Sei sulla pagina 1di 2

Schopenhauer e il buco nella tela

‘È Maya, il velo ingannatore, che avvolge il volto dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può
dirsi né che esista, né che non esista; perché rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla
sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata a terra, che
egli prende per un serpente. (Questi paragoni si trovano ripetuti in luoghi innumerevoli dei Veda e dei
Purana). Ma ciò che tutti costoro pensavano, e di cui parlano, non è altro se non quel che anche noi,
appunto, consideriamo: il mondo come rappresentazione, sottomesso al principio della ragione”. Pag. 32

Sembra che nulla sia più certo che siamo in Italia, a Lecco, il 18 gennaio 2024, in un edificio che chiamiamo
liceo, alle ore 11 e mezza, insieme ad altri studenti che stanno ascoltando una lezione di matematica.
Ancora, nessun dubbio che, fuori, sia una bella giornata, frizzante d’inverno e che il mondo giri attorno a se
stesso, illuminato dalla luce del sole … Bene! Qual è il problema? In effetti, nessun problema. I filosofi sono
specializzati a vedere problemi anche là dove non ci sono! E, per giustificare questi problemi, vanno
addirittura in India per avvalorare le loro fantasie.

Se vogliamo essere giusti con Schopenhauer, in effetti, anche lui non si fa nessun problema, visto che
quello che si è detto prima fa parte di una rappresentazione del mondo che cerca di rendere sempre più
razionali le cose che entrano nell’orizzonte della nostra vita.
Quello che invece fa problema è che, mentre tutto funziona razionalmente, il problema ci cade addosso,
proprio quando meno ce lo aspettiamo. Quale problema?

Sotto questa lucida superficie, è come se si agitasse continuamente un sentimento di fondo di mancanza,
un cupa e cieca insoddisfazione che ci prende, nonostante tutto questo funzionamento!

Un sentimento che ci parla, senza parole, di un vuoto che non riesce a saturarsi da quelle rappresentazioni
bell’e fatte. Se questo vuoto non lo sentiamo, chiudiamo Schopenhauer e lo ricollochiamo nella schiera dei
filosofi che fanno solo chiacchiere inutili.

Se invece ci prende quel vuoto, e non riusciamo a capire il motivo di quel vuoto, ecco che siamo entrati,
senza volerlo, nelle elucubrazioni del nostro Schopenhauer e dei filosofi indiani, che quel vuoto lo hanno
sentito, eccome.

E se ci chiediamo di rappresentarlo, quel vuoto, ecco che rimaniamo senza parole.

La luce della ragione, che ci fa vedere le cose tutte connesse tra di loro, ecco sprofondare in un buio che,
come un buco nero, sembra inghiottire la luce stessa. E, il dolore è l’effetto di questa luce nera.

Caspard David Friedrich, pittore contemporaneo a Schopenhauer, nel suo dipinto “Il naufragio della
speranza” ci rappresenta questo buco che inghiotte la nave che credeva di poter solcare il mare senza
problemi, avendo con sé gli strumenti razionali della tecnica di navigazione.

Goya dipinge un cagnolino che si affaccia in un immenso vuoto che lo circonda.


Un altro pittore, Lucio Fontana, un secolo dopo, invece che rappresentare il buco, lo fa, questo buco,
tagliando la tela.

Un surreale regista spagnolo, Bunuel, si spinge oltre e fa vedere che il buco, non è solo fuori di noi, ma
anche nell’occhio, tagliandolo con un rasoio nel film “Il cane andaluso”. È la nostra visione che è, al fondo,
cieca.

Insomma, la novità di Schopenhauer è molto semplice: come attrezzarci per governare questo vuoto che
non è governabile razionalmente? Come liberarci da questo vuoto?

Con la ragione? Escluso!

Con l’arte? Con la musica? Con la concentrazione orientale?

Raggiungendo in questa vita, il nirvana? La liberazione?

Sono solo gadget, che ci illudono o sono autentiche vie di liberazione dal dolore?

Potrebbero piacerti anche