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Disturbi Alimentari e Autolesionismo

I disturbi alimentari come l’anoressia nervosa, l’alimentazione incontrollata, la bulimia nervosa raramente si
manifestano in maniera indipendente da altri sintomi o disturbi psichiatrici. Non è raro, infatti, che coloro
che soffrono di un disturbo alimentare presentino altre forme di autolesionismo come praticarsi dei tagli. La
ricerca ha dimostrato una correlazione tra l’autolesionismo non suicida e i disturbi alimentari, in particolare
la bulimia nervosa. Tagliarsi è la forma più comune di autolesionismo non suicida, anche se altri gesti
possono essere graffi, bruciature, strapparsi i capelli, o il consumo di sostanze o oggetti nocivi. Tra i
comportamenti autolesionisti, per quanto riguarda i disturbi alimentari, troviamo il vomito autoindotto,
l’abuso di lassativi o diuretici, l’esercizio fisico eccessivo, le restrizioni a seguito di alimentazione
incontrollata o consumare cibo fino a provare fastidio o dolore. Gli studi hanno dimostrato che circa il 15%
degli adolescenti e il 17-35% degli studenti universitari hanno adottato azioni autolesionistiche e circa una
persona su tre che attua questi comportamenti si è tagliata. Circa il 30% delle persone che presentano episodi
di alimentazione incontrollata ed eliminazione decidono anche di tagliarsi o di praticare un’altra forma di
comportamento autolesionista.
Spesso queste persone affermano che il dolore fisico inflitto dalle azioni autolesionistiche o dal disturbo
alimentare aiuta a distrarre o ad intorpidire il dolore emotivo che possono provare. Altre persone possono
attuare azioni autolesionistiche per punirsi in risposta a sentimenti di colpa o di vergogna. Il soggetto, per
esempio, può essere in preda all’ansia e può credere che l’unico metodo per affrontarla sia alimentarsi in
modo incontrollato, dato che questo fornisce un sollievo temporaneo. Terminata l’alimentazione
incontrollata e dopo che la gratificazione istantanea svanisce, la persona può provare fortissimi sensi di
colpa e vergogna a causa di queste pratiche e delle calorie consumate. Per far fronte a queste sensazioni
negative, il soggetto può tagliarsi per fuggire temporaneamente o per manifestare l’odio verso se stesso.
In sostanza, le azioni negative vengono utilizzate come un modo per esprimere, cambiare o sopprimere
emozioni indesiderate.
Il peso di provare un dolore profondo a cui non si riesce a dare un nome, è talmente ingestibile
che causarne uno maggiore sul proprio corpo sposta l’attenzione dal dolore precedente ad uno concreto
e governabile. In questo modo, si tenta di controllare lo stimolo spiacevole concretizzandolo in un atto e il
ferirsi diviene un semplice mezzo, esattamente come il digiuno o come il vomito, per raggiungere uno
scopo, che si tratti dell’annullamento di sé o dell’autopunizione. Quindi queste pratiche come il vomito
autoindotto nella bulimia, l’ipercontrollo del cibo nell’anoressia e l’autolesionismo diventano l’unico
anestetico efficace che consente di passare da un malessere interiore ad uno corporeo illudendosi così di
poterlo gestire.
Le persone affette da disturbi alimentari e autolesionismo tendono a mostrare un’incapacità di esprimere a
parole ed elaborare le emozioni, portandole ad utilizzare il loro corpo come forma di espressione. Chi soffre
di disturbi alimentari e autolesionismo tendenzialmente non è soddisfatto del proprio corpo, è impulsivo, ha
bassa autostima, si sente vuoto e soffre di distorsioni cognitive o è estremamente autocritico.
Essendo il corpo il mezzo attraverso il quale comunichiamo con gli altri, molto spesso può diventare in
modo inconsapevole la manifestazione di un profondo disagio. I gesti autolesivi possono trovare una
spiegazione nel costante bisogno di punire sé stessa a seguito di un pasto “sbagliato”, di un’abbuffata o di un
gesto qualsiasi che abbia, per qualche verso, scatenato un senso di colpa incontenibile.

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