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Locazione commerciale: sfratto per morosità e rilevanza

dell’inadempimento del conduttore

In base alla statuizione normativa operata dalla L. n. 392/1978, è da evidenziare che, nel procedimento di sfratto per morosità dall’immobile ad
uso abitativo, la valutazione della gravità e dell'importanza dell'inadempimento del conduttore moroso non può essere rimessa al libero
apprezzamento discrezionale del Giudice.
La valutazione dell’inadempimento del conduttore che non ha corrisposto il canone di locazione per l’occupazione dell’immobile ad uso abitativo è,
infatti, predeterminata ex lege mediante la previsione dei parametri di cui all’art. 5 della legge in esame.
Tale norma, però, riguarda, per l’appunto, le sole locazioni ad uso abitativo, non applicandosi agli immobili locati per uso diverso, da qui il vulnus
di disciplina per la valutazione dell’inadempimento del conduttore dell’immobile ad uso diverso da quello abitativo.
Sul punto occorre, pertanto, distinguere le ipotesi dalla risoluzione del contratto di locazione di immobile a uso abitativo da quello ad uso
commerciale.
La distinzione è stata operata dalla giurisprudenza di merito, sulla scorta degli orientamenti già espressi dalla Cassazione.
Come chiarito dalla recente giurisprudenza di merito, in adesione ed applicazione dei principi già sanciti dalla giurisprudenza di legittimità, affinché
possa verificarsi la risoluzione del contratto di locazione di immobile adibito ad uso commerciale vi è bisogno di un inadempimento di tale gravità
da rompere l'equilibrio contrattuale instauratosi tra le parti (C. App. Napoli, sent. 6 maggio 2015, n. 1727).
Per le locazioni non abitative la valutazione dell'importanza dell'inadempimento del conduttore resta quindi affidata, per quanto esposto, ai comuni
criteri sanciti dall'art. 1455 c.c.
Il principio fissato dalla giurisprudenza maggioritaria si giustifica in applicazione dei basilari principi di interpretazione restrittiva delle norme speciali.
Ne deriva che la risoluzione del contratto di locazione a uso commerciale per mancato pagamento di canoni può aversi solo con riferimento a
inadempimenti tali da rompere l'equilibrio contrattuale, tenuto conto del complessivo comportamento osservato dal conduttore, nonché della durata
contrattuale.
Il principio, come detto, deriva dalla giurisprudenza di legittimità sulla scorte dei pregressi orientamenti in base ai quali “La risoluzione del contratto
di locazione a uso commerciale per mancato pagamento di canoni e/o oneri accessori, può aversi solo con riferimento ad inadempimenti tali da
rompere l'equilibrio contrattuale, tenuto conto del complessivo comportamento osservato dal conduttore” (Cassazione civ. n. 8076/2002).
Il lieve inadempimento contrattuale, ovvero il mancato pagamento di pochi canoni di locazione, a fronte del corretto adempimento contrattuale
pregresso del conduttore non può, pertanto, determinare la risoluzione contrattuale e l’intimazione del conseguente sfratto per morosità.
La valutazione dell’inadempimento nei contratti a prestazioni corrispettive va, inoltre, adeguata anche a un criterio di proporzione fondato sulla
buona fede contrattuale (Cass. n. 14034/2005).
Per regola generale, scaturente dal combinato disposto degli artt. 1453 e 1455 del Codice Civile, è, infatti, da valutare la sussistenza della
imputabilità della mora debendi, intesa sotto il profilo dell’elemento psicologico dei conduttori e misurata sotto l’ottica della inesigibilità di un
diverso comportamento degli stessi.

Sul tema si segnala:


Compravendita, condominio e locazioni Cirla Augusto, Monegat Mariagrazia. A cura di Studio Lexyus Sinacta, IPSOA, 2017
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Il danno subito dal conduttore intimato
L’intimazione dello sfratto per morosità, qualora infondato per le causali indicate, comporta un danno ingiusto per il conduttore intimato, che va
ricondotto sotto le comuni categorie di danno emergente e lucro cessante.
L’intimazione di uno sfratto per morosità a fronte di un lieve inadempimento, di fatti, può essere tale da produrre gravi danni economici all’intimato,
il quale, può ritrovarsi a dover lasciare l’immobile commerciale locato subendo gravi perdite economiche.
In primo luogo è da sottolineare il danno emergente derivante dalle inevitabili spese di liberazione dell’immobile e di trasloco della merce in nuovi
locali , che sono tali da determinare un danno per i conduttori intimati alla liberazione dell’immobile commerciale locato.
In ordine al lucro cessante si evidenzia che la perdita della struttura operativa in cui era stato esercitata l’attività commerciale può comportare una
drastica perdita della clientela e delle opportunità lavorative pro futuro per il conduttore intimato, tenuto conto del potenziale venir meno della
clientela fidelizzata ed abituata ad acquistare nell’attività commerciale sita presso l’immobile locato. Per tale motivo, sembra oltretutto dovuto il
risarcimento del danno per la perdita di chance, intesa come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato vantaggio
economico. Il risarcimento da lesione di chance deve essere inteso, in tali casi, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un
determinato bene giuridico.
Preme sottolineare come presupposto per il suo risarcimento è la prova presuntiva, ovvero basata su un calcolo di probabilità (Cass. Sez. Un. n.
1850/2009) della realizzazione in concreto di alcuni presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla infondata intimazione di
sfratto, della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza diretta.
La necessità di evitare una prova gravosa a carico del danneggiato, relativamente ad un danno che si prospetta nel futuro, ha, infine, indotto la
giurisprudenza di legittimità a sostituire il criterio della certezza degli effetti della condotta dannosa con quello della probabilità dovendosi sostituire
gli usuali criteri di interpretazione del nesso causale, fondati sulla teoria della conditio sine qua non, con quello meno rigoroso costituito dal più
probabile che non e cioè alla luce di una regola di giudizio che deve però essere integrata dai dati della comune esperienza, evincibile dalla
osservazione dei fenomeni sociali (Cass. 21255/2013; Cass. 7195/2014).

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