sociali. Per Freud la psiche è il teatro di un conflitto tra due serie di
rappresentazioni eterogenee confliggenti: da una parte le rappresentazioni ammissibili dalla coscienza,
dall’altra le rappresentazioni che la coscienza non ammette. Il conflitto tra queste due rappresentazioni
conduce alla rimozione delle rappresentazioni non ammesse dalla coscienza. Negli studi dell’isteria parla di
un trauma che ha la forma di una mortificazione subita. Questa mortificazione genera in noi il bisogno di una
reazione, e come tutti i bisogni (desideri, impulsi) si manifestano come una tensione spiacevole che deve
essere scaricata e che solo nella scarica ottiene piacere, il piacere è il ristabilimento del livello costante di
energia.

Il concetto di pulsione sessuale in Freud subirà una evoluzione. Jung sarà il responsabile dell’ampliamento
del concetto di pulsione sessuale. All’inizio per Freud l’Eros è unicamente pulsione sessuale. Ben presto però
il concetto di pulsione sessuale verrà allargato ad un concetto più ampio di energia erotica che non è solo
sessuale, riguarderà il fatto che noi investiamo la nostra energia psichica su un oggetto. Questo concetto di
“investimento” è molto importante, è il modo in cui l’apparato psichico soddisfa le proprie pulsioni su un
oggetto.

Stavamo dicendo che la mortificazione ci induce ad una reazione ma questa reazione viene inibita, questa
inibizione ha un effetto patogeno perché si verifica un ingorgo libidico. L’apparato psichico si mantiene in
una condizione di tensione dolorosa. Questa dimensione idraulica, cioè quantitativa e in termini di conflitti
tra forze che hanno direzioni opposte, del pensiero freudiano sarà sempre presente. In Freud c’è quindi
un’ipotesi quantitativa che caratterizza nei suoi scritti sociali la posizione espressa nel disagio della civiltà,
nell’avvenire di un’illusione invece Freud si cimenta in un’ipotesi qualitativa.

L’idea è che l’inibizione della reazione ha un effetto patogeno. Perché c’è questa inibizione della reazione?
Perché il desiderio viene inibito nella sua realizzazione? Perché un’altra serie di rappresentazioni entra in
conflitto con la reazione alla mortificazione. Nella maggior pare dei casi queste rappresentazioni che
impediscono la reazione fanno parte delle rappresentazioni morali della civiltà. Le rappresentazioni inibite
sono di natura innanzitutto sessuale, dice Freud negli studi sull’isteria. Visto che la scarica, o catarsi, o
abreazione, ha sempre un valore positivo perché è collegata sempre al piacere, perché viene inibita? Viene
inibita perché il dispiacere dovuto alla vergogna per la realizzazione di un certo desiderio sessuale è
superiore al piacere dovuto alla realizzazione di quel desiderio stesso. C’è un conflitto tra pulsioni e civiltà.
Per Freud la civiltà costringe l’individuo, in ogni caso, ad una repressione pulsionale, ad una rimozione delle
pulsioni. Non esiste civiltà che ne possa fare a meno perchè le pulsioni hanno un carattere antisociale,
aggressivo e poiché la società deve metterci insieme, è una forma di vita associata, deve rimuovere le
pulsioni. Questa è una visione hobbesiana dell’uomo e del motivo della costituzione del patto sociale che
vada così a ridurre l’aggressività umana.

La rimozione per Freud ha una caratteristica essenzialmente quantitativa. Si tratta di ridurre l’aggressività per
favorire la vita associata, ovvero la società. È questa l’infelicità civile. La rimozione è caratterizzata anche da
una linea qualitativa, non ha a che fare solo con il più e con il meno ma con il tipo di rimozione.

La psicoterapia ci aiuta a compiere l’abreazione che è stata inibita. Il compito della psicoterapia è quello di
sgorgare l’ingorgo libidico, facendo cadere le resistenze che inibivano la reazione. La parola consente
all’affetto di venire all’espressione ed è quindi il veicolo attraverso cui l’affetto viene abreagito. La parola ha
un ruolo importantissimo perché la parola consente ad un affetto rimosso e quindi spinto nell’inconscio, di
diventare consapevole a noi stessi, la parola è il mezzo attraverso cui diveniamo consapevoli di ciò che è
stato spinto nell’inconscio. La scarica dell’affetto inibito può avvenire o attraverso i due metodi di
abreazione (reazione motoria come il pianto o la cura della parola) e dall’altro attraverso i legami associativi,
ovvero la capacità di ridimensionare il trauma subito mettendolo in relazione con altre rappresentazioni,
evitando così che quella rappresentazione divenga una fissazione.
Freud modificherà quest’idea principalmente catartica della psicoterapia perché questo modello per cui la
pulsione inibita dev’essere semplicemente abreagita non gli apparirà più funzionante perché la civiltà ci
costringe alla repressione pulsionale. L’impostazione rimarrà la stessa, quest’impostazione per cui la psiche è
il teatro di un conflitto tra due tipi di rappresentazioni, una ammissibile e l’altra non ammissibile per la
coscienza. Questo conflitto conduce ad una difesa che consiste in una scissione della psiche in una parte
cosciente e in una parte inconscia. L’inconscio è il risultato di una difesa che l’individuo attua nel momento
in cui vuole realizzare una pulsione che è inammissibile per la coscienza, questo desiderio viene spinto in
una zona della psiche inconscia. In questa fase del suo pensiero secondo Freud l’inconscio è una formazione
temporanea e occasionale a scopo di difesa, non è ancora un’istanza della psiche. Queste rappresentazioni
inammissibili rimosse hanno per lo più natura sessuale perché la vita sessuale è considerata da Freud come
esemplare delle rappresentazioni ritenute inammissibili dalla coscienza morale borghese che ha il vizio di
essere eccessivamente restrittiva. Freud propone una diagnosi che riguarda la civiltà e che consiste nell’idea
che la civiltà sia eccessivamente repressiva e che quindi la morale borghese ci costringe ad una repressione
pulsionale eccessiva. Nel disagio della civiltà Freud dice che la coscienza morale (Super Io), che ha origine
religiosa, è eccessivamente repressiva e va allentata. L’uomo è troppo infelice, non può essere felice perché
altrimenti non sarebbe un uomo civile, ma dev’essere meno infelice. Per diventare meno infelice, la
coscienza morale deve diventare più permissiva. Nell’avvenire di un’illusione Freud fa un passo in più che
ricalca quell’alternativa qualitativa. Quello fatto fino ad ora è un discorso quantitativo per cui la coscienza
morale dev’essere meno repressiva. Nell’avvenire di un’illusione F. dice che questa coloritura religiosa della
coscienza morale dev’essere messa in questione. Bisogna mettere in discussione il nesso tra religione e
civiltà. Il passaggio dalla quantità alla qualità consiste nel passaggio da un tipo di rimozione ad un altro tipo
di rimozione.

Interpretazione dei sogni (1889)

È un testo importante perché Freud individua nel sogno la via regia all’inconscio. Qui l’inconscio non è più
una scissione provvisoria della psiche ma è una istanza della psiche in cui albergano i nostri desideri più
originari. In Freud c’è l’idea che l’elemento infantile è l’elemento originario e che la vita umana consiste in
una maturazione di questi desideri originari, ovvero in un passaggio dall’infanzia all’età adulta, dal principio
di piacere al principio di realtà. Ne I due principi dell’accadere psichico, Freud dice che lo sviluppo è la
sostituzione del principio di piacere al principio di realtà. Lo sviluppo psichico consiste in un lavoro su un
desiderio la cui manifestazione originaria è infantile e che in origine ha una dimensione abnorme e incivile.
Il passaggio all’età adulta, la crescita, consiste nella civilizzazione e quindi nel ridimensionamento di questo
desiderio narcisistico. L’inconscio è il contenitore dei desideri narcisistici dell’essere umano, sono desideri di
onnipotenza, appropriazione, aggressività, desideri che mirano ad avere tutto. Questo desiderio infantile deve
venire a patti con la realtà, ovvero con un oggetto che ci detta le sue condizioni. Noi non siamo più nel regno
del principio di piacere in cui ci sottomettiamo alle nostre stesse condizioni, adesso dobbiamo venire a patti
con le condizioni che ci detta l’oggetto che non dipendono da noi. L’oggetto può rifiutarci, può sfuggire, può
morire e quindi delude le nostre aspettative di piacere. Crescere significa venire a patti con la realtà.

Il sogno è una manifestazione micronevrotica, ciò che emerge dal sogno è il funzionamento della nostra
psiche. È il luogo in cui vediamo all’opera per eccellenza la psiche. Che cos’è il sogno per Freud? “È
l’appagamento camuffato di un desiderio rimosso”. F. fa una distinzione tra sogno latente e sogno manifesto.
Quest’ultimo è il sogno come ci appare quando ci svegliamo, il sogno latente invece è il vero significato del
sogno. L’interpretazione dei sogni consiste nel passare dal significato manifesto a quello latente. Questo può
essere definito “lavoro sul sogno”. L’analisi dei sogni è molto importante nella psicoterapia. La psicoterapia
fa un lavoro sul sogno. Per Freud i sogni sono desideri infantili, ovvero desideri egoistici in cui si manifesta
in modo puro il nostro principio di piacere, sono quello che vorremmo veramente fare senza venire a
compromessi con la realtà (il desiderio che il nostro rivale in amore muoia, è un desiderio antisociale). Il
lavoro del sogno è un lavoro di camuffamento del vero significato infantile del sogno. Il lavoro del sogno è
quello di una serie di artifici che la coscienza mette in atto per camuffare il desiderio. Meccanismi messi in
atto dalla censura onirica che ha il compito di nascondere il significato del sogno alla coscienza.

Nell’interpretazione dei sogni F. mette in gioco per la prima volta il complesso di Edipo. F. si riferisce alla
tragedia di Sofocle. F. definisce questo complesso come la sfida che ogni nuovo nato deve affrontare. Questo
complesso rappresenta il passaggio dall’infanzia all’età adulta e il modo in cui si affronta questo complesso
determina la salute o la malattia dell’età adulta. In che cosa consiste il complesso di Edipo? Ha due
manifestazioni: una nella prima infanzia e una nella pubertà. Freud dice che l’infante prova un sentimento
ambivalente nei confronti del padre, da una parte lo ama e lo ammira, dall’altra lo fa così tanto da volersi
sostituire a lui. La sostituzione è una dimostrazione di odio, quest’amore ha un’ambizione talmente
identificativa che assume la forma di una sostituzione. Il bambino vuole sostituirsi al padre per avere
l’oggetto del suo amore: la madre. Il bambino si rende conto che il padre ha accesso al suo più grande
desiderio sessuale: la madre. Questo triangolo edipico è una scena metaforica perché il rapporto con la madre
ha un antecedente fisiologico fondamentale ovvero il momento in cui il bambino era nel grembo materno e
quindi viveva una condizione di perfetta indipendenza pulsionale, una condizione in cui ancora l’oggetto non
era separato dal soggetto, una condizione in cui i bisogni erano immediatamente soddisfatti e non c’era
separazione tra soggetto e mondo. Il rapporto con la madre, per il bambino, è la rappresentazione di una
condizione in cui non c’è la ferita narcisistica (narcisismo fetale). La memoria di questa indipendenza e
invulnerabilità prenatale, questa unione con la madre di cui solo il padre è capace, porta il bambino a voler
sostituire il padre ristabilendo così questa condizione fetale di indipendenza narcisistica.

Vorrebbe sfogare i suoi istinti di destituzione del padre, mettendosi al posto del padre per avere la madre per
ristabilire quel momento in cui non c’era alcuna ferita narcisistica. Non potendo farlo però, l’individuo
rimuove quest’ambizione aggressiva e mantiene solamente l’altro corno dell’ambivalenza emotiva, l’amore.
La crescita consiste nella sostituzione del principio di piacere al principio di realtà. L’amore è una forma di
sacrificio di sé per l’altro che in questo caso si manifesta nella sottomissione e obbedienza al padre.
L’ambivalenza viene risolta con una rimozione dell’aggressività. Questa situazione torna a farsi sentire nella
pubertà quando questo desiderio di sostituzione, questa voglia di sostituirsi al padre, questa volontà di
onnipotenza, torna a farsi sentire. Ci sono due strade: o l’individuo non rimuove l’aggressività e quindi
diventa un nevrotico antisociale, oppure si rinchiude nell’asocialità. La nevrosi si esprime o nell’antisocialità
o nell’asocialità. In entrambi i casi l’individuo non viene a patti con la realtà. L’individuo antisociale vuole
sostituire alla realtà il piacere. L’individuo asociale vede la realtà così dolorosa che si rinchiude nel suo
piacere solitario, rinuncia al rapporto con la realtà. Abbiamo quindi la polarità: desiderio e realtà. I due
estremi nevrotici sono due estremi che non hanno un vero e proprio rapporto e dialogo con la realtà.
L’atteggiamento corretto è quello di un compromesso con la realtà, possiamo fare alcune cose ma non tutto.
Le correnti della realtà e del desiderio si incontrano a metà strada, la civiltà è un compromesso tra desiderio e
realtà. Ci sono compromessi più o meno soddisfacenti. La società borghese, secondo F., si è costruita su un
compromesso svantaggioso in cui il piacere è troppo poco, da questo deriva la necessità di un allentamento
da parte della società delle sue richieste di repressione pulsionale.
(Il fatto che Freud parli di bambino e di padre deriva dallo stato di fatto dei rapporti sociali della sua epoca,
egli ha in mente una certa critica della società patriarcale, la società edipica fondata sul ruolo predominante
del padre. Per questo il padre è al centro delle sue considerazioni)

Tre saggi sulla teoria sessuale (1905)

È il testo in cui viene introdotto il modello pulsionale. Se nell’interpretazione dei sogni, Freud parla di
desiderio, qui inizia a parlare di pulsione. Si passa dal modello di desiderio al modello della pulsione. Freud
parla dello sviluppo in termini psico-sessuali. A partire dal 1912-13 Freud accetterà di allargare il concetto di
eros a pulsioni che non sono di tipo strettamente sessuale ma che descrivono questa dinamica di investimento
affettivo dell’oggetto. In questo testo viene data una prima definizione del concetto di nevrosi: l’origine della
nevrosi consiste nel fatto che i nevrotici hanno conservato la loro sessualità allo stato infantile o vi sono stati
risospinti. La nevrosi è un’anomalia dello sviluppo che consiste nel fatto che questo sviluppo dall’infanzia
all’età adulta non è avvenuto correttamente. Il concetto di infanzia e di età adulta andranno gradualmente a
significare il fatto che l’individuo nevrotico non riesce a costruire un rapporto solido con l’alterità, con la
realtà, oppure viene risospinto ad un’attitudine narcisistica. La caratteristica del concetto di infanzia in Freud
consiste essenzialmente nel narcisismo, nel fatto che l’individuo ha un’attitudine autoreferenziale. Il
passaggio all’età adulta consiste nell’accettazione del principio di realtà come sostituto del principio di
piacere.

Freud a questo punto definisce tre tappe della sessualità infantile:

1. Fase orale
2. Fase anale
3. Fase fallica

definisce poi un periodo di latenza e infine la fase adulta dello sviluppo psico sessuale che Freud definisce:

4. Fase genitale

Freud dà importanza alla sessualità infantile definendo il bambino un polimorfo perverso. La perversione è
l’utilizzo della sessualità a scopi non riproduttivi. La sessualità del bambino è perversa in molti modi diversi,
questi modi hanno a che fare con il proprio stesso corpo. In questo periodo di latenza Freud colloca la nascita
di quelle formazioni reattive che costituiscono la coscienza morale e che sono il disgusto, il sentimento del
pudore, gli ideali estetici e morali. È il momento in cui si inserisce la cultura, la civiltà.

05.05.2023

Freud ci fornisce una lettura idraulica, quantitativa, della dinamica psichica. Lo abbiamo visto analizzando il
complesso di Edipo che descrive un atteggiamento di rivalità nei confronti del genitore dello stesso sesso e di
amore nei confronti del genitore del sesso opposto. La dinamica edipica viene collocata da Freud in due
momenti differenti, nella prima infanzia e nella pubertà. Già nella prima infanzia il bambino sviluppa un
sentimento ambivalente nei confronti del padre perché lo ammira, vorrebbe essere come lui, ma questo
amore è allo stesso tempo una volontà di sostituirsi al padre per avere la madre. Questa rappresentazione ha
un significato psicodinamico molto preciso: rappresenta una dinamica pulsionale perché il bambino ambisce
ad un recupero del narcisismo perduto, ovvero di quella condizione di perfezione e conchiusezza ideale di
cui ha una memoria biologica precisa, è il momento in cui si torva nel grembo materno e in cui la
separazione tra soggetto e mondo non è ancora avvenuta. La volontà di sostituirsi al padre per avere la madre
è un tentativo di recupero di quella condizione perduta.

Dal capitolo 7 di Psicologia delle masse e analisi dell’Io:

“L’identificazione è per la psicoanalisi la prima manifestazione di un legame affettivo con una persona. essa
svolge una sua funzione nella preistoria del complesso edipico. Il maschietto manifesta un interesse
particolare per il proprio padre, vorrebbe diventare ed essere come lui, sostituirlo in tutto e per tutto.
Diciamolo tranquillamente: assume il padre come proprio ideale.”

Questo progetto di destituzione del padre non può avvenire e quindi l’odio viene a cadere e il bambino si
sottomette semplicemente al padre. Questa situazione dà luogo ad un’introiezione dell’oggetto perduto con la
funzione di una formazione reattiva. Questo progetto di destituzione fallisce perché il bambino non può
sostituirsi al padre, il padre quindi viene introiettato con la funzione di contenimento dell’aggressività. Il
progetto di odio non può realizzarsi ma la figura paterna rimane una figura di contenimento dell’aggressività,
quel padre che il bambino voleva essere adesso assume la funzione di coscienza morale, quindi di un argine
all’aggressività. Questa dinamica sta dietro alla definizione del Super io come introiezione della figura
paterna. Questo processo F. lo descrive già nella prima infanzia ma che torna a presentarsi nell’adolescenza.
L’individuo adolescente deve rinunciare alla fantasia edipica di sostituzione del padre e deve sottomettersi
alla coscienza morale, ovvero deve contenere la propria aggressività e civilizzarsi. L’individuo che non
riuscirà a rinunciare alla fantasia edipica sarà nevrotico: anti-sociale o asociale. Per Freud in realtà
l’individuo civile è per definizione nevrotico perché la nevrosi è la repressione delle pulsioni. La rinuncia
pulsionale che la civiltà ci richiede è ciò in cui consiste la nevrosi. La civiltà, in questo modello quantitativo,
è sempre più o meno nevrotica perché richiede la rinuncia alle pulsioni. Freud accusa la società borghese di
essere eccessivamente moralistica, chiede alla coscienza morale di essere meno repressiva e allentare la
rinuncia pulsionale. Il modello idraulico è molto semplice, la coscienza morale è stata definita da alcuni
come un Es rovesciato verso l’interno, come se la coscienza morale fosse un’aggressività ritorta verso
l’interno, con funzioni di contenimento (interiorizzazione degli istinti di Nietzsche, meccanismo molto
simile). Nei tre saggi sulla sessualità, questa coscienza morale Freud la definisce una formazione reattiva.
Questa coscienza morale si esprime come senso di colpa. La coscienza morale per Freud è colorata
religiosamente. Nei tre saggi sulla teoria sessuale Freud spiega questo modello quantitativo. Le tre fasi dello
sviluppo sessuale sono momenti di una sessualità autoriferita, essenzialmente narcisistica in cui il bambino fa
come oggetto del proprio piacere il proprio corpo, non ha ancora un’oggettualità esterna al proprio corpo. Poi
c’è un periodo di latenza in cui questa sessualità polimorfa perversa viene sospesa, questo è il momento in
cui sorgono queste formazioni reattive, è il momento dell’adolescenza in cui si forma la coscienza morale,
l’individuo si civilizza. Questo è il momento in cui la fantasia edipica dev’essere eliminata una volta per
tutte. Ma la fantasia edipica viene eliminata? La coscienza morale non è una sparizione della fantasia edipica
ma è un suo contenimento. La fantasia edipica continua a premere ma viene contenuta da una forza opposta.
La coscienza morale ha una funzione di contenimento dell’aggressività. Il compromesso è un equilibrio tra
forze più o meno vantaggiose, che rendono l’individuo più o meno felice. Questo è il motivo per cui F critica
la religione che secondo lui ha una funzione di contenimento dell’aggressività, la religione ci impone dei
doveri superegoici eccessivi, questa pressione va allentata per dare più spazio all’aggressività perché
un’aggressività troppo repressa può dar adito a scoppi troppo violenti di aggressività. Questa è la spiegazione
quantitativa.

Totem e tabu (1912-1913)

Viene pubblicato in Imago, rivista che riguarda l’applicazione nelle scienze sociali della psicoanalisi. Uno
dei testi che Freud dedica all’origine della civiltà insieme a Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921),
L’avvenire di un’illusione, Il disagio della civiltà.

Totem e tabù è un’ipotesi per avvalorare una congettura metapsicologica. Non è un’incursione di Freud
nell’antropologia. Fu molto criticato da veri antropologi per le sue tesi. Questo testo serve a Freud per dare
una rappresentazione più efficace di una sua tesi metapsicologica. Qui emerge una problematicità che ci
consente una lettura non quantitativa della metapsicologica di Freud. Il problema che si pone in Totem e
Tabù è questo: la coscienza morale si manifesta come senso di colpa, questa coscienza morale ha l’effetto di
contenere la nostra aggressività, ciò che non dobbiamo fare e per cui proviamo colpa è il parricidio simbolo
dell’oltrepassamento del limite morale, la manifestazione di questo contenimento di aggressività sta nel
sentirci in colpa quando pensiamo a certi atti. Il problema di Freud è che il senso di colpa è il rimorso per un
atto che è stato realmente compiuto. Com’è possibile che la coscienza morale si manifesti come senso di
colpa per un parricidio che non è mai stato compiuto? Freud si immagina che in un lontanissimo passato,
questa uccisione del padre sia stata realmente compiuta e che sia poi rimasta come memoria biologica
ereditata dalle generazioni successive nel loro corredo psichico. Il presupposto della validità di questa ipotesi
è la legge biogenetica fondamentale (o teoria della ricapitolazione) di Haeckel secondo la quale l’ontogenesi
ricapitola la filogenesi, c’è un parallelismo tra lo sviluppo psichico individuale e quello dell’intera specie, i
fenomeni individuali rimandano a fenomeni più grandi.

Totem e tabù può essere considerato un dramma in quattro atti.

1. Repressione: Freud recupera il quadro di Darwin, secondo cui in un’antichità antichissima l’umanità
era organizzata in un’orda capeggiata da un maschio fortissimo. Questo maschio potente soggioga i
propri figli mantenendoli in una condizione di repressione pulsionale perché solo quel maschio può
accedere alle donne. Il primo quadro ritrae i figli repressi nei loro bisogni pulsionali assoggettati al
potente padre, il quale è l’unico che vi ha accesso. A lungo andare i figli non riescono a sopportare
questa condizione quindi si alleano tra di loro e uccidono il padre. Il parricidio viene compiuto.
Inizialmente il padre è il modello invidiato e temuto allo stesso tempo.
2. Rivoluzione: Nel secondo quadro quest’ambizione di essere il padre per appropriarsi della sua forza
prevale e il parricidio viene compiuto. Questi indigeni ritengono che mangiare il padre conduca ad
un’identificazione con il padre. La fase orale, quella in cui si trovano gli indigeni, viene descritta da
Freud come quella in cui l’oggetto si ingerisce perché lo si ama e proprio nell’ingestione che
l’oggetto viene distrutto.
3. Democrazia: Nel terzo quadro gli individui si rendono conto che nessuno può diventare il padre
perchè ognuno dei figli lo impedisce all’altro. Tutti vogliono diventare il padre ma nessuno può farlo
perché ognuno lo impedisce all’altro. Questa pretesa di onnipotenza che ognuno dei figli ha non può
realizzarsi. Qui Freud parla di un lungo periodo di uguaglianza democratica dei fratelli caratterizzata
però da una serie di lotte intestine di tutti contro tutti. Qui apparentemente Freud offre una critica
della democrazia perché l’uccisione del padre fa venire meno un principio di ordine sociale. Questa
fase democratica è in realtà una fase di lotta civile. Dilaniati da questa lotta civile, ad un certo punto
emerge nei fratelli un senso di colpa per l’atto compiuto. Il progenitore morto viene divinizzato e
diventa il principio d’ordine del quarto quadro. Il parricidio è stato realmente … ma l’ambizione di
sostituirsi al padre non può essere realizzata e quindi emerge il senso di colpa, la nostalgia per il
padre.
4. Restaurazione: Nel quarto quadro la figura del padre fantasmatica viene restaurata. È una
spiegazione di ciò che avviene ontogeneticamente, nello sviluppo psichico individuale. Il padre che
prima era oggetto di amore, nel senso dell’amore divorante ovvero di ambizione di sostituzione,
torna in vita come formazione reattiva. La sostituzione del padre non è riuscita, il padre viene
richiamato in vita ma la sua funzione ora è reattiva perché i figli hanno capito di dover assoggettarsi
al padre per poter vivere pacificamente e in modo associato. Il tipo di obbedienza che viene
scambiata per la protezione, è un’obbedienza che mantiene i figli in una condizione di infantilismo.
Il re è il rappresentante in terra del padre, di Dio.

L’ambivalenza emotiva dei selvaggi nei confronti del padre riproduce l’ambivalenza del bambino nei
confronti del padre, solo che in questo caso il parricidio viene effettivamente compiuto. La realizzazione del
parricidio non porta all’esito sperato dai selvaggi. Si genera in loro il senso di colpa e la nostalgia per il padre
ucciso che li porta a far rivivere il padre come formazione reattiva. Questa riviviscenza del padre, dell’antico
ideale di potenza, avviene in termini di contenimento dell’aggressività. Questa è l’origine della coscienza
morale, che fa il paio con l’origine della religione e dei sentimenti sociali. L’uccisione del padre non ha
niente di liberatorio, emancipante perché di questa uccisione i figli si pentono e si rendono conto che il padre
non andava ucciso. La coscienza morale ha questa funzione di contenimento morale. Come interpretiamo
questa lettura? Possiamo dire che la nostra società è fondata sul senso di colpa, su quest’origine religiosa
della coscienza morale. Noi sacrifichiamo a dio i nostri istinti aggressivi per poter vivere una vita associata.

Questa narrazione in quattro quadri di Totem e Tabù è mossa da un’illusione fondamentale: l’illusione
dell’onnipotenza del padre. Dall’illusione che il padre non abbia ferite narcisistiche, è mossa dall’illusione
che la sostituzione del padre possa condurci a quella stessa condizione di invulnerabilità che noi attribuiamo
al padre. Nel terzo quadro la democrazia non funziona perché tutti questi individui sono mossi
dall’ambizione di essere il padre e quindi non riescono a cooperare tra di loro perché ognuno vuole essere
l’esclusivo principio d’ordine. È questo il motivo per cui, non riuscendo ad abbandonare quest’illusione,
fanno resuscitare il padre e il capo politico diventa il rappresentante del padre in terra (monarchie,
totalitarismi). Se il passaggio dall’infanzia alla pubertà dissolve quest’illusione che il padre non sia ferito nel
suo narcisismo ma possa esercitare la sua onnipotenza liberamente, se la crescita consiste nella dissoluzione
di questa presunzione di onnipotenza del padre, le cose vanno diversamente. La democrazia diventa una
condizione in cui il capo diventa il rappresentante provvisorio dei fratelli.

È possibile vedere due strade, quantitativa e qualitativa, nell’interpretazione di Totem e Tabù. L’ipotesi
quantitativa è quella che si rappresenta la natura umana come animale aggressiva e si rappresenta la civiltà
come una potenza di contenimento di quest’aggressività. Ma è vero che l’essere umano ha bisogno di essere
rappresentato partendo da questo dato dell’aggressività che poi si porta dietro la conseguenza che la civiltà
debba contenere quest’aggressività? L’idea che l’essere umano sia un animale feroce che dev’essere domato,
deve veramente essere il nostro punto di partenza? Nel disagio della civiltà Freud segue questa linea
quantitativa perché la sua idea è che la dissoluzione dell’illusione dell’onnipotenza del padre è un compito
difficilissimo. È molto difficile mettere in questione il nesso tra religione e civiltà. Questa fantasia edipica
può essere contenuta ma non può essere dissolta. Se nell’avvenire di un’illusione il rapporto con la religione
è considerato come qualcosa che dev’essere abbandonato in quanto è un relitto nevrotico, nel disagio della
civiltà invece questo progetto di eliminazione della religione non viene considerato plausibile perché troppo
ambizioso. Quello che si può fare è mantenere la struttura quantitativa e allentare la coscienza morale
dell’individuo. Nell’avvenire di un’illusione l’ipotesi è molto più ambiziosa perchè consiste
nell’abbandonare la figura del padre come una strategia di recupero del narcisismo perduto. Il padre non è
immune alle ferite che la realtà ci infligge. Se accettiamo la ferita narcisistica ci liberiamo della fantasia
edipica, in modo non solo quantitativo. Infondo la coscienza morale come formazione reattiva presuppone
una sopravvivenza della fantasia edipica che non è dissolta ma solo contenuta. Questo meccanismo
contenitivo ha il rischio che, dato che la fantasia edipica continua ad essere presente, gradi eccessivi di
repressioni conducono alla fantasia di realizzare la fantasia edipica.

Disagio della civiltà, linea quantitativa: civiltà come contenimento delle fantasie edipiche

L’avvenire di un’illusione: il complesso paterno su cui la religione si fonda è un’illusione perché l’illusione è
proprio quella dell’onnipotenza del padre. È possibile dissolvere quest’illusione? La civiltà esige sempre una
rinuncia. In realtà la rinuncia o rimozione non ha una sola accezione. La rimozione può essere quantitativa,
ovvero può avvenire in virtù di forze affettive, oppure può essere qualitativa. La società deve passare da un
atteggiamento religioso, ovvero dal complesso paterno, ad un atteggiamento scientifico perché la scienza
dissolve le illusioni. Per Freud la società è un rapporto edipico istituzionalizzato. Il complesso non è
veramente superato ma è accomodato, è il risultato di un compromesso quantitativo. Nell’avvenire di
un’illusione Freud prospetta la possibilità di una civiltà differente, non più pensata come rapporto edipico
istituzionalizzato ma come liberata dal senso di colpa, innocente. Ma qui l’innocenza è lo spirito scientifico.

Nell’avvenire di un’illusione Freud non propone una società senza rimozione ma propone una rimozione
diversa. Nel disagio della civiltà la rimozione è invece puramente quantitativa e la soluzione è che la società
non può fare a meno di reprimere, ma deve reprimere un po' meno perché altrimenti può diventare
pericoloso.

11.05.2023

Totem e tabù è un testo che Freud scrive per scorgere i meccanismi psichici che riguardano la psiche
individuale, l’idea è che ci sia un parallelismo tra ontogenesi (sviluppo psiche individuale) e filogenesi
(sviluppo specie umana). In entrambe queste linee parallele il punto decisivo è la figura del padre. Abbiamo
individuato quattro quadri. La società nasce come rapporto edipico istituzionalizzato, ha la struttura di uno
stato autoritario, di quella che era al tempo la monarchia austro ungarica, una condizione politica patriarcale
e assolutista. Freud descrive la nascita della civiltà come eretta sul senso di colpa, è il senso di colpa che
induce gli individui a far rivivere il padre morto, questa descrizione ha l’aspetto di una diagnosi critica
perché la descrizione che viene fatta della democrazia può apparire negativa ma in realtà non lo è. La
descrizione quantitativa del complesso di Edipo è quella che vediamo svolta nelle vicende di Totem e Tabù:
avviene un patto infantile che i figli fanno con il padre, i figli sacrificano la propria aggressività in cambio di
protezione, contengono la fantasia edipica di uccisone del padre in cambio di protezione. Questo è un
compromesso quantitativo, perché il desiderio di uccidere il padre è contenuto verso l’interno dal senso di
colpa, ma non è estinto come desiderio, il desiderio rimane ma viene contenuto in cambio di protezione.
Questo compromesso quantitativo è un compromesso costitutivamente instabile in quanto il desiderio è
contenuto solo, non c’è una misura certa di quale sia il contenimento più vantaggioso, può accadere che
questo contenimento sia eccessivo e che questo produca uno sbotto di violenza. La civiltà restaurata si può
trovare ad essere messa in questione da una rivoluzione. È un compromesso quantitativo instabile perché
sempre in bilico tra rivoluzione e restaurazione. La fantasia edipica, l’illusione edipica, non è dissolta,
eliminata ma è solo quantitativamente contenuta.

L’ipotesi quantitativa freudiana è quella di analizzare la civiltà e di vedere se questo compromesso è


troppo sbilanciato sulla repressione o sulla espressione, vediamo se la civiltà è troppo asociale o
troppo antisociale. L’illusione di uccidere il padre è sempre lì, non è stata dissolta. Questa è una linea
di costruzione della società che Freud ha in mente.

L’altra linea emerge già da questi quattro piani, in particolare dalla costituzione della democrazia. La
democrazia è una società senza padre, perché è una società a dimensione orizzontale e non verticale come
negli stati autoritari. Il modo in cui F. descrive la democrazia in Totem e Tabù è essenzialmente negativo,
perché lo vediamo dal punto di vista della linea quantitativa. Se noi interpretiamo il terzo quadro
democratico come una diagnosi critica, ci si apre una possibilità qualitativa che non consiste più in un mero
compromesso, questa linea qualitativa ha svolgimento proprio in L’avvenire di un’illusione in cui si
percepisce che la marcia che Freud mette è più avanzata che né Il disagio della civiltà.

L’avvenire di un’illusione: l’ipotesi qualitativa

In L’avvenire di un’illusione c’è un discorso più ambizioso che consiste nel fatto che una democrazia
correttamente intesa non è una che si risolve in una lotta di tutti contro tutti che quindi ha bisogno di un
sovrano che sia il rappresentate del padre morto, un’idea positiva di democrazia dissolve l’illusione di
onnipotenza del padre, dissolve questo sogno di conchiusezza e invulnerabilità che la figura del padre ricorda
e che è la risposta al fatto che il bambino guarda il padre come colui che può realizzare il suo desiderio
sessuale perché ha la madre. Il padre simboleggia questa memoria biologica, se questa illusione di
onnipotenza, se dismettiamo l’idea che ci sia qualcuno di immune alla ferita narcisistica, ecco che gli
individui sono tutti uguali e nessuno può essere dispensato dal confronto con la realtà. Quello che rimane è
cooperare. La cooperazione democratica non implica che non vi sia un capo, ma i capi non sono più i
rappresentati del padre morto ma sono i rappresentati provvisori e sempre discutibili dei fratelli, cioè degli
individui. Questo è il passaggio dallo stato autoritario allo stato democratico. In questo testo Freud mette in
questione il nesso tra religione e civiltà, mette in questione l’idea che la civiltà debba essere eretta sul
complesso paterno e sul senso di colpa.

Il concetto di senso di colpa.

Nella dimensione ontogenetica, se è vero che il senso di colpa è il rimorso per un atto effettivamente
compiuto, nella nostra situazione particolare nessuno ha veramente ucciso il padre introiettandone i divieti.
Allora Freud ricorre a questa specie di memoria biologica ereditaria che si propaga per l’intera specie cioè la
memoria di questa uccisione primordiale. Freud vuole mostrare come nella vita psichica individuale il senso
di colpa insorga come il ricordo di un atto che in un passato lontano è stato effettivamente compiuto.

Concetto di illusione.

Questo concetto non compare per la prima volta in questo testo, compare in Psicologia delle masse e analisi
dell’io e ancora prima compare in Gustave le Bonn. Gustave le Bonn scrive Psicologia delle folle in cui la
sua idea era che la secolarizzazione (svuotamento del cielo, critica della scienza alla religione) stava avendo
conseguenze pericolose. Perché la religione per Le Bonn non è fondata sulla paura, come per Lucrezio, ma
sulla speranza, sulla speranza che i torti subiti sulla terra venissero compensati nell’al di là e poiché nessuno
era tornato dall’al di là per raccontare, questa speranza indimostrabile e inconfutabile aveva un effetto molto
forte e contribuiva a tenere a freno le masse che potevano risparmiarsi una ribellione di fronte alle condizioni
di povertà, oppressione, nella speranza che quella sofferenza potesse essere compensata nel regno dei cieli.
La religione aveva un effetto politico di contenimento delle ambizioni rivoluzionarie. Il fenomeno politico
preoccupante di fronte al quale le Bonn tremava era il socialismo (ateo), il quale era pericoloso perché
credeva nell’uguaglianza degli individui ma questa uguaglianza era falsa per Le Bonn. La religione e la sua
funzione di contenimento delle masse vengono meno, le masse salgono sul palcoscenico e sono pericolose
perchè vogliono ribellarsi e chiedono ciò che spetta loro, bisogna trovare un’altra illusione che consenta il
contenimento che prima era consentito dalla religione. Non è più una illusione quella alla quale Le Bonn si
appella ma un manuale scientifico di regole: la psicologia delle folle, ovvero una serie di meccanismi che
consentono al capo di asservire psicologicamente le folle.

Il concetto di illusione ha una prima comparsa significativa per Freud proprio in Le Bonn. Prova ne è che
Freud inizia la sua psicologica delle masse con un’analisi critica dell’analisi delle folle di Le Bonn, l’intento
di Freud è quello di continuare il suo lavoro. Ma non è solo una continuazione quella di Freud. Freud dice
che le Bonn parla del carisma del capo, di come funziona la folla, della suggestione, del contagio emotivo,
però non ci spiega qual è il motivo per cui il capo è capace di sedurre le masse. Qual è il meccanismo
psicologico che obbliga le masse ad obbedire al capo? Manca questo tassello. È questo ciò che si propone di
fare la psicologia delle masse. Freud dice che il capo rappresenta un sostituto del padre e quindi gli individui
che si sottomettono al capo, si sottomettono a ciò che il capo rappresenta nell’illusione di essere amati tutti
nello stesso modo. In psicologia delle masse, quest’idea della civiltà come di uno stato autoritario guidato dal
padre con cui si è fatto un patto infantile attraverso cui si cede aggressività per avere protezione, quest’idea
viene riprodotta e rianalizzata nei particolari. Connessione tra Totem e Tabù e Psicologia delle masse. Nel
capitolo X di Psicologia delle masse infatti Freud riprende Totem e Tabù. Questo è interessante perché Freud
mette in evidenza alcuni aspetti negativi di questa costruzione della società, mette in evidenza il fatto che in
questa condizione di sottomissione al capo gli individui perdono la loro libertà. In secondo luogo, Freud
descrive questa organizzazione politico autoritaria come sovrapponibile al meccanismo delle religioni. La
Chiesa e lo Stato funzionano nello stesso modo, Cristo e il Re sono sovrapponibili. Sia i fedeli che i sudditi
vivono nell’illusione di essere amati e quindi protetti. Freud ci sta dicendo in termini più chiari che la civiltà
che lui aveva in mente, lo stato autoritario la monarchia, è una condizione di asservimento in cui si perde la
libertà e che ha tutta un’altra serie di problematiche, tra cui il fatto che questi Stati autoritari sono coesi
all’interno a condizione di sputare verso fuori l’aggressività. Amore dentro, odio fuori. L’esempio che Freud
fa è quello delle comunità religiose. Il cristianesimo è una religione dell’amore che è tollerante per chi la
pensa come lei ma esercita il massimo dell’intolleranza per chi non ne fa parte. Caratteristica negativa di
questa formazione sociale è l’intolleranza verso l’esterno del gruppo. Il gruppo si forma a condizione di
separare l’amore verso l’interno dall’aggressività verso l’esterno. Queste sono le caratteristiche di questa
società intesa come rapporto edipico istituzionalizzato.

• Socialdemocrazia: è quella che da l’impulso alla costruzione della democrazia autaraca. Non si
fonda sugli stessi principi del socialismo sovietico. Principale differenza è che essa non pensava
all’abolizione della proprietà privata ma pensava che questa dovesse essere corretta con misure
sociali, a vantaggio delle classi più svantaggiate;
• Socialismo sovietico: la soluzione è l’abolizione della proprietà privata.
Nel disagio della civiltà, quando parla di comunismo Freud gli rimprovera due cose:

• Pensa che eliminando la proprietà privata si eliminerebbe l’aggressività dall’uomo.


Secondo Freud invece la proprietà privata è solo un caso di esercizio dell’aggressività, se la togliamo
l’aggressività non si annullerà ma si eserciterà su altri campi. L’aggressività umana è un corredo
psicologico costitutivo dell’essere umano che esiste da prima della proprietà privata.
• Si fonda su un’antropologia troppo positiva.
Il presupposto del primo punto è l’idea che l’essere umano sia buono per natura ma corrotto dalla
proprietà privata. Eliminata la proprietà privata, eliminiamo anche l’aggressività. Per Freud invece
questa descrizione è sbagliata, l’aggressività fa parte della natura umana.

L’avvenire di un’illusione

Capitolo I

Nel primo capoverso Freud dichiara ciò che andrà a fare. Qui Freud si sta occupando di determinare quali
sono i fattori che tengono insieme la nostra civiltà e la domanda che orienta tutto lo svolgimento del testo è:
quale sarà il destino della nostra società? Ci siamo occupati delle origini della civiltà, delle sue
caratteristiche, ora dobbiamo volgerci alla questione di quale sarà il destino della civiltà. Ci sono due fattori
di difficoltà di quest’impresa:

1. Un fattore oggettivo: difficoltà di fare previsioni.


Difficoltà di abbracciare con lo sguardo tutta la civiltà umana, se non siamo in grado di concentrarci
su singoli aspetti di essa sarà difficile fare previsioni sul futuro.
2. Un fattore soggettivo: aspettative del singolo individuo.
Il tipo di aspettativa che ognuno di noi, a seconda del nostro temperamento più o meno fiducioso nei
confronti della natura umana, ha.
2.1. Secondo fattore soggettivo: non abbiamo sufficiente distanza dall’oggetto di studio.
Gli uomini del presente avrebbero bisogno di distaccarsi dal proprio oggetto di interesse per
acquisire uno sguardo oggettivo.

Poiché un’analisi totale del destino dell’umanità del tipo descritto nel primo capoverso avrebbe l’aspetto di
una profezia, Freud decide di dedicarsi all’aspetto psicologico del futuro della società. Seleziona un ambito
che gli consente di essere più sicuro nelle ipotesi. Freud considera la distinzione tra animali umani e animali
non umani come una distinzione tra aggressività e cooperazione. In un’immagine usuale ai tempi di Freud gli
animali non umani erano considerati come incapaci di costruire una società, di vivere in modo associato, non
capaci di contenere la propria aggressività per cooperare con gli altri. Quello che separa il regno degli
animali non umani da quelli umani è la coscienza morale, intesa come quella formazione reattiva che reprime
le pulsioni aggressive e ci consente così di cooperare. La coscienza morale si forma nel periodo di latenza e
costituisce una barriera all’aggressività. La distinzione tra civiltà e civilizzazione è una distinzione, che
Freud rifiuta, elaborata da Scpengler, tra civiltà intesa come l’elemento formatore e creativo di un popolo,
intesa in un senso organico, e la civilizzazione che costituiscono i prodotti esteriori della civiltà, istituzioni
sociali, norme. Come se la civiltà indicasse l’elemento spirituale, il nocciolo organico, lo slancio creativo che
caratterizza una civiltà per quello che è sostanzialmente mentre tutte le formazioni esteriori, il corpo esteriore
di una civiltà sono i suoi prodotti civili. Freud però non accetta questa distinzione tra un elemento interiore e
sostanziale e un elemento esteriore.
La società mostra due facce, comprende:

• Tutte le capacità e tutto il sapere acquisiti dagli esseri umani per dominare le forze della natura e per
trarre da essa i beni necessari a soddisfare i propri bisogni.
• Tutte le istituzioni necessarie a regolamentare i rapporti tra gli esseri umani e in particolare la
ripartizione dei beni disponibili.

Questi due indirizzi della civiltà non sono indipendenti l’uno dall’altro perché

1. Le relazioni tra gli individui sono influenzate dal soddisfacimento personale reso possibile dai beni
disponibili. Freud si sta riferendo alle condizioni degli oppressi, di coloro che ricevono una scarsa
distribuzione dei beni e che per questo sono insoddisfatti dal punto di vista pulsionale e quindi
sviluppano una attitudine ostile alla civiltà. I rapporti degli individui tra loro sono influenzati dalla
distribuzione dei beni. Un’ingiusta distribuzione dei beni e quindi un largo gruppo di oppressi e un
piccolo gruppo di oppressori rende insicura e fragile la tenuta della civiltà perchè gli oppressi
svilupperanno sentimenti di ostilità nei confronti della civiltà.
2. In secondo luogo, anche il rapporto tra gli individui è decisivo perchè l’altro può essere oggetto sessuale
o forza lavoro. Anche ne L’avvenire di un’illusione è presente il tema economico (economia psichica in
relazione con la distribuzione dei beni).
3. In terzo luogo, perché ogni individuo è virtualmente, potenzialmente, un nemico della civiltà. Perché
questa potenzialità, attuale in ognuno, può non diventare realtà? Come non fare diventare realtà
quest’attitudine potenzialmente ostile alla società? È ostile alla società perché ogni civiltà è basata sul
sacrificio pulsionale e sulla coercizione che gli individui vivono come un peso.

Il problema che qui Freud si sta ponendo è come fare a riconciliare gli esseri umani con il sacrificio
pulsionale che la civiltà richiede loro. Ragionare sul tipo di civiltà che consente la migliore combinazione e
la maggiore riconciliazione con questi sacrifici pulsionali. Bisogna capire se una civiltà costitutivamente
costruita religiosamente non sia un tipo di organizzazione che scoraggia gli individui a tollerare il peso del
sacrificio pulsionale che la società richiede loro e quindi non formi attitudini ostili alla civiltà. Gli esseri
umani non riescono a vivere isolati, tuttavia soffrono il peso del vivere insieme. In Schopenhauer c’è la
famosa parabola dei porcospini che rappresenta bene il paradosso della civiltà. Questi porcospini hanno degli
aculei e non possono stare troppo lontani gli uni dagli altri perché devono riscaldarsi perché altrimenti
morirebbero di freddo, ma non possono stare troppo vicini perchè gli aculei degli altri li trafiggerebbero.
Bisogna trovare la giusta misura.

Lo scopo degli ordinamenti civili è evitare che l’ostilità alla civiltà prevalga. La domanda che qui F. si sta
ponendo è se la religione ci aiuti a ridurre il peso di questo sacrificio pulsionale o se invece peggiori la
situazione. Freud infondo segue un percorso simile a quello di Nietzsche. Freud in questo testo dialoga con
un interlocutore immaginario, è Oscar Fister, l’ipotesi che fa è che la religione inizialmente può aver aiutato
a sopportare il sacrifico pulsionale (rinuncio ad una mia pulsione perché nell’al di là riceverò una
ricompensa). Ma che questa sua funzione si sia rovesciata nel suo contrario. Ciò che sembrava essere un
fattore di alleggerimento, ora sta diventando un fattore di appesantimento. Anche Nietzsche dice che il
cristianesimo ci ha salvato dal suicidio rendendo la vita interessante. Ora però le cose stanno peggiorando.
Altra cosa che Freud ci mostra in qualche riga è la fragilità della nostra associazione civile. Non diamo per
garantito la tenuta della civiltà perché le creazioni umane sono facili da distruggere e la scienza e la tecnica
che le hanno edificate possono essere usate per il nostro stesso annientamento.
L’immagine di una massa ricalcitrante, riottosa, alla quale vengono imposti con la coercizione sacrifici
pulsionali e una minoranza capace di dominare i propri desideri pulsionali mediante l’intelletto. Qui entra in
gioco l’intelletto, ovvero il rapporto tra il processo primario e quello secondario. Il processo primario per F. è
quello affettivo, la soggettività freudiana è una soggettività desiderante. La struttura primaria è il desiderio.
La sovrastruttura è l’attività razionale. Queste difficoltà, ovvero la necessità di ricorrere alla coercizione e
l’ostilità alla società, possono essere dovuti alla struttura dei nostri ordinamenti civili e un cambiamento di
questi può risolvere i problemi degli individui. Poi dice che il progresso tecnico non ha nulla a che fare con il
progresso morale, non aumenta la felicità della vita di un individuo. Il progresso tecnico, l’acquisizione di
nuove tecniche per strappare alla natura i beni, non ha nulla a che fare con il grado di soddisfazione della
nostra vita associata, non ha a che fare con la dimensione che concerne un miglioramento della convivenza
umana. Se il problema è la repressione pulsionale, allora forse la soluzione è l’espressione pulsionale. Se gli
ordinamenti civili ci costringono alla repressione, sono ordinamenti civili repressivi, smantelliamo il
carattere repressivo di questi ordinamenti e saremo felici. Quest’idea dell’espressione degli istinti come
soluzione in Freud non esiste. Uno stato simile è inattuabile, una civiltà deve per forza ergersi sulla
coercizione e sulla repressione pulsionale. Non esiste una vita associata che non richiede una rimozione,
ovvero una repressione pulsionale. Il discorso dovrà riguardare il tipo di repressione. Freud ci sta mettendo
davanti a questa ipotesi: se ogni civiltà prevede una rimozione, che tipo di rimozione dobbiamo auspicare
affinché la civiltà sia capace di riconciliarci con i sacrifici che inevitabilmente ci richiede?

12.05.2023

Comparazione di psicologia delle masse e l’avvenire di un’illusione

L’idea è che questo passaggio da una religione allo spirito scientifico significa una critica delle forme
autoritarie di stato e una favorizzazione teorica e non tradotta nel credo politico di Freud, della democrazia
come forma scientifica di vita associata. È come se la caratterizzazione edipica della civiltà per come fino ad
ora Freud l’aveva conosciuta e cioè come un rapporto edipico istituzionalizzato, venisse superata da questa
prospettiva di un passaggio allo spirito scientifico che prevede anche una forma differente di associazione tra
individui, di civiltà. Il parallelismo è che la religione e la scienza corrispondono a due diverse concezioni
della vita associata: una civiltà eretta sul senso di colpa e sul complesso paterno restituisce una forma
autoritaria, una critica della civiltà così intesa propone invece una forma di vita associata differente intitolata
allo spirito scientifico che si può interpretare come democrazia anche se Freud non trae mai questa
conseguenza. Oil complesso edipico nella sua declinazione ontogenetica corrisponde ad una formazione
politica autoritaria, quella che Freud descrive nel v capitolo di psicologia delle masse e la critica della civiltà
eretta sul complesso paterno e la sua prospettiva di dissoluzione dia luogo all’ipotesi di una civiltà che possa
costruirsi su una forma di vita associata diversa, la democrazia, e che per molti versi è stata considerata
l’applicazione del metodo scientifico al governo degli esseri umani.

Freud ha avuto un dialogo con Hans Kelsen, giurista austriaco, che è stato un grande difensore della
democrazia. Nel suo libro Essenza e valore della democrazia propone l’idea che la democrazia sia
l’applicazione del metodo scientifico alla vita associata. Da questa suggestione possiamo trarre questa
ipotesi.

Concetto di illusione.
È un concetto che Freud recupera da Le Bonn. Freud recupera questo apparato perché riprende ed elogia Le
Bonn però lo accusa di non aver chiarito qual è il meccanismo psicologico che sta alla base di questa
seduzione che genera obbedienza. Nel fornire questo meccanismo, Freud lavora descrittivamente e
valutativamente, mostra come il capo sia il sostituto del padre e gli individui obbediscono a lui perchè
credono di essere amati dal padre tutti allo stesso modo e contraggono con lui un patto con cui si scambiano
protezione in cambio del sacrificio delle proprie pulsioni aggressive. Carl Schmitt in Teologia Politica
afferma che “Protego ergo obligo” (protezione quindi obbligazione, obbedienza) è il cogito ergo sum dello
stato moderno, è il fondamento dello stato moderno. Su questo Freud concorda criticamente perché la
descrizione che viene data in Psicologia delle masse non è solo una descrizione ma anche un’indagine critica.
Nel capitolo V di Psicologia delle folle Freud sovrappone esercito e Chiesa. L’esercito è una metonimia per
lo Stato. I due meccanismi di costruzione dello Stato e della Chiesa divengono la stessa cosa, ipotesi
teologico politica di costruzione della sovranità. Nel V capitolo Freud dice che uno dei modi per rendere lo
stato autoritario compatto è quello di costruirsi un nemico all’esterno. Tutti gli stati nazionalisti hanno
bisogno di contrapporsi ad un nemico esterno per serrare le fila dello stato. È una modalità di compensazione
della perdita di libertà dell’individuo nella massa, è un modo di compensazione però non è sempre
sufficiente perché questa mancanza di libertà a lungo andare non è sostenibile. Oltre al nemico esterno si
costruisce un nemico interno, il rischio della guerra civile. In Totem e tabù c’era lo stesso rischio. Ciò che
avviene tra secondo e terzo quadro, può avvenire anche tra il quarto ed un eventuale quinto quadro che
potrebbe nuovamente portare alla rivoluzione. Uno stato costruito sul complesso edipico è esposto
all’oscillazione malinconica tra repressione ed espressione. Il vantaggio della democrazia è che è una forma
di vita associata consapevole e che razionalmente discute le repressioni della civiltà. La discussione, che è la
conquista più importante della democrazia, è un modo per non far covare le pulsioni represse ma portarle alla
soglia della consapevolezza e discuterle pubblicamente. Questo metodo è molto più efficace di quello
dell’autocrazia che invece reprime la discussione e così cova un rischio maggiore di uno scoppio di
aggressività. Freud ha sempre avuto un atteggiamento molto aperto sulla psicoanalisi, sosteneva che la
psicoanalisi doveva essere esercitata anche da chi non è medico. Tutto questo è però venuto meno perché in
America la professione dello psicoanalista è stata inghiottita dalla medicina. Per Freud le cose non dovevano
andare così.

Ritornando a L’avvenire di un’illusione, Freud qui si chiede qual è il destino della società. Rifiuta la
distinzione tra cultura e civilizzazione e sostiene:

La civiltà umana ha due aspetti: comprende tutto il sapere e il potere che gli uomini hanno acquisito al fine di
padroneggiare le forze della natura per strappare ad essa i beni per il soddisfacimento dei propri bisogni,
dall’altra parte c’è il problema della distribuzione di questi beni. La felicità di una civiltà dipende da questa
distribuzione dei beni. Oggetto della sua analisi qui sono quegli atteggiamenti di ostilità alla civiltà che sono
anche causati dal fatto che una maggioranza della popolazione fruisce di una piccola parte di questi beni. Il
riferimento è a oppressi e oppressori, alla situazione capitalistica della civiltà. In realtà l’ostilità alla civiltà è
un fattore costitutivo dell’uomo, ciascun individuo è virtualmente un nemico della civiltà. Questa
potenzialità è attuale in tutti perché la civiltà ci richiede un contenimento delle pulsioni, allora bisogna
concepire e atteggiarsi nei confronti degli ordinamenti civili in un modo che rendano questo peso il più
leggero possibile. L’altro aspetto della civiltà è quello che comprende gli ordinamenti necessari al fine di
regolare gli ordini degli uomini tra loro e la distribuzione dei beni, tutte quelle norme civili che regolano i
rapporti tra gli individui. Qui Freud sta sollevando un punto: che tipo di concezione abbiamo degli
ordinamenti civili della nostra società e in che modo questi ordinamenti, e in particolare l’atteggiamento nei
confronti di essi, devono essere modificati in modo da rendere l’ostilità alla civiltà il meno pericolosa
possibile.

Il paradosso della civiltà riguarda il fatto che ogni individuo è virtualmente nemico della società. Esempio
dei porcospini freddolosi di Schopenhauer dà il senso dell’incapacità di vivere isolatamente e dalla difficoltà
di vivere troppo vicini. Devono trovare la giusta distanza. Assodato che non la vita associata richiede sempre
una repressione pulsionale, lo scopo di Freud è quello di sapere se e in quale misura è possibile trovare un
certo atteggiamento nei confronti della società che ci permetta di ridurre l’ostilità nei confronti della stessa.
Questa riduzione del peso non ha a che fare con la quantità, non ha a che fare con un esprimere più o meno il
proprio desiderio, ma ha a che fare con un tipo diverso di atteggiamento nei confronti della società. Bisogna
passare da un atteggiamento religioso ad un atteggiamento irreligioso, cioè scientifico nei confronti della
società. Dobbiamo abbandonare il nesso tra religione e società, ci troviamo in un territorio diverso, quello
dello spirito scientifico che è un diverso modo di porsi nei confronti della realtà. L’ipotesi proposta da Freud
in questo saggio è così audace da non avere un corrispettivo psicodinamico. Quando passiamo da quantità a
qualità ci troviamo in difficoltà. Lo spirito scientifico, questo atteggiamento non religioso nei confronti della
realtà, non ha una spiegazione in termini psicodinamici, in termini di forze che si oppongono le une alle altre.
Cortocircuito tra il positivismo da cui Freud proviene e la figura umanista di Freud, Freud non parla di
scienza ma di spirito scientifico. Freud è una figura al confine tra umanesimo e positivismo. Il concetto di
spirito scientifico è il punto di passaggio tra questi due ambiti diversi.

Dunque Freud ha appurato che la soluzione alla repressione degli istinti che la vita associata ci richiede NON
è l’espressione delle pulsioni. Il sogno di una civiltà libera dalle pulsioni ha toccato l’immaginazione di
molti, quest’idea viene per esempio sviluppata da Marcuse. In Freud l’idea che ogni vita associata sia
consustanziale alla repressione degli istinti è un punto fermo. Il problema di Freud non chiedersi rimozione
Sì o rimozione No ma è chiedersi quale tipo di rimozione è necessaria.

Idea della massa.

Freud presenta la rappresentazione classica dell’umanità. Un’umanità distinta in una massa di individui che
non riescono a controllare razionalmente le proprie passioni e una minoranza di capi dotato di un
discernimento maggiore capaci di dominare le passioni e per questo posti a capo della civiltà. Qui Freud sta
riprendendo l’immagine che cercherà di contestare: dobbiamo rassegnarci all’idea che la maggior parte degli
esseri umani siano un gregge e che servano pastori, questo gregge è fatto di individui che possono essere solo
forzati a contenere le proprie passioni (per esempio dalla paura) e quindi dal contratto di protezione in
cambio di obbedienza e che vi siano solo pochi individui capi, capaci di dare alla civiltà una forma duratura.
La civiltà è fragilissima per Freud perché si fonda su un accordo instabile. Qui c’è anche un riferimento
interessante al fatto che gli esseri umani non amano spontaneamente il lavoro. Il discorso sul lavoro è
affrontato più lungamente ne Il disagio della civiltà dove Freud fa una distinzione interessante tra lavoro
imposto e lavoro liberamente scelto. Egli afferma infatti che il lavoro è imposto ma se fosse scelto dagli
individui sulla base delle proprie personali inclinazioni, sarebbe meno gravoso e produrrebbe meno
atteggiamenti di ostilità nei confronti della civiltà. In L’avvenire di un’illusione invece il lavoro è presentato
solo come una delle forme di coercizione alla quale dobbiamo essere costretti perché non gli siamo
spontaneamente portati.

Posizione che Freud ha nei confronti delle masse.

Il problema dell’asservimento delle masse ad un capo non è un problema che può essere risolto come fa il
socialismo sovietico. Freud critica al s. s. l’idea che l’abolizione della proprietà provata non coincida con
l’abolizione dell’aggressività. I sovietici hanno un’antropologia troppo positiva. Nel comunismo Freud non
ha nessuna fiducia perchè non considera la proprietà privata un problema centrale.

Freud sta dicendo che è possibile, con i limiti dell’educabilità umana, costruire una forma di educazione che
puntando sulla razionalità sia capace di ridurre il peso dei sacrifici pulsionali. La soluzione è l’acquisizione
di un tipo diverso di atteggiamento. Il progetto di Freud è di non rassegnarsi all’immagine di una massa
pecore che possono solo essere costrette a reprimere le proprie passioni da una forza coercitiva, ma che sia
invece possibile fin dall’infanzia costruire un sistema diverso. C’è un progressivo svelarsi dell’argomento.
Lentamente si svolgerà quest’ipotesi: l’idea che una educazione irreligiosa consenta di diminuire il ruolo
della logica affettiva facendo interagire in modo più integrato il sistema razionale con quello affettivo.
Questo è il senso della sostituzione di una logica affettiva del contenimento delle passioni con lo spirito
scientifico.

Bisogna rendere la massa all’altezza dei capi. Alla religione affida la responsabilità negativa di aver costruito
un sistema di questo tipo: gregge e pastore. In quest’ultimo paragrafo Freud ha disegnato il proprio intento
argomentativo in questo testo, che verrà poi svelato piano piano.

Capitolo II

Abbiamo lavorato su una parte della definizione della società che riguarda i beni e la loro distribuzione,
dall’altra parte c’è il patrimonio psichico. Due patrimoni:

1. Patrimonio materiale: di cui fanno parte i beni e la loro distribuzione


2. Patrimonio psichico/spirituale: a cui appartengono tutte quelle conquiste della società che la
caratterizzano. Ne fanno parte tutti quegli strumenti – coercitivi e di altro tipo – utili a difendere la
civiltà.

La civiltà richiede sempre una frustrazione, cioè un certo grado di repressione delle pulsioni. La frustrazione
del desiderio, il fatto che questo non possa essere realizzato, è il disagio che la civiltà impone.

Nello scritto La pulsione e i suoi destini Freud da un lessico metapsicologico che può esserci utile. La
pulsione è caratterizzata da quattro elementi fondamentali:

1. Meta: soddisfacimento pulsionale;


2. Oggetto: ciò mediante cui la pulsione ottiene il suo soddisfacimento, giunge alla sua meta;
3. Spinta: carattere idraulico della pulsione, consiste nel fatto che la pulsione è una spinta che si manifesta
come una tensione dolorosa che si manifesta nella scarica;
4. Fonte: provenienza endosomatica della pulsione, il fatto che le pulsioni hanno il loro luogo biologico nel
corpo.

La frustrazione è il fatto che una pulsione viene inibita nella meta, nel soddisfacimento. Il divieto è
l’ordinamento, la modalità, che impedisce la soddisfazione della pulsione. La privazione è la condizione che
viene prodotta da questo divieto.

In questo saggio Freud introduce un concetto particolarissimo: la sublimazione. Tra le conquiste psichiche
della civiltà annovera la sublimazione. Sublimare è il passaggio di stato dal solido al gassoso, salta uno stato.
La sublimazione possiamo definirla come la trasformazione sociale e non repressiva di istinti narcisistici, è il
modo in cui le pulsioni sessuali, che sono solide perché allignano nel corpo e sono di carattere egoistico,
vengono tradotte in prodotti spirituali. Per esempio l’arte è una sublimazione. Il concetto di sublimazione
non è indagato da Freud, seppur sia diffusissimo non ne da una definizione metapsicologica.

Ci sono privazioni che riguardano tutti, riguardano la definizione dell’essere umano nella propria umanità,
riguardano la specie umana. Queste privazioni corrispondono ad una serie di divieti: l’incesto, il
cannibalismo, omicidio. Questo ricorda il primo quadro di Totem e Tabù in cui compaiono tutti questi
desideri.

17.05.2023

Capitolo II

Freud ci parla di quelli che egli definisce come i 3 desideri pulsionali più antichi: l’incesto, il cannibalismo e
l’omicidio. Sono i tre atti compiuti nella preistoria dell’umanità secondo il mito primordiale costruito da
Freud: l’uccisione del padre, il fatto che il padre venga mangiato, il desiderio incestuoso della madre. In
questi tre desideri si raccoglie tutto ciò che la società deve frustrare affinché la vita associata sia possibile.
Questa è la linea quantitativa. Il punto però non è solo mostrare l’evoluzione civile che dà origine alla
coscienza morale e la sua caratteristica religiosa, ma si tratta di mette in questione il nesso tra civiltà e
religione, ovvero il modo in cui finora la società si è eretta sul senso di colpa e quindi mettere in questione il
senso in cui la civiltà viene definita come un rapporto edipico istituzionalizzato. La civiltà intesa come
rapporto edipico istituzionalizzato è il risultato di una stabilizzazione dell’ambivalenza nei confronti del
padre, un equilibrio precario. In questo testo Freud prova a mettere in questione questo modello quantitativo.
Infondo il rapporto ambivalente nei confronti del padre in cui consiste il complesso edipico, non viene
dissolto nella civiltà quantitativa eretta sul senso di colpa ma viene stabilizzato; quindi, rimane il problema
del rapporto con il padre, il desiderio edipico viene contenuto ma non dissolto, l’illusione dell’onnipotenza
paterna viene solo contenuta. La linea qualitativa invece è quella in cui Freud cerca di avanzare un’ipotesi in
cui questa illusione viene finalmente dissolta e il complesso edipico superato. Prima Freud ci descrive il
modello quantitativo, poi metterà in questione il complesso paterno, ovvero ciò su cui la religione si fonda,
nel momento in cui la religione viene ricondotta al complesso paterno e viene così criticata, allora ci
troviamo di fronte a qualcosa di diverso dalla civiltà eretta sul senso di colpa.

Dopo averci presentato i tre desideri più antichi, Freud continua:

“La coercizione esterna venga a poco a poco interiorizzata…esterna”. Il Super Io è un’interiorizzazione della
figura paterna, di una coercizione esterna, che contribuisce alla repressione dell’aggressività. L’autorità viene
quindi interiorizzata attraverso l’edificazione di un Super-Io. Da questo momento si può cominciare a parlare
di coscienza morale e di senso di colpa.

All’interno di Il disagio della civiltà Freud afferma che la costruzione del Super Io è uno dei mezzi di cui si
serve la civiltà per inibire l’aggressività. L’aggressività viene introiettata, interiorizzata, in definitiva rispedita
da dov’è venuta, quindi diretta verso il proprio Io. Lì viene assunta da una parte dell’Io, che si contrappone al
resto come Super-Io, e ora come “coscienza morale” rivolge contro l’Io la stessa aggressività che l’Io
avrebbe voluto rivolgere verso il padre e verso individui estranei. Chiamiamo coscienza di colpa la tensione
tra l’austero Super-Io e l’Io che gli soggiace, che si esprime come bisogno di punizione. La civiltà, dunque,
controlla il pericoloso desiderio di aggressione dell’individuo indebolendolo, disarmandolo e facendolo
sorvegliare da un’istanza al suo interno. Il Super io consente la civilizzazione dell’individuo, cioè la
repressione della sua aggressività, in un peculiare patto che vede scambiarsi obbedienza in cambio di
protezione. È un patto “infantile” perché ciò che viene scambiato è protezione da parte del padre in cambio
del sacrificio dell’aggressività. Questo consente alla civiltà di esistere, gli individui riescono a socializzare
ma il prezzo di questa socializzazione è la perdita di libertà dell’individuo nella massa. Questo punto è
interessante perché Freud, riprendendo discorsi fatti in Totem e Tabù e in psicologia delle masse, dirà che la
religione è una nevrosi ossessiva universale. Ciò significa che la religione ha una caratterizzazione peculiare
perché da una parte la chiamiamo nevrosi e sappiamo che l’effetto tipico della nevrosi è l’a socializzazione
dell’individuo, ma nel momento in cui la definiamo una nevrosi universale stiamo dicendo che la religione è
capace di creare una comunità di individui asociali. Non possiamo sfuggire a questo paradosso. La religione
e quindi il tipo di socializzazione della religione della società edipica, è una socializzazione che ha una forma
religiosa: mette insieme gli individui creando una comunità di asociali. Questa peculiarità l’avevamo vista
quando avevamo elencato le caratteristiche dello stato in psicologia delle masse e analisi dell’Io. Il tipo di
socializzazione della società edipica è tale per cui la sottomissione degli individui al capo, sottrae libertà a
tutti gli individui della massa, li rendi coesi, al prezzo di uno sfogo di questa aggressività all’esterno. Freud
aveva fatto il paragone con il cristianesimo. La socializzazione edipica, la società quantitativa eretta sul
senso di colpa ovvero sull’interiorizzazione del super io, non è caratterizzata da una vera e propria
socializzazione, è una socializzazione a ribasso perché tutti gli individui che ne fanno parte sono egualmente
sottomessi al capo e sono privi di libertà. Criticare la religione significa proporre una forma diversa di
socializzazione. Significa aprire quella porta che non era stata aperta nel terzo quadro di Totem e Tabù, ma
che una volta dissolta l’illusione dell’onnipotenza della figura paterna, questa porta si apre e può diventare
l’indicazione di una nuova forma di socializzazione non più edipica e basata sul senso di colpa. Qui il
discorso è simile a quello di Nietzsche. Freud dice che la religione ottempera ad una iniziale funzione di
civilizzazione, ci consente il passaggio alla vita associata. Però lo fa ad un prezzo che ora non siamo più
disposti a pagare. È come se la religione avesse esaurito le proprie funzioni di socializzazione. Nell’avvenire
di un’illusione Freud ci dice che gli esseri umani sono pronti a passare da una socializzazione religiosa, che
ormai si presenta svantaggiosa, ad una socializzazione scientifica. Quest’ultima, per quanto maturata nel
contesto positivistico, tuttavia non è strettamente positivistica perché nell’avvenire di un’illusione la scienza
di cui parla Freud è lo spirito scientifico e non parla di progresso scientifico. Si tratta di un cambiamento
psicologico, si tratta di riuscire a familiarizzare con il residuo, con la nostra imperfezione, in modo tale da
farne il punto di partenza per una più moderna civiltà. Quando Freud qui ci parla del Super io lo fa ancora
nel senso della società edipica, il Super io è ciò che ci ha consentito di reprimere l’aggressività per farci
vivere in società. Nella misura in cui gli individui interiorizzano la coscienza morale diventano da nemici ad
amici della società.

Abbiamo detto che per Freud la società edipica è una società nevrotica. Freud qui sta ancora facendo un
discorso quantitativo. Dice che ci sono nevrotici incivili e nevrotici che consentono la civiltà, però siamo
tutti nevrotici. Anche nel caso dell’ipotesi qualitativa non parliamo di una liberazione dalla nevrosi. Questa
seconda ipotesi è un progresso rispetto all’ipotesi quantitativa, ma anche in questo caso la liberazione è
sempre un lavoro interminabile. Non è mai una condizione che si acquisisce una volta per tutte. La
tentazione della regressione, di ricadere nell’illusine dell’onnipotenza paterna, è sempre presente, in minor o
maggior misura. Nell’ultimo suo testo Freud dirà che la liberazione dalla nevrosi è un lavoro interminabile e
in quanto tale è un lavoro che non si lascia mai completamente indietro il rischio regressivo, è sempre uno
sforzo per evitare di cadere nella tentazione della regressione. Questo perché la regressione ha uno scopo
consolatorio. L’idea che l’obbedienza ci consenta di essere protetti dalle ferite della realtà.
Qui Freud sta facendo una distinzione tra coercizione interiorizzata e coercizione esteriore. Alcuni individui
riescono a interiorizzare la coercizione esterna facendola diventare coscienza morale, si fermano dal
realizzare i propri impulsi aggressivi anche se nessuno li vede. Poi ci sono altri individui che hanno
interiorizzato meno la coercizione e per questo quando nessuno li vede potrebbero dare sfogo ai loro
desideri.

La condizione per far progredire la civiltà è un’equa distribuzione dei beni per evitare che gli strati più
oppressi della società non si ribellino. Nel caso in cui lo facessero, dice Freud, la civiltà non meriterebbe di
vivere e di durare a lungo.

Qui Freud sta dicendo che il primo fattore che entra nel patrimonio spirituale di una civiltà è il grado della
coscienza morale dei suoi membri, ovvero quanto questi hanno interiorizzato i divieti e cioè la repressione
pulsionale. Questo grado è influenzato dalla distribuzione dei beni. È difficile trovare un’interiorizzazione
dei divieti se le condizioni di vita sono difficili. Il livello morale è influenzato anche dalle condizioni di vita.
Ci sono poi altri elementi che caratterizzano la civiltà come le creazioni artistiche e in particolare uno
specifico ideale della civiltà: le rappresentazioni religiose.

Freud considera l’arte il risultato di una sublimazione. La sublimazione è una trasformazione non repressiva
degli impulsi aggressivi. Il carattere corporeo degli impulsi aggressivi viene spiritualizzato nella formazione
artistica. Per Freud quello che chiamerà “atteggiamento scientifico” non ha nulla a che fare con la
sublimazione. Freud non si occupa di spiegare il rapporto che c’è tra la sublimazione per come si esprime
nelle rappresentazioni artistiche e lo spirito scientifico, ma sono due cose differenti. Da allo spirito
scientifico una sua posizione autonoma, è un certo atteggiamento nei confronti del mondo. È un concetto
importantissimo per Freud ma non viene più ripreso da Freud, è molto sfuggente e non viene approfondito, lo
lascia a livello di spunto, di ipotesi.

Spirito scientifico ≠ risultato di una sublimazione

L’identificazione con la potenza delle classi dominanti fa si che gli oppressi sopportino le loro condizioni di
vita. Questo non è così distante dal ragionamento che abbiamo fatto quando abbiamo detto che anche a
prescindere dalle differenze tra oppressi e oppressori, gli individui massa si identificano con il capo.
L’oppresso nell’idea di dover lottare contro un nemico esterno che minaccia la protezione della nazione trova
un soddisfacimento sostitutivo. L’ideale è una creazione civile che consente di tenere coesa la massa seppur
contenga al suo interno grandi conflitti tra oppressi e oppressori. Anche l’arte fa parte di questi patrimoni
spirituali della civiltà che consentono agli individui di provare un soddisfacimento narcisistico non
antisociale. Se l’arte è una trasformazione non repressiva delle pulsioni aggressive, allora si raggiungerà un
soddisfacimento narcisistico sublimato che però non ha gli effetti antisociali dell’esercizio della pulsione
aggressiva.

Freud sta cercando di dare un quadro della civiltà, enumerandone i suoi patrimoni psichici: la coscienza
morale, gli ideali civili, gli ideali artistici (soddisfacimenti sostitutivi che consentono la civiltà) ecc. Però
quello che più interessa a Freud è un particolare tipo di patrimonio spirituale: la religione. Il punto adesso è
andare a vedere qual è la natura specifica delle rappresentazioni religiose e qual è il valore reale di queste.

Definisce la religione come la parte più importante dell’inventario psichico della civiltà. La religione
coincide con la civiltà stessa. Coscienza morale, religione, norme sociali, ordinamenti giuridici, fanno
tutt’uno. Il punto è andare a domandarsi qual è la struttura di queste illusioni che costituiscono
strutturalmente la nostra civiltà. La nostra civiltà è una civiltà edipica proprio nel momento in cui è costruita
sul complesso paterno e la migliore interpretazione del complesso paterno è proprio la religione. Che cosa
sono le rappresentazioni religiose? Vengono definite “illusioni”.

Capitolo III

I primi due capitoli sono un’introduzione al tema principale. Questo tema comincia ad essere sviluppato nel
3 capitolo.

La domanda che Freud si pone è: in che cosa risiede il valore specifico delle rappresentazioni religiose?

Freud fornisce una spiegazione del motivo per cui la soluzione della repressione pulsionale che la civiltà
richiede non può essere l’espressione pulsionale, questa motivazione risiede in un ragionamento di chiara
ispirazione hobbesiana. Gli individui in natura sono tutti uguali, abbiamo tutti desideri simili e le risorse sono
scarse. Se non limitiamo il nostro diritto naturale, secondo il quale possiamo avvalerci di qualsiasi mezzo per
garantirci la sopravvivenza, la nostra vita sarebbe costantemente minacciata dall’altro e si realizzerebbe una
condizione di guerra di tutti contro tutti. Quindi, così come per Hobbes, per Freud è impensabile una società
che elimini i divieti e le frustrazioni, sono queste che rendono possibile la vita associata

Abbiamo visto come ne Il disagio della civiltà la sua diagnosi è che la frustrazione che la civiltà richiede è
troppo puritana, troppo severa, dev’essere allentata questa stretta perchè gli individui sono troppo infelici.
Qui sta lavorando sullo stesso contesto di riferimento. L’idea che la civiltà sia un passaggio dallo stato di
natura allo stato civile. Non possiamo permanere nello stato di natura perché questo ci porta alla morte.
Bisogna introdurre un principio di ordine. Il diritto di natura si capovolge nel suo contrario, se non c’è un
contenimento di questo diritto, se non c’è un contenimento di queste pulsioni aggressive, queste stesse
pulsioni che sono dirette alla nostra conservazione portano al nostro annientamento. Bisogna passare allo
stato civile.

La prima funzione che Freud assegna alla civiltà è quella di difenderci dalla natura. La categoria di difesa
dalla realtà è una categoria moderna, cioè l’idea che la realtà sia ostile e sia ciò da cui ci dobbiamo difendere
e alla quale dobbiamo reagire. Cosa fare di fronte alla realtà quando la consideriamo ostile? L’idea che noi
dobbiamo difenderci assegna alla realtà un titolo di estraneità che in N. porta alla giustificazione del dolore e
alla costruzione di un altro mondo, anche Freud fa la stessa cosa. Lavorando su questo concetto di difesa
costruisce una fenomenologia della difesa dalla realtà che porta alla formazione delle rappresentazioni
religiose. Il punto sia in N. che in F. è il problema nei confronti dell’atteggiamento verso la realtà. Lo spirito
scientifico è un certo modo di atteggiarsi nei confronti della realtà, non reattivo. Infondo la religione è un
atteggiamento reattivo anche per Freud.

Il primo problema della civiltà è appunto la difesa dallo strapotere della natura. Il problema dello strapotere
della natura non è soltanto un problema di tecnica, di conoscenze tecniche che ci consentono di vivere più al
sicuro di come vivevamo prima.

“L’alto concetto che l’uomo ha di sé, gravemente minacciato, esige una consolazione”

L’alto concetto che l’uomo ha di sé è il narcisismo che è minacciato e quindi esige una riparazione, una
consolazione. Questo è il meccanismo principale che Freud utilizzerà per dire qual è la differenza tra
l’atteggiamento irreligioso da quello religioso.
Per trovare questa consolazione, per difendersi dalla natura, l’uomo ricorre ad uno strumento: la
personificazione, l’umanizzazione della natura. Freud spiega la religione come un meccanismo di
umanizzazione della natura che consente il suo dominio, o almeno il dominio psichico dell’angoscia assurda
che la natura infligge all’essere umano. Il progresso scientifico non intacca questa primitiva funzione della
religione, ovvero quella di consentirci, personificando la natura, di controllare l’angoscia che essa genera.

Il primo passo dunque è questo: umanizzare la natura.

Nel momento in cui noi attribuiamo quello che ci accade (eventi naturali devastanti, catastrofi) ad una
volontà sovraumana, questo è un meccanismo consolatorio perché domineremo l’angoscia di tali eventi
pensando di poterli evitare per esempio supplicando la natura personificata di non infliggerci sofferenze ecc.
Trattiamo con la natura come se la natura fosse un altro essere umano. Possiamo elaborare psichicamente la
nostra angoscia assurda. Questo ci consente di gestire l’angoscia nei confronti dell’esterno e qui Freud
riconduce questa situazione ad una situazione che abbiamo già vissuto nell’infanzia: il rapporto con i nostri
genitori. La spiegazione di Freud ci sta anticipando una cosa che verrà detta poi chiaramente, ci sta
mostrando come le rappresentazioni religiose non sono errori della ragione ma corrispondono a un bisogno
dell’essere umano. La forza delle rappresentazioni religiose risiede nella forza del desiderio che ne è alla
base.

Il lavoro dello spirito scientifico non ha a che fare con la correzione di un errore dell’intelletto ma ha a che
fare con il lavoro sul desiderio, su un bisogno. Questo è il motivo per cui la religione non è qualcosa di cui ci
possiamo sbarazzare confutandola. Non è un errore dell’intelletto perché quello che la religione genera è il
risultato di un desiderio. Quando Freud dice che lo spirito scientifico è un certo atteggiamento nei confronti
della realtà, questo non ha a che fare con un lavoro sull’intelletto ma piuttosto sulla volontà e sul desiderio.

La prima funzione della religione è dominare l’angoscia. Umanizziamo le forze della natura facendoli
diventare dei superuomini presso i quali possiamo intercedere sperando che questi siano pietosi con noi.
Questo è già un modo di alleviare la nostra angoscia nei confronti dei pericoli esterni. Il modo in cui ci
poniamo nei confronti della forza della natura ha un modello nell’infanzia, nel modo in cui noi ci ponevamo
nei confronti delle figure genitoriali, del padre in particolare. È quel prototipo infantile quello che noi
utilizziamo per interpretare la realtà. Nel momento in cui dovremo passare dalla religione allo spirito
scientifico, questo passaggio significherà sganciarci da questo prototipo infantile, perché questo prototipo
infantile continua ad agire anche nella vita adulta. Il passaggio dalla religione allo spirito scientifico è quella
crescita che segna il passaggio dall’infanzia all’età adulta, che consiste nel superamento del complesso
edipico.

Le forze della natura non vengono trasformate in individui come noi perché queste hanno la stessa
impressione schiacciante che ci faceva il padre quando eravamo bambini. È questo tipo di illusione
prospettica che viene riproposta nel momento in cui interpretiamo le forze della natura attribuendo loro il
carattere del padre.

La natura viene interpretata utilizzando il prototipo ontogenetico che è il padre che però corrisponde al
prototipo filogenetico, il padre. All’inizio della nostra vita individuale c’è il padre, così come all’inizio della
nostra vita come specie c’è il padre.

Nonostante ci sia un progresso scientifico, questo non ci libera dalla sensazione di impotenza che perdura,
così come dal desiderio ardente per il padre e per gli dei. Inizialmente gli dèi dominano tutto a proprio
arbitrio. Ad un certo punto la scienza si impone, ci si rende conto che i fenomeni naturali hanno delle leggi
interne, la presenza di Dio si vede solo occasionalmente nel miracolo (famosa dottrina medievale). Man
mano che la scienza procede, Dio si costruisce il proprio dominio unicamente nella sfera della morale.
Questo significa che ora gli dèi hanno un altro compito che consiste nelle sofferenze degli uomini. Qui
Freud, con accenti milliani, criticherà l’idea della santità delle norme civili, cioè degli ordinamenti civili
degli esseri umani. Il punto qui è che una volta che la natura si è autonomizzata grazie alla scienza, il
dominio di Dio diventa la morale.

Le rappresentazioni religiose sono l’esito del ricordo dell’impotenza della situazione infantile, sia onto che
filogenetica. È il perdurare di questo ricordo che caratterizza la permanenza delle rappresentazioni religiose,
cioè il fatto che la religione ci trattenga in una convinzione infantile di rapporto con il mondo in cui noi
regoliamo i nostri rapporti con la realtà sulla base di un ricordo di impotenza che corrisponde alla nostra
infanzia, al modo in cui ci appariva nostro padre come potente e noi impotenti. Questa prospettiva infantile
non se ne va naturalmente con la crescita ma permane. Il ricordo dell’impotenza infantile continua a regolare
i nostri rapporti con la realtà. Quando critichiamo la religione critichiamo la permanenza di questo ricordo
dell’infantile impotenza. Freud ci sta lentamente mostrando come non solo in un’età più primitiva ci si
regolava secondo questo prototipo infantile, ma anche dopo lo sviluppo della scienza perché Dio si ritaglia
autorità nel dominio della morale. Il problema non concerne soltanto la ragione ma riguarda il fatto che la
forza di queste rappresentazioni religiose corrisponde alla forza dei desideri che stanno alla base di queste
rappresentazioni stesse. Il problema della religione è innanzitutto un problema di desideri.

19.05.2023

Capitolo III

È il ricordo dell’impotenza della propria infanzia e dell’infanzia del genere umano che ci fornisce la lente
che ci fa rapportare alla realtà. Noi guardiamo alla realtà dietro la lente di un ricordo, in particolare di questo
ricordo di insufficiente e debolezza della nostra condizione di bambini. Quello che qui Freud sta mettendo in
evidenza e al contempo criticando è il fatto che rimaniamo inchiodati a un relitto della nostra infanzia, ad un
errore di prospettiva, ad un ricordo che riguarda la nostra posizione nei confronti del padre (creature indifese
che hanno bisogno di protezione), questo prototipo infantile lo replichiamo nella vita adulta, in special modo
nella religione. La religione è la reviviscenza per eccellenza di questo complesso paterno. La civiltà si
costruisce su questo modo di guardare alla realtà; quindi, questa illusione ha effetto nella realtà. Per questo è
importante mettere in questione l’illusione in cui la religione consiste, bisogna mettere in questione il nesso
tra civiltà e religione. In che consiste questo patrimonio religioso? La religione ci consente un recupero delle
ingiustizie subite su questa terra, o meglio un recupero delle ferite al narcisismo che abbiamo sofferto. La
religione è per Freud un tentativo di recuperare il narcisismo perduto. Già Le Bonn aveva parlato dell’idea
che la speranza di una ricompensa delle ingiustizie subite su questa terra nell’al di là, in una continuazione
perfezionata della vita imperfetta, questa continuazione ideale avrebbe ricompensato i sacrifici e le
ingiustizie subite nel’al di qua e questa speranza avrebbe frenato le masse nei loro appetiti. Il problema è
quello di accettare l’imperfezione e l’incompletezza della nostra umanità senza proiettare un ideale che tenti
disperatamente di recuperare la perfezione perduta. Questa è una parte del discorso freudiano. Freud sta
dando una descrizione della religione neutrale ma anche già pronta per essere oggetto di una critica. L’idea
che il complesso paterno che stava alla base della religione (cioè l’ideale illusorio dell’onnipotenza paterna)
sia un tentativo di recuperare il narcisismo perduto. Freud descrive la religione come una speranza di riparare
in un'altra successiva vita a tutte le imperfezioni, impotenze, di questa vita terrena. Questo ideale di
compensazione per Freud è definibile come un tentativo di recuperare il narcisismo perduto che noi abbiamo
riportato a questa memoria di una condizione di impotenza dell’infanzia dinnanzi al padre.

Capitolo IV

Dal quarto capitolo in poi Freud affronta il carattere psicodinamico delle rappresentazioni religiose. Freud da
innanzitutto un credito al valore pratico delle rappresentazioni religiose, questo significa che le
rappresentazioni religiose non sono un errore. Il problema delle rappresentazioni religiose non è quello di
non corrispondere ad uno stato di cose, il problema non è che queste non sono vere. Le rappresentazioni
religiose hanno un valore psicologico, pratico, che tuttavia ha svolto la sua funzione e adesso sta diventando
controproducente. La religione è un modo di porsi nei confronti della realtà che ha funzionato, ha avuto un
compito e lo ha assolto ma ora non funziona più e quindi va sottoposto a critica e successivamente sostituito.
L’idea freudiana è che la religione riproduca un atteggiamento infantile che va superato per cui gli esseri
umani devono passare da una condizione infantile ad una condizione adulta di gestione della realtà. Proprio
perché le rappresentazioni religiose non sono un errore della ragione, non possono essere liquidate una volta
per tutte con una confutazione perché esse non sono né dimostrabili né confutabili. Hanno quella
caratteristica che Le Bonn dava alla speranza religiosa, egli diceva: Verrete ricompensati in un’altra vita e
quindi dovete vivere con questa speranza anche se non c’è nessuno che è tornato per darne una garanzia,
quindi non si può né dimostrare se questo sia vero, né confutarne la falsità. Freud collega le rappresentazioni
religiose al desiderio, dice che dietro di esse c’è un desiderio. Questo significa che la rappresentazione
religiosa rimarrà sempre per l’essere umano una tentazione regressiva di una condizione ideale, senza ferite,
di un modello di perfezione senza smagliature. Per questo l’atteggiamento nei confronti della religione
dev’essere un lavoro di de idealizzazione. Se quello che noi facciamo è proiettare nell’ideale paterno un
recupero del narcisismo perduto, di quella condizione di cui godevamo nello stato prenatale in cui non c’era
ancora separazione tra oggetto e soggetto e non eravamo ancora entrati a contatto con la realtà. Se la
religione consiste in questo processo di idealizzazione, il superamento della religione (cioè la sua critica, lo
spirito scientifico) consisterà in una de idealizzazione. Questo processo consiste nel criticare l’idea che esista
un modello di perfezione immune alle ferite della realtà e quindi consisterà nell’accettare la nostra
vulnerabilità, impotenza e imperfezione. Lo spirito scientifico consisterà nella de idealizzazione e questo
processo consisterà nell’accettazione della nostra imperfezione. Alla fine del capitolo VI Freud dirà che solo
apparentemente la religione sembra un’accettazione della piccolezza e dell’impotenza umana. In realtà la
religione fa esattamente il contrario. Reagisce a questa imperfezione cercando un rimedio a questo
sentimento che è l’ideale dell’onnipotenza paterna. Questo ideale è il modo in cui l’individuo reagisce alla
propria impotenza, fragilità. Dall’altra parte l’atteggiamento irreligioso, quello che prescrive lo spirito
scientifico, è non fare questo passo reattivo. Chi riesce a trattenersi dal reagire all’imperfezione, alla
vulnerabilità umana cercando una compensazione ideale di essa, costui è irreligioso.

Questo prototipo infantile del bambino fragile e impotente dinnanzi al padre che viene percepito dal piccolo
come potentissimo e rappresentante di quella condizione in cui egli stesso si trovava e di cui conserva una
vivissima memoria biologica (condizione di narcisismo fetale, di soddisfacimento che non conosce
mancanza, desiderio, modo in cui un individuo si percepisce indipendente dal desiderio e dalla tensione
dolorosa che ingenera), questa condizione rimane nella memoria dell’adulto. La riproposizione nell’età
adulta di un meccanismo infantile è la religione. Perché Freud continua a parlare di impotenza, fragilità,
invulnerabilità? Infondo il bambino percepisce la propria fragilità dinnanzi alla dipendenza, alla sua stessa
costituzione disperante, rispetto ad un modello illusorio di perfezione che è quello paterno. Ma se noi de
idealizziamo, facciamo cadere questo modello di perfezione, allora dobbiamo qualificare anche in modo
differente questa condizione di fragilità dell’essere umano perché infondo questa condizione di fragilità era
stata costruita in relazione a quel modello di perfezione, è nei confronti di quella perfezione che noi ci
consideriamo fragili. Freud non trae queste conclusioni ma dice che dobbiamo accettare questa nostra
fragilità. Questa fragilità, per come ne parla Freud, si rivela essere la nostra specifica potenza, allora perché
continuare a chiamarla impotenza se il modello dell’onnipotenza viene meno? Nel momento in cui de
idealizziamo l’onnipotenza, dissolviamo questa illusione, forse stiamo dissolvendo anche l’illusione della
fragilità umana. Questo non significa che non siamo dipendenti dal desiderio ma significa che questa
dipendenza è la nostra specifica potenza. Perché questo discorso? In questo passo emerge una dinamica di
rassegnazione. Dobbiamo accettare la nostra impotenza dice Freud. Non auto inganniamoci proiettando un
ideale di onnipotenza ma accettiamo quello che siamo. Questo atteggiamento di rassegnazione non ha nulla
di rinunciatario se cogliamo in questa rassegnazione un’affermazione di potenza che è quella dell’individuo
adulto che si pone nei confronti delle cose di questo mondo con coraggio, con quella forza che gli viene
dall’autoconsapevolezza dei propri mezzi.

In che termini questa de idealizzazione è una rimozione qualitativa?

Il concetto di spirito scientifico chiama in causa il processo secondario, ovvero la ragione. La ragione in
Freud non ha quella funzione sistematica che aveva nella modernità. In Freud la ragione non è più l’organo
della costruzione di un sistema, di un territorio perfettamente perimetrato, non ha più il compito di costruire
figure dai margini nettamente profilati. La ragione ha una funzione de idealizzante, ha il compito di
disordinare proprio le pretese ideali del desiderio. In Freud il desiderio diventa l’organo della costruzione di
ideali, di illusioni di perfezione e la ragione serve per disgregare la graniticità di questi ideali. È questo che fa
spazio all’estraneo, è questo che consente di costruire una familiarità con l’estraneo, con ciò che non torna,
con il residuo. La ragione freudiana è una ragione disordinante, non costruisce ordini, così come l’ideale non
è più qualcosa a cui aspirare ma è il relitto nevrotico di un ricordo infantile, è un tentativo di evadere dalla
realtà.

Nel capitolo III si propone di andare a capire quale sia il valore reale di queste rappresentazioni religiose e
nel capitolo IV fa una specie di intermezzo.

Abbiamo visto questa tecnica di personificazione come modo di dominare l’angoscia assurda nei confronti
della realtà perché far diventare persone le forze della natura, con la loro forza schiacciante, ci consente di
intrattenere un dialogo con loro in cui le supplichiamo di non farlo. Per spiegare questo Freud fa riferimento
a Totem e tabù e comincia nel IV capitolo a introdurre il dialogo. Da questo capitolo in poi Freud immagina
un interlocutore immaginario (in realtà non è veramente immaginario, è un pastore protestante svizzero di
nome Oskar Pfister con cui Freud ha intrattenuto un epistolario).

Questione del rapporto tra l’insufficienza umana (impotenza, dipendenza) e il complesso paterno
(formazione della religione). La religione è una reazione a questa impotenza che va ricondotta ad una
situazione infantile che viene anche usata come schema adulto. Se noi utilizziamo elementi che provengono
da un prototipo infantile nell’età adulta stiamo compiendo una regressione.

Fine capitolo IV

Quando sono adulto ho bisogno di un padre che mi ricordi del padre dell’infanzia che mi proteggeva dalla
mia fragilità. Il motivo della nostalgia del padre coincide con il bisogno di protezione. La religione si basa
sul complesso paterno, ovvero ripropone per l’età adulta un prototipo infantile. È come se Freud
individuando nella nostra civiltà una civiltà nata religiosamente, ovvero dentro la logica paterna, è come se
rimproverasse a questa civiltà di essere una civiltà infantile che ha bisogno di crescere, entrare nella vita
adulta e liberarsi da questo ideale compensatorio rappresentato dal padre. Il lavoro di Freud consiste in un
lavoro di critica della società autoritaria e paternalistica.

La religione fino a questo momento ha funzionato, ma adesso non più. Ha funzionato perché ci ha consentito
di non soccombere alla realtà e che però adesso ha iniziato a diventare svantaggiosa.

Capitolo V

Qui troviamo la domanda su quale sia il significato psicologico delle rappresentazioni religiose e in che
modo possiamo classificarle. Non trattandosi di verità dal punto di vista razionale, alle rappresentazioni
religiose si deve credere per fede. Freud analizza i tre punti secondo cui poggia la pretesa delle
rappresentazioni religiose di essere credute:

Le rappresentazioni meritano fede perché:

1. Già i nostri antenati remoti gli hanno creduto,


2. Perché possediamo prove che ci sono state tramandate proprio da tale remota antichità,
3. Il problema di tale convalida è proibito, cioè non è possibile porsi il problema della verità delle
rappresentazioni religiose perché un tempo questo era un atto temerario unito con le pene più severe,
mettere in questione la validità delle rappresentazioni religiose.

Tutti questi tre tentativi delle rappresentazioni religiose di essere credute vengono esclusi da Freud. Due
ultimi tentativi delle rappresentazioni religiose di essere credute gli appaiono invece più interessante, e sono:

1. Credo quia absurdum tertulliano: credo proprio perchè il contenuto della rappresentazione religiosa è
assurdo
2. Filosofia del come se

La prima argomentazione viene apprezzata da Freud perché egli sa benissimo che il punto delle
rappresentazioni religiose non è la loro razionalità, ma comunque questa tesi dev’essere scartata perché non
coglie il senso del valore delle rappresentazioni, ovvero il fatto che esse provengono da un desiderio. Però
entrambe queste argomentazioni colgono un punto importante: il fatto che qui non si tratta di
rappresentazioni il cui contenuto debba essere accettato razionalmente.

Freud propone la sua argomentazione critica. Il credo quia absurdum non funziona come argomento
razionale. Il tentativo della filosofia del come se è molto vicino alla Suspension of disbelief (sospensione
dell’incredulità) (It refers to an audience becoming emotionally invested in the story despite their sure
knowledge that it is not actually happening) quando leggiamo un testo letterario, una storia, sappiamo
benissimo che quella storia è inventata, non è vera però sospendiamo l’incredulità quindi quella storia risulta
comunque per noi significativa. La corrispondenza al vero di quella storia non è il criterio del suo valore. Qui
la filosofia del come se ha la stessa funzione della suspension of disbelief per cui quando leggiamo una storia
che sappiamo essere inventata, la leggiamo come se fosse vera. Il punto è il valore pratico di queste
rappresentazioni religiose che prescinde dalla loro verità. Il problema delle rappresentazioni religiose non è
che queste veicolino contenuti che non corrispondono al vero. Il problema è proprio quello messo in
evidenza da queste ultime due argomentazioni. In Freud c’è un atteggiamento ambivalente nei confronti della
filosofia: da un punto di vista la considera non sufficientemente razionale quanto la scienza naturale, da un
altro punto di vista la considera fortunatamente non così tanto razionale quanto la scienza naturale. Questa
ambiguità nei confronti della filosofia ci mette in guardia sui livelli dei discorsi che Freud mette in atto.
Freud ci sta dicendo che infondo le favole hanno il loro valore pratico. Il punto è capire se questo valore
pratico funziona ancora e che cosa rappresenta dal punto di vista psicologico per Freud. Proprio perché le
rappresentazioni religiose dipendono dal desiderio, è curioso che F. dica è che quello che ci si attende è che
prima o poi gli individui faranno come il suo bambino, cioè che sottoporranno all’esame di realtà le
rappresentazioni religiose e dato che questo esame non verrà passato la religione verrà declassata, esclusa.
Freud ci sta dicendo che in realtà la religione non è liquidabile razionalmente se intendiamo la razionalità
come corrispondenza tra una proposizione e uno stato di cose. Il concetto di razionalità che Freud chiamerà
in gioco è più ampio, non è la razionalità classica. Il concetto di razionalità verrà esteso così come il concetto
di spirito scientifico non è limitato alle scienze naturali. Sembra che Freud ci stia dicendo che bisogna
liquidare le rappresentazioni religiose perché non sono razionali e poi ci dice che nonostante non siano vere,
sono efficaci e vengono credute come le favole. Perché? Questo è il problema che si pone nel capitolo VI

Capitolo VI

Questo capitolo Freud descrive le rappresentazioni religiose come appagamenti di desideri e in particolare
dei desideri più antichi. Colloca la religione nel bel mezzo del carattere desiderante della nostra soggettività,
e quindi nei processi primari e non nei secondari. Distingue l’illusione dall’errore e dal delirio. Il confine tra
l’illusione e il delirio è molto labile. Sono illusioni quelle in cui prevale l’appagamento del desiderio. La
religione è una nevrosi o un delirio (psicosi)? Dice che è una nevrosi ossessiva universale. Però le illusioni
possono avere anche l’aspetto di un delirio (psicosi).

Genesi psichica delle rappresentazioni religiose. Le rappresentazioni religiose, che si presentano come
dogmi, non sono il risultato dell’esperienza. I desideri abnormi narcisistici dell’infanzia trovano il loro
compimento nella costruzione di tutto l’armamentario religioso: la vita eterna, giusta ecc.

Definizione dell’illusione. Un’illusione non è la stessa cosa dell’errore. L’errore è il contrario della verità, è
la non corrispondenza tra proposizione e stato di cose (adeguatio rei ad intellectus). L’illusione invece è
mossa dal desiderio. L’impresa di colombo era quella di trovare una rotta per le Indie, quando arriva in
America crede che quelle sono le Indie. È un errore? È anche un errore ma ciò che porta colombo a credere
che quelle fossero le Indie era l’aspettativa che quelle lo fossero, il desiderio di compiere quella missione.
L’errore è una non corrispondenza con la realtà. Il delirio è una contraddizione con la realtà. L’illusione non è
necessariamente falsa, cioè irrealizzabile, o non è necessariamente in contraddizione con la realtà.

La tesi freudiana è che le rappresentazioni religiose siano delle illusioni, perché le illusioni sono quelle
rappresentazioni nella cui motivazione prevale l’appagamento di desiderio. Il confine tra illusione e delirio è
però labile.
24.05.2023

Capitolo VI

La definizione finale è che l’illusione è un appagamento di un desiderio. L’illusione non è un errore. L’errore
è la non corrispondenza tra proposizione e stato di cose (verità=adeguatio rei et intellectus). Il desiderio
gioca un ruolo nell’illusione in cui consistono le rappresentazioni religiose. L’illusione si avvicina al delirio,
ma le due cose non coincidono perché il tratto pertinente del delirio è la contraddizione rispetto alla realtà
mentre l’illusione non è necessariamente falsa, è un evento possibile che in certi casi si realizza davvero (es.
è un’illusione quello della ragazza borghese che pensa che un giorno arriverà il principe azzurro, è
un’illusione dettata da un desiderio, è qualcosa di inverosimile ma non impossibile, non è in contraddizione
con la realtà). Ad ogni modo ciò che prevale nell’illusione è l’appagamento di un desiderio. L’illusione
prescinde dal rapporto con la realtà, per questo non è dimostrabile né confutabile.

Ciò che interessa a Freud è affermare che:

• Una credenza è un’illusione quando in essa prevale l’appagamento di un desiderio


• Un’illusione è tale nel momento in cui prescindiamo dal suo rapporto con la realtà, essa è tanto
indimostrabile quanto inconfutabile, ed è questo che le fornisce la sua forza.

La scienza viene presentata sia nella sua caratteristica essenziale come modo di atteggiarsi nei confronti della
realtà (spirito scientifico come modo di atteggiarsi nei confronti della realtà, senso umanistico della scienza).
L’altro filo che Freud tesse è quello della scienza come scienza naturale, nel suo senso positivistico. L’aspetto
a cui Freud da maggiore rilevanza è il primo senso attribuito alla scienza, la funzione dello spirito scientifico
è quello di una critica della religione perché intesa come critica della dislocazione del senso del mondo fuori
dal mondo.

Passaggio importantissimo in cui Freud fornisce una distinzione tra atteggiamento religioso e irreligioso.
L’atteggiamento irreligioso verrà identificato con lo spirito scientifico e poi come educazione alla realtà. In
questa educazione alla realtà gioca un ruolo anche alla ragione. Freud si sorprende ad un certo punto di
prendere le parti della ragione, del processo secondario. Si sorprende perché proprio lui che ha dato tanta
importanza all’inconscio, adesso si trova a parlare in maniera entusiastica della ragione. Quello della ragione
non è, per Freud, un lavoro di sistematizzazione, la ragione non ha più il compito di costruire sistemi, di
perimetrare la realtà, di produrre concetti. Il lavoro razionale viene individuato nella de idealizzazione delle
illusioni caratterizzate da appagamenti di desideri. Il ruolo che F. attribuisce alla ragione ci permette di capire
in che senso Freud era un figlio sia dell’illuminismo che del romanticismo, era un figlio dei “lumi oscuri”. Il
lavoro razionale consente di fare un passo indietro, dobbiamo mettere in questione il nesso tra civiltà e
religione. Dobbiamo de idealizzare il complesso paterno su cui è fondata la religione. L’atteggiamento
irreligioso è di chi non reagisce contro il sentimento della nostra piccolezza, vulnerabilità, edificando una
figura paterna, è colui che non cerca una compensazione ideale alle nostre mancanze umane. Questa
impotenza alla quale ci si deve rassegnare, questa rassegnazione sembra assumere le sembianze di una
rinuncia, ma non è così. L’impotenza è un difetto solo se paragonato all’onnipotenza del padre, ma se noi
togliamo l’elemento dell’onnipotenza, perdiamo anche il carattere negativo che ci rimane una volta de
idealizzata la figura paterna. La rassegnazione diviene quindi una consapevolezza della propria potenza, del
nostro essere potenti in un modo specificatamente umano. La de idealizzazione ci restituisce ciò che
l’idealizzazione ci aveva tolto, essa ci aveva reso impotenti. L’idealizzazione ci rende piccoli e fragili
paragonandoci all’assoluto, all’estrema libertà. La de idealizzazione rende di nuovo vasto il mondo, torniamo
di nuovo ad essere capaci di avere un rapporto con la realtà. La nevrosi ci rinchiude nella nostra coscienza.
Adesso torniamo ad avere un rapporto con il mondo senza avere l’ambizione di poterlo ingabbiare in
perimetri senza residui. C’è quindi qui un elemento positivo in questa rassegnazione.

L’esistenza presunta di un ordine morale universale, di una vita ultraterrena, coincidono sospettosamente con
le nostre stesse aspettative. Per questo sono illusioni, dietro c’è un nostro desiderio di appagamento.

In questo capitolo 6 è importante la distinzione tra illusione, delirio d errore e la distinzione tra
atteggiamento religioso e irreligioso

Capitolo VII

È il capitolo in cui Freud introduce il concetto di spirito scientifico come un modo particolare di atteggiarsi
al mondo, poi dice che quello che sta facendo è mettere in questione il nesso tra civiltà e religione. È questa
la linea qualitativa, che si distingue dalla linea quantitativa de il disagio della civiltà. In quest’ultimo testo il
punto è quello di allentare le pretese del Super-Io, non si vuole dissolvere l’illusione del Super io, il Super io
ce lo teniamo ma dobbiamo allentare le sue pretese per evitare scoppi di aggressività troppo pericolosi. La
linea dell’avvenire di un’illusione è più radicale, l’ambizione è dissolvere, e non solo contenere, l’illusione
del complesso paterno, del nesso tra religione e civiltà.

Freud sta dicendo che la civiltà (ordinamenti sociali, coscienza morale ecc) è costruita sulla religione. I
prodotti della civiltà, le istituzioni civili, sono intrinsecamente religiosi e costruiti sul modello del complesso
paterno. C’è qui l’ipotesi secondo cui le istituzioni della civiltà sono un rapporto edipico istituzionalizzato.
Questa è l’ipotesi che qui Freud riprende quando ci dice che i rapporti sociali sono illusioni, sono costruiti
sul modello dell’appagamento del desiderio, quindi sulla religione. Questo modello viene criticato
radicalmente.

Per quale motivo ci dobbiamo liberare dalla religione? È ciò che ha consentito l’obbedienza, è ciò che è
riuscita a contenere l’aggressività degli individui. Se noi dissolviamo questa illusione ci troviamo nella
situazione precedente, nel terzo quadro di totem e tabù, ci troviamo nella fine della civiltà. Senza religione
non può esserci neanche civiltà. Quello che sta cercando di fare Freud è quello di togliere la religione
rimanendo pur sempre nello stato civile. Perché liberarsi dalla funzione consolatoria della religione? Perché
privare gli uomini della funzione di sostegno che la religione riveste per molti uomini? Togliamo la
consolazione, perdiamo l’obbedienza. La scienza non è capace di sostituire il ruolo giocato nella nostra
soggettività dai desideri, dalle pulsioni. L’obiezione che Freud fa a se stesso è: come mi viene in mente di
assegnare un primato alla ragione, all’intelletto, quando non ho fatto altro che valorizzare la costituzione
desiderante dell’essere umano?

La religione è diventata un pericolo. Non è vero che la religione sta perdendo terreno. C’è una constatazione
di fatto che muove l’analisi freudiana. Se noi continuiamo a mantenere la connessione tra civiltà e religione
andremmo in contro ad un pericolo molto maggiore, rispetto a se mettessimo in questione questo nesso.
“E ora per proseguire nella mia autodifesa…”

Qui troviamo le ragioni del perché Freud critica la religione. Il punto di partenza è la constatazione che la
maggior parte della società soffre troppo dei sacrifici che la società impone loro. Chi dobbiamo incolpare per
questo? Proprio la religione secondo Freud. Per questo dobbiamo sostituire la religione così da riconciliare
l’essere umano con la società, cioè con i sacrifici che essa richiede.

Freud dice che non è vero che la religione fa bene alla civiltà. A questa civiltà la religione non fa bene perché
è un fatto che la maggior parte degli uomini è insoddisfatto della civiltà e in essa infelice. L’obiezione che si
fa Freud è quella che si faceva Le Bonn. Le Bonn accusava proprio la borghesia, con la sua fiducia nella
scienza, di aver incrinato il valore della religione agli occhi delle masse. La borghesia, per Le Bonn aveva
fatto un cattivo servizio alle masse perché aveva tolto loro l’illusione positiva della religione, affidando alle
masse l’illusione dell’uguaglianza nell’al di qua. Il socialismo porta le masse a ribellarsi. La religione è
positiva perché con la speranza che propugna contiene le masse. Freud prende in considerazione questa idea
e dice che questa obiezione non ha senso in realtà. Non è possibile utilizzare l’argomento per cui la religione
ci sta rendendo adesso infelici e immorali mentre prima che la scienza la mettesse in questione non era così.
Freud dice che non eravamo né più felici né più morali al tempo.

Infondo la religione, basandosi su un compromesso instabile, oscilla tra i due estremi. La nevrosi ossessiva
ha proprio un sintomo bifasico, +è caratterizzata dalla costruzione di rituali e poi dall’infrazione di quei
rituali, a cui segue una punizione. Peccato e punizione, tipico della religione, è quell’elemento malinconico
che abbiamo visto in precedenza quando abbiamo parlato del complesso edipico non veramente risolto,
quello in cui il compromesso protezione in cambio di obbedienza non è mai stabile, ma rischia sempre …
perché l’ambizione di essere come il padre non è veramente dissolta ma solo contenuta. Questo elemento di
oscillazione tra opposti (si peccava e dopo essere stati puniti eìsi era liberi di peccare di nuovo) qui freud lo
mette all’interno della religione. È la stessa cosa su cui Nietzsche aveva parlato quando diceva che la reli era
stata capace di erednere l’essere umano interessante perchè lo aveva salvato dal suicidio mettendolo dentro
questa dialettica malinconica. Quello che ci sta dicendo Freud qui, l’essere umano in questo modo non è
stato reso né piu felice né più morale. Se è anche vero che siamo passati dallo stato di natura allo stato civile
grazie alla religione (Freud), se è vero che la religione cristiana ci ha salvato dalla morte (Nietzsche), è pure
ver che adesso è il momento di superare questa condizione, di superare il nesso tra civiltà e religione.

Freud è qui che introduce lo spirito scientifico. Concediamo che la scienza e lo spirito scientifico nel senso
positivistico del termine ha messo in questione le rappresentazioni religiose rubricandole dentro le illusioni.
Non sono verità ma sono illusioni. La scienza ha messo in questione il valore delle rappresentazioni
religiose. La ricerca comparata ha mostrato come la religione si basi sul complesso paterno e quindi su una
nevrosi infantile.

Lo spirito scientifico è un certo atteggiamento nei confronti delle cose di questo mondo, nei confronti del
carattere contingente di questo mondo. Lo spirito scientifico non ha a che fare con la trasmissione di un
sapere. Non è qualcosa che riguarda la conoscenza nel senso più stretto del termine, corrispondenze tra
proposizione e stati di cose. Il punto dello s. s., proprio come il punto della psicoanalisi, è il cambiamento
interiore, il tipo di mutamento che la psicoanalisi induce nei confronti del nostro rapporto con il mondo. La
psicoanalisi non è socratismo, non consiste nella comunicazione al malato di un sapere ma funziona solo se
indice un cambiamento interiore all’ammalato. Così come lo spirito scientifico non è la comunicazione di
informazioni sulla realtà. Questo cambiamento è la de idealizzazione, cioè la capacità di de idealizzare la
figura paterna e tornare in possesso di quella potenza che possiede l’uomo. Per questo F. si preoccupa delle
masse incolte che saranno capaci di ricevere solo a comunicazione esteriore della morte di dio, senza riuscire
a mettere in atto il cambiamento interiore che questo annuncio richiede. F. ci sta dicendo che quello che ci
preoccupa è che le masse, venendo meno il motivo del contenimento delle pulsioni aggressive, l’elemento
affettivo della rimozione (perché la rimozione è una rimozione affettiva: protezione in cambio di obbedienza,
è la paura che ci fa fare il fatto infantile con il padre), le masse potrebbero divenire pericolose perché ad esse
mancherà tutto quel mutamento interiore che il passaggio dall’atteggiamento religioso all’atteggiamento
irreligioso richiede. Mettiamo in questione il nesso tra società e religione, facendo attenzione al fatto che
questa impresa non abbia l’aspetto di una comunicazione di un sapere e basta ma che abbia l’aspetto di un
cambiamento dell’atteggiamento nei confronti del mondo

Capitolo VIII

È dedicato alla parte sociale. Qui Freud ci dice delle cose che riguardano il carattere religioso dei nostri
ordinamenti civili. Freud si chiede: Che cosa significano gli ordinamenti civili nella comunità religiosa? Che
aspetto assumeranno nel momento in cui toglieremo il loro fondamento religioso? Il nostro sguardo sugli
ordinamenti civili muterebbe. Freud ci sta mostrando che esiste una spiegazione razionale dei divieti che ci
consentono la vita associata, che non c’è bisogno di ricorrere a dio per contenere le pulsioni aggressive. Il
problema non è di passare da una civiltà che rimuove le pulsioni aggressive ad una civiltà che consente di
esprimere tutte le pulsioni. La rimozione è essenziale per ogni società. Quello che fa la differenza non è
rimozione si o rimozione no, ma è che tipo di rimozione.

È una rimozione che procede in virtù di forze puramente affettive (rimozione basata su paura) e una
rimozione basata sul lavoro della nostra mente, cioè basata sulla ragione. La prima è una rimozione
quantitativa basata sull’affettività, la seconda è una rimozione qualitativa basata sul lavoro razionale della
nostra mente. Freud sta mostrando come possiamo darci un’altra ragione, un’altra spiegazione, una
spiegazione razionale dei divieti ovvero delle frustrazioni che la società ci richiede per far funzionare la vita
associata. Bisogna mettere in evidenza il fondamento razionale dei divieti, il motivo per il quale abbiamo
edificato una società siffatta. Sostituire la trasfigurazione religiosa del motivo per cui obbediamo alle leggi
civili con la spoegazione del fondamento razionale di questa obbedienza. Ci dice anche che se noi togliamo
l’aureola, solennità agli ordinamenti civili, ad essi togliamo anche rigidità ed immutabilità. Nel momento in
cui l’ordinamento non viene dall’alto, noi considereremo noi stessi come coloro che discutono e cooperano
per costruire un ordinamento sempre più adatto alle nostre esigenze. Se le prescrizioni contenute negli
ordinamenti civili sono oggetto della nostra cooperazione, della nostra discussione democratica, forse questo
ci consente di riconciliarci con i sacrifici che la società ci richiede. Più volentieri obbediremo ad ordinamenti
civili la cui costruzione abbiamo partecipato e che servono ai nostri interessi. Sarebbero ordinamenti civili
non rigidi e fissi ma che si adattano ai modi della nostra cooperazione.

26.05.2023

Nel capitolo VIII vediamo le conseguenze civili del ragionamento freudiano. Per Freud, far perdere agli
ordinamenti civili il carattere della santità, dell’immobilità significa guadagnare un rapporto non più di mera
sopportazione della rimozione che la società ci richiede. Se gli ordinamenti diventano il prodotto della
cooperazione tra gli individui, questi ordinamenti diventano scelti e non subiti, diventano perfezionabili.
Mettendo in questione il nesso tra civiltà e religione viene meno un certo modo di guardare alle norme civili.
Freud attribuisce al suo narratore la narrazione filogenetica che egli stesso ha fatto. Si fa rimproverare
dall’interlocutore che le cose sono andate diversamente. Freud obietta a sé stesso: In che rapporto stanno la
narrazione e l’origine filogenetica/storica della civiltà e il fondamento razionale delle norme civili? La
religione per Freud rappresenta un problema che non ha una soluzione definitiva perché dobbiamo collocare
le argomentazioni di questo testo nella cornice metapsicologica della dottrina freudiana, l’idea che non c’è
una netta separazione tra nevrosi e salute e che la liberazione dal sintomo è un processo interminabile, e se è
così, ciò che la religione rappresenta (la tentazione regressiva che ci induce a recuperare il narcisismo
perduro, che ci rinchiude nell’ideale sperando così di proteggere il piacere dalla realtà) rimane l’oggetto di
una liberazione interminabile. La religione ha l’aspetto di una tentazione regressiva che va combattuta
continuamente. Quello che qui Freud ci sta dicendo è che questo processo di liberazione è interminabile e
che avviene nei termini di una de idealizzazione interminabile.

Freud ci sta dicendo che dobbiamo sostituire la rimozione agita in virtù di forze affettive (rimozione
quantitativa, rimane all’interno del complesso paterno: la paura che mi fa rinunciare all’aggressione) con una
rimozione qualitativa che coinvolgerà il lavoro razionale della nostra mente. Questo lavoro razionale non è
quello della ragione classica ma di una ragione che disordina, che de idealizza, che disgrega l’ideale.
Dobbiamo fare un’operazione qualitativa di dissoluzione dell’illusione, del recupero del narcisismo perduto
passando così dall’infanzia all’età adulta. Questo passaggio Freud lo intende storicamente in modo quasi
teleologico, come se noi stessimo in procinto di sbarazzarci per sempre di quello che la religione rappresenta,
ovvero del complesso paterno. Abbiamo questa lettura positivista (rivedi Auguste Comte che aveva diviso tre
epoche diverse) per cui ci si libera dalla superstizione e si diventa una civiltà adulta e non più
suggestionabile con le idee della religione. Dall’altra parte c’è la lettura per cui il complesso paterno non è
qualcosa di cui ci si sbarazza una volta per tutte perché rimane una tentazione. La tentazione regressiva
dell’asocialità, del voler privatizzare il piacere per non farlo minacciare dalla realtà, di mettersi al riparo
dalle ferite che la realtà può infliggere al narcisismo perduto. Questa lettura è meno ingenua della lettura
positivista delle epoche storiche. Quindi Freud alcune volte parla di una liberazione definitiva dal sintomo
(lettura positivista), mentre altre volte dice che questo lavoro di liberazione è interminabile.

In analisi terminabili e interminabili Freud dice che noi andiamo dall’analista quando non siamo più capaci
di liberarci dal sintomo da soli. Questa definizione è importate perché l’analisi è una parte costitutiva della
nostra quotidianità, quando non siamo più in grado di compierla autonomamente ricorriamo all’analista.
L’analista interviene quando la nostra autoanalisi si blocca, per rimetterla in moto e consentirci di continuarla
da soli. Questo significa che la terapia analitica non è qualcosa che ci libera dall’impegno dell’analisi ma è
qualcosa che ci rimette in grado di compiere quell’analisi. Per questo la liberazione dal sintomo è un
processo interminabile.

Capitolo IX

Freud torna a farsi fare delle obiezioni dal suo interlocutore.

Freud, rispetto alla concezione moderna dell’uomo, dice che prima viene il desiderio (processo primario) e
poi viene la ragione (processo secondario), ma allora com’è possibile ora sostenere che la ragione possa
dominare il desiderio? Se la nostra civiltà si è costruita sulla religione e quindi fin dall’inizio ha operato
rimozioni in virtù di forze affettive, com’è possibile prevedere come sarebbe una società del futuro senza
questa educazione religiosa? L’odierna pedagogia non ci dice nulla sulla sessualità e invece ci inculca fin da
subito idee religiose. L’ideale psicologico è il dominio delle pulsioni da parte dell’intelligenza.
Il rapporto tra ragione e desiderio non è quello della ragione che domina il desiderio. È il modo di una
ragione che de idealizza il desiderio consentendogli di entrare in rapporto con la realtà consentendogli di
esercitare la sua potenza trasformativa. Il desiderio ha l’ambizione di uscire dalla realtà, a costruire ideali, a
recuperare il narcisismo perduto. Questo rapporto tra desiderio e ragione Mann lo aveva capito.

Nel primo saggio (in questo periodo l’interesse storico di Mann è quello di sottrarre Freud alle
interpretazioni irrazionaliste che andavano per la maggiore e quindi sottrarlo all’idea di essere un romantico
che alletta la profondità più animale, irrazionale dell’individuo) l’intelligenza di Mann consiste nel mostrare
come Freud sia tanto un illuminista quanto un romantico, cioè che valorizzi i rapporti tra ragione e desiderio.
L’idea che l’analisi delle profondità consenta a Freud di impartire all’essere umano un’educazione alla realtà.
Questo aspetto del peculiare rapporto tra ragione e pulsione, che non va inteso né nei termini puramente
illuministi come se la ragione dovesse spazzare via il desiderio, in termini puramente romantici, questa
collaborazione è il modo più corretto di intendere l’analisi freudiana.

“L’intelligenza per dominare la nostra pulsione” non è ragione contro desiderio.

L’idea che la religione sia veleno e medicina allo stesso tempo, torna qui l’idea nietzschiana.

L’educazione alla realtà è l’intento di questo saggio: di mostrare come la sostituzione del principio di realtà
al principio di piacere, l’educazione alla realtà accomuna N. e F. anche in N. c’era l’idea per cui bisogna
liberarsi dalla fuga nell’ideale e una volta de idealizzato l’ideale, la realtà torna a mostrarsi ricca per noi.

Torna qui la rassegnazione. Freud ci sta dicendo che questa rassegnazione in cui consiste il non fare il passo
avanti o nel de idealizzare (quindi nel fare un passo indietro), se facciamo questo diventiamo consapevoli
della nostra umana potenza, impariamo a far conto sulle nostre forze e a usarle nel modo giusto.

Altro punto molto nietzschiano: “Se distoglierà dall’al di là…” questo libera delle forze, libera una potenza.

Capitolo X

Il problema è sempre lo stesso: quello che Freud propone è inattuabile o addirittura pericoloso? È un’impresa
violenta quella di educare irreligiosamente, cioè depurare l’umanità dalla religione? Il paragone che Freud ha
in mente, e da cui prende le distanze, è un’educazione violentissima per ottenere quel tipo di cambiamento
nella Russia sovietica. Perché la religione corrisponde ad un bisogno umano. L’altra obiezione è il problema
della massa incolta. In questo testo Freud non ha nulla di elitista, questo testo non è rivolto agli intellettuali
ma è diretto proprio alle masse incolte. L’atteggiamento freudiana è quello di avere presente del pericolo che
queste masse incolte si trovino nella circostanza di ricevere il messaggio della morte di Dio senza aver
preparato il cambiamento interiore che questo richiede. Il punto di Freud è proprio quello di costruire
un’educazione che induca questo cambiamento interiore. Quella di Freud è la speranza di un cambiamento
interiore di massa. L’avvenire di un’illusione è un testo ottimista. In altri testi, come nel disagio di una
civiltà, è più pessimista.

Nietzsche e Freud

Forma dell’educazione alla realtà e della necessità di non proteggere il piacere dalla realtà ma di portare il
piacere a trovare i suoi oggetti, il raggiungimento delle sue mete nella realtà. In entrambi i casi c’è questa
critica alla tendenza del desiderio di rifiutare la realtà. In entrambi c’è l’idea di potare il desiderio a
maturazione: spiritualizzazione degli istinti e de idealizzazione. Sono forme di maturazione della nostra
facoltà desiderante e non sono forme di dominio, ma farli pervenire alla loro misura, alla loro reale potenza.
Questo è il senso della valorizzazione della terrestrità.

Testi di Mann

In Freud e l’avvenire: è un testo su Nietzsche e Schopenhauer in cui Mann richiama l’avvenire di


un’illusione. Verso la fine penultima pagina. A proposito della psicoanalisi Mann tira fuori la categoria della
moderazione. Il concetto della moderazione in Freud non c’è ma c’è il concetto di rassegnazione. Sono due
concetti che possono anche toccarsi. Di moderazione però Freud non parla ma ne parla Nietzsche. È
interessante che Mann mentre ci parla di Freud tira fuori la moderazione, questo ci consente un collegamento
tra i due autori sulla base di questo concetto. Infondo in Freud l’alternativa all’edipo (compromesso
inastabile) è un’alternativa all’oscillazione malinconica, agli estremi, è una forma di misura. Non nel senso
quantitativo del termine perchè se noi associamo la moderazione all’atteggiamento qualitativo, la
moderazione significa vedere correttamente, sbarazzarsi dell’illusione dell’onnipotenza paterna che ci fa
vedere la realtà in modo scorretto. La de idealizzazione è una forma di acquisizione di un corretto
atteggiamento nei confronti del mondo. On questo senso c’è una moderazione che significa vedere
correttamente perché ci si toglie gli occhiali dell’illusione che deforma la realtà. Qui Mann parlando di Freud
dice proprio questo. C’è una direzione concettuale in cui questi due autori vanno: questa idea del vedere
correttamente.

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