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L'Edipo della scrittura Il rovescio del racconto secondo Alain Robbe-Grillet | Andrea Chiurato | Griselda Online 17/01/13 12.

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L'Edipo della scrittura
Dibattiti Il rovescio del racconto secondo Alain Robbe-Grillet
Sonde

Didattica

Informatica Nell’esplorare le “frontiere del racconto”[1] la narrativa premoderna ha creato un’impressionante collezione
di “mondi alla rovescia”. Secondo l’analisi di Michail Bacthin[2] tali spazi simbolici si connotano per il loro
Agenda “potere liberatorio” rispetto alla norma - sociale, etica, estetica - ed è significativo come alla base di un
simile sovvertimento ci sia un’idea di separazione, di confine spaziale e temporale, tra un’alterità
Newsletter perturbante e la vita quotidiana. Il “mondo alla rovescia” insomma è sempre connotato da una distanza,
simbolica o reale e si sviluppa di preferenza grazie a un movimento centrifugo, in una continua fuga verso
Archivio una no man’s land, un orizzonte cangiante in cui si mescolano le suggestioni della festa, della follia e
dell’esotismo.
La modernità ha ridefinito profondamente la funzione e la natura del “mondo alla rovescia”. Il Don
Chisciotte di Cervantes è l’antesignano di una nuova idea di viaggio in cui il “meraviglioso” non si trova più
ai confini del mondo ma nasce dallo sguardo sul mondo stesso. Un’intuizione che sposta il punto di leva su
Indice cui appoggiarsi per produrre il “rovesciamento” dall’oggetto al soggetto. Una rivoluzione copernicana
Tema n.7: potremmo dire dato che nel primo caso lo straniamento nasce da un allontanamento che apre allo
spettacolo dell’insolito e dell’estraneo, mentre nel secondo è la realtà più banale, più “prossima” (in senso
Eraldo Affinati figurato) a venire trasformata in fantasmagoria. Un cambiamento che riflette una ridefinizione della
Si parte sempre per ritornare. nozione di alterità. L’Altro non è più, o meglio, non è solo ai confini del mondo ma abita tra di noi, in noi.
Intervista di Magda Indiveri

Paolo Albani
L'etra aremiffe di rovesciare le Lo sguardo della modernità
parole

Roberto Barbolini Lo “sguardo” della modernità eredita quindi uno scarto rispetto alla realtà. La sua natura è parziale,
Ingegnere e rabdomante. frammentaria, relativa, e così la rappresentazione o visione che da tale occhio può nascere. Non è un caso
Intervista di Irene Palladini
che il leitmotiv di Madame Bovary (1856) sia proprio la finestra. A questo “impoverimento” dello sguardo
sopperisce il potere dell’illusione, l’infinita libertà del possibile, o meglio dei mondi possibili.[3] Il dramma
Nicola Bonazzi
Un «riso bonario e gustoso»: le di Emma si trova tutto qui, nella rottura dell’equilibrio tra una fervida immaginazione nutrita di cattiva
parodie di Luciano Folgore letteratura e il mondo angusto della vita di provincia.
L’“ingenuità” di Emma non è la stessa del Chisciotte certo, ma in entrambi i casi assistiamo a un’invasione,
Andrea Campana sempre più difficilmente controllata e controllabile dell’immaginario nel reale. Uno squilibrio in ragione del
Osservazioni su un quale la letteratura si assume il compito di fare vedere il mondo con occhi nuovi, di “straniare” il nostro
‘rovesciamento’ frainteso: sguardo per renderci di nuovo reali e presenti gli oggetti più banali e quotidiani. Significativamente, anche
appunti sul copernicanesimo da
nella teorizzazione di Viktor Sklovskij tale compito viene formulato attraverso una serie di metafore visive.
Donne a Leopardi
Il potere dell’immagine viene qui assunto in chiave positiva, liberatoria ancora una volta, eppure il confine
Ilide Carmignani tra realtà e rappresentazione inizia, inesorabilmente, a sfumare. Il romanzo realista ottocentesco aveva
Il rovescio dell'arazzo. Intervista indagato e si era interrogato più volte circa le modalità della rappresentazione, ma cosa accade quando è la
di Simona Mambrini rappresentazione stessa (l’arte come mimesis) a essere messa in dubbio quale strumento gnoseologico?
Qual è il rapporto tra la “copia” e l’originale o, in termini semiotici, segno e referente? La modernità non
Ermanno Cavazzoni può non affrontare una simile domanda e Flaubert stesso porrà questo interrogativo alla base della sua
Consigli a rovescio opera più ambiziosa, Bouvard et Pécuchet (1881), il sogno di un’Enciclopedia in un’era che ha perso il
senso, e forse la possibilità, di una rappresentazione totalizzante:
Gianni Celati
Dialogo sulla fantasia con
Massimo Rizzante
la copia è in Flaubert un atto vuoto, puramente passivo. Quando Bouvard e Pécuchet alla fine del libro si
rimettono a copiare non resta che la sola pratica gestuale. Copiare qualsiasi cosa purché il gesto della
Andrea Chiurato mano sia conservato. È un momento storico della crisi della verità che si manifesta ad esempio presso
L'Edipo della scrittura Il Nietzsche, benché tra Nietzsche e Flaubert non ci sia alcun rapporto. È il momento in cui ci si accorge che
rovescio del racconto secondo il linguaggio non offre alcuna garanzia. Non c’è alcuna istanza, alcun garante del linguaggio. È la crisi
Alain Robbe-Grillet della modernità che si apre. Tutto ciò che è scritto è in “carenza di senso” secondo l’eccellente espressione
di Levi-Strauss. Ciò non vuol dire che la produzione letteraria sia semplicemente insignificante. Essa è in
Guido Conti
“carenza di senso”. Non c'è il senso, ma c'è come un sogno del senso. È la perdita incondizionata del
Ritratto d'autore. Intervista di
Irene Palladini linguaggio che comincia. Non si scrive più per questa o quell'altra ragione, ma l'atto di scrivere è gravato
dal bisogno di senso, ciò che oggi si chiama la significanza (signifiance). Non la significazione
Andrea Cucchiarelli (signification) del linguaggio ma proprio la significanza.[4]
Rovesciamento e satira romana

Diego Dotari
L'io a rovescio: la follia. Nel Oltre i confini della rappresentazione
cuore di Coetzee

Lorenzo Flabbi Se la storia del romanzo occidentale nell’“era del sospetto” è dunque la storia di una crisi, questa crisi non
Laforgue e Leopardi. Critica di investe solo le modalità rappresentative ma porta, con l’avvento della postmodernità, a teorizzare un
un'imitazione superamento della rappresentatività stessa:
Maria Paola Funaioli
Il lamento sul gallo perduto e i Qui tutto accade come se la letteratura avesse esaurito o scavalcato le risorse del proprio modo
suoi rovesci rappresentativo e volesse ripiegarsi sul mormorio indefinito del proprio discorso. Il romanzo, dopo la
poesia, sta uscendo forse dall’età della rappresentazione. Probabilmente il racconto […] è già per noi,
Enrico Ghezzi come l’arte per Hegel, una cosa del passato, che dobbiamo considerare nel suo riflusso prima che abbia
Una bella insoddisfazione, non completamente disertato il nostro orizzonte.[5]
c'è verso. Intervista a cura di
Maristella Bonomo Rispetto al modernismo la postmodernità trasforma infatti questa crisi in una possibilità, in una
progettualità. Al sentimento di perdita denunciato da Yeats in The second coming (“Things fall apart / The
Elisabetta Menetti
Il rovescio del racconto center cannot hold”) si sostituisce un’inebriante joussance quando, di fronte alla propria “morte”, l’autore
scopre lo sterminato orizzonte dell’intertestualità. L’orizzonte entro cui la sua eclissi non può che lasciare
Matilde Montesi spazio alla “libertà” del racconto. Libertà problematica, con cui venire a patti, poiché di fronte all’infinito

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Matilde Montesi spazio alla “libertà” del racconto. Libertà problematica, con cui venire a patti, poiché di fronte all’infinito
A rovesciare le fiabe. Wilde proliferare del segno rimane l’insopprimibile questione del senso. Un senso, come quello teorizzato da Eco,
sovvertitore di Andersen “aperto”, continuamente sottoposto a “progressivi slittamenti”, mantenuto vivo e possibile solo nella sua
decezione.
Alberto Natale Di “slittamenti” e “apertura” il papa del nouveau roman, Alain Robbe-Grillet, si è sempre dimostrato un
Il mondo a testa in giù: le accanito sostenitore. Potrebbe dunque apparire insolito che La reprise (2001), penultimo romanzo prima
meravigliose contrade degli
Antipodi
della sua recente scomparsa, dichiari fin dal titolo l’intenzione di un ritorno alle origini, a quel Les gommes
(1953) che rimane, a distanza di mezzo secolo, la sua opera più conosciuta e citata.
Giuseppe Pederiali Ben lungi dal rappresentare un atto di esasperato narcisismo questa “ripresa” ci permette di valutare le due
Un minuscolo pezzo di strada questioni teoriche abbozzate in apertura -la crisi delle modalità della rappresentazione, la crisi dell’idea
sotto i piedi... Ritratto d'autore. stessa di rappresentazione- in una prospettiva storica, dalla metà del Novecento alle soglie del nuovo
Intervista di Irene Palladini millennio.
La lettura barthesiana della sua opera prima, destinata a salvare questo giovane ingegnere agronomo da un
Matteo Pellegrino prematuro oblio, insisteva soprattutto sul primo di questi due aspetti. Il prepotente emergere della
Antiche immagini di 'mondi alla
rovescia'
dimensione oggettuale (e in particolare delle superfici a scapito del “mito della profondità”) esplorava un
inedito equilibrio tra l’uomo e les choses, anticipato dall’esistenzialismo e sviluppato pienamente grazie alle
Gino Ruozzi suggestioni della fenomenologia hussleriana. L’accusa di antiumanesimo, agitata in seguito da larga parte
Dritti e rovesci della critica, insisteva sul medesimo punto confondendo il decentramento del soggetto con il suo
annullamento nel brulicante “mare dell’oggettività”.[6]
Alberto Sebastiani Eppure accanto a questo “estasi” oggettuale l’uomo era ben lungi dallo scomparire. Certo si trattava di una
Dalla politica alla satira, dalla soggettività riversata tutta all’esterno, le cui passioni e appetiti trovano un supporto in alcuni motivi, quale
satira alla politica ad esempio le “gomme” del titolo, abilmente dissimulati tra le pieghe dell’intreccio. Indizi apparentemente
secondari rispetto alla trama di stampo poliziesco, motivi che, se letti nella giusta prospettiva, lasciano
Ippolita Checcoli
Le immagini a rovescio
intravedere in filigrana un’altra storia, un’altra vicenda, ben più antica: quella di Edipo.
Rispetto all’“ipotesto” non c’è però un intento di attualizzazione o di parodia, bensì un totale
rovesciamento. Nella tragedia antica infatti l’intero intreccio si costruiva rispetto all’epifania della colpa. Il
delitto era già compiuto e all’eroe non rimaneva che ricostruirne le cause, la reale dinamica e, infine, le
conseguenze. La ricerca di Wallas al contrario produce la “storia”, rende reale attraverso un’incredibile
serie di coincidenze un delitto all’inizio solo simulato. Stravolgendo così i rapporti tra il “dramma” e
l’“inchiesta”,[7] processi distinti e successivi nella tragedia antica, sovrapposti e coincidenti in Les gommes.
Il che provocava secondo Jean Ricardou una vera e propria “inversione” del quadro ideologico della
vicenda. Nel primo caso infatti il dogma “dell’Espressione”[8] ci restituiva il racconto di una scoperta, di
una rivelazione; nel secondo al contrario era il récit stesso a produrre l’evento clou. Secondo un azzeccato
calembour si passava dalla “scrittura di un’avventura” all’ “avventura di una scrittura”.
Si potrebbe dire che l’assassino ritorni sempre sulla scena del delitto, anche se con intenzioni diverse. Il
gioco della citazione era dunque già presente in Les gommes ma messo in ombra dall’urgenza di superare il
famigerato romanzo “alla Balzac”, un modello rappresentativo costruito grazie ad “alcune nozioni
scadute”:[9] trama, personaggio, azione…
La reprise (2001) al contrario è un’opera che fin dalla “soglia” pone l’accento sulla dimensione
intertestuale. Ed eccoci al secondo punto, alla ridefinizione della “rappresentatività”. Nulla in questo
romanzo è originale, tutto è doppio, specchio o ripresa di situazioni, personaggi, nomi che ritornano senza
posa nell’opera dell’autore bretone.
Il carattere ossessivo della sua narrativa d’altronde si manifestava pienamente già nei Romanesques, dove
le costrizioni “oggettive” dell’autobiografia venivano continuamente evase da una libera reinvenzione del
proprio passato, resa possibile dalla continua dialettica dell’autore implicito con il suo enigmatico alter ego,
il conte Henri de Corinthe. Secondo questa prospettiva nulla, in linea di principio, permette di distinguere
l’attività creatrice dell’immaginazione (e del sogno) da quella della memoria. Entrambe le facoltà
funzionano secondo gli stessi principi, selezione e ricombinazione, il vero discrimine tra le due è la
direzione (il telos), o meglio l’“intenzione”, che le anima:

Reprise et ressouvenir sont un même mouvement, mais dans des directions opposées; car, ce dont on a
ressouvenir, cela a été: il s’agit donc d’un répétition tournée vers l’arrière; alors que la reprise
proprement dite serait un ressouvenir tourné vers l’avant.[10]

L’ossessione del postmoderno: “chi parla?”

Per sfruttare a pieno le potenzialità di tale ambiguo movimento Robbe-Grillet ritorna al familiare territorio
della spy story. Lo sfondo, la Berlino del 1949, non potrebbe essere più adatto: “il y a aussi des aventuriers
en tout genre: espions minables, proxénètes, psychanalystes, architectes d’avant-garde, criminels de guerre,
hommes d’affaires véreux avec leurs avocats”.[11] A livello dell’histoire questa cornice permette infatti di
sfruttare una serie di motivi quali: il travestimento, l’equivoco, lo scambio di persona, la finta morte… che
sottopongono l’identità dei personaggi ad una continua sollecitazione, a partire dal nostro protagonista
Henri Robin, alias Boris Wallon.
Ad un livello più profondo situazioni simili riflettono l’opposizione tra due ruoli attanziali, tra legge e caos,
o, secondo le parole di Robbe-Grillet, tra “le même et l’autre, le démolisseur et le gardien de l’ordre, la
présence narratrice et le voyageur”.[12] Due ruoli che, nel corso delle metamorfosi novecentesche del
genere (partendo dalla detective story di Edgar Allan Poe, attraverso il noir, per arrivare ai romanzi di Ian
Fleming), tendono progressivamente a confondersi. Due ruoli che ne La reprise diventano anche due punti
di vista.
La vicenda ci viene così restituita da due narratori: su un primo livello è il protagonista stesso ad offrirci la
sua versione dei fatti; versione continuamente corretta, contestata, rinarrata da un’altra “voce”, confinata
nello spazio apparentemente secondario e subordinato delle note. Buona parte della suspence nasce
proprio dallo scoprire a chi appartenga questo secondo punto di vista che si manifesta ai margini del testo.
Solo nell’ultimo atto (l’organizzazione vicenda ricalca la struttura tragica di Les gommes: cinque capitoli
più un prologo e un epilogo) scopriremo che il volto dietro alla maschera appartiene a Walther von Brücke,
gemello di Markus von Brücke alias Henri Robin.
Fratelli separati alla nascita, cresciuti l’uno in Bretagna, l’altro in Germania, che la Storia impegna ora su
due fronti opposti della guerra fredda. Destini apparentemente separati ma riuniti dalla morte del padre,
Dany von Brücke, ex ufficiale nazista, figura emblematica che, come la donna di Hitchcock, vive “due volte”.
Due volte sposato, due volte creduto morto… invisibile e sfuggente la sua presenza rappresenta il perno
invisibile attorno a cui ruota l’intera vicenda.
Neanche l’infallibile commissario Lorentz riuscirà a risolvere l’enigma della sua morte, attribuendola al di
là di ogni ragionevole dubbio ad uno dei due fratelli, ma c’è qualcosa di ben più sconcertante per il lettore di
questo delitto im-perfetto. Un dubbio racchiuso nella domanda che chiude l’arco narrativo e la quinta
giornata: “qui parle ici, maintenant?”.[13] Chi ha avuto la peggio nella sparatoria finale tra i gemelli che per
un’intera vita sono stati l’ombra l’uno dell’altro, “te suivant ou te devançant selon d’où vient la
lumière”?[14]
Questione irrisolvibile sia sul piano dell’enunciato sia quello dell’enunciazione, in un caso come nell’altro
non giungiamo mai ad una sintesi, anzi. La possibilità della “ripresa” vive in uno stato di perenne aporia.
Il racconto pur esibendo una perfetta struttura circolare (si apre e si chiude su un treno, in arrivo o in

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Il racconto pur esibendo una perfetta struttura circolare (si apre e si chiude su un treno, in arrivo o in
partenza da Berlino) produce una curiosa impressione di asimmetria.
Sopravvissuto allo scontro a fuoco Henri/Boris/Markus lascia la città “rubando” l’identità al fratello
quando, fin dall’inizio, non ha fatto altro che fuggire, inseguito e perseguitato da “cet homme que j’appelle
mon double, pour simplifier, ou bien mon sosie, ou encore d’une manière moins théâtrale: le voyageur”.[15]
Non si tratta quindi di un semplice rovesciamento di uno scambio di ruoli, bensì di un processo, di una
trasformazione sempre possibile. Riprendendo la citazione iniziale potremmo riassumere la dinamica della
“reprise” come una continua oscillazione.
Movimento che ritroviamo nel problematico equilibrio tra i due livelli del testo -il rapporto e le note- che
rende l’irrintracciabile, o meglio indecidibile, posizione dell’istanza narrativa[16] manifestando i suoi effetti
ben al di là delle “soglie” del testo. La tenuta del récit è quanto mai precaria, con continui salti tra la prima
e la terza persona, tra il passato e il presente narrativo, tra una registrazione quanto più “imparziale e
oggettiva”, il sogno e l’allucinazione. Voce, modo, persona, nessuna delle tre categorie genettiane mantiene
la propria stabilità in questo gioco di specchi. Impossibile quindi decidere se il rapporto del nostro “agente
speciale psicotico” sia più o meno fedele ai fatti. Impossibile verificare la veridicità dei suoi alibi, in un
racconto che si frantuma continuamente sull’asse temporale tra improvvise ellissi e continui flashbacks.
Costretto per ragioni professionali a falsificare continuamente il proprio “emploi du temps”, il proteiforme
personaggio/narratore si trova così: “perdu parmi le dédale des répetitions et des ressouvenirs”.[17] Anzi,
in definitiva, smarrisce anche il suo ruolo predominante all’interno della vicenda, dato che a ben vedere la
sua posizione centrale è solo illusoria. Il vero protagonista di questa storia non è Henri/Boris/Walther
bensì Markus: la sua ombra, il suo doppio, senza il quale l’intero intreccio non potrebbe svilupparsi.
Ed è qui che si manifesta la principale differenza rispetto a Les gommes. Il mito di Edipo oltre a
denunciare, attraverso una serie di indizi abilmente dissimulati, l’assoluta artificiosità di una vicenda
“troppo costruita”, assume oggi ben altra portata. Manifestando attraverso il conflittuale sdoppiamento del
narratore l’atteggiamento schizoide del postmodern, caro a Gilles Deleuze. Un conflitto che riflette a sua
volta, sul piano del codice, il rapporto narcisistico dell’autore con la propria opera.
Il gioco della citazione dunque rimane il motore essenziale di questa macchina testuale, e richiamandoci
all’esperienza di Duchamp e Roussel, potremmo parlare di una machine célibataire.
In Les gommes l’ipotesto permetteva di sovvertire il “dogma dell’Espressione”, ma tale rovesciamento si
realizzava principalmente attraverso una ridefinizione delle modalità rappresentative, in quella che sarebbe
stata in seguito definita la “poetica dello sguardo”. Con La reprise Robbe-Grillet si spinge ben oltre. Il testo
certo si nutre e si autoalimenta di materiali preesistenti ma la fonte privilegiata non è più il mito o, come
nei romanzi degli anni ’70, l’incredibile massa di stereotipi dispensati a larghe mani dalla cultura di massa,
bensì l’intera produzione dell’autore stesso. La “ripresa” insomma rappresenta una condensazione e
l’ennesima rielaborazione di un immaginario nello stesso tempo squisitamente personale e spersonalizzato.
L’inedita distanza che Robbe-Grillet poneva tra il soggetto e les choses, ora si pone tra lo scrittore e l’opera.
Chiusura ideale del percorso creativo di uno scrittore che ha confessato senza remore il carattere catartico
della scrittura nei confronti della proprie ossessioni sado-erotiche. In fondo la voce di Walther, non è altro
che l’ombra della narrazione. A lui è delegata la funzione “di regia”, la riflessione metatestuale che integra e
compensa una “funzione narrativa”[18] (l’istanza narrativa, per quanto sfocata o indefinibile, ci racconta
sempre una “storia”) sempre più debole incarnata da Henri/Markus. Parafrasando l’efficace definizione di
Ricardou dalla “storia di un doppio” siamo arrivati “al doppio di una storia”.

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Note:

[1] GENETTE Gerard in BARTHES Roland (a cura di), L’analyse structurale du récit: recherches semiologiques, 1966, trad.
it., L’analisi del racconto, Milano, Bompiani, 1969.

[2] BACHTIN Michail, Tvorcestvo Fransua Rable i narodnaja kul’tura srednevekov’ja i Renessansa, 1965, trad. it., L’opera
di Rabelais e la cultura popolare, Torino, Einaudi, 1980.

[3] Sull’inedito rapporto tra realtà e finzione nella modernità, cfr. BERARDINELLI Alfonso, “L’incontro con la realtà”,in Il
romanzo,a cura di MORETTI Franco, Le forme, vol. 2, Torino, Einaudi, 2002; BERTONI Federico, Realismo e
letteratura. Una storia possibile,Torino, Einaudi, 2007; CALABRESE Stefano, “Il romanzo”,in Le immagini della critica,
Torino, Bollati Boringhieri, 2003; CALABRESE Stefano, www.letteratura.global: il racconto dopo il postmoderno,Torino,
Einaudi, 2005; DÄLLENBACH Lucien, Le récit spéculaire, 1977, trad. it., Il racconto speculare, Parma, Pratiche Editrice,
1994; LAVAGETTO Mario, La cicatrice di Montaigne: sulla bugia in letteratura,Torino, Einaudi, 2002; MAZZARELLA
Arturo; La potenza del falso, Roma, Donzelli Editore, 2004; PAVEL G. Thomas, Fictional worlds, 1986, trad. it., Mondi di
invenzione. Realtà e immaginario narrativo,Torino, Einaudi, 1992; WAUGH Patricia, Metafiction : the theory and practice
of self-conscious fiction, Londra, Methuen, 1984.

[4] BARTHES Roland, Magazine littéraire, n°108, gennaio 1976.

[5] BARTHES Roland (a cura di), L’analisi del racconto, cit., p. 290.

[6] Questa la posizione di Italo Calvino nell’omonimo saggio, apparso in Il Menabò, 1960, n° 2.

[7] “Story of the drama” e la “story of the inquiry” secondo la terminologia proposta da TODOROV Tzvetan, “Typologie du
roman policier”, Poetique de la prose, 1971, trad. it., Poetica della prosa, Milano, Bompiani, 1995.

[8] RICARDOU Jean, Le nouveau roman, Parigi, Seuil, 1973, pp. 14-15.

[9] ROBBE-GRILLET Alain, Pour un nouveau roman, 1963, trad .it., Il nouveau roman, Milano, Sugar, 1965, pp. 55-73.

[10] La citazione, posta in esergo al romanzo, è presa da KIERKEGAARD Søren, Gjentagelsen. Et forsøg i den
experimenterende phychologi af Constantin Constantius, 1843, trad. it., La ripresa, Milano, Edizioni di Comunità,
1963, p. 22.

[11] ROBBE-GRILLET Alain, La reprise, Parigi, Les Éditions de Minuit, 2001, pp. 151-152.

[12] Ivi, p. 226.

[13] Ivi, p. 227.

[14] Ivi, p. 222.

[15] Ivi, p. 9.

[16] “Più l’origine dell’enunciazione è irreperibile, più il testo è plurale.”; BARTHES Roland; S/Z, 1970, trad. it., S/Z, Torino,
Einaudi, 1973.

[17] ROBBE-GRILLET Alain, La reprise, cit., p. 188.

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[17] ROBBE-GRILLET Alain, La reprise, cit., p. 188.

[18] GENETTE Gérard, Figures III, 1972, trad. it., Figure III, Torino, Einaudi, 1994, p. 303.

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