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Psicologia di comunità

Il concetto di Comunità:
L’etimologia incerta ma probabilmente Cum Moenia = mura comuni (mura che definiscono il confine e definiscono
chi è dentro e chi è fuori), i confini definiscono l’identità.
Altro estratto dall’etimologia è Cum - Munia = doveri comuni. Il concetto è quello di persone legate tra di loro da
diritti e doveri, reciprocità e fiducia, Equità, identità.
Definizione: Rappaport (1977): ideologia che si basa sull’adozione di un orientamento sistemico- ecologico, con focus
sulla prevenzione.

Origini e sviluppo

La disciplina nasce nel 1965 da situazioni di disagio sociale e da aspettative di una qualità di vita migliore, da un
impulso dalla partecipazione e al cambiamento sociale degli anni ‘60 e dalla necessità di costruire e sperimentare
strumenti innovativi di intervento sociale.

Diffusione in altri paesi: Negli anni Settanta e soprattutto negli anni Ottanta la psicologia di comunità si diffonde
anche in altri paesi, diffusione a seconda dello stato della psicologia. Più tardi entra anche in Europa, è in Italia negli
anni 70.
Welfare state: Nato come una risposta politica ai bisogni sociali emersi con la rivoluzione industriale. Per welfare
state (stato sociale) si intendono quelle misure che lo Stato intraprende per difendere i cittadini dai danni creati dal
mercato come: la disoccupazione, l’invalidità, la malattia, la vecchiaia.

Gli obiettivi della psicologia di comunità:


● Analizzare le transizioni tra diversi livelli: individui, gruppi, sistemi, reti di sistemi.
● Migliorare la qualità della vita
● Sviluppare la competenza della comunità: accrescere la partecipazione dei cittadini e incrementare la solidarietà,
promozione dell'autoconsapevolezza.
●prevenzione del disagio

I principi
La psicologia di comunità studia l'individuo e le strutture sociali in relazione tra loro sottolineando l'interdipendenza
tra campo dell'individuo e campi dell'ambiente. Sostenere un approccio ecologico e focalizzarsi su questa
interdipendenza che modifica il concetto di disagio, che viene visto da due fronti:
-teoria eccezionalista: il disagio viene determinato da fattori individuali insoliti, quindi eccezionali, che
pongono le persone in condizioni di svantaggio
-teoria universalista: espressione dei rapporti sociali della comunità, condizioni prevedibili quindi anticipabili
per favorirne la gestione
Entrambe hanno influenzato la psicologia poiché entrambe vengono sostenute.

Prevenzione: Ostacoli e difficoltà:

1. Predominio della concezione eccezionalista: interventi orientati all’individuo, e alla cura più che alla
prevenzione del disagio o alla promozione del benessere.
2. La prevenzione richiede un’attività cognitiva più complessa e un’operatività in cui gli interessi a lungo
termine prevalgono su quelli a breve termine.
3. La scarsa domanda sociale di interventi di prevenzione e la presunta settorialità
4. Spesso i fattori alla base del disagio sono molteplici e poco conosciute.
5. Operatori poco formati alla prevenzione.
L’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha richiamato l’attenzione sulla crescita della sofferenza psicosociale e
sulla necessità di intervenire preventivamente.

Approcci teorici
Concetti teorici che hanno contribuito maggiormente allo sviluppo della psicologia di comunità: Lewin, Barker,
Mood, Bronfenbrenner.
 Approccio ecologico: basata sull’osservazione nei loro setting naturali, coglie la relazione tra persona e
ambiente. Il maggior esponente è James Kelly secondo cui la prospettiva ecologica fornisce un quadro che
permette di analizzare i cambiamenti nei particolari setting in cui avvengono. L’autore propone quattro
principi guida che consentono di guardare i meccanismi che influenzano ambienti, gruppi e individui, per
pianificare gli interventi:
- Interdipendenza: i membri si influenzano reciprocamente, se si va a intervenire su un singolo settore
ci saranno influenze anche sugli altri settori, ciò implica la necessità di assumere come oggetto
l'intera comunità
- Ciclicità delle risorse: concatenazione delle risorse, distribuite utilizzate e trasferite per permettere
un interscambio.
- L’adattamento: il processo attraverso il quale gli organismi variano le loro abitudini o caratteristiche
per affrontare le condizioni e le trasformazioni ambientali. Più è ampio il bagaglio comportamentale
e più è facile che si adattino e si inseriscono nella normale vita della comunità sociale
- La successione: necessità di dover conoscere quali sono le direzioni in cui questi cambiamenti
portano.

 Lewin: teoria di campo: (Lewin: Influenza Maggiore riguarda la teoria del campo, la dinamica di gruppo, il
metodo Ricerca azione).
Campo: il sistema di forze la cui interazione dinamica origina fenomeni sociali e comportamenti individuali. Il
comportamento è inteso come funzione della persona e dell’ambiente in una transazione continua e
reciproca, e non come rapporto lineare di causa-effetto F (P, A). Rompe degli schemi con questa teoria
perché crede che il disagio dell'individuo non è più una predisposizione dell'individuo ma in relazione
all’ambiente.
L’ambiente è quello psicologico costituito da un insieme di oggetti, persone e situazioni con cui l’individuo è
in rapporto.
• Spazio di vita: la persona e l’ambiente così come viene percepito dalla persona, contiene tutti gli eventi e
gli oggetti sia materiali che non, significativi dal punto di vista psicologico che determinano un
comportamento.

Dinamica di gruppo: il piccolo gruppo viene concepito come un insieme dinamico, qualcosa di
qualitativamente diverso dalla somma dei singoli elementi che lo compongono. Dimensione di
interdipendenza e influenzamento reciproco in cui ogni cambiamento di una delle parti trasforma la
struttura nel gruppo e viceversa ogni cambiamento del campo psicologico produce effetti sui singoli
componenti. Lewin valorizza la potenzialità trasformativa nel gruppo a livello individuale e sociale, fece studi
anche sulla leadership. metodo ricerca-azione

 Psicologia ambientale: analizza l’impatto degli ambienti fisici e sociali sull’individuo. Barker formula un
metodo di osservazione naturalistica e il concetto di “behavior setting”, ovvero l'unità ambientale minima in
cui si attuano comportamenti intenzionali significativi. Il setting é correlato ad aspettative e modelli
comportamentali (un gruppo di persone in una chiesa o nella scuola o nel negozio, si prevede il
comportamento). Barker Esamina i Pattern comportamentali correlati ai contesti spazio-temporali, fece ad
esempio una comparazione tra due comunità di diverso numero di persone che rileva come la città meno
popolata aveva un numero assai più elevato di behavior setting.

 Bronfenbrenner: propone un modello ecologico in cui l’individuo è inscindibile dall’ambiente in cui cresce e
si sviluppa, il modello riguarda proprietà oggettive e percezioni individuali. Modello “processo-persona-
ambiente” si basa su:
 Reciprocità: Ambiente e individuo si influenzano a vicenda
 Anche i contesti più remoti possono produrre modifiche nel comportamento dell’individuo
 Ogni persona è caratterizzata come un’entità dinamica che reagisce alle pressioni ambientali e
ristruttura il proprio spazio di vita
Bronfenbrenner ritiene che ci siano più interconnessioni la più situazioni ambientali, l’ambiente ecologico è
costituito da una serie ordinata di strutture concentriche:
o Microsistema: relazioni interpersonali di cui il soggetto ha esperienza diretta (famiglia, scuola,
gruppo di amici. Sarebbe il setting di Barker)
o Mesosistema: insieme di microsistemi e riguarda relazioni/interconnessioni ambientali tra
microsistemi (esempio la relazione tra la famiglia di un bambino e la scuola)
o Esosistema: insieme degli ambienti con cui il soggetto non ha esperienza o relazione diretta ma che
influisce direttamente su di lui (l’ambiente di lavoro dei genitori di un bambino)
o Macrosistema: è il sistema di ambito più ampio che determina l’ideologia e la struttura sociale in cui
opera la persona e i suoi sistemi di complessità minore (il tasso di disoccupazione, le differenze
legate ai ruoli sessuali)

L’individuo muovendosi all’interno di questi sistemi si trova al centro di un processo dinamico chiamato
“transizione ecologica”. Sulla base di questa prospettiva propone il concetto di nicchia ecologica,
definibile come quel contesto ambientale in grado di facilitare o ostacolare lo sviluppo delle persone.

 Contributo della psicologia umanistica e dell’approccio cognitivo comportamentale: la psicologia


umanistica propone di valorizzare le potenzialità piuttosto che lavorare suoi disturbi (coping, rinforzo di
competenze). L’approccio comportamentale fornisce tecniche e strumenti molto efficaci per trasmettere e
insegnare abilità e competenze.

SINTESI DI MURRELL: Murrell Studia le relazioni tra individuo e le istituzioni della comunità, pone l’attenzione sulla
relazione circolare tra comportamento individuale e sistemi sociali. L’individuo non è solo reagente ma agente ed ha
delle aree-problema (non ha bisogni ma aree di interesse) in cui l‘uomo cerca di raggiungere i suoi obbiettivi; inoltre
si cerca un accomodamento intersistemico, cioè il grado di compatibilità tra i diversi sistemi sociali.
6 livelli di intervento secondo Murrel:
1. Ricollocamento individuale: Quando l’interazione è incompatibile e non offre possibilità di miglioramento,
è consigliabile ricollocare l’individuo in un altro sistema (es: affidamento di un bambino)
2. Interventi sull’individuo: l’obiettivo è cambiare o sviluppare le risorse o le strategie della persona affinché
possa inserirsi meglio nel sistema. (es: formazione), perché sia efficace è necessario che l’intervento sia
richiesto dalla persona e che questa sia intenzionata a restare nel sistema.
3. Interventi sulla popolazione: incrementare le risorse di una popolazione a rischio, ad esempio con
interventi di formazione di gruppo.
4. Interventi sul sistema sociale: operare cambiamenti strutturali e funzionali sui sistemi, in modo da
facilitare la gestione dei problemi degli individui.
5. Interventi intersistemici: migliore coordinamento tra sistemi e una connessione più funzionale. È una
strategia complessa ma pienamente coerente con l’approccio ecologico della psicologia di comunità.
6. Interventi sull’intera rete sociale: i programmi sono rivolti alla comunità nel suo insieme, ad esempio
attraverso l’uso dei mass-media.

L’intera sintesi di Murrel si pone come riferimento teorico fondamentale della PdC.

Empowerment: deriva da to empower Che significa “rendere in grado di, favorire l’acquisizione di potere” affare tra
gli anni sessanta e Settanta, Ma si sviluppa soprattutto nella seconda metà degli anni 80. Indica
contemporaneamente un processo e un risultato. Ha significati ad ampio spettro a partire dal settore medico, quindi
favorire processi riabilitativi brevi ed edificanti, Nella formazione, in ambito letterario, nella politica e in ambito
manageriale e organizzativo. responsabilizzazione, potenziamento, condivisione, aumento di capacità di fare,
sviluppo di potenzialità, creatività liberata, aumento di conoscenza.
Rappaport prova a dare una definizione: “processo che permette a individui, gruppi e comunità di accrescere la
capacità di controllare attivamente la propria vita” (centralità sul controllo, consapevolezza critica, azione collettiva,
mobilitazione delle risorse). Molti autori evidenziano la multidimensionalità del costrutto: empowerment psicologico
individuale, relativo alla persona nel suo rapporto con gli oggetti esterni, controllo percepito su situazioni
(proattività, passività, loc esterno/interno); empowerment organizzativo, relativo alle variabili organizzative,
valutazione di reti organizzative, mobilitazione di risorse (strutturali, relazionali); empowerment di comunità,
facilitazione riscontrabile nell’ambiente di riferimento (presenza di ostacoli o risorse).
Sviluppo di una prospettiva europea: Francescato sostiene che Alcuni schemi e modi operativi della psicologia di
comunità statunitense possono offrire spunti utili agli psicologi europei, soprattutto italiani. Il quadro socio-culturale
e politico degli USA è molto diverso da quello europeo. La disciplina negli Stati Uniti Mostra una eccessiva
individualità e modelli incompleti e poco verificati: troppo pragmatici, troppo interessate all’azione e poco alle
riflessioni teoriche.
Differenze tra usa e Europa: per gli usa “Gli uomini nascono liberi “ e il legame tra passato e presente è poco
evidente poiché giovane orientata al futuro. In Europa invece ogni persona nasce in un contesto sociale gerarchico
modificabile tramite l’azione umana, ciò può facilitare o limitare un individuo in quale però può modificare i setting
sociale; Gli psicologi di comunità europei quindi danno più importanza alla storia. Entrambe le culture pensano però
che bisogna andare oltre l'ottica naturalistica sennò si va incontro a due limiti: l’impoverimento dell’essere umano
perché riduce il suo agire, e l’irrigidimento della concezione del contesto sociale perché porta a vederlo come
immutabile.

Verso una tecnica

Una teoria della Tecnica: la psicologia di comunità dovrebbe unire il modello pragmatico (predire evoluzione di un
fenomeno) e il modello narrativo (racconta la storia di un fenomeno nel suo contesto). Si considerano prospettive
multiple.

Orford negli anni novanta ha cercato di elaborare una teoria generale che, assume la circolarità della relazione tra
individuo e ambiente. L'identità, status, autostima sono condizionabili dai contesti sociali di appartenenza. Tre livelli
diversi del sistema sociale:

 Micro livello: comprende sistemi di appartenenza come famiglia, lavoro, servizi sanitari/ educativi/ pubblici e
privati, gruppi politici o religiosi
 Comunità locale: difficile da definire in senso geografico, può essere il condominio o la città di appartenenza,
alcuni riflettono su una comunità senza territorio
 Cultura: comprende norme e strutture politiche, legali, socio culturali e religiose a livelli di Stato o Nazione

Modello è influenzato dalla teoria di Bronfenbrenner, Offre una guida per analizzare l’individuo nel suo contesto,
minimizza però il modo in cui avviene il cambiamento a livello di opportunità e ostacoli ambientali.

Rappaport segue invece un approccio socio costruttivista: lo psicologo di comunità deve analizzare criticamente le
narrative culturali dominanti (storytelling) così come le storie locali o personali perché le nostre storie personali sono
connesse alle narrative della comunità. Mentre Rappaport da meno peso a variabili socio economiche e politico-
giuridiche e ambientali, diversi autori italiani hanno teorizzato la necessità di adottare ottiche multidisciplinari.

Gli europei sono più scettici e cauti di fronte a un ideale collettivo, Forse per via della memoria di regimi fascisti e
comunisti. Francescato propone l'aom; Amerio: integra aspetti della psicologia clinica tradizionale con attenzione alla
dimensione politica e storica.

Principi-guida per una teoria della tecnica in PdC. Le strategie di intervento


 Più interpretazioni del problema.
 Fare emergere le conoscenze locali delle persone coinvolte nel problema e le narrative minori;
 Esaminare le origini storiche del problema è la distribuzione delle risorse.
 Progetti di empowerment che creino legami tra chi condivide lo stesso problema
 Identificare il livello di soluzione del problema: locale (gruppo coinvolto nel progetto) o sovraordinato
(organizzazioni, reti, comunità locale, stato, ecc.).

METODI PER CONOSCERE UNA COMUNITA’ LOCALE


Conoscere una comunità locale vuol dire conoscerne il territorio, le organizzazioni, le reti, gli ambienti sociali, le
problematiche e le risorse. Le caratteristiche fisiche del territorio influenzano la vita delle persone. Approcci per
studiare una comunità:

1. Approccio ecologico: studia le interazioni tra persone e ambiente per aumentare empowerment. Ad
esempio una persona che ama camminare sarà contenta di abitare in un luogo dove sono presenti molti
percorsi per farlo: l’interazione è positiva fra ciò che mi aspetto dal luogo e quello che realmente l’ambiente
offre. Aumentare l’empowerment significa aumentare le opportunità per soddisfare le aspettative.

2. psicologia ambientale: studia la relazione fra i comportamenti personali e l’ambiente. Essa studia i
comportamenti diversi Per setting ambientali diversi (quando c’è un funerale c’è un setting comportamentale
diverso da quando vi è un matrimonio).

Per conoscere una comunità posso fare un assestment di comunità, cioè una valutazione dei punti forza e delle aree
problema di una comunità. Metodologie:

 indicatori sociali (tassi di scolarizzazione, delinquenza, salute etc) analisi dei dati per valutare lo stato di
disagio o di benessere della comunità.
 L’osservazione: può essere effettuata mediante fotografie o osservazione di comportamenti. Contatto
minimo.
 I questionari self report: contengono domande chiuse o aperte. Raccogliere le opinioni delle persone senza
controllarle.
 Le interviste e i focus group: I focus group sono interviste di gruppo: vengono riuniti gruppi e si pongono dei
quesiti al fine di raccogliere opinioni nell’insieme. L’intervista prevede un contatto diretto col ricercatore,
rispetto al self report c’è la possibilità di modulare in itinere le domande (Se la persona che viene intervistata
porta un argomento non previsto, il ricercatore può focalizzarsi su di esso se lo trova interessante). Serve
riportare un discorso senza interpretazione (fenomenologico)

Usiamo strumenti di ricerca ad alto contatto quando abbiamo tempo, denaro e quando vogliamo avere informazioni
esplorative perché non sappiamo dove focalizzare la ricerca, individuata la problematica possiamo in seguito
costruire un questionario self report.

Obbiettivi dell'analisi di comunità:


• obiettivi a lungo termine: sviluppare empowering che offra ai residenti l’opportunità di esercitare controllo,
sviluppare competenze partecipative alle politiche decisionali. Una comunità competente è una comunità in cui i
residenti sentono di poter contare qualcosa.
• obiettivi a breve termine: misurare il livello di empowerment tramite analisi dei punti forza ed aree problema.
Se emergono più punti di forza che aree problema la comunità sta bene, viceversa la comunità sta male ed ha
bisogno di intervento. È un check up.

METODO DEGLI 8 PROFILI


Ideato da Martini e Sequi e modificato da Francescato. È un metodo che dà sia l’opportunità di conoscere il
territorio, sia di fare lavoro di rete. Il metodo prevede:

1. Formazione di un gruppo interdisciplinare con esperti interni ed esterni alla comunità


2. si effettua un’analisi preliminare per individuare i punti di forza e i problemi della comunità (intervista agli esperti
interni). Il secondo scopo di questo gruppo è quello di individuare esperti da intervistare e focus group da riunire 
primo quadro percettivo

3. Analisi di ogni profilo: si rilevano punti di forza ed aree problema reali, dati oggettivi che verranno confrontati con
le “percezioni” ottenute nella fase 2.
4. Confronto: dibattito pubblico tra le percezioni dei cittadini e le opinioni degli esperti;
5. Si formula un progetto di sviluppo desiderabile ma fattibile.

PROFILI:
1. Profilo territoriale: comprende l’ambiente naturale costruito e prevede che consultiamo sia gli esperti che a un
esterno: devono passeggiare in giro e di annotare quello che vedono e percepiscono. A volte gli viene chiesto di fare
un fototour.

2. Profilo demografico: ci vogliono, oltre che i dati ufficiali che possiamo reperire all’anagrafe, esperti sui dati
ambigui (che forniscono delle stime).
3. Profilo istituzionale: si studia come funzionano le istituzioni (Tribunale, Comune, la Parrocchia...) tramite degli
esperti. Un aspetto che si studia è il rapporto che hanno i Comuni con gli enti sovrastrutturali (Provincia, Regione,
l’Unione Europea, etc.).

4. Profilo delle attività produttive: si raccolgono dati sulla occupazione ma si riunisce un focus group di esperti per
valutare (oltre che con dati statistici) l’impatto della comunità sulla globalizzazione.

5. Profilo dei servizi: (sanitari, sociali, educativi, ricreativi). Si vuole sapere quali servizi ci sono e come funzionano. A
tale scopo si fanno interviste a focus group. Si confrontano le percezioni dei gruppi di residenti con quelli di gruppi di
esperti.

Gli ultimi 3 profili sono più “soft” perché i dati sono soggettivi.

6. Profilo antropologico: si analizza la storia, i valori, i riti, ma anche le feste, i cibi etc. Questo viene fatto attraverso
libri, opuscoli, esperti, anziani (si intervista la memoria storica di quella cittadina, di quell’ambiente) e focus group
che raccontano il territorio.

7. Profilo psicologico: usiamo un insieme di variabili come le scale di sostegno sociale e il senso di comunità
attraverso Misurazioni: attraverso delle tecniche proiettive che sono disegni e sceneggiati. Si chiede di disegnare il
proprio quartiere o località ed è importante valutare le emozioni che scaturiscono dal disegno mentre nel caso degli
sceneggiati si chiede di progettare un film (è un’attività di gruppo utilizzata in molte tecniche di psicologia di
comunità). Il film deve avere un’ambientazione, una trama, un finale, insomma tutti gli elementi di un film e viene
fatto progettare da diversi gruppi. Al termine i progetti vengono messi a confronto e si traggono le emozioni più
salienti;

8. Profilo del futuro: tramite interviste e focus group si indaga su quali siano i timori e le aspettative della Comunità
per creare un piano di intervento (locale o globale, rapporto con i mass media, timori, desideri, aspettative).

METODI DI RICERCA:

La ricerca azione: È il principale metodo di ricerca in psicologia di comunità. Questo termine è stato coniato da Kurt
Lewin nel 1946. Egli aveva individuato una ricerca comparata collegando la ricerca con un tipo di azione per
modificare la realtà. Infatti, secondo Lewin, teoria e pratica sono legati fra loro in un rapporto di circolarità: Si esce
da una concezione deterministica e meccanicistica per entrare in una concezione di circolarità fra aspetti teorici e
pratici.

Obbiettivi: conoscere la realtà e trasformarla per risolvere dei problemi pratic e Procedere nella comprensione
scientifica dei sistemi sociali.

Il processo di ricerca azione classico di Lewin comincia con una fase di


1. Diagnosi (identificare il problema, delle ipotesi, degli obiettivi)
2. Raccolta dati prima dell’intervento
3. Fase di intervento;
4. Fase valutativa raccolta dati dopo l’intervento (pianificazione e azione);
5. Ipoteticamente un nuovo ciclo (valutare le conseguenze dell'intervento, specifica l'apprendimento).

Novità del processo di ricerca azione: circolarità (non unilineare, ci si ferma) e l’ampia partecipazione di un numero
più possibile grande di persone.

Ricerca intervento: l'indagine è che raccoglie conoscenze per stimolare e verificare degli interventi all'interno di
organizzazioni, servizi o comunità. Differenza con la ricerca azione: improntata su un’analisi descrittiva dei fenomeni

Nel 1976 Cunningham presenta un modello procedurale di ricerca-azione in 3 fasi.

1. Abbiamo strumenti di tipo quantitativo (utilizzati per verificare delle ipotesi definite, teorie, sondaggi e
questionari le cui risposte possono essere ricondotte a numeri) e di tipo qualitativo (utilizzati per generare
nuove ipotesi oppure per generare nuove interpretazioni. osservazioni, interviste in profondità, focus group,
il materiale è di tipo discorsivo); essi rispondono ad esigenze diverse ma nella ricerca è auspicabile l’utilizzo
dei due metodi. C’è chi radicalizza queste due modalità ma esse, in realtà esse dovrebbero essere utilizzate
in modo integrato:

2. Disegni quasi sperimentali: Nei disegni sperimentali l’appartenenza di un soggetto ad un gruppo non è
randomizzata ma si rifà a reali appartenenze di gruppo, a differenza dei disegni sperimentali. Gruppo
sperimentale e Il gruppo di controllo “non equivalente” simile a quello sperimentale per qualche
caratteristica (anagrafica, setting di appartenenza o altro). Ad esempio, se vogliamo fare una ricerca in una
scuola su una tematica del bullismo o dell’educazione sessuale possiamo prendere come gruppo di controllo
altre classi di quell’istituto che abbiamo caratteristiche simili (classi parallele con composizione di genere
simile.

Procedimento:
a. un pre-test nei gruppi di sperimentali e di controllo per capire se esse hanno stessi livelli cognitivi, di
conoscenze, di atteggiamenti e comportamenti.
b. intervento sulla classe sperimentale;
c. post-test per vedere se ci sono stati cambiamenti mettendo a confronto i dati rilevati nel gruppo
sperimentale con quelli rilevati nel gruppo di controllo.

metodi qualitativi nascono da un’insoddisfazione verso i metodi quantitativi che talvolta riducono la complessità
degli avvenimenti, eliminando od attenuando l’effetto di molte variabili. Studio dei “casi” richiede un
approfondimento che un metodo quantitativo non è in grado di dare.

L’oggetto della ricerca qualitativa:


I. parte dallo studio di singoli casi (non interessa fare delle statistiche, medie, variante, etc..) ma ci interessa
analizzare un singolo caso;
II. è visto nella sua globalità e complessità non escludendo a priori variabili ritenute irrilevanti. Tutte le variabili
possono avere un significato;
III. è studiato nel suo setting naturale;
IV. Assume il significato che gli danno i partecipanti alla ricerca.

Grounded Theory di Glaser e Strauss (1987): Costruzione di una teoria partendo dai dati (metodo di tipo induttivo) e
non da ipotesi. A partire da questi dati si arriva a una teoria. Processo circolare in cui vi è una continua interazione
tra raccolta ed analisi e formulazione di ipotesi e verifica. Teoria ritorna alla raccolta dei dati fino a che non c'è una
soddisfazione di risultato. Importanza dell’interpretazione: una sensibilità ed una capacità del ricercatore che deve
interpretarli dando loro un significato.

4. Ricerca valutativa: La valutazione è parte integrante della ricerca ma ha uno spazio a sé stante perché è un settore
proprio della ricerca. Essa serve evitare gli sprechi; correggere interventi inutili o mal impostati; scegliere fra più
alternative; controllare le proposte esistenti.
La verifica di un progetto di intervento si basa sulla ricerca di standard oggettivi di valutazione, sennò si può limitare
od ostacolare l’apprendimento di nuove informazioni utili, quello di cui già parlava Lewin riguardo al metodo della
ricerca-azione.

Ci deve essere un monitoraggio continuo dei processi. La valutazione è sempre presente.

PSICOLOGIA COLLETTIVA

La psicologia collettiva si occupa dei fenomeni psicologi dei grandi gruppi:


 Massa: insieme omogeneo di individui che non tiene conto delle differenze presenti al suo interno. Primi
studi si basano su questo concetto.
 Folla: Insieme di individui numericamente presenti in un determinato momento ed in uno stesso luogo.
 Audience della comunicazione di massa
Il fattore cruciale per la psicologia collettiva non è la co-presenza (folla) ma la sensazione di condividere una stessa
appartenenza, momentanea o duratura.

LE TRASFORMAZIONI DELL’INDIVIDUO NELLA FOLLA: LE BON, TARDE E FREUD

L’origine dello studio dei comportamenti collettivi nasce nel XIX secolo con Scipio Sighele (1981) e Gustave Le Bon
(1895). Sono le prime opere di studio delle folle.
La psicologia delle folle si diffonde nei diversi ambiti in Europa (Sighele ad esempio ha interesse criminologico-
forense). Diversi altri autori tentarono di interpretare il significato dei comportamenti collettivi, tra i quali Le Tarde e
Freud.
Il quesito fondamentali di quel periodo: la psicologia delle grandi aggregazioni è la semplice somma delle psicologie
individuali o è invece qualcosa di diverso? Si tenta di spiegare quale sia l’influenza della condizione di folla influisce
sui singoli individui.

LE BON: formula la Legge dell’unità mentale delle folle. L’individuo nella folla:
 subisce una radicale trasformazione;
 perde il controllo di sé stesso;
 lascia affiorare aspetti primitivi e irrazionali.
E per questo compie atti che non compirebbe se si trovasse in una condizione diversa da quella della folla. Quindi
non vi è una somma di elementi ma una combinazione di elementi nuovi. Le Bon parla di anima collettiva della folla:
gli individui che compongono la folla “acquistano una sorta di anima collettiva per il solo fatto di appartenere a
questa, Le Bon ipotizza che:

1. Annullamento della personalità e l’emergere dell’inconscio (contagio reciproco tra le persone, diventano tutti
uguali);
2. Gli individui accettano acriticamente gli imperativi a loro indirizzati per suggestione
3. stato di ipnosi.
4. Sono intellettualmente inferiori rispetto agli individui che le compongono
5. Perdita di inibizione e lo sviluppo di comportamenti distruttivi.
6. L’emotività degli individui si esaspera fino ad arrivare ad una impulsività esagerata.
7. Può essere sentimentalmente migliore o peggiore dell’individuo, a seconda di come viene influenzata. Questa è
l’unica caratteristica positiva che Le Bon riconosce.

Le Bon guarda in modo distaccato le folle, ma sempre con preoccupazione. Sostiene che le considerazioni razionali
non hanno alcuna influenza sulle folle.

TARDE: Respinge la definizione che Le Bon fa della folla. Secondo lui nella folla si conservano le differenze individuali,
non si annulla completamente l’individuo, Tarde parla di imitazione e non di contagio, affermando che nella folla gli
individui si influenzano in uno scambio continuo e reciproco.

FREUD: L’opera di Le Bon suscita il suo interesse. Freud utilizza la nozione di psicologia collettiva e ritiene (insieme a
le bon) che le folle:
a. diminuiscono la razionalità e il senso di responsabilità;
b. Vi è un sentimento di potenza e omogeneità dei comportamenti.
Freud sostiene che nella situazione collettiva non vi sono pulsioni diverse da quelle preesistenti nell’individuo
(diversamente da Le Bon); e che l’aggregazione si fondi sui legami affettivi tra gli individui e sul rapporto tra questi e
il capo, assunto come modello verso il quale tendere.

LA DEINDIVIDUAZIONE E COMPORTAMENTO NEI GRUPPI: LA RICERCA SPERIMENTALE


Salto di alcuni decenni (più di mezzo secolo) per mostrarvi come alcune nozioni vengano poi riprese dalla psicologia
sperimentale per capire cosa accade ad un individuo quando è in una folla.
Zimbardo (1969): parla di anonimato, responsabilità diffusa e ampiezza del gruppo.
Per Zimbardo questi 3 aspetti costituiscono delle variabili (che lui definisce di input) che producono uno stato
psicologico di deindividuazione che porta a impulsività, irrazionalità e regressione.
Secondo Diener (1976) Zimbardo pone un’enfasi eccessiva sulle conseguenze negative dell’appartenenza di gruppo.
La deindividuazione può dare luogo ad un aumento del comportamento prosociale. Johnson e Dowing conducono
una serie di esperimenti rifacendosi allo stesso paradigma sperimentale di Zimbardo. Esperimento:
Sono presenti 2 condizioni: una condizione di individuazione e deindividuazione. Loro però introducono un’altra
variabile di tipo normativo: cercano di rendere ai partecipanti diverse norme sociali importanti per l'esperimento
(che per gli sperimentatori dovrebbero favorire comportamenti aggressivi o comportamenti prosociali).
 Alcuni indossano cappucci che evocano quelli del Ku Klux Klan -> scosse più intense
 ad altri vengono fatti indossare dei camici (quali quelli da infermieri) -> scosse elettriche sono meno intense
Tali indumenti rendono salienti norme diverse che dovrebbero essere correlati a comportamenti più aggressivi o
comportamenti più prosociali. Questi esperimenti evidenziano l’effetto significativo dei comportamenti, in base alla
salienza (scosse elettriche meno intense da chi indossa camice).
Diener sostiene che nella folla non c’è perdita di consapevolezza ma che il comportamento è più influenzato dal
contesto.

Quello che accomuna Zimbardo e Diener è che essere nella folla produce perdita di identità e di conseguenza perdita
di autocontrollo (controllo che deriva dalle proprie norme interne).

Reicher (1984): In una folla gli individui perdono una parte dell’identità personale (meno saliente), ma acquistano
una nuova identità in quanto membri di gruppo: identità sociale.
Il tema della relazione tra i gruppi è al centro degli esperimenti di Reicher sul comportamento della folla tanto che
Reicher utilizza una prospettiva intergruppi quando analizza il comportamento della folla.

DALLA PSICOLOGIA DELLE FOLLE ALLA SCOPERTA DEI GRUPPI:

A seguito della nascita della psicologia delle folle interesse sulla psicologia dei gruppi.
Kurt Lewin: è contro la tesi di Le Bon poiché reputa che la razionalità umana è più potente di quello che sostiene la
psicologia delle folle.
Secondo lui l’irrazionalità delle folle dipende da leader autoritari che usano la propaganda per controllare le folle, le
quali vengono abbagliati facendogli perdere il proprio punto di vista critico (fece infatti teorie sulla leadership
Esperimento di Lewin, Lippit e White (1939)
Classificazione dei gruppi:
Esiste una classificazione basata sui contenuti:
1. Gruppi primari: le interazioni sono dirette; sono connotate da vincoli affettivi; I soggetti hanno un senso di
appartenenza molto stretto (parlano col noi); Si sviluppa un forte senso di lealtà fra i membri (famiglia).
2. Gruppi secondari: hanno obiettivi da raggiungere ma non ci sono necessariamente legami affettivi;
comportano la formazione di ruoli distinti; le persone hanno fra loro relazioni formali.

Esiste una classificazione centrata sull’organizzazione:


1. Gruppi formali: si formano all’interno delle istituzioni; hanno obiettivi ben definiti; Esercitano attività
specifiche. Esempio: associazioni sportive, culturali, religiose, può esserci una gerarchia, partiti politici...
2. Gruppi informali: aggregazioni spontanee; relazioni intense; Esempio: gruppi di amici.

I gruppi di riferimento assicurano una funzione rilevante nella dinamica sociale:


1. Fonti di atteggiamento;
2. Portatori di valori;
3. spesso gli individui si identificano con essi e aspirano ad esserne membri.

Definizioni di gruppo
Lewin (1948): il gruppo è una totalità dinamica caratterizzata dall’interdipendenza fra i membri.
Sherif (1967): il gruppo è una struttura (in termini sociologici) i cui membri sono legati da rapporti di status e ruoli.
Tra i membri:
a. vi sono differenze di potere;
b. vi sono differenze di funzioni;
c. si attivano molte norme e valori comuni.
Tajfel (1981): ha la visione più psicologica del gruppo: ciò che costituisce il gruppo è che le persone sentono di
appartenervi.

LA ENTRATA IN GRUPPO

Iniziazione: entrata in gruppo. Più il gruppo ha qualche tipo di specificità, più è difficile entrare nel gruppo.

Nelle società tradizionali, lontane temporalmente e culturalmente, l’entrare in un nuovo in un gruppo portava riti di
iniziazione con una simbologia che rappresentava la morte della condizione precedente e quindi il passaggio ad una
nuova vita, una nuova condizione.
Secondo Eliade che è uno storico delle religioni ci sono almeno 3 categorie di riti di iniziazione:
1. Riti puberali: ragazzi arrivati all’età puberali venivano e vengono ancor oggi introdotti simbolicamente nell’età
adulta (in alcune zone del mondo ci sono ancora). Spesso questi riti erano duri per stare a rimarca significativamente
la fatica che comporta il passaggio dal vecchio al nuovo stato.
2. Riti per entrare nelle società segrete e confraternite religiose e militari: esistono ancora nelle grandi religioni. Ad
esempio quando un laico entra in un ordine religioso deve seguire un iter iniziatico che prevede riti (per stabilirne
simbolicamente il passaggio) e che fanno accedere l’individuo in una nuova condizione, anche con cambi di nome,
“ribattezzate”.
3. I riti per la chiamata mistica particolare: società lontane dalla nostra. Ad esempio lo sciamanesimo la chiamata
mistica si sostanzia in una serie di fenomeni che annunciano alla persona chiamata e alla sua comunità che essa è
adatta alla funzione di sciamano.

Le funzioni dei riti di iniziazione per l’individuo sono:


 Cambiamento dell’identità sociale: ad esempio quando da semplice membro di un gruppo l’individuo
diventa uno sciamano, cambia la sua identità personale e sociale, ha un nuovo posto che la comunità gli
accorda;
 Stimolare una maggiore lealtà: i riti di iniziazione stimolano una maggiore lealtà del neofita nei confronti del
gruppo obbligandolo a stare dentro dei patti che a volte sono codificati, a volte sono impliciti.
 Fase di apprendistato: i riti di iniziazione fanno sì che l’individuo impari, ad esempio un soldato, un religioso
ecc. Apprendere nel breve tempo dell’iniziazione i significati del loro ruolo.
I riti servono al rafforzamento dell'identità di gruppo (il gruppo dice “Qui ci siamo noi e stabiliamo le regole per far
accedere le persone all’interno del nostro gruppo”). Possono essere particolarmente severi nel senso che il neofita si
può trovare ad affrontare la paura, la solitudine, lo sconforto, il dolore fisico etc. (popolazioni che lasciano il segno
sul corpo: circoncisioni, tatuaggi). Nella società attuale si è dimostrato, attraverso un esperimento degli anni ’50, che
l’iniziazione severa sviluppa preferenza per il gruppo.

Per i bambini: i bambini sono stati osservati nel loro ingresso nella scuola d'infanzia (in più parti del mondo) e sono
state rilevate 3 grandi fasi:
Fase 1: il bambino osserva, rimane a distanza e cerca di rendersi conto di dove è capitato;
Fase 2: il bambino comincia a giocare in parallelo, mima lo stesso gioco dei compagni ma non è invasivo e interattivo;
Fase 3: il bambino comincia a giocare con gli altri.

Dagli studiosi sono state osservate due tipi di tattiche per l’entrata nei gruppi di gioco:
a. a basso rischio: poco intrusive e abbastanza tollerate dal gruppo in cui il bambino gironzola attorno al gruppo, sa
aspettare, fa commenti su ciò che fanno nel gruppo ma non disturba. I bambini vengono in genere accettati, ma se vi
si rimane troppo in questa fase si iene ugualmente non accettato.
b. ad alto rischio: molto intrusive e dispongono al rifiuto del gruppo. In questo caso il bambino si avvicina troppo,
disturba un gioco già in azione, attira troppo l’attenzione su di sé e fa commenti non pertinenti all’attività.

Per gli adulti: Moreland e Levine sostengono che prima dell’entrata in gruppo vi è la fase dell’esplorazione del
gruppo. Possiamo distinguere 2 processi di esplorazione:
1. il reclutamento da parte del gruppo. Il gruppo esamina il neofita per valutare se ha le caratteristiche
adatte al conseguimento dei suoi obiettivi. Il gruppo cerca persone che possano contribuire al
raggiungimento degli obiettivi. Per il reclutamento ci sono degli aspetti :
a. staffing level che riguarda il numero di persone che il gruppo dovrebbe avere per raggiungere certi
obiettivi e il numero di persone che ha attualmente. Ci sono gruppi sottodimensionati o
sovradimensionati. Dal numero delle persone dipende anche l’essere più o meno aperti
all’introduzione di nuovi membri.
b. Apertura o chiusura del gruppo.
2. La ricognizione da parte dell’individuo che cerca gruppi che possano contribuire alla soddisfazione dei suoi
bisogni, raccoglie informazioni sul nuovo gruppo.

LE STRATEGIE DEL NUOVO ARRIVATO


1. esame di ricognizione che raccogliere più informazioni possibili. Più è accurata la ricognizione, più l’individuo
dovrebbe essere protetto dalle brutte sorprese.
2. Essere prudente: mostrare di saper attendere, restare volontariamente marginali, aspettare il proprio turno. Se il
neofita si pone in modo troppo assertivo, spiegare agli altri come si fanno le cose (e così via), rischia di avere un
grande rifiuto a meno che non arrivi con una reputazione così alta che possa saltare questa fase
3. Cercare dei “tutori” referenti di fiducia del gruppo (formatori, mentori, sponsor, modelli).
Dovrebbe essere preso come punto di riferimento uno degli “anziani del gruppo”. Questi tutor possono essere di
vario tipo: formatori, l’istituzione incarica un membro di fare il tutor. I mentori che hanno la tendenza a fare gli
insegnanti e possono essere d’aiuto al neofita. Gli sponsor che conoscono il neofita ed hanno caldeggiato la sua
Entrata, infine ci sono i modelli, che hanno particolari talenti che li rendono interessanti agli occhi dei neofiti. I
modelli son sanno di essere tali per la persona.
4.Allearsi con altri nuovi arrivati perché svanisce l’angoscia di essere soli e si divide con altri questa condizione di
noviziato.

SOCIALIZZAZIONE E SVILUPPO DI GRUPPO

La socializzazione è un processo di apprendimento sociale che rende un individuo il membro di un gruppo o di una
comunità. Da una parte abbiamo delle persone che
fungono da agenzie di socializzazione mentre dall’altra parte abbiamo un socializzando. Processo interattivo,
influenza reciproca. Esempio: un bambino che entra nella scuola materna. Quindi i processi di socializzazione sono
sempre bidirezionali.
Attraverso la socializzazione si entra nella cultura di gruppo. La cultura di gruppo è:
a. una visione della realtà fortemente condivisa;
b. costumi comuni come routine, aspetti rituali, look, linguaggio, simboli che possono essere fortemente compresi
solo dagli appartenenti al gruppo (tante volte nei gruppi ci sono le tacite intese per cui basta un gesto per
comprendersi). Esempio nella tifoseria sportiva o gli scout in cui ci sono simboli e rituali che fanno parte della cultura
di gruppo.
Moreland e Levine: processo di socializzazione
Sia l’individuo, sia il gruppo sono parti attive. È la teoria più accreditata sulla socializzazione di gruppo. Il processo è
bidirezionale e non c’è nessuna prevaricazione dell’uno sull’altro.
In questa teoria ci sono 3 processi psicologici di base:
1. Valutazione: Tanto il gruppo quanto l’individuo si chiedono quanto possano guadagnare da questo ingresso al
gruppo;
2. Impegno: è legato alla valutazione. Se il soggetto decide che vale la pena entrare nel gruppo, si impegnerà per
entrare nel gruppo. E così il gruppo, quando deciderà che il soggetto è adeguato al gruppo si impegnerà nei confronti
di questo individuo;
3. Transizione di ruolo: ogni volta che il livello di impegno si alza o si abbassa cambia il ruolo

Fasi:
1. Esplorazione: il gruppo recluta nuovi membri adatti alla cultura di quel gruppo. Il reclutamento e la
ricognizioneSe tutto va bene si verifica l’entrata in gruppo .
2. Socializzazione: l’individuo entra nella cultura del gruppo. Da un lato il gruppo cerca di modificare l’individuo per
adattarlo ai suoi scopi. Se tutto va bene c’è un processo di assimilazione del proprio membro e lo rende abbastanza
vicino ai suoi standard di appartenenza. D’altro canto l’individuo cercherà di modificare il gruppo in modo da
soddisfare i suoi bisogni e quindi ci sarà sempre una relativa tensione. Se l’individuo riesce a produrre modifiche nel
gruppo si parla di accomodamento. Se si realizzano assimilazione e accomodamento si compie la transizione di ruolo
della accettazione e a questo punto quello che era un nuovo arrivato, diventa membro a pieno titolo nel gruppo;
3. Mantenimento: negoziazioni di ruolo. È una fase di un relativo equilibrio fra l’individuo e il gruppo. Il gruppo cerca
un ruolo funzionale ai propri fini. L’individuo cerca un ruolo soddisfacente ai propri bisogni. Ad esempio: il gruppo ha
bisogno di un capro espiatorio e all’individuo non va questo ruolo. In questa negoziazione tra individuo e gruppo
possono nascere delle divergenze, segue cosi:
4. Risocializzazione: gruppo ed individuo cercano un nuovo equilibrio tra i reciproci bisogni. Può succedere che il
gruppo e l’individuo trovino un accordo e in questo caso si attiva una convergenza con processi di assimilazione e
riaccomodamento con una nuova transizione di ruolo ed una nuova fase di mantenimento. Nel caso non riescano a
trovare accordo ed un equilibrio, vi è la transizione di ruolo dell’uscita. L’individuo esce dal gruppo.
5. Ricordo di gruppo: (positivo o negativo) se non si superano le divergenze l’individuo esce dal gruppo e c’è un
ricordo di gruppo ed uno dell’individuo che può essere sia positivo che negativo. Il gruppo ha un ricordo
dell'individuo.
Le fasi descritte non si succedono necessariamente nel modo previsto dal modello.

SVILUPPO DI GRUPPO: Lo sviluppo di gruppo ha un suo decorso temporale, delle trasformazioni che segnano
passaggi dalla sua “nascita” alla sua “morte”. E tiene conto delle sue trasformazioni nel tempo.
Modello McMurrain e Gazda (1974): Il modello nasce dall’osservazione di un gruppo di 8 psichiatri. Modello con 4
stadi:
1. Esplorativo: interazioni esitanti, prime conoscenze;
2. Di transizione: comportamento empatico. Le persone cominciano a conoscersi di più, c’è più empatia
reciproca (benessere).
3. Dell’azione: centraggio sul compito. In questo caso il gruppo di psichiatri lavora molto sul counseling;
4. Della conclusione: sentimenti conflittuali di gioia e tristezza. Le persone cominciano a lasciarsi. Sentimenti
conflittuali perché da un lato si è contenti di aver concluso il lavoro, dall’altro dispiaciuti di lasciare il gruppo.

Il modello di Tuckman (1965), che ha avuto aggiunte negli anni ’70 costruito sulla base di osservazione di circa 50
gruppi di tutti i tipi (terapeutici, volontari).
1. Forming (formazione): comportamento esitante e ansioso. Le persone cercano di capire cosa devono fare,
orientamento verso il compito.
2. Storming (conflitti): Difficoltà a lavorare insieme. La conflittualità è sia dal punto di vista socio-emozionale
che dal punto di vista del compito (si fa fatica a lavorare insieme);
3. Norming (costruzione delle norme): le persone cominciano a stare bene insieme. Dal punto di vista del
compito cominciano a lavorare bene insieme.
4. Performing (prestazione): lavoro cooperativo per raggiungere gli obiettivi, presenta empatia.
5. Adjouring (sospensione): stadio della conclusione. Si fronteggia la fine del gruppo e si conclude il compito.
C’è l’adjourning ottimistico in cui le persone non vogliono che si chiuda il lavoro e si sciolga il gruppo e quello
pessimistico in cui, invece, si sviluppano sentimenti negativi e di apatia per il gruppo con conseguente
rigetto.
Critica: modello costruito su gruppi che hanno troppe caratteristiche diverse per essere assemblate in queste fasi
temporali.

Il modello di Worchel (1991): Ha costruito il suo modello su dei gruppi reali (movimenti sociali, politici e religiosi) ed
ha distinto 6 fasi. Secondo lui un gruppo nasce sulla base di un altro gruppo che ha finito la sua funzione. Modello più
recente. Fasi:
1. Periodo di malcontento: scontentezza e apatia
2. Evento precipitante: Le persone scontente sperano di fondare una nuova realtà (può essere un gruppo politico,
religioso, di tifoseria. Ecc). È un evento preciso, ad esempio lo scisma della chiesa d’Inghilterra che ha subìto uno
scisma in relazione alla proposta della nomina di sacerdoti data alle donne.
3. Identificazione di gruppo: È la fase dell’innamoramento dello stare bene nel gruppo. In questo caso il gruppo è
chiuso perché c’è coesione e equilibrio.
4. Produttività di gruppo: il gruppo si centra sugli obiettivi e a questo punto si accettano anche nuovi arrivati perché
possono portare dei contributi utili alla realizzazione di obiettivi. In questa fase si evitano i conflitti.
5. Individuazione: diminuzione dell’investimento sul gruppo e le persone cominciano a centrarsi sui Propri bisogni
individuali. È una fase di conflitto. Ci si vede come delle entità distinte dagli altri (contrario della identificazione).
6. Declino: il valore del gruppo è rimesso in discussione, Potrebbe essere un gruppo di lavoro in cui la produttività
diminuisce moltissimo. Ci sono conflitti ed è possibile che si apra una nuova fase di malcontento e che dal gruppo si
distacchi un altro gruppo.

IL SISTEMA DI STATUS
È la posizione che gli individui occupano nel gruppo e la valutazione di questa su una scala di prestigio. La valutazione
è consensuale. La differenziazione di status dà luogo a delle gerarchie che possono essere informali (ad esempio
gruppo di amici) o formali (ad esempio gruppo di lavoro, istituzioni). Formale e informale si sovrappongono a volte
fra di loro.
Gli indicatori di status sono gli elementi che ci danno informazioni su chi è più importante e chi è meno importante.
Tali indicatori sono:
o la tendenza a prendere iniziative (attività ed idee) che vengono poi seguite dal gruppo. Ci sono persone che
sono più in grado di altre di essere seguiti.
o Tutti sono d’accordo che una persona occupi un posto nella scala gerarchica. Può accadere che di una
persona non ci si accorga se è assente (basso status)

Abbiamo diverse correnti che spiegano la formazione dello status nel gruppo:
1.Corrente ecologica: studia il problema con l’osservazione naturalistica. Già dalle prime interazioni ci sono degli
indizi percettivi importanti: la statura, l’espressione del volto, la voce suadente, la muscolatura, la capacità di
guardare gli altri mentre si parla (questo è considerato un indice di dominanza perché non si ha paura di fissare gli
altri mentre si parla). Si delineano persone candidate a fare i leader (decisione, parlare in pubblico, indizi di natura
corporea, ecc.)
2. Teorici degli stati di aspettativa: affermano che non sono tanto importanti gli indici percettivi quanto le aspettative
sul contributo dei membri per raggiungere gli obiettivi. Ad esempio, in una squadra che va male arriva un nuovo
allenatore, i membri della squadra si fanno delle aspettative su di lui per avere risultati migliori. Lo status elevato
viene dato con dei tratti congruenti alle aspettative di gruppo.

Queste due teorie non sono in contraddizione.


È probabile che nelle primissime interazioni si dia importanza alle caratteristiche percettive ma successivamente
servirà mostrare delle competenze congruenti con le aspettative di gruppo. È possibile cambiare la gerarchia di
status per due ordini di cause:
a. cause interne al gruppo: ad esempio un evento catastrofico per cui il leader si allontana (ciò produce un vuoto che
deve essere colmato). Gli studi naturalistici sui gruppi informali di adolescenti mostrano che se il leader si allontana
prenderà la sua posizione un membro che si trovi ad un livello intermedio.
b. confronto o conflitto con gli altri gruppi. Ad esempio gli esperimenti nel campo estivo di Sherif (1966) fu osservato
che quando veniva scatenata la competizione si scatenava anche all’interno del gruppo una rielaborazione dei ruoli
presenti fra cui un cambio di leadership. Veniva scelto il ragazzo più competitivo, più arrogante e combattivo.
Funzioni dello status:
1. creare un ordine ed una prevedibilità nella vita di gruppo;
2. coordinare le forze per raggiungere gli obiettivi. Lo status riguarda tutta la gerarchia.
3. permette l’autovalutazione di ogni membro del gruppo. Ognuno prende degli spunti per giudicare se stesso in
mezzo agli altri e giudicarmi anche come persona.

IL CONCETTO DI RUOLO
Il ruolo è un insieme di aspettative condivise che hanno tutti i partecipanti sul modo in cui dovrebbe comportarsi in
una certa posizione (insegnante e alunno). Generalmente queste attese sono onorate e consensuali (ad esempio
anche medico -paziente).
Distinzione tra ruolo e status: Lo status riguarda la gerarchia interna, mentre il ruolo riguarda i comportamenti dei
vari membri.

L’esperimento di Zimbardo (1972): studio sulla “vita in prigione”. Tutti maschi con un buon equilibrio psicologico.
Guardie e prigionieri vengono attribuiti per sorteggio. Il tempo previsto era di massimo due settimane di seguito. La
procedura sperimentale prevedeva che le guardie venissero informate sui limiti etici e pratici della simulazione. Il
primo giorno viene simulato l’arresto dei prigionieri.
Da ultimo viene simulata la vita di prigione in un seminterrato della Stanford University.
Risultati: dopo due giorni i “prigionieri” si ribellano contro le “guardie”, che misero in atto vessazioni (anche
particolarmente crude) per ridurli in obbedienza. Quattro prigionieri dovettero essere dimessi per gravi disturbi
emozionali e psicosomatici. Le guardie mostrarono in generale un aumento dell’aggressività e della violenza, oltre il
loro mandato iniziale. I prigionieri assunsero una posizione di grande passività, dando il segno di aver perso la loro
identità personale, quasi un segno di deindividuazione.
Questo esperimento ha mostrato che i comportamenti osservati non erano espressione di caratteristiche di
personalità ma di modelli di risposta specifica a istituzioni e ruoli sociali.
Ha mostrato quanto i ruoli sono forti. Gli psicologi cognitivisti parlano di script cioè copioni che si imparano quando
si apprende un ruolo.

Ruoli informali: non sono soggetti ad un copione stabilito formalmente. 4 tipi:


1. Nuovo arrivato: richiede attendismo, riguardo, prudenza nell’entrata
2. Leader
3. Capro espiatorio: molto importante perché si prende tutte le colpe del gruppo e alleggerisce così le tensioni di
gruppo
4. Clown: Alleggerisce il gruppo con battute e barzellette. (Bergon)

Le funzioni dei ruoli:


a. Facilitano il raggiungimento dello scopo nel gruppo;
b. portano ordine e prevedibilità nel gruppo;
c. contribuiscono all’autodeterminazione dei membri.

COMUNICAZIONE: ci sono 2 concetti:


 Struttura di comunicazione: insieme di comunicazioni che si sono effettivamente scambiate nel gruppo. Per
esempio noi possiamo contare (chi parla di più o di meno, i contenuti delle comunicazioni, il destinatario
delle comunicazioni; e in base a questi aspetti comunicativi noi possiamo decidere chi è più importante nel
gruppo)
 Rete di comunicazione: è un insieme di canali di comunicazione e quindi rappresenta le condizioni materiali
presenti che rendono possibile la comunicazione. Questi canali sono delle condizioni materiali che rendono
possibili il passaggio delle informazioni (mail, un telefono, messaggero a cavallo).

Processi della partecipazione


Diversi modi di comunicare:
1. comunicazioni calde (emozionali);
2. comunicazioni fredde;
3. comunicazioni spontanee (naturali);
4. Comunicazioni formali: in cui si usa un linguaggio stereotipato e non si può uscire da certi canoni.
L’elemento chiave per distinguere questi tipi di comunicazione è la partecipazione.
Moscovici e Doise parlano di
a. partecipazione consensuale: i membri si esprimono liberamente (anche nel conflitto) e non sono soggetti a
gerarchia. C’è discussione e conflitto perché nella comunicazione spontanee possono emergere divergenze
che devono essere risolte con dialogo o negoziazione. Comunicazione diretta dove le persone si sentono
dentro le decisioni del gruppo, ma costosa in termini di tempo;
b. partecipazione normalizzata: la discussione è regolamentata dalla gerarchia. È meno spontanea. Le
persone parlano con l’ordine di beccata (in termini etologici). C’è meno conflitto. I tempi sono più rapidi.
Quello che succede in queste discussioni non è mai molto vero, autentico. Le persone escono con le stesse
idee e non persuase, anzi, usciti dal una riunione in cui vi sia questa forma di comunicazione potrebbero
lavorare nella direzione della propria opinione non espressa (magari in extra-gruppo).
Da un punto di vista psicologico è più positiva una comunicazione consensuale che fa emergere la partecipazione di
tutti che hanno la potenzialità di portare dei cambiamenti e profonde innovazioni nella vita sociale.

NORME DI UN GRUPPO:
Aspettative condivise riguardo il comportamento. Definiscono ciò che è accettabile per i membri di un gruppo
Sherif (1967): l'essenza di un gruppo è determinata dalla sua struttura e dalle sue norme.
Le caratteristiche delle norme sono:
 Esplicite: sono norme codificate e scritte, e talvolta sono sanzionati, in modo diverso, nel caso in cui siano
violati. (es. codice deontologico)
 Implicite: non sono scritte e non sono espresse in maniera manifesta, ma anch'esse possono avere una certa
forza, a volte più di quelle codificate (es. codice d'onore).

 Centrali: si riferiscono a questioni cruciali per il funzionamento del gruppo. Sono fondamentali per l'esistenza
e l'identità di un gruppo. Chi devia è punito in maniera esemplare.
 Periferiche: sono norme che riguardano questioni marginali. (es: scontro fra genitori e adolescenti su
abbigliamento o gusti musicali). Quindi la centralità percepita può differire da soggetto a soggetto.
All’interno del gruppo le persone possono commettere piccole violazioni a seconda dello status. Da chi ha una
funzione di leadership ad esempio, ci si aspetta un’osservanza di tutte quelle norme centrali più rispetto a un altro
membro del gruppo, allo stesso tempo, il leader può permettersi delle piccole violazioni delle norme centrali.

Origine delle norme: Le norme sociali si apprendono attraverso un processo di socializzazione. Tuttavia i gruppi
generano delle norme proprie. Lo sviluppo delle norme:
 Norme istituzionali: norme già esistenti, i membri non devono quindi darsi delle norme (ad esempio un
gruppo scout o all’interno di un’università);
 Norme volontarie: nascono attraverso un processo di negoziazione fra i membri del gruppo;
 Norme evolutive: si sviluppano in maniera informale partendo da pratiche utili che diventano delle norme
non scritte

Ricerca di Sherif sulla formazione delle norme


L’esperimento di Sherif sull’effetto autocinetico (1935) : Lo scopo è lo studio della formazione delle norme in
condizioni individuali e in condizioni di gruppo. Sherif usa l’effetto autocinetico: se siamo in una stanza buia e
fissiamo un punto un luminoso fermo ci sembrerà che il punto oscilli. Se chiediamo di quanto ha oscillato il punto a
ogni persona,
Ciascuno risponderà secondo una certa gamma di valori, in modo soggettivo. Quindi lo stimolo è di tipo percettivo e
ambiguo. Ci sono due condizioni sperimentali: individuale (esposizione al punto), di gruppo (stimare l'ampiezza
dell’oscillazione, la stessa deve fornire nuovamente la stima in seguito all’ascolto dell'ampiezza).
Il risultato dell’esperimento vede che nelle condizioni individuali si tende ad avere una gamma limitata di valori di
oscillazione del punto, ognuno si forma una sua norma per orientarsi. Nella condizione di gruppo si tende a
convergere verso una norma collettiva. Quindi si osserva un processo di influenza reciproca e quindi il valore
dell’ampiezza tende a convergere verso un valore centrale in un processo chiamato di normalizzazione.

Funzioni delle norme:


1. Avanzamento del gruppo: funzionali al raggiungimento degli obiettivi. Nelle situazioni di emergenza le
norme divengono rigide per incrementare la coesione: pertanto esistono situazioni in cui il margine di
deviazione è molto ristretto (fenomeno del group think);
2. Mantenimento in vita: le norme permettono al gruppo di continuare ad esistere in quanto entità (in famiglia:
questa casa non è un albergo);
3. Costruzione di una realtà sociale: Un gruppo quindi può fornire delle regole interpretative che servono ad
orientare le persone in situazioni di incertezza.
4. Definizione delle relazioni con l’ambiente sociale (altri gruppi): Quello che ci identifica ci consente di
distinguere dagli altri gruppi e di relazionarsi a loro.
Le norme non sono immutabili: Cambiano in base alle esigenze sociali e di gruppoq.

Le norme sociali.
Ogni cultura ha delle norme proprie, condivise al di là dei gruppi sociali.
Il contenuto delle norme sono di:
● norma di reciprocità: universale; impone di restituire agli altri i beni e i servizi che ci vengono offerti e le
concessioni che ci vengono fatte o potrebbero esserci fatte in futuro;
● norme di distribuzione: conseguenza della norma di reciprocità (giustizia e cooperazione nei gruppi);
● norma di responsabilità sociale: impone di dare aiuto a chi è dipendente da noi e chi si trova in situazione di
bisogno. È collegata alle norme giuridiche che esprimono, un valore condiviso, di ciò che è lecito e che è illecito
(omissione di soccorso). Questa norma opera sia a livello di interazioni intime sia a livello sociale.

LEADERSHIP:

Il potere è la capacità di influenzare o di vincere resistenze degli altri: i membri vengono convinti che il leader ha
ragione (l’adesione) o lasciandosi dirigere senza opporre resistenza (l’acquiescenza).
L’autorità è la legittimità dell’esercizio del potere che si fonda su regole stabilite e sul rispetto ad un certo campo di
attività.
Il controllo è la valutazione del conseguimento degli obiettivi e ci si assicura che sia rispettato il patto fra gli attori
sociali.
La leadership è una forma di influenza sociale, a cui gli altri aderiscono in maniera volontaria e che porta a
un’accettazione soggettiva e motivata, la persona può influenzare gli altri membri di gruppo più di quanto essa stessa
sia influenzata. Anche il leader è influenzato dagli altri appartenenti del gruppo.
Le teorie del grande uomo: le prime teorie sulla leadership, in cui si è cercato di trovare un set di tratti di personalità
che rendono una persona leader dalla nascita (quindi si è, e non ci si diventa).
Le teorie dei tratti:
I tratti caratteristici correlati positivamente con la leadership sono: intelligenza (critica e decisionale), personalità
(creativa, socievole, fiducia in sé), abilità (saper ottenere collaborazione).
Critiche alle teorie dei tratti:
Si tralasciano gli elementi situazioni e gli atteggiamenti dei seguaci, non si e arrivati a creare un set di tratti valido per
tutte le leadership e non si considerano i comportamenti a seconda delle situazioni e la leadership è in ogni caso un
processo interattivo.

Stili di leadership (Lewin, Lippit e White 1939).


Esperimento del 1939: vennero condotti esperimenti su tre stili di leadership messi in rapporto a due variabili: al
clima di gruppo (ostilità, serenità) e la produttività.
Nelle scuole con ragazzini preadolescenti che facevano attività doposcuola. Venivano divisi in vari gruppi in cui
venivano create tre diverse “atmosfere sociali” indotte da diversi
tipi di leadership. Nell’esperimento sono stati cambiati almeno due tipi di leadership in modo che si fosse sicuri che
gli esiti fossero dovuti al tipo di leadership e non ad altre variabili. Vengono presi in considerazione tre stili di
leadership:
❖ Autocratica: regola l’attività del gruppo, decide i metodi di lavoro e i compiti dei singoli, tende a fare commenti
personali e non prende parte al lavoro comune. Organizza, resta distaccato, non rende partecipi, dirige, inibisce le
comunicazioni. Risultati: buona produttività, raggiungimento degli obbiettivi velocemente, ma forte dipendenza dal
leader. In questi gruppi il clima non è buono. Ci sono forme di aggressività tra pari perché, non potendo i ragazzi
esprimere aggressività verso il leader autocratico, la indirizzano fra loro.
❖ Democratica: in questo caso il leader democratico discute le decisioni e le attività con i membri del gruppo, è
amichevole, disponibile con loro e non inibisce i contatti, è un leader
partecipativo. Risultati: la produttività è discreta anche se non alta come quella del caso precedente. I membri
dimostrano buona motivazione e capacità di autogestione perché quando il leader esce continuano le attività. Il
clima è sereno.
❖ Permissiva: interviene poco o per niente, lascia liberi i soggetti di agire. Risultati: la produttività è bassissima
perché non si sa cosa fare e il clima è caotico, quindi non buono, con tratti di aggressività sia nei confronti dei pari
che nei confronti del leader.

Modello della contingenza:


Questi modelli considerano l’interazione fra gli stili di leadership e la situazione in cui si trova il gruppo. Differenza tra
● Leadership centrata sulla relazione (LPC alto): abbiamo un funzionamento positivo in
situazioni intermedie cioè né tanto positive né tanto negative (che sono la maggior parte nel modello di Fiedler) con
un controllo moderato sulla situazione;
● Leadership centrata sul compito è efficace in situazioni o molto favorevoli o molto sfavorevoli.
Secondo gli studi di fiedler I fattori che indicano la situazione più o meno favorevole per il leader sono: la qualità dei
legami tra leader e membri, il livello di struttura del compito (chiaramente strutturato, più ambigui), il potere del
leader (alto/basso).
Critiche al modello di Fiedler: eccessiva semplificazione dei fattori situazioni; rimanda ad una teoria dei tratti; le
ricerche sperimentali successive non confermano in toto il modello.

Teoria transazionale di Hollander


È centrata sugli scambi tra leader e collaboratori, per cui il leader acquista un vantaggio concedendo qualcosa ai
seguaci. Hollander ritiene che la leadership sia il frutto di una continua negoziazione tra leader e membri, non è un
dato acquisito in modo stabile ma soggetto a verifica, negoziazione, è mutevole nel tempo. Oltre al leader, secondo
Hollander bisogna considerare anche i Seguaci, che decretano il successo o meno del leader.
Ha introdotto il concetto di credito idiosincratico = il leader deve guadagnare attivamente credibilità nei primi
contatti col gruppo attraverso:
1) Conformità: il leader più influente dovrà conformarsi alle norme iniziali del gruppo quando entra, per poi
cambiarle successivamente (strategia di tipo attendista);
2) Legittimità: si distinguono leader legittimi ( può essere eletto, più efficace o imposto
dall’esterno, meno efficace). Ci sono leader impliciti non eletti formalmente;
3) Competenza rispetto agli scopi, se mostra un incompetenza il leader non viene accettato;
4) Identificazione forte del leader con gli scopi.

Modelli trasformazionali e carismatici:


Tra gli approcci ricordiamo:
La Leadership Trasformazionale (Burns): cambia gli individui coinvolti ma allo stesso tempo cambia il leader (es.
Gandhi). È un processo per cui il leader si impegna attivamente coi suoi seguaci, creando con essi una interrelazione
che eleva sia la propria motivazione che quella dei sottoposti. Il leader è attento ai bisogni delle persone a lui
subordinate, stimola le loro motivazioni, sviluppa le loro potenzialità e offre delle prospettive etiche a lungo termine.
È una leadership molto forte e coinvolgente, si chiama trasformazione poiché coinvolge lui stesso nel processo di
cambiamento oltre che i seguaci.

Leadership Carismatica: concetti molto vicini al modello precedente. Il leader carismatico:


- offre forti modelli di ruolo;
- ha delle competenze superiori all’obiettivo;
- pone degli scopi ideologici ed etici;
- ha delle aspettative molto elevate nei confronti dei seguaci;
- attiva dal profondo le motivazioni dei suoi seguaci.
Il leader carismatico desidera influenzare gli altri, fiducia in sé, consapevolezza dei propri valori morali. Fornisce forti
modelli di ruolo ai seguaci, mostra loro alta competenza, esprime chiaramente scopi ideologici, comunica ai seguaci
un alto grado di aspettative su di loro, attiva motivazioni rilevanti per il compito.
Gli effetti di questo tipo di leadership sono molto potenti, produce spesso un’accettazione incondizionata della sua
leadership e a volte l’affetto che porta a devozione. Un problema di questa leadership può essere che i seguaci non
sono autonomi, lo seguono senza essere diventati indipendenti.

Modello di Bass e Avolio (1994): Tale modello prevede tre tipi di leadership:
❖ La leadership trasformazionale. Caratteristiche:
o L’influenza idealizzata: leader rispettati poiché antepongono i bisogni degli altri ai propri,
comportamento etico, morale. Danno una visione della meta e danno un’identità all’organizzazione;
o Motivazione ispirazionale: motivano i seguaci, rendono significativo il lavoro, esplicitano le loro
aspettative nei confronti dei membri del gruppo;
o considerazione individualizzata: attenti ai bisogni di crescita dei loro sottoposti;
o Stimolazione intellettuale: stimolano dal punto di vista cognitivo, intellettuale.
❖ La leadership transazionale: è più pragmatica. Si basa su:
o sulla ricompensa contingente: rinforzi positivi (premi materiali o simbolici);
o direzione per eccezione: critica e rinforzo negativo, spiega cosa non è andato bene su un tipo di
lavoro.
❖ La non leadership (permissiva). Si notano:
o atteggiamenti lassisti;
o con rifiuto delle responsabilità;
o l’assenza di scambi con i seguaci;
o mancanza di feedback.
Bass e Avolio nella loro teoria sostengono che i leader più efficaci (in grado di produrre i migliori risultati) sono quelli
trasformazionali, negativa è la posizione di non leadership.

Coesione, conflitto e processi carismatici nel gruppo


Forze centripete: sono forze che tendono a tenere unito il gruppo, portano all’uniformità del gruppo, sono forze
centripete la coesione e conformità stabili. La conformità influenza della maggioranza.
Forze centrifughe: segnalano delle divergenze e portano a delle spaccature nel gruppo: la devianza , il conflitto,
scisma (spaccatura di un gruppo, secessione di uno degli individui da quello originario e forma un gruppo a sé).
o La devianza: il deviante è una persona che dentro un gruppo presenta posizioni diverse da quelle della
maggioranza. Ripercussioni che portano innovazione e creatività (moscovici) ma anche cose negative. Si
cerca di far rientrare il deviante nella maggioranza tramite la comunicazione, ma se il deviante continua a
mantenere la sua posizione: può allontanarsi lui stesso dal gruppo o viene emarginato, oppure può portare
innovazione e sviluppo.

Coesione:
La teoria di Tajfel: due poli estremi in un continuum.
1) Polo interpersonale, si riferisce all’attrazione personale dove i soggetti si comportano con le altre persone in base
alle proprie simpatie e antipatie e il legame che si insta è fortemente personalizzato anche all’interno di uno stesso
gruppo (ecco perché si creano sottogruppi).
2) Polo intergruppi: ci comportiamo nei confronti di un altro trattandolo come membro di un gruppo, non è l’identità
personale che ci interessa ma l’identità sociale e il legame che si crea è un legame depersonalizzato (accetto e
difendo ogni persona che fa parte del mio gruppo anche se non mi piace).
Il modello del continuum è applicabile a tutti i tipi di gruppi e mette in evidenza come i fenomeni di gruppo siano
diversi da quelli interpersonali.

Tajfel afferma che la condizione essenziale per la comparsa di forme estreme di comportamento intergruppi è la
credenza secondo cui i confini tra i due gruppi sono definiti in modo rigido ed immutabile per cui non è possibile che
gli individui passino da un gruppo all’altro. Molti studiosi pensano che la divisione in gruppi provoca già di per sé
stessa una spinta alla competizione, ma Tajfel dimostra che se due gruppi che sono in rapporto tra loro si pongono
degli scopi competitivi, giungono al conflitto intergruppi, mentre se tra loro si pongono scopi sovraordinati, giungono
a una cooperazione reciproca.
Secondo Hogg, allievo di Tajfel . Abbiamo tre fasi di coesione:
1.Fase in cui la coesione viene studiata come concetto unidimensionale: la coesione si concepiva come attrazione
interpersonale.
Shacter e Beck fanno Uno studio prototipico su Westgate di Festinger (anni ’50):
Descrizione: in un campo universitario ci sono due quartieri in cui alloggiano gli studenti, il westgate e il
westgate west, nel prime le casette sono disposte a U (maggiore prossimità fra gli studenti), invece nel
quartiere Westgate West ci sono edifici più grandi in cui l’organizzazione è di tipo condominiale, minore
prossimità, comunicazione e conoscenza reciproca. Gli studenti quando arrivano al campus vengono
assegnati a caso ai quartieri. Risultati provano che i livelli di socializzazione e di coesione maggiori avvengono
nella zona con edifici piccoli disposti ad U  Tipo di urbanizzazione influenza la coesione.

2.Fase critica: si critica la concezione unidimensionale di coesione poiché troppo povero per descrivere fenomeni
sociali (limitata e poco chiara).

3. Concettualizzazione multidimensionale: La coesione è visto a più dimensioni. Per Hogg (1992), che utilizza il
continuum del comportamento sociale di tajfel, mostra che la coesione è un fatto attrattivo ma deve essere distinto
tra:
● attrazione personale: polo interpersonale, Prevale l’identità personale, legame personalizzato, c'è
coesione.
● attrazione sociale: come ci comportiamo nei confronti dell’altro non come persona ma come membro di
un gruppo. Qui opera l’identità sociale, viene prima il senso dell’appartenenza di gruppo, legame
personalizzato: ogni membro di un gruppo è intercambiabile e non unico ed irripetibile. Ci possono essere
situazioni di attrazione individuale ma se ci sono persone che non si piacciono c’è lealtà, che non permette di
denigrare altri membri del gruppo (attrazione sociale), esempio: partito politico. Questo modello è
applicabile a tutti i tipi di gruppi, sia piccoli che grandi, sia formali che informali. Il modello si riferisce anche a
relazioni intergruppi.

Esperimento sulla devianza (shachter, inizio anni ’50).


Lo scopo era quello osservare come viene trattato un deviante all’interno del gruppo. Soggetti: 32 gruppi di 5/7
soggetti ingenui e 3 complici.
Variabili: coesione interna del gruppo e rilevanza, e ruolo dei complici: deviante (aspetta che nel gruppo si delinei
una posizione maggioritaria per affermare l’opposto), lo slider (colui che cambia, all’inizio ha un parere di tipo
deviante e poi si allinea), mode (ha delle posizioni decisamente maggioritarie).
Compito: discutere di un caso di un giovane delinquente Johnny Rocco che aveva avuto disgrazie nella vita,
presentato in modo empatico da trovare attenuanti e proporre punizione addolcito per maggior parte delle persone.
Risultati: quando il deviante esprime il giudizio sul giovane le comunicazioni con lui sono molto intense fino a un
picco comunicativo sperando di convincerlo, quando non ci si riesce c’è una caduta delle comunicazioni col deviante.
Quando il deviante viene giudicato risulta
il più antipatico del gruppo. Tanto più i gruppi sono coesi tanto più forte è il rifiuto del deviante. La rilevanza, invece,
ha un peso minore sulla chiusura del gruppo.

Risposte negative del gruppo verso il deviante:


● Rifiuto esplicito e totale: il deviante non è accettato si può anche decretare l’espulsione.
● Rifiuto parziale: ci si accorge che il deviante dice anche delle cose giuste o vere, ma, con l'esterno facciamo finta
che siamo in disaccordo per proteggere la propria reputazione.
● Disconferma: Si fa come se il deviante non esistesse e in genere il deviante se ne va.
● Ridicolizzazione: mettendolo nel ridicolo.
● Naturalizzazione: rovinare la credibilità del deviante, attribuendo ai suoi comportamenti, alle sue idee delle
presunte caratteristiche naturali. Questa naturalizzazione si può manifestare in 3 forme:
-Biologizzazione: attribuire caratteristiche biologiche al deviante tali per cui non può essere creduto: ad
esempio: è solo una donna, è gay…
-Psicologizzazione: si mette in risalto una presunta caratteristica psicologica: è paranoico, nevrotico, troppo
ansiosa..
-Socializzazione: caratteristica sociale o religiosa: è un poveraccio, un musulmano, un comunista. ..

L’esperimento di Worchel e al. (1991): ipotesi se i gruppi sono in una fase iniziale in cui si stanno costruendo sono
molto più duri nei confronti del deviante rispetto a quando il gruppo si è formato da tempo. Worchel ha costruito un
esperimento basato su 3 tipologie di gruppo:
➔ Gruppo iniziale (formato da poco);
➔ Gruppo avanzato;
➔ Aggregato (non gruppo).
Il compito è la discussione del caso di Johnny Rocco. Il risultato conferma che i gruppi appena iniziati hanno un
comportamento più rifiutante rispetto a quelli avanzati.

CONFLITTO : Ci sono almeno due tipi di conflitto:


➢ conflitto costruttivo: fa discutere, negoziare, apre nuove prospettive nel gruppo
➢ conflitto distruttivo: mira a scardinare la forza del gruppo.

I tipi di conflitto possono essere :


 di opinioni: si riferisce all’interdipendenza delle informazioni (quando nascono delle idee divergenti su alcuni
argomenti), per evitarlo esiste una forma di controllo dei pensieri propri:
1. Non dire le proprie opinioni
2. avvicinarsi alla maggioranza
3. Controllo del pensiero altrui:
 riunioni manovrate
 si da una visione falsata del disaccordo (alla fine siamo tutti in accordo)
 di risorse: si riferisce all’interdipendenza dei risultati (ci sono risorse limitate, alcuni potranno accedere, altri
no).

Le forme di gestione del conflitto possono essere:


- Evitamento: il problema viene rimandato perché il gruppo deve concentrarsi su un’altra
Attività. Questi tipi hanno malessere e turn-over perché non trovano più soddisfazione, manca senso di
appartenenza e di interesse (apatia)
- Riduzione: il conflitto viene gestito risolvendo le criticità che lo hanno generato
- Creazione: il conflitto deve ancora nascere ma è necessaria una variazione quindi vengono
innescate azioni di creazione di un conflitto.

Per ridurre il conflitto bisogna:


- incentivare le discussioni positive che permettono di destrutturare il problema;
- avviare dei processi di negoziazione.
Il conflitto all’interno di un gruppo è una dinamica inevitabile, per questo bisogna saper: riconoscerli, gestirli e
mediarli in chiave positiva.

Il conflitto intragruppo può sortire effetti diversi:


- Negativi sia per i singoli sia per l’intero gruppo: ostilità interpersonali, nei casi più gravi disintegrazione del gruppo;
distruttivi, scardinano la struttura del gruppo.
- Positivi: incremento della creatività nella soluzione dei problemi; costruttivi, che fanno discutere, negoziare, aprire
nuove dimensioni nella vita del gruppo.

I processi scismatici: processo di divisione di un gruppo in sottogruppi e vi è la secessione finale di almeno uno dei
sottogruppi dal gruppo originario. Condizioni:
1. Percezione di una minaccia dell’identità del gruppo. C’è un sottogruppo che sente come il
resto del gruppo non segue più la via originaria;
2. Percezione di una mancanza della coesione del gruppo. C’è una perdita di coesione, di
compattezza perdita di entatività;
3. Se si avverano queste due condizioni se ne avvera una terza: accentuazione delle somiglianze fra gli elementi del
sottogruppo e delle differenze con gli altri sottogruppi.
4. A questo punto i sottogruppi diventano impermeabili alle influenze reciproca fra
sottogruppi, non ci si ascolta più, non ci si crede più.
5.Le percezioni dei sottogruppi sono simmetriche (reciproche). Se non vi è reciprocità, si può rinegoziare;
6. Ci deve essere un evento scatenante;
7. Ci devono essere dei fattori di contesto. Se ad esempio un partito politico si trova nelle 4
condizioni precedenti ma nell’imminenza di un’elezione, ha l’interesse che non si attui lo scisma.

Esempio studiato: Scisma della Chiesa d'Inghilterra il cui evento scatenante è stato il problema dell’ordinazione delle
donne a prete.

GRUPPO DI LAVORO E LAVORO DI GRUPPO:

Piccoli gruppi in psicologia di comunità. Distinzioni


I piccoli gruppi sono importanti perché sviluppa legami deboli, mentre nei gruppi familiari il ragionamento e l'ascolto
sono influenzati dall'emotività. Questi gruppi ci permettono si sviluppare rapporti di fiducia extra-familiari.
Ogni persona ha bisogno di appartenenza e di individuazione (sentirsi parte di qualcosa) bene sono soddisfatti
dall'appartenenza al gruppo.
I piccoli gruppi sono delle strutture intermedie fra individuo e comunità che permettono di
sperimentare l’interdipendenza, caratteristica che mi fa riconoscere la reciprocità e che insieme si possono fare cose
che è impossibile fare da soli.
 I gruppi di terapia: gruppi autocentrati in cui pazienti o clienti si rivolgono ad un terapeuta esperto
pagandolo per modificare alcuni aspetti della loro vita che creano malessere e sofferenza.
 I training groups ( t-groups): si fanno per apprendere le dinamiche di gruppo (esperienza di apprendimento
diretto in cui i partecipanti hanno maggiore sensibilità ai fenomeni di gruppo e un’accurata percezione di sé
e degli altri). Nascono quando Lewin scopre l'importanza del feedback (dare info permetteva un
apprendimento più incisivo poiché emotivo e cognitivo). Sei divide in due fasi:
-1 fase: orientata al compito, si discute del problema
-2 fase: gruppo di discussione, un osservatore comunica le osservazioni all’interazione e processo di gruppo
 I gruppi di formazione : gruppi che prevedono l'acquisizione di certe conoscenze, hanno come obiettivo
l’apprendimento,.

ulteriori distinzioni. Vi sono:


 Gruppi primari: sono quelli in cui nasciamo, rapporti ed emozioni molto forti, c’è un riconoscimento
reciproco (la famiglia, parenti). Sono importanti perché l’essere umano senza un gruppo primario non può
sopravvivere fin verso i 4/5 anni.
 Gruppi secondari: vi apparteniamo perché abbiamo un ruolo, Sono quelli a cui si aderisce mentre quelli
primari non li scegliamo (non scegliamo i genitori, es. Classe).
 Gruppi in contesti gerarchici: strutture produttive ed educative dove non scegliamo il gruppo di lavoro ma
solo l’organizzazione ed hanno una struttura gerarchica (nel contesto di lavoro, si scegli il lavoro e non il
gruppo di lavoro).
 Gruppi in contesti non gerarchici: piccoli gruppi di auto aiuto (es. alcolisti anonimi), Piccoli gruppi di
cittadinanza attiva: piccoli gruppi in cui il volontario elegge i suoi capi, associazioni di volontariato, scelgo di
andare (wwf, associazioni di volontariato).

I gruppi di lavoro.
I gruppi di lavoro sono centrati sul compito, hanno un obiettivo comune, c'è interdipendenza. Nei gruppi di lavoro il
contributo operativo di ognuno si integra con quello altrui per il raggiungimento dell’obiettivo comune.
Il lavoro di gruppo è il metodo che si usa per raggiungere l’obiettivo quando servono le capacità e le competenze
degli altri, poiché non è possibile raggiungerli singolarmente. Mutti distingue tra
 Obiettivo identico: qualcosa che accomuna ma non connette, poiché non richiede un intervento coordinato
per la sua realizzazione e soddisfa i bisogni individuali sovrapponibili;
 obiettivo comune: condiviso da tutti i membri del gruppo ma differenziato rispetto ai bisogni, desideri,
motivazioni di ciascuno.
I gruppi di lavoro sono setting empowering, se funziona bene rafforza l'identità di una persona, o disempowering, se
non funziona bene può lederla.

Il gruppo di lavoro è un insieme di persone che costituiscono un'unità organizzativa con un certo grado di autonomia,
mentre il lavoro di gruppo è un metodo che implica un obbiettivo da raggiungere coordinando le azioni con scopi,
bisogni, desideri interdipendenti.

La formazione empowering al lavoro di gruppo: Obiettivi :


● Promuovere il senso di appartenenza e di interdipendenza;
● Condividere vissuti emotivi: l'apprendimento è legato alle emozioni, se si ha un vissuto negativo si compromette il
funzionamento cognitivo, se positivi invece c’è uno spirito generale positivo
● Confrontare le opinioni: disponibilità all’ascolto e Creare sintesi tra dialogo e ascolto.
● Rispettare e tutelare della diversità dei singolo: il leader, conduttore deve promuovere la diversità di opinioni e
creare un clima dove è possibile parlare senza essere svalutati;
● Aiutare i partecipanti a divenire membri migliori e facilitatori dei gruppi che coordinano, in cui il potere di proporre
e decidere è distribuito ed aiutano ognuno a dare il meglio di sé;
● Aiutare i partecipanti a individuare le aree problema e i punti forza dei loro gruppi.

I GRUPPI DI AUTO E MUTUO AIUTO

Nascita dei self-help, AMA


Nascono da fattori di carattere socio-demografico ed economico: in particolare la crisi economica, aumento di
patologie comportamentali, sfiducia nelle istituzioni  crisi dei modelli tradizionali di cura per cui agli inizi degli anni
’30 in poi vengono ricercate modalità alternative di cura che sono basate su:
● Coinvolgimento delle persone nella gestione della propria salute;
● Impegno a cambiare abitudini e comportamenti;
● Assunzione di responsabilità per il proprio benessere;
● Condivisione di nuovi valori: solidarietà, democrazia e partecipazione.
Essa si definisce come una modalità alternativa di prestare aiuto meno burocratica, più economica e accessibile.
Nasce il primo gruppo nel 1935, nel nord America la fondazione di Alcolisti Anonimi per mezzo di due persone
alcolizzate che, deluse e sfiduciate dai tipi di intervento tradizionali e decidono di discutere insieme della loro
problematica.
In seguito si uniscono altre persone che si trovavano nella stessa situazione.

Definizione dei gruppi di auto e mutuo aiuto:


Per Katz e Bender (1976) i gruppi di auto e mutuo aiuto sono piccoli gruppi a base volontaria finalizzati al mutuo
aiuto.
Caratteristiche e funzioni dei gruppi di aiuto e mutuo aiuto:
 nascono spontaneamente, non dipendenti da autorità o da istituzioni esterne
 l’obiettivo è l’aiuto reciproco per fronteggiare problemi comuni
 i membri sono fonte d’aiuto e fruitori di sostegno (Sono empowered ed empowering)
 azione di gruppo: forza maggiore rispetto a un singolo
 il potere è condiviso: decisioni, cambiamenti, regole vengono discusse e accettate democraticamente
 il coinvolgimento è personale: ogni persona decide autonomamente se e come prendere parte al gruppo
 la responsabilità è personale: ogni persona è protagonista del cambiamento che vuole ottenere
 l’orientamento è all’azione: le persone imparano e cambiano facendo.
Hanno successo e si moltiplicarsi mettendo in discussione le terapie tradizionali, Perché :
● sostegno emotivo , le persone si sentono meno sole
● sostegno informativo: ci si scambiano informazioni, importanti per capire che fare;
● offerta di modelli di ruolo: lo scambiarsi dei vissuti rispetto alla propria situazione, permette di avere delle visioni
di ruolo diverse da quelle proprie (forniti degli esempi) ;
● self–empowerment: il soggetto acquisisce la capacità di avere padronanza della propria vita, ciò dipende da me.
Deve avere degli obiettivi raggiungibili;
● sviluppo di nuove relazioni sociali: consente di uscire dall'isolamento, il trovarsi insieme favorisce l’acquisizione del
sentimento di capacità di trasformare la propria vita;
● confronto sulle strategie di coping, stare insieme con persone che condividono lo stesso
problema aiuta a trovare nuove strategie per fronteggiarlo.

Le tipologie dei gruppi di aiuto.


I gruppi di aiuto dal gruppo di Alcolisti Anonimi i sono diversificati moltissimo nel tempo interessando ambiti diversi e
realtà diverse. Tipi:
➢ criterio di finalità da raggiungere (levy)
➢ tipo di sostegno fornito (kats)

Dinamiche intra - gruppo


I fattori chiave di cambiamento:
 funzioni socio-emotive presente in un gruppo tra pari;
 la carica ideologica del gruppo nella modifica di atteggiamenti e comportamenti;
 Il valore terapeutico attribuibile al ruolo di helper.
Riessman nel 1965 parla di helper nella sua “helper therapy”. L’assioma di tale teoria è: chi aiuta riceve egli stesso un
aiuto. L’atto stesso di aiutare un altro è esso stesso aiuto. “L’intento comune di tutti gruppi di auto e mutuo aiuto è
quello di trasformare coloro che domandano aiuto in persone in grado di fornirlo” (Martini, Sequi, 1988)
aumentando la padronanza e il controllo sui problemi (rovesciamento dei ruoli).
I fattori di efficacia della helper therapy sottolineano che la persona che aiuta:
- aumenta il senso di controllo, autostima e competenza personale;
- riceve un riconoscimento sociale;
- si sente meno dipendente (equilibrio tra dare e ricevere);
- ha l’opportunità di osservarsi dall’esterno e di apprendere delle strategie di cambiamento.

Alcolisti Anonimi (AA), ha costituito il prototipo dei gruppi di auto e mutuo aiuto e che sono caratterizzati da alcuni
elementi che si trovano ad altri tipi di auto e mutuo aiuto legati alle dipendenze. Il membro può, se lo desidera, non
rivelare la propria identità e avvalersi di un nome fittizio (invece schedatura) ma deve soprattutto impegnarsi a non
rivelare le identità degli altri e a non ripetere all’esterno i loro discorsi e le loro storie personali.
L’unico requisito per essere membri è il desiderio di smettere di bere. Gli incontri di solito avvengono ogni due o tre
settimane e si fondano sui “Dodici passi” che rappresentano l’itinerario di una progressiva presa di coscienza delle
realtà e della propria personalità e riconducono all’integrazione morale e sociale.
Non si fa dibattito, non si esprimono giudizi o richieste. Ognuno a turno porta la sua testimonianza basata sulla
propria esperienza ed espone, se lo ritiene opportuno, i suoi problemi personali.
I “Dodici Passi” sono alcune affermazioni che rappresentano la filosofia che i membri accettano di condividere
quando entrano a far parte di questi gruppi (il primo è un ammissione di impotenza). Un altro gruppo è quello dei
giocatori di azzardo, mangiatori compulsivi, tumore.
I gruppi di self help rappresentano il superamento della delega ai professionisti per la cura e la prevenzione. La salute
è il relazione a ciò che l’individuo fa per mantenerla e per prevenire le condizioni di malattia. I rapporti di
collaborazione tra i professionisti e i gruppi AMA (gruppi di auto-mutuo aiuto) all’inizio erano conflittuali; i gruppi
AMA erano visti con sospetto e critica. Poi i rapporti sono diventati di collaborazione.

Crisi: stato di temporaneo turbamento e disorganizzazione, caratterizzato da una inabilità dell'individuo a


fronteggiare una particolare situazione con i suoi abituali metodi di risoluzione dei problemi.
Viene Intesa come un'occasione per scegliere, di una potenziale opportunità di cambiamento. I primi studi sulla crisi
vennero fatti da lindemann sul lutto: prevede tre fasi in cui accettazione delle emozioni dolorose, riesame delle
esperienze positive e negative
Vissuti con il defunto e per ultima sperimentazione di nuovi modelli di relazione per sostituire alcune funzioni che il
defunto aveva.
La crisi può essere evolutiva cioè associato transizioni da uno stadio di sviluppo ad un altro.
Può essere prevedibile (un cambio di lavoro) o meno (un lutto).
Conseguenze: sconvolgimento, squilibri emozionali, comporta molti aspetti della vita individuali. La persona si sente
più debole è vulnerabile, ma è anche uno sviluppo.

L'ANALISI ORGANIZZATIVA

De Masi distingue tra due scuole di pensiero. Entrambi hanno studiato le organizzazioni ma in maniere diverse:
 scuola manageriale: di stampo anglosassone è costituita da consulenti aziendali che si occupano di efficienza,
reclutamento, selezione del personale, e sviluppo aziendale. Gli argomenti più trattati sono da consulenti
aziendali (come far funzionare l’azienda al suo interno);
 scuola strutturale: formata soprattutto da studiosi europei, è attenta alla interdisciplinarietà, al contesto
socio-politico e si occupa di alienazione, benessere dei lavoratori e relazioni industriali

Le differenze fra queste sottolineano come il modo in cui viene vista un’organizzazione dipende dalla disciplina, da
chi l’analizza, dai suoi studi, dagli obiettivi che si hanno ed anche dal committente.
Nell’era post-industriale e in seguito alla globalizzazione l’integrazione di queste due scuole è necessaria, Massimo
Bruscaglioni individua quattro approcci allo studio delle organizzazioni e sottolinea che ogni paradigma organizzativo
vede solo un aspetto.
1) strategico-strutturale: si occupa della distribuzione del potere, della divisione della qualità del lavoro e della
conflittualità fra le classi presenti nell’organizzazione. Studia la struttura di potere e la conflittualità.
2) sistemico-funzionale: si occupa della cooperazione. Come fa un’organizzazione a funzionare e come vengono
raggiunti gli obiettivi, come vengono svolte le attività.
3) socio-analitico: vengono studiate le componenti latenti, inconsce, individuali e collettive e l’uso difensivo
dell’istituzione da parte dei suoi membri (nel senso di meccanismi di difesa). Ci sono atteggiamenti consci verso il
lavoro ma anche inconsci (emergono soltanto quando ci si riflette su). In questo approccio si studiano le componenti
latenti, cioè componenti di atteggiamenti, sentimenti ed emozioni che legano l’individuo all’organizzazione e di cui la
persona non è sempre consapevole.
4) psico-sociale: studia il fattore umano e lo sviluppo delle risorse umane in rapporto
all’efficienza organizzativa. Gli esperti sono psicologi.

Anche Morgan (consulente organizzativo canadese) ha proposto un modo per integrare i vari approcci attraverso
diverse metafore: si può pensare all’organizzazione come ad una macchina, un organismo, un cervello, una prigione
aumentando i punti di vista con cui noi guardiamo l’organizzazione.

Il fattore umano è cruciale nei servizi dell’organizzazione: poiché si lavora in gruppo, i contributi delle persone
devono essere armonizzate.

Analisi organizzativa multidimensionale (AOM): è una metodologia di analisi e diagnosi organizzativa utilizzata in
organizzazioni sia pubbliche che private basata su un approccio sistemico e multidimensionale in grado di orientare
la ricerca e l’azione rispetto ai differenti fenomeni organizzativi. Aumenta le interconnessioni tra dimensioni, da una
visione globale.
Solitamente il consulente è interpellato in situazioni di crisi o di cambiamento in ambiti specifici: il committente
indica quali sono le variabili su cui intervenire o interessate al cambiamento (per es. la motivazione dei responsabili,
la diminuzione dei difetti di produzione, la diminuzione dei conflitti…). Tuttavia un buon consulente scopre spesso
che la variabile dipendente è correlata ad altre sulle quali non gli è stato chiesto di intervenire .
L’AOM richiede la partecipazione fra persone di diversi ruoli (esperti/ genitori, scuola, alunni) e si sviluppa attraverso
una serie di fasi:
1. la rilevazione dei punti di forza e dei punti deboli delle dimensioni considerate,
2. l’analisi di questi e delle interconnessioni,
3. Individuazione dei cambiamenti desiderati.
La conoscenza diminuisce l’ansia e il senso di alienazione, accresce il senso di appartenenza e la sensazione di potere
personale.

Le dimensioni che l’AOM considera sono:


● strategico - strutturale: riguarda gli obiettivi dell’organizzazione (passati-presenti-futuri), la struttura e l’ambiente
di riferimento. Riguarda aspetti politici, economici, giudici e sociali. Guarda la Storia strategica: storia degli obbiettivi
di origine dell'organizzazione e come sono cambiati nel tempo, cambiando cambia anche la strategia (giuridici,
economici, politici). Esamina i fattori che concernono la distribuzione della ricchezza e del potere. L’analisi di questi
fattori ci da una prima visione.
● funzionale: riguarda le attività che devono essere svolte (chi fa cosa) per il raggiungimento degli obiettivi, riguarda i
ruoli; i 3 sistemi che compongono questa dimensione sono il controllo di gestione (pianificare l’attività operativa), il
sistema operativo (comprende l'insieme delle funzioni per la produzione/erogazione dei servizi) e il sistema
informativo (info sul funzionamento e sui risultati dell'azienda).
● psicodinamica: vissuto emotivo personale. Analizza le relazioni nel sistema da un punto di vista psicoanalitico: i
legami che ciascuno instaura con le componenti ambientali e i rapporti gerarchici (capo-subordinato). Si fa un
romanzo lavorativo, si usano delle metafore, dei disegni, degli sceneggiati per capire come il soggetto vive la vita
lavorativa.
● psicoambientale: studia l’influenza del fattore umano sull’efficienza dell’organizzazione,
Analizzando i rapporti tra individui, gruppi e contesto ambientale sul piano delle percezioni consapevoli. Si guarda la
leadership, la comunicazione: Motivazione, atteggiamenti gradi di accordo psicosociale fra pressione ambientali e
prospettive individuali.

Tutti i soggetti coinvolti fanno un analisi preliminare decidono quali sono i punti forza e le aree problema, questi
vengono suddivisi a seconda delle 4 dimensioni. Attraverso l'analisi di ciò abbiamo una visione ampia ragionando tra
le interconnessioni tra le dimensioni. Alla fine del percorso il gruppo esprime il modo in cui vorrebbe che
l'organizzazione cambiasse.

Pregi
-promuove visione pluralistica, dà a voce a tutti i membri, interpretazioni minoritarie
-valorizza diversità (apporti che ciascuno porta)
Limiti:
-richiede un contesto democratico e trasparente, più difficile laddove c'è gerarchia ad esempio serve il consenso del
capo
-serve partecipazione attiva

EDUCAZIONE SOCIO AFFETTIVA


è quella parte del processo educativo che si occupa di atteggiamenti, sentimenti, credenze ed emozioni degli
studenti finalizzata al potenziamento delle risorse personali e alla acquisizione delle competenze.

Obiettivi:
● riconoscere emozioni e sentimenti;
● accrescere l’autostima e l’autoefficacia sociale (competenza nei contesti sociali);
● aumentare i comportamenti prosociali e di aiuto e mutuo aiuto.
I destinatari sono gli studenti di ogni ordine e scuola (si dà importanza alla componente emotiva
dell’apprendimento), agli insegnanti, ai genitori, agli educatori, in generale a tutti gli operatori che lavorano con i
ragazzi.

Il metodo integrato: (Francescato e Putton) lavoro sul miglioramento del:


- Rapporto insegnante-classe (metodo Gordon);
- Rapporto fra compagni ( Circle Time);
-Autoconsapevolezza (esercizi psicomotori): per aiutare a capire le emozioni, soprattutto
quelle negative come la rabbia o altre emozioni che possono dar luogo a comportamenti
distruttivi o per sé o per gli altri.

Il metodo Gordon.
Gordon è uno psicologo americano che ha elaborato delle teorie di comunicazione efficace per risolvere conflitti
interpersonali in cui ci si focalizza sull'aspetto emotivo, secondo lui i conflitti vengono generati da comunicazione
inefficiente. Un cattivo rapporto insegnante alunno è un ostacolo per l’apprendimento.
Un insegnante può capire e migliorare il rapporto con l’alunno tramite questi 3 metodi
➔ ascolto attivo se il problema è dell’alunno, la cosa più difficile da fare, può attivare comportamenti sperati;
➔ messaggio io se il problema è del docente (autorità), comportamento indisciplinato del ragazzo rende difficile lo
svolgimento della lezione. Il docente comunica i propri sentimenti all’allievo: questo fa percepire all’allievo il vissuto
dell’insegnante senza attuare un atteggiamento di difesa e nello stesso tempo l’allievo Si rende conto del
comportamento inaccettabile.
➔ risoluzione dei conflitti mediante problem solving se il problema è di entrambi. Si usa quando si vogliono risolvere
i conflitti senza generare vinti e perdenti, favorisce lo sviluppo creativo e migliora il sistema educativo attraverso la
cooperazione costruttiva e sei arriva a una soluzione responsabile.

Per capire se si ha un problema bisogna partire da domande chiave: questo comportamento chi danneggia, a chi
impedisce di lavorare, a chi appartiene il problema (alunno o insegnante). Riconoscere a chi appartiene il problema
vuol dire individuare limiti fra sé e l’altro. Significa chiedersi “chi sta a disagio in questa situazione”.
L'Ascolto attivo permette che la persona ascoltata si senta in una comunicazione empatica: si sente che l’altro è
attento, è un ascolto senza giudizio.

Le fasi dell’ascolto attivo sono:


● ascolto passivo (silenzio): permette all’altro di esporre, senza essere interrotto
● messaggi di accoglimento: non verbali (un cenno della testa, un sorriso…) o verbali (ti ascolto), l'altro percepisce
l’attenzione
● ascolto attivo (feedback): il feedback è una rilettura di quanto è stato detto, per capire se, chi ascolta, ha capito.

I 12 errori della comunicazione:


-ordinare una soluzione: non viene preso considerazione i suoi sentimenti,
-avvertire o minacciare : indico una difesa, accusano
-esortare moraleggiare: colpevolizzare
-consigliare e suggerire soluzioni: non ho fiducia che tu riesca ad arrivare a una soluzione
-persuadere con argomentazioni logiche: umiliazione, “tu non ci sei arrivato a questo”
-giudicare e criticare: giudicano e etichettano
-complimentare e approvare: quando non sono sinceri, ferisce come una critica
-umiliare e ridicolizzare: si sente offeso (quando un ragazzo viene mandato alla lavagna)
-interpretare: se è giusta l'interpretazione il bambino si sentirà offeso per non aver capito lui stesso che era stanco,
se invece è errata si sentirà incompreso
-rassicurare e simpatizzare: può pensare che non dai importanza al problema, non ritengo che il tuo problema abbia
importanza
-informarsi: se continuiamo a fargli domande lo rinchiuso in se stesso
-schivare il problema: deviare, fa finta che il problema non esiste, il bambino pensa che ha sbagliato a parlare del
problema .

Circle time: La tecnica del circle time nasce in Inghilterra e negli USA, per promuovere una comunicazione efficace
fra studenti su aspetti non cognitivi e non scolastici. Finalità:
- promuovere comportamenti pro-sociali;
- prevenire, gestire e risolvere problematiche come conflitti, atti di bullismo etc.
Fa riunire in cerchio delle persone e discutere su un argomento scelto dai membri. Se sono studenti, l’insegnante fa
da facilitatore.
Il cerchio promuove obiettivi quali:
- conoscenza reciproca più approfondita;
- senso di appartenenza reciproca e coesione di gruppo;
- sviluppo di rapporti interpersonali positivi;
- scambio di opinioni su argomenti (diversi da quelli scolastici).
In Italia è importantissimo che una classe funzioni bene visto che da noi i gruppi classe sono gli stessi per anni. Se ciò
non fosse, un ragazzo che si trova a vivere in modo problematico in una classe, potrebbe sviluppare delle patologie
di tipo psicologico. Questo metodo è usato in Italia dall’ ’86.
La Francescato ha introdotto altri 2 obiettivi dopo essere stata in USA:
- acquisire alcune conoscenze riguardo al gruppo e determinate competenze nella conduzione e nell’osservazione di
gruppi di discussione. I bambini nella scuola sono influenzati dai gruppi dei pari pertanto i bambini devono sapere
come funziona il gruppo e di come il gruppo può influenzare le scelte o far comportare in un modo diverso che se si
agisse da soli.
- promuovere il mutuo aiuto e il sostegno reciproco.

All’inizio una volta a settimana, poi diventa meno frequente. Spesso i ragazzi stessi fanno richiesta di farlo. Per
insegnare il comportamento di gruppo si mettono 3 ragazzi (o persone) ad osservare un circle time a turno. Questo
permette di far comprendere agli osservatori le dinamiche di gruppo (chi interrompe chi, chi è il capro espiatorio, chi
è leader, i conflitti...) poi viene data una scheda da compilare relativa all’osservazione che sarà tanto più complessa
quanto più alto è il livello degli osservatori (insegnanti, studenti, presidi, insegnanti ...). In questo modo tutti
imparano ad osservare e a stare zitti. I partecipanti al circle time ricevono feedback dagli osservatori.
L’efficacia di questo metodo è stata dimostrata da uno studio sulle scuole (dall’infanzia all’Università) sulle quali è
stato applicato. Esperimento: gruppi training (gruppi sperimentali) e gruppo di controllo come mezzo di confronto e
si è visto che nei gruppi dove era stato applicato questo metodo c'era un apprendimento prosociale o non (bambini
che prima si picchiavano non si picchiano più e viceversa), inoltre i livelli di autostima e di comportamenti pro-sociali
erano più alti.
Il circle time aumenta l’apprendimento sociale e può essere usato per promuovere progetti
Empowering, per rendere più potenti le persone ed è usato in educazione ambientale quindi di promozione alla
salute (rispettare le opinioni perché sanno come ci si comporta in un gruppo), ma anche di inclusione interculturale.

EMPOWERMENT PSICOLOGICO E SVILUPPO DI COMUNITÀ

Zimmerman nel 1998: bisogna fare riferimento a tre punti fondamentali:


- controllo: capacità da parte del soggetto di influenzare le decisioni;
- consapevolezza critica: comprensione del funzionamento delle strutture di potere, dei processi decisionali,
della gestione delle risorse;
- partecipazione: attuare azioni per ottenere i risultati desiderati, non semplicemente prendere parte a, ma
prendere parte per (pilastro importante per la pratica).

EMPOWERMENT psicologico :
Bruscaglioni: l’empowerment è un processo che amplia le possibilità tramite un miglior uso delle proprie risorse
attuali e potenziali acquisibili. Prevede che si passi da uno stato di impotenza appresa ad uno stato di speranza
appresa (vittima di eventi incontrollabili), Attraverso 3 passi:
1. bisogna lavorare sui significati che il soggetto attribuisce a ciò che gli sta capitando (cause interne o esterne,
mutevoli o stabili, totali o no). Pertanto si può aiutare il soggetto a comprendere che ciò che gli accade non è dovuto
a cause immutabili;
2. processi di valutazione: riguarda le capacità di poter agire del soggetto cioè l’autoefficacia (Bandura);
3. processi di prefigurazione del futuro: avere un progetto, degli obiettivi.
Per Bruscaglioni i componenti dell’empowerment psicologico rimandano a dimensioni personali (locus of control
interno), di tipo cognitivo (percezione di competenza e autoefficacia) e di tipo motivazionale (motivazione all'azione,
speranza appresa e un ideologia di possibilità di influenzare).

Il processo di empowerment
Cox e Parson (1994) fanno diversi studi e analizzano il processo di empowerment in contesti particolari (case di
riposo), le componenti chiave sono:
- atteggiamenti, valori, credenze (self efficacy, locus of control interno);
- validazione delle esperienze collettive (riduzione dell'auto biasimo)
- conoscenza e capacità critica per poter ricollocare il problema nel contesto.

Per intervenire vengono individuati diversi tipi di intervento:


● dimensione personale: lavoro sul singolo (bisogni e risorse);
● dimensione interpersonale: lavoro sul gruppo (reti di relazione);
● dimensione organizzativa: cambiare il contesto di riferimento.

Finalità: aiutare le persone ad utilizzare le proprie forze, abilità e competenze verso la conquista di una maggiore
autonomia decisionale. Aiutare le persone ad ampliare le proprie possibilità di scelta, responsabilizzazione.

Lo sviluppo di comunità (empowerment sociale).

Il senso di comunità riguarda il senso di appartenenza alla comunità cioè quanto ci si sente importanti e legati ad
essa. Percezione di similarità con gli altri. Secondo la definizione della Cornell University l’empowerment sociale è il
processo con il quale le persone di una comunità possono accedere più facilmente alle risorse e accrescere al
controllo su di esse, creare progresso sociale.
Il fine dell’empowerment sociale è favorire lo sviluppo di una comunità competente: partecipazione e condivisione
(partecipazione) sono principi guida e obiettivi da raggiungere.
Strategie di interventi orientati all’empowerment
Il compito di uno psicologo di comunità è sostenere il processo di empowerment sociale, favorendo l’assunzione di
responsabilità, conoscenza tramite gli 8 profili e interventi.
 Azione Sociale: azioni che richiedono impegno politico (advocacy: tutela dei diritti)
 Sviluppo di Comunità (cittadinanza attiva, auto aiuto dei cittadini)

IL LAVORO DI RETE E IL SOSTEGNO SOCIALE

Metafora delle relazioni interpersonali. Infatti sostiene, aiuta, ha funzioni di carattere supportivo ed è costituita da
un insieme di punti collegati tra loro da delle linee: i punti sono le persone, connesse insieme da legami (linee).
Storicamente il concetto di rete sociale venne formulata da Jacob Moreno nel 1934 nell’elaborazione teorica che
l’autore chiamò sociometria (elaborazione teorica che studia le relazioni spontanee tra gli individui). La sociometria
evidenzia il tipo di legami che esistono tra le persone all’interno di una certa realtà. La rete permette di:
 Vivere esperienze positive
 Ricoprire un insieme di ruoli stabili, socialmente riconosciuti e gratificanti
 Sviluppare legami o rapporti supportivi

Caratteristiche della rete in 4 dimensioni diverse, per facilitare le ricerche e gli interventi:
 Struttura Riguarda variabili morfologiche quali ampiezza, densità (vicinanza dei contatti), frequenza di
interazione e posizione di un individuo nella rete (clusters: sottoinsiemi, rapporti molto fitti);
 Interazione: Tipi di relazione tra gli attori della rete tra cui reciprocità /simmetria, direzionalità, molteplicità o
complessità;
 Qualità: qualità effettiva dei legami come amicizia, intimità, vicinanza affettiva;
 Funzione: Una rete può fornire informazioni e feedback, fornire sostegno emotivo, aiuto materiale, consigli
per affrontare e risolvere i problemi, ecc.
L’importanza delle caratteristiche di una rete varia in base alla funzione. In generale, i legami forti concentrano
l’interazione nei gruppi di appartenenza, mentre quelli deboli facilitano l’integrazione tra gruppi . Due tipologie di
rete:
● rete sociale a-centrata: rete senza un centro, dove tutti i nodi hanno pari importanza;
● rete sociale ego-centrata: costituita ponendo al centro la persona, per descrivere e studiarne le relazioni. E di
questa persona si descrivono tutte le relazioni che questa persona ha con la sua rete.

Funzioni del sostegno sociale


Le reti possono avere una funzione di sostegno sociale, cioè un supporto che può essere definito come l’insieme
delle risorse che sono accessibili al soggetto attraverso i contatti con altri individui, gruppi e/o comunità:
o Emotivo: sostegno che si esprime manifestando interesse, affetto e amore per l’altra persona
tramite l'ascolto. La persona si sente accettata e considerata. Tende a soddisfare i bisogni socio-
emotivi di base del soggetto;
o Strumentale: sostegno pratico che dà offrendo dei servizi, aiuta a ridurre lo stress (es. prestiti di
denaro, ti faccio la spesa ...);
o Informativo: aiuto psicologico volto ad arricchire le conoscenze delle persone, aiuto nel definire,
comprendere, e affrontare eventi problematici. (ad esempio nuove opportunità per risolvere un
problema ...);
o affiliativo: sostegno che deriva dall’appartenenza a gruppi formali e informali (possibilità di contatti
sociali, di trascorrere tempo libero in attività ricreative con altre persone ...).
Il sostegno sociale si fanno due tipo di distinzioni f/i e d/p:
● Formale (lavoro)
● Informale (parenti, amici, persone con cui si ha confidenza)
● Diretto o Indiretto a seconda che arrivi dalle persone della mia rete sociale oppure da altri
● Ricevuto o Percepito un esempio di dispersione del sostegno percepito è quello in cui una
depressione ci fa sentire soli malgrado l’aiuto che chi ci sta vicino prova a fornirci.

Le ricerche svolte sul sostegno sociale presentano due modelli di studio che dimostrano la relazione tra rete sociale,
sostegno sociale e benessere. 2 prospettive teoriche.
▪ Modello diretto: è direttamente influente sul benessere indipendentemente dalla presenza di stress.
Mantenimento della salute psico-fisica.
▪ Modello indiretto (effetto tampone): il sostegno funge da tampone, modera lo stress. Il sostegno sociale è visto
come “cuscinetto protettivo”, può aiutare a ridefinire la valutazione dello stress. Il Sostegno sociale è in grado di
ridurre la negatività degli stimoli stressanti, attenuare la percezione degli stimoli stressanti, alleviare l'impatto
emotivo.
-Relazioni dense sono quelle che riguardano una rete con delle relazioni emotive più unite (nel lutto è utile mentre
nel cambiamento è un freno)

Tipi di Intervento:
 integrazione dei due tipi di sistemi (formale e informale)
 Aiuti rivolti a persone che hanno recentemente vissuto cambiamenti di vita
 Intervento individuali di rete: creare o allargare nuove reti personali.
 Terapia di rete: potenziare le risorse suppletiva dell'individuo di legami più vicini al soggetto attraverso un
ciclo di sedute o incontri di gruppo
 Intervento preventivi: migliorare la qualità dei legami e dello scambio sociale per influenzare lo stato di
salute.

Il lavoro di rete: obiettivi e strategie operative
Lavorare in rete è una delle competenze dello psicologo di comunità. Vengono studiati quindi alcuni elementi per
capire di che rete si tratta:
1) Rete coesa ed omogenea (relazione densa): buone possibilità e disponibilità di sostegno, legami coesi e forti.
Ma la rete esercita anche un tipo di controllo normativo per cui il soggetto deve seguire alcune regole
(madre figlio)
2) Rete frammentata: Ci sono piccoli gruppi indipendenti fra di loro. Dà più possibilità di offrire sostegno ma è
più instabile. Ogni sottogruppo è coeso all’interno ma fra l’uno e l’altro ci sono rapporti più deboli;
3) Rete dispersa: le persone non si conoscono le une con le altre. E’ caratterizzata da relazioni sporadiche di
breve durata. Le possibilità di ricevere sostegno sono minime.

Una volta ottenuta una prima mappatura della rete si può cominciare a fare ipotesi di intervento con i seguenti
obiettivi: aumentare la consapevolezza, minimizzare la dispersione, creare nuovi legami come la Peer Education
(lavoro di scambio orizzontale, scambio tra pari): favorisce autostima (aiuto tra studenti a scuola).

SETTORI IN CUI LAVORANO GLI PSICOLOGI DI COMUNITÀ:

Scuola: i punti forza e le aree problema della scuola.


-autonomia scolastica: progetti educativi tengono conto del territorio e del contesto in cui stanno (psicologo di
comunità può aiutare nell’offerta informazioni: analisi comunità).
-carta dei servizi: richiesta di un servizio migliore (aom)
- presenza dei centri consulenza
-numerose sperimentazioni
-insegnanti molto
La formazione empowering fa emergere desideri e affrontare nodi problematici:
 Integra aspetti cognitivi e affettivi, in più valorizza i diversi tipi di intelligenza.
 È centrata sua sulll'empowerment individuale sia di gruppo.
 La formazione non è solo teorica ma anche pratica (ruolo cruciale all'azione)
 Favorisce lo sviluppo di un clima di auto-aiuto
 Esamina le interfacce di storie individuali, racconti gruppi, narrative dominanti.
 Potenzia le capacità di lettura dei contesti gruppi, organizzativi e sociali
 L'obbiettivo è quello di individuare spazi potenziali tra aspirazioni individuali e opportunità e vincoli
ambientali

Principali strategie di Intervento nella scuola:


 Educazione socio-affettiva
 Analisi organizzativa
 I profili
 Lavoro di rete

Servizi socio-sanitari: Gli obiettivi degli interventi non sono quindi solo la cura e la riabilitazione ma soprattutto la
prevenzione del disagio psico-fisico e la promozione della salute e del benessere della popolazione.
I livelli di Intervento in cui può agire lo psicologo (guarda empowerment):
 Individuale
 interpersonale (in gruppo)
 Organizzativo
 Di comunità
Il settore della salute pubblica è centrato quindi sulla prevenzione (es. le vaccinazioni), Su questa idea è nato il
modello di psichiatria preventiva di Caplan (1964) che suddivide la prevenzione in:
 prevenzione primaria: Caratterizzata da interventi volti ad impedire l’insorgere di patologie o di situazioni di
disagio a livello individuale e/o sociale. È rivolta a tutta la popolazione, persone “sane” (come i vaccini).
 prevenzione secondaria: Consiste in interventi atti ad ostacolare il decorso di una situazione di disagio già
verificatasi (diagnosi e cura precoce). I soggetti coinvolti sono le cosiddette persone “a rischio”.
 prevenzione terziaria: Più che prevenzione, qui il termine coincide con la cura e la riabilitazione, le persone
coinvolte, sono persone con problemi. Contrastare un disagio e una patologia già esplosa. Comprende
riabilitazione intesa come counseling terapeutico e formazione dell’individuo affinché sviluppi
comportamenti funzionali a un reinserimento positivo Che punta a superare l’emarginazione.

Un altro modo di affrontare il tema della prevenzione consiste nel considerarla come una serie di interventi centrati
su:
a) Riduzione del danno: diminuire gli effetti negativi o i rischi correlati al consumo di sostanze. Tali rischi
possono essere: sanitari (infezioni, dovuti ad uso di siringhe infette), sociali (marginalità, devianza), legali
(legati alle misure repressive). Si parte accettando l’idea che una persona possa continuare con la sua
tossicodipendenza, si creano pero dei servizi accessibili, che possano essere accettati da queste persone e
costituiscono un primo aggancio di queste persone, che altrimenti non accetterebbero mai di entrare in
contatto con strutture pubbliche di assistenza. I servizi accessibili sono i centri di accoglienza diurni o
notturni a “bassa soglia” e il lavoro di strada (le unità mobili). Si è passati dal “curare” al “prendersi cura”
delle persone.

b) Promozione della salute e del benessere : aumentare il controllo sulla propria salute e di migliorarla. Capacità
di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, soddisfare i bisogni e far fronte all’ambiente circostante.

Felce e Perry sviluppano un triangolo per valutare la qualità di vita delle persone (alla base ci sono senso di comunità
e benessere sociale, inteso come struttura sociale in cui si è immessi, e all'apice si trova il sostegno sociale). parte
dalla guida dell’OMS che definisce nuove prospettive).
Questo ha consentito di ottenere nuovi modelli di promozione della salute sono centrati su:
● Fornire informazioni: Es. le campagne sulla prevenzione dell’AIDS o contro il fumo.
● sul self empowerment: attraverso lo sviluppo personale, tecniche di apprendimento partecipante, come le
tecniche di role playing.
● Tecniche di Group empowerment: si basano ad es. su processi d’influenza sociale es. educazione socio-affettiva.
● Azioni sociali: si favorisce lo sviluppo della comunità e si migliora il rapporto di fiducia tra istituzioni e cittadini.
● Promuovere l’accesso ai servizi: occorrono dei servizi in grado di rispondere ai bisogni reali di Salute. L’accessibilità
ai servizi riguarda il timing of help.
● Migliorare le relazioni interpersonali: la comunicazione, il rapporto operatore- paziente, colleghi-superiori.
● La salute degli operatori (evitare il burnout): che passa dall'entusiasmo (aspettative), stagnazione (mancanza di
entusiasmo in certe difficoltà), frustrazione e alla fine apatia.

Contesti innovativi:
Contesti lavorativi: evoluzione del mercato di lavoro che richiede collaboratori motivati ed empowered. L’era della
globalizzazione chiede alto impegno e partecipazione con conseguenze di polarizzazione del lavoro: c’è chi lavora
troppo (nelle zone più basse e dato da una paga minore), chi è disoccupato.
Lo psicologo di comunità può realizzare:
 Interventi per reinserire disoccupati, cassintegrati e youthstart (persone che devono iniziare a lavorare) con
training professionale.
 l’AOM per migliorare le organizzazioni sindacali.
 Interventi d’azienda che possono essere: strategie di empowerment individuali e gruppali, organizzativo e di
rete

1-il terzo settore


● il volontariato puro dove le persone fanno servizi in modo del tutto gratuito perché vogliono essere di aiuto a
qualcuno e credono in qualche causa;
● il privato sociale è invece un’area in cui convivono volontari e operatori professionali (che sono retribuiti).
2-Cooperative di servizi e di solidarietà sociale: Ci sono molte cooperative in Italia.
Le cooperative devono integrare la cultura d’impresa e la cultura sociale, devono integrare l’efficienza e la solidarietà
(questi soggetti vengono pagati), bisogna quindi sviluppare capacità di autovalutazione e diagnosi partecipata per
intervenire prima che problemi diventino troppo seri (conoscenza del territorio, lavorare sui profili di comunità, sul
lavoro di rete, sulla progettazione e sulla valutazione)
Un aspetto interessante di queste organizzazioni di volontariato e di privato sociale è che operatori e volontari
eleggono i loro capi e si eleggono persone di cui ci si fida.

LE DECISIONI IN UN GRUPPO
Secondo un punto di vista molto diffuso i gruppi non sono in grado di prendere decisioni perché il gruppo è il luogo
del compromesso, non il luogo delle decisioni (decidere significa infatti tagliare via).

La normalizzazione di gruppo: quando i componenti del gruppo convergono su un compromesso, a un idea centrale
(esperimento di Sherif)
Stoner (1961): fa uno studio sulla qualità e sull’effetto della decisione di gruppo in cui si deve dare un giudizio
individuale e uno collettivo e analizza che Le decisioni di gruppo sono le più rischiose perché discutendo con altri la
persona si sente meno responsabile.
Successivamente altri autori (Wallach, Kogan e Bem, 1962) aggiungono un’ulteriore fase:
Rischio e polarizzazione: Le decisioni prese dal gruppo rispetto alle decisioni prese individualmente sono sempre più
rischiose perché in gruppo si considera accettabile un grado di probabilità inferiore di successo rispetto quando si
decide da soli. Se le mie possibilità di successo sono del 10%, questo può risultare inaccettabile quando decide da
solo ma accettabile quando decido in gruppo. In questo caso si parla di spostamento verso il rischio:
- diffusione di responsabilità. Discutendo con altri, un individuo si sente meno responsabile in prima persona. Posso
pensare che il mio contributo personale non sia così evidente se preso in una decisione collettiva così come invece lo
sarebbe se decidessi da solo.
- familiarità: la discussione di gruppo aumenta la familiarità dei problemi affrontati. Parlando con altre persone ci si
può convincere vicendevolmente che tutto sommato si può rischiare. Quello che sembrava essere un problema
molto difficilmente affrontabile da soli, lo si familiarizza parlando insieme agli altri;

Alcuni anni più tardi Moscovici e Zavalloni (1969) si chiedono se gli effetti della discussione di gruppo sono limitati
alle situazioni di assunzione di rischio. Moscovici replica gli studi di Stoner I risultati a questi esperimenti mostrano
che gli atteggiamenti del gruppo sono più spostati verso i poli. Vi è appunto una polarizzazione degli atteggiamenti
cioè un incremento dato dal gruppo all’orientamento già presente nei singoli.
La polarizzazione (estremizzazione) si manifesta in tutti casi nei quali le persone devono manifestare collettivamente
un atteggiamento, operare una scelta, risolvere un problema. La polarizzazione è un effetto dell’interazione di
gruppo.
La spiegazione sta in 3 teorie:
 mediante confronto sociale: l'individuo acquisisce quanto più consenso perché ha valori socialmente
condivisi. Il confronto sociale favorisce estremizzazione verso valori sociali dominanti. La polarizzazione è
causata dalla competizione per sostenere opzioni più socialmente desiderabili, per misurarsi con le persone
del gruppo si possono esprimere opinioni molto più estreme;
 polarizzazione mediante persuasione: info avute successivamente che influenzano la posizione iniziale. si
presume in questo caso che prevalga uno scambio di informazioni che favorisce l’acquisizione di prove a
favore di un’opzione. Alcune di queste informazioni possono risultare particolarmente persuasive e grazie
questo scambio di informazioni il giudizio si sposta verso valori più polarizzati rispetto a quelli preesistenti
all’interazione;
 polarizzazione come differenziazione intergruppi: i membri del gruppo si conformano alle norme dell’ingroup
e si differenziano rispetto ad altri gruppi. Non mi rivelò nei gruppi al di fuori del mio, Avversità nei confronti
di altri gruppi.
Moscovici e Doise parlano dei fattori che influenzano l'intensità della polarizzazione, secondo loro non sempre le
decisioni collettive sono anche polarizzate:
 livello di conflittualità: in una situazione di bassa conflittualità la soluzione coinciderà con la media delle
decisioni individuali che sono già piuttosto vicine;
 livello di formalizzazione del gruppo: in un gruppo che segua dei criteri gerarchici, delle procedure
formalizzate e immodificabili è immaginabile che la comunicazione sia una comunicazione fredda (come dice
Moscovici). La comunicazione calda è quella che può far emergere un giudizio più polarizzato.
 livello di implicazione dei membri del gruppo: il livello implica il coinvolgimento, l’impegno, il grado di
importanza. Tutti e tre i concetti sono strettamente interconnessi.
Qualità delle decisioni collettive: Janis propone un suo modello secondo il quale le decisioni debbono tenere presenti
tre tipi di vincoli: di tipo cognitivo (info sufficenti), di natura emozionale (decisione in momenti di rabbia) e di natura
affiliativa.
Il group think è un esempio di vincolo di natura affiliativa ed è la propensione a mettersi d’accordo su una decisione
che sembri accettabile e che permetta di evitare discussioni e di salvaguardare la coesione.
I casi a cui fa riferimento Janis sono casi in cui la coesione non è affatto una risorsa per il gruppo. I fattori di rischio
sono:
- la coesione diventa l’obiettivo principale verso il quale tendere;
- Assenza di norme che regolino le procedure decisionali;
- Omogeneità ideologica dei membri del gruppo;
- presenza di un Leader direttivo: un leader che censura alle posizioni devianti;
- Stress da minacce esterne;
- Fiducia nel gruppo di premere buone decisioni;
- Isolamento informativo.
Secondo Janis questi fattori di rischio (anche senza essere presenti tutti insieme) possono far sì che in un gruppo le
persone possano prendere decisioni assolutamente disastrose. Sono i gruppi dove manca quella persona che si alza e
che fa presente che forse la decisione che si sta prendendo è molto a rischio. Janis dice “Migliori sono i rapporti e lo
spirito di corpo tra i membri di gruppi politici, maggiore è il pericolo che un con pensiero critico indipendente sia
sostituito dal pensiero di gruppo, che rischia di dar luogo ad un’azione irrazionale e disumana contro l’out-group”.
Caso delle giurie: meno persone, serve sono lì maggioranza e non voto unanime.

GIUSTIZIA SOCIALE E COOPERAZIONE NEI GRUPPI


La giustizia: è un concetto normativo e non descrittivo, è una nozione etica fondamentale. Studiosi hanno messo in
relazione la giustizia con la cooperazione.
Ci sono due concezioni di giustizia: legalità rispetto delle norme e il rispetto dei diritti umani.
La psicologia studia i sentimenti di giustizia come percezione di essere trattati, o che gli altri siano trattati in maniera
giusta e cioè rispettosa dei propri diritti.
Il sentimento di giustizia si fonda:
 sulla valutazione delle condizioni oggettive nelle quali l’individuo si trova
 sui criteri oggettivi che utilizza per fare questa valutazione
La psicologia studia il concetto di giustizia in base a: rappresentazioni sociali dei diritti e dei doveri (ricordiamo il
lavoro di Doise); il sentimento di giustizia che ha delle conseguenze nell’interazione sociale.
Esistono due forme di giustizia:
 la giustizia distributiva è l’allocazione di benefici ed oneri generata da alcune procedure. La psicologia qui
studia le decisioni valutate sulla base dei risultati ottenuti;
 la giustizia procedurale è l'insieme di procedure che regola la distribuzione di benefici ed Oneri, qui si
andranno a studiare le decisioni valutate sulla base delle procedure usate per decidere.

Giustizia distributiva
La norma sulla reciprocità prevede come persone ottengano in misura proporzionale in base a quello che hanno
dato. Possiamo citare tra i primi studi il tema della giustizia nella:
❖ Teoria della deprivazione relativa: discrepanza tra ciò che sia ha e ciò che si crede di dover avere in confronto a
ciò che gli altri dovrebbero avere ma che al contrario hanno in misura maggiore. Crea un sentimento di deprivazione
relativa. La deprivazione relativa è stata messa in relazione anche ad alcune dinamiche sociali per esempio:
- alla deprivazione egoistica (una persona pensa di avere meno rispetta quello che riterrebbe dover avere),
- alla deprivazione fraternalistica sperimentata da chi personalmente non sente di essere
deprivato ma sente che lo sono altre persone che appartengono al suo gruppo sociale.
❖ Teoria dello scambio: un individuo sta in relazione finché i benefici superano i costi e quando non è più
soddisfatto esce dalla relazione (teoria legata alla norma di reciprocità);
❖ Teoria dell’equità (Adams): è lo sviluppo della teoria dello scambio ed introduce un principio di giustizia
distributiva della relazione. In questo caso un individuo è soddisfatto di una relazione quando il suo bilancio
costi/benefici è simile a quello del partner.
Mentre nella teoria dello scambio le persone valutavano il guadagno in relazione al proprio
investimento, secondo la teoria dell’equità c’è una comparazione tra il mio bilancio costi
benefici con quello delle altre persone coinvolte all’interno di una relazione.
I principi di giustizia distributiva sono:
❏ Equità: intesa come distribuzione di benefici e oneri che deve essere proporzionata al merito e al contributo
offerto da ciascuno (norma di reciprocità: nella situazione in cui qualcuno ha subìto un danno la pena deve essere
proporzionata all’entità del danno commesso).
❏ Uguaglianza: intesa come la distribuzione di benefici e oneri che deve avvenire in maniera egualitaria. Tutti
dovrebbero aver lo stesso medesimo accesso alle risorse indipendentemente dal contributo e dal merito;
❏ Bisogno: inteso come la distribuzione di benefici ed oneri che deve essere proporzionale alle necessità di ciascuno
(LIVEAS).

Giustizia procedurale
Il giudizio sulle esperienze sociali di fonda sulle procedure attraverso i quali sono raggiunti i risultati e vengono prese
le decisioni.
Tyler, psicologo sociale delinea 2 modelli di giustizia procedurale, tra loro non compatibili perché in base ai risultati
della ricerca empirica sulla giustizia distributiva e procedurale esistono alcuni risultati di ricerca che possono essere
spiegabili in base al primo modello mentre altri in base del secondo modello. I due modelli sono:
❖ self interest model (modello dell’interesse personale): modello strumentale, basato sulla concezione di “uomo
economico” le procedure sono valutate per gli effetti che producono. Quindi le procedure hanno importanza perché
consentono di ottenere i risultati auspicati. Tale modello spiega l’importanza della giustizia procedurale per i
vantaggi personali a lungo termine e per il mantenimento delle relazioni di gruppo;
❖ group value model (modello del valore del gruppo) che evidenzia:
 la rilevanza dell’appartenenza del gruppo per definire la propria identità (tajfel)
 procedure come espressione dell’identità e dei valori del gruppo, sono regole alla base del funzionamento
del gruppo (le norme che definiscono l’identità del gruppo);
 le procedure informano sulla posizione occupata da un individuo nel gruppo (status);
 la procedura è proporzionale alla rilevanza dell’appartenenza al gruppo;
 le procedure che soddisfano i bisogni di appartenenza e di riconoscimento dello status sono rilevanti per la
propria identità;
 il giudizio sulla correttezza delle procedure influenza l’impegno e l’orientamento verso il gruppo.

RELAZIONI INTRAGRUPPI
Studi sul campo delle relazioni intergruppi. Elias e Scotson dimostrano quali processi di discriminazione si possono
attivare nei rapporti intergruppi anche quando non pare ci siano ragioni importanti per il conflitto. Scotson fece una
ricerca sociologica su un piccolo centro dell’Inghilterra e aveva dimostrato che esistevano 3 zone ecologicamente
diverse all’interno di questo paese. Scotson si era limitato a descrivere quello che aveva visto. Elias (dopo la
conclusione della ricerca di Scotson) è andato al di là dei dati e ha cercato i significati di tali dati.

L’area era ecologicamente divisa in tre parti, conteneva tre gruppi diversi (di persone, di famiglie, di agglomerati di
famiglie):
1. Un’area era abitata dalle classi medie, zona privilegiata;
2. Un’area era abitata dalla classe operaia established: le famiglie erano costituite da individui che avevano un lavoro
fisso, che durava da tempo, con competenze professionali significative, con un’abitazione adeguata alle loro
esigenze, con figli che frequentavano la scuola per cui inseriti);
3. infine c’era una terza area abitata da gruppi di operai di recente immigrazione- classe operaia outsiders: le
famiglie dovevano assestarsi nel nuovo ambiente, i figli vivevano in situazione di incertezza, frequentavano poco la
scuola, si tenevano al di fuori dell’ambiente scolastico e avevano comportamenti devianti che allarmavano molto gli
abitanti delle altre due zone (alto tasso di delinquenza giovanile).
L’osservazione di Scotson era che gli established mettevano in atto dei processi di etichettamento e sterotipizzazione
contro gli outsiders. Non soltanto i borghesi che abitavano la zona delle classi medie, ma anche gli stessi operai più
integrati nel contesto in cui si trovavano a vivere (pur appartenendo alla stessa classe), tendevano a considerarli
poco di buono, con poca voglia di lavorare (il vero problema per gli outsiders era trovare lavoro ma la loro
disoccupazione veniva identificata come mancanza di impegno nella ricerca di un lavoro), i figli venivano considerati
poco bene educati, le famiglie considerate incapaci di educare i figli e i figli erano considerati come tendenti nel
mettere in atto (quasi dal punto di vista del loro carattere personale) comportamenti devianti se non addirittura dei
comportamenti delinquenti.
Gli outsider venivano percepiti come privi di regole precise di vita e per questo incapaci di inserirsi nel territorio, gli
operai established tendevano ad evitarli ed escludere ogni tipo di contatto con gli abitanti della zona più depressa: si
potrebbe dire un’attivazione di processi di esclusione e di evitamento ideologico.
E’ interessante notare che nonostante nel tempo la devianza nella zona 3 fosse diminuita fortemente nonostante gli
ex outsiders in pratica avessero raggiunto questo livello di integrazione sociale decisamente accettabile, la
discriminazione sociale permane.
Elias: l’incapacità degli stereotipi sociali di essere liquidati una volta che gli elementi che li fanno nascere e le ragioni
che li organizzano e li forniscono vanno a scomparire. Elias va a studiare perché tali stereotipi permangono: quando
si generano conflitti tra gruppi, questi conflitti tendono a permanere quando le ragioni stesse del conflitto sono
superate.

Fattori che producono discriminazioni intergruppi: La tesi lewiniana sostiene che un gruppo si costituisce come unità
dinamica sulla base della relazione dei suoi componenti. Molti psicologi sociali hanno tentato di dimostrare che ciò
che succede nel conflitto nei gruppi non dipende tanto dalle caratteristiche dei singoli individui ma da fattori che
sono connessi dal modo di funzionare dei gruppi stessi, evitando l'errore sistematico di lewin.
L’interesse di Sherif (primo grande esponente che si occupa delle relazioni intergruppi, autore turco che ha lavorato
nell’usa) per la relazione fra gruppi nasce in misura molto rilevante anche dalla sua storia personale.

La ricerca di Sherif fu svolta con una tecnica di tipo sperimentale in situazione di campo: Sherif prese in
considerazione due campi estivi che venivano organizzati per i figli dei componenti della comunità locale nella quale
Sherif viveva quando era nell’Università dell’Oklahoma. Sherif assunse il compito di dirigere egli stesso alcuni campi
durante l’estate al fine di realizzare all’interno di queste situazioni naturali una ricerca sperimentale.
Questi ragazzi erano stati scelti da Sherif sulla base di alcuni criteri di fondo per omogeneizzare il più possibile la
popolazione campione; furono fatti anche testi di personalità affinché non ci fossero soggetti con difficoltà di
relazione particolarmente intense tali che li facessero soffrire dell’esperienza di campo.
Tale sperimentazione fu poi ripetuta per confermare i risultati che l’ipotesi iniziale si attendeva.
L’ipotesi principe era che i processi intergruppi sono dovuti all’importanza che l'individuo da all’appartenenza di un
gruppo. È il fatto di sentirsi membri di un gruppo (dotato di regole proprie, di un’organizzazione interna, ecc) che fa
sì che si mettano in atto meccanismi di gruppo, che non sono riferibili alle caratteristiche dei individuali soggetti. Nel
campo si susseguirono tre fasi a cui poi se ne aggiunse una successiva.
Le 3 fasi furono così caratterizzate:
1. i ragazzi furono accolti al campo, sistemati nelle baracche in cui erano alloggiati, fu spiegato loro in che cosa
consisteva la vita del campo e si iniziarono fin dai primi momenti della attività di gioco tra tutti i partecipanti.
Non vi erano trattamenti differenziati tra i soggetti. L’unico interesse che Sherif espresse fin dal primo
momento era quello di identificare sottogruppi di ragazzi che si conoscevano in partenza per vedere che
tipo di evoluzione questo rapporto avrebbe avuto man mano che le fasi successive si fossero definite.
2. La seconda fase fu contrassegnata dal fatto che i soggetti del campo furono divisi in due gruppi con nomi
precisi (blu e rossi) e la ragione che fu data per tale divisione era che la vita del campo sarebbe stata
organizzata meglio. In questa fase non si introdussero regole diverse da quelle di prima, vennero dati solo i
nomi ai gruppi per identificare le persone con il gruppo (senso di appartenenza);
3. Organizzazione di giochi competitivi: Sherif non descrive quali giochi venissero utilizzati, ma certamente
erano tutti giochi “a somma zero”, per cui se un gruppo vinceva, l’altro perdeva. Scelta fatta appositamente
per vedere cosa succedeva quando si introducevano elementi di scontro fra i due gruppi che si stavano
considerando;
Il fatto interessante è che sin dalla fase 2 (nonostante l’intenzione da parte di Sherif fosse quella di non creare
differenze ma di far sentire i soggetti componenti di due gruppi diversi) compaiono gerarchie all’interno dei due
gruppi. Il semplice fatto della semplice divisione in due creava l’esigenza di organizzarsi.
Nella fase 3 in cui vennero messi in atto giochi di tipo competitivo il deterioramento delle relazioni intergruppi
divenne molto rilevante, molto significativo. Comparvero delle ostilità esplicite e la formazione di stereotipi negativi
dell’outgroup. Laddove c’erano delle amicizie (rapporti significativi) tra dei ragazzi, qualora i soggetti amici erano
stati assegnati a gruppi diversi e dopo la situazione di scontro (dove c’erano vincitori e perdenti), le amicizie
tendevano ad andare in crisi.
Si notò anche un incremento della coesione all'interno del proprio gruppo (ingroup).
Le tensioni intergruppi non cessarono nemmeno al termine dei giochi competitivi con la ripresa delle attività comuni.
Sherif pensava che abbandonati i giochi competitivi e tornati ad attività comuni, le ostilità reciproche cessassero ma i
ragazzi continuavano ad essere aggressivi, manifestavano ostilità e utilizzavano nomi svalutativi.
Proprio per questo Sherif pensò ad una quarta fase: fu un problema di ordine pratico a cui Sherif dovette pensare,
quello appunto di rimandare a casa i ragazzi in una situazione di amicizia così come quando erano partiti da casa
4) Sherif creò situazioni in cui vi costituivano uno scopo sovraordinato, cioè i ragazzi dei due gruppi dovevano
fare delle attività con la partecipazione di entrambi i gruppi, per raggiungere un obiettivo comune: un giorno
l’automezzo che portava i beni alimentari si ruppe lontano qualche km dal campo e tutti i ragazzi dovettero
andare a prendere le vettovaglie per poter aver modo di sfamarsi nel corso della giornata e nelle giornate
successive.
Furono create altre due o tre situazioni di questo genere. Solo dopo aver collaborato per un scopo comune,
condiviso, l’ostilità fra i due gruppi scomparve totalmente.

Condizioni minime per discriminazione intergruppi: Due gruppi impegnati in un gioco a somma zero (uno vince,
l’altro perde) attivano competizione intergruppi. Interessi divergenti, anche di ridotta portata, danno origine ad un
conflitto fra due gruppi in relazione fra loro. Per far cessare il conflitto tra due gruppi è necessario che essi debbano
collaborare per raggiungere uno scopo sovraordinato.
Risultati della ricerca: la competizione produce confini rigidi nei confronti dell’altro, situazione di chiusura, aumenta
il bisogno di percepire sé, in quanto gruppo, migliori dell’altro. Per superare questa discriminazione i confini di
gruppo devono diventare permeabili e deve realizzarsi collaborazione fra gruppi per raggiungere uno scopo
condiviso. L’impegno dei due gruppi per raggiungere uno scopo sovraordinato è il fondamento dei processi di
cooperazione.

Le condizioni minime di discriminazione intergruppi - Rabbie e Tajfel


Altri autori si sono interessati agli studi di sherif e ne hanno sviluppato delle teorie.
Gli autori che hanno proseguito gli studi ispirandosi a Sherif (ricordiamo Rabbie e Tajfel), si sono posti il problema di
quale siano le condizioni minime affinché si crei tensione tra i gruppi. La qualità dei rapporti tra gruppi non dipende
da fattori individuali ma da fattori
socio- psicologici connessi con l’appartenenza al gruppo.
Attraverso gli studi di Rabbie e Tajfel entrano in gioco dei processi di favoritismo nei confronti del proprio gruppo.
Per cui si parlerà di ingroup quando si parla di situazioni di appartenenza e outgroup quando si parla del gruppo
diverso da quello a cui si appartiene.
Ricerche su due gruppi messi al confronto.

Rabbie si ispira alla concezione lewiniana di gruppo: il gruppo esiste in quanto dei soggetti trovano di avere un
destino comune, non c'è bisogno di creare conflitto basta un obiettivo comune.
Rabbie e Horwitz (1969) condussero una ricerca su due gruppi di adolescenti in laboratorio e seguivano la seguente
procedura sperimentale:
1) Divisione dei soggetti, estranei fra loro, in blu e Verdi, più un gruppo sperimentale;
2) Assegnazione ad entrambi i gruppi identici compiti per i gruppi e compiti che non avevano rilevanza per il
dato sperimentale ma utilizzate per far identificare le persone nel loro gruppo. Il compito consisteva nel
dover descrivere caratteristiche positive e negative dei membri del proprio gruppo e dell’altro gruppo –
variabile dipendente);
3) Presenza di un gruppo di controllo: costituito da ragazzi con stesse caratteristiche del gruppo blu e verde al
quale veniva chiesto di svolgere gli stessi compiti richiesti ai gruppi sperimentali.
Ai due gruppi sperimentali (e non al gruppo di controllo) veniva promesso per la partecipazione all’esperimento una
premio accattivante per ciascuno dei membri del gruppo, ad un certo momento dell’esperimento si diceva ai ragazzi
che i fondi economici per la ricerca erano finiti ed era possibile premiare solo una dei due gruppi. I premiati si
sentivano gratificati e i non premiati delusi e frustrati. Queste esperienze non erano vissute dal gruppo di controllo.
I risultati ottenuti sono che l’esperienza di un destino comune positivo (nel caso di quelli che erano stati premiati) o
negativo (nel caso di quelli che non avevano ottenuto il premio atteso) è condizione necessaria e sufficiente per
osservare un sentimento di favoritismo verso il gruppo di appartenenza.
Pertanto il destino comune può essere considerato una condizione per creare questa sorta di meccanismo di
discriminazione tra i gruppi (favorire il proprio e sottovalutare il valore dell’altro gruppo).
I soggetti che si trovano ad avere un destino comune tendono a valutare più positivamente i membri del gruppo a cui
appartengono.

Quasi in contemporanea con lo studio di Rabbie:


Tajfel : Secondo lui la semplice categorizzazione in gruppi può provocare favoritismo per l’ingroup e discriminazione
verso l’outgroup (teoria diversa da Rabbie e Horwitz)
Tajfel propone il Paradigma Sperimentale dei Gruppi Minimi che prevede:
1. la divisione arbitraria in due gruppi;
2. nessuna interazione: si diceva ai soggetti che facevano parte di un gruppo ma non sapevano chi faceva parte del
proprio gruppo e di quell’altro. Il criterio di divisione fu fatto attribuendo ai soggetti delle preferenze riferite a quadri
di Klee o di Kandinskij.
3. anonimato.
Il compito sperimentale consisteva nella distribuzione di risorse (pence di sterlina), Le persone avevano una piccola
somma che potevano distribuire come credevano ad un membro del proprio e dell’altrui gruppo. La distribuzione
veniva fatta alla cieca, alla sola presenza dello sperimentatore.

Conclusione: la categorizzazione sociale è sufficiente a produrre discriminazione intergruppi, si privilegia il proprio


gruppo nei confronti dell’altro
Tajfel utilizza la nozione di confronto sociale  teoria dell’identità sociale: c'è una identità sociale positiva, una
valorizzazione positiva di sé e dei membri del proprio gruppo.

Turner ha sottolineato una dimensione sempre più cognitiva della teoria intergruppi e poi elaborando in termini
ancora più individualistici la teoria delle relazioni tra gruppi, mettendo in risalto che è sempre l’operare del sé quello
che definisce il modo in cui si definiscono i gruppi e di come il soggetto si pone nell’ambiente sociale. La Teoria della
categorizzazione del sé (SCT) prevede che ci sia un rapporto fra processo cognitivo di categorizzazione e formazione
psicologica di un gruppo: Identità sociale - SIT SCT
Deriva dall’appartenenza di gruppo E’ una rappresentazione cognitiva di sé che distingue tra azione del sé individuale
e nei termini del gruppo (in una specie di continuum).
Comportamento individuali e di gruppo sono entrambi agire nei termini del sé, ma a diversi livelli astrazione: I livelli
di astrazione del sé della SCT sono:
- Livello sovraordinato: sé come essere umano;
- Livello intermedio: sé come membro di un gruppo;
- Livello subordinato: sé come individuo unico (livello sugli studi sulla personalità).
La conseguenza della categorizzazione del sé a livello intermedio è quella di far sì che il soggetto si senta come
membro di un gruppo. Da cui nascono delle conseguenze molto rilevanti: il soggetto si può considerare come
perfettamente intercambiabile con altri membri del gruppo, può considerare il gruppo come entità particolarmente
coesa che si pone in contrapposizione all’outgroup visto a sua volta in termini particolarmente coesi.

INFLUENZA SOCIALE
suggestione: L'individuo in mezzo a un gruppo si modifica, si uniforma, le capacità intellettuali sono impiegate in
maniera diversa se il soggetto opera da solo o in gruppo. Il fenomeno della suggestione da un individuo a un altro
crea una sorta di ipnosi (psic. Delle folle) che portano a indurlo alle sue stesse posizioni. L'individuo crede di
esprimere le proprie idee ma queste sono influenzate dagli altri.
Nella relazione di suggestione il comportamento sociale è soggetto di forze incoercibili, attivate da un leader dotato
di un grande prestigio (che ottiene esercitando una forte una propaganda su coloro che l’ascoltano) o esercitate
direttamente dalla massa.
Il gruppo (o folla) esercita una pressione che fa piegare il soggetto, questi può solo evitare le persone che possono
indurlo a posizioni che non vuole condividere o assumere, se si trova in gruppo però non può sfuggire a queste forze.
Esistono due modalità di esercitare il potere: la suggestione e la coercizione:
- la suggestione suscita un consenso senza esercitare delle pressioni “violente, forti, pesanti” sul soggetto.
- La coercizione invece, per piegare il soggetto alle idee di colui che ha il potere, usa “forza e
minaccia”.

Normalizzazione: La ricerca Sherif (attraverso il suo esperimento sull’effetto autocinetico) aveva dimostrato che i
soggetti convergevano perché conveniva associarsi al punto di vista degli altri, quindi a causa di un giudizio ragionato
e personale (insicurezza e incertezza sulla propria risposta). Non era più il solo stimolo esterno a far sì che i soggetti
convergessero su uno stesso giudizio. Esclude la tesi associazionistica stimolo-risposta (dell’elaborazione acritica
dello stimolo che fa giungere a risposte obbligate). L’effetto convergenza è visto come una risposta logica e non
indotta dalle condizioni date.
esperimenti di Asch: allievo di una scuola gestaltista, emigrato in U.S.A. perché ebreo  enfatizza la partecipazione
della razionalità (del ragionamento) al processo di influenza, risultato di un ragionamento che mettono in atto.
-esperimento: stimoli chiari ed evidenti; questo per vedere come funziona la ragione quando è sottoposta a forti
influenze che cercano di modificare la propria posizione (con stimoli chiari ed evidenti).
Esperimento di Asch:
1. otto soggetti giudicano quale fra tre linee di diversa lunghezza è uguale ad una linea standard (il compito
non mostra alcuna ambiguità);
2. sette soggetti sono in realtà complici dello sperimentatore; l’ottavo è il vero soggetto sperimentale; i
complici danno risposte deliberatamente scorrette in modo unanime. Il soggetto sperimentale vero e
proprio che deve rispondere per ultimo si trova disorientato.
Asch girò un documentario di quello che accadeva nella situazione sperimentale e si vede che il soggetto
sperimentale di fronte a giudizi sbagliati prima sorride poi comincia a spostarsi per prendere in considerazione
prospettive diverse, preoccupato dal fatto che tutti gli altri sostengono una tesi del tutto insostenibile.
Risultati: un terzo dei soggetti sperimentali sposta il proprio giudizio nella direzione della maggioranza.
Il gruppo di controllo (senza partecipazione dei complici) esprime giudizi sempre corretti.

Conclusione: i soggetti sperimentali giungono al giudizio errato attraverso un ragionamento e in modo consapevole
sapendo che stanno facendo un’operazione non del tutto corretta, pensano che vi sia una qualche ragione per
rispondere in quel modo.
Nel briefing seguente l’esperimento viene spiegato ai soggetti qual era l’esperimento:
I soggetti che avevano ceduto furono sollevati, mentre i soggetti che avevano resistito (2/3)
ovviamente uscirono soddisfatti della propria prestazione. (A uno solo sembrava così davvero). L’esperimento di
Asch è stato più volte ripetuto con piccole variazioni.

Un altro esperimento di Asch è quello di Deutsch e Gerard (1955) in cui vengono prese sono costruite condizioni
sperimentali in cui:
1. vi è un gruppo di persone che si conoscono, che hanno già lavorato insieme (la minoranza è formata da una
sola persona e il resto è maggioranza) per cui il soggetto sperimentale in minoranza si piega con relativa
facilità all’influenza degli altri perché si trova in difficoltà a essere in contrasto con compagni abituali di
lavoro (l’influenza che viene esercitata è di tipo normativo);
2. in un gruppo di lavoro con persone che non si conoscono, il soggetto sperimentale di fronte ai sette che
sostengono una tesi inammissibile, resiste più facilmente (l’influenza che viene esercitata è di tipo
informativo).
Influenza maggioritaria: il modello funzionalista
La ripetizione dell’esperimento di Asch rafforzò sempre più una concezione funzionalista dell’influenza sociale:
l’influenza sociale è vista come una forza volta a garantire il conformismo e ad esercitare il controllo sociale.
Moscovici considerò criticamente tutte le ricerche svolte nella prospettiva del conformismo sociale, osservò che
tutte le ricerche considerate rientravano in un modello funzionalista (secondo il funzionamento dei gruppi). Secondo
il modello funzionalista:
- l’influenza sociale è distribuita in modo diseguale;
- l’influenza sociale è esercitata secondo modalità unilaterali;
- la funzione dell’influenza sociale è di mantenere e rinforzare il controllo sociale;
- le relazioni di dipendenza determinano la direzione e la forza dell’influenza esercitata in un gruppo, solo alcuni sono
in grado di esercitare influenza in un modello funzionalista;
- l’incertezza e il bisogno di ridurla determinano le forme prese dai processi di influenza (dalla maggioranza verso la
minoranza, dal potere verso chi non ha il potere);
- il consenso che l’influenza tende a raggiungere è basato sulla norma dell’obiettività

Moscovici si chiese come fosse possibile un’innovazione per questo modello: infatti i suoi limiti  chi ha più potere
(la maggioranza) può spingere chi ha meno potere (la minoranza) a seguire le sue indicazioni, a conformarsi.
Influenza e potere non sono sinonimi:
 Il potere può usare la costrizione: forma di dominio sugli altri
 L’influenza attiva processi razionali di giudizio (Asch e Sherif): attiva processi di giudizio che sono
indipendenti da qualsiasi forma di costrizione.
Per cui assimilare potere e influenza è un’operazione semplificatrice. Si mette in discussione questo modello perché
l'influenza porta al conformismo e non all’innovazione: Homans e Hollander (il tema della leadership) credono che
l’innovazione può essere promossa solo da élites illuminate appartenenti alla maggioranza. Per Hollander le élites
devono godere di una fiducia da parte della maggioranza, potere e influenza sono sinonimi e l’influenza è il frutto
dell’esercizio del potere.
Moscovici alla luce dei suoi studi sull’influenza maggioritaria giunge alla conclusione che il modello funzionalista
esprime una visione riduttiva e meccanicistica dell’influenza.

Il modello genetico dell’influenza  Moscovici propone questo modello di influenza sociale, fondato su esperimenti
originali. Il modello genetico sostiene che:
o tutti i membri di un gruppo sono sia bersaglio sia fonte di influenza (ribalta il punto di vista
funzionalista);
o l’influenza non è necessariamente asimmetrica poiché procede dalla maggioranza alla minoranza
(come sostiene il modello funzionalista) proprio perché è sia fronte sia bersaglio.
o l’influenza non è solo funzionale al conformismo ma può attivare processi di cambiamento
innovativo. Nel modello funzionalista l’innovazione non era immaginabile.
Con questa nuova prospettiva genetica si può affermare che si possono attivare processi di tipo innovativo,
determina inoltre che oltre l’influenza della maggioranza può esistere una influenza attivata dalla minoranza.
Le caratteristiche dell’influenza minoritaria  Esiste una differenza fondamentale fra il processo di influenza
maggioritaria e quello di influenza minoritaria.
L’influenza maggioritaria: il bersaglio accetta, almeno formalmente, quanto la maggioranza afferma (in un processo
unilineare).
L’influenza minoritaria: non ha potere a disposizione o ha un potere estremamente limitato, per cui l’influenza
minoritaria deve definire una propria posizione antagonista e alternativa a quella maggioritaria.
Se la maggioranza è dotata di tanto potere da mettere a tacere, o da mettere in atto una
rappresaglia verso la minoranza, quest’ultima perde. Il potere non permette che si mettano in atto delle influenze
minoritarie. Però dove si ammettono (all’interno di un quadro democratico) voci contraddittorie rispetto a chi ha il
potere, il conflitto può essere superato soltanto attraverso uno scambio di punti di vista e una negoziazione tra i due.
Il negoziato prevede che:
 ambedue le parti possano esprimere il proprio punto di vista;
 in tale scambio è decisivo lo stile di comportamento della minoranza (punto fondamentale).
Infatti il comportamento minoritario viene definito con il termine consistenza = coerenza e tenacia da parte della
minoranza. La consistenza implica una parte psicologica.

Nella vita reale tra minoranza e maggioranza si attivano conflitti di maggiore rilievo che sono più complessi rispetto a
quello che può accadere per problemi di tipo puramente percettivo come negli esperimenti presentati finora.

Effetti dell’influenza maggioritaria e minoritaria: Gabriel Mugny (vicino a Moscovici) ha continuato a sviluppare la
verifica empirica sulla tesi dell’influenza minoritaria e sostiene che dove sono in gioco punti di vista diversi su
atteggiamenti e su opinioni giudizi d’ordine sostanziale, sono in gioco tre protagonisti:
1. la maggioranza che ha il potere, che hanno definito un certo giudizio di valore;
2. un numero elevato di soggetti che accetta il punto di vista del potere in quanto non pensa che si possa
sostenere una tesi alternativa. Gode di minore prestigio ma fa l’opinione pubblica;
3. una minoranza che si oppone al potere.
In questa situazione triadica per esercitare l’influenza, la minoranza dovrà negoziare:
 in modo flessibile con la maggioranza senza potere, si accetta la loro buona fede;
 in modo rigido senza incertezze nei confronti della maggioranza con potere.
È necessario ed importante che la minoranza nei confronti del potere adotti uno stile molto rigido tanto da rompere
qualunque tipo di comunicazione informale con la maggioranza e abbia comunicazioni solo estremamente
formalizzate con la stessa, mentre con i cittadini (maggioranza senza potere) possono essere adottate comunicazioni
informalizzate.
Quando la minoranza contesta (e questo è il rischio che la minoranza corre) in modo coerente e tenace (stile rigido)
un’opinione della maggioranza che ha potere, questa mette in atto una risposta di tipo naturalizzazione: cioè non
contrastare tanto gli argomenti
della minoranza ma attribuire questi argomenti a caratteristiche personali dei soggetti (per esempio dire che i
soggetti sono matti, rigidi, estremisti). Pertanto la maggioranza non risponde a quello che la minoranza sostiene ma
devia il discorso svalutando sulle caratteristiche dei soggetti appartenenti alla minoranza stessa.
Per superare la naturalizzazione è importante che la minoranza continui a sostenere le proprie tesi con quel tipo di
coerenza che ha sostenuto con la maggioranza e con uno stile
più flessibile con la gente.
I processi di influenza maggioritaria e minoritaria non si realizzano nello stesso modo e ci sono differenze precise:

Influenza minoritaria Influenza maggioritaria


Indiretta diretta;
non immediata immediata
latente evidente a livello sociale
profonda modifica lo schema percettivo spesso superficiale

Gli effetti dell’influenza maggioritaria vengono definiti sulla base della condiscendenza (ci sia adegua solo
apparentemente d’accordo con quello che la maggioranza sostiene)
Gli effetti dell’influenza minoritaria danno luogo alla conversione.
Gli studi procedono per dar conto dei processi cognitivi sottostanti agli effetti di influenza minoritaria.

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