Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Pozzato e
Lucio Spaziante
Andrea Valle
A partire dagli anni '90 diventa computazionalmente possibile generare un segnale audio in tempo
reale attraverso una dotazione hardware che coincide con quella dell'home computing. Si assiste
perciò ad un pervasivo utilizzo dal vivo del calcolatore da parte di performers/artisti, di area
sperimentale ma anche pop/dance, e al di fuori di contesti, appunto più istituzionalizzati, quali
tradizionalmente i concerti di musica elettronica. È il laptop in particolare che si impone come
nuovo oggetto di scena, e la sua natura di oggetto unitario e conchiuso ne sottolinea
immediatamente la parentela con lo strumento tradizionale. Dunque, “suonare un computer/con un
computer”: lo “strumento” in questione ha tuttavia uno statuto peculiare, che sarà al centro delle
prossime pagine. Per indagarne le modalità d'uso, vale la pena di iniziare da una fenomenologia a
lato enunciationis. Come si vedrà, il problema è insieme testuale e prasseologico. Riguarda cioè
specifiche forme di testualità, oggetti che offrono superfici di iscrizione per i testi, a loro volta attori
di specifiche situazioni semiotiche (Fontanille, 2004b: 6). Ne emerge una irriducibilità della
dimensione prassica a quella testuale (Basso, 2006) che, senza individuare una opposizione,
richiede di affiancare ad una teoria testuale dell'enunciazione una teoria prasseologica. Una simile
teoria può riconoscere -attraverso i modi di produzione segnica (Eco, 1975; cfr. Valle, 2006)- un
ruolo centrale alla corporalità (Fontanille, 2004a).
2. Instrumentarium e mappatura
Nella discussione precedente l'attenzione è stata rivolta alle pratiche di utilizzo di calcolatori
(tipicamente un laptop) nella performance musical dal vivo (e non solo). Si è avuto modo così di
introdurre surrettiziamente un insieme di termini e di questioni che ne soggiacciono senza proporne
una definizione esplicita. Vale la pena allora di ritorna sulla questione dello “strumento” e
dell'“interfaccia”.
Come nota Sergi Jordà:
In most acoustic instruments (apart from organs and other keyboard instruments) the separation between the
input and the excitation subsystem is unclear. Digital musical instruments, on the other hands, can always be
divided into a gestural controller or input devices that takes control infomation from the performer(s) and a
sound generator that plays the role of the excitation source (Jordà, 2002: 24)
È questa distinzione ad istituire un problema peculiare nel dominio digitale: quello del “mapping”,
cioè della funzione di trasferimento tra dimensioni dell'interfaccia e parametri del generatore di
suono (cfr. Wessel e Wright, 2002). A rischio di semplificare, è possibile identificare un percorso
tripartito rispetto alla relazione tra interfaccia di controllo e generatore del suono,
La composizione tradizionale cone sonificazione di gesti: l'espressione non soltanto sottolinea una
prospettiva verso la notazione di tipo istruzionale (descrizione di comandi per gli esecutori), ma
introduce esplicitamente il problema della mappatura del gesto, e cioè della separazione tra
interfaccia in entrata e generatore in uscita.
D'altra parte nelle classificazioni organologiche, ed in primo luogo nell'unica in qualche misura
universale -pur con i suoi limiti acclarati-, quella di Hornbostel e Sachs (1961), è un assunto di
partenza la solidarietà tra interfaccia e generatore. Non a caso, la quinta classe oltra a idiofoni,
membranofoni, cordofoni e aerofoni -quella degli elettrofoni- aggiunta da Galpin e recepita dallo
stesso Sachs nella sua Storia degli strumenti musicali (Sachs, 1940), continua ad essere molto
problematica. Bakan e i suoi accociati ritengono inutile postulare una categoria degli elettrofoni ed
estendono in profondità le altre quattro classi. Così, lo “scratch turntable” è classificato in maniera
convincente come “electric scraped idiophone” (cit. In Kartomi, 2001: 292). Ma, anche nel loro
tentativo, resta assai problematico lo statuto di oggetti digitali eccentrici, quali sound processor e
sequencer.
In effetti, si registra con questi ultimi esempi, un salto di livello: la programmabilità altera
radicalmente il paesaggio. Uno strumento è definibile come un corpo sonoro di cui è ricostruibile
-in forma variabile- un comportamento a partire dall'oggetto sonoro prodotto. Questa ricostruibilità
è variabile ma in qualche modo discende da un tratto fondamentale: lo strumento non è una
macchina. Fontanille, seguendo Coquet, ha potuto identificare una tipologia attanziale basata sul
numero e la composizione modale. Prima dei “soggetti” pieni, almeno trimodalizzati, si definisce
una gerarchia di “non-soggetti”: soggetti a dotazione modale ridotta, amodali, monomodali,
bimodali. In particolare, la presenza del solo potere individuerebbe un soggetto M 1 che si presenta
come un “autome”, in funzione di una sorta di purà capacità, di disponibilità all’azione che deve
essere innescata: “efficacement programmé pour une seule tache”, questi “dépend en cela
obligatoirement d’autres actants, mieux pourvus en modalités” (Fontanille 1998: 173). D’altra
parte, con “esclave”, Fontanille descrive un attante M 2 inteso come “actant sous controle (ou sous
influence”) che associ al puro potere dell’automa la modalità del dovere (Fontanille 1998: 173):
appunto quella innescabilità che manca all’automa M 1. Si può allora pensare allo strumento
acustico come ad un “automa” nell'accezione fontanilliana, cioè a “non-soggetto” dotato di una
potenzialità che richiede l'intervento di altri attanti. È il tema dell'inerzia dello strumento che
attende di essere suonato, ma che pure guadagna statuto specifico (si pensi alla denominazione
identitaria di ogni Stradivari). Ma la programmabilità trasforma il carico modale. Per prendere un
esempio estremo ma proprio per questo rilevante: cosa dire di un frammento di codice in linguaggio
di programmazione che genera musica per un tempo indefinito, recuperando informazione
dall'ambiente circostante e confrontandola con quella immagazzinata in precedenza? L'oggetto
acquisisce oltre ad un poter fare, un saper fare che non è solo impiegato nell'azione (è chiaro che lo
strumento, come ogni tecnologia, implicita un sapere) ma che la dirige, ed è funzione di una
memoria dell'interazione. Acquisisce anche una dimensione deontica variabile: perché la risposta
che gli è chiesta è vincolante nel senso del funzionamento tecnologico, ma può apparire come
fenomenologicamente contrattata, secondo margini variabili. Ad esempio, l'utilizzo di variazioni
pseudo-casuali è una tecnica tipica per ovviare al determinismo del calcolatore. Ne risulta un
comportamento del sistema soltanto approssimativamente regolare, che apre ad una ricostruzione
indiziaria dell'intenzionalità implicita. Tra lo strumento e il codice generativo emerge allora un
continuum di forme di soggettività variabile, più o meno profonda, di cui varrebbe la pena di
effettuare una fenomenologia.
Allo stesso tempo, nell'interazione con il calcolatore si ridefinisce il ruolo del musicista. Qualsiasi
sequencer -per quanto gestito dal vivo e pure con una gestualità esacerbata- sposta la prospettiva
verso quella del cibernauta: il kybernete è etimologicamente il pilota che conduce la nave in mare.
Guarda lontano all'orizzonte e muove il timone stabilendo una direzione. Non è il vogatore che
stringe il remo, remo che resta altrimenti inerte 1. Per restare alle figure del trasporto, così ricorda
Salvatore Martirano a proposito della SalMar Construction, uno dei primi sistemi analogico-digitali
interattivi:
Control was an illusion. But I was in the loop. I was trading swaps with the logic. I enabled paths. Or better, I
steered. It was like driving a bus (cit. in Chadabe, 1996: 291)
Non a caso, c'è un problema tipico nella pratica della laptop performance: come ci si mette sul
palco? Come reémbrayare sul corpo secondo il modello strumentale che pare inescludibile nel
contesto del concerto? Non è infatti possibile rinuciare del tutto alla strumentalità e all'esibizione di
un qualche forma di corporalità, pena la dismissione del genere concerto. Come nota Chadabe
(1996), questo vincolo tra il corpo sonoro e l'oggetto sonoro non può essere del tutto rimosso: “the
performer needs to be sure that the connection between a performance gesture and its musical
effects will be evident to the audience” (216). Così, il live coding, che pure propone un'accettazione
insieme ascetica ed esibizionistica del macchinale ed una cognitivizzazione estrema del corpo, alla
fine però ostende e ostenta (si pensi allo schermo e alla sua relazione con il suono) quel corpo
stesso, proprio attraverso la rappresentazione del corpo che il computer implicita (in quanto occhio
che legge e dito che scrive) 2. Macchinalità che non può rinunciare del tutto alla strumentalità.
Riferimenti bibliografici
Basso, P. (2006), Testo, pratiche e teoria della società, in «Semiotiche», 4, pp. 209-238.
Barras, S. (1997), Auditory Information Design, Tesi di Dottorato, The Australian National University, Sydney.
Chadabe, J. (1996), Electric sounds. The Past and Promise of Electronic Music, Prentice Hall, Upple Saddle River
(NJ).
Collins, N., McLean, A., Rohrhuber, J., and Ward, A. (2003), Live coding techniques for laptop performance.
«Organised Sound», 8, 3, pp. 321-330.
Delle Monache et al. (2008), Sonically Augmented Found Objects in «Proceedings of the 2008 Conference on New
Interfaces for Musical Expression (NIME08)», Genova, pp. 154-157.
Fontanille, J. (2004a), Figure del corpo. Per una semiotica dell'impronta, Meltemi, Roma.
Fontanille, J. (2004b), Textes, objets, situations et formes de vie. Les niveaux de pertinence
de la sémiotique des cultures in «E|C. Rivista dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici
1 Nota Chadabe: “When an instrument is configured or built to play one composition, however the details of that
composition might change from performance to performance, and when that music is interactively composed while
it is being performed, distinctions fade between instrument and music, composer and performer. The instrument is
the music. The composer is the performer” (1996: 291). Si noti lo spettro semantico fuzzy di “instrument”.
2 Eseguire un programma dal vivo nella forma di una semplice procedura d'avvio dell'esecuzione dello stesso non ha
alcun senso: anche se presenta variazioni pseudo-casuali tanto varrebbe registrarlo un'ora prima della performance
ed eseguirlo secondo la prassi della musica elettroacustica, evitando il rischio, comunque presente, di un problema
del sistema. Non a caso nei concerti di musica elettroacustica, dove la componente sonora è completamente
realizzata prima del concerto, viene tipicamente ricavato uno spazio performativo: quelllo del controllo in tempo
reale della spazializzazione, dallo statuto in qualche modo residuo.
on-line». http://www.associazionesemiotica.it/ec/pdf/fontanille_28_5_04.pdf (visitato il 29 aprile 2009).
Ghazala, R. (2005), Circuit-Bending. Build your own alien instruments, Wiley, Indianapolis.
Goodman, N. (1968), Languages of Art, The Bobbs-Merrill Inc., Indianapolis and New York; trad. it di F. Brioschi
(1976), I linguaggi dell'arte, Il Saggiatore, Milano.
Hermann, T. (2002), Sonification for Exploratory Data Analysis, Tesi di Dottorato, Universität Bielefeld, Bielefeld.
Hornbostel, E.M. and Sachs, C. (1961), Classification of Musical Instruments: Translated from the Original German by
Anthony Baines and Klaus P. Wachsmann in «The Galpin Society Journal», 14, pp. 3-29.
Jordà, S. (2002), FMOL. Toward User-Friendly, Sophisticated New Musical Instruments, in «Computer Music Journal»,
26:3, pp. 23-39.
Kartomi, M. (2001), The Classification of Musical Instruments: Changing Trends in Research from the Late Nineteenth
Century, with Special Reference to the 1990s in «Ethnomusicology», 45, 2, pp. 283-314.
Nilson, Clock (2007), Live Coding Practice in «Proceedings of the 2007 Conference on New Interfaces for Musical
Expression (NIME07)», New York, pp. 112-117.
Robson, D. (2002), PLAY!: Sound Toys for Non-Musicians, in «Computer Music Journal», 26:3, pp. 50-61.
Sachs, C. (1940), The History of Musical Instruments, Norton, New York; trad. it di M. Papini (1980), Storia degli
strumenti musicali, Mondadori, Milano.
Schaeffner, A. (1968), Origine des instrumentes de musique, Mouton and Maison de Science de l'Homme, Paris; trad. it
di D. Carpitella (1978), Origine degli strumenti musicali, Sellerio, Palermo.
Valle, A. (2007), Cortocircuiti: modi di produzione segnica e teoria dell’enunciazione, in Paolucci (2007), pp. 349-
424.
Wessel, D. e Wright (2002), M, Problems and Prospects for Intimate Musical Control of Computers in «Computer
Music Journal», 26:3, pp. 11-22.