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La paura di ingrassare resta l’elemento comune nelle diverse forme di

patologia alimentare. I DCA possono essere caratterizzati dalla presenza o


meno di condotte restrittive come il digiuno totale o parziale e/o di
condotte evacuative come il vomito autoindotto o l’uso inappropriato di
lassativi o diuretici e/o condotte compensative come l’iperattività fisica.
L’anoressia nervosa è un disturbo del comportamento alimentare
caratterizzato da una rilevante perdita di peso da parte della persona che
ne soffre, accompagnata da un rifiuto di alimentarsi regolarmente e da
una paura intensa di ingrassare. Si manifesta prevalentemente nel sesso
femminile, anche se in letteratura è riportata un aumento dell’incidenza
negli ultimi anni anche in soggetti maschi. In molti casi l’esordio avviene in
preadolescenza, in associazione con la pubertà, un momento in cui
l’adolescente si trova a dover fronteggiare delle sfide proprie di quella
fase di vita, quali la sessualità e i cambiamenti del proprio corpo.
Spesso l’anoressia nervosa inizia con una dieta o comunque con un
tentativo volontario di perdita di peso finalizzato a raggiungere un ideale
di forma e di peso corporeo. La tensione volta al raggiungimento di
questo ideale nella paziente che soffre di Anoressia Nervosa non
raggiunge mai una condizione di soddisfacimento e la persona tende ad
aumentare progressivamente le proprie aspettative di diminuzione del
peso corporeo e la propria ricerca di magrezza. Nei fatti la paziente, per
quanto possa aver perso peso, non è mai sufficientemente appagata dal
suo dimagrimento e cerca sempre di raggiungere obiettivi di peso più
bassi. Tale dinamica assume la connotazione di un perfezionismo clinico,
in cui la persona tende a un’ideale di perfezione immaginario che non
verrà mai raggiunto.
Un sintomo peculiare di questa patologia è quello della dispercezione
corporea. La paziente che soffre di Anoressia Nervosa infatti tende a non
valutare oggettivamente il proprio corpo e a percepire di essere sempre
eccessivamente in sovrappeso, grossa o in difetto. Tale pensiero spesso è
lo specchio della volontà perfezionistica della paziente di divenire una
figura “pura”, senza macchie, senza imperfezioni.
Il fatto di controllare i propri bisogni fisiologici, in particolare il senso di
fame, provoca nella paziente una sensazione piacevole di forza e di
capacità di controllo dei propri impulsi. Maggiore è il senso di fame,
maggiore è il senso della propria riuscita nell’essere padroni di sé e del
proprio corpo. Tale dinamica può alimentare positivamente l’autostima
deficitaria della paziente.
Una persona affetta da Anoressia Nervosa in genere manifesta le seguenti
caratteristiche:
• Perdita di peso rilevante (oltre il 15% del peso considerato normale per
età, sesso e altezza)
• Paura intensa di ingrassare anche quando si è sottopeso
• Alterazione nel modo di vivere il peso, la taglia e le forme corporee
• Amenorrea, ovvero scomparsa del ciclo mestruale (assenza di almeno
tre cicli mestruali consecutivi)
La Bulimia Nervosa è un disturbo del comportamento alimentare
caratterizzato da ricorrenti abbuffate (ingestione di grandi quantità di
cibo) e da condotte di eliminazione/compenso (frequentemente il vomito
autoindotto).

Spesso il comportamento bulimico nasce da una forte attenzione posta


dalla persona al proprio peso e alle proprie forme corporee, che cerca di
controllare attraverso comportamenti di restrizione alimentare o di
digiuno simili a quelli descritti per l’Anoressia Nervosa. In questa
condizione patologica però il comportamento restrittivo non assume una
ferrea costanza e le restrizioni portano a un accumulo di fame e di
desiderio di cibo che poi porta la persona ad abbuffarsi. Ciò che la
paziente descrive frequentemente, durante i comportamenti di
abbuffata, è il vissuto di perdita di controllo: come se si fossero rotti gli
argini di una diga, la paziente riversa il suo desiderio in una ricerca di cibo
compulsiva e frenetica, che spesso si conclude solo quando le riserve
alimentari a disposizione sono esaurite o quando il fisico presenta una
condizione di forte malessere.
In genere dopo le abbuffate la paziente tende ad avere un intenso vissuto
di colpa per ciò che è capitato e prova il desiderio di “riparare” l’atto
compiuto. Nei fatti la persona mette in atto dei comportamenti finalizzati
a compensare (o a eliminare) l’ingestione di elevate quantità caloriche.
Questi comportamenti spesso sono l’utilizzo del vomito autoindotto,
l’utilizzo incongruo di lassativi o di diuretici, l’iperattività fisica.
Spesso vi è un vissuto di vergogna che caratterizza la paziente che soffre
di episodi bulimici. Mentre la paziente anoressica frequentemente è fiera
della propria forza ed esibisce (anche attraverso il corpo) i successi delle
proprie restrizioni, la paziente bulimica agisce spesso in modo nascosto il
proprio sintomo, segretamente, in solitudine.
Una persona affetta da Bulimia Nervosa in genere manifesta le seguenti
caratteristiche:
• Abbuffate ricorrenti caratterizzate dal consumo di grandi quantità di
cibo e dalla sensazione di perdere il controllo sull’atto di mangiare.
• Ricorrenti ed inappropriate condotte compensatorie per prevenire
l’aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici,
enteroclismi o altri farmaci.
• Preoccupazione estrema per il peso e le forme corporee, da cui dipende
il livello di autostima della paziente
Il Disturbo da Alimentazione Incontrollata è un disturbo del
comportamento alimentare caratterizzato da ricorrenti comportamenti di
abbuffata.
In questo quadro patologico, a differenza della Bulimia Nervosa, in
seguito ai comportamenti di abbuffata la paziente non mette in atto
comportamenti di compenso/eliminazione (vomito autoindotto, abuso di
lassativi/diuretici, etc.).
Spesso nelle pazienti che soffrono di DAI l’assunzione di cibo avviene in
maniera ricorrente durante l’arco della giornata, rapidamente e con
frequenza diversa, soprattutto durante le ore in cui si soggiorna in casa o
in ambienti di lavoro dove è presente il cibo. In genere queste pazienti
seguono un regime dietetico regolare “ai pasti”, ma è negli intervalli tra i
pasti che si manifestano le assunzioni incontrollate di cibo. In molti
pazienti le abbuffate si ripetono più volte nell’arco della giornata e
vengono protratte per un paio d’ore o più. Non è raro riscontrare che a
periodi di intense abbuffate si alternino periodi restrittivi (di dieta
drastica) in cui la persona spera di recuperare il peso accumulato.
L’alternanza di questi periodi spesso provoca un’alterazione significativa
del metabolismo, determinando una condizione in cui la perdita di peso
risulta sempre più difficile.
Una delle caratteristiche tipiche in questo disturbo, associate al
comportamento di abbuffata, è il vissuto di perdita di controllo da parte
della persona. Nei momenti in cui avviene l’abbuffata infatti la persona
tende a consumare ingenti quantità di cibo in breve tempo, senza riuscire
a fermarsi quando l’organismo opera la sua consueta funzione di
autoregolazione attraverso il senso di sazietà o di riempimento. In questi
momenti alla persona sembra che il cibo non “basti mai” e spesso
l’episodio si conclude solo quando non vi sono più alimenti facilmente
reperibili.
Spesso la paziente tende a vivere un profondo senso di vergogna rispetto
al proprio sintomo, che nella maggior parte dei casi viene messo in atto
quando si trova da sola in casa o in situazioni in cui non viene vista da
altri.
A livello psicologico tale comportamento spesso serve ad annebbiare la
mente della paziente, a creare un senso di stordimento e di
offuscamento. Tale condizione costituisce un meccanismo di difesa per
affrontare le sofferenze e le difficoltà che la persona vive nella propria
quotidianità.
La Night Eating Syndrome, definibile anche Sindrome dell’Alimentazione
Notturna, è una patologia che al suo interno racchiude una particolare
combinazione di tre disturbi psicologici; ovvero di un disturbo
dell’alimentazione, di un disturbo del sonno e di un disturbo dell’umore.

Tipicamente le persone affette da Night Eating Syndrome consumano una


quantità molto ridotta di cibo o operano dei veri e propri digiuni durante
le ore diurne, non consumando né la colazione né il pranzo. Nelle ore
serali, invece, ritorna il loro interesse per il cibo e tendono a mangiare in
eccesso nell’orario di cena e soprattutto durante le ore notturne.
Frequentemente presentano episodi di alimentazione durante i risvegli
notturni. Le persone con Night Eating Syndrome riportano non solo la
necessità di mangiare la sera o durante i risvegli notturni, ma anche di
non riuscire a dormire a meno che non assumano del cibo.
Questo comporta forti disturbi nella qualità e nella quantità del sonno
con difficoltà nell’addormentamento, raggiunto solo dopo ripetute
abbuffate di cibo e continui risvegli durante la notte, già dopo una o due
ore dopo l’addormentamento, durante i quali viene assunto nuovamente
del cibo.
Nel DSM-V, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, tale
condizione clinica viene fatta rientrare nel capitolo “altri disturbi specifici
della nutrizione o dell’alimentazione”.
Spesso può essere riconosciuto attraverso i seguenti comportamenti del
soggetto:
• Restrizioni alimentari mattutine
• Iperfagia serale, in cui è consumato il 50% o più dell’introito energetico
giornaliero dopo l’ultimo pasto serale;
• Insonnia caratterizzata da almeno un risveglio per notte con consumo di
cibo durante i risvegli;
• Presenza di depressione o stress. Gli spuntini serali/notturni ricchi di
carboidrati suggeriscono che l’alimentazione notturna è finalizzata a
ristorare il sonno interrotto.
Il termine ortoressia viene utilizzato per descrivere una patologia
caratterizzata dall’ossessione patologica riguardo al consumo di cibi sani e
naturali, ritenuti dalla persona cibi “puri”. Il soggetto presentaquindi
un’eccessiva attenzione posta alle proprie scelte alimentari, in termini di
iperselettività dei cibi scelti da ingerire e frequenti condotte di evitamento
di molti alimenti considerati poco salutari.
Questo atteggiamento, che spesso all’inizio si presenta come una
semplice buona condotta alimentare associata a uno stile di vita sano,
diviene poi talmente intenso da compromettere significativamente la vita
lavorativa, sociale e sentimentale della persona.Diventa spesso infatti
impossibile andare al ristorante o accettare un invito a cena da amici; con
il passare del tempo la gamma alimentare diviene sempre più ristretta e
la qualità del cibo arriva ad essere più importante delle relazioni sociali,
dell’attività lavorativa e della vita affettiva, minando il funzionamento
globale ed il benessere dell’individuo.
La persona che soffre di ortoressia vive un profondo terrore di entrare in
contatto e di ingerire cibi considerati “contaminati” (poco salutari, tossici
o che provocano malessere al corpo). Spesso tale paura viene gestita
attraverso modalità simili a quelle di un disturbo ossessivo-compulsivo,
ovvero con un’ideazione ossessiva riguardante i cibi che si consumeranno
durante la giornata e dei comportamenti compulsivi volti a ridurre il
possibile rischio di “contaminazione”.

Nel DSM-V, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, tale


condizione clinica viene fatta rientrare nel capitolo: “ Disturbo
Evitante/Restrittivo dell’assunzione di cibo.”
Spesso può essere riconosciuto attraverso i seguenti comportamenti del
soggetto:
• la necessità di conoscere ogni singolo ingrediente contenuto negli
alimenti (si evitano i cibi che possono contenere coloranti artificiali,
residui di pesticidi, ingredienti geneticamente modificati, alimenti che
contengono troppo sale o zucchero),
• forte preoccupazione al pensiero di cosa mangiare, con conseguente
pianificazione dei pasti con diversi giorni di anticipo, nel tentativo di
evitare i cibi ritenuti dannosi
• impiego di una grande quantità di tempo nella ricerca e nell’acquisto
degli alimenti a scapito di altre attività;
• preparazione del cibo secondo procedure particolari ritenute esenti da
rischi per la salute (ad es., cottura particolare dei cibi o utilizzo di un certo
tipo di stoviglie);
• sentimenti di soddisfazione e autostima oppure di colpa e forte
disagio a seconda dell’avere o meno rispettato le regole auto-imposte.
Il termine vigoressia indica una patologia caratterizzata dalla eccessiva
attenzione che il soggetto pone allo stato della muscolatura del proprio
corpo. Si tratta una forma di dismorfia muscolare, prevalentemente
maschile, in quanto frequentemente il soggetto tende ad avere una
percezione distorta del proprio corpo e, nonostante spesso presenti un
fisico muscoloso, a percepisrsi eccessivamente gracile, debole o poco
muscoloso.

Nella vigoressia vi è frequentemente la ricerca di un ideale di perfezione


corporeo esasperato, portato all’estremo. Viene anche chiamata
complesso di Adone in quanto frequentemente tale patologia implica
l’esercizio fisico compulsivo, diete iperproteiche ed abuso di
anabolizzanti, per la vergogna e la convinzione di apparire piccoli. Per
ottenere il corpo desiderato tali soggetti non si limitano solo a sottoporsi
ad estenuanti esercizi fisici o all’uso di sostanze illegali dannose, ma si
sottopongono anche a meticolose diete in cui sono ammessi solo alimenti
iperproteici, importanti per lo sviluppo muscolare, mentre sono
categoricamente esclusi cibi ad alto contenuto di grassi e carboidrati.
Inoltre, presentano compromissioni in aree importanti del loro
funzionamento (sociale, occupazionale, relazionale): i soggetti affetti da
tale disturbo possono allenarsi per più di due ore al giorno, talvolta
sacrificando importanti impegni sociali, e compromettendo la loro salute
fisica.
Spesso è presente un continuo confronto con gli altri da cui il soggetto
esce nella maggior parte dei casi perdente: troppo magro, poca massa,
troppo poco allenamento. Nel DSM-V, il manuale diagnostico e statistico
dei disturbi mentali, tale condizione clinica viene fatta rientrare nel
capitolo: “Disturbo Evitante/Restrittivo dell’assunzione di cibo.” Spesso
tale condizione di disagio si può riconoscere attraverso i seguenti
comportamenti messi in atto in modo eccessivo dalla persona:
• L’ossessione per l’esercizio fisico
• Andare in palestra per molte ore, anche quando si è indisposti
• Guardarsi allo specchio in modo continuo
• Il non mostrare i tanto agognati muscoli, ma al contrario, nasconderli
per la vergogna di non aver ottenuto la perfezione
• L’uso di steroidi anabolizzanti nonostante gli effetti collaterali dannosi
• Fare attenzione in modo ossessivo alla quantità di proteine assunte
Il Vomiting o Sindrome da vomito è stato definito come un disturbo
alimentare che, nonostante presenti caratteristiche miste dell’Anoressia o
della Bulimia, si configura come una patologia a sé stante e alla cui base vi
è un’ossessione/compulsione basata sul piacere del mangiare e vomitare.
Nello specifico, il Vomiting consiste principalmente nell’utilizzo del rituale
del vomito auto-indotto, dopo avere consumato il pasto. A differenza
della bulimia classica, in cui la condotta del vomito autoindotto costituisce
un rimedio riparatorio all’abuso di cibo, la paziente affetta da vomiting
vomita perché ha imparato ad associare una sensazione di piacevolezza a
questo comportamento.
All’inizio per queste pazienti il vomito è una soluzione per non ingrassare.
Continuando nella pratica, però, la sequenza del mangiare-vomitare si
trasforma poco a poco in un rituale sempre più piacevole, fino a diventare
nell’arco di qualche mese il massimo dei piaceri, cui non si riesce più a
rinunciare.
Quando la sindrome da vomito si è instaurata, il problema non è più il
controllo del peso ma il controllo della compulsione al piacere: mentre
nell’anoressia e nella bulimia il ciclo mangiare-vomitare rappresentava
una tentata soluzione, nel vomiting esso diventa il problema stesso e
trova nel piacere il motivo della sua persistenza (Milanese, 2004).

Queste pazienti ricavano un piacere così grande dal vomitare che è


possibile parlare, allegoricamente, di “amante segreto”. Quando
quest’immagine è presentata alle stesse pazienti in terapia, la reazione è
spesso di vergogna e imbarazzo, come se il loro piccolo segreto fosse
stato scoperto e messo a nudo.

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