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-FONDAMENTI DI PSICOLOGIA DI COMUNITÀ

CAPITOLO 1: LA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ TRA TEORIA E


PRATICA
La psicologia di comunità è una disciplina che si occupa di individuare e sperimentare strategie professionali per
affrontare i PROBLEMI di una comunità, che hanno rilevanti IMPLICAZIONI COMPORTAMENTALI E PSICOLOGICHE.
Orford La → mission della disciplina può essere ricondotta a due punti:
1. aiutare le persone a diventare consapevoli del ruolo che hanno le CONDIZIONI in cui vivono nel determinare la
loro SALUTE E IL LORO BENESSERE
2. aiutarle a UNIRSI affinché si attivino e diventino protagoniste di processi di cambiamento delle loro condizioni di
vita Questa significa interrogarsi sulle determinanti dei maggiori problemi sociali e di salute della nostra società e
rispetto alle modalità più adeguate per affrontarli. (Esempio: il rapporto tra disuguaglianze sociali/povertà e disturbi
mentali o il rapporto tra suicidi e crisi economica).
Secondo Orford parlare di persone implica sottolineare una dimensione sociale, di reti e relazioni interpersonali, di
qualcosa che rimanda a processi identitari di appartenenza.
Mannarini La psicologia di comunità si occupa di convivenza, di “noi” e quindi necessariamente anche → di “loro”.
Si occupa dell’“altro necessario”, quell’altro senza cui l’essere umano non può darsi nella sua natura propriamente
umana, e che pur tuttavia pone il problema della differenza. Questo significa che l’interesse della psicologia di
comunità è rivolto all’interdipendenza tra le componenti contestuali e quelle individuali, nel tentativo di
comprenderne la dinamica transazionale e capire quali condizioni favoriscono lo sviluppo e il benessere individuale
e di quella comunità.
Brofenbrenner L’evoluzione delle discipline psicologiche è stata segnata da un marcato squilibrio tra la → grande
attenzione dedicata al concetto di personalità e agli stadi dello sviluppo individuale e lo scarso interesse per il
versante ambientale della classica equazione di Lewin (teoria del campo).
→ La psicologia di comunità parte dall’assunto che il comportamento della persona possa essere meglio compreso
se studiato in relazione ai contesti sociali che caratterizzano la sua vita quotidiana. L’oggetto di studio viene
collocato nell’interfaccia tra la persona e l’ambiente, creando una UNITÀ DI ANALISI E DI INTERVENTO che può
essere definita “persona-nel-contesto” (metafora ecologica). L’individuo e i contesti sociali sono considerati
inseparabili, in quanto connessi da complesse interazioni reciproche, e le condotte interpretate come il miglior
adattamento possibile per l’individuo in relazione alle condizioni ambientali. Problematiche come depressione,
alcolismo o integrazione sociale vengono studiate in relazione ai contesti di vita in cui la persona è inserita, che
creano una sorta di ecosistema.

Psicologia clinica di comunità: un confronto


Psicologia clinica e di comunità condividono la
finalità ultima di perseguire il benessere delle
persone ma elaborano percorsi differenti per il
raggiungimento di tale scopo:
Ciononostante psicologia clinica e di comunità
sono in un rapporto di complementarietà: se è
indiscutibile che per le persone che già presentano un disturbo è più adeguato un approccio clinico, è altrettanto vero
che tempi e costi delle terapie non consentono di raggiungere tutte le persone che ne avrebbero bisogno. La cura
della patologia di affianca alla ricerca e alla rimozione delle condizioni di vita in cui molti problemi di salute mentale
affondano le loro radici.
Focus sulle risorse personali e sociali → Agire in un’ottica di comunità quindi significa guardare al territorio e alla
comunità in modo diverso, concentrandosi sulla salute invece che sulla malattia, ricercandone le risorse prima
ancora di comprendere la diffusione di forme di psicopatologia. Essa può essere definita come una disciplina in cui
è fondamentale interrogarsi su quali sono i valori che muovono il nostro operare: l’assunto di partenza è quello
dell’importanza che si realizzi un equilibrio tra valori collettivi e individuali, che consenta un cambiamento sociale
che vada nella direzione di una più equa distribuzione delle risorse materiali e psicologiche tra i membri della
comunità.
I valori
La psicologia di comunità, essendo una disciplina orientata al cambiamento sociale, fonda teoria, ricerca e azione
sia sulle evidenza empiriche sia sui valori: questi ultimi dicono alla scienza “come dovrebbe essere” la comunità
ideale, la scienza indica quali metodi utilizzare per arrivare al cambiamento sociale a partire dalle condizioni
attuali.
I valori su cui si fonda possono essere raggruppati in 3 categorie coerenti con tali livelli:
1. Valori personali: autodeterminazione, salute, cura e interesse verso gli altri e la comunità. Permettono il
raggiungimento del benessere a livello individuale.
2. Valori relazionali: collaborazione e rispetto per la diversità. Permettono di congiungere sfera individuale a quella
collettiva.
3. Valori collettivi: giustizia, responsabilità sociale nei confronti dei gruppi svantaggiati e sostegno alle istituzioni
sanitarie, collettive e sociali. Promuovono il benessere assicurando un’equa distribuzione delle risorse all’interno
della comunità e ne garantiscono l’accesso a tutti i membri. I diversi valori operano in maniera sinergica
I valori che guidano la promozione del benessere ai diversi → livelli sono interdipendenti e la loro capacità di
indirizzare efficacemente gli interventi dipende dall’equilibrio con cui vengono perseguiti: autodeterminazione e
benessere psicofisiologico possono essere raggiunti solo se sostenuti a livello relazionale, grazie a legami significativi
tra i membri della comunità e, a livello collettivo, attraverso la disponibilità e la possibilità di accedere alle risorse
presenti nel territorio. L’interdipendenza dei vari livelli del benessere permette dunque alla psicologia di comunità di
integrare la visione individualista e quella collettivista, rendendo tale disposizione priva di significato, e dimostrando
come interessi privati e collettivi possano sostenersi reciprocamente. Il valore del rispetto della diversità quindi guida
l’azione degli psicologi di comunità attraverso il principio dell’inclusione, che sostiene il diritto di ogni persona a
essere unica e a non essere giudicata sulla base di un unico standard convenzionalmente accettato. I professionisti
dovrebbero essere in grado di promuovere il benessere di gruppi svantaggiati, riducendo la tendenza a
“etichettare” gli utenti sulla base dei loro problemi, lavorando con le persone allo sviluppo di risorse individuali,
relazionali e di comunità che permettano loro di cambiare le situazioni di ineguaglianza che sono alla base della
loro difficoltà. La psicologia di comunità ha scelto di adottare valori che permettano di promuovere il benessere a
vari livelli di analisi, senza che uno di questi venga privilegiato a spese di altri, ma tenendo presente come l’equilibrio
tra i valori possa essere modificato in relazione ai diversi bisogni che le persone possono manifestare, alle loro
esperienza di vita e alle caratteristiche dei contenti nei quali sono inserite.

I principi guida (lenti)


La metafora ecologica (James Kelly)
Ecologia: studio delle relazioni che intercorrono fra gli organismi e l’ambiente che li ospita. La metafora ecologica
viene adottata da quelle discipline che si propongono di analizzare le relazioni tra gli individui e i sistemi sociali con
cui interagiscono. Per la psicologia di comunità, essa costituisce il “filtro” attraverso cui i fenomeni vengono definiti
e analizzati. Questi fenomeni nascono e si sviluppano nei contesti ed è al loro interno che possono essere compresi e
modificati La metafora ecologica è stata introdotta per superare il paradigma riduzionistico dominante della
psicologia tradizionale, che scompone l’individuo in processi di base (cognizione, percezione, emozione ). Secondo
tale metafora, le COMUNITÀ sono sistemi composti da vari livelli interconnessi tra loro, e il comportamento delle
persone può essere meglio compreso quando viene studiato in relazione a molteplici livelli di analisi . L’assunzione
di tale metafora implica un’assunzione fondamentale sulle cause dei problemi, che vengono considerati come il
risultato dell’interazione nel tempo tra individui, setting e sistemi, e possono essere efficacemente affrontati
attuando cambiamenti nei contesti di vita e promuovendo le capacità delle persone di utilizzarne le risorse.
All’interno della metafora ecologica convive la concezione simbolica di “comunità” come spazio sociale multi-livello,
importante per la vita individuale e la convivenza, ma contemporaneamente area di studio e azione professionale
nella quale anche dimensioni oggettive dell’ambiente fisico, interpersonale, economico, e politico influenzano i
comportamenti collettivi e individuali cercando di cogliere quali meccanismi spieghino tali influenze. Adottare la
metafora ecologica significa partire dal presupposto che gli ambienti di vita in cui siamo inseriti esercitano
un’influenza significativa sul nostro comportamento.
Implicazioni:
• se il comportamento individuale è strettamente connesso all’ambiente, per promuovere il loro benessere è
necessario modificare i contesti di vita
• per decidere quali modifiche apportare agli ambienti di vita è necessario innanzitutto sapere quali caratteristiche
contestuali sono associate a maggiori o minori livelli di benessere
• prima di intervenire su un contesto, bisogna studiarne le caratteristiche di partenza
• quando un contesto viene modificato, i potenziali benefici si estendono a tutti gli individui che sperimentano tale
ambiente in quel momento ma anche alle persone che entreranno in contatto con quel particolare contesto in
futuro
Prevenzione e promozione- ottica proattiva
La promozione del benessere e la prevenzione delle varie forme in cui si esprime disagio possono essere realizzate
nei diversi livelli ecologici. La promozione del benessere è inizialmente centrata sulla promozione delle competenze
individuali, mentre la prevenzione può essere applicata alla modificazione della comunità (promuovere il benessere
anche attraverso cambiamenti nelle politiche pubbliche). Adottare un approccio basato sulla prevenzione del disagio
e sulla promozione del benessere significa porsi in un’ottica proattiva di fronte alla pianificazione dei servizi,
valutando i bisogni di comunità e promuovendo le risorse dei suoi membri.
Empowerment (Rappaport)
Rappaport propone un approccio al lavoro di comunità centrato sul rafforzamento del senso di controllo che le
persone hanno sugli eventi della loro vita, in cui lo psicologo lavora con le persone svantaggiate per promuoverne
la capacità di autodeterminazione.
Livello individuale → per le persone è essenziale poter esercitare un certo grado di controllo sulla vita, soprattutto
per coloro che vengono tipicamente esclusi dai processi decisionali che si ripercuotono sulla loro quotidianità.
Livello relazionale → la relazione tra coloro che realizzano gli interventi e i gruppi a cui questi sono rivolti dovrebbe
essere basata sulla collaborazione finalizzata a un obiettivo comune.
Livello collettivo una prospettiva ancorata al principio del potere mette in evidenza come gran parte → dei problemi
psicosociali derivi da situazioni di inuguaglianza, sia da un punto di vista economico, sia rispetto alla possibilità di
avere voce nei meccanismi decisionali attraverso la partecipazione.

Il principio dell’empowerment mette in rilievo la necessità di considerare le dinamiche di potere che caratterizzano
la relazione tra i professionisti e gli utenti di un servizio o i soggetti di una ricerca. Questo comporta l’apertura a
interpretare insieme ai soggetti i risultati di una ricerca attraverso l’utilizzo di metodologie partecipative, e la
capacità di scegliere la strategia migliore per affrontare i problemi della comunità insieme ai membri che ne fanno
parte, considerati come depositari di conoscenze e competenze fondamentali per il lavoro dei professionisti.

→ La psicologia di comunità è una disciplina accademica e contemporaneamente un modo di agire professionale.


Come disciplina si pone l’obiettivo di comprendere in che maniera fattori situati a diversi livello possano interagire
tra loro e avere un’influenza sul benessere degli individui; diviene fondamentale comprendere le caratteristiche
dell’ambiente familiare, del gruppo dei pari, delle organizzazioni educative e lavorative, nonché approfondire il
complesso insieme di influenze che collegano tali contesti tra loro. La psicologia di comunità si configura anche
come professione di aiuto, che si propone di trasmettere le conoscenze acquisite con la ricerca affinché le persone
divengano consapevoli del ruolo che le condizioni in cui vivono hanno nel determinare la loro salute e il loro
benessere.
I ruoli e le competenze dello psicologo di comunità
Prestazioni tipiche: una molteplicità di prestazioni possibili, tra cui
• elaborazione e costruzione di progetti di comunità • organizzazione e conduzione di focus groups • analisi/stesura
di profili di comunità • analisi organizzativa di istituzioni, gruppi, associazioni e comunità
Il professionista dovrebbe conoscere i principi guida ed essere in grado di applicarli nella pratica. All’interno dei
principi, al professionista non dovrebbero sfuggire le implicazioni etiche della propria pratica professionale.
Competenze operative
Le competenze che vengono messe in atto qui includono: partecipare alla → raccolta e all’interpretazione di dati
per rilevare la situazione di un quartiere o l’efficacia di un programma, la gestione di gruppi per i progetti di ricerca-
azione partecipata per le attività di apprendimento di life skills, la capacità di parlare in pubblico e fornire feedback.
Competenze di pianificazione
Le abilità sottostanti alla pianificazioni degli intervenienti implica un → grado maggiore di autonomia e
responsabilità e comprendono la conduzione di assessment di comunità e la successiva progettazione di interventi
in grado di soddisfare i bisogni individuati all’interno della comunità, mobilitando le risorse esistenti. Le abilità
comprendono inoltre l’ascolto riflessivo, la supervisione condivisa e la comunicazione, orientate a fare in modo che
i soggetti possano vivere un percorso di crescita ed empowerment e di partecipazione alla vita della comunità più
ampia.
Competenze di networking
Comprendono: ricerca di finanziamenti, gestione dei contatti politici e → amministratori, creazione di partnership
su progetti, competenze di leadership nella gestione del personale che lavora nel progetto.
Depowerment
capacità di tenere in considerazione il sapere non professionale e di integrarlo con le → conoscenze scientifiche

Lo psicologo di comunità come:


Attivatore di risorse Coerentemente con l’idea che i membri di una comunità cono depositari di → competenze e
conoscenze che derivano dal contatto quotidiano con l’ambiente in cui sono inseriti, lo psicologo di comunità
dovrebbe porsi come attivatore di tali risorse, aiutano la comunità a definite i propri obiettivi e a elaborare delle
strategie che ne permettano il raggiungimento.
Divulgatore di informazioni nella comunità Per favorire la presa di decisione da parte dei cittadini, una → prima
fase spesso coincide con la trasmissione delle informazioni ai leader della comunità, che successivamente si
occupano dell’ulteriore diffusione delle informazioni ai cittadini, permettendo così che il loro sapere, derivante
dalla conoscenza quotidiana del contesto in cui vivono, incontri le evidenze scientifiche disponibile. → Dopo una
prima fase di definizione degli obiettivi con la committenza, il compito principale del professionista è costituito
dall’individuazione di strumenti e metodi adeguati allo studio delle caratteristiche della comunità, che gli permetta
di comprenderne bisogni e risorse e di stabilire con maggiore accuratezza come rispondere alle richieste della
committenza (fasi di valutazione). Decidere come studiare la comunità, o come aiutare la comunità a conoscersi,
implica importanti scelte di carattere valoriale (es: attivare dei processi che aiutino i soggetti della comunità a
identificare i loro problemi e bisogni). Il ritratto dello psicologo di comunità risulta variegato e delinea un
professionista in grado di operare in contesti molto differenti tra loro, utilizzando competenze che vanno dalla
progettazione e implementazione di interventi alla gestione di contatti con istituzioni politiche e scolastiche.

CAPITOLO 2:
LE ORIGINI DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ
Le origini e la nascita
I valori che ispirano, insieme ai principi teorici e alle strategie d’intervento, sono stati fortemente influenzati dagli
eventi storici e politici di quel periodo. Secondo Seymour Sarason, queste radici sono da ricercare nell’evoluzione
sociale e culturale degli Stati Uniti iniziata con l’inizio della WW2.
Eventi:
• Durante e dopo la WW2 Nel mondo universitario avvengono due cambiamenti:
→ 1. l’apertura della psicologia accademica verso l’intervento sociale
2. l’apertura della psicologia accademica verso la psicologia clinica
La psicologia accademica inizia ad interessarsi a questioni sociali rilevanti, come lo studio dei processi individuali di
dominio e sottomissione che hanno condotto alla tragedia della guerra. Allo stesso tempo, la psicologia clinica
inizia ad assumere un ruolo importante nell’affrontare i problemi sociali creati nel dopoguerra.
Nel 1948, Lewin teorizza la partecipazione attiva dello sperimentatore alle ricerche e la necessità di occuparsi di
problemi reali che interessano le persone.
Nello periodo, Skinner ipotizza l’applicazione delle sue teorie in funzione del cambiamento sociale attraverso
l’elaborazione della comunità di Walden 2, in cui Skinner immagina una comunità utopistica in grado di raggiungere
uno scopo molto ambizioso: un’organizzazione più funzionale rispetto alle società moderne in cui le persone
possono sviluppare al meglio le proprie potenzialità vivendo pacificamente.
• Fine degli anni ‘50 Gli Stati Uniti perdono la corsa allo spazio con l’Unione Sovietica; questa → sconfitta ferisce
l’orgoglio nazionale e genera grande preoccupazione. Tutto ciò si concretizza in una severa autocritica dell’intera
società. Secondo Sarason, questo evento concorre a trasformare quel contesto sociale, in quanto vengono attivate
molte misure per migliorare il sistema educativo e valorizzare le risorse intellettuali di ogni categoria sociale.
• Gli anni ‘60 Grandi riforme promulgate da Kennedy e Johnson.
In questo periodo vengono → poste le basi concrete per la realizzazione degli interventi di comunità. Si ricordano:
1. Community Mental Health Center Act → Riduce i ricoveri negli ospedali psichiatrici e amplia l’offerta di trattamenti
al cittadine all’interno della propria comunità di residenza.
2. War on Poetry Introduce riforme in senso socio socioassistenziale. →
3. Il programma Head Start del 1965: : programma del Department of Health and Human Service degli Sta! Uni!, is!
tuito per fornire a bambini e famiglie provenienti dai ceti più svantaggiati servizi comprensivi di educazione, salute e
nutrizione. Proge7ato per ridurre le disuguaglianze, cominciando nella fase prescolastica, a7raverso a vità di
sostegno emotivo e sociale, di educazione alla salute e nutrizione. Filoni di intervento: Early Head Start (per bambini
fino a 3 anni), Head Start (per bambini 3-5 anni), Migrant and Season Program Branch (per immigra! e lavoratori
stagionali). I servizi offerti sono tu orienta! a parificare le condizioni di accesso alla scuola primaria; i servizi sociali
lavorano in collaborazione con la famiglia allo scopo soprattutto di fornire l’accesso alle risorse presenti nella
comunità.
In seguito a questi cambiamenti sociali: Swampscott, 1965: un ristretto gruppo di psicologi e operatori della salute si
riunisce. Questo evento è il primo atto formale di fondazione della disciplina, durante il quale prende forma e
significato l’espressione “psicologia di comunità”, che invita a ricercare anche nell’ambiente sociale la causa dei
problemi e le risorse per la loro risoluzione. La comunità entra così nella psicologia clinica come luogo in cui si
generano e si manifestano patologie e all’interno del quale possono essere risolte, soprattutto in chiave preventiva.
Nonostante lo spostamento paradigmatico, fino ai primi anni 70 la psicologia di comunità si limitò a occuparsi della
malattia mentale. In seguito, gli psicologi si svincolano dal trattamento della patologia psichica e si orientano verso
problematiche sociali più generale, seguendo il paradigma ecologico, dove gli oggetti di studio e di intervento sono
gli “individui in situazione” e l’obiettivo principale delle ricerche e degli interventi è il cambiamento sociale
complessivo. Ciò significa concettualizzare aspetti individuali a un livello collettivo, il che la avvicina ad altre
discipline come la salute pubblica, l’epidemiologia, la sociologia e l’antropologia. Questo ha portato a fare
dell’interdisciplinarità una caratteristica distintiva di tutti gli psicologi di comunità.
Il modello di Barbara Dohrenwend → relazione tra classe sociale e disturbi mentali. Questo modello sposta l’accento
relativo all’eziologia dei disturbi dalle caratteristiche individuali alle caratteristiche di alcuni gruppi sociali, come, per
esempio, i poveri. Il modello:
• pone l’accento sull’interazione fra fattori contestuali e individuali nello sviluppo della psicopatologia
• pone attenzione al concetto di stress psicosociale
• pone l’accento sulla possibilità di concentrarsi sui singoli individui ma anche su interventi che si occupano
dell’ambiente più allargato
• permette ai professionisti di pensare a interventi di prevenzione → È stato introdotto allo scopo di fornire una
cornice concettuale euristica che pone al centro il concetto di stress psicosociale e che aiuta a pensare ai problemi
delle persone in termini alternativi rispetto a quelli di diagnosi e malattia. Il modello quindi può essere
euristicamente utilizzato per guidare strategie mirate a incrementare la qualità della vita e il benessere o per la
prevenzione di disordini e psicopatologie.
Il senso di comunità
All’interno di questa visione “ecologica” del disagio, un obiettivo comune diviene la crescita dell’intera comunità,
ottenibile attraverso la redistribuzione delle risorse, la quale a sua volta avviene attraverso la promozione della
partecipazione attiva delle persone e la condivisione del potere “
→ senso di comunità”: sentimento di appartenenza e partecipazione attiva degli individui alla vita comunitaria. Il
senso di comunità diventa una pietra miliare e un valore centrale della disciplina. Dal punto di vista operativo, il
senso di comunità è il valore sovraordinato attraverso cui giudicare gli sforzi per cambiare ogni aspetto del
funzionamento di una comunità. Uno dei suoi elementi costitutivi è la disponibilità a dare agli altri.
Sarason definisce la “comunità” come:
• la percezione di similarità con gli altri dimensione: → similarità.
• un’accresciuta interdipendenza con gli altri mantenuta grazie alla disponibilità a offrire o fare per gli altri ciò che
ci si aspetta da loro dimensione: → interdipendenza, ovvero la consapevolezza dei legami inevitabili tra il proprio
agire e l’agire altrui.
• la percezione di essere parte di una struttura pienamente affidabile e stabile dimensione: → vissuto di
appartenenza, ovvero il riconoscimento della comunità stessa come contenitore che racchiude e accomuna i membri
appartenenti. McMillan e Chavis definiscono il senso di comunità come un sentimento che gli individui hanno di
appartenere e di essere importanti gli uni per gli altri, unita a una fiducia condivisa che i bisogni dei membri
saranno soddisfatti dal loro impegno a essere insieme.
Per comprendere il modo in cui il senso di comunità può operare, essere definito e misurato, propongono 4 fattori:
1. appartenenza 2. influenza 3. integrazione e soddisfazione dei bisogni 4. connessione emotiva condivisa
A livello comune, tutti gli studi condotti hanno confermato che il senso di comunità risulti legato a: • un alto livello di
benessere individuale • agli affetti piacevoli • all’autoefficacia • bassi livelli di solitudine e ritiro depressivo Il senso
di comunità è stato messo in relazione anche con le capacità individuali di risoluzione dei problemi e di
fronteggiamento di eventi stressanti.

Il storico contesto italiano La Psicologia di Comunità italiana nasce intorno alla seconda metà degli anni Se7anta,
con un decennio di ritardo rispe7o a quella statunitense. La data di inizio viene fa7a coincidere con l’anno di uscita
del volume scri7o da Donata Francescato per Feltrinelli nel 1977. Otre che nel cinema, nella musica e nell’editoria,
segnali di un forte a7acco all’approccio tradizionale alla malattia mentale, sono iden!ficabili già nel 1968: Franco
Basaglia decide, con il supporto dei più importan! fotografi italiani, di documentare le condizioni di vita delle “ is!
tuzioni totali” (manicomi). Ne nasce, nel 1969, un volume dal !tolo “Morire di classe” che sfocerà nella famosa legge
del 1979. Dall’inizia!va congiunta di Donata Francesco e di un gruppo di professionis! dell’ARIPS di Brescia, la
psicologia di comunità comincia a muovere i primi passi. Nel 1994 viene fondata la SIPCO: Società Italiana di
Psicologia di Comunità. Nasce inoltre la prima rivista del se7ore: “Rivista di psicologia di comunità”.

CAPITOLO 3: IMPLICAZIONI E APPLICAZIONI DELLA METAFORA ECOLOGICA


La felicità percepita- l’ecosistema del benessere e la metafora ecologica
La fiducia che riponiamo nelle altre persone sembra essere un ottimo indicatore della qualità delle relazioni sociali
che caratterizzano la nostra quotidianità. La qualità delle relazioni con gli altri sembra essere il nucleo attorno al
quale viene plasmato il nostro benessere. Le relazioni a loro volta vengono incoraggiate dagli ambienti: quando gli
ambienti vengono riconfigurati per accogliere le persone, creando luoghi di aggregazione, i cittadini rallentano e si
riappropriano dei loro spazi
L’ → ambiente come ecosistema del benessere: L’AMBIENTE che ci circonda, con le sue caratteristiche fisiche e
sociali, sembra essere il fulcro intorno a cui ruotano molti dei nostri comportamenti, le relazioni con gli altri e il
nostro benessere. I luoghi sono costituiti da strutture e processi che si influenzano reciprocamente, in una
relazione dinamica che crea l”ecosistema del nostro benessere”.
Fattori partecipanti al benessere:
• Fattori individuali: conoscenze, capacità di affrontare e risolvere i problemi quotidiani, ottimismo, tendenza a
scoraggiarsi di fronte alle difficoltà.
• Fattori contestuali: rete relazionale con cui si ha un contatto diretto, frequente e con cui si condividono la maggior
parte delle esperienze (amici-famiglia). Man mano che ci allontaniamo dalla sfera delle relazioni più strette e della
comunità locale, siamo in grado di valutare le caratteristiche della città/regione/nazione in cui viviamo. Le nostre
conoscenze saranno diverse se viviamo in una città che offre molti stimoli culturali e ci permette di raggiungere con
facilità i principali eventi organizzati. Allo stesso tempo, il sostegno degli amici sarà particolarmente importante per
gli individui con difficoltà familiari o economiche.
Questo complesso → intreccio tra fattori individuali e contestuali e le influenze che ne derivano può essere esteso a
qualsiasi aspetto del nostro benessere e a un’ampia gamma di comportamenti. L’ecosistema del nostro benessere
è l’oggetto principale della psicologia di comunità, il cui principale obiettivo è quello di comprendere quali
caratteristiche ambientali influenzano i comportamenti degli individui, per riuscire a creare contesti in grado di
promuovere il loro benessere.
La METAFORA ECOLOGICA per la Psicologia di Comunità
Costituisce il filtro attraverso cui i fenomeni vengono definiti e analizzati, fornisce quindi un paradigma per la
ricerca scientifica – con oggetto di studio “l’individuo-nel contesto” - e per la pratica – gli interventi si
propongono di modificare gli ambienti di vita e le relazioni tra contesti ed individui. Adottarla significa partire
dal presupposto che gli ambienti di vita influenzano significativamente il nostro comportamento
Le TEORIE ECOLOGICHE nelle scienze sociali
I principali modelli teorici che hanno applicato la metafora ecologica condividono l’idea che l’ambiente possa essere
concettualizzato e descritto a molteplici livelli di analisi, e concordano sull’importanza di pensare che sia composto
da livelli concentrici che si influenzano reciprocamente
• Kurt Lewin: la teoria di campo→ Lewin viene considerato il pioniere dell’attenzione all’ambiente per la
spiegazione del comportamento individuale. Con la teoria di campo sviluppa un metodo di analisi dei problemi
sociali orientato a comprendere che cosa influenza il comportamento degli individui. Secondo Lewin qualsiasi
comportamento dipende dalla particolare configurazione del campo psicologico entro cui avviene in quel dato
momento. I fattori che influenzano il comportamento vengono riassunti con la formula C= f(P,A) dove: C=
comportamento individuale P= persona A= ambiente psicologico percepito, definito come “spazio di vita ” Quindi,
gli atti individuali sono il risultato della combinazione tra elementi personali e fattori ambientali, filtrati dalla
percezione individuale.
• Roger Barker: la psicologia ecologica Barker ha cercato di evidenziare la sincronia tra → AMBIENTE, inteso in
termini oggettivi, e COMPORTAMENTO UMANO, individuando dei pattern di comportamenti stabili, che si
presentavano in alcuni contesti. Secondo la psicologie ecologica, tali pattern comportamentali sono indipendenti
dalle persone coinvolte, in quanto derivano da specifiche configurazioni spazio-temporali in un determinato
ambiente. Con l’espressione “setting comportamentale” Barker descrive la sintonia all’interno di un setting tra
ambiente sociale e comportamento. C’è dunque una corrispondenza, un adattamento tra ambiente e
comportamento, che possono essere considerati “sinomorfici”: la sintonia tra ambiente e comportamento deriva
dalla struttura fisica dell’ambiente, dalle pressioni sociali al conformismo e dalla selezione degli individui.
• Urie Bronfenbrenner Criticando la teoria di Barker, amplia la concezione di ambiente. → Secondo Brofenbrenner,
per comprendere il comportamento umano non è sufficiente limitarsi all’analisi delle caratteristiche oggettive
dell’ambiente, ma è indispensabile considerare alcuni aspetti che vanno al di là della situazione immediata. Nel suo
modello è fondamentale la prospettiva temporale: l’interesse si concentra sul progressivo adattamento tra l’essere
umano in crescita e gli ambienti fisici e sociali con cui la persona entra in contatto quotidianamente . “La
comprensione dello sviluppo umano richiede di andare oltre l’osservazione diretta del comportamento; richiede
inoltre l’analisi di molteplici sistemi in interazione tra loro (nicchie ecologiche: regioni dell'ambiente che possono
avere condizioni particolarmente s-favorevoli per lo sviluppo di individui), analisi che non si limita allo studio di
singoli ambienti e tiene conto di fattori ambientali al di là della situazione immediata in cui l’individuo è inserito.”
All’interno dell’ecosistema di Brofenbrenner si individuano 4 livelli concentrici in grado di influenzare il
comportamento individuale e di gruppo:
1. Microsistema: include tutti gli ambienti con cui l’individuo ha un contatto diretto (contesta familiare, gruppo
classe, luogo di lavoro).
2. Mesosistema: composto dalla rete di microsistemi in cui l’individuo è inserito e dalle loro reciproche
interconnessioni.
3. Esosistema: comprende tutti quegli ambienti con cui l’individuo non ha un contatto diretto ma che influenzano
gli altri contesti in cui egli stesso è inserito.
4. Macrosistema: livello che condiziona tutti i livelli inferiori ed è rappresentato da leggi, norme e credenze che
guidano la società allargata, determinando il sistema economico, sociale, legale, educativo e politico di una società o
di un insieme. Il comportamento degli individui, quindi, è il risultato dell’adattamento dell’individuo alle
caratteristiche degli ambienti in cui è inserito. Tale adattamento deriva a sua volta dall’interazione tra gli individui e
le loro nicchie ecologiche, e da come questa si sviluppa nel tempo.
• James Kelly → Kelly si riferisce alla “comunità” con una particolare area geografica, nella quale convivono
individui che possono avere interessi simili o molto diversi tra loro. Nel suo modello ecologico, l’ecosistema è
rappresentato dalla comunità allargata, che supera i confini della comunità geografica in cui la persona è inserita,
andando a comprendere l’ambiente fisico e sociale e l’insieme di norme, valori, regole e tradizioni che regolano le
interazioni tra gli individui. Con “biosfera” Kelly fa riferimento al sistema politico, sociale ed economico che
governa le diverse società.
Kelly elabora 4 principi ecologici che descrivono la relazione tra gli individui e i vari sistemi sociali.
Tali principi sono linee guida fondamentali per la ricerca e l’intervento nella comunità: permettono di sviluppare
ipotesi di ricerca sui fattori ambientali che influenzano il comportamento individuale e di pianificare interventi che
promuovano il benessere modificando alcuni aspetti del contesto.
1. Interdipendenza tra diversi ambienti: i diversi contesti si influenzano reciprocamente e i cambiamenti in un
ambiente avranno delle ripercussioni sugli altri setting e sulle loro relazioni. Fondamentale è la prospettiva
temporale: il modo in cui i vari ambienti si influenzano e in cui modellano il comportamento individuale varia nel
tempo, sulla base di cambiamenti storici e del ruolo che un particolare ambiente assume nei diversi momenti di vita.
2. Ciclo delle risorse: le risorse possono includere conoscenze, competenze, beni materiali, denaro, e vengono
scambiate, utilizzate e distribuite all’interno dei vari sistemi sociali. All’interno della distribuzione territoriale delle
risorse è necessario prestare attenzione a investire in attività innovative ed efficaci in grado di rispondere ai
bisogni della popolazione, in seguito a un’attenta analisi dei bisogni del territorio.
3. Adattamento reciproco tra individuo e ambiente: l’adattamento descrive il sistema di influenze reciproche tra gli
individui e gli ambienti in cui vivono. Quando un aspetto dell’ambiente cambia, l’individuo si adatta; allo stesso
modo, quando il comportamento subisce un cambiamento, anche l’ambiente viene plasmato da un processo di
adattamento (positivo o negativo). L’ambiente è in grado di favorire o contrastare alcuni comportamenti a seconda
delle risorse che offre. L’equilibrio tra risorse e problematiche presenti in un ambiente può stimolare risposte adattive
differenti, a seconda del modo in cui queste interagiscono con le caratteristiche degli individui e delle loro relazioni.
4. Successione: la successione enfatizza come gli ambienti e gli individui siano in costante cambiamento. Ogni
adattamento da parte di un individuo/ambiente crea un sistema di reazioni a catena che, nel corso del tempo,
modificano sia gli ambienti sia il comportamento e il benessere.
I 5 LIVELLI ECOLOGICI
L’analisi dei fattori individuali e contestuali è funzionale sia per fini conoscitivi, che applicativi: comprendere i
fattori preponderanti nel determinare un fenomeno permette di sviluppare interventi mirati a mutare tali fattori
• Livello individuale, 3 aspetti:
1) Fattori organico-ereditari e demografici: tutte quelle caratteristiche che connotano l’individuo (genere, età,
fattori genetici, etnia, ecc). Pur essendo immodificabili, permettono di individuare gruppi maggiormente a rischio
per un determinato fenomeno.
2) Competenze e abilità: la raccolta di informazioni è centrata su abilità relazionali e soc iali, abilità di coping,
conoscenze e credenze e caratteristiche emotive e cognitive.
3) Lo stile di vita: area relativa ai fattori comportamentali e legati agli stili di vita. L’attenzione è centrata su che
cosa fanno le persone e come i diversi comportamenti interagiscono tra loro. In particolare, è necessario individuare
i fattori comportamentali che si caratterizzano come fattori di rischio o di protezione per un determinato
fenomeno. A livello di intervento, modificare i comportamenti è un aspetto centrale ma al tempo stesso
complesso: è difficile ottenere cambiamenti nelle abitudini di vita agendo solo sui comportamenti senza
considerare agli aspetti psicologici, sociali e i benefici secondari connessi all’attuazione di un comportamento.
Solitamente si ricerca un’azione indiretta, modificando fattori individuali o contestuali in grado di limitare i
comportamenti adeguati o di favorire condotte inappropriate.
MICROSISTEMA (o Microlivello): contesti di vita e persone con cui l’individuo ha un contatto diretto (es. famiglia,
insegnanti, gruppo dei pari) => rete sociale. Sono contesti molto rilevanti, sia per la possibilità di sviluppo di
comportamenti antisociali, che per la possibilità di efficacia dell’intervento; quest’ultimo può consistere nel
potenziare/modificare la rete, favorire buon clima sociale, promuovere sostegno sociale e adeguata
comunicazione tra microsistemi diversi.Attenzione: per potersi considerare tale, un intervento su microlivello deve
prevedere una modificazione del contesto relazionale, in modo che la rete sociale in cui il soggetto è inserito
veicoli il cambiamento. È importante non confondere luogo (setting) dell’azione e livello (es. fare un training in
classe sulla resistenza alla pressione dei pari è a livello individuale, poiché agisce su competenze e abilità dei singoli).
FOCUS: IL SOSTEGNO SOCIALE è la funzione principale della rete sociale e può essere inteso come l’aiuto che
l’individuo può ricevere dalle persone che gli stanno accanto; può svilupparsi e prendere forma con modalità:
-Strumentale: aiuto concreto, che allevia lo stress e facilita adeguata soluzione problemi
-Emotivo: sostegno affettivo, che aumenta autostima e permette migliore gestione emozioni
-Informativo: consigli e informazioni, utili nella risoluzione di un problema
-Affiliativo: deriva dal far parte/sentirsi parte di gruppi o associazioni, permette di avere contatti sociali
soddisfacenti e occupare positivamente tempo libero
• Organizzazioni (scuola, servizi sociosanitari, luogo di lavoro). Per organizzazione si intende un insieme strutturato
di microsistemi. Gli individui partecipano tramite il macrosistema alla vita di queste organizzazioni. Vi sono alcuni
aspetti della vita organizzativa su cui il controllo dell’individuo è minimo (es: collegio docenti) Qui è possibile
considerare sia le caratteristiche strutturali, sia le caratteristiche organizzative, sia il clima relazionale. A livello di
intervento, è possibile agire su questi aspetti attraverso modifiche strutturali sia dell’organizzazione, sia del clima
sociale.
• Livello di comunità Questo livello è rappresentato dalla comunità sia in senso geografico, sia in termini di
interconnessione tra gli individui. Aspetti che influenzano il benessere: fattori strutturali, organizzativi, relazionali,
valoriali e relativi ai livelli di interconnessione tra enti e servizi diversi. La raccolta di informazioni, strettamente
collegata al fenomeno che si vuole comprendere, può avvenire attraverso la mappatura del territorio, i profili
geografici di comunità o l’utilizzo di dati d’archivio. La comunità viene intesa e analizzata come una vasta rete di
organizzazioni; comprendere come queste interagiscono, come si attivano per risolvere i problemi, è fondamentale
per capire come stanno e come si comportano i suoi membri. Caratteristiche della comunità legate al benessere e al
comportamento: - Caratteristiche strutturali: composizione demografica, mobilità residenziale, status socio-econom
- Caratteristiche sociali: capitale sociale, coesione, efficacia collettiva, costrutti basati su relazioni di fiducia e
reciprocità tra i membri della comunità
• Macrosistema Include tutti gli altri. Costituito dalle istituzioni nazionali e sovranazionali ma racchiude anche le
condizioni economiche, culturali, politiche e sociali di un dato territorio. A tale livello è fondamentale
l'approfondimento delle credenze culturali, delle tradizioni, delle leggi e delle infrastrutture ideologiche, culturali,
religiose ed economiche che sono in grado di influenzare la vita quotidiana delle persone. Interventi mirati a ridurre
le disuguaglianze hanno la potenzialità di migliorare il benessere fisico e mentale dell’intera popolazione. Inoltre,
vari interventi a livello nazionale hanno la potenzialità di ridurre i comportamenti violenti e antisociali
(rafforzamento del welfare e degli ammortizzatori sociali, le politiche di potenziamento del terzo settore e
dell’associazionismo, la promozione di valori culturali di cooperazione).

COME ANALIZZARE I DIVERSI LIVELLI ECOLOGICI


➢ Analisi della letteratura esistente: permette di conoscere i fattori che la comunità scientifica considera come
rilevanti rispetto al problema che si sta analizzando. Consente di approfondire: lo sviluppo teorico dell’oggetto di
studio, strategie e linee guida già proposte.
➢ Analisi epidemiologica: permette di conoscere come si distribuisce all’interno ella popolazione un fenomeno
qual è la prevalenza dello stesso nella popolazione e in specifici sottogruppi. Aiuta nell’identificazione delle fasce
della popolazione maggiormente a rischio.
➢ Analisi delle ricerche locali già implementate: permette di approfondire a livello territoriale quali ricerche sono
già state svolte e quali risultati hanno evidenziato. Queste ricerche presentano una maggiore attenzione al contesto
culturale specifico e permettono di distribuire le risorse in modo più funzionale.
➢ Ideazione e attuazione di una nuova ricerca: permettono di raccogliere nuove informazioni specifiche rispetto
agli obiettivi dell’operatore. Favoriscono la conoscenza dei bisogni della comunità in un determinato momento e
consentono di raccogliere informazioni rispetto alle variabili più recenti evidenziate dall’analisi della letteratura.
Vantaggi di agire sui contesti
A livello di intervento, è auspicabile cercare di promuovere e potenziare i fattori che risultano protettivi rispetto a
un potenziale rischio. Agire sugli ambienti permette di intervenire indirettamente sull’individuo* e garantisce
maggiori probabilità che il cambiamento dello stesso si mantenga nel tempo, proprio perché sono state create le
condizioni ambientali in grado di sostenerlo. *nel caso in cui si presentino cambiamenti a livello sociale si potrebbe
parlare solo di cambiamento potenziale (ovvero sono presenti le condizioni affinché questo possa avvenire). Al
contrario, un cambiamento individuale non sostenuto a livello sociale porterebbe a un miglioramento limitato
nella vita dell’individuo, proprio perché non sono presenti le condizioni di sostegno e le risorse necessarie per
favorire un cambiamento stabile. Perché si ottenga un miglioramento della salute e del benessere protratto nel
tempo e configurato come risorsa stabile del sistema, è necessaria una sinergia tra cambiamento individuale e
sociale.
I processi sociali con cui agiscono i contesti
Verranno presi in considerazione il modo in cui i diversi contesti di vita influenzano i comportamenti e la vita
quotidiana delle persone devono essere considerati tra livelli di analisi e di processo. Esempio: vita quotidiana di un
adolescente. 1. Processi di primo ordine: sono costituiti dalle influenze dirette che i contesti di vita hanno
sull’individuo. Non esiste una spiegazione condivisa tra gli studiosi circa quali siano i meccanismi microsistemici che
favoriscono o inibiscono il benessere psicosociale dell’adolescente. Secondo il modello dell’apprendimento sociale,
ad esempio, i ragazzi acquisiscono stili di vita e comportamenti dagli altri individui sia attraverso l’osservazione, sia
attraverso il rinforzo. Secondo le teoria dell’attaccamento, invece, le esperienze dei primi anni di vita
costituirebbero degli schemi cognitivi che influenzano il modo in cui i ragazzi entrano in relazione con gli altri
adulti e con le istituzioni (m.o.i).
2. Processi di secondo ordine: sono costituiti dalle interconnessioni tra due o più setting all’interno dei quali la
persona partecipa attivamente. I diversi contesti interagiscono e, influenzandosi tra loro, provocano ulteriori
effetti sull’individuo (es: rapporto genitori-insegnanti). Uno dei processi che sembrano agire a questo livello di
analisi è l’effetto coerenza, che si attiva quando fra i diversi contesti di vita può essere identificata una comunanza
di intenti e di valori; l’esposizione a setting contraddistinti da messaggi normativi comuni e condividi (es:regole di
condotta) dall’intera comunità favorisce la presenza e l’apprendimento di determinati valori e comportamenti. Un
fenomeno strettamente legato all’effetto coerenza si riferisce alla presenza in diversi setting delle stesse figure
adulte significative: questa “costante presenza” rinforza alcuni valori e principi condivisi nella comunità (es:
allenatore come animatore dei centri estivi). Le caratteristiche di un contesto possono anche modificare l’intensità
dell’effetto che altri contesti hanno sul comportamento e sul benessere delle persone (es: buone relazioni sociali
con adulti che non fanno parte della famiglia possono compensare la presenza di relazioni conflittuali all’interno
della famiglia). Questi effetti vengono chiamati “effetti di moderazione”, in quanto le caratteristiche di un ambiente
di vita sono in grado di moderare l’influenza di altri contesti. Non sempre le caratteristiche di un setting agiscono
influenzando direttamente il comportamento degli individui: a volte la presenza di alcuni fattori in un contesto va a
plasmare caratteristiche di altri ambienti di vita che, a loro volta, influenzano il benessere e il comportamento della
persona. Un altro fattore importante è la qualità della comunicazione tra i diversi setting (es: scuola-famiglia).
3. Processi di terzo ordine: sono il prodotto delle interazioni dei vari elementi del sistema “comunità” e sono la
manifestazione di fenomeni che si sviluppano al livello gerarchicamente più basso (es: interazioni tra istituzioni,
associazioni, gruppi). Questi processi non sono semplicemente l’aggregazione dei processi derivanti da tutti i setting
microcontestuali (primo ordine), o dall’interazione tra questi (secondo ordine), ma generano effetti imputabili al
sistema comunitario nel suo insieme. Perciò molto spesso i processi di terzo ordine risultano difficili da
identificare. Il sistema comunità è gerarchicamente organizzato e gli effetti dovuti ai processi di livello più basso
precedono quelli di ordine superiore. Infatti, le condizioni affinché si possano attivare e sviluppare processi di terzo
ordine sono quelle di avere a disposizione dei setting sufficientemente interconnessi tra loro.
I cinque principi di Levine: il significato dell’approccio ecologico nella pratica Partendo dalla metafora ecologica,
Levine ha proposto cinque principi pratici da applicare in psicologia di comunità:
1. Un problema sorge in un setting o in una situazione: i fattori situazionali causano, innescano, esacerbano e/o
mantengono il problema. Il lavoro dell’operatore deve essere diretto alla comprensione delle caratteristiche
individuali e alla conoscenza delle caratteristiche dei setting in cui l’individuo è inserito. È necessario quindi
valutare l’adattamento degli individui e il contesto ambientale in cui sono inseriti. Il principio sottende che
l’operatore esca dal proprio ufficio o laboratorio e analizzi sul campo le modalità con cui i problemi si stanno
manifestano in quel determinato setting,
2. Un problema sorge perché la capacità adattiva del setting (di “problem solving) è bloccata. La prospettiva
ecologica presuppone una relazione di interdipendenza tra persone e setting, come parte di uno stesso sistema
integrato. Pertanto, le capacità adattive delle persone in un determinato setting sono limitate dalla natura del
setting stesso. I problemi, in ottica ecologica, sono analizzati in modo diverso e richiedono di pensare al
cambiamento come a un’opportunità per il sistema a breve e a lungo termine.
3. Per essere efficace, un aiuto deve essere collocato in modo strategico rispetto all’insorgere del problem a. È
necessario fare uno sforzo per cambiare il proprio punto di vista, superando la nostra idea soggettiva di come
dovrebbe essere elargito l’aiuto. Bisognerebbe portare aiuto alla persona, o meglio al setting in cui la persona è
percepita come “problema”. È necessario tenere presenti le dimensioni temporali e spaziali del problema, in modo
da intervenire strategicamente nel momento più idonea rispetto allo sviluppo dello stesso. Inoltre, gli interventi
attuati all’interno di un setting dovrebbero essere in collegamento con gli altri interventi presenti in quel setting;
dovrebbero poi essere fissati incontri periodici di aggiornamento e confronto sulla definizione di una direzione
comune e di discussione.
4. Gli scopi e i valori dell’operatore o del servizio di aiuto devono essere coerenti con gli scopi e i valori del setting .
Ciascun setting presenta scopi e valori sia a livello manifesto che latente. Se gli obiettivi del cambiamento sono
coerenti con gli scopi latenti e manifesti di quel setting, il processo di cambiamento non susciterà resistenze da parte
degli attori. Se invece gli obiettivi del cambiamento proposto sono in conflitto con i valori del setting, potrebbero
verificarsi conflitti e tentativi di bloccare e ostacolare il cambiamento. È tuttavia necessario affrontare alcune
tematiche che confliggono con il setting per favorire un cambiamento; in alcuni casi è necessario usare
coscientemente alcuni temi che suscitano conflitto. È però basilare, da parte dell’operatore, essere attento a non
anticipare il conflitto prima che il setting sia pronto ad affrontarlo. Questo principio suggerisce anche che il servizio
o l’operatore che introducono il cambiamento debbano confrontarsi relativamente al rapporto tra i propri valori
personali e i valori del setting e della committenza .
5. La forma d’aiuto deve essere stabilita in modo sistematico, usando le risorse naturali del setting o mediante
l’introduzione di risorse che possono diventare istituzionalizzate come parte del setting. In base a questo,
l’operatore dovrebbe cercare di comprendere quali sono le risposte presenti e come il setting le utilizza. È
preferibile introdurre un cambiamento che sia duratura nel tempo e che continui a essere una risorsa nella
risoluzione dei problemi in un dato setting. Affinché sia duraturo ed efficace è necessario fare riferimento ai
principi dell’interdipendenza e della successione precedentemente illustrati. → Gli operatori che scelgono di
adottare un modello teorico basato sulla metafora ecologica per la progettazione di programmi di intervento devono
tenere in considerazione la complessità relativa al cambiamento di un sistema come la comunità. La metafora
ecologica evidenzia come il cambiamento non sia un processo lineare: gli interventi volti alla risoluzione di un
problema, infatti, possono generare nuove difficoltà in altri contesti. Pertanto occorrerebbe prestare attenzione al
raggiungimento di obiettivi in contesti multipli di analisi. Infatti, in un intervento efficace basato su modelli ecologici
è in grado di mettere in azione il setting per la costruzione di altri interventi e di riattivare la percezione di potere e
controllo da parte delle persone coinvolte.
Il ruolo degli operator
i Gli operatori dovrebbero essere in grado di costruire relazioni con diversi → partner presenti nel setting, prendersi
il tempo necessario per la conoscenza del contesto e creare soluzioni con le persone utilizzando modalità
partecipative. Deve saper tollerare l’ambiguità e la frustrazione che possono derivare da alcune fasi dell’intervento
e facilitare nel setting la mobilitazione e la ricerca di risorse interne o esterne.
La ricerca → La metafora ecologica, come chiave di lettura della realtà, prevede l’utilizzo di diverse tipologie di
misurazione con lo scopo di preservare il maggior grado di complessità possibile per la comprensione dei fenomeni
oggetti di studio, così come si presentano naturalmente nei setting analizzati.

CAPITOLO 4: PREVENZIONE E PROMOZIONE DEL BENESSERE


Livelli e classificazione degli interventi
Sono 5 le maggiore categorie di fattori connessi alla salute e al benessere:
• Fattori genetici e associati a fattori biologici (es: l’abuso di sostanze psicotrope risulta collegato ad alterazioni del
sistema dopaminergico. • Stili di vita (abuso di sostanze) e stili alimentari (obesità). • Assistenza sanitaria. •
Ecologia e condizioni di vita. • Le caratteristiche sociali e della società strettamente connesse e sovrapposte ad
aspetti ecologici e alle condizioni di vita.
L’ufficio europeo dell’OMS raccomanda che gli operatori della salute si concentrino su: - migliorare le condizioni
ambientali e sociali di vita delle persone - contrastare le ineguaglianze nella distribuzione economica, di potere e
delle risorse troppo concentrate in mano di pochi - misurare e comprendere le dimensioni dei problemi e misurare
gli effetti delle proprie azioni professionali L’obiettivo dell’approccio preventivo è quello di raggiungere molte più
persone e le più bisognose.
La prevenzione di pone come uno degli argomenti fondati della psicologia di comunità. La classificazione di Caplan;
tipologie di prevenzione:
1. Prevenzione primaria: è volta a ridurre l'incidenza di un disturbo, agendo sulla popolazione sana e prevenendo
lo sviluppo di nuovi casi.
2. Prevenzione secondaria: ha lo scopo di individuare precocemente nuovi casi problematici e di fornire
trattamenti a uno stadio precoce o latente dello sviluppo del disturbo. Esempi di questo genere di interventi sono i
gruppi di sostegno psicologico per le madri che manifestano qualche segnali di depressione post partum. 3
. Prevenzione terziaria: l’obiettivo è quello di ridurre la durata, l’impatto e la cronicizzazione di un particolare
disagio o disturbo. Un disturbo non deve necessariamente produrre disabilità e una disabilità non deve diventare
necessariamente un handicap. Il limite di questa classificazione è che non riesce a discriminare in maniera netta il
confine tra interventi di prevenzione secondaria e terziaria e forme di trattamento, di terapia o di riabilitazione.
La classificazione basata sul modello di Brofenbrenner; Consente di considerare in un’unica cornice le forme di
prevenzione che non si limitano ad agire a livello individuale, ma propongono interventi che sono riconducibili ai
diversi contesti di vita dei soggetti.
1. Macrolivello si possono collocare quei progetti che agiscono sulle relazioni diadiche. →
2. Mesolivello si possono collocare quegli interventi che puntano a favorire le relazioni tra i diversi → microlivellli
(comunicazione scuola- famiglia).
3. Macrolivello si possono collocare quelle azioni che introducono o modificano le norme o → l’organizzazione
dell’ambiente socioculturale ampiamente inteso.
La classificazione dell’Insitute of Medicine; gli interventi possono essere:
• Universali: interventi considerati desiderabili per l’intera popolazione ( prevenzione primaria). ≃
• Selettivi: interventi auspicabili per quei sottogruppi il cui rischio di sviluppare un qualsiasi disturbo è
significativamente maggiore rispetto alla media (es: figli di tossicodipendenti).
• Indicati: interventi applicabili a persone che sono state identificate come portatrici di chiari segni o sintomi
prodromici, tali da doverli considerare ad alto rischio per quanto riguarda lo sviluppo futuro di un determinato
disturbo. Questa classificazione offre il vantaggio di proporre delle categorie tassonomiche ben definite, senza
sovrapposizioni con gli interventi terapeutici rivolti a soggetti per i quali è stata fatta una chiara diagnosi.
La classificazione basata su target e livello di intervento; approccio che utilizza la classificazione dell’IoM senza
rinunciare ai vantaggi di un sistema di categorizzazione che considera un approccio multilivello. Tiene conto
contemporaneamente dei livelli possibili di intervento (individuale, microlivello, organizzazione,
comunità/macrolivello) e dei 3 target (universali, selettivi e indicati) proposti dallo IoM.
Prima dimensione: livello dell’intervento I progetti focalizzati sull’individuo hanno l’obiettivo di indurre un
cambiamento a livello informativo o di incrementare competenze e abilità sociali. I progetti focalizzati sul
microsistema si pongono l’obiettivo di migliorare la qualità degli ambienti relazionali delle persone, agendo non
sul target ultimo dell’intervento ma sulle persone che vi stanno intorno. I progetti focalizzati sul macrosistema
possono prefigurare interventi di sviluppo di comunità (es: ampliamento piste ciclabili) o modificazioni legislative
(es: tassazione dei cibi spazzatura)
Seconda dimensione: gruppo target Non è facile individuare il confine tra i predittori del → disadattamento (per gli
interventi selettivi) e i sintomi precoci (per cui ha senso pensare interventi indicati). Non sono fissi. Oltre a
considerare livello di intervento e gruppo target, occorre considerare anche tuta quell’area di studi di psicologia
dello sviluppo che indaga su come avvengano i processi di acquisizione e sviluppo delle competenze. Infatti, gli
interventi di prevenzione possono considerarsi delle azioni professionali intenzionali con lo scopo di alterare i
processi di sviluppo.
Dai fattori di rischio alla promozione del benessere Approccio dei fattori di rischio e protezione l’attenzione a questi
fattori è finalizzata alla prevenzione di → un disagio: il fine è la riduzione della probabilità di incorrere in
problematiche.
Fattori di rischio: caratteristiche individuali o condizioni ambientali misurabili la cui presenza si associa a una
maggiore probabilità di sviluppare disagio.
Fattori di protezione: caratteristiche individuali o condizioni ambientali che aumentano la probabilità e le capacità
di una persona di adattamento e di mantenere-aumentare uno stato di benessere . In un intervento di protezione
l’obiettivo è di agire sui fattori modificabili specificamente per ridurre la probabilità che un disturbo si manifesti. Per
fattori protettivi si intendono quei fattori che interagiscono nella relazione tra fattori di rischio e conseguenze, che
sono in grado di ridurre l’impatto negativo del fattore di rischio sull’insorgenza del problema.
Interventi di promozione della salute: si caratterizzano per un orientamento alla creazione delle condizioni che
permettono o migliorano una situazione di benessere o di sviluppo positivo, non ponendosi l’obiettivo di
prevenire un disturbo o una problematica specifica; la finalità è promuovere una condizione positiva. Interventi di
protezione e di promozione vengono considerati come azioni congiunte.
Fattori di resilienza: capacità di un soggetto di resistere all’influenza dei fattori di rischio; esso indica l’abilità di
lottare e imparare dalle avversità e cercare di integrare anche queste esperienze nella propria vita.
Approccio allo sviluppo positivo → l’attenzione è posta sulla promozione di condizioni di benessere e salute intese
come sviluppo positivo. Sviluppo positivo: realizzazione del proprio potenziale e di un positivo e attivo
coinvolgimento con la comunità. Componenti: - competenza (es: capacità di risoluzione dei conflitti) - abilità di
decision making - fiducia (autostima, autoefficacia) - connessione (relazioni positive con famiglia, scuola, comunità) -
qualità morali (rispetto per norme e valori sociali e culturali) - cura (empatia verso gli altri)
L’integrazione tra i due approcci ha condotto allo sviluppo di modelli e interventi che sono in grado di spiegare e
promuovere sia i processi che proteggono da esiti di sviluppo negativi, sia quelli che promuovono uno sviluppo
positivo. Spettro dei possibili interventi: Che cosa funziona di più in ambito preventivo e di promozione
• Agire contemporaneamente su vari livelli Molteplicità dei livelli di azione progetti che coinvolgono i diversi livelli o
sistemi che hanno un’influenza → sullo sviluppo di un comportamento o di un vissuto problematico oggetto di
intervento, quali il livello individuale, il gruppo dei pari, la famiglia, la scuola e la comunità. I progetti efficaci di
prevenzione e promozione sono quelli che agiscono congiuntamente sui fattori di rischio e di protezione collocabili a
diversi livelli di analisi.
• Interventi con solide basi teoriche Teoricamente fondati progetti costruiti sulla base di un modello teorico, ovvero
la cui definizione di → obiettivi e strategie è guidata e giustificata da una teoria. Nell’ambito della prevenzione, 2
tipologie di teorie alla base di un progetto svolgono un ruolo importante: 1. modelli esplicativi: tipologia di tipo
eziologico che spiega le cause di un problema 2. modelli di cambiamento: illustra quali sono i metodi migliori per
modificare questi fattori eziologici Dopo aver identificato i fattori di rischio e di protezione per il disturbo che si
intende prevenire in base a un modello teorico, i progetti efficaci utilizzano teorie empiricamente verificate che
illustrano come ottenere i cambiamenti desiderati sui fattori eziologici e sul comportamento finale.
• L’utilizzo di metodologie interattive Metodi misti di insegnamento e coinvolgimento le strategie di tipo
interattivo, che promuovo no → l’interazione e il coinvolgimento attivo dei partecipanti, sono più efficaci delle
metodologie di natura strettamente informativo-nozionistica.
• L’importanza di un sufficiente dosaggio e della coerenza con le norme culturali
Sufficiente dosaggio si riferisce al grado di esposizione alle attività del progetto in cui sono coinvolti i → soggetti
target. Questo indicatore può essere misurato in termini di qualità, di ore, lunghezza delle sessioni di attività,
numero di sessioni, durata totale del progetto. I progetti che si sono rivelati maggiormente efficaci sono quelli che
prevedono un ampio dosaggio di attività e che non risultino estemporanei nei progetti informativi che si svolgono
all’interno delle scuole. Culturalmente rilevante spesso training e progetti vengono importati e tradotti da altre
realtà culturali. → È opportuno che queste attività vengano pilotate per verificarne l’applicabilità in un contesto
diverso.
• Formare lo staff e valutare gli esiti Formazione adeguata dello staff i progetti efficaci necessitano di training,
sostegno e supervisione → degli operatori sociali o degli altri attori coinvolti nella realizzazione delle attività . Valutare
gli esiti per valutazione di efficacia si intende l’analisi della capacità del progetto di → raggiungere i risultati prefissati.
Essa permette anche il miglioramento del progetto.

CAPITOLO 5; EMPOWERMENT: IL POTERE ATTRAVERSO LA PARTECIPAZIONE


 Il concetto di EMPOWERMENT coglie il sentimento di “potere di”. Descrive quel sentimento di potere sentito
in una situazione in cui il potere è derivato dall’esserci sentiti in grado di gestire la situazione, a trovare la
soluzione adeguata con la soddisfazione di aver fatto del nostro meglio, di aver inciso sul contesto che ci
stava attorno.
 è l’obiettivo che si auspica di ottenere lo psicologo di comunità per le persone con cui lavora.
 Viene identificato come uno degli obiettivi della promozione della salute
 Zimmerman sostiene che cercare una singola definizione di empowerment contraddica il cuore stesso → del
costrutto, poiché lo rende prescrittivo. Si basa su 2 concetti principali: 1. Il potere, che ne costituisce la radice
etimologica 2. La partecipazione, che ne sottolinea l’aspetto pratico e più relazionale
Con il concetto di potere si indicano l’influenza e il controllo che si possono avere su altri.
Weber il potere, in generale, non esiste in isolamento, ma implica un contesto relazionale tra persone o → cose.
Essendo creato dalle e nelle relazioni, il potere e le relazioni di potere possono modificarsi.
Il potere può anche essere condiviso (es: movimenti di protesta) → potere positivo: caratterizzato da collaborazione,
condivisione, mutualità.
Il potere come esperienza personale: il contributo di Michel Foucault
→ 1. Il potere può essere esercitato solo da SOGGETTI LIBERI, che possono confrontarsi con un ampio spettro di
possibilità, reazioni e comportamenti realizzabili. La libertà si collega al potere e ne diventa elemento caratterizzante.
Chi lavora in un’ottica di empowerment deve necessariamente considerare e affrontare nel modo corretto il legame
tra potere, libertà e scelta. Solo nel momento in cui io divento consapevole della mia libertà di decidere e capace di
analizzare le possibilità che ho di fronte posso esercitare il mio potere.
2. L’esercizio del potere crea continuamente NUOVE CONOSCENZE e le nuove conoscenze portano a maggior
potere. Potere e conoscenza sono integrati. Lo stresso legame tra conoscenza e potere viene sottolineato come un
circolo virtuoso. Solo se conosco i servizi del mio territorio e i miei diritti posso concretamente contribuire al loro
miglioramento ed esercitare il mio potere.
3. L’ONNIPRESENZA del potere: non tanto perché ha il privilegio di consolidare tutto sotto un’unità indissolubile, ma
perché è prodotto da un momento all’altro, da ogni relazione. Il potere è ovunque, perché deriva da ogni cosa. Ogni
situazione della mia vita è intrisa di potere e mi dà la possibilità di esprimere il mio potere.
Il potere è distribuito nella comunità: il modello a tre dimensioni di Steven Lukes:
1. “Come vengono prese le decisioni e come vengono risolti i conflitti?” Parlando di potere condiviso questa presa di
decisione dovrebbe essere necessariamente comune, capace di includere e accogliere le esigenze e il pensiero di
diversi gruppi.
2. “Come si decide quali temi verranno inclusi o meno nell’agenda dei decisori finali?” Porta alla luce il rapporto con
la politica e gli organi di informazione. In teoria, ogni gruppo/persona/organizzazione all’interno della comunità
dovrebbe avere la possibilità di indicare le priorità, quali problemi considerare e, successivamente, se e come
collaborare alla soluzione dei problemi stessi.
3. “Come decido quali sono i miei bisogni?” Riguarda le forze che determinano quali bisogni le persone riconoscono
come propri. Implica un collegamento con aspetti individuali, che riguardano la percezione, le capacità cognitive,
la visione di sé e la comprensione del contesto in cui si vive. Il modello di Lukes propone azioni a livelli diversi per
fare in modo che ogni individuo o gruppo in un contesto abbia le competenze e la possibilità di incidere sulle scelte
che lo riguardano.
Dal singolo alla comunità: l’empowerment diventa partecipazione
PARTECIPAZIONE: processo in cui i soggetti prendono attivamente parte ai processi decisionali nelle istituzioni, nei
programmi e negli ambienti che li riguardano. Si riferisce all’impegno e alla responsabilità del singolo all’interno di un
progetto volto a raggiungere un obiettivo collettivamente determinato.
Piero Amerio → la dimensione della partecipazione è quella che allarga il senso della relazione all’intera comunità, in
quanto conduce gli individui alla discussione, al dialogo come strumento che vale a costruire mondi possibili e
condivisi, decisioni comuni e responsabilità. Il nesso tra partecipazione e comunità va analizzato su due piani: 1
. Piano soggettivo non c’è senso senso di comunità senza coinvolgimento nell’azione collettiva. → l'appartenenza,
la condivisione di un’identità e i fini comuni presuppongono un certo grado di “presenza sociale”: la comunità non
deve essere subita, passiva o impostata.
2. Piano oggettivo la comunità, in quanto sistema sociale, è regolata da norme che presiedono ai → processi di
rappresentanza e all'interazione
finalizzata di quell'insieme di
istituzioni, reti, regolamenti,
norme, e usi politici che
contribuiscono alla governance
del territorio.
Le forme della PARTECIPAZIONE
• BOTTOM-UP : forma di
partecipazione spontanea. Sono i cittadini stessi che si attivano per creare pressioni sui politici. • TOP-DOWN: forma
di partecipazione provocata. Vi è un attore forte (es: ente pubblico) che stimola e facilita la partecipazione della
popolazione, favorendo le condizioni affinché questa possa svilupparsi al meglio (es: processi di riqualificazione di
aree urbane). → Il professionista deve chiarire con i committenti quale modalità di partecipazione si ritene attivare e
sia più funzionale al progetto. Favorire varie forme di partecipazione implica indurre nei cittadini l’idea di poter
contare, influire sulle decisioni. Influire sulle decisioni implica che queste non siano già state prese in precedenza da
politici, tecnici, professionisti, ecc (empowerment)
• La scala della partecipazione di Arnsterin: la partecipazione può essere intesa come un CONTINUUM. Si parte da
un livello di informazione in cui il ruolo delle persone è marginale e “senza potere” reale. La consultazione,
successivamente, prevede l’integrazione dell’interazione strutturata su un tema o su un problema specifici.
l’interazione strutturata comporta la predisposizione e la gestione di un processo di scambio di informazioni per lo
meno bidirezionale (decisore-cittadini), ma spesso multi-direzionale tra tutti gli attori coinvolti. Il terzo livello
(decidere insieme) riguarda le strategie di concertazi-one in cui i cittadini hanno un ruolo più importante, anche se
perdurano aspetti “pro forma”. La partecipazione sostanziale corrisponde alla partecipazione vera e propria: in essa
il potere è redistribuito, attraverso processi di negoziazione, tra cittadini e “detentori del potere”. Questa scala
evidenzia: - come esistano vari livelli di partecipazione - come situazioni comunemente considerate partecipative
possono in realtà essere ritenute di “falsa partecipazione” - come la partecipazione sia un continuum più che una
distinzione netta tra categorie di approcci partecipativi
Cosa favorisce la partecipazione
L’attivazione degli individui su temi locali di interesse collettivo risulta favorita dal verificarsi delle seguenti
condizioni: • la percezione di appartenere a comunità sufficientemente coese, la presenza di modelli socioculturali
orientati alla tolleranza della diversità e al pluralismo • la percezione della situazione in termini di bisogni e
problemi, e quindi la visione di possibili soluzioni • un senso di autoefficacia individuale e collettiva
sufficientemente elevato Per favorire la partecipazione bisogna quindi: • scegliere luoghi in cui le persone si
sentano a loro agio, luoghi già conosciuti • dare modo alle persone di aiutare concretamente, attraverso l’azione di
gruppo e la possibilità di usare e mostrare le loro capacità • dare sostegno al lavoro favorendo la continuità e la
realizzazione delle iniziative, mantenendo alta la visibilità delle azioni svolte • non trascurare il livello istituzionale
bisogna far capire come un lavoro condiviso tra operatori → istituzionali e cittadini possa facilitare la continuità dei
progetti e la loro efficacia: la partecipazione è quindi una risorsa che deve essere gestita e conosciuta
adeguatamente.
L’empowerment tra individuo e contesto
Zimmerman, Rappaport: L’EMPOWERMENT è un processo ma anche un risultato. Questo implica la presenza sia di
fattori in grado di delineare e definire il percorso di crescita sia di alti che ne definiscono gli esiti ultimi. • I processi di
empowerment si basano sulle azioni che permettono agli attori di ottenere le risorse necessarie, di sviluppare una
visione critica di ciò che li circonda. • I risultati dell’empowerment si riferiscono alle conseguenze dei processi
stessi, a ciò che le persone riescono a ottenere partecipando attivamente nei loro contesti. Lo psicologo di comunità
è interessato a entrambi questi aspetti: comprendere come favorire il processo dell’empowerment e verificare il
risultato raggiunto attraverso di esso.
Per fare ciò bisogna vedere l’empowerment come processo iterativo, nel quale individui e gruppi caratterizzati da
scarsa influenza e potere individuano degli obiettivi ritenuti importanti e significativi, e intraprendono delle azioni per
raggiungerli. Come processo iterativo, non ha una fine precisa; il raggiungimento degli obiettivi spesso porta a
formularne altri (processo motivazionale circolare). Livello individuale: controllo, consapevolezza e partecipazione
L’empowerment individuale è un processo di crescita del singolo che, attraverso un percorso terapeutico/
formativo/esperienziale, sviluppa nuove abilità e competenze, necessarie per gestire le difficoltà quotidia.
Zimmerman l’empowerment individuale è un costrutto composto da 3 fattori principali: →
1. Controllo: credere nelle proprie capacità, sentimento di fiducia verso le competenze possedute.
2. Consapevolezza critica (componente interpersonale): capacità di comprendere e analizzare i propri contesti di
vita e di capirne i meccanismi di influenza, capacità di analizzare la situazione. Si riferisce all’abilità di capire i
legami di potere, il ciclo delle risorse, gli ostacoli al cambiamento e i fattori che influenzano il tema. Con
consapevolezza critica s’intende anche la capacità di “desiderare il cambiamento” e di considerarlo possibile. È il
prerequisito base per passare all’azione.
3. Partecipazione (componente comportamentale): riguarda le azioni vere e proprie e prende forma attraverso la
messa in atto di un piano condiviso e accettato da più individui. È il motore del cambiamento, l’insieme delle
strategie messe in atto per ottenere un cambiamento sociale.
Livello micro: il piccolo gruppo come promotore di cambiamento
Il gruppo diventa il primo contesto in cui poter sperimentare il proprio potere, attraverso la partecipazione, il
controllo e la consapevolezza critica.
Pearlstein → la presenza di un leader efficace è di estrema rilevanza per l’empowerment di un gruppo. Il leader ha
lo scopo di incoraggiare e consentire lo svolgimento dei compiti del gruppo al massimo delle proprie possibilità: il
suo ruolo è fondamentale per far sentire le persone capaci e autonome. La leaderchip efficace rafforza il sentimento
di autoefficacia e scoraggia i comportamenti passivi e non assertivi dei membri del gruppo il leader svolge un ruolo di
creatore dell’empowerment nelle altre → persone del gruppo (leader empowering). I gruppi di auto-aiuto
(composti da individui accomunati da un problema) possono risultare sia empowering che empowered. Il lavoro
svolto all’interno del gruppo, di condivisione, passaggio di informazioni, sostegno reciproco, ha come risultato quello
di aumentare la forza e il controllo in soggetti scoraggiati. Spesso il gruppo realizza che solo attraverso relazioni con
altri gruppi e associazioni può portare il problema per cui è sorto a un livello di attenzione più diffuso si avanza nel
continuum. → Livello organizzativo Il livello organizzativo si pone in una situazione intermedia tra gruppo e
comunità. L’organizzazione è infatti un insieme di microsistemi e la comunità risulta essere un insieme di
organizzazioni. Distinguiamo:
• Organizzazioni empowered: che riescono a manifestare il loro potere nel contesto allargato, promuovendo il
cambiamento sociale in generale e raggiungendo obiettivi importanti per l’intera comunità. Sono caratterizzate da
controllo, consapevolezza critica e partecipazione, quindi sono in grado di allargare il loro specifico obiettivo per
avere un impatto maggiore sul benessere della comunità.
• Organizzazioni empowering: che riescono a favorire l’empowerment delle persone all’interno dell’organizzazione.
Essere possono essere distinte ma appare più frequente una compresenza dei due aspetti. Lo psicologo di comunità
può essere chiamato come consulente per rendere maggiormente empowering ed empowered una data
organizzazione. → lavoro di rete: strumento più usato per raggiungere finalità empowered. Solo attraverso
l’aggregazione e il lavoro coordinato si può sperare in un effettivo cambiamento delle condizioni dei contesti.
Livello di comunità locale
• Comunità empowered: che riescono a rendere priorità i bisogni delle persone
• Comunità empowering: che riescono a favorire l’empowerment delle persone all’interno delle comunità stesse.
Le azioni che si attivano in questo campo hanno l’obiettivo principale di coinvolgere e influenzare decisioni
politiche, di attivare campagne che incidano sui politici e azioni in grado di mobilitare l’opinione pubblica. I
cambiamenti per rendere una comunità empowering devono essere sia amministrativo-funzionali sa di tipo
strutturale. → L’empowerment è un concetto è l’ingrediente base che caratterizza la disciplina e si integra
perfettamente con gli altri due principi: prevenzione e modello ecologico. La prevenzione svolta dalla psicologia di
comunità risulta differente da quella di altre discipline perché prevede azioni a diverso livello e perché impone
sempre azioni volte all’empowerment.

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