Sei sulla pagina 1di 168

− “phantom boarder”: presenza di estranei (fantasmi) che vivono nella

propria casa
− picture sign”: la televisione come “ vissuto concreto” con cui il paziente
si misura ed interagisce
•Fenomeno del “sundowning”: caratterizzato dal peggioramento della
sintomatologia al tramontare del sole e comunque in tutte le situazioni di
passaggio da una buona illuminazione ambientale ad una illuminazione
scarsa. E’ legato ad alterata percezione ambientale che provoca aumento
della confusione fino a generare illusioni e allucinazioni.
•Vagabondaggio (wandering): è il continuo girovagare senza meta tipico dei
malati di AD. Questi pazienti camminano per moltissime ore, anche per
l’intera giornata, incredibilmente senza mostrare mai segni di stanchezza.
In istituto, se vi sono reparti appositamente allestiti per ospitare pazienti
con demenza, sono predisposti ampi spazi privi di ostacoli e pericoli che
permettano al paziente di girovagare agevolmente. Non si conoscono le
cause del wandering, ma questo comportamento, se permesso in spazi
protetti, non è pericoloso né nocivo. Questi comportamenti possono anche
essere interpretati come una modalità di autostimolazione fisiologica.
Potrebbero, inoltre, avere la valenza di occupazione o di scarica dell’ansia.
VAGABONDAGGIO: COSA FARE

L’intervento migliore è quello di liberare spazi sufficientemente ampi per


permettere al paziente di camminare in un luogo privo di ostacoli
potenzialmente pericolosi (mobili spigolosi, tappeti scivolosi, ecc.) e non
reprimere il comportamento. Se si desidera che il paziente rimanga
seduto, per esempio per seguire attività riabilitative, è comunque
preferibile non contenerlo, ma invitarlo a rimanere, magari offrendogli
cibi o bevande, lasciandolo comunque libero di tornare a camminare negli
spazi appositi (camminare nella sala delle attività sarebbe di disturbo per
gli altri partecipanti).
Il vagabondaggio può iniziare anche in seguito all’impulso di alzarsi per
andare a fare qualcosa: andare in bagno, bere, mangiare. Pochi istanti
dopo l’avvio del cammino, però, il malato non ricorda più il motivo per
cui si è mosso e, forse con l’intenzione di cercare qualcosa che gli
ricordi l’intenzione iniziale, continua a camminare senza riuscire più a
fermarsi.
SERVONO I FARMACI?

Non esistono attualmente farmaci specifici in grado di ridurre l’impulso a


camminare in maniera incessante o a svolgere attività senza uno scopo
apparente. Anzi, i normali farmaci ad azione sedativa spesso peggiorano
la performance motoria: l’ammalato continua ad avere lo stimolo a
muoversi, ma lo fa in maniera meno sicura e con più alto rischio di
caduta.
LIMITI E CONDIZIONI PER RICORRERE

ALLA CONTENZIONE FISICA

Il vagabondaggio e l’affaccendamento non devono costituire motivi


per l’uso della contenzione fisica se non in casi estremamente limitati
quando queste attività risultano essere oggettivamente pericolose per
il soggetto. Va considerato che l’applicazione del mezzo di
contenzione aumenta i rischi di cadute, il livello di ansia, agitazione,
aggressività del malato.
• Disturbi del sonno: difficoltà nell’addormentamento, risvegli precoci o
frequenti durante la notte, inversione del ritmo sonno-veglia. L’insonnia
iniziale può rientrare in un quadro ansioso, l’insonnia terminale può essere
manifestazione di una sindrome depressiva.
• Disturbi dell’appetito: riduzione dell’appetito, meno frequentemente
iperfagia ed iperoralità.
• Disturbi della sessualità: ipersessualità, anche con comportamenti
socialmente inopportuni, nei quadri di euforia e disinibizione.
Disinibizione: La disinibizione è un disturbo comportamentale tipico dei

pazienti frontotemporali, ma presente anche nei malati di AD. Il paziente


con disinibizione si spoglia in pubblico e si esibisce in modo inappropriato
nelle situazioni più varie. La consapevolezza dell’inadeguatezza di questi
comportamenti è generalmente molto bassa.
DISINIBIZIONE: COSA FARE

Cercare di capire se il paziente abbia bisogno del bagno, ed eventualmente


accompagnarlo;
Invitare il paziente ad interrompere il comportamento distogliendone la sua
attenzione;
Evitare di rimproverarlo: in genere la disinibizione si accompagna a basso
livello di autoconsapevolezza.
ALTERAZIONE DEL CICLO SONNO-VEGLIA: COSA FARE

Tenere il paziente molto impegnato di giorno, affinché si stanchi


Mantenere alti livelli di illuminazione ambientale, possibilmente con luce
naturale
Svolgere attività all’aria aperta
Somministrare possibilmente in orario serale farmaci che possano causare
sonnolenza
• Reazioni catastrofiche: sono improvvise esplosioni emotive verbali e
fisiche in risposta ad eventi stressanti e non comprensibili al soggetto di
qualsivoglia origine (ambientale, somatica, etc). Sono spesso innescate da
deliri, allucinazioni, dispercezioni, ansia. Si manifestano come crisi di
pianto, urla e bestemmie, minacce aggressive, dare morsi e calci,
picchiare.

• Collezionismo: è la continua ed incessante raccolta ed accumulo di oggetti,


generalmente irrilevanti e di nessuna necessità. Rappresenta il tentativo
di reazione al timore della perdita, alimentato dalle perdite reali e dai
deficit mnesici.
• Confabulazione: è la produzione di falsi ricordi a riempimento delle lacune
mnesiche del passato recente. Questa neoproduzione, accurata e fantasiosa,
attinge a diversi frammenti mnemonici dell’esperienza passata ed agli
stimoli dell’ambiente; è tipicamente influenzabile per via suggestiva.
Rappresenta un tentativo di mantenere la continuità nel tempo, e quindi il
senso di sé, nonostante i deficit mnesici.
IGIENE
GESTIONE DEL CAMBIO D'ABITO

Per le persone con demenza è spesso difficile vestirsi, a causa della perdita
di memoria (ad es. non ricordano in che ordine indossare gli indumenti) e
di problemi fisici (ad es. difficoltà a maneggiare i bottoni). Talvolta, per
l'assenza di motivazione, perdono interesse a vestirsi bene o addirittura si
rifiutano di cambiare i loro indumenti. Questo atteggiamento può
amareggiare il familiare, tanto più quando il malato era una persona che
teneva al proprio aspetto esteriore. Inoltre, è probabile che ci voglia sempre
più tempo per aiutarlo a vestirsi e questo può interferire con i nostri
impegni quotidiani.
Come aiutare il malato a vestirsi

Cercare di aiutarlo, incoraggiarlo e rassicurarlo dandogli il tempo


sufficiente per vestirsi. Ci sono diversi modi in cui possiamo aiutarlo,
ad es. incitandolo, spiegandogli quello che deve fare, mostrandogli
come, aiutandolo materialmente, porgendogli i vestiti nell'ordine in
cui vanno indossati, ecc. È importante dare soltanto l'aiuto
necessario, così che il malato mantenga un certo grado di
indipendenza e non perda l'incentivo a provare. Se sbaglia
ripetutamente, è naturale che perda interesse a provare. Per questa
ragione, è importante concedergli il tempo sufficiente per vestirsi,
incoraggiarlo ad andare avanti e rassicurarlo.
Bisogna cercare di non sottolineare gli errori, ma può essere possibile,
in certi casi, sdrammatizzare con un sorriso. Se ha perso la
motivazione, può essere d'aiuto un complimento ogni tanto. Notare che
ha fatto bene una cosa e darsi la pena di rilevarlo può aumentare
l'interesse del malato a provare. Limitare la scelta a non più di due
abiti, può contribuire a ridurre stress e confusione. Quando
scegliamo un abito, dobbiamo tenere presente la personalità, lo stile e
le abitudini del malato. Per esempio, un uomo abituato a indossare
giacca e pantaloni può trovarsi a disagio con un paio di jeans o una tuta
sportiva.
Certi tipi di abbigliamento, di accessori e di chiusure possono essere
difficili da usare per il malato di demenza. Tuttavia, se riusciamo ad
adattare gli abiti o a sceglierne di nuovi più facili da indossare, egli
avrà maggiori probabilità di arrangiarsi da solo e l'assistenza sarà più
facile. Se osserviamo che certi articoli di vestiario creano sempre
problemi, dobbiamo trovare un'alternativa. Per esempio, se il malato
ha difficoltà con i lacci delle scarpe, potremmo sostituire le scarpe con
dei mocassini, oppure aiutarlo ad allacciarle. Se poi la persona ama
particolarmente le scarpe con i lacci, possiamo cercare un modello che
le porti soltanto come ornamento.
APPROCCI
E INTERVENTI
Le cure per i disturbi del comportamento dell’anziano demente oggi
utilizzate sono prevalentemente di tipo farmacologico.

Ma l’approccio piu’ corretto ed efficace deve essere prevalentemente di tipo


comportamentale e ambientale.

Fondamentale è anche la psicoeducazione del caregiver intesa come


modificazione del suo comportamento è efficace e il risultato dura nel
tempo
L'APPROCCIO AMBIANTALE

In ogni “fase” della malattia l’ambiente può compensare o, al contrario,


accentuare le conseguenze del deficit cognitivo e pertanto condizionare
sia lo stato funzionale sia il comportamento del paziente. Lo spazio e
l’ambiente vitale possono rappresentare perciò, per la persona affetta da
demenza, da un lato una risorsa terapeutica, purtroppo spesso sotto
utilizzata, dall’altra il motivo scatenante di alterazioni comportamentali
apparentemente ingiustificate. Le scelte degli interventi ambientali sono
condizionate dalle caratteristiche del paziente e, principalmente, dalla
gravità della compromissione cognitiva e dalla natura dei disturbi
comportamentali.
L’ambiente ideale….

Ambienti ben illuminati, colori tenui alle pareti, mobili e oggetti di colore
contrastante, spazi organizzati in modo semplice; cartelli ed effetti
personali che facilitino l’orientamento, luci notturne, togliere gli specchi,
evitare televisore e radio. Evitare luoghi o stanze disordinate affollate e
rumorose; eliminare le fonti di pericolo, semplificare al massimo
l’ambiente e la disposizione degli oggetti (inclusa la tavola in cui si
mangia), svitare o ridurre al minimo i cambiamenti (cambiare
disposizione ai mobili oppure ai quadri può comportare problemi; lo
spostamento del letto, ad esempio, può favorire la comparsa di
incontinenza poiché il paziente non riesce a trovare la via per il bagno).
Eliminare le chiavi dalle porte, utilizzare fornelli a gas con sistemi
automatici di controllo.
APPROCCIO COMPORTAMENTALE

L’approccio comportamentale prevede l’identificazione degli antecedenti di


un comportamento o di un disturbo comportamentale e cerca di
modificarli, al fine di prevenire ed ottenere una reazione positiva o un
comportamento corretto.
Modello ABC
RICERCA DELLE CAUSE E ANALISI DELLE MANIFESAZIONI

Antecedenti: ciò che può aver scatenato il comportamento disturbante,


anche i dettagli apparentemente secondari (fattori scatenanti)


Comportamento manifestato: dove, come e quando è iniziato? Che tipo di

comportamento?
Conseguenze: il risultato del comportamento sia sul malato sia

sull’ambiente e le persone che lo circondano


Sicuramente la fretta della figlia, indaffarata nelle tante attività
quotidiane, si è espressa in atteggiamenti non verbali involontariamente
coercitivi: immaginiamo degli atti rapidi e contratti, un eloquio veloce e
incalzante che culmina nel tentativo di farlo entrare in macchina
spingendolo per forzare le sue resiste. Gino con molta probabilità non sa
dove sta andando e non capisce il senso delle richieste che gli vengono
fatte. Qualcuno lo forza a fare qualcosa che non vuole, si sente costretto e
violato nel suo spazio fisico, probabilmente ha paura quando viene
avvicinato all’automobile (non dimentichiamo che potrebbe non
riconoscerla), e si arrabbia.
Non essendo in grado di elaborare le sue emozioni e trattenere gli impulsi
Gino agisce la rabbia attraverso comportamenti aggressivi. Il
comportamento di Gino si ripercuote sulla figlia che si sente scoraggiata,
incapace e impotente. Decide di desistere dal tentativo di recarsi alla visita
medica. Nell’insieme questo episodio rinforza soprattutto il senso di
inadeguatezza della figlia che va invece supportata e indirizzata
nell’utilizzare al meglio le sue capacità di accudimento e di cura nei
confronti del padre. Il comportamento aggressivo di Gino, d’altro canto,
viene involontariamente rinforzato poiché l’esito del suo gesto ottiene
l’interruzione dell’attività temuta.
APPROCCI E INTERVENTI
MODELLO RETROGENETICO

Il termine retrogenesi, coniato da Barry Reisberg (psichiatra e


geriatra), implica il concetto che la progressione della malattia di
Alzheimer segue un decorso fisso e inverso allo sviluppo
nell’infanzia (sviluppo ontogenetico), per alcuni malati possono essere
motivati e traggono piacere quando si propongono loro attività creative
che sono gradite anche ai bambini tra 2-5 anni.
Attraverso alcune scale di stadiazione (GDS-Global Deterioration
Scale; FAST- Fuctional Asessment Staging) sviluppate da Reisberg et
al. (1982) per monitorare nel tempo il decorso cognitivo e funzionale
delle demenze, è stato possibile confrontare e far corrispondere ogni
stadio della malattia alle fasi dello sviluppo proposte da Piaget (stadio
senso-motorio, pre-operatorio, operatorio concreto e formale
operatorio).
Di notevole interesse è il fatto che la quantità di tempo sufficiente
ad un bambino per acquisire ogni capacità è approssimativamente
la stessa necessaria ad una persona con demenza per perderla.
Molti cambiamenti emotivi e comportamentali che si associano alla
malattia di Alzheimer ricordano quelli che si osservano nei loro
“coetanei” in età evolutiva. Ad esempio, le reazioni tipiche degli stadi
avanzati della malattia (esplosioni verbali di rabbia, paura dell’acqua o
del buio) possono essere interpretati come il corrispettivo delle “crisi
d’ira” di bambini in età prescolare (Retrogenesi emotiva).
I riflessi dello sviluppo (come il riflesso radicolare, di suzione, di presa di
mano e del piede, di estensione plantare di Babinski) che spariscono nei
primi anni di vita, ricompaiono negli stadi avanzati di malattia
(Retrogenesi neurologica).
Il modello permette di fornire un indicatore dell’età evolutiva di una
persona e questo consente l’identificazione di attività congrue con la fase
che l’adulto con demenza sta attraversando.
METODO MONTESSORI

Sviluppato originariamente per i bambini nei primi anni del 1900


dalla psichiatra italiana Maria Montessori, è stato adattato ai
malati di Alzheimer dal neuropsicologo americano Cameron
Camp; ha un approccio positivo e valorizza le capacità residue
della persona, soprattutto quelle che permangono anche nelle fasi
avanzate della malattia e mette in secondo piano le carenze
associate alla perdita di memoria. Si tratta di un approccio
comunicativo non verbale, sensoriale e motorio che mira a ridurre i
problemi comportamentali delle persone disorientate.
APPROCCIO CAPACITANTE

L’Approccio Capacitante è stato ideato da Pietro Vigorelli nel 2000. Vanta


una larga diffusione in Svizzera, Cile e Argentina. L’Approccio Capacitante
è un approccio alle persone con demenza che si basa sull’ascolto e sulla
scelta delle parole con l’obiettivo finale una convivenza serena tra persone
con demenza, operatori e familiari.
È un modo di rapportarsi che cerca di creare le condizioni per cui la persona
anziana possa svolgere le attività di cui è ancora capace, così come è capace,
senza sentirsi in errore. L’Approccio valorizza la dignità della persona.
La formazione è basata sull’analisi delle conversazioni professionali tra
operatori e utenti così come effettivamente avvengono. Nel lavoro di
gruppo si cerca di capire se la conversazione riportata è stata felice o
meno, se ha potuto proseguire o si è interrotta, se ha creato irritazione o
benessere; se ha permesso l’emergere delle Competenze elementari
dell’ospite; se l’ospite ha potuto scegliere ciò che voleva dire oppure se
il colloquio è stato “guidato” dall’operatore, come avviene invece nei
colloqui anamnestici o valutativi.
La scelta delle parole

L’operatore capacitante impara a scegliere le parole che sono seguite da


risultati favorevoli (l’interlocutore parla e lo fa volentieri) e ad evitare le
parole che sono seguite da risultati sfavorevoli (la conversazione
s’interrompe, l’interlocutore reagisce con rabbia, aggressività, chiusura).
L’Approccio capacitante aiuta l’operatore a diventare consapevole degli
effetti prodotti dalle proprie parole. In base alla consapevolezza dei
risultati ottenuti impara a scegliere le parole da dire. L’operatore
capacitante, quando si trova in situazioni di disagio, di difficoltà, non
reagisce in modo spontaneo (automatico), ma si ferma a riflettere
qualche secondo per poi scegliere di dire le parole che più
probabilmente saranno seguite da risultati favorevoli (in base
all’esperienza precedente) utilizzando le tecniche capacitanti, per
esempio: Non fare domande, Non correggere, Non Interrompere, Fare
eco, Accompagnare nel suo mondo possibile.
Il metodo si basa sull'approccio conversazionale e sull'approccio
capacitante, il primo si rifà al Conversazionalismo di Giampaolo Lai,
il secondo al concetto di Capacitazione che è imparentato con il
capability approach di Amarthia Sen. Il Conversazionalismo è nato in
Italia con l'opera di Giampaolo Lai nei primi anni 80. A partire dal 1999
il Conversazionalismo è stato applicato allo studio e alla terapia dei
malati Alzheimer. In questo nuovo ambito viene utilizzato sia per la sua
funzione originaria (conversazione terapeutica), sia come punto di
partenza per formare i caregiver.
In tal modo si cerca di tener viva nel paziente la capacità di utilizzare la
parola, nella convinzione che conservare l'uso della parola il più a lungo
possibile sia un obiettivo terapeutico significativo e che sia strettamente
correlato col mantenimento della dignità e della felicità del malato
Alzheimer e dei suoi conviventi, almeno per quanto possibile data la
malattia. Le basi teoriche dell'approccio conversazionale applicato alla
cura del malato Alzheimer sono fondate sui concetti di riserva
funzionale, di motivazione e di facilitazione.
Le identità multiple
Quando viene formulata la diagnosi di malattia di Alzheimer il mondo
interno del malato e quello intorno a lui tendono a cambiare in modo
rapido e radicale. Ciascuno di noi ha tante identità: psicologo, appassionata
del mio lavoro, madre, figlia a mia volta, compagna, amica, amante della
natura, sorella....ecc.
Anche i malati hanno ancora tante identità, di madre, di figlia, di sorella, di
giovane sposa, di vedova, di amante della cucina, di amante del ricamo, di
pescatore, di giardiniere, di prigioniero di guerra, di grande lavoratore... La
storia di ciascuno è sempre ricca di esperienze e di identità.
Il problema del malato Alzheimer è che non padroneggia più queste sue
identità multiple. In un certo momento è padre, in un altro momento è
figlio e chi gli sta accanto resta disorientato e contrariato perché vorrebbe
vederlo sempre con un'identità unica e immutabile. La terapia
conversazionale invece riconosce cioè e accoglie le identità multiple del
paziente così come si manifestano e quando si manifestano.
I mondi possibili

Il concetto di identità multiple rimanda facilmente a quello di mondi


possibili. Quando un vecchio sente sbattere la porta e ha una crisi di
agitazione psicomotoria, è davvero terrorizzato perché ri-vive l'arrivo delle
SS che lo strappano alla famiglia e lo portano in campo di concentramento.
L’approccio conversazionale si basa sull'accogliere questi mondi possibili in
cui vive il paziente, sul riconoscerli e legittimarli. Il curante accompagna il
paziente nei suoi mondi possibili, senza giudicare, senza correggere, curioso
di esplorarli con il paziente e contento di questa avventura.
l’Approccio Capacitante è una modalità di intervento che vuole creare nei
luoghi di vita degli anziani fragili un ambiente in cui essi possano
esercitare le Competenze elementari così come effettivamente fanno,
senza sentirsi in errore. Si invita a focalizzare l’attenzione sulla sua
capacità di parlare, sull’ascoltare senza interrompere e senza correggere
la persona, perché quelle parole hanno un senso dal suo punto di vista
della persona, anche se non sono comprensibili nell’immediato da chi
ascolta. In questo modo l’anziano non si scoraggia e mantiene più a
lungo la sua vivacità, autonomia e relazionalità.
Le competenze elementari

 la competenza emotiva
 la competenza a comunicare
 la competenza a parlare
 la competenza a contrattare
 la competenza a decidere
La competenza a comunicare si esprime anche con il paraverbale e non
verbale.
La competenza a parlare, cioè a produrre e scambiare parole,
indipendentemente dal loro significato.
La competenza emotiva, cioè provare emozioni, riconoscere quelle
dell’interlocutore e a condividerle.
La competenza a contrattare e a decidere sulle attività della vita
quotidiana. Si pensi ai comportamenti ‘oppositivi’, cioè la persona che non
vuole mangiare, non vuole alzarsi dal letto, non vuole lavarsi, ecc.
Certo questi comportamenti sono disturbanti, tuttavia sono l’estrema
manifestazione della competenza a contrattare di una persona che
purtroppo non può decidere più nulla.

La competenza a decidere anche in presenza di deficit cognitivi. I
comportamenti oppositivi, di chiusura relazionale e di isolamento
possono essere letti come espressioni estreme di questa ridotta
competenza di libertà decisionale”.
Mediante l’Approccio capacitante si impara ad accompagnare gli ospiti nel loro
mondo, a riconoscere le loro competenze, a ascoltare la loro voce interiore
(voice). Questa consuetudine all’ascolto della voice, ha trasformato
lentamente ma radicalmente il nostro approccio: prima era
prevalentemente tecnico – sanitario, poi si è progressivamente indirizzato
verso l’ascolto della parola e l'osservazione dei messaggi corporei degli
ospiti. i.
In sintesi, gli obiettivi dell’Approccio capacitante sono:
- che l’anziano con demenza possa parlare, così come può e che si senta
ascoltato;
- che si senta riconosciuto come persona, come interlocutore valido;
- che si possa realizzare una Convivenza sufficientemente felice tra i
parlanti nel qui e ora della conversazione.
“Il ricorso agli interventi capacitanti significa, in pratica, porsi in
un atteggiamento sperimentale: cercare di evitare le parole che
producono risultati sfavorevoli (chiusura della
conversazione,segni di disagio) e scegliere, invece, le parole che
producono risultati favorevoli (il proseguimento della
conversazione, una Convivenza sufficientemente felice)”

Vigorelli, 2015
APPROCCIO CENTRATO SULLA PERSONA (PCC)
Tom Kitwood

Il modello medico tradizionale considera la malattia e non la persona; nella


PCC la persona è l’elemento centrale: i sintomi legati alla malattia
sono solo una parte di un insieme che è la persona ma non la parte
principale.

PCC = V + I + P + S
V = valorizzazione della persona con demenza
I = tenere conto della sua “individualità”
P = “prospettiva” della persona con demenza
S = ambiente sociale “supportivo” ed inclusivo
L’obiettivo verso cui verte la PCC è di riconoscere le persone affette da
demenza nella loro umanità e globalità, dove l’assistenza riguardi la
PERSONA e non la sua malattia.
Se enfatizziamo meno la funzione cognitiva e ci concentriamo sulla
persona intera, riusciremo a vedere la possibilità di una gamma di
relativi stati di benessere anche in una persona con demenza.
La cura si basa sulla relazione. Attraverso la relazione viene
supportata la personhood.
Kitwood propone la sua concezione di demenza come risultato
dell’interazione di 5 elementi:
Demenza = NI+H+B+P+SP (T. Kitwood, 1997; D. Brooker, 2007).
• Danno neurologico (Neurological Impairment), che può essere dato da
alterazione della struttura cerebrale o della funzione cerebrale. Sono
presenti problemi di memoria, di linguaggio e di comprensione, di
eseguire le attività di vita quotidiana…
• Salute fisica (Helth and physical fitness), è importante prestare
attenzione al benessere fisico di una persona con demenza.
• Biografia (Biography or life history), la storia di vita di ciascun
individuo è la struttura iniziale della personalità.
Personalità (Personhood); definita come “una posizione o grado che è

conferita ad un essere umano, da altri, nel contesto delle relazioni sociali e


come essere sociale. Implica riconoscimento, rispetto, e verità”.
• Psicologia sociale (Social Psychology); come abbreviazione di ambiente
socio - psicologico ovvero tutte quelle relazioni interpersonali che per
Kitwood può supportare o danneggiare le persone con demenza.
LA PSICOLOGIA SOCIALE MALIGNA (PSM)

È costituita da tutte quelle interazioni svalutanti da parte degli operatori,


che possono minare uno o più dei bisogni psicologici, e quindi la
Personhood di chi è affetto da Demenza. La PSM non implica una
malevolenza consapevole da parte degli operatori, ma spesso l'agire in
modo inconsapevole e superficiale, senza rendersi conto del danno
provocato e seguendo schemi già collaudati ed accettati.
IL DCM (DEMENTIA CARE MAPPING)

È uno strumento di osservazione e valutazione che applica i principi


dell'approccio centrato sulla persona (PCC) coinvolgendo le persone
con demenza nella loro interezza, per migliorarne la qualità di vita
attraverso un'attenzione profonda alla qualità dell'assistenza.
È nel contempo uno strumento ed un processo.
- Lo strumento è formato dai meccanismi di osservazione e di codifica
- Il processo è l'utilizzo del DCM come motore per lo sviluppo di una
pratica assistenziale di qualità, basata sui principi della Person Centred
Care
Consiste nella registrazione puntuale di tutto ciò che accade nel
setting assistenziale. Le azioni del personale di cura sono fondamentali
per sostenere (PE) ovvero minare (PD) la Personhood. In questo ambito
non esistono più i cosiddetti “comportamenti problematici” (BPSD),
ma solo azioni, generate da un contesto, che vanno interpretate.
REALIZZARE UN APPROCCIO PCC

1. Realizzare una formazione del personale centrata sui principi


dell'approccio
2. programmare interventi personalizzati di assistenza e di attività
ricreative/occupazionali
3. affiancamento sul campo per ossservare le interazioni durante le
attività. Gruppi di lavoro per l’analisi dei casi osservati:
- identificazione delle modalità relazionali per sostenere la
personhood
- elaborazione di Pai Person Centred
“GENTLECARE”
Moyra Jones

Moyra Jones, terapista occupazionale canadese, alla fine degli anni Novanta
partendo dalla propria esperienza personale e professionale ha creato e
promosso il Metodo Gentlecare per la cura delle persone con demenza.
La metodologia “Gentlecare” ha lo scopo di promuovere il benessere del
malato, ottimizzando il suo stato funzionale e consentendo una buona
qualità di vita rispetto al declino causato dalla demenza. Questo modello
aiuta i caregivers a sviluppare strategie che migliorano i disturbi
comportamentali ed eliminano lo stress, offrendo sostegno ai malati e a chi
si prende cura di loro.
L’approccio protesico, termine coniato dalla stessa Jones, riguarda
qualsiasi intervento che tenta di compensare il deterioramento cognitivo
del malato di demenza attraverso l’adattamento dell’ambiente non solo
fisico, ma anche interpersonale, per ridurre le conseguenze della sua
inabilità e per dare il massimo supporto alle capacità ancora presenti.
Il personale e i famigliari devono:
• identificare gli elementi di stress nell’ambiente del malato (e della
famiglia) e sviluppare metodi e programmi efficaci e creativi per
rendere la vita di questi pazienti più confortevole
• capire chiaramente i processi e le implicazioni cliniche delle demenze
• Integrare attività quotidiane con programmi utili e stimolanti che
sfruttano le residue capacità del malato per sviluppare schemi
assistenziali efficaci.
•Suggerire tecniche di comunicazione.
La formula Gentlecare

1) conosci la persona, la sua patologia, in che stadio di malattia si trova


2) comprendi il deficit e il suo comportamento
3)sviluppa l’intervento protesico (sia esso sulla persona o
sull’ambiente)
Si sviluppa su tre elementi in
continua relazione dinamica
fra loro:
spazio fisico
persone
programmi

BENESSERE DEL SOGGETTO


Il primo elemento: le persone: tutta l’équipe adeguatamente e

costantemente formata. I familiari vengono coinvolti in modo attivo


sulle scelte assistenziali del proprio caro.
Il secondo elemento: i programmi/attività: Per la cura personale

viene adottata la tecnica del risveglio naturale e in generale vengono


utilizzate strategie personalizzate per riuscire nella vestizione,
nell’igiene personale, ecc. Per le attività del tempo libero non vi è una
programmazione rigida da rispettare ma uno schema da poter seguire
durante le mattine o i pomeriggi.
Il terzo elemento: l’ambiente:

 Considerato come spazio fisico e relazionale, come insieme di oggetti


e arredamento, di percorsi , di soluzioni tecnologiche.
 Creare un ambiente protesico semplice, domestico arricchito con
oggetti familiari e personali per essere facilmente vissuto.
 Dotazione di un giardino opportunamente attrezzato e direttamente
raggiungibile dal nucleo con percorso circolare e area per ortoterapia.
L’illuminazione notturna ne garantisce la fruibilità sia di giorno che di
notte.
Ambiente adeguato

Adattamento ambiente
domestico per persone con demenza
che vivono a casa

Posizionare gli oggetti di


uso comune in posti dove
possono essere facilmente
visti e identificati dalla
persone con demenza
Adattamento ambiente
domestico per persone con demenza
che vivono a casa
Adattamento ambiente
domestico per persone con demenza
che vivono a casa
Adattamento ambiente
domestico per persone con demenza
che vivono a casa
….."mio padre era un meraviglioso giardiniere, sicché sono rimasta
atterrita il giorno in cui ha iniziato a scavare buche nel suo bel prato.
Inizialmente ho provato ad attirarlo verso casa, verso la macchina, in
qualsiasi posto pur di impedirgli di rovinare il prato. Poi ad un tratto mi
sono accorta di cosa stava succedendo: stava lavorando! Quell'uomo era
impegnato in un lavoro e non intendeva esserne distratto, nonostante le
mie proteste. Laddove un tempo aveva creato meravigliose aiuole, ora
scavava buche.
Scavare buche equivaleva a fare giardinaggio. Questa comprensione era
infinitamente liberatoria per me. Mi permetteva di capire la sua
concentrazione e persistenza. Mi consentiva di vedere la vita attraverso i suoi
occhi. Mi conduceva attraverso la malattia e mi restituiva mio padre. Così lo
incoraggiai a scavare buche."
Da "Gentlecare. Un modello positivo di assistenza per l'Alzheimer" di Moyra
Jones.
L’efficacia dell’intervento

L'efficacia dell’intervento non farmacologico dipende da come è stato


strutturato: è fondamentale venga infatti individualizzato e scelto in base
alle caratteristiche del paziente (funzionamento sociale, storia,
preferenze), sulla patologia e sul livello di compromissione o disturbo
comportamentale.
TIPOLOGIE DI INTERVENTI SULL'ANZIANO

1. Centrati sulla cognitività

2. Centrati sulle emozioni

3. Centrati sul comportamento

4. Centrati sulla sensorialità

5. Interventi orientati all’ambiente

6. Interventi psicosociali sulla famiglia


1. Interventi centrati sulla Cognitività

Stimolazione cognititva
Training cognitivi
ROT
La riabilitazione cognitiva
Facciamo chiarezza....

La riabilitazione cognitiva ha come obiettivo il ristabilire il funzionamento


cognitivo il più vicino possibile a com'era prima dell'insorgenza della
compromissione. In questo caso si mira ad un recupero delle abilità cognitive
danneggiate. E' rivolta a soggetti di qualunque età che hanno subito una
lesione cerebrale.
La Stimolazione Cognitiva

Per stimolazione cognitiva (SC) si intende un programma mirato in cui si


cercano di migliorare il funzionamento cognitivo globale ed il
funzionamento sociale della persona con demenza. Essa non ha come
obiettivo il recupero delle abilità cognitive perse o danneggiate ma il
mantenimento di quelle funzioni che ancora non sono state compromesse
dalla malattia. Si parla di stimolazione cognitiva nelle patologie neuro-
degenerative come nella demenza, dove non è possibile un recupero ma,
attraverso un costante allenamento, si può cercare di contrastare l'impatto
della malattia.
Il deterioramento cognitivo non si presenta in tutti i soggetti con le stesse
caratteristiche e con lo stesso livello di gravità. I soggetti si differenziano
per un diverso grado e qualità di capacità ancora presenti. Fare
stimolazione vuole dire anzitutto conoscere il livello di funzionamento
complessivo e specifico e modulare la proposta di attività in modo da
promuovere l’utilizzo delle capacità ancora sufficientemente conservate.
La stimolazione cognitiva è quindi un’attività altamente strutturata, da
non confondere con qualsiasi tipo di proposta ludico-ricreativa!
SUGGERIMENTI

Scegliere le attività in modo da assecondare predisposizioni, attitudini,


gusti e passioni della persona. Per far questo è utile confrontarsi con la
famiglia in modo da conoscere più a fondo gli interessi passati
dell’anziano.
Non avere fretta ma calibrare il ritmo con cui si propongono le attività al

tempo di elaborazione richiesto dal malato. E’ solitamente consigliabile


scegliere bene poche cose da fare con molta calma.
Non forzare la persona ad adeguarsi alle richieste, ma cercare il

momento ed il modo più giusto per agganciarlo nelle attività proposte.


Non preoccuparsi di fare bene il compito.

Non protrarre lungamente le attività poiché le risorse di attenzione delle

persone con demenza sono limitate e potrebbero stancarsi rapidamente.


Rinforzare positivamente gli sforzi compiuti elogiando sempre ogni atto

che manifesti il tentativo di coinvolgersi nelle attività proposte e di


esprimere le proprie risorse.
Non rimarcare mai gli eventuali errori.

L’obiettivo non è quello di ottenere una prestazione elevata, ma di
coinvolgere la persona!
Esercizi...


orientamento temporale

orientamento spaziale

orientamento sociale

attenzione

memoria

linguaggio
sensoriali

prassici motori

calcolo

•La Cognitive Stimulation Therapy (Spector, 2003): E’ un
trattamento psico-sociale validato e strutturato in sessioni a tema per
stimolare diverse funzioni cognitive. Nasce in Gran Bretagna ad opera
di Aimèe Spector e dei suoi collaboratori nei primi anni del 2000. Si
tratta di un trattamento di gruppo (5/6 perosne) basato sull’evidenza,
indirizzato a persone con demenza di grado lieve e
moderatoL’approccio sviluppato alla University College of London
consiste in incontri due volte alla settimana per 45 minuti, per un totale
di 14 incontri.
All’inizio di ogni sessione viene ricordata la data, il luogo in cui ci si
trova, eventuali ricorrenze al fine di stimolare l’orientamento nei
partecipanti, attraverso metodi impliciti che non demoralizzino la
persona. Ogni incontro è caratterizzato da un tema specifico intorno al
quale ruota l’attività principale:
 SESSIONE 1: giochi fisici
 SESSIONE 2: suoni
 SESSIONE 3: infanzia
 SESSIONE 4: cibo
 SESSIONE 5: notizie di attualità
 SESSIONE 6: facce/scene
 SESSIONE 7: associazione di parole
 SESSIONE 8: creatività
 SESSIONE 9: categorizzazione
 SESSIONE 10: orientamento
 SESSIONE 11: utilizzo di denaro
 SESSIONE 12: giochi con i numeri
 SESSIONE 13: giochi con le parole
 SESSIONE 14: quiz a squadre
Ciascuna sessione è così articolata:
 Introduzione (10 minuti)
 Attività principale legata al tema caratterizzante l’incontro (25minuti)
 Conclusione e saluti (10 minuti)
Tra i numerosi interventi esistenti, la Terapia di Stimolazione Cognitiva
(CST), è l’unico intervento per anziani con demenza lieve-moderata
con evidenze di efficacia. Studi randomizzati hanno osservato,
attraverso l’utilizzo di vari strumenti tra i quali il Mini-Mental State
Examination (MMSE) e l’Alzheimer Disease Assessment Scale-
Cognition (ADAS-cog), notevoli miglioramenti sia nel funzionamento
cognitivo globale sia nella qualità della vita delle persone con demenza,
inoltre si è notato il miglioramento delle funzioni cognitive globali e la
qualità della vita tramite ripetute stimolazioni multisensoriali, riducendo
la tendenza all’isolamento e favorendo il livello di autostima.
Programma di mantenimento della Terapia di Stimolazione
Cognitiva (MCST)

Le sessioni e si svolgono una volta a settimana per ventiquattro


settimane:
 SESSIONE 1: la storia della mia vita
 SESSIONE 2: notizie di attualità
 SESSIONE 3: cibo
 SESSIONE 4: creatività
 SESSIONE 5: giochi con i numeri
 SESSIONE 6: giochi e quiz di gruppo
 SESSIONE 7: suoni
 SESSIONE 8: giochi fisici
 SESSIONE 9: categorizzazione di oggetti
 SESSIONE 10: antichità domestiche
 SESSIONE 11: rimedi della nonna
 SESSIONE 12: carte creative
 SESSIONE 13: slogan pubblicitari
 SESSIONE 14: arte
 SESSIONE 15: volti e luoghi
 SESSIONE 16: giochi di parole
 SESSIONE 17: slogan del cibo
 SESSIONE 18: associazioni di parole
 SESSIONE 19: orientamento
 SESSIONE 20: utilizzo del denaro
 SESSIONE 21: giochi di parole
 SESSIONE 22: antichità domestiche
 SESSIONE 23: la mia vita lavorativa
 SESSIONE 24: consigli per una vita sana
- Introduzione (10 minuti). Si inizia con un benvenuto a tutti i componenti
del gruppo, chiamando ciascuno per nome e tra le altre cose si canta la
canzone scelta al primo incontro si discute del giorno, mese, anno,
stagione etc. in modo da dare un orientamento spaziotemporale
- Attività principale di stimolazione cognitiva legata al tema dell’incontro
(25 minuti)
- Conclusione e saluti della durata di 10 minuti, durante i quali si fa un
riassunto dell’attività cogliendo i feedback, si ringrazia ciascun
partecipante, si ricanta la canzone e si ricorda l’orario e l’argomento
dell’appuntamento successivo. (PAG 61 libro Pradelli Faggian).
Il training cognitivo

Il training cognitivo può essere definito come un processo di stimolazione


cognitiva che mira all'esercizio di specifiche funzioni cognitive attraverso
l'utilizzo di un set standard di compiti specifici. Il training cognitivo si
avvale di due principi. Il primo è la ripetizione, ovvero somministrare più
volte la stessa tipologia di esercizi porta alla riorganizzazione delle
funzioni (riorganizzazione funzionale) vicariando le abilità perse a causa
della lesione o rinforzando le abilità preservate.
Il secondo principio è la gradualità, ossia consiste nel dover scegliere i
compiti da presentare al paziente tenendo conto delle sue capacità attuali
e modulando man mano la difficoltà a seconda dei risultati ottenuti e
degli scopi terapeutici che si è posto. Il training può essere svolto in
gruppo o individualmente, utilizzando carta e matita oppure supporti
informatici (computer, tablet ecc.).
Reality Orientation Therapy

La Terapia di Orientamento alla Realtà è la più diffusa terapia


cognitiva. Essa è stata ideata da Folsom alla fine degli anni ‘50,
presso la Veterans Administration (Topeka, Kansas), e
successivamente sviluppata da Taulbee e Folsom negli anni ’60.
Obiettivi

- Finalizzata a riorientare il paziente rispetto a sé, alla propria storia e


all’ambiente che lo circonda.
- Modificare comportamenti disfunzionali e migliorare il livello di
autostima della persona facendola sentire ancora attiva dal punto di vista
dei rapporti sociali significativi e riducendone la tendenza all’isolamento.
- Attraverso una serie di molteplici stimolazioni multimodali di tipo
musicale, verbale, grafiche, visive, tale tecnica si propone di andare a
rafforzare le informazioni base del paziente rispetto alla sua storia di vita
personale e alle dimensione spaziale e temporale.
Metodo

Ripetute stimolazioni multimodali (verbali, visive, scritte, musicali), per


rafforzare le informazioni di base del paziente; indirizza l’attenzione del
paziente verso il presente e sulle informazioni fruibili dall’ambiente
circostante.
Verso sé: ri-orientare il soggetto per quanto riguarda gli aspetti
importanti della sua biografia personale (es. data di nascita) o
chiamando in causa argomenti connessi alla sua storia di vita.
Verso l'ambiente: oppure chiedere l’orario e il luogo in cui si trova.
• Maggiori evidenze di efficacia sui pz con deterioramento cognitivo
lieve-moderato. (Spector et al, 2000).
La stimolazione cognitiva rivolta ad anziani attivi

Sessioni di "ginnastica mentale": sono utili per allenare le funzioni


cognitive anche di persone che non hanno nessuna compromissione ma che
vogliono sentirsi attive sul piano cognitivo. Nel corso degli incontri
vengono proposte nuove tecniche di memorizzazione, vengono allenate le
capacità di attenzione, di ragionamento, di memoria e di linguaggio
permettendo l'acquisizione di una maggiore fiducia nelle proprie capacità.
Assessment
- BAC, batteria di valutazione del benessere e delle abilità cognitive
nell’adulto e nell’anziano
Due training
1) Lab-I Empowerment Cognitivo
1) Lab-I Empowerment Emotivo-Motivazionale
BAC, batteria di valutazione del benessere e delle abilità cognitive
nell’adulto e nell’anziano

Accertamento della Memoria:


- memoria di base verbale e visuo-spaziale (memoria a breve termine,
memoria di lavoro, inibizione)
- memoria personale (memoria autobiografica, sensibilità alla memoria,
fallimenti cognitivi).
Prove di Comprensione del Testo
Misura del Ben-essere
- soddisfazione personale
- senso di autonomia e autoefficacia e
- soddisfazione nella dimensione degli affetti e delle relazioni
Lab-I Empowerment cognitivo
Lab-I Emotivo-Motivazionale

Strumenti di riattivazione e potenziamento degli aspetti cognitivi, emotivo-


motivazionali e di ben-essere nell’adulto e nell’anziano per migliorare:
•le funzioni cognitive
•il sistema di memoria
•la percezione di sé
•le strategie di coping
•le competenze emotive
2. Interventi orientati alle emozioni


Reminiscenza


Counselling, supporto


Validation Therapy
Reminiscenza

La Reminiscenza è una delle tecniche psicosociali popolari e apprezzata


anche da operatori e partecipanti. Ha effetti molto positivi sull’umore,
la cognizione e il benessere delle persone.
• Obiettivi: potenziare le abilità mnesiche residue, le associazioni
logiche, la comunicazione e migliorare il tono dell’umore/senso di
autoefficacia
• Metodo: rievocazione di eventi del proprio passato, sfruttando la
naturale predisposizione dell’anziano
Nella terapia di Reminiscenza, le situazioni passate rappresentano lo
spunto per stimolare le risorse residue della memoria e proprio queste
vengono stimolate al fine di far riemergere esperienze dal punto di
vista emotivo piacevoli. Permette quindi alle persone ammalate di
mantenere la propria autostima, anzi di svilupparla ulteriormente quando
sono ancora in grado di ricordare, piuttosto che frustarli su quello che non
possono tenere alla mente a causa della patologia.
La Valdition Therapy

Non è vero che non si può comunicare con il malato di demenza, al


contrario è possibile farlo durante tutta la durata della malattia. La
comunicazione con il malato è parte integrante della cura, contribuisce a
migliorare la qualità della vita, evitare o ridurre molti disturbi
comportamentali, dare dignità alla persona e a chi le sta vicino.
(Naomi Feil)
Naomi Feil

Nasce a Monaco di Baviera, in Germania, nel 1932, cresce nella casa per
anziani di Montefiore di Cleveland, nell’Ohio, dove suo padre era
direttore e sua madre a capo del servizio sociale. Laureata alla Columbia
University dello Stato di New York non è soddisfatta degli approcci che
comunemente vengono utilizzati nella relazione con i grandi anziani, in
particolare con gli anziani con deterioramento cognitivo, che
comunemente venivano isolati, o ignorati, perché troppo disturbanti e la
relazione era considerata inutile, una perdita di tempo.
Il suo contatto continuo con quegli anziani intrappolati in un mondo
parallelo, apparentemente distante ed incomprensibile, le darà
l’opportunità di capire che a nulla serve trattenerli nella realtà, così
come la concepiamo.
Costruisce così il metodo “Validation”, che deriva dal verbo to validate
in inglese, legittimare, riconoscere che i sentimenti di una persona sono
autentici.
La terapia di validazione si fonda sul rapporto empatico fra operatore e
paziente laddove, tramite l’ascolto, il terapista cerca di immedesimarsi
e penetrare nella realtà distorta del paziente (il cui deficit mnesico
può portarlo a vivere, ad es. nella sua giovinezza), al fine di creare
contatti relazionali ed emotivi significativi. Tale terapia aumenta le
capacità comunicative, riduce ansia e stress, diminuisce la necessità di
ricorso sedativi e contenzione. Ritenuto adatto anche in fase avanza di
malattia. Inoltre i benefici influiscono sul personale di assistenza e sui
famigliari.
Metodo

Il terapista non tenta di riorientare il paziente alla realtà, ma tramite


l’ascolto cerca di conoscere la visione della realtà da parte del paziente,
immedesimandosi nel suo mondo, per capirne comportamenti,
sentimenti ed emozioni
• Utilizzata con pazienti con deterioramento cognitivo severo; poche
evidenze (studi di bassa qualità), ma un approccio utile per migliorare
la relazione con il paziente demente grave.
Immaginate di vedere ombre che si aggirano per casa, vi sembra ci sia
qualcuno ma non ne siete certi, poi un’immagine sembra più nitida, una
figura si aggira nel vostro salotto, sicuramente un ladro, qualcuno che
potrebbe aggredirvi per svaligiare la vostra casa. Siete spaventati, vi si
gela il sangue, non sapete che fare. Gridate, qualcuno vi sentirà! Arriva
vostro figlio tutto congestionato che vi dice:“Basta mamma, non c’è
nessuno in casa, devi stare tranquilla!” e se ne va…., lasciandovi in
compagnia di questa presenza inquietante.
La comunicazione fra operatore o famigliare ed ammalato si trasforma
frequentemente in una sofferta parodia, in cui ciascuno degli interlocutori
parla da solo in uno spazio inaccessibile all’altro. Due persone parlano ma
ciascuna delle due capisce cose diverse ed interpreta le intenzioni
dell’altro attraverso le proprie lenti, senza che si realizzi alcuno spazio di
sovrapposizione, di condivisione e di contatto.
Bisogni emotivi fondamentali

Solitamente i contenuti delle affermazioni, anche le più bizzarre ed


improbabili, sono riconducibili ad alcune grandi aree dell’esperienza
emotiva:
ß Il bisogno di difendersi dalle possibili aggressioni reali o immaginarie.
ß Il bisogno di sentirsi accuditi e amati.
ß Il bisogno di conservare una buona immagine di sé.
ß Il bisogno di sentirsi utili.
E’ a questi bisogni fondamentali che dobbiamo cercare di fornire risposte
validanti, accoglienti e rassicuranti. In molti casi, soprattutto quando il
deficit è più avanzato, non è utile cercare di orientare l’ammalato alla
realtà. Questo non farebbe altro che esacerbare il suo senso di solitudine,
incomprensione e rabbia.
Le fasi del metodo Validation

1. Prima Fase: Raccogliere informazioni sull'anziano


Per il metodo Validation è indispensabile conoscere la persona: il suo
stadio di disorientamento; i compiti e le emozioni; le relazioni umane e
affettive del passato; la professione, i passatempi; il rapporto con la
religione; il modo in cui la persona affronta le difficoltà e le perdite; la
storia clinica. Tali informazioni potranno essere raccolte tramite domande
all'anziano, fatte in momenti diversi della giornata e per almeno due
settimane; le domande sono state tratteggiate dalla Feil, visto che
debbono essere abbastanza precise, perché possano orientare l'operatore.
2. Seconda Fase: Valutare lo stadio di disorientamento
Gli stadi possono essere:
- Primo stadio: disturbi dell'orientamento
- Secondo stadio: confusione temporale
- Terzo stadio: movimenti ripetitivi
- Quarto stadio: vita vegetativa
3. Terza fase: Incontrare regolarmente la persona e usare le tecniche
Validation.
La durata di ogni incontro dipende dallo stadio di disorientamento nel
quale si trova la persona: si va da un minimo di uno a un massimo di
quindici minuti, il tempo minore è dedicato a chi presenta le
problematiche maggiori. In ogni caso, non è tanto importante la quantità
di tempo impiegato, ma la qualità. La frequenza ideale, poi, dipende
anch'essa dalle singole situazioni: si va da più volte al giorno, ad alcuni
incontri settimanali, o meno frequentemente ancora.
E' importante sapere accorgersi in tempo della sensazione di disagio
dell'anziano, che ci indica il termine dell’incontro.
Attraverso il metodo Validation si tenta di ridurre disturbi quali il
vagabondaggio, l’agitazione, l’aggressività, l’ansia e l’essere sospettosi
che caratterizzano la persona con demenza.
3. Interventi sul comportamento

“Quando il cervello subisce dei cambiamenti che


impattano la memoria, il ragionamento, il linguaggio e
le altre forme di comunicazione, il comportamento
diventa il metodo primario di espressione”

Paul Watzlavick

Tecniche di gestione del comportamento centrati sul
comportamento individuale del paziente; durano nel tempo (mesi).

Psicoeducazione del caregiver intesa come modificazione del suo
comportamento; è efficace e il risultato dura nel tempo
Terapia contestuale (Milieu Therapy)

È un intervento cognitivo-comportamentale che sfrutta la tecnica del


condizionamento operante con l’obiettivo di adattare il contesto sociale-
affettivo. Rientra nell’ambito degli interventi cognitivo-comportamentali.
Si propone di migliorare non tanto l’ambiente fisico quanto l’atmosfera
sociale ed affettiva; consiste nel modificare/modulare il contesto in cui
vive il paziente in modo da renderlo compatibile con le sue capacità
funzionali.
Psicoeducazione del caregiver

Alla base dell’approccio psicoeducazionale vi è il concetto di coping. Si


ritiene infatti che molti problemi siano peggiorati da modalità inadeguate
di fronteggiamento. La psicoeducazione familiare ha come obiettivi
principali la riduzione dello stress familiare (considerato un fattore di
rischio per l’insorgenza di sintomi psicotici, depressivi e maniacali), e la
diminuzione/prevenzione delle ricadute e dei ricoveri dei pazienti
(Massai V. et al., 2009). Scopo di questi gruppi è di insegnare ai
familiari come affrontare le modificazioni del comportamento e della
personalità che si presentano e fornire delle modalità di gestione della
quotidianità più efficaci.
La demenza, infatti, colpisce non solo il paziente ma anche il suo
sistema familiare modificandone profondamente i rapporti interni. Il
familiare deve essere quindi accompagnato attraverso un percorso di
comprensione della malattia e di ridefinizione della relazione con il
proprio caro, il quale non deve essere considerato solo una fonte di
difficoltà a causa dei suoi deficit, ma una persona con delle risorse
ancora presenti che hanno bisogno di essere comprese, mantenute e
potenziate. Il Ben-essere e l’equilibrio del Caregiver è fondamentale
quindi anche per il ben- essere della persona malata.
Cosa è un corso psicoeducazionale

Costituito da un gruppo chiuso (8-10 persone)


• Sei-otto incontri di 2 ore a cadenza bisettimanale


• Durata fra 3-4 mesi
• Si parla delle proprie difficoltà nella gestione del paziente
• Si sfogano le proprie ansie e paure
• Si acquista consapevolezza della malattia del congiunto
• Si impara ad accettare la situazione
Si apprendono nozioni di base sulla demenza

• Si imparano strategie per migliorare la gestione del paziente, a gestire e


limitare i sintomi, con un minor ricorso all’uso di farmaci contenitivi
• Si impara a conoscere e gestire le proprie emozioni (tristezza, paura,
rabbia, sensi di colpa…)
• Si migliorano i rapporti con gli altri familiari, amici, vicini…
Cosa non è un corso psicoeducazionale

• Un gruppo di self help o auto-muto aiuto


• Una psicoterapia di gruppo
• Un corso teorico di medicina sulle demenze
Tipi di interventi

Fase demenza Bisogni


Fase iniziale Informazione
Fase intermedia Gestione pratica
Fase avanzata Depressione
4. Interventi centrati su sensorialità

Stimolazione multisensoriale (Snoezelen)


Terapia occupazionale

Touch therapy

Aromatherapy

Musica, arte, animali, danza,


Esercizio, attività fisica, movimento



MUSICOTERAPIA

• Obiettivo: modificare lo stato emotivo, comportamentale e


affettivo attraverso un canale non verbale
• Metodo: utilizzo di strumenti musicali (musicoterapia attiva)/ascolti
musicali (musicoterapia recettiva)
Modalità: individuale o di gruppo

•Evidenze cliniche di efficacia su agitazione, aggressività, wandering,


irritabilità, difficoltà emotive e sociali. Molti studi anche se con campioni di
piccole dimensioni (Cochrane Review, 2007; Raglio et al, Alz Dis Ass
Disor 2008)
AROMATERAPIA

• Obiettivo: ridurre l’agitazione psicomotoria


• Metodo: applicazione oli essenziali sulla pelle (spesso accompagnato da
massaggio), posizionati in bagno, dispersi nell’aria con l’utilizzo di un
fornellino brucia essenze
• Generalmente applicato sui pz con deterioramento cognitivo moderato-
severo per ridurre i BPSD
TERAPIA MULTISENSORIALE

• La “Snoezelen” nasce in Olanda negli anni ’70; il termine (neologismo)


deriva dalla fusione di due verbi olandesi: Snuffelen, “esplorare” e
Doezelen, “rilassare”.
• Obiettivo: coinvolgere e stimolare le residue abilità sensomotorie delle
persone. Dare calma e tranquillità. Ridurre agitazione e disturbi
comportamentali.
• Metodo: esposizione ad un ambiente “calmante” e “stimolante” sui
cinque sensi.
• Risultati incoraggianti sulla riduzione dell’apatia nella demenza in fase
avanzata.
Ambienti Snoezelen della Nursing Home
De Klenke, Amsterdam “ La spiaggia” 2014
Stanza
Stanza Snoezelen
Snoezelen Bagno Snoezelen
Come sono fatte

Varie fonti luminose : tubo a bolle, proiettore di immagini, fibre ottiche


ecc.
Musica rilassante e/o intermittente
Pavimento e/o soffitto multicolore o con fibre ottiche
Pannelli “vibranti”o interattivi
Superfici “tattili”
Poltrone oscillanti e letti vibranti
Diffusore di essenze profumate
Ambiti di applicazione

 Disabilità cognitive
 Autismo
 Esiti da ictus e trauma cranico
 Turbe psichiatriche
 Disturbo da stress post-traumatico
 Demenza/Parkinson
 Controllo del dolore acuto e cronico
Durante gli ultimi quindici anni, SNOEZELEN é cresciuto in un
movimento universale in più di 30 paesi con migliaia di installazioni, una
fondazione che organizza conferenze nazionali e internazionali e progetti
di ricerca internazionali. Tuttavia, siamo ancora all'inizio
dell’esplorazione di applicazioni per questa metodologia straordinaria ed
efficace e della comprensione dell’insieme delle risposte e dei benefici
delle persone con invalidità e con altre condizioni limitanti a questi
ambienti sensoriali stimolanti e affascinanti.
Il nuovo Ospedale S. Agostino-Estense di Modena è tra i primi in Emilia-
Romagna a essersi dotato della ‘stanza morbida’(2016). L’intervento
viene somministrato da personale formato tre volte alla settimana per 40
minuti e consiste nella la stimolazione del paziente attraverso attività
semplici, che coinvolgono sempre i cinque sensi. Ad esempio, guardare
filmati, ascoltare musica, annusare aromi, avvolgere gomitoli, toccare un
peluche, piegare pezze di stoffa e così via. La snoezelen room non è
dunque solo una stanza, ma un vero e proprio modo di lavorare e di
assistere. Obiettivi di questa metodica sono la riduzione dell’uso di
farmaci sedativi, il miglioramento del ritmo sonno-veglia, lo sviluppo di
competenze assistenziali nei familiari attraverso percorsi formativi.
Potrà quindi capitare di vedere Luigi che, mentre riceve la terapia
antibiotica per via endovenosa, ascolta la sua canzone preferita e ne
scrive a macchina il testo, di vedere Carla impegnata a stirare delle stoffe
o di trovare Gianna che accudisce una bambola per tenere la maschera a
ossigeno. Creme per massaggi, aromi e profumi, video, immagini, luci,
musica, ma anche gomitoli, carte da gioco, giornali e libri diventano
alleati degli operatori nella cura dei pazienti ricoverati.
Protocollo per sedute individuali

FASE 1 Accoglienza / Adattamento


FASE 2 Selezione stimoli adeguati
FASE 3 Osservazione reazione paziente
FASE 4 Compilazione schede di osservazione
Durata intervento: dai 25 ai 60 minuti; Sedute settimanali: 2-4 sedute
Stimoli sottoposti: 1-2 variabili
Requisiti: agitazione psicomotoria (come wandering), aggressività
fisica e verbale, deliri, ansia.
Obiettivi: riduzione contenzione farmacologica e fisica.
Protocollo per sedute di gruppo

FASE 1 Selezione gruppo (3-4 persone)


FASE 2 Accoglienza/adattamento
FASE 3 Selezione stimoli adeguati
FASE 4 Osservazione reazioni pazienti
FASE 5 Compilazione schede di osservazione
Durata intervento: dai 25 ai 60 minuti; Sedute settimanali: 1-3 sedute
Stimoli sottoposti: 1-2 variabili
Requisiti: apatia
Obiettivi: stimolazione/riattivazione
Terapia assistita con animali (AAT)

Molti studi non sono sperimentali, non tutti hanno gruppi di controllo e
mancano di rigore metodologico

Assenza di valutazioni costo-beneficio e richiesta di preparazione


adeguata dello staff

Miglioramenti su apatia, depressione, interazione con l’ambiente ed


aumento dell’appetito
Terapia Occupazionale
• Obiettivo: ripristino del maggior grado di autonomia possibile,
valorizzazione delle abilità residue, aumento della qualità della vita.

Terapia Fisica e attività motoria


• Evidenze di efficacia sull’umore, disturbi del sonno,
wandering, agitazione e funzioni cognitive.
MASSAGE AND TOUCH FOR DEMENTIA

Hansen NV, Jørgensen T, Ørtenblad L

Massaggi e interventi touch sono stati proposti come alternativa o


complemento ai trattamenti farmacologici e altri per contrastare
l'ansia, l’agitazione, la depressione e per rallentare il declino
cognitivo nelle persone affette da demenza.

La piccola quantità di dati attualmente disponibili è a favore


del massaggio e del tocco per quanto riguarda l’efficacia
terapeutica nei soggetti dementi con disturbi
comportamentali, ma gli stessi dati sono troppo limitati
per consentire conclusioni generali.

2006
TERAPIA DELLA BAMBOLA

• Obiettivo: favorire la diminuzione di alcuni disturbi comportamentali


attraverso l’attivazione di relazioni tattili e di maternage mediante
l’accudimento di una bambola con caratteristiche particolari (peso,
posizione delle braccia e delle gambe, dimensioni e tratti somatici).
• Metodo: interazione con la bambola ed attività di accudimento
• Utilizzato in soggetti con demenza moderata-severa; i pochi studi
indicano potenziali effetti positivi nella riduzione dei disturbi
comportamentali e nell’incremento della partecipazione.
TimeSlips
Il progetto TimeSlips, fondato nel Centro invecchiamento e comunità di
Milwaukee dell’Università del Wisconsin, è stato sviluppato dalla
dottoressa Anne Basting nel 1998. Le persone si mettono alla prova in
un processo creativo, la produzione di storie, in cui non vengono
giudicate o corrette. Poiché nel processo creativo non ci sono risposte
giuste o sbagliate, inventare storie consente di partecipare, nonostante le
difficoltà di memoria e il linguaggio frammentato, senza sentirsi
giudicato.
Le storie sono piene di fantasie poetiche che riflettono le loro paure,
speranze, rimorsi, umori e sogni e ci concedono un’occasione di capire chi
sono e di condividere il loro sguardo sul mondo. Il professionista pone
alcune domande aperte circa le immagini mostrate al fine di avviare la
narrazione e incoraggiare i partecipanti a esercitare la loro immaginazione,
del tipo: “Come inizia la storia”? “Come può continuare?”
La Terapia del Treno

La terapia del treno, ideata dal professore Ivo Cilesi, simula un viaggio
immaginario, ma che sul piano delle emozioni e delle sensazioni è
vissuto come reale e dunque in grado di stimolare la memoria affettivo-
emozionale e, quando possibile, anche le capacità cognitive residue
delle persone malate. Pensata per dare sollievo ai pazienti affetti da
Alzheimer, la treno terapia fa riaffiorare ricordi ed emozioni, calmando
le persone e placando i tipici stati di agitazione della malattia. Un
viaggio virtuale di 45 minuti in una sala allestita come un vagone del
treno con poltrone e un finestrino attraverso il quale guardare le
immagini di un paesaggio in movimento.
La terapia inizia in una finta sala d’attesa retrò, curata nei dettagli, dove
i pazienti possono vivere una situazione realistica che riporta a momenti
già vissuti del loro passato. Si prosegue poi spostandosi nel vagone
dove uno schermo riproduce le immagini di paesaggi in movimento che
fanno riaffiorare emozioni e ricordi, calmando, ma anche stimolando le
relazioni tra le persone presenti. Presente in sempre più strutture RSA
(ma si usa anche con i bambini con autismo o con persone che soffrono
di depressione) risulta da subito evidente, riuscendo a calmare le
persone affette d’Alzheimer, cancellando il senso di ansia e agitazione.
Gli obiettivi

- Il viaggio come momento di aggregazione, conoscenza e confidenza,


“racconto”.
- Il viaggio come svago, rottura dalla routine, percorso di benessere per
ritornare a vedere paesaggi dal “finestrino”.
- Il viaggio come riattivazione dell’immaginazione della memoria, tornare
bambini.
- Il viaggio come stimolo al mangiare.
- Il viaggio come rilassamento per il rumore e i suoni che esso produce
E’ importante a seguito del viaggio, tenere un diario così da evidenziare
cambiamenti, reazioni immediate dell’ospite. La terapia del viaggio è
un’opportunità anche per gli operatori, infatti a coloro che seguono il
viaggio, vengono somministrati dei questionari per capire il loro vissuto
rispetto all’attività.
https://www.generaliarredamenti.it/portfolio-det.php?id=20&cat=3
Chi era Ivo Cilesi?

Ivo Cilesi, psicopedagogista bergamasco, era uno dei massimi esperti di


demenza e studioso appassionato di metodi non farmacologici per
affrontarla e ridurne gli effetti. Fu il primo a utilizzare la bambola con i
pazienti anziani con demenza. Fu l'ideatore della Doll Therapy. Prese
spunto da Britt Marie Egidius Jakobsson, psicoterapeuta, la quale creò
una specifica bambola per aiutare il suo bambino autistico. Ivo Cilesi è
morto di coronavirus, in ospedale a Parma nel marzo 2020. Lo
chiamavano anche il dottore del Treno.
Arte terapia per tutti con obiettivi diversi
Comunicazione validante compromissione cognitiva lieve o
moderata
Coperta terapeutica compromissione cognitiva grave di
tipo severo
Doll therapy compromissione cognitiva grave
Gruppi remember compromissione cognitiva lieve o
moderata
Memory training compromissione cognitiva lieve o
moderata
Musicoterapia per tutti con obiettivi diversi
Pet therapy per tutti con obiettivi diversi
Reality orientation therapy compromissione cognitiva lieve o
moderata
Robot-therapy compromissione cognitiva moderata o
grave
Sand therapy compromissione cognitiva moderata o
grave
Time slips, il tempo scivola compromissione cognitiva moderata
ALTRE LETTURE

- Martin Suter: Come è piccolo il mondo. Feltrinelli Editore. L'elegante


sessantenne Konrad Lang comincia a sragionare e a compiere azioni strane,
finché un giorno dà fuoco ad una villa: è affetto dal morbo di Alzheimer.
Martin Suter scrive un romanzo sul tema drammatico del morbo di
Alzheimer, volgendo lo sguardo sulla buona società svizzero tedesca.
- L'Isola dei senza memoria: Romanzo di Yoko Ogawa. un tempo non
precisato, su un’isola senza nome l’intera popolazione progressivamente
smette di ricordare.
- Mordecai Richler: La versione di Barney. Edizione Adelphy 2007.
Barney Panofsky è un anziano ebreo canadese (un pò matto…) che decide
di scrivere un’autobiografia. Il romanzo è strutturato in tre parti, una per
ciascuna delle tre mogli: la pittrice Clara, morta suicida a Parigi; la ciarliera
"seconda signora Panofsky", ricca ereditiera che Barney sposa senza
convinzione e dalla quale divorzia; Miriam, il vero grande amore di Barney.
Nel corso della stesura i ricordi di diventano progressivamente confusi, fino
a quando non gli viene diagnosticata la malattia di Alzheimer. Le memorie
di Barney vengono pubblicate postume dal figlio Michael con l'inserimento
di note a piè di pagina (a correzione delle numerose sviste di Barney)
- Paco Roca: Rughe. Edizione Prospero’s Books 2007. Considerata una
delle migliori opere fumettistiche 2007-2008. Emilio, l’anziano
protagonista è ricoverato presso una famiglia che lo abbandona e sparisce
dalla sua vista. Entrato in casa di cura Emilio tenta, assieme ai propri
compagni, una lotta contro il tempo per tenere viva la memoria cercando di
evitare di essere trasferito all’ultimo piano, quello dello stadio avanzato,
ovvero, del non-ritorno. L’autore riesce a descrivere le diverse fasi della M.
di Alzheimer con grande sensibilità ed espressività usando il fumetto come
strumento di comunicazione.
Paco coglie l’essenza della malattia raffigurandola mediante l’originale
espediente delle “cartoline” che fuoriescono come ricordi impazziti,
volando via dalla testa del protagonista.

Potrebbero piacerti anche