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DALLE STORIE SUGLI ANZIANI ALLE STORIE DEGLI ANZIANI.

RIFLESSIONI SUL COUNSELING PSICOLOGICO NEL SETTING


INDIVIDUALE CON CLIENTI ANZIANI
Pubblicato il 30/09/2009 da Bernardetta Morgante

Anziani, vecchi, nonni, terza età… tanti modi per definire ed indicare sensazioni, pensieri ed
emozioni sperimentate nell’ultimo tratto del viaggio della nostra vita.
Negli ultimi anni, cercando di superare la visione meramente assistenziale e compassionevole,
si è cercato di dareimpulso a studi e metodologie di intervento che riportassero l’attenzione su
“cosa c’è” piuttosto che solamente su “cosa non c’è più”.
In questo articolo, dopo aver esaminato i principali stereotipi e luoghi comuni riferiti agli
anziani, sarà presentato il ventaglio delle situazioni sia normative che paranormative che
possono presentarsi, per poi cercare di esplorare le possibilità di intervento all’interno di un
percorso di counseling psicologico, con particolare riferimento alla teoria dei costrutti.
L’ultima sezione sarà dedicata alla presentazione di alcuni esempi di storie, tratte da una
dolorosa realtà.
MITI E LEGGENDE: LE STORIE SUGLI ANZIANI
L’ultimo periodo della vita è visto di solito con una connotazione negativa. Si tende a far
riferimento a ciò che non c’è più, che si va perdendo man mano: udito, vista, memoria, lavoro,
contatti sociali, coniuge…
Gli stereotipi poi vogliono l’anziano in casa, privo o quasi di contatti sociali, senza desiderio e
vita sessuale, dedito semmai alla famiglia e ai nipoti. Per quanto riguarda poi le attività
ricreative per anziani, da svolgere ad esempio nei centri diurni, si pensa sempre che a loro
piaccia solamente ballare o giocare a carte.
Ma forse il loro mondo non è così limitato, così piccolo…
É innegabile che ci sia un cambiamento fisico, che i sensi non siano più attivi e reattivi come
negli anni precedenti, ma ci sono comunque molte risorse che possono essere utilizzate per
vivere al meglio la propria vita.
Inoltre anche gli anziani conoscono bene questa mitologia legata alla loro situazione, e spesso
finiscono per farsi condizionare, alimentando e perpetuando gli stereotipi.
EVENTI NORMATIVI E PARANORMATIVI NELLA “TERZA ETA’”
L’età senile si colloca alla fine del percorso di vita di un individuo. Come in ogni fase del ciclo di
vita, anche in questa ci sono dei “compiti di sviluppo” che si è chiamati a svolgere.
Esaminiamo nel dettaglio quali sono i principali eventi, sia di carattere normativo che
paranormativo, di fronte ai quali ci si può trovare a questo punto della vita.
Nella nostra società, molto spesso l’ingresso nella cosiddetta “terza età” è sancito
dal pensionamento. Questo evento, a volte molto atteso, può essere in realtà traumatico. La
società oggi orienta prevalentemente verso la produttività; il pensionamento rappresenta
l’allontanamento dal mondo produttivo e la perdita di una riconosciuta e valorizzata
collocazione sociale, che provoca quasi inevitabilmente una sensazione di inutilità e di vuoto.
Ci si trova a dover gestire una notevole quantità di tempo libero; questo può a volte
disorientare, perché implica una rimodulazione dei propri schemi personali e una
rinegoziazione anche all’interno della famiglia. Se da una parte uno degli esiti possibili di
questa situazione critica può essere la depressione, dall’altra c’è la possibilità di incanalare in
modo positivo le risorse temporali recuperate, che possono essere fruttuosamente impiegate
nelle relazioni familiari, amicali, nella società. L’età di riferimento di questo evento cade infatti
intorno ai 60-65 anni, età nella quale nella nostra società si è ancora solitamente autonomi ed
efficaci.
Un altro compito che spesso ci si vede costretti ad affrontare a questa età è laperdita delle
persone care: i coetanei e il/la coniuge. L’anziano si trova a sperimentare quindi un senso di
inutilità, al quale si unisce la solitudine di trovarsi senza i punti di riferimento che lo hanno
accompagnato per tutta la vita, e si prepara anche alla propria scomparsa. La “vedovanza” è
uno status che nella nostra società viene vissuto più frequentemente dalle donne che dagli
uomini, che hanno in media un’aspettativa di vita più lunga. É un momento molto difficile da
affrontare per tutta la famiglia, alla quale spetta il compito di coltivare insieme all’anziano la
cura del ricordo, per favorire il processo di elaborazione del lutto.
L’arrivo dell’età avanzata inoltre, è spesso caratterizzato dalla malattia, che a volte comporta
la perdita dell’autonomia. Questa perdita è forse quella più temuta, quella alla quale si pensa
con maggiore preoccupazione anche nelle età precedenti. Si può trattare di malattie che
coinvolgono il corpo, a diversi livelli, o la mente, come nel caso delle demenze. In questo caso
alla difficoltà dei care givers di accettare la malattia, si aggiunge quella di vedere l’altro
perdere le proprie funzioni mentali e regredire anche fino allo stato vegetativo. Quando la
malattia colpisce un anziano che ha ancora il suo coniuge, ha connotati meno drammatici. La
vita vissuta insieme, la disponibilità l’uno verso l’altro, la comune condizione nell’essere
entrambi vicini alla fine della vita, rendono più facile l’accettazione della dipendenza e
l’affidarsi alle cure. É da notare però che anche il coniuge non malato è sottoposto ad un
notevole stress sia fisico che psicologico.
Più difficile è invece affrontare la malattia per un anziano solo, che si trova a dover dipendere
dai figli, verso i quali ha avuto fino ad allora il ruolo di cura.
Quando l’anziano resta solo o quando perde del tutto o in parte la sua autonomia e la famiglia
non c’è o non si può far carico di lui, spesso si decide di trasferirlo in un struttura dove ci si
possa prendere cura di lui (anche se non sempre la struttura soddisfa questa aspettativa!).
In altri casi l’anziano rimasto solo e bisognoso di cure si trasferisce in casa dei figli. In
entrambe le situazioni, si tratta di un evento traumatizzante: una persona anziana tende ad
essere abitudinaria e ad avere un suo spazio conosciuto e delimitato; è quindi uno
sradicamento, un ulteriore lutto per la perdita di un luogo denso di ricordi. Alcuni studi hanno
accertato che l’ingresso di un anziano in un ospizio è per molti un trauma psicologico grave,
che comporta un rapido declino psicofisico e si conclude spesso con la morte anticipata.
Un’altra problematica davanti alla quale ci si può trovare con i clienti anziani è quella
dell’abuso di sostanze, soprattutto alcool e farmaci. Si stima che questa situazione si verifichi
maggiormente nelle donne istituzionalizzate.
Tutti questi eventi, che possono verificarsi in questo periodo vengono affrontati sì dall’anziano,
ma nella maggior parte dei casi anche dagli altri membri della famiglia. Alcuni infatti parlano di
“ciclo vitale della famiglia”, dove per famiglia intendiamo “quella specifica e unica
organizzazione che lega e tiene insieme le differenze originarie e fondamentali dell’umano,
quella tra i generi, tra le generazioni e tra le stirpi, e che ha come obiettivo e progetto
intrinseco la generatività. (Scabini e Iafrate, 2003). In questa ottica, essa si configura come un
complesso intreccio di relazioni, di persone che si trovano in momenti diversi del loro ciclo di
vita personale, e che affrontano compiti di sviluppo diversi.
La malattia o la perdita di autonomia, o la vedovanza di un membro anziano della famiglia,
rappresenta un momento di crisi per l’intero nucleo familiare, che spesso si trova a dover
rinegoziare i propri spazi e le propria. I figli ultimi devono anche gestire il passaggio emotivo
da figli “accuditi” a figli “care giver” nei confronti dei genitori; lo stesso passaggio deve farlo il
genitore, e non sempre questo avviene in modo tranquillo e naturale.
Dal modo in cui la crisi verrà gestita, dipenderà il benessere della famiglia da quel momento in
poi.
Il PERCORSO DI COUNSELING PSICOLOGICO
Molte volte sono proprio questi momenti di crisi, questi “fallimenti delle collusione”, a
mobilitare una domanda di aiuto psicologico.
Il counseling psicologico è l’attività professionale svolta dallo psicologo, in un contesto in cui
non si evidenzia la presenza di psicopatologie che richiedano il ricorso alla psicoterapia.
Il counseling psicologico rappresenta uno spazio relazionale in cui lo psicologo e il cliente
analizzano ad esempio situazioni quali il processo di decision making, la risoluzione di una
situazione conflittuale, il miglioramento di una relazione affettiva, la comprensione e lo
sviluppo delle risorse personali, etc.
Compito dello psicologo è far emergere risorse, punti di forza e potenzialità nel cliente, che se
ne riapproprierà per trovare lui stesso la soluzione alla situazione problematica o per
esprimersi al meglio nei diversi contesti della sua vita.
Vengono utilizzati gli strumenti, quali l’ascolto comprensivo o la riformulazione, insieme a
metodologie e tecniche che possono essere ideate in modo creativo e funzionale alla relazione.
I contesti di applicazione sono quello della consultazione privata, ma anche in ambiti
organizzativi quali scuole, aziende, e comunque in tutti quelle situazioni in cui si renda
necessaria una riflessione per la comprensione di una criticità o per lo sviluppo delle
potenzialità e la promozione del benessere.
IL COUNSELING PSICOLOGICO CON GLI ANZIANI
Nella nostra società, il progressivo allungamento dell’aspettativa di vita e il miglioramento della
qualità generale della vita, hanno portato all’accrescimento della popolazione anziana,
soprattutto di quella che ha una buona salute e conserva una sua autonomia.
Al di là quindi delle situazioni critiche sopra citate, che rappresentano sicuramente un ventaglio
di problemi e situazioni che possono portare ad una domanda di counseling psicologico, esiste
anche un ampio spettro di possibilità molto spesso trascurati dalla stessa psicologia.
L’intervento psicologico può infatti essere rivolto, anche in questa fase della vita, alla
promozione del benessere, alla ricerca del modo migliore per impiegare le proprie risorse.
Quando anche lo psicologo si lascia condizionare dai pregiudizi e dagli stereotipi di cui si è
parlato sopra, si rischia non cogliere queste potenziali domande.
L’intervento di counseling psicologico inoltre, rispetto a quello psicoterapeutico, risulta essere
particolarmente funzionale per i clienti anziani. Infatti esso è circoscritto nel tempo, ed è più
funzionale per un anziano che spesso non se la sente di investire molto tempo, perché sente di
non averne molto altro a disposizione. Non trascurabile è anche l’investimento economico, che
risulta essere minore nel caso del counseling psicologico. Inoltre quest’ultimo ha per sua
natura un obiettivo circoscritto e ben stabilito fin dall’inizio; questa pragmaticità, anche in virtù
di quanto appena detto, risulta essere particolarmente funzionale per questo target.
Con i clienti anziani, è utile prestare attenzione ad alcuni accorgimenti di tipo metodologico. Ad
esempio, quando si denotano problemi relativi alla memoria a breve termine, è utile
compensarla con esempi e suggerimenti concreti e ripetizioni. Anche per quanto riguarda le
regole del setting, si può ad esempio diminuire il tempo della seduta, laddove ci si accorga che
il cliente si stanca facilmente sia a livello fisico che mentale. Sempre nell’ottica del sintonizzarsi
sull’altro poi, sono gli accorgimenti legati al volume della voce o all’adeguamento degli stimoli
visivi presentati, laddove ci si renda conto che il cliente ha dei deficit acustici o visivi.
Per quanto riguarda poi la valutazione dell’anziano, nella misurazione del grado di intelligenza
o della capacità lavorativa sono state spesso impiegate tecniche inadeguate, perchè
richiedevano l’utilizzo di molte delle capacità che subiscono un fisiologico declino legato all’età.
Si hanno quindi delle prestazioni scadenti, dovute anche in parte all’ansia che una situazione
nuova genera. Bisogna quindi utilizzare test specifici per questo particolare target, quali il Mini
Mental oppure, nell’utilizzo degli altri strumenti avere delle accortezze riguardo alle modalità e
ai tempi della somministrazione, che tengano conto delle difficoltà specifiche evidenziate, e
durante l’interpretazione dei risultati.
In sintesi, le domande che possono essere portate in sede di consultazione psicologica,
possono essere: intervento su una particolare situazione critica, quale una comunicazione di
diagnosi, la perdita di autonomia propria o del coniuge, un lutto, un trasferimento; accanto a
queste domande possiamo però trovare delle domande di promozione del benessere e di
miglioramento della qualità della vita. Una signora di circa 80 anni tempo fa mi disse: «voglio
imparare a vivere bene insieme a mio marito i pochi anni che ci sono rimasti».
LE STORIE DEGLI ANZIANI COME STRUMENTO DELLO PSICOLOGO NEL COUNSELING
PSICOLOGICO
Il raccontare, il farsi ascoltare, è una delle attività che appartengono maggiormente agli
anziani. Anche negli stereotipi e nell’immaginario comune il nonno è pensato come colui che
racconta le storie… e che spesso viene rimproverato perché racconta sempre le stesse storie!
Queste storie però, possono essere messe al centro del percorso di counseling psicologico,
utilizzandole come strumento d’elezione.
“L’approccio dei costrutti personali vede l’anziano come una persona che ha costruito sistemi
assai complessi di significati personali per far fronte ai molti eventi della vita” (Viney, 1994).
Le storie che costruiscono sono il frutto dell’integrazione delle loro diverse esperienze di vita;
quando gli eventi richiedono un cambiamento poi, le esperienze vengono di nuovo integrate,
“ri-raccontando” le storie. É proprio in questo “ri-raccontare” che lo psicologo può intervenire.
I cambiamenti sia fisici che sociali che il passare degli anni impone, portano anche una
ristrutturazione dei modelli che facevano precedentemente da punto di riferimento, e quindi
dei costrutti personali utilizzati. In questi cambiamenti l’anziano ha delle aspettative rispetto al
modo in cui pensa che si possa ristrutturare il suo ambiente, soprattutto relazionale. Quando
queste aspettative vengono confermate, i costrutti tendono ad essere maggiormente flessibili e
a dar adito a strategie di adattamento funzionali. In caso contrario tendono ad irrigidirsi e a
favorire pensieri e storie negative.
Questo continuo “ri-raccontare” le proprie storie, che sembra quasi seguire i processi evolutivi
di assimilazione ed accomodamento piagetiani, implica che ci sia una crescita psicologica
continua, anche a questa età.
Riguardo all’utilizzo delle storie all’interno del counseling psicologico, bisogna innanzitutto
saper riconoscere quali sono quelle che possono aiutare il cliente. “Prima di tutto, le storie
dovrebbero integrare e mettere insieme elementi separati. Secondo, le storie dovrebbero
essere interamente coerenti e coesive. Terzo, dovrebbero garantire questa integrazione di
costrutti ed eventi nel corso del tempo, allo scopo di dare al loro narratore un senso di
continuità” (ibidem). Quanto al contenuto, sarebbe opportuno che si rilevasse una integrazione
tra passato, presente e futuro, una previsione dei comportamenti attesi in seguito a ciascuna
azione, in modo da prevedere le azioni più appropriate, e una certa dose di ottimismo, che dia
lo sprone per intraprendere le azioni pensate. I contenuti sono in generale sia positivi che
negativi. Tra i negativi, i più comuni sono: decremento delle funzioni cognitive, depressione,
idee suicidiarie, abuso di sostaze e perdita dell’attività sessuale; tra quelle positive:
mantenimento delle competenze, del controllo della propria persona e del senso dell’umorismo,
sensazione di realizzazione di sé, in riferimento alla vita trascorsa, l’appoggio della famiglia e
degli amici, la fede religiosa, che in molti casi rappresenta un’ancora per la speranza e la
capacità di guardare al futuro e un aiuto per superare le perdite e prepararsi serenamente alla
morte.
Il lavoro che lo psicologo fa con queste storie consiste, come più volte detto, nel “ri-
raccontarle”: è lo story telling. Ascoltando e riascoltando più volte le storie, emergono dei
processi che hanno un potenziale trasformativo importante. Alcuni di questi processi sono
maggiormente presenti, come i problemi legati all’età, il senso di colpa legato a particolari
episodi della vita, il lutto per una perdita avuta, l’emergenza di risorse e punti di forza
personali o interpersonali, legati alla rete sociale di riferimento, della creatività e della capacità
di divertirsi, e il senso di integrità personale. In riferimento a quest’ultimo in particolare, sono
molte le potenzialità del counseling psicologico; l’anziano che racconta e ri-racconta le proprie
storie, riesce a trovare nuovi significati e nuove congiunzioni, magari prima trascurate. Il
risultato di questo processo è un vissuto di integrità, di continuità, riuscendo a mettere insieme
diversi aspetti dell’Io. Molte delle domande che provengono da persone anziane partono
proprio da un senso di disperazione e disgregazione.
Le storie, a seconda del loro contenuto, vengono “allentate”, per consentire una maggiore
apertura di prospettive e una diminuzione della rigidità, favorendo l’intuizione, o “ristrette”,
quando si ha necessità di incanalare il pensiero verso la ricerca di una soluzione concreta.
Per favorire l’allentamento è molto utile il rilassamento, o l’utilizzo dei sogni o delle tecniche di
espressione creativa; il restringimento è per esempio facilitato invece dal laddering, una sorta
di “gioco dei perché”, quando il pensiero è astratto, in modo da spingere il pensiero verso
costrutti più concreti, e ilpyramiding, per i costrutti concreti, in cui si indaga sul “come e cosa”
dell’utilizzo di determinati costrutti in alcune situazioni concrete.
Per alcuni anziani può essere assolutamente benefico il fatto stesso di raccontare una storia
positiva; in altri casi si rende necessario cambiare il finale di una storia particolarmente
frustrante, o ridimensionare l’importanza che il cliente dà ad una storia negativa; la
disconferma di una storia da parte dello psicologo infine, può dire al cliente che la storia va
cambiata perché non funziona.
L’uso delle storie di vita nell’ambito del counseling psicologico con un cliente anziano quindi,
può costituire un utile supporto da affiancare alle tecniche utilizzate già; è di particolare utilità
con questo specifico target di clienti in quanto il fatto di avere un grande bagaglio esperienziale
dà loro la possibilità di avere un certo distacco dalle situazioni vissute in passato, che magari
non avrebbero potuto avere da giovani. Questa modalità operativa inoltre risulta essere
particolarmente naturale per gli anziani, e può quindi facilitare il processo di creazione
dell’alleanza.
ALCUNE STORIE VERE…
Mentre preparavo questo articolo la mia terra, l’Abruzzo, è stata colpita dall’immane catastrofe
del terremoto.
Una tragedia che ha sconvolto alle fondamenta la vita, i sogni e la quotidianità del popolo
aquilano. Lavorando come volontaria presso il servizio di Psicologia dell’Emergenza
dell’Ospedale di Avezzano, con l’Ordine degli Psicologi dell’Abruzzo, ho conosciuto molte
persone vittime del sisma. Molte di loro erano anziani; ho potuto ascoltare le loro storie e
sperimentare “sul campo” le teorie espresse in questo articolo.
Ne riporterò alcune, più esemplificative.
La stanza delle tre vecchiette
La prima segnalazione avuta, appena iniziato il servizio in ospedale, è stata per tre signore
ricoverate nella stessa stanza provenienti dall’Aquila e dai paesi limitrofi.
Anche quando il giorno successivo sono state spostate di reparto, erano ancora nella stessa
stanza… “la stanza delle tre vecchiette”.
Per tutte e tre il problema fondamentale all’inizio è stato mettersi in contatto con i loro
familiari.
Per tutti è stato difficile ritrovare i congiunti, ma per le persone anziane in modo particolare,
visto che non si ricordavano cognomi o numeri di cellulare; qualcuno si ricordava un numero
fisso, ma le case non c’erano più…
Le tre storie, che all’inizio sembravano molto simili, man mano hanno preso forme, colori ed
esiti molto diversi. Racconterò la storia di due di loro..
- La signora D. era disperata perché non riusciva a sapere niente di sua figlia. I primi giorni
piangeva solamente e chiedeva se era stata ritrovata. Solo dopo che ha potuto avere notizie
dei suoi cari, ha cominciato ad aprirsi e a raccontare un po’ di sé, ogni giorno un pezzetto di
più. É una signora distinta, che non dimostra affatto i suoi 86 anni.
Viveva da sola all’Aquila, in una casa dove forse non potrà tornare più; questo la rendeva
molto triste e preoccupata, essendo abituata alla sua autonomia. Non voleva essere di peso a
nessuno, e allo stesso tempo non sapeva adesso dove andare e cosa fare. Ho provato a “ri-
raccontare” la sua storia, esplorando le sue risorse, e facendole leggere quello che era
successo con gli occhi della figlia. Mi diceva che da quel punto di vista, le cose effettivamente
cambiavano: sicuramente la figlia si sarebbe presa volentieri cura di lei, non avrebbe voluto
lasciarla sola. Pian piano stava totalmente cambiato prospettiva; era come rifiorita, capace
ancora di guardare avanti, nonostante tutto. E mi ha raccontato che lei era una“universitaria”:
frequentava l’università della terza età, dove si divertiva molto. Aveva molti amici e le piaceva
fare belle passeggiate “sotto i portici”. Riusciva di nuovo a pensare e raccontare i momenti belli
della sua vita.
Qualche giorno dopo, quando doveva essere dimessa, mi ha detto: «Vado con mia figlia sulla
costa, dove sarà lei sarò anch’io… ho solo lei…e anche lei ha solo me…».
La signora L.
Una storia diversa, quella della signora L.. Ha circa 80 anni, è vedova da tanti anni, e non ha
figli. La sua famiglia sono un nipote, che abita in un paese vicino, e una vicina di casa, che lei
considera come una figlia. Si prende cura di lei, la va a trovare e si occupa delle sue necessità.
Nessuno cerca la signora, e lei non sa bene chi cercare: non si ricorda i numeri di telefono, e
neanche i cognomi. Poi riesce dopo qualche giorno a mettersi in contatto tramite terze persone
con suo nipote, e ne è contenta.
La signora, fin dal primo giorno, racconta molto di sé e dalla sua vita; mi parla come se io
conoscessi già i protagonisti delle sue storie. All’inizio ho avuto qualche difficoltà, poi pian
piano ho cominciato a collegare storie e protagonisti, e lei sembra contenta di questo, si sente
ascoltata. Riguardo agli ultimi eventi, quello che mi ha colpito è che sembrava non essere
molto collegata alla realtà; parlava del terremoto, di come si era trovata al primo piano anche
se stava al secondo, ma come se fosse qualcosa di esterno a sé, non con la stessa
partecipazione delle altre storie.
All’inizio mi preoccupava un po’ il suo modo di fare, ma forse la signora in quel momento non
era ancora pronta per quelle storie…
Ho notato però che nei suoi racconti c’era sempre il tema della difesa; da un cognato, dalla
sorella. Ho cercato anche in questo caso di rinforzare la memoria positiva attraverso le sue
stesse storie, facendole notare come in tante occasioni aveva avuto successo, sia da sola, sia
sapendo chiedere aiuto alle persone che potevano aiutarla. Uno degli ultimi giorni mi ha molto
sorpreso, dicendomi una cosa che mi ha fatto tanta tenerezza: «stavo pensando che non mi
ricordo se ho tolto la chiave dalla porta quando sono andata via di casa…». Sembra una cosa
naturale, ma non lo è se si pensa che quella porta non chiude più nessuna casa! Però forse era
il suo modo per cominciare a pensare di nuovo a come poteva ricominciare a difendere la sua
vita…
Il pettine
La signora M. ha 75 anni; viveva da sola all’Aquila in una casa in affitto, senza parenti, É
arrivata in ospedale qualche giorno dopo il terremoto per un malore avuto nelle tendopoli. É
molto contenta di poter parlare con qualcuno,ed è molto fiera nel raccontare di come è sempre
riuscita a cavarsela da sola in tutte le occasioni, in piena autonomia. Era però molto
preoccupata per il suo futuro, soprattutto perché si sentiva sola. Le storie positive che mi
aveva raccontato però, sono state l’aggancio per farle riscoprire le risorse che lei già
possedeva. Dopo qualche giorno era lei stessa che, quando le venivano brutti pensieri e
preoccupazioni, faceva da sola il collegamento con le situazioni passate in cui ce l’aveva fatta.
Ed ha avuto un curioso modo per collegare il suo passato con il futuro, con due episodi
particolari. Un giorno mi ha detto che doveva assolutamente andare a casa perché aveva
lasciato delle cose nel frigorifero e temeva che andassero a male, emettendo cattivo odore.
All’inizio pensavo che stesse quasi delirando, pensando ad una cosa del genere quando la sua
casa non c’era praticamente più; poi lei mi disse che doveva farlo, perché così poteva
riconsegnare la casa al proprietario e trovarne un’altra quando tutto si fosse calmato. Era il
suo modo per darsi un obiettivo per ricominciare.
Fin dal primo giorno poi, ogni volta che le chiedevamo se aveva bisogno di qualcosa, chiedeva
un pettine. In una situazione di emergenza come quella, sembrava una richiesta totalmente
fuori luogo, tanto più che aveva pochissimi capelli… Ma continuava a chiederlo tutti i giorni, a
tutti gli operatori. Il giorno prima di uscire, le porto un pettina da casa mia; quando lo ha visto
si è illuminata, ha cominciato a pettinarsi i capelli come fossero quelli lunghissimi di una
principessa; dopo un po’ mi ha guardata e mi ha detto: “adesso sì che posso tornare
all’Aquila!” Aveva ottenuto il rispetto per la sua dignità.
Grazie, Dottorè!
Il Signor L. ha circa 65 anni; al momento del sisma era ricoverato nell’ospedale dell’Aquila
perché aveva subito un intervento per l’asportazione di un tumore. Mi è stato segnalato dalla
caposala, perché quel giorno era particolarmente agitato e “poco gestibile”.
Parlando con lui, ho saputo che gli era stato proposto di essere trasferito in un altro ospedale,
per un breve periodo, per poi tornare di nuovo nell’ospedale dove si trovava ora per subire un
nuovo intervento. La sua agitazione era dovuta al fatto che non voleva cambiare ambiente
molte volte. La sua storia sembrava proprio essere “non esiste un posto sicuro per me”. All’
Aquila infatti, durante il terremoto era rimasto terrorizzato dal fatto che tutti scappavano,
compresi medici ed infermieri, mentre lui non aveva potuto farlo perché era immobilizzato a
letto. La moglie gli era rimasta vicina anche in quel momento; pur potendo scappare, non lo
aveva fatto.
Il fatto di doversi trasferire ancora più volte lo destabilizzava molto, soprattutto perché voleva
trovare una soluzione che permettesse anche alla moglie di riposare un po’, visto che era con
lui notte e giorno e non avevano neanche una casa dove tornare. Un’altra sua paura era di
finire nella tendopoli, date le sue condizioni.
É emersa forte la sensazione di precarietà, di insicurezza e paura del futuro: in poco tempo si è
trovato senza casa, né lui né il figlio, e senza la salute e la forza per ricominciare.
Il lavoro di “retelling” è stato incentrato sul cercare una soluzione funzionale in quel momento,
con le risorse disponibili. Passando in rassegna le varie possibilità, è emerso che poteva essere
una buona ipotesi quella di trovare un albergo nelle vicinanze che potesse ospitare sia lui che
la moglie in attesa dell’intervento; in questo modo entrambi sarebbero stati in una situazione
tranquilla. Di trovare l’albergo si è fatta carico la stessa caposala.
Il Signor L. ha percepito che ci si stava prendendo cura della sua esigenza di “trovare un posto
sicuro” per lui e la moglie, dal quale poter ricominciare, e l’atmosfera si è molto distesa. Nei
giorni successivi era sempre molto contento di vedermi e di parlare. Diceva che parlare, sia di
quello che gli capitava adesso, che delle cose belle della sua vita, lo faceva stare bene. E infatti
cercavo sempre di farmi raccontare episodi della sua vita in cui aveva saputo superare prove e
difficoltà, in modo da ancorare la memoria positiva alla difficile situazione attuale.
Ogni vota che entravo e uscivo dalla sua stanza mi prendeva la mano dicendomi:«Grazie,
Dottorè!»
CONCLUSIONI
La conclusione di queste riflessioni, la vorrei lasciare alla viva voce di due anziani che
ho incontrato virtualmente in una chat dedicata alla terza età. Sono entrata con la curiosità di
esplorare il rapporto tra gli anziani ed Internet; ho scoperto che c’è lì una piccola comunità, in
cui si scambiano impressioni, sogni, consigli, ricette… e trovano il modo per sentirsi un po’
meno soli.
Riporto uno stralcio della conversazione in cui casualmente mi sono inserita; penso sia la
perfetta sintesi di quanto detto finora.
- Ciao!
- Ciao
- Che fate di bello?
- … vieni anche tu? si parla di fare un viaggio in Tunisia
- Ah… però! Quando si parte?
- 20 maggio
- Quindi andate veramente, non sono chiacchiere…
- Io parto… chi mi ama mi segua!
- Bella filosofia!
- … ti piacerebbe venire a Tunisi?
- Non sarebbe male come idea…
- Vedrai, ci divertiremo un mondo
- Ti sta invitando… offre N.
- Che sara’ mai ……una mensilita’ di pensione …pluffff
- Cosa fai, insegni?
- No, sono una psicologa… sto scrivendo un articolo sugli anziani…. e ho visto questa
chat…bella cosa…
- Puoi scrivere che amano la vita in tutti gli aspetti… vogliono divertirsi e non pensare ai
problemi
- Posso chiederti quanti anni hai?
- 64
- Allora non sei anziano…sei nel fiore della gioventù…
- Eh no eh!
- L’unico anziano in chat sono io
- Quanti anni hai?
- 66
- Altro adolescente..
- Gli altri o sono più giovani o si sentono giovani
- Devo andare, pranzo, pennichella, e dopo una corsetta al parco
- Vedi la terza età…
- Mica sto a vedere la tv in pantofole
- E ci mancherebbe…
- Ciao
- Ciao
- Ciao
- Gli anni non li ho decisi io, ci sono
- Certo
- Tutti diciamo che ci sentiamo più giovani
- É bello….
- Nè posso chiedere ad uno quanti anni mi da
- Tu quanti te ne daresti?
- A secondo dei momenti, allegro o triste…, ne dimostri di più o di meno …ma…66…sono quelli..
Mi diverto molto…non so fare discorsi seri…non so spiegarmi…
- Ti stai spiegando benissimo…
- Vado a fumare…
- Ciao!
- Ci risentiamo! Alla prossima!
Siamo ancora convinti che questi nostri anziani vogliano solo ballare e giocare a carte? Forse
non sono i loro interessi, ma il nostro orizzonte che ha bisogno di essere allargato un po’…
Si fa riferimento al terremoto che ha colpito e devastato la regione dell’Abbruzzo
Il termine care giver è utilizzato in questo contesto riferendosi alle persone che si “prendono
cura” del soggetto anziano, siano esse figure professionali o meno.
 

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