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Al di là della psicanalisi

Premessa

i concetti di psicologia dinamica e di psicanalisi

L'espressione psicologia dinamica nacque grazie al fondatore della psicanalisi Sigmund Freud. Sia la locuzione
“psicologia dinamica” che la parola “psicoanalisi” vennero coniati nel contesto della cultura positivista della fine
dell'Ottocento, la cultura alla quale Freud apparteneva. Il positivismo è una filosofia che riteneva possibile per la
scienza fornire all'umanità a tutte le risposte di cui avesse bisogno per comprendere la propria origine, la propria
natura, i propri scopi.

In tale temperie culturale nacque il circolo fiscalistico di Berlino, un gruppo di scienziati, tutti allievi del grande
fisiologo Hermann Helmholtz, convinti che ogni aspetto del funzionamento dell'essere umano potesse essere
compreso in termini biologici. Tanto la “psicologia dinamica” quanto la “psicanalisi” nascono da metafore scientiste.
L'analisi è un procedimento chimico attraverso il quale un composto viene sciolto negli elementi che lo compongono.
Allo stesso modo, secondo Freud, lo psicoanalista sarà in grado di comprendere le origini di una patologia nelle sue
componenti originarie, al fine di procedere con la psico- terapia.

La dinamica è la parte della fisica che si occupa di determinare quale sarà il risultato dell'interazione di forze agenti in
diversa direzione. Allo stesso modo, secondo Freud, si può considerare la condotta umana come risultante di un gioco
di forze psichiche. “psicologia dinamica” e “psicoanalisi”, nate in pratica come sinonimi sono state a lungo utilizzate
come tali. Da una parte si continua a utilizzare il termine psicoanalisi per identificare quell'insieme di teorie di pratiche
terapeutiche che si richiamano a Sigmund Freud. Dall'altra, si può parlare di “psicologia dinamica”, pur nello stesso
senso originario immaginato da Freud, comprendendo anche:

1) teorie nate nell'alveo della psicanalisi ma rapidamente staccatesi da essa per costituire discipline autonome

2) teorie nate in modo totalmente indipendente dalla psicanalisi, ma che dalla psicanalisi hanno condiviso il campo
d'azione e i diversi presupposti

La storia della psicanalisi dopo Freud potrebbe identificarsi con la storia di come diversi teorici hanno manifestato la
loro insoddisfazione nei confronti almeno di alcuni aspetti delle idee del fondatore. Mentre la storia dei primi decenni
della psicanalisi coincide con l'evoluzione del pensiero di Freud, i decenni successivi hanno visto il proliferare di
modelli differenti.

A partire soprattutto dagli anni cinquanta del novecento si è anche assistito a un proliferare di modelli di psicoterapia
anche del tutto indipendenti dalla psicologia dinamica. Alcuni di questi modelli sono del resto nati nell'alveo della
psicanalisi, per poi diversificarsi completamente dal ceppo psicanalitico.

- “psicoanalisi” modelli che utilizzano la teoria di Freud come punto di partenza necessario e che riconoscono nei scritti
una comune radice.

- “psicologia dinamica” psicologia individuale di Adler, la psicologia analitica di Jung, la medicina psicologica di Janet e
la teoria dell'attaccamento

- “psicologia del profondo” Sottolinea l'importanza dell'inconscio

- “psicoanalisi classica” la teoria come è stata sviluppata da Freud


Capitolo uno breve storia della psicologia dinamica

1. La preistoria della psicologia dinamica e della psicoanalisi

Si può ricondurre l'inizio della storia della psicologia dinamica al periodo in cui si cominciò a utilizzare l'ipnosi a scopo
diagnostico e/o terapeutico in ambiente medico e in relazione a patologie relative alla psiche. Si può considerare come
ipnosi una tecnica applicata da un essere umano (l'ipnotizzatore) su un altro (l'ipnotizzato), volta a focalizzare
l'attenzione di quest'ultimo su specifici contenuti della sua mente in uno stato di semi-coscienza. Attraverso tale
tecnica l'ipnotizzatore è in grado di suggestionare l'ipnotizzato, cioè di indurlo ad atti che nello stato di veglia non
potrebbe o non vorrebbe compiere. Tali atti possono essere di natura fisica o psicologica.

Nel momento in cui Sigmund Freud terminava la propria formazione come neurologo a Vienna due centri erano noti
per la pratica dell'ipnosi: la scuola di Nancy che faceva capo a Hyppolite Bernheim e la scuola di Salpetrière che faceva
capo a Jean Martin Charcot. Secondo Charcot, l'ipnotizzabilità era un sintomo, che caratterizzava unicamente le
persone malate di isteria, considerato una malattia nervosa in grado di creare stati di alterazione mentale e condizioni
inspiegabili dal punto di vista della neurologia (es. Paralisi del guanto).

Si definiva nevrosi ogni patologia che si riteneva riconducibile al funzionamento del sistema nervoso ma non era
spiegabile attraverso una sua lesione specificatamente localizzabile. Bernheim riteneva l'ipnotizzabilità indipendente
dalla condizione patologica e utilizzava l'ipnosi per suggestionare gli ammalati allo scopo di abbandonare i loro
sintomi. Breuer era il medico di una paziente passata alla storia come Anna O., che presentava numerosi sintomi
isterici. Ipnotizzando Anna O. e inducendola a ricordare il passato Breuer scoprì che ognuno di essi sembrava
riconducibile a uno specifico evento traumatico. Tra i sintomi e il trauma sembrava esistere un legame simbolico.

Il ricordo non era emerso se non sotto ipnosi: anche se la coscienza non era in grado di revocarlo, esso non era stato
cancellato dalla mente. Era dunque rimasto in una parte inconscia della psiche, dove era stato relegato attraverso il
meccanismo della rimozione (primo meccanismo di difesa scoperto da Freud). In studi sull'isteria si ha il tentativo di
Freud di codificare il metodo catartico, secondo il quale facendo riemergere i ricordi rimossi era possibile liberare
l'energia psichica necessaria per mantenere in essere la rimozione.

Successivamente Freud si accorse che con il metodo catartico non si potevano ottenere risultati stabili; inoltre non
tutti i suoi pazienti potevano o volevano essere ipnotizzati. Egli sviluppò così il metodo della libera associazione: il
paziente veniva messo nelle condizioni di lasciar fluire liberamente il corso dei suoi pensieri, verbalizzando qualunque
cosa gli venisse in mente. Freud aveva notato che il flusso delle associazioni si interrompeva regolarmente quando il
paziente aveva un pensiero che riteneva imbarazzante, gli sembrava non importante o riguardava l'analista.

Secondo Freud era possibile rendersi conto che il pensiero era riconducibile a un processo mentale inconscio. Il
compito dell'analista era di interpretarlo. L'effetto rivelatorio dell'interpretazione risultava simile a quello della catarsi,
salvo essere apparentemente più stabile. Non solo tutte le forme di nevrosi erano riconducibili a disturbi della sfera
sessuale, ma anche la sessualità costituiva l'unica motivazione di fondo dell'agire umano.

Il motivo per cui un tale assunto non fosse universalmente riconosciuto era legato alla rimozione. Tutti gli impulsi, i
pensieri, i sentimenti inaccettabili venivano eliminati dalla coscienza pur senza essere cancellati dalla mente. L'energia
mentale non era che energia sessuale a cui ogni attività era riconducibile direttamente o indirettamente. Dopo gli
studi sull'isteria Freud elaborò una teoria della nevrosi basata sull'ipotesi della seduzione infantile. Ogni nevrotico
sarebbe stato soggetto a un'iniziazione precoce alla sessualità. Alla seduzione sarebbe seguito un periodo nella quale
la nevrosi sarebbe rimasta latente, per poi manifestarsi apertamente durante la pubertà. Il trauma infantile sarebbe
rimasto rimosso ma avrebbe continuato a condizionare l'esistenza dei nevrotici.

Questa ipotesi venne scartata da Freud, che cominciò a considerare irrealistica una diffusione del fenomeno della
seduzione infantile. Freud immaginò invece che la fonte della nevrosi potesse essere l'impossibilità di superare la
condizione che avrebbe caratterizzato ogni essere umano durante l'infanzia: l'amore per il genitore del sesso opposto
e l'odio nei confronti del genitore del proprio sesso. Freud arrivò a questa conclusione attraverso un processo di
autoanalisi, sottoponendo sé stesso all'esame dei processi mentali al quale sottoponeva i suoi pazienti. Ogni essere
umano, secondo Freud, avrebbe voluto, nell'infanzia, mettere in pratica ciò che l'eroe tragico tipo fece
inconsapevolmente: uccidere il padre e sposare la madre.

Freud stava incominciando a interessarsi al significato dei sogni, che spesso i pazienti raccontavano spontaneamente
durante le sedute analitiche. L'interpretazione dei sogni segna l'inizio della storia della psicoanalisi.

2 l'interpretazione dei sogni e l'articolazione delle teorie psicanalitiche

L'interpretazione dei sogni proponevo una spiegazione del fenomeno onirico e una teoria della struttura della mente
umana. Dal punto di vista di Freud, il sogno è l'appagamento allucinatorio di un desiderio. I desideri appagati nel
sogno sono desideri inconsci inaccettabili alla coscienza del sognatore. Durante il sonno la censura si affievolisce al
punto di lasciarli in parte filtrare. Il risultato costituisce un compromesso tra l'esplicita soddisfazione del desiderio e la
necessità di nasconderne il contenuto anche a se stessi. A ogni sogno corrisponde a un contenuto latente e un
contenuto manifesto.

Una serie di meccanismi psichici detti nel loro complesso lavoro onirico trasforma il primo nel secondo. Il lavoro
onirico comprende innanzitutto: raffigurazione, spostamento, condensazione, simbolizzazione. Attraverso la
raffigurazione, i pensieri del sogno diventano storie con dei personaggi e delle situazioni che il sognatore ha l'illusione
di vivere. Attraverso lo spostamento, il desiderio da appagare, che la ragione fondamentale per cui si sogna, viene
messo in secondo piano rispetto al contenuto generale del sogno. Attraverso la condensazione, più elementi dei
pensieri onirici vengono fusi in un elemento unico. Attraverso la simbolizzazione al posto di alcuni oggetti nel sogno
nei compaiono altri, a essi legati da una qualche affinità formale.

I sogni sono in sintesi considerati come formazioni di compromesso tra i desideri e le tendenze inconsce, da una parte,
e le esigenze coscienti di moralità e accettabilità sociale, espresse dalla censura, dall'altra. Di fatto gli stessi sintomi
nevrotici non sono altro che formazioni di compromesso. La visione della psiche che viene proposta da Freud
nell'interpretazione dei sogni comprende tre aree diverse: l'inconscio, il preconscio, il conscio. La parte conscia della
mente è quella di cui si ha immediata consapevolezza. Il preconscio comprende contenuti che, pur non essendo
consci, possono diventare facilmente tali. Il contenuto dell'inconscio non può essere conosciuto se non indirettamente
ma influenza in modo profondo la vita psichica cosciente.

Freud era pienamente convinto della realtà del determinismo fisico, cioè del principio per cui ogni evento fisico ha la
sua causa. Estese quindi questo principio al proprio campo di studi, formulando il principio del determinismo psichico,
secondo il quale ogni aspetto della nostra condotta è riconducibile a cause precise non sarà mai casuale. Come i sogni
possiedono un significato, così anche i lapsus e i cosiddetti atti mancati sono interpretabili quali formazioni di
compromesso, come Freud tentò di dimostrare nel suo successivo libro psicopatologia della vita quotidiana.

Da una parte i sogni, parte dell'esistenza delle persone più ordinarie, potevano essere ritenuti fenomeni
micropsicotici, alla stregua divisioni e allucinazioni; dall'altra lapsus e mancati si potevano definire micronevrotici,
costituendo i sintomi di contrasti inconsci presenti anch'essi nell'esperienza di chiunque. La prima edizione dei tre
saggi sulla teoria sessuale segno al definitiva messa a punto della teoria delle pulsioni e l'ipotesi della sessualità
infantile. Per “pulsione” Freud diceva di intendere “la rappresentanza psichica di una fonte di stimolo in continuo
flusso”. Il concetto di pulsione era descritto come al confine tra fisico e psichico. La fonte poteva essere individuata di
fatto nell'accumulo di energia entro una zona erogena. La meta della pulsione consisteva nella scarica dell'energia
libidica accumulata. Al fine di ottenere questo risultato, la pulsione aveva bisogno di un oggetto. Il termine di
prescrizione della sessualità adulta, questa concezione implicava che, poiché la meta coincideva con la scarica,
l'identità dell'oggetto diveniva per definizione secondaria.
La teoria della sessualità infantile postulava che la spinta pulsionale caratterizzasse però la vita di ogni essere umano
ben prima che si rendesse possibile una sua espressione adulta. Il bambino poteva provare piacere fin dal suo
affacciarsi alla vita, attraverso zone erogene diverse dalla zona genitale: poteva quindi essere descritto come un essere
perverso- polimorfo. La prima zona erogena era la bocca e il piacere era ricavato dal “succhiare con delizia” e dal
mordere. In seguito, il controllo degli sfinteri avrebbe reso l’ano una zona erogena; infine si sarebbe risvegliato
l'interesse per gli organi genitali veri e propri. Verso il quinto anno di vita si sarebbero risvegliati i desideri edipici. Il
risultato sarebbe stato la rimozione primaria, che avrebbe comportato la perdita della consapevolezza dei desideri
infantili, dando origine a un periodo di apparente mancanza di pulsioni sessuali.

Nel 1911, Freud teorizzo poi che la vita psichica potesse essere spiegata come la lotta di due tendenze fondamentali: il
principio di piacere e il principio di realtà. Ove l'essere umano non incontrasse ostacoli e la sua sopravvivenza, il
principio di piacere costituirebbe l'unica guida alle sue azioni. Al contrario la vita lo mette ben presto nelle condizioni
di comprendere che la sua soddisfazione contrasta spesso con quella altrui e che per vivere ha bisogno della
collaborazione di altri esseri umani.

3. la nascita del movimento psicoanalitico

La prima edizione dell'interpretazione dei sogni non incontrò un particolare successo. Nel 1902 alcuni ex pazienti
cominciarono a riunirsi a casa di Freud tutti i mercoledì sera per ascoltarlo parlare di temi psicoanalitici. Ben presto gli
allievi cominciarono a utilizzare a loro volta la tecnica psicoanalitica descritta da Freud e a proporre la discussione di
proprie idee. Si decise allora di tenere un verbale delle riunioni, che per anni venne redatto da Otto Rank. Inizialmente
gli allievi di Freud erano tutti ebrei viennesi. Nel 1906 uno psichiatra svizzero, Carl Gustav Jung prese la parola in un
convegno medico a Baden Baden per difendere le idee di Freud. Per la prima volta si levava una voce a sostegno di
Freud al di fuori dell'ambiente ebraico viennese.

Jung aveva condotto degli esperimenti con la tecnica dell'associazione verbale, grazie ai quali si era convinto di quanto
Freud sosteneva a proposito dell'inconscio la tecnica consisteva nel proporre una lista di parole e stimolo, chiedendo
ai soggetti sperimentali di verbalizzare la prima parola che gli venissero in mente. Jung fu il primo a confrontare i
risultati di persone considerate normali con quelli di persone con una diagnosi psichiatrica. Sulla base dei tempi di
reazione della e della pertinenza verbale, jung era arrivato alla conclusione che la parola accumunate da certi temi
risultasse più difficile associarne altre. Tale fenomeno poteva essere comprensibile solo ipotizzando un'interferenza
con la prestazione, determinata da qualcosa di cui non si aveva diretta consapevolezza.

Freud e Jung entrarono in contatto epistolare proprio nel 1906. Tra di loro iniziò un breve periodo di collaborazione,
che portò alla costituzione di un'associazione internazionale degli psicanalisti. Nel 1909 sia Freud che Jung furono
invitati a tenere un ciclo di conferenze negli Stati Uniti. Freud non era minimamente disposto a tollerare che si
mettessero in discussione quelli che considerava i principi fondamentali della sua dottrina, e in particolare l'idea che la
sessualità costituisse il fondamento delle motivazioni umane. Alfred Adler fu il primo a mettere in discussione questo
principio.

Secondo Adler la nevrosi era riconducibile al senso di inferiorità percepito soggettivamente a causa dell'inadeguatezza
del proprio corpo. In alcuni casi il senso di inferiorità tendeva a essere compensato dalla ricerca spasmodica del
successo. La motivazione fondamentale non era più la sessualità ma la volontà di potenza. Adler uscì ufficialmente dal
movimento psicanalitico nel 1911. Anche Jung mise in discussione il ruolo centrale della sessualità: a suo avviso la
libido doveva essere intesa non come energia sessuale ma come energia psichica. Tra il 1911 e il 1913 questi motivi di
contrasto teorico emersero chiaramente. Jung iniziava a convincersi che, oltre all'inconscio personale, fosse possibile
teorizzare l'esistenza di un inconscio comune a tutti gli esseri umani, derivante da contenuti mentali a carattere
ereditario: l'inconscio collettivo.
In occasione del Congresso psicanalitico di Monaco Jung propose un'idea che risultò inaccettabile per Freud e altri suoi
seguaci quella che la teoria freudiana e quella adleriana potessero convivere mantenendo ognuna la sua legittimità. La
spiegazione che Jung offriva era che ogni teorico si basasse necessariamente sulle caratteristiche del proprio tipo
psicologico. Jung ipotizzava allora l'esistenza di due tipi: l'introverso e l'estroverso. La psicanalisi di Freud avrebbe
offerto una migliore descrizione di caratteristiche e potenziali problematiche del tipo estroverso; la psicologia
individuale di Adler si sarebbe adattata meglio al tipo introverso.

Jung si dimise dalla Presidenza dell'associazione degli psicanalisti nel 1913. L'anno successivo Freud pubblicò per la
storia del movimento psicanalitico in cui rivendicava la paternità della psicanalisi e attaccava violentemente Adler e
Jung. Jung fece in tempo ad introdurre nel gruppo freudiano l'analisi didattica obbligatoria. Ogni analista, prima di
potersi definire tale, non doveva soltanto studiare gli aspetti teorici della psicoanalisi ma essere a sua volta analizzato.
L'obbligo di farlo con l'ausilio di qualcun altro fu esplicitato solo in uno dei primi iscritti tecnici di Freud, dove ascriveva
alla scuola di Zurigo il merito di aver suggerito l'analisi didattica obbligatoria.

Freud aveva costruito un comitato segreto di fedelissimi, che avrebbero dovuto nel futuro vegliare sul mantenimento
dell'ortodossia psicoanalitica, impedendo il diffondersi di idee in contrasto con i principi fondamentali della dottrina
freudiana.

4. La psicoanalisi tra la Prima guerra mondiale e la morte di Freud

La Prima guerra mondiale rappresentò una tragedia senza precedenti per l'Europa ed esercitò una specifica e
particolare influenza sia sulla teoria psicanalitica sia sull'evoluzione del movimento psicoanalitico. Questo tipo di
esperienza era risultato così duro da causare in molti reduci una nuova forma di psicopatologia, le cosiddette nevrosi
di guerra. Ernst Simmel applico con grande successo a questa nuova categoria di nevrotici una tecnica ispirata al
metodo psicoanalitico. Freud si convinse gradualmente che la sessualità non poteva più essere ritenuta l'unico fattore
motivazionale alla base della condotta umana.

Occorreva teorizzare una diversa funzione, che costituisse una spiegazione per l'universale aggressività umana. Con la
pubblicazione di al di là del principio di piacere, Freud postulò dunque la coesistenza nell'essere umano di una
pulsione di vita e di una pulsione di morte. La prima spingeva l'uomo alla sopravvivenza e alla soddisfazione erotica; la
seconda all'aggressiva e alla morte. Le due pulsioni potevano mescolarsi o separarsi con meccanismi detti impasto e
disimpasto.

Un'ulteriore svolta aggiunse con la pubblicazione di l’io e l’es in cui Freud ipotizzava una nuova topica della mente
umana, dopo quella descritta nell'interpretazione dei sogni. L'esperienza clinica lo aveva portato a pensare che diversi
e contrastanti aspetti della vita mentale si svolgessero al di fuori della consapevolezza soggettiva. Nella nuova
concezione freudiana, la mente risultava costituita da tre istanze psichiche che Freud chiamò io es e super-io. L’es, in
questo schema, è completamente inconscio e si compone delle pulsioni che tendono alla soddisfazione.

L'io, il centro della personalità, si sviluppa dall'es. L'io è fondamentalmente inconscio ma ha una componente conscia,
costituita dai meccanismi di difesa. Il super-io, la cui principale funzione è la coscienza morale, è il frutto
dell'introiezione delle figure genitoriali. Il super-io è una sorta di genitore interno, è in parte cosciente e in parte
inconscio. Una persona può infatti volere coscientemente assomigliare ai genitori punto può avvertire altrettanto
coscientemente ripugnanza per azioni che state insegnato siano immorali. La stessa persona può tuttavia essere
influenzata dai divieti senza esserne assolutamente consapevole, onde un atto può essere a un tempo fortemente
desiderato dall'es e altrettanto fortemente avversato dal super-io. È compito dell'io gestire il contrasto tra le altre due
istanze psichiche, che se particolarmente intenso costituisce l'origine della nevrosi.

Secondo Freud la forza persecutoria del super-io non dipende dal rapporto reale del bambino con i genitori ma è
funzionale del suo vissuto interno. Per Freud la patologia psichica si lega a un conflitto interno alla mente individuale.
Tra gli anni Venti e i primi anni Trenta il movimento psicoanalitico conobbe un grande sviluppo ma anche ulteriori
contrasti interni. Rank e Ferenczi proposero delle idee considerate da Freud troppo distanti. Rank suppose che la
possibile origine della nevrosi fosse da ricondurre al trauma della nascita e la psicoterapia dovesse condurre il paziente
a rivivere catarticamente la sofferenza di tale trauma ferenczi iniziò a dei tentativi di psicoterapia nei quali l'analista
poteva esprimere un alto livello di empatia. Invece secondo Freud i principi di neutralità e astinenza erano
fondamentali per l'analista che doveva risultare uno schermo bianco per il paziente ed evitare qualunque forma di
gratificazione.

La morte precoce di Ferenczi prevenne un suo contrasto aperto con Freud; Rank si autoesiliò negli Stati Uniti. Nel
1933, l'istituto psicoanalitico di Berlino era diventato il più importante centro di formazione per gli analisti. Tuttavia,
essendo la psicoanalisi una disciplina creata da un ebreo e praticata in larga maggioranza da seguaci ebrei, venne
subito classificata come scienza degenerata. L'istituto psicoanalitico di Berlino fu sostituito dall'Istituto Goering. Nel
1938, con l’Anschluss anche gli ebrei austriaci si ritrovarono nella medesima condizione di quelli tedeschi.

5. La questione della psicoanalisi infantile, le discussioni controverse e la convivenza di modelli teorici

Freud aveva elaborato le proprie idee sullo sviluppo infantile a partire dall'analisi degli adulti. Soltanto in un caso,
quello del piccolo Hans, Freud aveva seguito indirettamente lo sviluppo della nevrosi infantile di un bambino. Il piccolo
Hans, che era figlio di un allievo di Freud, aveva sviluppato una fobia dei cavalli. Secondo Freud si trattava di uno
spostamento sugli animali della paura che nutriva verso il padre. Freud considerò inizialmente il caso di Hans come un
unicum. In seguito aprì alla possibilità che la psicoanalisi potesse essere utilizzata anche in età evolutiva e incoraggiò
l'idea che fossero donne analiste a occuparsene.

La prima analista dell'infanzia fu Hermine Hug Hellmuth, il cui ruolo venne però presto dimenticato. Di fatto furono
Melanie Klein e Anna Freud le prime teoriche della psicanalisi infantile ad avere un seguito. Anna Freud era convinta
che non si potesse applicare ai bambini una vera e propria terapia analitica, sia perché il transfert era impedito dalla
presenza reale dei genitori nella vita dei bambini; sia perché i bambini non potevano mettere in atto delle vere e
proprie libere associazioni. L'analista poteva solo rappresentare una figura di riferimento positiva.

Melanie Klein sosteneva che il transfert dei bambini con l'analista era un dato di fatto osservabile. Introdusse l'idea
che il libero gioco di finzione potesse sostituire le associazioni dell'adulto. Se Anna Freud riteneva che quelle del gioco
fossero interpretazioni selvagge, Klein pensava a sua volta che l'atteggiamento con i bambini della rivale potesse
nascondere delle insidie. Se il bambino vedeva nella terapeuta una figura solo benevola, avrebbe potuto rafforzare
verso i genitori sentimenti negativi. La contrapposizione teorica tra le due inizia a distanza. Quando, nel 1938, anna
Freud si trasferì a Londra con il padre, Melanie Klein aveva già acquisito un credito importante in seno alla società
psicoanalitica britannica.

Nel movimento psicoanalitico si creò quindi una situazione inedita lo stesso ambiente si trovava in contatto diretto
con due punti di vista teorici divergenti. La morte di Sigmund Freud rese impossibile il ricorso all'unica autorità
indiscutibile come solutore della discordia. Lo scoppio della Seconda guerra mondiale la battaglia d’Inghilterra
differirono la composizione del problema. All'interno della società psicoanalitica britannica iniziarono le cosiddette
discussioni controverse, una serie di incontri volti a confrontare le posizioni di Anna Freud e Melanie Klein e dei
rispettivi gruppi.

La diversificazione era nata a proposito dell'analisi infantile, oramai si estendeva ogni aspetto della teoria psicanalitica.
Nessuno dei due gruppi riuscì a prevalere, onde si trovò un accordo di coesistenza. Ogni gruppo avrebbe potuto
formare analisti sulla base del proprio modello di riferimento. Ben presto i gruppi divennero tre, perché accanto alla
frazione annafreudiana è quella kleineniana si formò un nucleo di indipendenti. Si creò dunque un sistema che
sarebbe divenuto standard in tutta l'International Psychoanalytic Association: gruppi differenti potevano convivere
offrendo programmi di formazione diversi. Solo in pochissimi casi chi proponeva idee diverse sarebbe stato
allontanato dal movimento psicoanalitico.

Per gli indipendenti il focus dell'attenzione si spostava dalla soddisfazione del desiderio alla relazione oggettuale, cioè
al rapporto con le altre persone significative. Per Fairbairn la libido doveva essere identificata con la ricerca di un
oggetto; il piacere, lungi dall'essere un fine in sé, doveva essere considerato un indice della presenza dell'oggetto
stesso. Per Winnicott e il bambino non poteva essere visto come un sistema di uso indipendente ma doveva essere
sempre considerato in relazione con la madre; l'essere umano passava da una condizione di dipendenza infantile a una
di dipendenza matura.

Bowlby finì per costruire una teoria molto distante da quella psicanalitica: la teoria dell'attaccamento. Bowlby
postulava che l'essere umano fosse motivata alla ricerca della prossimità dal caregiver, al fine di sopravvivere; Che si
formasse progressivamente schemi di comportamento sulla base delle risposte del caregiver stesso.

6. La polarizzazione tra il movimento neofreudiano e l'ego psychology

La storia del movimento psicoanalitico negli Stati Uniti iniziò in del movimento pratica con le conferenze di Freud e
Jung Il numero degli analisti in attività rimase a lungo così limitato che, prima del 1920, l'American Psychoanalytic
Association aveva considerato l'ipotesi di sciogliersi non molto tempo dopo la sua fondazione. La figura di riferimento
iniziale fu Abraham Brill, che malgrado una totale adesione alle teorie e il problema freudiane è passato alla storia,
paradossalmente, per l'unico punto della formazione quale si schierò in aperto contrasto con Freud.

Quando infatti, nel 1925, medica dell'analista Otto Rank venne processato perché in quanto analista esercitava
un'attività «terapeutica» senza essere medico, Freud non solo lo difese, ma scrisse anche un testo tematicamente
dedicato a sostenere che la laurea in medicina non costituisse né l'unica, né forse la migliore preparazione
universitaria per divenire un analista. Brill fece presente che se una simile tesi fosse stata considerata irrinunciabile da
Freud, l'intera sezione americana sarebbe uscita dall'International Psychoanalytic Association. Si giunse quindi al
compromesso che negli Stati Uniti ogni analista dovesse compiere studi medici e psichiatrici. La prima istituzione nella
quale la psicoanalisi divenne la teoria di riferimento fu l'ospedale psichiatrico St. Elizabeths di Washington.Con White
si formò Harry Stack Sullivan (1892-1949), oggi ritenuto il primo grande teorico della psicoanalisi nato sul suo
americano.

Sullivan si occupò inizialmente di giovani psicotici: se trovava le idee psicoanalitiche più utili delle costruzioni
psichiatriche tradizionali, rimaneva assai perplesso di fronte ad alcune teorie a suo avviso troppo astratte, come quella
delle pulsioni. Non erano problemi inerenti alla libido, a suo avviso, all'origine della schizofrenia, ma piuttosto dei
problemi reali incontrati nel corso dello sviluppo in seguito a mancanze da imputare alle relazioni all'interno del
proprio ambiente familiare. Il contatto di Sullivan con Erich Fromm e Karen Horney, due analisti emigrati dalla
Germania, risultò in un dialogo molto fecondo e dette origine a quello che è stato etichettato come il movimento
neofreudiano.

Fromm era un illustre esponente della Scuola di Francoforte, una corrente filosofica nata negli anni Venti e volta a di
carattere sociale coniugare il pensiero di Marx con quello di Freud. Come tale, Fromm era convinto che non si potesse
spiegare la vita psichica in termini solo individuali. Il carattere di una persona era condizionato dalla famiglia, ma la
famiglia, a sua volta, era la prima agenzia di ingresso nella vita individuale da parte della società. Fromm elaborò il
concetto di carattere sociale, per descrivere la tendenza a sviluppare una personalità simile da parte di individui
appartenenti a un determinato contesto storico-geografico. Karen Horney era stata tra i fondatori dell'Istituto
Psicoanalitico di Berlino.

Sullivan, Fromm e Horney, quindi, si fecero portavoce dell'idea che La critica alla centralità Freud, per quanto geniale
fosse stato, non aveva descritto la psiche cosciente e l'inconscio comune a tutti gli esseri umani ma un modello
necessariamente condizionato dalle coordinate spazio-temporali nelle quale si era trovato a vivere. In una società che
tendeva a fare della sessualità un argomento proibito o almeno sconveniente. Ego Psychology (Psicologia dell'Io). Le
origini teoriche di questo movimento possono essere rintracciate in L'Io e i meccanismi di difesa di Anna Freud (1936)
e in Psicologia dell'Io e problema dell'adattamento di Heinz Hartmann (1939).

Nel primo libro citato, la figlia di Freud sistematizzava per la prima volta la teoria dei meccanismi di difesa e suggeriva
all'analista un atteggiamento di equidistanza tra Io, Es e Super-io, che coincideva con la tendenza a interpretare con
una maggiore cautela i contenuti inconsci, concentrandosi piuttosto sul materiale più vicino alla coscienza. Il libro di
Hartmann, invece, iniziava un processo di revisione della teoria psicoanalitica finalizzato a esaltarne l'accettabilità
scientifica. Freud era perfettamente convinto che la psicoanalisi fosse una vera e propria scienza naturale; che il suo
statuto scientifico gli fosse garantito dalla scoperta dell'inconscio. Tuttavia, alcuni aspetti del pensiero freudiano
rischiavano di minarne la credibilità, soprattutto in un ambiente, come quello statunitense, dove era nato il
comportamentismo.

Era stato infatti l'americano John Broadus Watson a teorizzare l'idea che, non essendovi la possibilità di accedere in
modo diretto ai contenuti della mente, la psicologia poteva affidarsi solo all'osservazione del comportamento
osservabile. Hartmann procedette sue due piani: cercò di sfrondare la psicoanalisi da tutti gli elementi che
contrastavano con le idee scientifiche universalmente accettate; si propose di contribuire alla creazione di una
psicologia generale di derivazione psicoanalitica, che potesse conquistare l'interesse dell'ambiente accademico. Sul
primo dei due piani, osservò che alcune ipotesi di Freud si fondavano su teorie evoluzioniste ormai considerate
superate, risalenti a Jean-Baptiste de Lamarck.

Hartmann lasciò quindi cadere l'idea risalente a Totem e tabù (che il divieto dell'incesto derivasse da esperienze
umane ancestrali; così come accantonò la pulsione di morte. Sulla strada di una psicologia generale, emerse
chiaramente il limite di fondo che da questo punto di vista caratterizzava la psicoanalisi, cioè il suo basarsi sulla
psicopatologia. Hartmann teorizzò che esistesse una sfera dell'Io libera da conflitti. Una parte dello sviluppo
psicologico umano si svolgeva potenzialmente in maniera a-conflittuale. Di fatto, già all'inizio degli anni Cinquanta del
Novecento, dal pensiero freudiano si erano sviluppate correnti di riforma varie e articolate, che si muovevano in
direzioni diverse.

Jacques Lacan, che riteneva tutti i teorici post-freudiani traditori dello spirito originario della psicoanalisi, in quanto
responsabili di aver abbandonato in pratica l'idea della sessualità come focus della condotta umana. Il ritorno a Freud
proposto da Lacan, tuttavia, aveva un carattere paradossale, perché prevedeva la fusione della psicoanalisi con la
linguistica. L'idea lacaniana che l'inconscio fosse «strutturato come un linguaggio» ha destato molte perplessità e il
carattere oracolare della sua scrittura ha attirato seguaci ma anche fieri detrattori.

7. Psicologia del Sé e psicoanalisi relazionale

La Self Psychology nacque su impulso di Heinz Kohut. Si formò nell'ambiente dominato da Hartmann e fu considerato
inizialmente un membro più che ortodosso del gruppo. Il suo soprannome divenne infatti negli anni Cinquanta «Mr.
Psicoanalisi». Fin dagli esordi era convinto che le doti più importanti del terapeuta fossero capacità di introspezione ed
empatia. L'attenzione particolare al mondo interno dei pazienti lo portò a osservare che molti di loro non
presentavano affatto le caratteristiche usualmente descritte dagli psicoanalisti. Piuttosto che manifestare conflitti e
sintomi nevrotici classici, legati alla sessualità, questi pazienti apparivano depressi, insoddisfatti, vulnerabili.

Kohut riteneva che quelli che iniziò a descrivere come disturbi narcisistici della personalità necessitassero non tanto di
un'inter- pretazione del loro mondo inconscio, quanto di una relazione analitica che li sostenesse: in pratica il
narcisista, secondo Kohut, ha bisogno di idealizzare il proprio analista per un certo periodo della terapia, senza essere
distolto da questa necessità soggettiva.. Secondo Kohut esistevano dunque una linea di sviluppo psicosessuale e una
linea di sviluppo narcisistico. Se i nevrotici classici avevano incontrato difficoltà sulla prima strada, descritta da Freud, i
narcisisti ne avevano trovate sulla seconda, nella relazione con le figure di accudimento.

Kohut postulò che nel corso dello sviluppo, e precisamente durante il secondo anno di vita, si sviluppasse un «senso
del Sé», ovvero si costituisse una struttura psicologica (il Sé, appunto), che non poteva essere identificata con nessuna
delle istanze psichiche descritte da Freud (Io, Es e Super-io). Il Sé veniva descritto da Kohut anche come un
«contenitore di impressioni» e un «centro indipendente di iniziativa». Il Sé si sarebbe sviluppato grazie al contatto con
le figure fondamentali dell'esistenza, che Kohut chiamava «Oggetti-Sé». Dove l'osservatore esterno vedeva una madre
e un bambino, secondo Kohut i protagonisti della scena osservata avrebbero vissuto una «matrice esperienziale
Sé/Oggetto-Sé» all'interno della quale si sarebbero vissuti bisogni complementari.

Da una parte, infatti, il bambino avvertirebbe per esempio il bisogno di esibirsi; dall'altra il genitore sentirebbe il
bisogno di rispondere in modo gioioso all'esibizione. Nell'ultimo libro Kohut stava cominciando però a elaborare una
teoria generale della psicopatologia in cui ogni disturbo sarebbe stato funzione di un difetto nella struttura del Sé,
risalente alle relazioni Sé/Oggetto-Sé nella prima infanzia. Kohut esprimeva una sensibilità, sia verso il ruolo della
relazione oggettuale (intesa come relazione Sé/Oggetto-Sé), sia verso il coinvolgimento dell'analista nella psicoterapia.
la psicoanalisi relazionale, che riprendeva le istanze dei diversi teorici delle relazioni oggettuali ed esaltava il ruolo
della personalità del terapeuta all'interno della relazione analitica.
8. La crisi della psicoanalisi e le nuove frontiere

La psicoanalisi ha mantenuto a lungo una sorta di quasi-monopolio della psicoterapia. Il quadro ha cominciato a
cambiare negli anni Cinquanta e Sessanta dello scorso secolo, con la progressiva affermazione dei modelli cognitivo-
comportamentali, familiaristi, umanisti, ecc. L'efficacia della psicoanalisi è stata messa in dubbio di fronte alla capacità
dei nuovi modelli di offrire un intervento mirato ai sintomi specifici. Negli Stati Uniti, in particolare, le compagnie di
assicurazione hanno iniziato a mettere in discussione la necessità di sottoporsi a trattamento psicoanalitico a fronte di
alternative più economiche e apparentemente validate dal punto di vista scientifico.

Anche i filosofi della scienza hanno a più riprese contestato la scien¬tificità delle idee freudiane e post-freudiane.
L'uscita dei Fondamenti della psicoanalisi, libro fortemente critico verso la psicoanalisi stessa, suscitò anche un
significativo riscon¬tro sui media. In effetti le prime biografie di Freud, a partire da quella di Jones, avevano dipinto
un'immagine del patriarca viennese come di un eroe senza macchia e senza paura. Se alcuni storici avevano
ridimensionato la leggenda freu¬diana già dagli anni Settanta, nel decennio successivo si assistette a una sorta di
rovesciamento parados¬sale. Agli occhi di alcuni critici feroci, Freud da eroe diventava un truf¬fatore; da novello
Prometeo un criminale. A questa pubblicistica è stato attribuito il nomignolo di Freud-bashing.

Se la psicoanalisi ha tardato a impegnarsi nella ricerca sull'efficacia, affidandosi a lungo ai resoconti clinici degli analisti,
la necessità di con¬frontarsi con i modelli alternativi ha indotto un profondo cambiamento di atteggiamento,
sintetizzato già dal cosiddetto «Blue Book», una sintesi dei risultati dei primi gruppi di ri-cercatori-psicoanalisti. Proprio
il contributo di questi gruppi incise for¬temente nel modo di effettuare la ricerca sulla psicoterapia, che passò dalla
pura e semplice misurazione dell'efficacia al tentativo di comprendere come cambiasse progressivamente il paziente
nel corso della terapia. Si è così passati dal¬la ricerca sul risultato alla ricerca sul processo. Tipico della ricerca sul
processo è il procedimento di registrare e trascrivere il contenuto delle sedute analitiche, sottoponendo il trascritto a
vari tipi di misurazione basati su scale obiettive. Proprio questo modo di impostare la ricerca in maniera anche
quantitativa e non più solo clinica ha portato a ridefinire alcuni concetti classici della psicoanalisi.

La ricerca neuroscientifica poteva mettere in discussione che il funzionamento osservato del cervello fosse
compa¬tibile con i concetti psicoanalitici. In effetti la teoria dell'attivazione-sin¬tesi di J. Allan Hobson criticava
implicitamente ma radicalmente la teoria psicoana¬litica del sogno, sostenendo che i fenomeni onirici fossero il frutto
dell'attivazione casuale. Dalla cor¬teccia, gli impulsi sarebbero stati coordinati nel tentativo di renderli co-erenti,
dando origine al sogno come appare all'essere umano. Toccò a Mark Solms dimostrare l'inconsistenza dell'ipotesi di
Hobson, dimostrando che la presenza del fenomeno onirico non viene compro¬messa da lesioni cerebrali a livello del
ponte, come invece avviene per lesioni alla corteccia. Da ricercatori come Solms e il premio Nobel Eric Kandel ha avuto
impulso la neuropsicoanalisi, che invece tenta proprio di fondare e sviluppare le teorie psicoanalitiche sulla base delle
eviden¬ze offerte dalle neuroscienze contemporanee.

Capitolo 2

Modelli dello sviluppo infantile


1. Il modello classico

Freud, convinto com'era che la sessualità costituisse il motore della vita psichica, intese lo sviluppo psicologico come
l'evoluzione del modo in cui la sessualità trova espressione nel corso della vita. Le opere che contengono i concetti
teorici fondamentali della teoria psicoanalitica classica dello sviluppo sono: Tre saggi sulla teoria sessuale e
Introduzione al narcisismo. Nel primo saggio viene disegnata un'immagine del bambino alla ricerca della
soddisfazione delle proprie pulsioni sessuali, che provengo-no, nel corso dello sviluppo, da zone erogene differenti. Il
bambino viene dunque descrit¬to come un vero e proprio «perverso-polimorfo».

La teoria della libido prevede che all'interno di un organo del corpo si crei ogni tanto un accumulo di energia sessuale,
che origina una tensione; tale tensione deve essere scaricata. Freud chiama zona erogena l'organo che costituisce la
fonte della libido; meta l'obiettivo di scaricare la libi¬do; oggetto il mezzo attraverso il quale si ottiene la scarica. Nella
ses¬sualità adulta le zone erogene e le fonti della pulsione sono gli organi genitali, la meta è il coito e l'oggetto è la
persona coinvolta nel rappor¬to sessuale. Secondo Freud la ricerca del piacere, che costitu¬isce un bisogno
ineliminabile come la fame, inizia fin dalle prime set¬timane di vita del bambino e si attua attraverso il «succhiare con
deli¬zia» dal seno materno, che talora è accompagnato dallo sfregamento di altre parti sensibili del corpo, genitali
compresi. La prima zona erogena attivata sarebbe dunque la bocca e la prima fase dello sviluppo psicosessuale viene
identificata come fase orale. La sua durata è di circa un anno e mezzo/ due. Successivamente assume una primaria
importanza la zona dell'ano, che, per quanto possa essere molto presto associata a sensazioni di piacere da
stimolazione, occupa il centro dell'attenzione infantile a partire dalla possibilità di controllare gli sfinteri. Ritardare la
defecazione può comportare una forte stimolazione muscolare, ac¬compagnata da dolore ma anche da piacere.

Verso i cinque anni seguirebbe la fase fallica: la zona genitale costituisce a questo punto il centro degli interessi del
bambino. Si può notare che durante le descritte fasi dello svilup¬po infantile non vi è stretta necessità di oggetto
esterno, cioè della pre¬senza di un'altra persona, per ricavare piacere. Va anche messo in evidenza che ogni forma di
piacere è riconducibile all'acquisita coscienza della sensibilità di organi, ricavata da esperienze naturali.

Sarebbe nell'ambito della fase fallica che si svilupperebbe il com-

plesso di Edipo; la rinuncia al genitore agognato comporterebbe la rimozione degli impulsi sessuali infantili. Allo stesso
tempo si formerebbe il Super-io, ovvero la co-

scienza morale, frutto, come si è detto nel primo capitolo, di un proces¬so di introiezione delle figure genitoriali. Ne
seguirebbe, a partire dai sei anni, una

fase di latenza, di relativa inconsapevolezza dei bisogni sessuali, che si risveglierebbero durante la pubertà, in seguito
allo sviluppo degli organi genitali fino alle dimensioni pressoché definitive. Solo con la pubertà avrebbe dunque origine
la fase genitale vera e propria, che in condi¬zioni normali costituisce l'approdo definitivo dello sviluppo
psicoses¬suale. Tuttavia è possibile che, in seguito alla fissazione a una certa fase precedente o alla regressione a essa,
si originino diverse forme di psico¬patologia. La perversione adulta non è che il permanere degli impulsi pre-genitali
oltre la fase di latenza. La nevrosi è invece in ter- Perversione adulta mini freudiani la «negativa della perversione».

la nevrosi è il frutto della rimozione e trasformazione degli impulsi originari, sulla base dei diversi meccanismi di difesa.
La nevrosi classica è il frutto di una mancata risoluzione del complesso edipico. La tendenza a ricavare piacere dallo
sporcarsi con le fe¬ci che può caratterizzare la fase anale può trasformarsi in amore osses¬sivo per la pulizia attraverso
la formazione reattiva. Il piacere di incor¬porare della fase orale può diventare brama collezionistica di possesso
attraverso la sublimazione, e così via.

Le diverse forme di psicopatologia finora descritte prevedono co¬munque che l'essere umano raggiunga la possibilità
di investire la pro

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