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Vedere e parlare

Nel trattamento analitico non si procede a nient'altro che a uno scambio di parole tra l'analizzato
e il medico. Il paziente parla, racconta di
esperienze passate e di impressioni presenti, si lamenta, ammette i propri desideri e impulsi
emotivi.
Il medico ascolta, cerca di dare un indirizzo ai processi di pensiero del paziente, lo esorta,
sospinge la sua attenzione verso determinate direzioni, gli fornisce alcuni schiarimenti e osserva
le reazioni di comprensione o di rifiuto che in tal modo suscita nel malato. I parenti incolti dei
nostri malati, inoltre, cui fa impressione solo ciò che si può vedere e toccare- di preferenza
azioni come quelle che si vedono al cinematografo, - non trascurano mai di esternare i loro dubbi
che "soltanto con dei discorsi si possa concludere qualcosa contro la malattia". Naturalmente
questo è un modo di pensare tanto ristretto quanto incoerente. Si tratta di quelle stesse persone
che sono sicurissime che i sintomi dei malati "non sono altro che immaginazioni".
Originariamente le parole erano magie e, ancora oggi, la parola ha conservato molto del suo
antico potere magico. Con le parole un uomo può rendere felice l'altro o spingerlo alla
disperazione, con le parole l'insegnante trasmette il suo sapere agli allievi, con le parole l'oratore
trascina con sé l'uditorio e ne determina i giudizi e le decisioni. Le parole suscitano affetti e sono
il mezzo comune con il quale gli uomini si influenzano tra loro." Freud, Introduzione alla
psicoanalisi.

Già nella prima delle lezioni tenute negli anni 1917 1018, Freud delinea gli assi portanti
dell’impresa psicoanalitica.
· Innanzitutto l’obiettivo: “il trattamento medico delle malattie nervose”.
· In secondo luogo il metodo: Freud qui non nasconde le difficoltà per una corretta
comprensione delle evidenze che ritiene aver scoperto in funzione della cura di queste
patologie.
Non solo invita gli astanti a non ripresentarsi nella lezione successiva, ma li sconsiglia vivamente,
in quanto il suo metodo va in una direzione completamente diversa da quella sostenuta dalle
“abitudini mentali” prevalenti. Infatti al privilegio del “vedere”, Freud sostituisce la parola.
“Siete stati addestrati a dare un fondamento anatomico alle funzioni dell’organismo e ai suoi
disturbi, a spiegarli chimicamente e fisicamente e a concepirli biologicamente, mentre neanche
un briciolo del vostro interesse è stato indirizzato verso la vita psichica, nella quale pure
culminano le prestazioni di questo organismo meravigliosamente complesso” … lasciando a
“poeti, filosofi della natura e ai mistici”, di occuparsi di questa dimensione. Ecco lo scopo della
psicoanalisi, ”scoprire il terreno comune sulla cui base divenga comprensibile la convergenza del
disturbo fisico con quello psichico”.
“Nel trattamento analitico non si procede a nient’altro che ad uno scambio di parole tra
l’analizzato e il medico.” Le parole, dice Freud, “erano magie” e grazie alle parole siamo in grado
di rendere felici le persone o portarle alla disperazione.
Le parole curano.
Sarebbe quindi di vitale importanza conoscere le parole che vengono dette durante il
trattamento e la cura. “Ma nemmeno questo ci è possibile.” Le parole che vengono dette non
sopportano un ascoltatore esterno, visto che il paziente deve avere la certezza che l’analista sia
l’unico ascoltatore. “ammutolirebbe non appena notasse un solo testimone a lui indifferente.”
E le parole potranno avere efficacia se si stabilisce tra il paziente e l’analista “un particolare
legane emotivo” che farà quindi parte della cura.
Ma, allora, come potremmo attestare la validità di questo metodo? Se non è possibile verificare di
persona la sua efficacia? E, ancora, come potremmo mai imparare il metodo psicoanalitico se
non possiamo assistere alle sedute della cura?
La risposta di Freud è, da un certo punto di vista sconcertante. “La psicoanalisi si impara
innanzitutto su se stessi, mediante lo studio della propria personalità”. Qui Freud ci dice che il
disturbo di cui soffre il paziente è presente anche nell’analista. La differenza, lo sappiamo da
“Analisi terminabile ei interminabile”, è che l’analista ha padronanza dei moti della sua psiche, il
paziente no.
Infine, Freud, introduce le due affermazioni fondamentali della psicoanalisi, che tuttavia ritiene
che potrebbero essere percepite come “offensive” al mondo intero:
· “i processi psichici sono di per sé inconsci”, e “sono consce soltanto alcune parti e
alcune azioni singole”;
· La sessualità è decisiva nella determinazione delle disturbi mentali e nervosi.
Inconscio e libido sono le due affermazioni che Freud ritiene aprano delle prospettive
rivoluzionarie alla cura delle malattie mentali.
Infine, sempre nella prima lezione, individua la necessità che il soddisfacimento delle pulsioni
debba essere sublimato, cioè distolto dalle loro mete sessuali e rivolte a mete socialmente
superiori, non più sessuali.
Questa sublimazione, però, non è scontata e ha bisogno di una pratica che si dipana lungo tutta
la nostra vita, visto che sussiste continuamente “il pericolo che le sue pulsioni sessuali si rifiutino
di essere impiegate in questo modo”. Ecco quindi il “lavoro” della civiltà, offrire da un lato la
possibilità di una soddisfazione reale, dall’altro la necessità di un rilancio del desiderio, affinché
non venga subito consumato e perduto.
Qui, vediamo in opera questioni che hanno avuto, nel tempo, una rilevanza filosofica
importantissima. Innanzitutto il dialogo socratico come il metodo per arrivare ad una verità, che
non viene imposta da Socrate, ma viene trovata da chi, avendo una relazione “erotica” con
Socrate, scopre che dentro di sé una verità che non aveva mai dato ascolto.
La relazione erotica è quella che Platone descrive nel Simposio, dove Eros diventa sia colui che
“congiunge” gli umani e i divini, ma colui che sa di avere a che fare con qualcosa che non si sa, il
desiderio che è mancanza. Un vuoto che non può venire riempito come fossimo dei recipienti (le
parole iniziali che Socrate rivolge ad Agatone), ma può essere il movimento che ci spinge verso le
realizzazioni più alte e verso la contemplazione della bellezza che non è altro che nascere nel
bello (“Il parto nel bello”).
L’analista diventa una specie di Socrate, anche se non si tratta di recuperare una patria perduta
(il mondo perduto delle idee), quanto piuttosto di costruirsi una patria che è la propria
soggettivazione rispetto a quegli impulsi che non riescono a trovare “sublimazione”.
Da questo punto di vista anche Schopenhauer (a cui Freud riconosce un certo qual merito)
diventa decisivo, visto che l’inconscio sembra essere molto simile alla “volontà” che agisce in noi
secondo una logica illogica, irriducibile a quella razionale e cosciente della “rappresentazione”.
Avanguardie storiche, in particolare il Surrealismo.

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