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settembre 2003

Umberto Boccioni
La pittura futurista
(conferenza tenuta a Roma nel 1911)

Dono di Laura Rinaldi

Edizione di riferimento:
Umberto Boccioni, Altri inediti e apparati critici
a cura di Zeno Birolli,
Feltrinelli, 1972.
Io spero che avrete o amici seguito con piacere il nostro veemente sguardo nel
futuro e riderete con me del nostalgico torcicollo dei passatisti. Immaginate
amici il pubblico superficiale pretenzioso quando si troverà davanti ai quadri di
un futurista! Quando chiederà e controllerà le nostre tele con queste teorie alla
mano? Anche quel giorno saremo tranquilli e sorridenti come sempre fummo tra
l'urlo delle folle che beffeggiano sistematicamente ciò che non comprendono.
Chi ci attacca e c'insulta tutti i giorni non sa che la mente umana opera tra due
linee d'orizzonte ugualmente infinite, l'assoluto e il relativo, e che tra queste essa
segna la linea spezzata e dolorosa della possibilità.
Verrà un tempo in cui il quadro non basterà più. La sua immobilità sarà un
arcaismo col movimento vertiginoso della vita umana. L’occhio dell’uomo
percepirà i colori come sentimenti in sé. I colori moltiplicati non avranno
bisogno di forme per essere compresi e le opere pittoriche saranno vorticose
composizioni musicali di enormi gas colorati, che sulla scena di un libero
orizzonte commoveranno ed elettrizzeranno l’anima complessa d’una folla che
non possiamo ancora concepire.
Nella nostra evoluzione quotidiana ci si trova qualche tendenza parallela a quella
dei cubisti. Prima di tutto noi dichiariamo che la parola cubismo nulla esprime
perché il senso del volume è sempre stato una delle tante aspirazioni della pittura
ed è a rigore il lato più esteriore e meno profondo della scuola che passa sotto
quel nome. Infatti come si può comprendere sotto il nome di cubismo la
riproduzione complessiva di un oggetto cioè la ricostruzione integrale delle
forme che lo compongono esteriormente e interiormente?
Scartata dunque per noi questa parola noi domandiamo ai nostri detrattori a
coloro che risero del nostro Manifesto tecnico perché ora che dalla Francia viene
la notizia di una tendenza rivoluzionaria che ha con noi qualche analogia
qualcuno si affretta a prenderla in considerazione e a discuterla? Perché si rise
quando noi italiani in questo paese coperto ancora di ruine e popolato di
mummie estetiche negavamo l'opacità dei corpi la moltiplicazione delle
immagini la compenetrazione dei corpi la dislocazione dei particolari la suprema
necessità di fare dello spettatore il centro del quadro?
Questa aspirazione alla distribuzione delle immagini, e conseguente creazione di
un geroglifico musicale, questo ritorno a puri valori pittorici per il trionfo di
un'arte più interiore quindi più astratta, questa violenta aspirazione ci ha fatto
coprire di contumelie e di derisione dagli eterni scettici d'Italia e di fuori.
Noi dichiariamo che ciò che passa sotto il nome di cubismo non è che una
tendenza di transizione e che ben maggiori sono le nostre aspirazioni per una
pittura veramente astratta. Noi crediamo che tutto quello che abbiamo chiamato
simultaneità di stato d'animo cioè rappresentazione dei rapporti di ciò che si
ricorda tra ciò che si vede non è che uno stato intermedio un ponte tra la vecchia
pittura tradizionale e quella futurista.
Il pubblico che protesta davanti alle nostre tele non sa che noi troviamo nelle
nostre tele già troppe forme veristiche troppi evidenti particolari di pura
imitazione e che sogniamo il giorno della liberazione per far rivivere il quadro,
le pure quantità, le pure dimensioni, le pure colorazioni delle cose nuovamente
trasfigurate e create.
Noi pensiamo che oltre al volume cioè ai valori di tonalità ogni corpo ha una sua
speciale fisionomia cioè una tendenza delle sue linee è manifestarcene il
carattere che io chiamerò di anarchia, cioè predominio assoluto del proprio io, in
guerra eterna e fatale con il mondo esteriore!
Non essendovi dunque, come per i reati comuni un codice che punisca i delitti
che ledono la sacra maestà dell'estetica tradizionale, è naturale che il pubblico,
come tutte le agglomerazioni barbariche, faccia giustizia sommaria delle idee
che offendono la Consuetudine... cioè il suo unico modo di concepire il diritto.
Questo può spiegare il furore insolito, in materia di controversie estetiche, col
quale la stampa, il pubblico, e i colleghi sedentari o bottegai assalirono, appena
pubblicato, il nostro Manifesto tecnico della Pittura Futurista. Gl'insulti dei
credenti, le calunnie degl'invidiosi, gli sberleffi degli scettici e degl'ignoranti ci
lasciarono completamente indifferenti! Noi sapevamo che il nostro manifesto
essendo un'opera d'arte e vivendo quindi nell'assoluto, esigeva dal lettore oltre
che un'intelligenza molto elevata una speciale predisposizione ad entrare in
contatto con l’intuizione pura. La nostra serenità e la nostra calma, che tanto
meravigliano gli stessi nemici del Futurismo, ci vengono dalla profonda
compassione che noi sentiamo per tutti coloro i quali non essendosi occupati
nella loro vita che di questioni superficiali e relative pretendono confutare ciò
che aleggia sulle cime più alte dello spirito, cime che solo vengono raggiunte
dopo una lunga e religiosa preparazione e comunione incessante col mondo
esteriore.
Purtroppo, se è vero che la Relatività governa il mondo, è anche vero che senza i
lampi dell’assoluto che solo i pochi posseggono, l'umanità procederebbe al buio,
anzi non esisterebbe, perché non riconoscerebbe sé a se stessa! E il lampo non è
mai preceduto, ch’io mi sappia, da spiegazioni o da preamboli e bisogna
supporre una mente ben piccola nei nostri contraddittori per non comprendere
che l’aspirazione eterna è l’assoluto e che l’opera è il relativo; che creare è già
circoscrivere; che commentare è circoscrivere il circoscritto, è suddividere il
diviso, è ridurre ai minimi termini, è annientare!
Ora le spiegazioni che io darò su l'essenza del nostro Manifesto tecnico sono una
concessione alla relatività della vita!
Il mondo non comprende l'eterna misteriosa evoluzione dello spirito fino a
quando un gran fatto specifico non gliene presenti un termine e un principio
sensibili. Ma questo termine e questo principio non esistono per il pensatore che
termina e principia incessantemente. Per ciò quando questo solitario grida nella
notte: questa è la verità! il mondo che dorme e che è sempre per la verità
precedente urla svegliandosi e protesta. Ecco perché tutti gridano per un'era
cristiana e negano che sia nata un'era scientifica! Non negano ben s'intende che
tutto oggi nel mondo sia analisi scientifica ma negano che sia il più grande
fattore della psiche moderna e sia per noi uguagliabile ai fatti naturali dei tempi
storici e preistorici, nei suoi effetti alle più grandi trasformazioni. Negano che le
scoperte scientifiche abbiano completamente rifatto il tessuto mentale del
mondo, che sia avvenuto un cambiamento radicale nel nostro spirito e per le
stesse ragioni che le mutate condizioni di esistenza moltiplicano le forme e la
struttura e il carattere dell'animale, così l'elettricità e la telegrafia, il vapore e
l'aviazione abbiano prodotta una diversità psichica molto più profonda tra noi e i
nostri nonni che tra questi e, per esempio, il secolo di Aristotele. È dunque la
convinzione che il nostro tempo inizia un'era nuova che ci fa chiamare: I
primitivi di una nuova sensibilità completamente trasformata!
È dunque questa nuova condizione di relatività scientifica che ci fa avere una
nuova sensibilità per la ricerca dell'assoluto. Noi pittori (poiché io parlerò di
pittura) sentiamo che questa sensibilità è una forza psichica divinatrice che dà ai
sensi la potenza di percepire quello che non fu mai sino ad ora percepito. Noi
pensiamo che se tutto tende all'Unità, quello che l'uomo ha fino ad oggi cercato
di percepire in unità è ancora una misera cieca infantile decomposizione delle
cose!
La scienza secondo noi ci ha ricacciati in una meravigliosa barbarie superiore!
Esponente di questa barbarie è l'arte d'oggi, che partita dagl'Impressionisti
francesi, veri temperamenti scientifici, si è gettata con un grido ed una foga che
han dello spasimo alla ricerca della sintesi cioè della ragione ultima degl'infiniti
elementi nuovi che la scienza ci ha dati.
Tutti i periodi storici si somigliano e quello che forma la forza soggiogatrice del
genio è percezione esatta, matematica del suo momento storico conscia o
inconscia che sia.
Per questo noi dichiariamo assolutamente insignificante l'opera di un Sargent,
d'un Sartorio, d'un Zuloaga perché in nulla corrispondente al palpito del loro
tempo. Ne ho citati tre ma potrei citarne infiniti, maggiori e minori tutti
ugualmente fuori dall'arte malgrado il loro ingegno!
Un critico superficiale diceva qualche anno fa, che noi camminavamo verso il
pieno seicento... Egli scambiava con ciò delle interessate mode editoriali
(piccole soste insignificanti con il vertiginoso salire delle aspirazioni universali
moderne e delle quali solo l'arte può esserne l'esponente).
Al contrario noi diciamo che tutta la vita sociale del nostro tempo ci mostra
l'assoluto predominio di una incertezza primitiva che all'occhio profondo del
pensatore che trascura le piccole deviazioni particolari appare come l'alba di una
radiosa giornata storica!
In arte in filosofia in politica i valori crollano con rumore, con grida, con sangue!
Noi viviamo in un'atmosfera satura di detriti ed è al fragore delle demolizioni
che noi dobbiamo accordare le nostre anime. Noi Futuristi che sappiamo
attendere, abbiamo distrutta in noi la nostalgia il rimpianto e i nostri anelano e
vivono nel futuro. Per un ideale di bellezza definitiva non ci volgeremo mai
indietro ed è perciò che noi amiamo le espressioni estetiche del nostro tempo
anche se esse si presentano come le odierne rozze e mal sgrossate dalle scorie
delle nuovissime fusioni.
Noi vogliamo combattere la stupida ciecità delle masse e il misoneismo
scoraggiato delle stesse minoranze intellettuali, le quali mentre assorbono
inconsciamente le pratiche e le materiali applicazioni della moderna concezione
della vita ripudiano invece stupidamente tutto ciò che di questa nuova vita ne è
l'emanazione spirituale, il simbolo! Si può dire anzi che il disprezzo e la
derisione pesano sempre sulle opere che tentano contar le eternità essenziali.
Per quanto sia veemente in noi l'aspirazione alla perfezione, noi amiamo questi
capolavori che ancora risentono dell'urto tra un mondo che crolla e uno che
nasce.
Noi amiamo nelle opere del nostro tempo quel carattere di infinita e affannosa
ricerca che mostra nell'artefice veramente moderno l'imperizia di chi maneggia
una materia nuova. Noi le amiamo perché è da loro che comincia e proseguirà
attraverso le generazioni future l'era d'un'arte veramente nuova, quale se ne sente
affannoso bisogno da un secolo ad oggi - in tutta Europa - e quale ci mostrano
gli eroici tentativi di pochi rivoluzionari quasi sempre periti vittime del
commercialismo e della pittura ufficiale.
Qualcuno ci ha rammentato che nell'arte e nella vita tutto si trasforma per lenta
evoluzione e che dal passato non ci si può dividere con un taglio netto. Noi
rispondiamo che il periodo delle trasformazioni è superato e che l'evoluzione è
stata gloriosamente compiuta (dalla Francia specialmente in questi ultimi
cinquant'anni) e che noi ci consideriamo primitivi appunto perché fino a ieri
abbiamo osservato in quella che viene chiamata arte moderna gli stessi fenomeni
che troviamo in un'altra grande crisi sociale al trasformarsi del mondo pagano
nel mondo cristiano. Anche allora la concezione della essenza divina, la
concezione sui destini dell'uomo erano già cambiate completamente, ma la mano
dell'artista continuava a disegnare le forme che lo legavano alla tradizione
pagana. I sarcofaghi del IV e del V secolo per esempio ci mostrano uno strano
miscuglio di soggetti cristiani, espressi ancora come forma e come esecuzione
con il vecchio tipo pagano.
Si può obiettare che molte delle nuovissime sensibilità moderne sono state
contate dal principio del secolo scorso ad oggi, ma sempre con le forme
tradizionali tramandateci dai classici, sempre con un disegno una forma più o
meno colorata, cominciando dai grandi Impressionisti francesi con le loro
ramificazioni in tutta l'Europa fino al divisionismo di Seurat al sintetismo di
Gauguin al sintetismo neoidealista e simbolista dei pittori della Rosa Croce fino
ai modernissimi postimpressionisti o ai cubisti o feroci come vengono chiamati
oggi in Francia noi non abbiamo che generazioni di transizione.
Noi futuristi che ci sentiamo all'avanguardia del mondo ci proclamiamo
completamente staccati dal passato. Noi stiamo superando quello stato di
sbigottimento che dovettero provare i primi artisti cristiani che si trovarono nella
necessità di esprimere con nuovissime forme una forma nuova, un valore sorto
che non esisteva, un'emozione che esaltava cose fino allora inconsiderate, una
realtà che sorgeva, che faceva scorrere sangue, che suscitava entusiasmi e
speranze fino allora incomprensibili parlo della pietà, della fede cristiana! Non
credete voi alla fatale necessità per l'arte cristiana di seppellire o distruggere i
marmi voluttuosi degli Dei? Ebbene quando noi domandiamo la distruzione dei
musei delle biblioteche delle accademie in questo sogno di distruzione spirituale
che fu chiamata una bestemmia noi siamo animati da una grande fede: fede
contraria opposta a quella cristiana, ma ugualmente profonda e intransigente
verso tutto ciò che invade con un passato ormai scomparso la nuovissima
religione d'un mondo futuro.
Il marmo greco o romano non aveva mai pianto, il Laocoonte, il Gallo morente,
la Niobe e i suoi figli non erano, in confronto al dolore della Croce che un
leggero corrugare di ciglia. La figura umana diviene attonita nei mosaici
bizantini... pianse e sorrise in Italia... pianse e disperò i barbari... Ebbene quale
legame v'è tra un marmo greco, un marmo bizantino e la tavola d'un primitivo
italiano o nordico? Ma non deve forse (e qui citerò le parole di un mio caro e
grande amico, il pittore futurista Luigi Russolo) ma non deve forse la pittura... la
sua meravigliosa rinascita, il suo originale sviluppo alla facilità con la quale gli
affreschi i graffiti, i mosaici pagani furono distrutti a paragone dei marmi e
bronzi delle statue?
Ben diceva Gauguin che in arte non vi sono che rivoluzionari o plagiari. E noi
che sentiamo di aver ormai superata la vecchia concezione che l’individualità è
sacra in quanto fa parte dell'umanità, per proclamare l'individualità è sacra
perché contro quella è sempre in guerra senza quartiere, noi artisti in
quest'epoca, che verrà chiamata dei rivoluzionari abbiamo il dovere di lottare
quotidianamente lottare contro le sopraffazioni della reazione estetica e pensare
che se la ghigliottina e il pugnale hanno frenato le tirannie il petrolio e le bombe
possono pur liberarci dai musei che ci disonorano!

L'artista è il traduttore del caos che avvolge le cose. Si vedono colori si odono
armonie si piange si ride o si odia nella vita come gli artisti hanno mostrato con
l'arte. Un'epoca non si potrebbe concepire se l'arte non ce la traducesse all'infuori
delle date storiche che non hanno alcun significato.
Ebbene amici! v'è qualcosa che è la sintesi della nostra epoca! v'è qualcosa che
non fu mai espresso, che non ha forma fissa, che non ha colore, che trasfigura le
cose e che di queste ne è l'essenza. Questa vera realtà è la sensazione. È da
questa, dall'impressione soggettiva della Natura espressa con segni astratti,
dettata dalla musica delle forme, o dal dramma dei movimenti che sorgerà una
nuova estetica.
Il nostro palpito infatti batte per verità nate ieri e che vogliono per essere
espresse forme colori parole e melodie mai adoperati. L'artista d'oggi ha dei
doveri che non aveva l'artista di venti anni fa e per questo nessun controllo del
passato, nessuna esperienza può valere di fronte all'opera dell'artista di domani
che vivrà da sé, non avrà confronti che in sé, e non comunicherà con le
individualità esteriori che per la stretta necessità di qualche mezzo.
È molto difficile trovare un pittore che pensi ed è tempo di finirla con la vecchia
fiaba che il pittore deve solo veder bene! Non vede bene che il pittore che pensa
bene! Ora solo chi pensa bene si accorge dei fenomeni che ho chiamato di
barbarie superiore che rendono estremamente grave oggi la lotta dell'artista per
far comprendere la propria opera.
Noi abbiamo per esempio un pubblico che chiede al pittore espressione di
gaiezza e di frivolità, che chiede della gioia e del godimento con aspirazioni da
grande civiltà decadente... e l'artista veramente moderno non sente dettarsi dalla
vita che lo circonda che espressioni di doloroso furore, di angosciosa
aspirazione, di morbosa curiosità.
Un pubblico che chiede gioia come un signore cinquecentesco ed il pittore che
risponde con un'anima modernamente giottesca.
Un pubblico che vuole luce, igiene, ambienti chiari, dove i vuoti predominino
sui pieni e sulle pareti mette le più tenebrose croste che gli riesca di trovare dai
rigattieri o negli studi di compiacenti falsificatori.
Un pubblico che va in automobile e che va in aeroplano e sopra l'immobile
quiete delle vecchie città, la lentezza di una portantina o di una lettiga. Un
pubblico che parla di rivoluzione, di scioperi, di spiritismo, di radio e vuol
servite alla tavola dell'estetica patine del cinquecento, giardini del settecento,
parrucche o nudità pagane, calma e chiaro di luna...
Come può il pensatore spiegare il cozzare di tendenze così disparate che turbano
il mondo intellettuale moderno?
Solo con questo: che la cultura ha messo un velo sulla sensibilità; ha gettato cioè
per la legge degli estremi, l'umanità di una barbarie superiore, ma relativamente
barbarie.
Tutti oggi, e questo forse è il carattere fondamentale della nostra epoca, tutti
vedono nella cultura un rifugio ai dolori della vita. Da questo ne deriva
un'atmosfera di scettico rimpianto che ci soffoca! Chi non trova la propria
soddisfazione nelle moderne manifestazioni artistiche guarda dietro a sé e
rimpiange il genio unico il picco eccelso e solitario intorno al quale è deserto e
sospira e sogna su Michelangelo o su Fidia... Chi non trova la propria
soddisfazione nelle nuove concezioni filosofiche della vita guarda dietro sé e
rimpiange la chiesa e i dogmi e il ferreo sentimento religioso, l'annientamento
del corpo o il trionfo del senso e sospira e sogna il mondo cristiano e il mondo
pagano. Chi non trova la propria soddisfazione nelle moderne idealità politiche e
sociali guarda dietro a sé e fantastica sulla sapienza di Salomone, il ferreo diritto
di Cesare, gli splendori del Re Sole, il gesto di Napoleone. Potrei citare a
centinaia gli esempi del morboso malessere, del nostalgico malcontento, di
questi degenerati della cultura, di queste anime costituite per la nostra atmosfera
di dinamite! Il dolore, oggi, è l'impossibilità di amare il mondo che ci circonda,
la vita che viviamo, le nuove idealità che ci guidano.
Specialmente per noi italiani tutto ciò che è moderno è sinonimo di brutto. Si
parla di Milano e delle altre città italiane che in luogo della solita tradizione
hanno un meraviglioso presente e futuro, industriale e artistico, come di una cosa
orrenda. Il movimento moderno è per un veneziano, per un fiorentino o per un
romano un'aberrazione che bisogna fuggire alla prima occasione dopo aver
deriso o compianto. Le folle multicolori e febbrili sono mostruose per l'italiano
che per tutta la sua nobile esistenza ha discusso sulla passata grandezza della
Patria nelle quiete vie della sua cara, piccola città - ex capitale senza dubbio - e
piena di ombre gloriose, di vecchi palazzi chiusi, di giardini chiusi, di menti
chiuse.
Le officine eternamente deste e ruggenti ispirano ribrezzo all'italiano che per
tutta la vita ha concentrato il suo studio e la sua ammirazione sull'ultimo
capitello in fondo a destra in quel tal palazzo, o su la seconda arcata a sinistra
della tal chiesa, monumento nazionale...
Le stazioni, le strade ferrate, così nere e così inesorabili di fischi di sbuffi e di
fumo, destano orrore! Val meglio discutere come mobilitare le nostre truppe in
ventiquattrore alla frontiera austriaca, godendo il tramonto su una panchina del
Pincio, o all'ombra de' viali di Boboli, o ripetendo per la millesima volta il
Liston di Piazza S. Marco! È questo continuo e ignobile antagonismo fra passato
e presente che forma la nostra debolezza politica, sociale, artistica!
I nostri padri ci liberarono col sangue dal giogo straniero, i nostri professori ci
riconsegnano moralmente ammanettati dal monumento nazionale, schiavi offerti
allo straniero passatista. E contro la viltà mentale degli artisti ufficiali, è contro
la cultura, contro la tradizione che combattono le nostre opere futuriste.
È la cultura che difende i Greci e Michelangelo contro l'impressione in scultura.
È la cultura che difende il contorno dei quattrocentisti e le tenebre dei
cinquecentisti contro la luminosità atmosferica della pittura moderna contro il
divisionismo contro la sintesi psicologica dei tipi umani che solo la nostra epoca
ha creati. È la cultura che difende l'immobilità, la statica contro il movimento e
la dinamica in pittura. Ed a tutto ciò che noi diciamo: basta!
Quando dichiarammo che il pittore che ha un sincero temperamento moderno
deve avere in sé, fatalmente, quello che chiamammo: Complementarismo
congenito, urli d'indignazione e di protesta si levarono contro questa
affermazione ch'era chiamata una violenza alla libertà individuale, un non senso,
una restrizione, una nuova accademia. La bufera passò ed ora si comincia a
comprendere la verità che affermavamo: il divisionismo non è una tecnica! Il
divisionismo è un atteggiamento dello spirito, è un grado a cui è giunta la
sensibilità umana, è un modo di tradurre, è lo stile di un'epoca!
Alla comune e volgare obbiezione se sinceramente vediamo le cose a macchie, a
punti, a linee non possiamo che rispondere con il vecchio assioma: l'arte non è
la copia della Natura! Tanto più l'arte s'innalza tanto più vi si allontana poiché
tanto più l'artista è profondo più la sua visione soggettiva - cioè il mondo stesso -
è fatalmente irriconoscibile al suo apparire.
I capolavori che il mondo fino ad oggi ha ammirati non si riscontreranno mai sul
vero... Le statue di marmo o di bronzo non rassomigliano agli uomini di carne e
di sangue. Le teste violentemente illuminate tra le tenebre come vide Rembrandt
e i tenebristi italiani ed il loro tempo credette vere non li vedranno né si videro
mai nelle case o sulle piazze, come non si videro e non si vedranno mai gli occhi
dell'Imperatrice Teodora o le carni dorate della Flora. Quello che il pubblico
ammira nei quadri antichi: lo splendore della carne, la fusione delle tonalità, il
calore del colorito significherebbero sul vero tenebre, sudiciume, clorosi,
putrefazione! Il mondo è un'apparenza. Il mondo è in noi e l'artista ne supera
diecimila prima di fondersi in quello che assomiglia a lui stesso.
Il divisionismo, adunque, questo atteggiamento dello spirito, vale per noi come
la forma plasmata per i greci e i romani; il mosaico per i bizantini; il contorno
incisivo per i primitivi; il chiaroscuro sintetico per i cinquecentisti. Ed è appunto
perché lo crediamo un atteggiamento dello spirito che il complementarismo deve
essere congenito nel pittore moderno. E questo ci divide assolutamente dai
divisionisti italiani di ieri per i quali questa verità (data la loro cultura) era
soltanto un innesto su tronco già vecchio.
Infatti questi teorici invece di percepire divisionisticamente come noi
guardavano il mondo prima con occhi convenzionali (quali cioè la cultura aveva
formati) poi applicavano artificialmente sulla tela la teoria dei complementari.
Essi distribuendo metodicamente sulla tela il colore in parti uguali col suo
complementare e sforzandosi di trovare la così detta intonazione, finivano invece
per distruggere completamente col colore pur non impastando materialmente.
Essi credevano poter rifare nella pratica della pittura quello che era giusto nella
pratica chimica. E poiché in natura l'unione di due colori spettrali complementari
produce luce bianca, l'unione di due colori complementari materiali adoperati dal
pittore devono dare sulla tela lo stesso risultato... Nei Principi scientifici del
divisionismo G. Previati osserva che il rosso e verde azzurro spettrali che uniti
formano luce bianca tradotti in sostanze coloranti come il cinabro e verde
smeraldo non producono più che un grigio opaco. Il giallo verde e il violetto che
pure essendo complementari dovrebbero dare luce bianca coi colori materiali
corrispondenti non formano che un verde grigio rossastro di triste aspetto, come
grigio peggiore risulta dall'aranciato con l'indaco, altra coppia di colori dello
spettro che uniti si trasformano in luce bianca. Non pensavano essi che altro
sono le molecole colorate che formano la luce bianca altro quelle delle sostanze
coloranti da noi adoperate per dipingere. Non pensavano che quando si
mescolano due sostanze coloranti, siccome il miscuglio non opera una
trasformazione chimica e quindi un sistema molecolare che agisca con unità di
effetto riguardo all'assorbimento, restano attive le facoltà assorbenti di ciascun
colore, ed essendo ogni assorbimento una sottrazione di luce, che è quanto dire
un senso di nero, non si potrà fare miscuglio di due sostanze coloranti senza che
avvenga doppia sottrazione di luce e raddoppiamento di oscurità.
Essi credevano salvarsi perché invece di mescolare materialmente ponevano i
due colori complementari vicini. Ma anche con questo che era fondamento del
loro divisionismo essi venivano a fare la stessa impressione visiva invece che
materiale e lo sporco per quanto leggermente attenuato permaneva.
Questa ferrea applicazione di un procedimento scientifico in un campo
assolutamente intuitivo quale l'artistico produceva grigi opprimenti, monotonia,
imbalsamazione degli oggetti, scoraggiamento negli artisti e nel pubblico.
Noi invece nella distribuzione del colore portiamo un disordine intuitivo che
concorda col disordine esplicativo dell'universo, riportandone dei risultati d'un
valore tecnico e sentimentale, completamente nuovo! Mettere il colore impastato
sulla tela significa perdere il 75% della luminosità in confronto ai colori
adoperati puri. Ora, questa perdita non può lasciare indifferente l'artista che sente
in sé l'imperioso bisogno di far vivere la propria opera in perfetta rispondenza
col proprio tempo.
Come si può comprendere una pittura che si compiaccia del tenebroso quando
l'umanità si prepara a volare contro il sole? Tutto aspira nella coscienza moderna
alla luminosità! La nostra epoca mostra il suo studio primitivo in questo amore
alla luce, poiché appunto nelle epoche primitive si riscontra questo carattere di
luminosità, di sintesi, di semplicità in contraddizione con le tecniche farraginose
artificiose delle decadenze.
Un’altra lotta si combatte oggi tra la cultura del pubblico e il quadro moderno,
che ha quasi sempre un’intonazione azzurra e violetta.
Si guarda quest'intonazione come una degenerazione e si rimpiangono come
sempre le pastosità dorate dei nostri antichi, il prezioso calore dei loro bruni, la
sapiente macerazione dei loro verdi, la cupa intensità dei loro carmini... Come
sempre la cultura, l'atavismo, il ricordo, quindi il Museo si sovrappongono alla
pura percezione spirituale del mondo che si è in noi sviluppata, trasformata con
la conquista dell'atmosfera. È dunque questa sensibilità atmosferica che
caratterizza la pittura moderna, che spinge all'azzurro, al violetto, ai quali non
erano pervenute le retine degli antichi come non avevano conquistato l'elettricità
che pure, nessuno dubita, esisteva ai loro tempi. Il pubblico si lagna delle
violenze dei colori, delle dissonanze, delle enarmonie e non pensa che il nostro
occhio e i suoi godimenti sono ancora oggi rozzi e barbari in confronto ai futuri
ai quali il quadro con la sua infantile immobile materialità non basterà più,
quando i colori sempre più moltiplicati esprimeranno i sentimenti in sé all'infuori
del controllo delle forme.
Nessun artista che sia veramente tale dubiterà che la propria tecnica non sia
emanazione del proprio spirito, e nel divisionismo troviamo che il nostro tempo
trova la sua spirituale espressione.
Infatti il punteggio, le piccole pennellate, le striature che fanno orrore ai
partigiani delle facilità superficiali danno indiscutibilmente alla pittura una
maggior forza espressiva e comunicativa in quanto ogni segno anche minimo
reca in sé l’impronta dell’individuo. E in questo noi siamo di conseguenza dei
veristi superiori poiché imitiamo intuitivamente il procedere dei raggi luminosi
quando investono i corpi colorandoli. E questo è per noi il solo modo di
concepire l'imitazione della natura.
Col divisionismo noi disprezziamo gli artifici volgari che consistono nel
profittare delle accidentalità del piano d'appoggio della grana della tela o delle
bizzarrie dei liquidi, delle vernici, delle velature e delle patine, tutti mezzi
artificiosi che danno sempre effetti volgari e superficiali e che come dissi
caratterizzano le pitture di decadenza.
È logico che coloro che profittano di tali mezzi rinunciano continuamente a
quella bella aspirazione personale volitiva che ci obbliga a legare quasi
matematicamente un punto minimo del quadro, un qualsiasi colpo di pennello
apparentemente trascurabile con la sintesi globale del quadro.
È assurdo confondere la grande visione interiore del vero artista con la così detta
tecnica larga, puramente esteriore e disprezzabile, perché basata sull'acrobatica
facilità di coloro che si vantano di saper fare un quadro con venti pennellate. Mi
sembra inutile dimostrare per esempio che Segantini pur lisciando e
punteggiando ha una tecnica immensamente più ampia e profonda della ben nota
tecnica larga dello Zorn.
Così il divisionismo come la polifonia in musica, come una strofa orchestrata di
versi liberi in poesia rappresenta uno sforzo di maggiore intensità e complessità
artistica una veemente aspirazione a quella che noi chiamiamo unità sinfonica e
policromatica del quadro diventato sempre più sintesi universale.

Ci hanno accusati, a torto, di non essere che dei nuovi impressionisti. Questo è
un punto che mi preme chiarire per stabilire nettamente la differenza, l'abisso che
corre tra noi e gl'impressionisti francesi e i nuovi post-impressionisti che
attraverso Cézanne Van Gogh Gauguin e Denis fanno capo a Matisse Picasso e
altri. Questi ultimi che tanto chiasso fecero in Francia e ultimamente in
Inghilterra alla Grafton Gallery sono insieme agli slavi l'anello di congiunzione
tra noi e gli impressionisti.
Infatti se essi han superata la riproduzione accidentale analitica della Natura (e
anche in questo non tutti) se si sfogano con ammirabile audacia di evitare
l'episodio particolare che era proprio degl'impressionisti e hanno sentito il
bisogno della sintesi e la necessità dello stile del quale grandi individualità
dell'Impressionismo non avevano lasciato traccia questa ricerca di stile li mostra
desiderosi di scuola di una tradizione, li fa adoratori dei grandi maestri perché
credono di bere con essi alle grandi fonti dell'arte. Tutto ciò li riconduce ad un
primitivismo arcaico che ostenta una barbara inesperienza, una goffa immobilità,
un disprezzo assoluto per le fusioni sinfoniche, tutto a beneficio delle ormai
stucchevoli tinte piatte e dei contorni. Hanno sentito, è vero, la grande verità di
Manet, che solo tornando primitivo l'artista diviene grande ed originale, ma ne
hanno tratte conclusioni opposte... Hanno compreso che la pittura aspira
all'apogeo della grande decorazione, hanno compreso che il disegno dei fanciulli,
degli analfabeti, dei pazzi è infinitamente superiore a tutte le magniloquenze
delle pitture ufficiali d'oggi e del passato, ma nell'ansia, certo sincera, di
costruire hanno imitato i primitivi giotteschi e pregiotteschi, i disegni dell'uomo
delle caverne e dei selvaggi, tutto ciò insomma che v'è al mondo di più ingenuo e
di rudimentale.
Non hanno pensato che ogni epoca ha i suoi primitivi, che se noi vogliamo
partire in guerra contro la barbarie superiore della cultura dobbiamo contrapporle
il primitivismo superiore di una intuizione moderna. Perché ci sembreranno
barbare e primitive tra cinquant'anni le nostre nere, sudice, rumorose, lente,
imperfette locomotive, è certo che esse in confronto alla diligenza, al cavallo o al
nulla di cinquecento anni or so rappresentano una notevole superiorità di
sviluppo e complessità d’aspirazioni.
Il primitivismo dei post-impressionisti si rispecchia nel passato con il suo amore
al nudo grossolanamente espresso, con le sue nature morte, immobili e inutili,
con i suoi soggetti mistico-cattolici, con le sue volutamente ingenue forme
ieratiche mummificate. Noi invece che ci sentiamo primitivi d'una nuova epoca
ci conformiamo a questo appunto nella deliberata scelta dei soggetti e
nell'evitare assolutamente di ripetere quelli già sfruttati.
Noi per esempio ci allontaniamo dalla campagna alla quale pochi ricordi
nostalgici ormai vinti ci legano e cerchiamo i simboli della città e della vita
scioccamente chiamata artificiale.
La vita notturna, con le sue donne e i suoi uomini meravigliosamente lanciati
all'oblio della vita; l'ansare degli opifici che producono incessantemente la
ricchezza per i forti; i paesaggi geometrici delle città smaltati di pietre, di
specchi, di luci; tutto ciò crea intorno a noi un'atmosfera inesplorata che ci
affascina e nella quale ci lanciamo alla conquista del futuro! Insomma un'arte
con la quale noi diamo importanza a tutto ciò che dimenticando il passato e il
presente diviene aspirazione al futuro. Solo il divenire ha valore per noi! Se ci
allontaniamo dai post-impressionisti ci allontaniamo a maggior ragione dagli
impressionisti francesi, appunto perché figli della nostra epoca li abbiamo
superati per naturale evoluzione.
Gl'impressionisti, che io ho chiamato temperamenti scientifici, sono stati i veri
iniziatori del distacco dal passato. Dopo il loro apparire una nuova luce colorò il
mondo. Essi lo ricrearono e lavorarono tutta la loro esistenza alla scoperta di
elementi nuovi che la nostra epoca ha fatto suoi perché su essi come su
fondamenta nuove venga innalzato il luminoso edificio dell'Estetica futura.
Essi furono costretti a tentare, a sperimentare nelle loro opere le visioni nuove
che strappavano al mondo. Era logico che questi esperimenti per quanto avessero
il carattere alato d'un canto, rimanessero sempre ad uno stato parziale, oggettivo
e quasi impassibile quali la ricerca dei mezzi e la natura del metodo
completamente sperimentale dovevano loro imporre. La riproduzione del vero
non era un mezzo che servisse come d’ossatura ad una lirica visione interiore,
ma era lo scopo in sé, era il quadro stesso, nel quale confluivano mille tesori di
amorosa osservazione, lasciava però sempre l'impressione di un relativo che
poteva continuare a seconda della resistenza fisica dell'artista.
Con loro però le pietre, le pinete, gli animali cominciano a cambiar forma,
dimensioni, colore. Per quanto timidamente le loro figure, i loro oggetti sono già
il nucleo di una vibrazione atmosferica; la pura realtà porta nel quadro linee e
forme fino allora trascurate, forse mai viste; l'intonazione, per l'abolizione dei
neri e l'uso dei complementari e del violetto, cambia completamente. Per evitare
la costruzione convenzionale ed accademica del quadro esiliarono
completamente dalla pittura i soggetti e le composizioni d'ordine storico o
letterario o fantastico, tutte insomma le manifestazioni impreziose della
soggettività. Con loro sembra che l'artista, questo essere meraviglioso, distrugga
sé stesso per confondersi e identificarsi con la natura e rimanere per portare con
sé la rivelazione di nuovi misteri, ma la voluttà di questo sacrificio li portò
fatalmente alla mancanza quasi assoluta di stile.
Tentarono è vero di cantare i nuovi aspetti della vita contemporanea, ma
preoccupati della ricerca di nuovi mezzi il loro canto si fermò alla superficie.
Accumularono dettagli su dettagli, senza che il loro quadro avesse una sua legge
per disciplinarli; scambiarono l'apparenza per la realtà, invece di vedere la luce
come idea assoluta la... sottoposero alla relatività dell'ora e del momento che
fugge. Preoccupati di afferrare il tono nella sua immediatezza sottostarono a tutte
le accidentalità di tempo e di luogo e riproducendo scene rapide e frammentarie
ridussero fatalmente le loro grandi innovazioni al puro campo formale.
L'emozione che scaturisce dalle loro opere è un'emozione circoscritta, relativa,
che sottostà all'esperienza dello spettatore e l'esecuzione forma gran parte del
loro valore. Riprodussero insomma quasi senza preferenza ciò che passava sotto
il loro occhio limpido e sereno come quello della scienza e le loro opere
religiosamente pesate e controllate non ebbero quel grido, quello spasimo, quella
passione che incendiano i colori, violentano le forme! Quella passione per la
quale l'opera ipnotizza, afferra, avvolge e trascina all'infinito!

Il nostro impressionismo invece è assolutamente spirituale, poiché più che


l'impressione ottica e analitica, vuol dare l'impressione psichica e sintetica della
cosa. In noi non avviene lo sdoppiamento che dissangua quasi tutti i quadri che
si presentano al pubblico. In noi non v'è prima l'impressione poi l'esecuzione,
che sottostà alla cultura, ai mezzi a tutti i casi accidentali della vita che ci
circonda, ma è l'impressione stessa tradotta sulla tela astraendo dai dettagli di
verisimiglianza, che se appagano qualche volta il lato mestiere della pittura
vanno però sempre a detrimento dello scopo finale dell'arte: l'emozione. Noi
vogliamo raggiungere e raggiungiamo l'eternità dell'impressione cioè in noi
l'impressione non è l'esecuzione arrestata alla riproduzione approssimativa ma è
la sensazione della cosa afferrata e definita nelle sue linee essenziali.
Gl'impressionisti intuirono che per far tabula rasa della cultura che si frappone
fra la visione e l'esecuzione era necessaria l'immediatezza cioè l'unità nella
creazione. Ma portandosi davanti al vero dettero impressioni esteriori e
frammentarie più che interiori e definitive.
I critici miopi si meravigliano che noi andiamo predicando in Italia dei principi
in parte già noti in altri paesi. Molti nostri atteggiamenti è vero sarebbero quasi
inutili in Francia in Germania in Scandinavia in America, ma si convincano essi
che in Italia non si è ancora avuta una pittura veramente moderna fatta eccezione
per Segantini, Pelizza, Previati trascurati, se non ignorati completamente dal
gran pubblico italiano. Si convincano essi che da Tiepolo in poi, fatte le stesse
eccezioni unite a qualche artista del gruppo che fu chiamato dei Macchiaioli non
si è avuto un quadro che valesse il più mediocre abbozzo di qualsiasi degli artisti
che fiorirono in Francia da Manet a Gauguin, da Puvis de Chavanne a Maurice
Denis. E ho detto Segantini Pelizza e Previati considerandoli noi gli ultimi
grandi del tempo ormai morto. Anzi se la critica dovesse ancor più penetrare io
dovrei dire che se Segantini è giunto ad essere così universalmente ammirato,
specialmente all'estero, ciò lo si deve alla sua stretta parentela con Millet, al suo
indietreggiare nell'esprimersi, al suo innesto col passato per farsi comprendere,
alla sua concezione del quadro alquanto panoramica e tradizionale negli elementi
che lo costituiscono.
Previati invece è il primo veramente che tenti esprimere per mezzo della luce in
sé una emozione nuova all'infuori della convenzionale riproduzione delle forme
e dei colori. Egli taglia alcuni degli innumerevoli legami che ci avvincono al
passato e anche al futuro. Con lui le forme cominciano a parlare come musica, i
corpi aspirano a farsi atmosfera, spirito e il soggetto è già pronto a trasformarsi
in stato d'animo.
E con le forme musicali, con i volumi spirituali e con il soggetto, stato d'animo
sono arrivato al nucleo centrale della pittura futurista.
Premetterò che noi pensiamo che il vero artista moderno non può che dipingere
l'invisibile vestendolo delle luci e delle ombre che emanano dalla sua stessa
anima. Se il provincialismo, il mediocrismo, il misoneismo non fossero i soli
motori dei nostri avversari essi comprenderebbero tutte le trasfigurazioni che la
luce porta sui corpi, tutta la immaterialità che le cose e gli animali subiscono per
le vibrazioni luci colorate comprenderebbero il significato simbolico della nostra
famosa frase relativa ai divani che entrano in noi e alle gambe dei cavalli che si
moltiplicano. Il solito pubblico che crede occuparsi d'arte applica a nostro
riguardo la sua vecchia concezione panoramica e prospettica del quadro non
pensa e non comprende che nella vita moderna nulla è contemplato a lungo
come nel passato; non comprende che il sole si è sminuzzato nelle luci
incandescenti dei globi elettrici e nel luccichio degli acciai, che per le condizioni
di velocità nelle quali viviamo la fuga continua che gli oggetti fanno intorno a
noi li ha resi fluidi prolungantisi all'infinito, non esistenti più che come
apparenze luminose, che la fusione radiosa dell'ambiente con le figure dà al
quadro moderno un valore musicale finora mai raggiunto.
In un'epoca in cui vanno scomparendo le distanze, le altezze, le profondità, il
volume e l'opacità dei corpi non possono essere che vecchie menzogne. Chi dice
che noi percepiamo con cinque sensi ripete una vecchia fiaba: i nostri sensi si
sono moltiplicati come i nostri pori, si sono compenetrati l'un l'altro in modo che
colui che parla di pittura, musica, poesia, architettura come di cose disgiunte è
un rancido ripetitore di vecchie e gelide formule scolastiche. Noi futuristi
abbiamo superato tutto ciò e già intuiamo i millenni futuri.
Oggi in cui si accorciano e si intensificano le esistenze e la mobilità e la velocità
si sono sostituite alla statica così che il presente non esiste che come transizione
al futuro quello che noi abbiamo chiamato dinamismo pittorico è una delle più
geniali intuizioni artistiche del nostro tempo. Noi vogliamo che le forze si
spandano nell'ambiente sovrapponendosi e dilagando l'una su l'altra, come
vibrazioni prese nel vortice delle vibrazioni che concorrono all'intensità di luce
generale del quadro.
Riguardo al dinamismo, ad esempio, noi diciamo che finora fu dato un momento
del gesto o tutt'al più una sintesi del gesto che equivaleva al gesto dei gesti. Noi
daremo invece la volontà che determina il movimento, la sensazione del gesto,
cioè il gesto nel suo estrinsecarsi. E citando un esempio di un altro pittore
futurista, il mio caro e grande amico Carlo Carrà io vi dirò che nel dipingere ad
esempio un uomo che corre velocissimo in bicicletta noi ci sforzeremo di
riprodurre l'istinto di slancio che determina l'atto, non lo slancio fisico apparente
del corridore. Non ci preoccupa il fatto che la testa del corridore possa battere
sul profilo della ruota o il corpo allungarsi indietro perdendosi in vibrazioni
all'infinità con un errore apparente di ottica, poiché è la sensazione della corsa
non il corridore che noi vogliamo rendere. Insomma è la nostra ipersensibilità
futurista che ci guida che ci fa già possedere quel sesto senso che la scienza si
sforza invano di catalogare e definire. Esso è in noi già formato. Per noi tutti i
valori sono scomparsi tutte le leggi superate, tutti i vincoli infranti.
L'individualità dell'artista è finalmente libera e vive nell’eterno assoluto.

Quello che finora ho detto si limitava a spiegare alcune delle idee sulle forme e
sui colori apparse nel Manifesto tecnico della Pittura Futurista. Non ho ancora
spiegato quella che noi crediamo veramente per pittura futurista: cioè come
crediamo che appaiano alla vera anima futurista le finalità delle forme e dei
colori nel loro ultimo scopo.
Fino ad oggi per esprimere qualsiasi idea di tristezza il pittore ricorse sempre
alla riproduzione della scena, del luogo o della cosa che l'avevano suscitata. Lo
sviluppo di questa concezione si è manifestato nello spazio prima in modo
oggettivo con la copia d'un determinato viso triste cioè la tristezza non ancora
concepita in sé ma solo là dove si manifesta sensibilmente; in modo soggettivo
invece con la sintesi in un simbolo di diversi elementi o attributi di tristezza, cioè
l'artista s'incammina verso la libera concezione soggettiva. Ma anche in
quest’ultima forma superiore era sempre riproduzione formale della figura
umana che veniva adoperata come ad esempio nella Malinconia di Dürer o la
figura del profeta Geremia di Michelangelo. Nel tempo poi il modo oggettivo si
evolse universalizzandosi, cioè l'artista allargando la sua comprensione s'accorse
che oltre alla tristezza sua v'era la tristezza delle cose, delle piante, dell'atmosfera
e nacque il paesaggio con tutte le sue derivazioni. Questo progresso però verso la
liberazione dal determinato, che è il progresso dei nostri giorni, rimane pur
sempre un'espressione oggettiva che sarà superata. Come potrà il mondo
esteriore presente e futuro assurgere attraverso la nostra pittura ad una
espressione universale soggettiva?
Occorre che la sensazione suggerisca al pittore degli stati di colore, degli stati di
forma, in modo che le forme e i colori esprimano in sé, senza ricorrere alla
rappresentazione formale degli oggetti. Occorre che questi oggetti dettino
attraverso l'emozione il ritmo di segni e di gamme astratte che saranno la nuova
forma e il nuovo colore e parleranno all'occhio come la musica all'udito.
Quale sarà la pittura futurista che intuisce e si propone tutto ciò? Cosa faremo
sul quadro, noi per i quali i corpi non sono che atmosfera condensata? I minerali,
le piante gli animali d'identica natura? Quale sarà la nostra plastica se
consideriamo puerile il riprodurre la qualità della materia e vogliamo dare la
massima spiritualità con la massima pittura cioè sensazione visiva?
Sola sarà futurista quella pittura i cui colori rappresentino e comunichino un
sentimento ricorrendo il meno possibile alle forme concrete che lo hanno
suscitato. Se i Greci e Michelangelo hanno dato il tipo del concreto, dell'umano,
noi daremo la sensazione come tipo dello spirito.
Se è stato detto da Watts che egli dipingeva le idee, il che poi si riduceva a dar
forme e colori tradizionali a visioni puramente letterarie e filosofiche, noi
rispondiamo che dipingiamo la sensazione volendo rimanere di conseguenza nel
campo esclusivo della pittura. Infatti dipingendo la sensazione noi formiamo
l'idea prima che si localizzi in un senso e si determini o come musica, poesia,
pittura, architettura ma risaliamo fino alla sensazione prima universale, che il
nostro spirito futurista già percepisce, come ho detto, per il moltiplicarsi e
compenetrarsi di tutti i sensi in uno universale che ci fa ritornare attraverso la
nostra millenaria complessità alla semplicità primordiale!
Noi siamo realmente sul promontorio estremo dei secoli! Arrivata a questo punto
la mente dell'artista è portata fatalmente alla negazione del passato! E tanto più
sarà recisa questa negazione quanto più sarà stata profonda la schiavitù del suo
amore per lui. Infatti non essendovi perfetta comprensione senza identità, solo
potrà negare Michelangelo il sublime ignorante futuro o colui che vi si ribella
per averlo troppo adorato! È infatti doloroso distaccarsi e negare questo genio
che fu nel passato il più grande astratto che si esprimesse per mezzo del
concreto!
In lui la scienza anatomica è trasformata in musica. In lui il corpo umano è
materiale architettonico per la costruzione del sogno. I corpi vengono mossi al di
là del loro perché logico e le linee melodiche dei muscoli s'inseguono con leggi
musicali non con leggi di logica rappresentativa!
Bisogna sorpassare tutto ciò! Noi abbiamo superato il primo stadio infantile
quando all'artista appare il fatto individuale, accidentale che il suo occhio aveva
veduto cioè sperimentato e l'opera d'arte appare come episodio particolare. Noi
abbiamo superato il secondo stadio in cui l'artista si eleva e pur rimanendo
centro della sua visione ha allargata la sua comprensione ad altre cose ad altri
esseri e l'opera d’arte appare come episodio universale. Noi entriamo nel terzo
stadio, nell'era futurista nella quale una nuova e sconfinata concezione governa il
mondo. In questo stadio superiore l’artista scompare non già per umiltà o terrore,
ma perché il suo spirito s'identifica con quello del mondo per mostrarsi in un
tutto attraverso pure forme e puri colori che indicano i diversi stati d'animo
divenuti respiro dell'anima universale. Ecco perché la nostra arte non darà mai
l'uomo che ama, o l'amore del mondo, ma darà l’amore, non già esternato fuori
di noi come idea astratta, ma in noi e per noi attraverso la sensazione. Il nostro
che si potrebbe chiamare un trascendentalismo fisico nasce adunque dalla
contemplazione della Natura attraverso un'emozione completamente moderna
che sembra fantasia ed è una nuova realtà!
Quindi se i corpi suscitano stati d'animo attraverso vibrazioni di forme son
queste che noi disegneremo. Per ciò la velocità sarà qualche cosa dell'oggetto
che corre e per il quale noi la percepiamo: noi disegneremo e dipingeremo la
velocità dando le linee astratte che l'oggetto in corsa ci ha suscitato. Ogni
controllo col mondo esteriore deve finire nella creazione. I colori non devono
corrispondere con gli oggetti poiché questi non sono mai colorati. È questo
verismo superiore che ha generato questa verità: se gli oggetti appaiono colorati
più o meno secondo l'emozione che li investe, perché non dipingere la
sensazione che suscitano queste variazioni? La stessa cosa si può dire per le
forme: se un oggetto non ha mai una forma fissa, ma varia a seconda
dell'emozione che lo contempla perché non si dovrebbe disegnare invece
dell'oggetto il ritmo che quel variare di dimensioni suscita in noi?
V'è uno spazio di vibrazioni tra il corpo fisico e l'invisibile che determina la
natura della sua azione e che detterà la sensazione artistica. Insomma se intorno
a noi vagano spiriti e vengono osservati e studiati; se dai nostri corpi emanano
fluidi di potenza, di antipatia, di amore; se le morti sono prevedute a distanza di
centinaia di chilometri; se i presentimenti ci rapiscono di gioia o ci annientano di
tristezza; se tutto questo impalpabile, questo invisibile, questo inudibile diviene
sempre più oggetto di indagine e di osservazione è perché in noi qualche senso
meraviglioso va destandosi alla luce della nostra coscienza. La sensazione è la
veste materiale dello spirito ed appare ormai ai nostri occhi veggenti. E con
questo l'artista si sente nel tutto. Egli creando non guarda, non osserva, non
misura; egli sente e le sensazioni che lo avvolgono gli dettano le linee e i colori
che susciteranno le emozioni che lo hanno fatto agire...
Dinamismo in pittura. Ed è a questa sterile e ripugnante cultura che noi
gridiamo: BASTA!

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