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GLI ANZIANI E LE LINGUE STRANIERE

Capitolo 1: Gli anziani e la formazione

1.1 La popolazione mondiale è sempre più vecchia e questo fenomeno riguarda soprattutto i paesi del
primo mondo, Italia in testa. Il fatto che gli anziani costituiscano una parte sempre più consistente della
società pone quest’ultima difronte a nuove questioni relative alla demografia, al welfare, alla salute, al
diritto di tutti i cittadini di essere parte attiva della comunità. Inoltre, la tendenza è verso un ulteriore
aumento delle aspettative di vita: le ricerche sostengono che le persone di età superiore ai 60 anni nel
2050 saranno quasi 2 miliardi.

Il fenomeno è nuovo e complesso non solo per gli aspetti quantitativi ma anche e soprattutto per gli
aspetti qualitativi:

 L’aumento dell’aspettativa di vita significa una dilatazione della fase di vecchiaia, che oggi è
molto più lunga che nel passato.
 La popolazione anziana oggi è molto meno omogenea dal punto di vista psicologico,
sociologico, culturale di quella del passato.
 I progressi in campo medico e scientifico hanno permessi un miglioramento nella qualità di vita
dell’anziano.

1.2 Sarebbe impossibile definire quando ha inizio la vecchiaia perché questa non può essere ridotta
soltanto ad una questione anagrafica, bensì ruota attorno a fattori biologici, psicologici e sociologici.
Quindi, per individuare quando inizia la vecchiaia dobbiamo far riferimento a quattro elementi principali:
l’età anagrafica, le condizioni fisiche e psichiche, il ruolo sociale e il ruolo familiare della persona.
Solitamente, la società odierna fa coincidere la fine dell’età adulta intorno ai 65 anni, quando l’individuo
si ritira dal mondo del lavoro o ha i primi nipoti. Questi fattori, però, non bastano perché la “terza età” è
una fase della fine completamente soggettiva e personale. Anche perché oggi la maggior parte del
65enni ha ancora un lavoro autonomo, gode di una buona salute psicofisica e ha una vita sociale attiva.

Le scienze sociali distinguono diverse categorie di persone, ognuna delle quali con delle proprie
caratteristiche specifiche, che hanno superato l’età adulta:

- Incipienti (58-64)
- Giovani-vecchi (65-74)
- Anziani (oltre i 74)

In geriatria (disciplina medica che studia le malattie negli anziani) si utilizza una classificazione simile:

- Età di mezzo: tra i 45 e il 60 anni, è definita età presenile e ha inizio una diminuzione
dell’efficienza funzionale, ma non si parla di “malattia”;
- Senescenza graduale: tra il 65 e i 75 anni;
- Senescenza conclamata: tra i 75 e i 90 anni, è possibile godere di un buono stato di salute
psicofisica ma iniziano a presentarsi i primi limiti imposti dall’età;
- Longevi: dopo i 90 anni, sono evidenti le modificazioni fisiopatologiche e l’individuo è quasi
completamente dipendente.

Inoltre, è possibile osservare come all’interno della categoria “anziani” coesistono diverse generazioni
differenziate: oggi un sessantacinquenne non ha mai conosciuto la guerra, è cresciuto nel periodo del
boom economico e ha vissuto in prima persona lo sviluppo tecnologico degli ultimi decenni; un
ottantenne è invece cresciuto molto probabilmente nei valori più “tradizionali”, ricorda la guerra e non
ha dimestichezza con le nuove tecnologie.
1.3 In Italia nel 2015 la speranza di vita era di 80,1 per gli uomini e 84,7 anni per le donne. A conferma di
quanto sopra accennato, il 94% degli anziani in Italia sostengono di essere in grado di poter fare quasi
tutto da soli, sono in buona salute, hanno anche una vita relazionale abbastanza intensa hanno
dichiarato di avere relazioni con altre generazioni. Si tratta quindi di una fascia della popolazione in gran
parte non solo attiva e indipendente ma anche con una buona percezione di se stessa. Parliamo di neo-
vitalismo o longevità attiva, intesi come attenzione per la propria condizione psicofisica: gli anziani si
tengono in forma con l’attività fisica, sono attenti alla qualità del cibo, cercano di fare vacanze brevi
durante l’anno.

1.4 Accanto ad una vecchiaia misurabile statisticamente e ad una vecchiaia percepita dai soggetti entrati
nella terza età c’è anche una vecchiaia attribuita in base a parametri culturale e sociali. Oggi gli anziani
sono oggetto di discriminazione che coinvolge sia pregiudizi sulle loro capacità psicofisiche e sia sul loro
ruolo all’interno della società. Questo fenomeno è conosciuto come ageismo → “forma di pregiudizio e
svalorizzazione ai danni di un individuo, in ragione della sua età; in particolare verso le persone anziane” .
Tale pregiudizio è esacerbato dalle difficoltà economiche che stanno colpendo la maggior parte dei
paesi e che fanno vedere gli anziani che non producono reddito come un peso da mantenere. E, dallo
scontro generazionale, perché la causa della mancanza dell’offerta di lavoro per i giovani viene
attribuita agli anziani che occupano parti consistenti nel mondo occupazionale. Tuttavia, si può parlare
anche di ageismo benevolo, in base al quale l’anziano è visto come saggio o equilibrato; anche se tale
fenomeno risulta pericoloso perché può portare ad un eccesso di assistenzialismo di fronte a fragilità
fisiche.

Vincere questo pregiudizio significa diffondere la cultura dell’invecchiamento e mettere in atto azioni
sociali il cui obiettivo dev’essere quello di riconoscere il valore aggiunto che può dare alla società la
partecipazione attiva degli anziani. È importante che tali pregiudizi vengano eliminati perché
costituiscono un pericolo per gli anziani, in quanto minano la loro autostima e abbassano i risultati delle
loro prestazioni.

A conferma di ciò, ricordiamo che il 2012 è stato l’Anno europeo per l’invecchiamento attivo. Tra gli
obiettivi di questa iniziativa ricordiamo:

 Facilitare una cultura dell’invecchiamento attivo


 Promuovere la solidarietà e la cooperazione tra le generazioni
 Stimolare la lotta a stereotipi connessi all’età
 Adattare i sistemi di formazione a duna forza lavoro che invecchia
 Sensibilizzare sul valore dell’invecchiamento attivo

1.5 Da un lato la nostra società tende a negare l’invecchiamento o a mostrarne soltanto gli aspetti che
riproducono il più possibile le caratteristiche della gioventù; per questo motivo gli anziani faticano a
vedersi vecchi. Dall’altro lato, invece, sono aumentati gli studi scientifici sui diversi aspetti legati
all’invecchiamento. A proposito, ricordiamo la psicologia dell’invecchiamento (anni 70), che si occupa
sia dei problemi psicologici dell'anziano, sia del processo di invecchiamento da un punto di vista
psicologico e neuropsicologico. La disciplina riguarda la constatazione che sempre più persone
raggiungono un’età avanzata con successo, mantenendo una qualità di vita più che soddisfacente.

Sono stati delineati 3 tipi di invecchiamento: 1) “invecchiamento patologico”, caratterizzato da malattie


o patologie; 2) “invecchiamento fisiologico”, caratterizzato dall’essenza di una patologia ma dalla
presenza di un declino funzionale; 3) “invecchiamento di successo”, con poca o nessuna perdita
fisiologica e assenza di malattia.

1.5.1 Alla base dell’invecchiamento di successo (successful aging) ci sono tre fattori principali: la
prevenzione di malattie e di disabilità, il mantenimento della capacità cognitive e fisiche, lo
svolgimento di attività produttive e/o sociali. Ciò vuol dire che non necessariamente si invecchia con
successo solo in assenza di malattie.

Il concetto parte dalla considerazione che invecchiare è l’obiettivo di tutti, e sottolinea che
l’invecchiamento non è l’imitazione della gioventù, bensì è adattarsi al cambiamento, sfruttando le
potenzialità possedute. L’invecchiamento di successo è stato definito “sano”, durante il quale l’anziano
ha modo di dedicarsi alla creatività nel suo tempo libero, dando importanza allo sviluppo intellettuale e
sociale. Le attività ricreative proposte agli anziani possono aumentare il livello di autostima e possono
essere di aiuto contro la depressione, migliorare lo stato di salute e allungare la vita.

L’invecchiamento attivo è stato definito dall’OMS come un “processo di valorizzazione delle opportunità
di salute, partecipazione e sicurezza atta a migliorare la qualità della vita delle persone oltre i 64 anni ”.
Numerosi studi internazionali testimoniano infatti il legame positivo esistente tra l’invecchiare in
maniera attiva e i benefici sulla salute fisica e psicologica, inclusa la percezione di una maggiore qualità e
soddisfazione della vita. Invecchiamento attivo significa essere attivi in uno o più ambiti della sfera
sociale (mercato del lavoro, volontariato, relazioni sociali, educazione permanente) o personale (attività
del tempo libero, hobby, turismo, giardinaggio, musica, ecc.), scegliendo liberamente l’attività o le
attività nelle quali impegnarsi, a seconda delle proprie aspirazioni e motivazioni. Nel 2012 la
Commissione Europea delle Nazioni Unite per Europa ha concepito l’Indice di Invecchiamento Attivo che
vuole misurare la possibilità degli anziani di realizzarsi in termini di occupazione, partecipazione sociale e
culturale, mantenimento dell’autonomia.

1.6 L’essere umano è caratterizzato dall’educabilità, intesa come predisposizione e capacità di


apprendere, e questa perdura per tutta la vita. Perciò, accanto alla pedagogia che presuppone ci sia
un’età dello sviluppo definita e finita, nasce l’andragogia intesa come educazione dell’adulto e che si
basa sul principio che il discente adulto ha precise caratteristiche cognitive e psicologiche, che devono
essere prese in considerazione per la definizione di approcci e metodologie didattiche a lui ricolte.

A sua volta, l’andragogia ha dato origine alla geragogia. Il termine si sviluppa inizialmente in ambito
geriatrico e indica gli insegnamenti il cui apprendimento porta ad una vecchiaia vitale e attiva; poi verrà
esteso anche nel campo didattico ed educativo. La geragogia non si interessa soltanto degli anziani,
bensì anche dei giovani e degli adulti, perché è necessario preparare tutti ad una vecchiaia di qualità.
L’obiettivo della geragogia è quello di insegnare all’anziano ad adattarsi alle nuove condizioni di vita,
assecondando i propri bisogni in modo da invecchiare con successo.

1.7 Negli anni 70-80 del 900 nasce la “gerontologia educativa” con l’obiettivo di insegnare agli anziani
temi politici, sociali ed economici. Tuttavia, sono emersi alcuni punti deboli: il considerare gli anziani
come un gruppo omogeneo e indifferenziato; il vedere, da parte degli educatori, soltanto gli aspetti
deficitari dell’anziano; pensare che l’educazione dell’anziano porti benefici soltanto al singolo
individuo.

Nasce così, alla fine del XX secolo, la “gerontologia educativa critica”, la quale considera l’educazione
come pratica della libertà e vede l’anziano come una persona attiva e responsabile della sua
emancipazione.

Negli anni successivi nasce la “geragogia critica”, consapevole dell’eterogeneità all’interno del gruppo
degli anziani e indurre i suoi discenti a prendere consapevolezza dei propri limiti e delle potenzialità
delle loro modalità di apprendimento. L’obiettivo ultimo della geragogia critica è la costruzione di una
società age-friendly.

1.8 L’Educazione Permanente è stata definita dalla Commissione Europea come “qualsiasi attività di
apprendimento intrapresa nelle varie fasi della vita al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le
competenze in una prospettiva personale, civica, sociale e/0 occupazionale”, al fine di permettere a tutti i
cittadini europei di evitare l’emancipazione e di partecipare attivamente alla vita sociale. Il documento
a cui fa riferimento è il “Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente” della Commissione
Europea, nel quale troviamo 6 messaggi chiave:

1) Nuove competenze per tutti


2) Maggiori investimenti nelle risorse umane
3) Innovazione nelle tecniche di apprendimento e insegnamento
4) Valutazione dei risultati dell’apprendimento
5) Ripensare all’orientamento
6) Un apprendimento sempre più vicino a casa

1.8.1 Il concetto di Educazione Permanente non allunga soltanto il tempo della formazione e
dell’educazione (lifelong learning), ma allarga anche i luoghi e le occasioni di educazione (lifewide
learning). Ciò vuol dire che l’educazione può avere luogo in tutti gli ambiti e in qualsiasi fase della vita.
Tale dimensione mette in evidenza la complementarietà dell’apprendimento formale, non formale e
informale.

L’apprendimento formale è soltanto una delle categorie di apprendimento ed è quella che meno
coinvolge gli adulti e gli anziani. Nasce così la NVAE, Educazione degli adulti non professionale, intesa
come “fenomeno sociale che comprende l’apprendimento in età adulta non direttamente collegato al
mercato del lavoro”.

- NVAE formale: comprende le offerte della “seconda possibilità”, che permettono di continuare e
concludere i cicli di studio interrotti in giovane età;
- NAVE non formale: rientrano le Università della terza età, che organizzano corsi e attività
culturali, modulando la loro offerta sulle esigenze del territorio;
- NVAE informale: non è necessariamente volontario e quindi non può essere riconosciuto.
Rientrano anche le attività di autoapprendimento, tra cui i mezzi di comunicazione di massa.

1.9 Parole chiave dell’educazione degli anziani:

- Educabilità
- Gratuità
- Libertà
- Socialità e intergenerazionalità

1.10 La principale finalità dell’educazione è la promozione di una cittadinanza attiva, intesa come
conoscenza dei propri diritti e di esercizio dei propri doveri, ma anche acquisire le cosiddette
“competenze di cittadinanza”, quali l’uso delle nuove tecnologie, le competenze linguistiche e
comunicative e quelle interculturali e sociali.

1.11 Come sopra accennato, gli anziani sono vittime del pregiudizio che con l’avanzare degli anni tutte le
capacità psicofisiche subiscano un deterioramento; queste subiscono sicuramente dei cambiamenti, ma
questi non comportano solo editi negativi. Infatti, le differenze con i giovani non stanno nella capacità
di apprendere, bensì nelle modalità di farlo. Ricordiamo, tra l’altro, che la neurogenesi (la capacità di
generare neuroni) non si interrompe con l’età. Per questo motivo:

- L’esercizio e l’allenamento della mente sono fondamentali per un invecchiamento di successo.


Questo perché nella terza età decadono le funzioni che sono state trascurate in gioventù. È
importante, quindi la prevenzione e l’abitudine a comportamenti “sani”.
- Le performance cognitive e mnemoniche degli anziani sono spesso influenzate dagli stereotipi
negativi nei loro confronti.
1.12 Nonostante l’eterogeneità della vecchiaia, da molti anni si elaborano studi pe rinquadrare
l’invecchiamento in teorie che spieghino in modo esaustivo i fenomeni tipici della terza età. Sono le
Teorie evolutive dell’arco di vita:

 La Teoria psicosociale dello sviluppo di Erickson, secondo la quale ci sono otto fasi nello sviluppo
della persona e ognuna è caratterizzata da una crisi psicosociale. Nella fase 8, l’ultima, tornano
le situazioni non risolte nelle età precedenti ma è anche la fase dell’appagamento.
 La Teoria degli stadi di sviluppo di Schaie, secondo la quale esistono diversi stadi di sviluppo
della persona e ognuno di questi corrisponde ai ruoli sociali che l’individuo ricopre nella società.
La vecchiaia è lo Stadio della reintegrazione, in cui si assiste ad una diminuzione della flessibilità
cognitiva che, però, viene compensata dall’aumento della capacità di adattamento.

I punti che legano tutte le ricerche riguardo lo sviluppo lungo tutto l’arco della vita sono:

- L’idea di base che si cresce per tutta la vita;


- L’importanza della saggezza dell’anziano;
- Il ruolo centrale della memoria storica e autobiografica per l’anziano.

1.13 La prospettiva dell’arco di vita di Baltes è una teoria che si basa sul presupposto che lo sviluppo
dell’essere umano prosegua per tutta la vita ed è condizionato da aspetti socio-culturali, ambientali,
storico-geografiche e da predisposizioni personali. Fornisce una concezione positiva
dell’invecchiamento, visto come un processo:

- Che fa parte dello sviluppo dell’essere umano


- Che è caratterizzato da eterogeneità, variabilità e plasticità
- Che è influenzato da un gran numero di fattori interni ed esterni all’individuo
- Che per tutti questi motivi va affrontato da una prospettiva interdisciplinare e non lineare

La prospettiva dell’arco di vita è alla base di un modello per un invecchiamento detto SOC: Selezione,
Ottimizzazione, Compensazione. I tre processi interagiscono l’un l’altro, permettendo all’anziano di
continuare ad imparare in modo efficiente.

La Selezione agisce sugli obiettivi di sviluppo che la persona di promette di perseguire e permette
all’individuo di concentrarsi su specifici ambiti, eliminando tutto il superfluo. L’Ottimizzazione permette
di valorizzare al meglio le risorse disponibili al fine di raggiungere gli obiettivi precedentemente
selezionati. La Compensazione entra in azione qualora le risorse risultino insufficienti e consiste nella
revisione degli obiettivi selezionati o allo sfruttamento di nuove risorse.

Un esempio di “messa in atto” di questo modello e è la selettività socio-affettiva: con l’aumentare


dell’età diminuiscono le relazioni interpersonali ma quelle selezionate vengono ottimizzate e
valorizzate.

1.14 Per intelligenza si intende la capacità adattiva di comprendere la realtà e affrontare situazioni
problematiche. Le due componenti principali del modello Cattell-Horn sono l’intelligenza fluida e
l’intelligenza cristallizzata. L’intelligenza fluida è la capacità di risolvere problemi in situazioni nuove, a
prescindere dalle esperienze e competenze accumulate. È una procedura di problem solving che utilizza
una serie di strategie di tipo deduttivo. L’intelligenza cristallizzata, invece, è la capacità di sfruttare a fini
conoscitivi competenze possedute. Nella vecchiaia i meccanismi “fluidi” decadono.

Questa distinzione può essere integrata da quella che fa Cornoldi tra intelligenza di base (elemento
primitivo dell’intelligenza, fondato sulla predisposizione genetica) e intelligenza in uso (è quella esplicita
nella vita quotidiana grazie alla sua interazione con i fattori esperienziali).
1.5 Secondo Goldberg, il nostro cervello è un organo che è destinato a decadere con l’avanzare dell’età.
Tuttavia, questa decadenza può essere contrastata coltivando la mente. In età adulta, infatti, si è capaci
di sfruttare le esperienze acquisite per risolvere problemi complessi: è ciò che Goldberg chiama
“paradosso della saggezza”. Nel suo modello, la saggezza permette di “vedere attraverso le cose”, cioè
di riconoscere modelli cognitivi già sperimentati precedentemente e di applicarli in situazioni nuove.

Capitolo 2: Gli anziani e le lingue straniere

2.1 Gli anziani italiani sono prevalentemente dialettofoni e hanno scarse conoscenze relativamente alle
lingue straniere. In particolare, conoscono molto poco l’inglese (nostra lingua franca) spesso a favore
del francese (lingua franca prima dell’inglese).

2.2 La ricerca dimostra che iniziare prestissimo ad imparare una lingua straniera comporta più possibilità
di diventare bilingui e che gli effetti del plurilinguismo si propagano ben oltre l’età nella quale le lingue
vengono acquisite. Infatti, gli anziani plurilingui sono in grado di conservare abilità cognitive e
flessibilità della mente tipiche della gioventù, e sviluppano più tardi dei monolingui malattie di
demenza senile e Alzheimer. I vantaggi si ottengono con i bilinguismi imperfetti, in cui la seconda lingua
non è padroneggiata come la prima. Quindi, il plurilinguismo si comporta come un fattore positivo, in
quanto protegge dal declino cognitivo e ha la funzione di riserva cognitiva anche se sviluppato in
vecchiaia. Proprio quest’ultima affermazione è in contrasto con i programmi di formazione finora
destinati agli anziani, che non comprendevano insegnamenti di lingue straniere.

Oggi invece, le lingue straniere hanno un ruolo fondamentale nei programmi di formazione per la terza
età. Questo perché il vantaggio nel coinvolgere gli anziani in attività di apprendimento linguistico si
estende all’intera società.

2.3 Nella vecchiaia molte abilità di base non subiscono alcun declino: quelle verbali sono tra queste. La
capacità di decodificare il linguaggio scritto e parlato rimane pressoché stabile negli anziani.

A dimostrazione di ciò, ricordiamo il Permastore di Bahrick, secondo il quale esiste un “contenitore” di


memoria a lungo termine con carattere permanente, in cui vengono conservate molti abilità basilari, tra
cui anche le conoscenze linguistiche. Quindi, imparare le lingue straniere in vecchiaia facilita
l’apprendimento di qualcosa di nuovo.

2.4 Come sappiamo, nell’invecchiamento di successo sono fondamentali il mantenimento delle capacità
cognitive e lo svolgimento di attività sociali; capiamo bene come l’apprendimento delle lingue straniere
possa essere uno strumento per vivere una vecchiaia sana.

L’apprendimento delle lingue straniere in età avanzata rappresenta un vantaggio per l’attività cognitiva
di un individuo, perché permette di mantenere la mente giovane.

MA PERCHÈ PROPRIO LE LINGUE STRANIERE NELLA TERZA ETÀ? Come abbiamo più volte detto, la
cittadinanza attiva richiede conoscenze e competenze aggiornate e appropriate che consentano di
prendere parte alla vita sociale. E negli ultimi decenni le richieste di competenze linguistiche sono
andate moltiplicandosi, espandendosi oltre il confine prettamente scolastico. Oggi esperienza e
contesti nei quali è fondamentale la competenza linguistica almeno in inglese creano nuovi bisogni ai
quali la società deve rispondere.

2.5 Da un lato, la nostra è una società nella quale è sempre più difficile non entrare in contatto con le
lingue straniere; dall’altro, gli anziani sono sempre più presenti e partecipi in luoghi e situazioni che
richiedono competenze linguistiche e interculturali, dato che sono coinvolti in attività sociali e ricreative
in cui sono messi in diretto contatto con le lingue e culture “altre”.
Anche perché, le migrazioni internazionali costringono gli anziani ad imparare una nuova lingua a fini
comunicativi e interculturali. Sono quindi avvicinati non soltanto alla lingua ma anche alla cultura di un
altro paese, favorendo sempre di più la cittadinanza attiva.

2.6 I corsi di lingue straniere per anziani dovrebbero rispettare alcuni principi, perciò dovrebbero essere:

 Proposte flessibili, in quanto devono adattarsi a profili cognitivi e biografici diversi tra loro;
 Proposte inclusive, le ricerche dimostrano che la maggior parte degli anziani che si avvicina ai
corsi di formazione appartiene al sesso femminile, alle fasce più giovani degli anziani e ha un
livello socio-culturale medio-alto. Per questo motivo è necessario creare corsi che attirino tutti i
sessi, tutti i livelli socio-culturali e tutte le età. Quindi bisogni stimolare la motivazione
all’accostamento alle lingue, avvicinare i luoghi della formazione agli utenti interessati, rendere
facilmente accessibili i corsi e attirare anche la componente maschile;
 Proposte mirate ma non ghettizzanti, i corsi devono essere “calzanti” su una utenza anziana, ma
non devono rinunciare all’intergenerazionalità, dato che tra gli obiettivi di questi corsi ci sono
anche finalità di tipo sociale e interculturale.
 Proposte integrate, a seconda degli obiettivi, l’apprendimento rientra soprattutto nella NVAE
informale perché gli anziani sono molto poco coinvolti nei contesti istituzionali. Questo
comporta una strutturazione degli ambienti di apprendimento delle lingue aperti e multi-
funzionali, ma anche aumentare il livello di esposizione alle lingue e creare strutture
accessibile per l’autoapprendimento.

2.7 Le caratteristiche della glottodidattica geragogica sono ancora poco diffuse, questo perché per
lungo la ricerca glottodidattica ha considerato prioritariamente due categorie di persone: gli
apprendenti molto giovani e gli apprendenti che hanno superato la pubertà. Di conseguenza, la
categoria degli anziani è stata per molto tempo trascurata. Inoltre, va sottolineato come gli studi sugli
apprendenti di lingue anziani hanno avuto per lungo tempo un’impostazione “sottrattiva”, cioè
concentrata a definire i limiti imposti dal declino dovuto all’età piuttosto che le capacità sfruttabili
residue. Negli ultimi anni è nata una branca glottodidattica specifica, chiamata foreign language
geragogy, che si occupa di indagare su motivazioni, caratteristiche cognitive e strategie.

Dall’ultima parte del secolo scorso ad oggi la ricerca glottodidattica su apprendenti anziani i è
preoccupata di circoscrivere lo studio soffermandosi ad indagare su elementi specifici come
l’acquisizione di una lingua seconda da parte di anziani immigrati, l’importanza dell’input e il ruolo delle
caratteristiche individuali dell’apprendente.

2.8 Per delineare una didattica delle lingue rivolta a discenti anziani, sarebbe utile partire
dall’andragogia, cioè la didattica rivolta agli adulti. Infatti, l’anziano non è altro che un adulto con
specifici bisogni di apprendimento e con aspetti neurologici, psicologici e biologici legati allo stadio
terminale della vita.

2.9 La teoria più nota riguardo il rapporto tra età e apprendimento linguistico è l’ipotesi del Periodo
Critico di Lennenberg. Un periodo critico è una finestra temporale all’interno della quale l’acquisizione
di specifiche funzioni o capacità è favorita. L’ipotesi del Periodo Critico afferma che durante il periodo
prepuberale l’acquisizione della lingua materna avviene in modo spontaneo e naturale; dopo questo
arco temporale è impossibile raggiungere una competenza comunicativa pari ad un madrelingua. La
ricerca ha prodotto diversi studi riguardo l’esistenza di uno o più periodi critici; tuttavia non si è arrivati
ad una posizione condivisa da tutti. Innanzitutto per molto tempo queste ricerche si sono concentrate
sugli apprendenti che rientrano nel periodo critico, cioè i bambini e i giovani, tralasciando quelle
categorie degli apprendenti post-periodo critico. Molti studiosi, inoltre, hanno cercato interpretazioni
non soltanto legate all’età ma a fattori psicologici e ambientali: Krashen si rifà ai fattori affettivo-
motivazionali e Schumann ad aspetti sociologici. Altri studi, invece, hanno ritenuto che il periodo critici
fosse applicabile soltanto agli aspetti fonologici e articolatori, mentre gli aspetti lessicali e morfologici
non risentono dell’età. Uno dei punti su cui la ricerca è d’accordo è che gli apprendenti più giovani
raggiungono risultati migliori sul lungo periodo mentre quelli più maturi li superano nel breve periodo.
Gli studi successivi hanno dimostrato che esiste una grande quantità di fattori intrinseci ed estrinseci
che influenzano come e se un individuo apprende una lingua straniera, infatti molti studiosi negano
l’esistenza del periodo critico e parlano di “periodi sensibili” di aumentata plasticità neuronale che
favorisce l’apprendimento linguistico.
Questo ci porta a chiederci non tanto quando imparare una lingua quanto piuttosto dove e come.

2.10 Per delineare un modello didattico per l’insegnamento delle lingue agli anziani è necessario partire
da quelli che sono i principi andragogici dell’insegnamento agli adulti. Alcune specifiche componenti
sono:

 La capacità di autodirigersi e l’autonomia come obiettivo nell’apprendimento degli adulti;


 La profondità e l’estensione delle esperienze precedenti come contenuto e come spinta
all’apprendimento;
 La riflessione o l’analisi per avere consapevolezza dei cambiamenti che si sono verificati con
l’apprendimento;

2.10.1 La teoria più nota riguardo l’educazione degli adulti è quella di Knowles ed è basata su un’idea
dell’adulto come persona consapevole di sé, autodiretta, autonoma e con una forte spinta
motivazionale di tipo strumentale. La sua teoria si basa su 6 “pilastri”:

1) Il concetto di sé del discente: gli adulti si considerano persone responsabili delle loro decisione e
della loro vita;
2) Il bisogno di conoscere: gli adulti hanno bisogno di sapere perché occorra apprendere qualcosa
prima di intraprendere l’apprendimento stesso;
3) Il ruolo dell’esperienza: l’esperienza è la base sulla quale si costruiscono i nuovi apprendimenti;
4) La disponibilità ad apprendere: gli adulti sono disponibili ad apprendere ciò che sentono il
bisogno di sapere e di saper fare;
5) L’orientamento verso l’apprendimento: l’adulto ha un orientamento centrato sulla vita reale e
investe nella formazione se percepisce che l’apprendimento lo possa aiutare a risolvere
problemi reali;
6) La motivazione: le motivazioni più forti negli adulti sono pressioni personali, legate
all’autorealizzazione e al miglioramento della qualità di vita.

2.10.2 Il modello di Illeris si basa su due assunti:

- Qualsiasi apprendimento è un percorso complesso che include due processi: uno esterno tra
l’apprendente e l’ambiente di apprendimento e uno interno di acquisizione ed elaborazione;
- Qualsiasi apprendimento include tre dimensioni: una cognitiva, una sociale di comunicazione
cooperazione e una emotiva di sentimenti e motivazioni. Queste tre dimensioni sono sempre
presenti nell’apprendimento, anche se una può prevalere sulle altre due.

2.10.3 Il modello di Jarvis è caratterizzato da due punti centrali:

- Il legame tra l’esperienza di vita dell’individuo e l’apprendimento;


- La considerazione dell’apprendente come persona fatta di corpo e mente, di esperienze sociali
e percezioni sensoriali.

Per lui l’apprendimento avviene quando l’individuo vive una disarmonia tra ciò la persona è e
l’esperienza acquisita in un determinato contesto sociale. Questo perché ciò induce l’individuo a
riflettere su come affrontarla e quindi a pianificare o imparare qualcosa di nuovo. Per Jarvis
l’apprendimento degli adulti è un’attività che coinvolge l’intera persona ed è un processo ciclico che si
ripete continuamente (lifelong learning).

2.10.4 Come abbiamo visto, i programmi di istruzione per gli anziani si sono sempre ispirati a quelli per gli
adulti, ma gli studenti della terza età hanno caratteristiche uniche che devono essere messe al centro di
un modello specifico. Le principali differenze sono:

- L’autonomia e la capacità di autodirigersi, che nell’anziano assumono conformazioni più


complesse dato che egli, più o meno, è deve necessariamente dipendere da qualcuno;
- La percezione dei bisogni, che negli anziani può non essere consapevole e hanno quindi
bisogno di sollecitazione;
- Il ruolo dell’esperienza, che negli anziani è molto più consistente rispetto agli adulti;
- La disponibilità ad apprendere, è legata ai risultati che effettivamente raggiunge l’anziano con i
suoi sforzi;
- L’orientamento all’apprendimento, che è meglio se incentrato sulle piccole conquiste
quotidiane;
- Le strategie di risposta, che sono diverse tra gli anziani e gli adulti;
- Le capacità sensoriali e fisiche, che condizionano maggiormente l’anziano;
- Il carattere permanente e continuo dell’apprendimento, che per l’adulto si estende anche
nell’età anziana.

2.11 Ramírez Gómez fonda la Critical Foreign Language. L’autrice si concentra sull’insufficienza di studi
approfonditi sull’apprendimento delle LS da parte degli anziani e l’influenza negativa dell’ipotesi del
Periodo Critico. La conseguenza di ciò è lo sviluppo di stereotipi negativi sulla vecchiaia e induce sia i
discenti anziani che i docenti ad assumere un atteggiamento negativo nei confronti delle loro possibilità
di imparare una nuova lingua. infatti, la Critical Foreign Language vuole avere un carattere inclusivo,
critico e di enpowerment: cioè che si adatti alle caratteristiche cognitive del discente anziano e
costruisca una visione realistica delle loro competenze e abilità. Alcuni dei suoi principi sono:

 Lo studio di una lingua straniera contribuisce a diversi aspetti della vita degli anziani e non può
essere considerato solo un’attività ricreativa o un modo per occupare il tempo libero;
 La Critical Foreign Language vuole condurre i discenti anziani ad auto-regolare i propri processi e
le proprie strategie di apprendimento;
 L’influsso delle esperienze pregresse degli studenti anziani va considerato come un fattore
molto importante;
 L’insegnamento di una LS a studenti anziani dovrebbe essere basato su contenuti significativi
per loro e legati alla loro esperienza di vita;
 Lo studente anziano di successo è colui che sa compensare i propri punti deboli e ricavare
vantaggi dai suoi punti forti.

Capitolo 3: Percezione sensoriale e invecchiamento

Una delle conseguenze dell’invecchiamento è il declino delle funzioni sensoriali, soprattutto di vista e
udito. Ovviamente, anche questi cambiamenti sono totalmente soggettivi e interindividuali, in quanto
dipendono da diversi fattori genetici e personali. È certo, tuttavia, che gli anziani abbiano maggiori
difficoltà rispetto ai giovani nella codifica dei suoni o delle immagini, e che ciò condiziona la vita
dell’anziano. Infatti, il soggetto può sentirsi più frustrato e demotivato a partecipare ad attività sociali
e/o formative. Nel peggiore dei casi, l’anziano si chiude in se stesso e ciò può indurlo in uno stato di
depressione, accelerando il declino dei processi cognitivi.

Una visione più scientifica ha inquadrato il deficit sensoriale nell’anziano nel quadro del rapporto tra
sistemi periferici di senso, sistema nervoso centrale e processi cognitivi. È importante, però,
comprendere anche quali fattori relativi alla natura dello stimolo e alla sua complessità possono influire
sulla percezione; ma anche gli elementi contestuali e ambientali in cui avviene il processo di selezione e
codifica dell’input. Questi aspetti sono importanti a livello geragogico per permettere all’anziano di
sfruttare al meglio le strategie idonee a colmare il deficit sensoriale.

3.1 La presbiacusia è un fenomeno di riduzione della percezione di alcuni suoni che inizia a manifestarsi
intono ai cinquant’anni ma di cui il soggetto non ha consapevolezza. La presbiacusia sembra essere il
deficit cronico più diffuso negli anziani e, peraltro, i sistemi di correzione dell’udito non sembrano
essere efficaci come le lenti adeguate risolvono in modo soddisfacente il deficit visivo.

Con la presbiacusia gli anziani, inizialmente, hanno maggiori difficoltà nel percepire le frequenze acute e
sono successivamente anche le frequenze medie ed infine basse. È raro che si arrivi alla sordità. Diversi
studi hanno dimostrato che colpisce più precocemente gli uomini che le donne e la popolazione di
colore è meno soggetta alla presbiacusia. È importante notare che, gli anziani presentano maggiori
difficoltà nel codificare i suoni quando questi sono emessi in contesti rumorosi, come potrebbe essere
una classe numerosa. Questo potrebbe indurre l’anziano a modificare negativamente le proprie
aspettative, sottovalutando le proprie competenze e abilità e assumendo un atteggiamento di rinuncia
e rifiuto.

3.1.2 La presbiacusia può dipendere da diversi fattori. Vi sono infatti vari tipi di presbiacusie:

- La presbiacusia sensoriale è conseguente ad atrofia e riduzione delle cellule dell’organo del Corti
e della coclea, si può presentare verso i cinquant’anni e comporta la minor capacità di ascolto di
frequenze alte;
- La presbiacusia neurale è conseguente ad atrofia delle fibre del nervo cocleare e porta ad un
deficit percettivo di tutte le frequenze, oltre che un deterioramento nella discriminazione delle
parole;
- La presbiacusia meccanica è conseguente ad una riduzione dell’elasticità della membrana
basilare cocleare e conduce ad una minor capacità di cogliere le frequenze alte;
- La presbiacusia metabolica è conseguente ad alterazioni biochimiche che interessano il liquido
della coclea e comporta ad una riduzione della percezione di tutte le frequenze;
- La presbiacusia mista si verifica quando sono compresenti tutti questi fattori;
- La presbiacusia indeterminata non presenta nessuna delle lesioni sopraelencate e porta ad un
aumento della soglia uditiva per le frequenze gravi.

3.1.3 Le onde sonore sono alla base dell’udito e viaggiano ad una velocità di 340 metri al secondo.
Si caratterizzano per:

 Altezza: un suono può essere percepito come grave (basso) o acuto (alto). Ciò dipende dalla sua
altezza, cioè la quantità di vibrazioni prodotte al secondo.
 Frequenza: è il numero di vibrazioni che avvengono in un secondo e si misura in Hertz. L’udito
umano è in grado di percepire suoni con una frequenza compresa tra i 20 e i 20.000 Hz (sopra e
sotto tale soglia si parla di ultrasuoni e infrasuoni).
 Timbro: è la forma dell’onda sonora.
 Volume: è la forza con cui l’onda raggiunge il timpano e si misura in decibel.

3.1.4 Il percorso inizia con la trasmissione meccanica di onore di una determinata altezza e intensità che
raggiungono la membrana del timpano. Le vibrazioni di quest’ultimo attivano gli ossicini posti
nell’orecchio medio che a loro volta amplificano e trasmettono tali vibrazioni ad una seconda
membrana denominata finestra ovale posta all’inizio dell’orecchio profondo. Le ulteriori vibrazioni di
questa membrana agiscono sul fluido che si trova nella coclea, il cui movimento agisce sulla membrana
basale e sulle cellule che vi trovano distribuite, sensibili alle diverse frequenze sonore. L’impatto
elettrico prodotto raggiunge aree specifiche del cervello.

3.1.5 Il declino del sistema uditivo porta l’anziano ad avere maggiori difficoltà nel cogliere suoni a bassa
intensità, nel distinguere la fonte dell’input sonoro e nel filtrare l’informazione.

3.1.6 La capacità di filtrare la fonte sonora è uno degli aspetti fondamentali della comprensione. Dal
punto di vista geragogico, quindi, bisogna prestare attenzione alla diversificazione delle voci,
considerando che nelle fasi iniziali della presbiacusia sono le frequenze alte ad essere compromesse.

3.1.7 Come abbiamo visto, la performance uditiva degli anziani peggiora in contesti caotici. Quando un
suono viene coperto da un suono più forte si parla di effetto di mascheramento. Vi sono tipi diversi di
mascheramento e conseguenze diverse nell’udito dell’anziano. Il mascheramento di frequenza o
simultaneo avviene quando due suoni sono emessi contemporaneamente e quello più forte prevale
mascherando l’altro. Se si sovrappongono voci maschili, il grado di mascheramento è ovviamente
superiore che se si sovrappongono una voce femminile e una voce maschile. Inoltre, c’è differenza tra il
mascheramento che riguarda la maggiore intensità di un suono rispetto ad un altro ( energetic masking)
e l’interferenza dovuta ad un mascheramento che coinvolge maggiormente i processi cognitivi
(informational, perceptual masking). Nel primo caso l’anziano ha difficoltà nell’individuare una voce
all’interno di un contesto caotico; nel secondo ha difficoltà nella discriminazione dell’informazione.

3.1.8 Noto è il fenomeno del cocktail party, che si verifica quando ci si trova in un contesto in cui molte
persone parlano e si moltiplicano i rumori di fondo. In tale situazione, il cervello, tramite i processi di
attenzione selettiva, riesce a concentrarsi sulla fonte da cui provengono le informazioni che gli
interessano isolandole dal contesto. Tutti i suoni, rilevanti o meno, raggiungono il sistema uditivo, ma
solo quelli selezionati dall’attenzioni vengono elaborati dalla mente, mentre gli altri vengono eliminati.
Questa situazione è molto frequente nella vita quotidiana. Con l’età, l’efficienza dell’attenzione
selettiva decade e quindi l’anziano ha maggiori difficoltà nel seguire un discorso in un contesto caotico.

È stato condotto un esperimento in cui i partecipanti dovevano ascoltare le frasi pronunciate da una
voce target ed ignorare una seconda voce di interferenza. I risultati hanno dimostrato come,
aumentando il volume della voce interferente, le prestazioni dei giovani restavano invariate mentre
peggioravano quelle degli anziani. Inoltre, i giovani non offrivano risultati diversi se la lingua usata dalla
voce interferente era la loro madrelingua oppure una lingua straniera; gli anziani, invece, dimostravano
maggiore interferenza quando la voce interferente si esprimeva nella lingua madre piuttosto che una
sconosciuta.

Sul piano didattico, il docente dovrebbe prestare attenzione ai rumori nel contesto classe ed evitare
quelle metodologie che prevedono l’interazione tra docenti e allievi e lavori di gruppo, come il
cooperative learning, perché potrebbero confondere l’anziano. È importante anche selezionare bene il
materiale uditivo da presentare in classe, scegliendo una voce con frequenze più basse e in cui il
parlante si esprima lentamente e articoli bene le parole per facilitarne la comprensione. In caso di
dialoghi, è importante che i parlanti rispettino una corretta presa di turno. Infine, è richiesto che il
docente verifichi il volume del segmento di lingua che si vuole far ascoltare tramite una fonte sonora
(registratore, computer, ecc.) sia ad un livello accettabile e udibile.

3.1.9 Quasi un terzo della popolazione anziana si lamenta di non riuscire a comprendere bene ciò che gli
viene detto e la maggior parte delle lamentele riguarda il volume della voce dell’interlocutore o la
velocità dell’eloquio. Queste difficoltà sono spesso aggravate dal comportamento impaziente
dell’interlocutore che considera le difficoltà dell’anziano come causa di un declino cognitivo piuttosto
che un deficit uditivo, come se non fosse in grado comprendere o non sia competente. Ciò demotiva e
scoraggia il soggetto. Dunque, la comprensione del linguaggio è un fattorie fondamentale per la vita
sociale e affettiva dell’anziano. La presbiacusia, da un lato riduce l’abilità uditiva dell’anziano e dall’altro
lato rende più complessa l’attività percettiva delle informazioni. Dalle ultime ricerche, è emerso che
processi sensoriali e processi cognitivi sono i due poli di un continuum.

3.1.10 La comprensione del linguaggio prevede un processo complesso e articolato, che inizia quando
una serie di suoni (foni) viene convertita in fonemi (o grafemi nel linguaggio scritto) a cui viene
attribuito un significato. I suoni vengono, quindi, segmentati e poi rappresentati lessicalmente come
una parola, che ha un determinato valore semantico.

3.1.11 Una delle principali variabili relative alla comprensione dello stimolo da parte degli anziani è il
tempo necessario a discriminare le parole durante l’ascolto. Infatti, molti studi dimostrano che con
l’invecchiamento aumenta il tempo necessario alla discriminazione fonetica dello stimolo verbale.

3.1.12 Il processo iniziale di comprensione di una parola prevede l’associazione della sua
rappresentazione fonologica (la sua forma acustica) ad una corrispondente unità lessicale presente nel
lessico mentale. Se la percezione della forma (fonemica o grafemica) non avviene in modo corretto, la
rappresentazione a livello lessicale diviene più difficile. In ambito psicolinguistico questi due aspetti
sono strettamente collegati fra loro. È stato così concepito il Neighborhood Activation Model, il quale
prevede che nel momento in cui una parola viene percepita si attivino nel lessico mentale tutte le
rappresentazioni lessicali (vicini lessicali) con caratteristiche simili alla parola target. In base a questo
modello un vicino lessicale può essere caratterizzato dall’eliminazione, aggiunta o sostituzione di un
fonema. Vicini lessicali sono fitto, sfitto, affitto, afflitto, oppure carta, cara, scarpa, carpa. Se la codifica
avviene con successo, il soggetto non avrà grandi difficoltà nel selezionare la parola target inibendo le
altre. Secondo questo modello quindi, la comprensione di una parola è determinata da due fattori
essenziali: il grado di somiglianza fonetica (il numero di parole simili che si attivano assieme alla parola
target) e il grado di frequenza (il numero di occorrenze di un item). Parole con alto grado di somiglianza
fonetica e con vicini lessicali con un alto grado di frequenza (hard words) sono più difficili da codificare
rispetto a parole con un basso grado di somiglianza fonetica e con vicini lessicali con bassa frequenza
(low words). I diversi esprimenti hanno dimostrato che gli anziani hanno difficoltà nella codifica delle
parole con alto grado di densità fonetica e di frequenza, sia quando queste sono pronunciate
isolatamente e sia quando vengono udite in contesto. Tuttavia, nell’anziano il contesto può essere di
grande aiuto per compensare il deficit uditivo, dato che il patrimonio semantico-lessicale rimane ben
preservato. Infatti, i processi bottom-up (dal basso verso l’alto→ stimolo esterno e caratteristiche
percettive) non sono in grado di fornire informazioni sufficienti a selezionare la parola target, mentre i
processi top-down (dall’alto verso il basso→ processi cognitivi che coinvolgono l’attenzione e la
memoria) possono intervenire per limitare gli effetti negativi. Il processo di discriminazione lessicale
richiede un maggior impegno dei sistemi inibitori in assenza di supporti contestuali, mentre nella
situazione contraria l’anziano è in grado di fornire prestazioni decisamente migliori. In ambito didattico,
quindi, è necessario adottare le giuste strategie educative e quindi tenere conto delle caratteristiche
ambientali ma anche delle caratteristiche dell’input.

3.1.13 Nella vita quotidiana capita spesso di partecipare ad una conversazione alla quale partecipano più
persone. In questi casi, a differenza degli esperimenti, il soggetto non deve ripetere o ricordare
determinate frasi, bensì deve mantenere nella memoria quanto è stato detto e formulare la propria
risposta. È evidente, quindi, che l’abilità di ascolto implica il coinvolgimento non solo del sistema
sensoriale uditivo ma anche dei sistemi cognitivi e della memoria di lavoro.

Negli ultimi decenni sono aumentati gli studi riguardo al rapporto tra le modificazioni del sistema uditivo
e dei processi cognitivi nella percezione uditiva del linguaggio nell’anziano. Ad esempio le ricerche
nell’ambito di BASE (Berling Aging Study) hanno fornito condotto alla formulazione di quattro ipotesi
per definire la relazione tra processo uditivo e cognizione. La prima ipotesi, definita causa comune,
suppone che il deterioramento sensoriale e cognitivo dipenda da un insieme di fattori comuni che con il
passare degli anni agiscono sul funzionamento del cervello. La seconda ipotesi pone nel deficit
sensoriale la causa della riduzione nell’anziano delle possibilità di impegnarsi in compiti cognitivi e di
interagire con il mondo che lo circonda. La terza ipotesi propone un modello di interazione tra sistema
sensoriale e cognizione che prevede un maggiore sforzo cognitivo e attentivo come forma
compensatoria al declino sensoriale. Infine, la quarta ipotesi stabilisce che il declino del sistema
sensoriale sarebbe responsabile della performance insoddisfacente.

3.1.14 Si definisce elderspeak il tipo di linguaggio usato quando ci si rivolte agli anziani e si caratterizza
per aspetti prosodici marcati e intonazione accentuata, rallentamento di eloquio e semplificazione
morfosintattica e lessicale. Mentre gli aspetti di natura semantica apportano benefici alla
comprensione, quelli di natura prosodica non sembrano produrre particolari vantaggi. Tuttavia, se da un
lato aiuta gli anziani nella comprensione dell’eloquio, rievoca una serie di stereotipo negativi della terza
età.

3.2 L’altro sistema sensoriale coinvolto nell’apprendimento linguistico è la vista, la cui perdita può
fortunatamente essere corretta dall’uso di occhiali adeguati o semplici interventi chirurgici. In sede
didattica, è importante prestare attenzione alla grandezza del font, la luminosità dell’ambiente e la
distanza dal quale l’allievo anziano legge quanto scritto alla lavagna.

3.2.1 Lo stimolo luminoso accede all’occhio attraverso una sottile lente trasparente detta cornea.
Minime variazioni nella curvatura della cornea possono causare cambiamenti nella ricezione
dell’immagine della retina, e a partire dei 50 anni la curvatura della cornea tende ad aumentare
(portando all’astigmatismo). Successivamente, lo stimolo incontra l’iride e la pupilla. Quest’ultima si
contrae quando l’occhio viene colpito da una fonte luminosa molto intensa o ravvicinata. Con l’avanzare
dell’età, la pupilla tende a restringersi, comportando una maggiore difficoltà di adattamento ai cambi di
intensità della luce. Poi ancora, lo stimolo procede verso il cristallino, che consente di mettere a fuoco
l’input luminoso sulla retina (accomodazione). Con il passare degli anni, esso perde elasticità e
trasparenza. Dopo i 50 anni ci si rende conto di non essere più in grado di mettere a fuoco un oggetto
ravvicinato (presbiopia), e ciò viene generalmente risolto con l’uso di un paio di occhiali. Il problema
insorge quando il soggetto che diviene presbite è già miope, e quindi dovrà cambiare occhiali a seconda
della necessità. In classe è molto frequente che agli alunni venga chiesto di passare rapidamente da una
lettura ravvicinata a una visione più distante, perciò sarebbe necessario ridurre questi cambi per non
affaticare gli occhi. Oltre la presbiopia, molto comune negli anziani è la cataratta, cioè l’opacizzazione
del cristallino, e si manifesta con una visione offuscata. È, tuttavia, facilmente risolvibile con un semplice
intervento chirurgico.

Infine lo stimolo raggiunge la retina, che viene impressionata dalla luce mentre il nervo ottico
trasferisce l’immagine ai centri della corteccia visiva dove essa viene sviluppata ed elaborata. All’interno
dalla retina vi è una zona centrale detta macula in cui si concentrano i fotorecettori ed in particolare i
coni e una zona media e periferica in cui sono più numerosi i bastoncelli. I coni sono responsabili della
nitidezza delle immagini, mentre i bastoncelli sono specializzati nella visione con scarsa luminosità.

3.2.2 La visione scotopica dipende dai bastoncelli, agisce con bassi livelli di luminosità ed è
monocromatica. La visione fotopica dipende dai coni ed è responsabile della discriminazione dei colori.
Nell’invecchiamento, l’individuo ha difficoltà nella visione quando l’illuminazione è scarsa o di notte.
Questo è dovuto ad una riduzione della visione scotopica. Anche la visione fotopica diminuisce, seppure
meno drasticamente rispetto a quella scotopica. La quantità di luce percepita da un sessantenne è pari
al 30% circa di quella di un ventenne.

3.2.3 L’essere umano è in grado di percepire onde comprese tra i 400 e gli 800 nanometri; all’interno di
questa fascia si colloca lo spettro dei colori percepibili. Un’onda lunga 700 nm permette di vedere il
colore rosso, mentre un’onda minore, tra i 450 e i 500 nm, caratterizza le tonalità del blu. Alcuni studi
hanno dimostrato che nell’invecchiamento il declino alla sensibilità ai colori è maggiore per le onde
elettromagnetiche brevi. Questo è importante sul piano didattico per la scelta dei materiali colorati in
classe per la spiegazione (meglio colori sull’asse rosso-verde che blu-giallo).

3.2.4 I movimenti oculari sono riconducibili a cinque sistemi fondamentali:

 Movimenti saccadici: sono estremamente veloci e consentono di spostare rapidamente lo


sguardo per consentire alla fovea (particolare area della retina) di puntare un determinato
oggetto;
 Movimenti di inseguimento lento: consentono di mantenere la fovea puntata su un bersaglio in
movimento;
 Riflesso vestibolo-oculare: consente di mantenere lo sguardo sull’oggetto di interesse malgrado
l’osservatore compia movimenti rapidi;
 Riflesso optocinetico: gestisce i movimenti del capo prolungato;
 Movimenti di vergenza: consente di mantenere la fissazione dell’oggetto che si
avvicina/allontana.

3.2.5 Nell’invecchiamento le fasi di fissazione non subiscono un declino, mentre vi è una riduzione nella
velocità dei movimenti saccadici, del movimento di inseguimento lento e del sistema vestibolo-oculare.

3.2.6 La lettura è un’abilità complessa che coinvolge l’occhio, i suoi movimenti e i processi cognitivi
come la memoria e l’attenzione. Durante il processo di lettura, le informazioni vengono colte come se ci
si servisse di una serie di istantanee sovrapposte l’una all’altra. Oltre alle fissazioni, la lettura implica
velocissimi movimenti saccadici con cui l’occhio si sposta da una parola all’altra. Vi sono movimenti da
sinistra verso destra (progressivi) e in senso opposto (regressivi) e movimenti di ritorno che
permettono di passare dalla fine di una riga all’inizio di una riga successiva. Dal punto di vista
glottodidattico, è importante considerare che il tempo di lettura varia da persona a persona e che,
ovviamente, i tempi di lettura di un testo in lingua straniera sono molto più lunghi. In classe, sarebbe
giusto lasciare un certo tempo per una lettura individuale e silenziosa del testo prima di passare a
qualsiasi attività didattica.

Capitolo 4: La comprensione del testo

4.1 La lettura è un’attività fondamentale per il benessere generale dell’anziano, ma costituisce anche
una risorsa per la didattica. Tuttavia, nel campo dell’educazione linguistica è privilegiata l’abilità orale.
Attraverso la lettura, gli anziani possono avere piacevoli momenti di svago, ma anche approfondire
argomenti, informarsi leggendo giornali su quanto accade nel loro territorio e anche mantenere viva la
curiosità. Gli studi sulla lettura nell’invecchiamento offrono un panorama eterogeneo: se da un lato
viene descritto il deficit relativo all’invecchiamento, è anche vero che tale deficit non sempre
corrisponde ad una compromissione dell’abilità di lettura e comprensione. Infatti, gli autori stessi nelle
loro ricerche dimostrano come l’abilità di lettura si preservi piuttosto bene nell’invecchiamento. Molto
dipende, dal tipo di testo e dal livello di scolarizzazione, dall’efficienza del sistema visivo e dei processi
cognitivi dell’anziano. I processi di lettura coinvolgono sia il sistema visivo e sia vari sistemi di memoria,
tra cui quella di lavoro e quella a lungo termine.

4.1.1 Nonostante il declino della memoria di lavoro comporti un rallentamento dei processi cognitivi,
nell’età senile le conoscenze cristallizzate, tra cui la competenza lessicale, sono ben preservate. Sia la
competenza lessicale che l’enciclopedia, sono fattori determinanti nell’abilità di lettura e comprensione.

È stato condotto un esperimento su 108 donne, divise in tre gruppi in base all’età, in cui è stata
verificata la competenza linguistica in funzione della comprensione dei testi. Il gruppo più anziano, in
presenza di una competenza linguistica bassa, manifestava una prestazione deficitaria rispetto agli altri
due gruppi nel ricordo di informazioni specifiche del testo; invece, gli anziani con un discreto livello di
competenza linguistica non avevano grandi difficoltà nel ricordo degli argomenti generali del testo
letto.

4.1.2 Gli anziani hanno maggiori difficoltà nel riconoscere e memorizzare parole decontestualizzate
rispetto a parole inserite in un contesto, quindi è importante capire quali strategie essi utilizzano per
sopperire ai deficit sensoriali e cognitivi per affrontare un compito di lettura e soprattutto quali
strategie educative debbano utilizzare i docenti. La lettura è un’abilità che non declina negli anni. È
un’abilità che implica sia aspetti di intelligenza fluida, sia di intelligenza cristallizzata; essendo
quest’ultima ben preservata, compensa i deficit della prima, che invece risente dell’età.

4.1.3 Il tipo di testo può influire sul grado di comprensione. Esistono diversi tipi di testo e ognuno di
questi ha delle caratteristiche specifiche che possono facilitarne o meno la comprensione. Ad esempio,
le prestazioni degli anziani sembrano essere migliori quando leggono un testo narrativo, piuttosto che
uno espositivo. Il testo narrativo presenta una trama con personaggi che agiscono in determinato
contesto sulla base di relazioni temporali e causali che ne costituiscono la coerenza. Invece, il testo
espositivo si compone di unità concettuali più autonome nel contenuto e meno coerenti e coesi;
pertanto, questo tipo di testo implica strategie di lettura che richiedono un maggior carico attentivo.
Altro fattore determinante è la lunghezza del testo: un testo più lungo contiene maggiori informazioni
sul topic, favorendo la possibilità di collegare i contenuti del testo con la conoscenza acquisita.

Sotto il profilo didattico, l’insegnante deve usare testi di lunghezza adeguata agli obiettivi del corso;
soprattutto un testo in lingua straniera non può e non deve essere troppo lungo. Altri fattori influenti
sono la velocità di prestazione e il tempo consentito alla lettura. È opportuno, quindi, lasciare un tempo
adeguato alla lettura, considerando che il tempo necessario dipende dalle capacità soggettive.

Vi sono più livelli di comprensione: la comprensione linguistica, la comprensione del testo e dei suoi
contenuti, e infine i contenuti del testo sono messi in relazione con le conoscenze del mondo
precedentemente acquisite. È importante che queste tre componenti siano compresenti per garantire
la comprensione del testo. Gli anziani tendono più dei giovani a mettere in relazione quanto leggono
con le conoscenze acquisite in precedenza; in sede didattica ciò implica una scelta consapevole del testo
su cui lavorare. Dunque, vi sono alcune differenze nei processi di lettura e comprensione in funzione
dell’età. Tuttavia, tali differenze vanno considerate come forme di autoregolamentazione nella
distribuzione delle risorse disponibili in funzione della comprensione.

4.2 Sotto il profilo glottodidattico le variabili da tenere in considerazione riguardano:

Il materiale su cui lavorare

- Genere e tipo di testo


- Caratteristiche linguistiche del testo
- Adeguata densità lessicale
- Contenuto del testo

Modalità di presentazione del materiale

- Condizioni ambientali e qualità dei materiali


- Tempo adeguato alla lettura
- Ripetizione della lettura del testo
- Attività di pre-lettura
- Attività di post-lettura per verificare quanto appreso
Task, obiettivi e compiti da raggiungere

- Il tipo di testo, le modalità di presentazione, le attività di pre-lettura e le strategie utilizzate devono


essere coerenti al tipo di compito richiesto

Capitolo 5: L’attenzione e i processi di inibizione

5.1 L’attenzione è uno dei fattori più importanti nell’apprendimento. È con l’affermarsi della psicologia
cognitiva che nascono le principali teorie che ci presentano l’attenzione come un insieme di fenomeni
psicologici con diverse funzioni, supportate da distinte aree neurali. Quindi, i deficit di attenzione negli
anziani potrebbero dipendere da una più lenta trasmissione di informazioni tra queste aree. Per quanto
riguarda la terza età, l’attenzione è studiata sia all’interno delle teorie che descrivono i cambiamenti
nell’anziano come esito di un generale rallentamento delle funzioni cognitive, sia nell’ottica delle
teorie che si riferiscono al concetto di risorsa cognitiva e al carico che alcuni processi richiedo al
sistema esecutivo centrale.

5.1.1 Il Supervisory Attentional System (SAS) si basa sulla distinzione tra azioni automatiche e azioni che
richiedono il controllo cosciente. Le prime si compiono in modo inconsapevole, come ad esempio
camminare, scrivere, e sono azioni che rispondono all’attivazione di schemi ben acquisiti. Quando uno
schema supera la soglia di attivazione diviene operativo e agisce fino a quando non ha raggiunto il suo
obiettivo o viene sostituito da un altro schema. Ovviamente nelle azioni quotidiane possono essere
attivati più schemi che possono collaborare o entrare in conflitto fra loro. In questo caso entra in
azione il catalogo delle decisioni, che agisce in modo relativamente automatico. Se la situazione è
nuova, il catalogo delle decisioni non è più sufficiente, e quindi interviene il SAS, che valuta ulteriori
schemi da attivare. Il SAS, dunque, agisce in base alla volontà e all’attivazione dell’attenzione cosciente
ed è in grado di modificare o interrompere l’azione in corso discriminando nuovi schemi in grado di una
risposta adeguata all’urgenza della nuova situazione.

5.2 Nella vita quotidiana capita di essere esposti ad un numero enorme di informazioni ma grazie ai
processi dell’attenzione siamo in grado di selezionare quelle più rilevanti, oppure di mantenere il focus
su uno o più compiti. Tuttavia, succede di terminare un compito e rendersi conto di doverlo rifare
perché non si è prestata tanta attenzione; questo fenomeno si chiama mind wandering e dipende da
uno spostamento dell’attenzione e dalla mancata inibizione di pensieri che spesso sorgono senza
rapporto coerente con il contesto in cui ci si trova.

Svolgere un determinato compito richiede un’attenzione preparatoria e può richiedere di selezionare


un’informazione rilevante da altre che non lo sono (attenzione selettiva). Inoltre, può richiedere di
concentrarsi solo su un aspetto (attenzione focalizzata) in modo prolungato (attenzione mantenuta),
oppure può essere necessario prestare attenzione a due aspetti diversi (attenzione divisa).

Vi sono tre sottosistemi anatomici collegati fra loro: il sistema attentivo anteriore, che presiede alle
attività coscienti, percepisce ed elabora l’informazione (ossia il: cosa?); il sistema attentivo posteriore,
deputato all’attenzione agli oggetti e alla loro collocazione nello spazio (ossia il: dove?); il sistema
attentivo di vigilanza, di preparazione alla risposta.

5.2.1 L’attenzione selettiva permette di selezionare, attraverso un “filtro”, le informazioni rilevanti da


quelle non pertinenti. Un modello influente è quello proposto da Broadbent, secondo il quale il flusso
dell’informazione procede dalla percezione sensoriale dello stimolo, continuando il percorso fino
all’elaborazione concettuale semantica a carico dei sistemi della memoria a lungo termine. Quindi, il
filtro si attiva prima che avvenga l’elaborazione semantica, perché se il filtro individua nello stimolo
caratteristiche non compatibili ne impedisce il percorso. A partire da questo modello, sono state tante
le teorie riguardanti la natura e l’azione del filtro. Ad esempio, nel modello di Broadbent il filtro funziona
“o tutto o niente”, mentre nell’ipotesi della selezione tardiva di Treisman tutti gli stimoli vengono
elaborati e solo successivamente si attiva il filtro. Un’altra ipotesi, quella del filtro attenuato, il filtro non
impedisce l’accesso all’informazione, bensì ne attenua l’intensità rispetto alle informazioni rilevanti.
Alcuni esperimenti sembrano confermare l’ipotesi della selezione tardiva: i soggetti vengono esposti a
stimoli ad entrambi gli orecchio e viene chiesto loro di concentrarsi soltanto su uno dei due. I risultati
dimostrano che essi siano in grado di ripetere le parole presentate all’orecchio a cui si è chiesto di
prestare attenzione, ma le informazioni presentate all’orecchio che dovevano evitare sono state
comunque parzialmente elaborate. Un altro fattore a favore della selezione tardiva è il priming:
l’esposizione ad uno stimolo influenza in modo implicito e inconsapevole la risposta agli stimoli
successivi. Si parla di priming fonologico, priming semantico associativo o di priming visivo a seconda
della natura dello stimolo. Nel priming negativo, però, lo stimolo ignorato diviene quello da riconoscere
nell’item successivo. Diversi studi dimostrano come gli effetti del priming negativo siano più evidenti per
gli adulti giovani che per gli anziani, questo perché negli anziani sono deficitari i processi di inibizione.
Per quanto riguarda, invece, l’attenzione selettiva visiva sono stati condotti diversi studi: quanto più il
distrattore è simile allo stimolo, tanto maggiore è la difficoltà del compito. Alcuni esperimenti
dimostrano come tale abilità degeneri negli anziani quando, ad esempio, viene richiesto loro di
individuare la lettera target sulla base di due o più caratteristiche. Un esempio è il compito di Stroop: ai
partecipanti viene richiesto di indicare il colore degli stimoli presentati, che possono essere nomi di
colori o delle X. In alcuni casi l’item è congruente agli stimoli presentati e dunque il colore con cui è
scritto lo stimolo corrisponde al colore indicato. In altri casi, invece, il colore dello stimolo e il nome del
colore indicato differiscono. I risultati dimostrano come il tempo di reazione degli anziani è più lungo
rispetto ai giovani adulti. Negli anziani il sistema attentivo posteriore è meglio preservato rispetto a
quello anteriore.

5.2.2 L’attenzione divisa si attiva quando è necessario svolgere due compiti contemporaneamente, e
questo, solitamente, non comporta eccessiva fatica, soprattutto quando uno dei due è ben appreso
(soprattutto se in gioventù). Infatti, negli esperimenti di attenzione divisa svolgono un ruolo
fondamentale la pratica e l’esperienza, questo perché in ambito glottogeragogico attività come il
dettato o il prendere appunti durante la lezione, possono essere state praticante spesso, poco o per
nulla. È giusto, quindi, che il docente prenda in considerazione le storia linguistica dei suoi allievi in modo
da mettere in pratica le tecniche didattiche adeguate. Nel caso in cui le attività fossero nuove, sarebbe
giusto far esercitare a lungo gli allievi. Durante un esperimento, due gruppi di anziani sono stati
sottoposti ad un questionario con item di doppio compito su attività quotidiane e il risultato mostra che
gli anziani hanno maggiori difficoltà nell’esecuzione del compito, ma anche che all’interno stesso del
gruppo degli anziani quelli con età maggiore concepivano il compito più difficile rispetto agli anziani più
giovani. Quindi nei compiti di attenzione divisa bisogna tener conto sia della difficoltà oggettiva del
compito e sia della difficoltà intrinseca del doppio compito.

5.2.2.1 A volte è necessario spostare l’attenzione da un compito ad un altro e questo viene definito
switching. Durante un esperimento viene richiesto ai partecipanti di individuare lo stimolo visivo o
uditivo oppure entrambi. Nel primo caso, al comparire di due stringhe diverse di lettere, dovevano
premere il tasto di una tastiera rispettivamente con due dita diverse della mano destra;
successivamente dovevano fare la stessa cosa con uno stimolo uditivo alternando due dita della mano
sinistra in corrispondenza di un suono acuto o grave. Nella terza ipotesi i partecipanti dovevano
rispondere allo stesso modo, magli stimoli visivi e uditivi erano combinati e comparivano
alternatamente in modo casuale. I risultati indicano che in quest’ultimo compito (switching) sia il
gruppo degli adulti giovani che degli anziani dimostravano un allungamento dei tempi di risposta, ma
era particolarmente il gruppo degli anziani ad essere maggiormente penalizzato. Le attività di
switching possono presentarsi anche in classe, è quindi giusto lasciare il tempo agli allievi per preparare
la risposta.
5.3 L’attenzione sostenuta è la capacità di mantenere il focus dell’attenzione su determinati eventi nel
tempo. Ovviamente, è importante anche nel contesto educativo e dipende da più fattori, come la
motivazione e le caratteristiche del materiale su cui è richiesto di mantenere l’attenzione. Nei vari
esperimenti sull’attenzione sostenuta viene richiesto ai partecipanti di rispondere a una serie di stimoli
più o meno frequenti durante un certo periodo di tempo. Un esempio è il clock test, in cui i partecipanti
osservano gli scatti di una lancetta sul quadrante di un orologio e devono segnalare ogniqualvolta la
lancetta compie due scatti in una sola volta. Generalmente, l’attenzione dopo mezz’ora decresce, e
questo perché il compito risulta poco interessante e monotono. Le componenti dell’attenzione
sostenuta sono:

1. Focus dell’attenzione sugli stimoli


2. Reazione degli stimoli a alcune variabili specifiche:
a. tempo di esposizione, velocità di esposizione, regolarità e frequenza (caratteristiche
temporali)
b. luminosità, intensità del segnale, ecc. (caratteristiche fisiche)
c. competizione degli stimoli non rilevanti
3. Osservazione delle caratteristiche:
a. decidere se un certo stimolo è lo stimolo target
b. grado di motivazione
c. condizione degli organi sensoriali
d. capacità della memoria di lavoro
e. velocità di elaborazione
f. stato emotivo e affettivo

Alcuni fattori influenzano il livello di vigilanza nell’anziano, ad esempio le caratteristiche fisiche dello
stimolo e il tempo di esposizione, ma anche e soprattutto i deficit visivi e uditivi del soggetto. Inoltre,
un altro fattore che può incidere negativamente sulla performance dell’anziano è il grado di somiglianza
dello stimolo target con i distrattori. Queste considerazioni sono molto importanti in ambito
glottodidattico perché, erroneamente, si potrebbe pensare che gli anziani non siano in grado di
sostenere l’attenzione a lungo durante una lezione. In generale, è giusto prendere in considerazione
due aspetti fondamentali: il grado di arousal (stato di eccitazione neurofisiologica in risposta ad uno
stimolo, che aumenta lo stato di vigilanza per svolgere un determinato compito) è basso se lo stimolo è
debole; il grado di aspettativa dello stimolo, cioè eventi molto probabili sono elaborati più velocemente
di quelli improbabili. Perciò sarebbe buona pratica in classe utilizzare materiale con un buon grado di
predicibilità.

5.4 Sono state elaborate diverse ipotesi per cercare di spiegare i cambiamenti qualitativi che
intervengono con l’età, tra queste sta distinzione tra intelligenza cristallizzata, che si mantiene ben
preservata, e intelligenza fluida, che è deficitaria. Un’ulteriore spiegazione è il processo dell’inibizione,
ovvero la difficoltà dell’anziano di escludere l’accesso nella memoria di lavoro di informazioni non
pertinenti. Tale processo, tuttavia, non è unitario in quanto svolge tre diverse funzioni: di accesso
(access), di soppressione (delete) e di restrizione (restraint). La funzione di accesso ha il compito di non
consentire a stimoli estranei al compito di accedere alla memoria di lavoro. La funzione di soppressione,
invece, si occupa delle informazioni già presenti nella memoria di lavoro e ha l’obiettivo di evitare
possibili interferenze. Infine, la funzione di restrizione rende possibile l’inibizione di risposte non
adeguate. Tuttavia, tali funzioni tendono a deteriorarsi con il tempo.

Capitolo 7: La memoria a lungo termine

La memoria a lungo termine è destinata alla conservazione delle informazioni e delle nostre
conoscenze del mondo, la cosiddetta enciclopedia, quindi tutto ciò che abbiamo appreso con lo studio e
l’esperienza. Non è possibile stabilire la capienza di tale memoria e neanche quanto tempo i ricordi vi
permangono, ma sappiamo che la memoria a lungo termine riduce la propria efficienza con
l’invecchiamento.

7.1 La memoria a lungo termine presenta una prima distinzione, tra memoria dichiarativa o esplicita e
memoria non dichiarativa o implicita. Per memoria dichiarativa si intende l’attività mnestica
consapevole e cosciente, relativa al recupero di conoscenze accumulate nel corso della vita e ad
accadimenti personali collocabili in determinato momento e luogo. Per memoria implicita si intende un
tipo di memoria che non implica un processo cosciente e non richiede dunque la collaborazione della
memoria esplicita. Vi sono diversi tipi di memoria implicita, ad esempio quella procedurale che si occupa
di come fare le cose, che è indispensabile per l’acquisizione di procedure e nuove sequenze operative.
Generalmente, la memoria implicita procedurale risulta ben preservata nel corso della vita. Esiste anche
la memoria implicita emotiva e un altro aspetto riguarda l’effetto di priming, cioè l’influenza di uno
stimolo sulle risposte a stimoli successivi. È importante ricordare che i sistemi di memoria interagiscono
tra loro. La memoria dichiarativa si divide in memoria episodica e memoria semantica.

7.2 Tulving definisce la memoria episodica come il sistema di memoria deputato alla codifica,
all’immagazzinamento e al recupero di eventi personali riconducibili a precise coordinate spazio
temporali, è dunque coinvolta nei ricordi autobiografici. La prima distinzione che Tulving fa tra
memoria episodica e memoria semantica è che la prima si occupa del ricordo di eventi accaduti in un
determinato momento e in un determinato luogo; la seconda, invece, si occupa dei ricordi che si
riferiscono ad una conoscenza generale, semantica appunto. Gli eventi del nostro passato sono di
natura episodica, ma si inseriscono in schemi concettuali che appartengono all’organizzazione
semantica delle nostre conoscenze del mondo. La memoria episodica non è in grado di operare
indipendentemente dalla memoria semantica. Un’informazione, infatti, può essere codificata
direttamente nella memoria semantica, ma deve essere codificata nella memoria episodica attraverso la
memoria semantica.

7.2.1 Per poter rievocare un evento del nostro passato abbiamo bisogno di una coscienza autonoetica,
ossia la consapevolezza di aver vissuto una determinata esperienza nel passato (atto di rievocazione
volontaria).

Mentre la memoria semantica riguarda aspetti della consapevolezza noetica, cioè dati e fatti che non si
riferiscono al sé (automatismo). Questa è ulteriore differenza tra la memoria episodica e la memoria
semantica.

7.2.2 Un ulteriore aspetto della memoria episodica è il concetto di ecforia, termine che Tulving ha preso
dai lavori dai lavori dello studioso tedesco Semon, in cui egli sosteneva che la memoria si basa su tre
principi fondamentali. Il primo è l’engrafia: la traccia mnestica (engramma) si forma attraverso delle
eccitazioni simultanee che si organizzano in modo unitario in strutture complesse. Per rievocare un
ricordo, secondo il principio di ecforia, è sufficiente uno stimolo che ne richiami un aspetto parziale. Il
terzo principio è quello dell’omofonia, cioè una forma si “risonanza”, cioè una certa similarità di
sensazioni che può stabilirsi tra due engrammi precedenti oppure tra un engramma precedente e
l’esperienza di un nuovo evento. Tulving, come abbiamo detto, riprende il concetto di ecforia
definendolo il processo attraverso il quale lo stimolo che attiva la rievocazione della traccia mnestica si
combina con essa in una interazione sinergica (ecforia sinergica) che produce il ricordo. L’informazione
ecforica è il prodotto dell’interazione tra la traccia di memoria episodica e lo stimolo che ne causa la
rievocazione. Una volta formatasi, l’informazione ecforica consente il passaggio alla tappa successiva del
processo di rievocazione, la riconversione, attraverso il quale l’informazione ecforica diviene esperienza
da ricordare.
Il concetto di ecforia è alla base del modello GAPS, secondo il quale un engramma non viene rievocato
come una copia esatta dell’evento ma viene codificato attraverso la sua interazione con l’ambiente
interno del soggetto, cioè il contesto di emozioni che ad esso si legano, e in relazione ad eventi
interpolati, che interagiscono con essa. Nell’ultima fase del modello l’informazione ecforica porta
all’eventuale risposta e alla ricollezione, cioè alla consapevolezza cosciente dell’esperienza mnestica.

7.3 La memoria semantica si occupa dell’immagazzinamento e dell’organizzazione di tutte le


conoscenze che un individuo accumula nel corso della vita.

7.3.1 Esistono diversi modelli di organizzazione nella mente della conoscenza. Abbiamo le reti
semantiche, la teoria dei prototipi e la teoria degli schemi o script.

7.3.2 Un primo modello di reti semantiche prevede una serie di nodi, corrispondenti a concetti, uniti fra
loro da segmenti che ne determinano la relazione. Ad ognuno di questi nodi corrisponde una serie di
proprietà che si riferisce ai tratti semantici specifici relativi ad un determinato nodo. Tuttavia, gli autori
non avevano concepito tale modello in relazione al funzionamento dell’organizzazione della mente
umana, bensì all’interno di un programma artificiale. Il modello, però, presentava delle criticità:
prevedeva una distribuzione di nodi equidistanti in base ad una costruzione logica, che non teneva
conto del diverso valore che i nodi concettuali assumevano rispetto alla categoria di appartenenza. In
altri termini, il modello prevede lo stesso tempo di risposta tra la preposizione il canarino è un uccello e
lo struzzo è un uccello in quanto la distanza tra i due nodi è la stessa. Tuttavia, i tempi di reazione sono
diversi, perché canarino è un concetto più prototipico di struzzo rispetto alla sovracategoria uccello.

Il secondo modello a rete semantica si basa sul principio della diffusione dell’attivazione, secondo il quale
i nodi concettuali si relazionano sulla base di associazioni più o meno strette che si attivano con
maggiore o minore intensità in ordine al rapporto di vicinanza tra i concetti. Cioè, questa distribuzione
rispecchia la maggior facilità di eccitazione neurale di nodi localizzati vicini tra loro. Il modello consente
dunque di strutturare la conoscenza sulla base di diverse associazioni che consentono vari percorsi
all’interno della rete semantica, cosa non prevista nel modello precedente.

7.3.3 Alla base della teoria dei prototipi vi è l’asserzione che la realtà si presenta organizzata in una serie
di categorie e tassonomie. Gli oggetti del mondo si caratterizzano per una serie di attributi e vengono
percepiti sia in base a caratteristiche percettive (forma, colore, ecc.) sia in base al significato attribuito
ad una certa categoria all’interno di una determinata cultura. Gli elementi che rientrano nella stessa
categoria hanno dunque caratteristiche o tratti diversi che li rendono più o meno vicini ad un concetto
prototipico. Quante più caratteristiche un elemento condivide rispetto alla sua specifica categoria di
appartenenza, tanto più si avvicina al concetto prototipico di quella categoria. La teoria dei prototipi si
basa sulla possibilità di rappresentare in una forma stratta nella memoria semantica gli attributi e le
proprietà fondamentali che accomunano gli esemplari di una determinata categoria. Inoltre, alcune
categorie possono crearsi spontaneamente all’interno di contesti specifici, cioè vengono create ad hoc.
Ad esempio, gatto, quadri, chitarra, denaro non hanno nulla in comune, ma possono rientrare nella
categoria ad hoc denominata: cose di casa da salvare in caso di incendio.

7.3.4 Può accadere, dopo i 50 anni, di notare delle difficoltà nel recuperare nomi specifici e anche un
aumento delle pause nella fluenza verbale. È come se si avesse la parola sulla punta della lingua, ma di
non riuscire per qualche ragione a ritrovarla, fino a quando essa si rende nuovamente disponibile. Ciò
potrebbe indurre ad ipotizzare un deficit nel funzionamento della memoria semantica negli anziani.
Tuttavia, le ricerche non confermano tale ipotesi perché la memoria semantica non declina con gli anni.
Bisognerebbe lavorare con tecniche di inclusione/esclusione, campi semantici, associazioni lessicali, in
modo da “riattivare” la memoria semantica.
7.3.5 Il ricordo nel tempo tende a soddisfare la coerenza con gli schemi concettuali di cui il lettore è in
possesso. Questi schemi non sono isolati, ma possono integrarsi fra loro, interagire o escludersi. In
quanto strutture flessibili possono modificarsi e, soprattutto, di fronte a nuove esperienze la mente è in
grado di predisporne di nuovi. Nel secolo scorso si sono realizzati molti studi su un modello della
conoscenza che assumeva i concetti organizzati in schemi o script, ossia “pacchetti” strutturati di
informazioni. Il termine script si usa per riferirsi a strutture concettuali flessibili in base alle quali le
conoscenze “sono organizzate attraverso appropriate sequenze di eventi in particolari contesti”. Questi
knowledge packet organizzano il nostro agire sociale. Schank ha elaborato ulteriormente il concetto di
script introducendo il concetto di Memory Organization Packets (MOP) e i Thematic Organization Points
(TOP). Questi ultimi corrispondono al livello più astratto, mentre i pacchetti di organizzazione mnestica
rappresentano le motivazioni e le azioni volte a raggiungere tale obiettivo.

7.3.6 Le strutture che organizzano la conoscenza non cambiano particolarmente nel corso degli anni e
alcune differenze si notano per script che riguardano la sfera personale. Ad esempio, la concezione
stessa della vecchiaia è diversa tra i giovani adulti e gli anziani: questi ultimi sono meno severi e si
preoccupano meno rispetto alle considerazioni dei giovani. Quindi, sul piano glottodidattico, l’uso di
tecniche di comprensione e sviluppo della competenza lessicale in L2 basate su schemi o script, può
essere strategicamente molto utile.

7.4 La memoria implicita produce un ricordo che agisce nel tempo senza che il soggetto ne sia
consapevole.

7.4.1 Per effetto priming si intende un meccanismo di riconoscimento inconscio, proprio della memoria
implicita, che consente di recuperare un’informazione di tipo uditivo, visivo o verbale a cui si è stati
sottoposti in precedenza. Si distingue tra un priming percettivo, si verifica attraverso prove come il
completamento di parole frammentate, e un priming concettuale, quando si sollecita una riflessione sul
significato delle parole. Tali risultati fanno presumere che in sede glottodidattica l’uso di attività
consapevolmente predisposte per sollecitare l’effetto priming possano rivelarsi molto efficaci,
soprattutto nei processi di apprendimento degli adulti e degli anziani.

7.4.2 La memoria episodica subisce un evidente declino nel corso degli anni, mentre la memoria
implicita sembra mantenere un buon livello di prestazione. Per molti studiosi tale differenza
rappresenta, peraltro, un’ulteriore conferma dell’esistenza di due sistemi di memoria differenti.

7.4.3 Esistono due tipi di priming: il priming percettivo e il priming associativo; quest’ultimo risente
dell’età perché gli anziani riscontrano maggiori difficoltà nel creare nuove associazioni, anche se gli
effetti dell’invecchiamento non incidono in modo rilevante sul priming.

Capitolo 8: La memoria prospettica

Quando si parla di memoria, è comune pensare alla facoltà che consente all’uomo di ricordare
conoscenze acquisite o eventi trascorsi. Capita spesso, tuttavia, di programmare azioni da svolgere in
un futuro più o meno lontano e di cui ci dobbiamo ricordare. Ciò è possibile grazie alla memoria
prospettica, che presiede proprio al ricordo di azioni ed eventi programmati nel futuro. L’importanza di
questo sistema di memoria è testimoniato dal fatto che se si fallisce in un compito di memoria
prospettica, si mette in discussione l’affidabilità della persona. Un compito di memoria consta di quattro
momenti: 1) ricordarsi che c’è qualcosa da fare; 2) ricordarsi cosa c’è da fare; 3) eseguire il compito; 4)
ricordarsi di averlo eseguito per non ripeterlo.

La memoria prospettica consiste nel ricordarsi di ricordare. Ovviamente, la memoria prospettica e la


memoria retrospettiva sono collegate fra loro. Ad esempio, comunicare qualcosa a qualcuno consta di
due momenti: pianificare e ricordare di comunicare un’informazione a X (memoria prospettica), e
ricordare il contenuto di cosa gli dobbiamo dire (memoria retrospettiva). Può succedere di ricordarsi il
contenuto, ma dimenticarsi di comunicarlo al momento che si era stabilito, o viceversa.

Sono diversi i fattori che possono influenzare l’esecuzione di un compito di memoria prospettica, ad
esempio la motivazione estrinseca o intrinseca o il contesto sociale. Distinguiamo, infatti, la Self-
Generated Intention e la Other-Generated Intention: nel primo caso l’intenzione scaturisce da bisogni
personali, nel secondo caso ci si riferisce alla pianificazione di intenti per rispettare determinate
scadenze. Sono fondamentali, quindi, il fattore motivazionale e il valore emotivo attribuito alla
pianificazione, ma non solo. Questi aspetti sono importanti anche nel tempo che intercorre tra la
pianificazione dell’intenzione e la sua realizzazione (intervallo di ritenzione).

8.1 Un compito di memoria prospettica può caratterizzarsi per due aspetti: l’evento (event-based) e il
tempo (time-based). Nel primo caso, il soggetto può ricorrere a strumenti esterni che ne facilitino il
ricordo, ma nel secondo caso questo non è possibile, e per questo implicano l’uso di strategie diverse.
Queste strategie possono basarsi su aiuti esterni, come ad esempio prendere un appunto, oppure
possono essere strategie interne, come ad esempio qualche formula mnemonica. L’80% della
popolazione preferisce ricorrere a promemoria di tipo esterno. Quindi, l’insuccesso di un compito di
memoria prospettica non sempre dipende da un malfunzionamento di questa, ma anche dall’uso di
strategie non adeguate. Nel caso degli anziani, essi sono in grado, grazie all’esperienza, di sviluppare e
mettere in atto le proprie strategie. Importante è notare come gli anziani dimostrino maggiori difficoltà
nei compiti prospettici basati sul tempo rispetto a quelli basati sull’evento; proprio per questo motivo
molto spesso trasformano un compito time-based in un event-based. Gli studi condotti sulla memoria
prospettica sono discordanti: alcuni dimostrano la conservazione del sistema nel corso degli anni, altri
affermano che questa sia compromessa.

8.2 Un compito di memoria prospettica si realizza attraverso una serie di fasi che vanno
dall’individuazione del contenuto (cosa) alla sua realizzazione (dove, quando) attraverso delle strategie
adeguate (come). Dal punto di vista glottodidattico, ciò suggerisce che l’importanza della pianificazione
condivisa in classe, lasciando loro il giusto tempo per ottenere un risultato soddisfacente nella
programmazione di orari, scadenze, compiti e impegni didattici che verranno rispettati.

Capitolo 9: La memoria autobiografica

La memoria autobiografica è coinvolta nella rievocazione degli eventi della nostra vita. Dipende dai
processi di ricollezione (rievocazione di informazioni contestuali di un evento passato collocato nello
spazio e nel tempo) e familiarità (sensazione dell’appreso al di fuori delle coordinate spazio-temporali),
ed è quindi un particolare aspetto della memoria a lungo termine. Il contenuto stesso di questo sistema,
la propria autobiografia, implica una relazione con l’universo emotivo e affettivo dell’individuo.
Riportare alla coscienza episodi della propria vita è un atto consapevole della memoria, ma il processo
ricostruttivo del proprio passato è il frutto di tanti fattori, come la percezione di noi stessi, la coscienza
autonetica, il ricordo emotivo, la connotazione positiva o negativa che attribuiamo ad un certo ricordo.
La memoria autobiografica contribuisce a formare la nostra identità, perché organizza e dà significato
alla nostra storia personale passata, ma è anche la base su cui immaginiamo e progettiamo il futuro.
Essa non è soltanto la rievocazione di un ricordo passato, ma è anche la consapevolezza di aver vissuto
determinati eventi. Dunque, si pone al centro del sé cognitivo ed emotivo, perché da un lato ci
permette di ricordare il nostro vissuto, dall’altro quel vissuto traccia i confini del concetto del sé, del
concetto che abbiamo di noi stessi.

9.1 In alcuni studi è stato proposto un modello che presuppone che i ricordi autobiografici siano generati
all’interno del cosiddetto Self-Memory System, costituito dall’interazione di aspetti dinamici (fluidi) del
sé, consapevoli e temporanei, con rappresentazioni del sé più stabili (cristallizzate) e permanenti. Una
distinzione importante del ricordo autobiografico riguarda, dunque, la suddivisione tra una componente
stabile ed una componente operativa transitoria.

9.2 All’interno del Self-Memory System vi è un’importante componente attiva che contiene il repertorio
di scopi del sé, definita sé operativo e contiene il sé concettuale, che riguarda le convinzioni e le
valutazioni, cioè le immagini che uno ha di sé. Il sé operativo è una parte del sistema operativo della
memoria di lavoro che presiede alla creazione di nuovi ricordi autobiografici nell’SMS regolando il
recupero e l’accesso alle conoscenze autobiografiche di base. In sostanza, il sé operativo è in grado di
creare le interconnessioni necessarie tra le rappresentazioni della conoscenza autobiografica e i ricordi
episodici.

9.2.1 I ricordi autobiografici possiedono un diverso grado di specificità e quindi ne sono definiti tre livelli.

9.2.2 Il primo livello riguarda i periodi di vita, ossia segmenti della vita che possono essere identificabili
con un inizio e una fine (quando andavo all’università). A volte questi periodi possono sovrapporsi
(quando andavo all’università vivevo a Roma) e costituiscono un repertorio di conoscenze tematiche e
una conoscenza temporale. I periodi di vita costituiscono dunque conoscenze generali che riguardano
luoghi, persone, attività che si riferiscono ad un determinato periodo, così come una valutazione
affettiva, positiva o negativa, su di esso (quando vivevo a Roma ero sempre spensierato). Importante è
anche il concetto di storia della vita, ossia una rete di conoscenze organizzate in una serie di tematiche
che identificano e danno significato alla vita. La storia della vita e i periodi di vita tracciano il profilo del
sé e della propria esistenza.

9.2.3 Il secondo livello riguarda gli eventi generali, ossia periodi più brevi rispetto ai periodi di vita e sono
più legati ad un singolo evento (il giorno del concerto) oppure si riferiscono ad azioni ripetitive (di sera
studio sempre). Glie eventi generali possono organizzarsi in mini-storie, che si riferiscono spesso a
determinate conoscenze o a relazioni umane (il giorno che ho conosciuto X). All’interno degli eventi
generali, inoltre, vi è una particolare categoria rappresentata da ricordi molto vividi relativi alla prima
volta che si è fatto qualcosa di particolarmente rilevante (la prima volta che ci si è esibiti in pubblico).

9.2.4 Infine, al terzo livello si collocano gli eventi specifici, che si riferiscono ai dettagli, della durata di
secondi o ore, di un evento generale. Glie eventi specifici consentono in un certo modo di rivivere un
determinato evento autobiografico. Essi sono, di fatto, i contenuti della memoria episodica.

9.3 La rievocazione dei ricordi autobiografici non è costante per le varie fasi di età della vita. In genere, i
ricordi che risalgono all’età dell’infanzia sono piuttosto scarsi, soprattutto per quelli compresi nella
fascia fino ai 5 anni. La difficoltà di accedere ai ricordi di questo periodo della vita viene definita amnesia
infantile. I ricordi che risalgono alla fascia d’età tra i 10 e i 30 anni diventano molto più accessibili, con un
picco tra i 15 e i 25 anni. In questa fase della vita l’individuo sviluppa la propria identità sociale, si
relaziona con gli altri e affronta molte nuove esperienze sul piano relazionale e personale. Molti di questi
eventi, che concorrono alla formazione del sé, potrebbero essere alla base del balzo del ricordo, proprio
per sottolineare la quantità e facilità di accesso ai ricordi di questa epoca dell’esistenza. Vi è poi un
periodo di cui si conserva meno ricordi, tra i 40 e i 50 anni, ed infine, vi è un effetto di recenza relativo
all’epoca più vicina al momento in cui avviene la rievocazione. È interessante notare che questa
distribuzione nella curva del ricordo non cambia nelle diverse culture e nel trascorrere del tempo e
nell’età senile. Ciò che invece cambia è la sensibilità alla memoria, ossia l’importanza e il valore che
ognuno dà al proprio rapporto con i ricordi nel corso della vita.

9.4 Il ricordo autobiografico negli anziani è più debole per quanto riguarda gli aspetti episodici,
mentre è preservato o addirittura migliore rispetto ai giovani adulti per quanto concerne gli aspetti di
tipo semantico. Ovviamente il fattore emotivo ha un ruolo molto importante nella costruzione del
ricordo autobiografico. Se rivivere una determinata esperienza della propria vita comporta un forte
coinvolgimento emotivo ed ha un significato presente, la modalità del ricordo sarà più vicina al punto di
vista originario, mentre la modalità dell’osservatore esterno sarà più frequente in una narrazione più
oggettiva dell’evento autobiografico.

Il metodo narrativo autobiografico all’interno di un percorso di apprendimento linguistico può essere


molto efficace per lo sviluppo dell’abilità orale in lingua straniera. L’insegnante dovrebbe, innanzitutto,
invitare l’allievo ad una libera rievocazione dell’evento autobiografico, per condurlo successivamente,
fornendo parole-chiave, a produrre la descrizione di un evento autobiografico sulla base di tre aspetti
essenziali riguardanti: aspetti specifici legati a fattori spazio-temporali, aspetti semantici e fattori
emotivi.

Capitolo 10: La memoria a breve termine

La memoria a breve termine è il sistema di memoria che presiede alla conservazione temporanea
dell’informazione necessaria all’esecuzione di un certo compito.

10.1 Durante il secolo scorso sono stati ideati diversi modelli che presupponevano l’esistenza di diversi
sistemi di memoria. Già William James aveva ipotizzato l’esistenza di due memorie, una primaria e una
secondaria; successivamente Waugh e Norman recuperarono la sua ipotesi. Il loro modello prevedeva
che un’informazione entrasse in uno spazio limitato (memoria a breve termine) dal quale in assenza di
ripetizione essa veniva eliminata permanentemente a causa del sopraggiungere di nuovi item. Se invece,
grazie alla ripetizione, l’informazione permaneva, allora essa poteva essere trasferita ad uno spazio in
grado di garantire un ricordo più stabile (memoria a lungo termine).

10.2 Il modello modale teorizza l’esistenza di più magazzini di memoria. L’input perviene alla memoria a
breve termine in cui viene codificato prevalentemente a livello fonologico. Poi, in base ai processi di
ripetizione, la traccia accede al magazzino a lungo termine che lo elabora sul piano semantico. Tuttavia,
questo modello presentava dei limiti: prevedeva che il passaggio dalla memoria a breve termine alla
memoria a lungo termine fosse in funzione dell’attività di ripetizione. Dunque quanto più la traccia
permaneva nella memoria a breve termine tanto più veniva ripetuta e aveva, pertanto, maggiori
probabilità di essere successivamente trasferita nella memoria a lungo termine. Questo processo non
venne confermato a livello neurologico.

10.3 Successivamente, fu elaborata un’ipotesi che superava il modello modale, quella dei livelli di
elaborazione. Secondo tale ipotesi la traccia non viene trasferita dalla memoria a breve termine a quella
a lungo termine in funzione del tempo di ripetizione, bensì in funzione della sua qualità, ovvero la
profondità di codifica di natura semantica. Sulla base di questa concezione, fu proposta un’ulteriore
distinzione tra ripasso di mantenimento e ripasso elaborativo. La ripetizione ha senso in funzione della
profondità di codifica ed in tal modo è funzionale all’apprendimento e all’elaborazione semantica.
Diversamente, se la ripetizione avviene solo a un primo livello di processazione che non coinvolge la
dimensione semantica, il risultato è solo un ripasso di mantenimento che può essere funzionale allo
svolgimento di un’operazione pratica, ma non ha le caratteristiche dell’apprendimento stabile. Nel
campo dell’educazione linguistica, la semplice codifica a livello fonologico e la didattica basata su
tecniche di ripetizione dei meccanismi morfosintattici della lingua target non garantisce l’acquisizione
stabile della lingua straniera, se non è accompagnata da un’adeguata codifica semantico-lessicale.

Sulla base del modello modale, si consolidava l’ipotesi che la memoria fosse costituita da più sistemi.
Baddeley e Hitch ipotizzarono l’esistenza di una memoria di lavoro, in grado sia di mantenere che di
elaborare le informazioni. Si tratta, dunque, di un sistema molto più complesso rispetto al semplice
immagazzinamento dell’informazione nella memoria a breve termine; infatti, quest’ultima è considerata
parte della memoria di lavoro. Craik sosteneva che la memoria di lavoro e la memoria a breve
costituissero un continuum passivo-attivo, tra una componente più passiva e una componente attiva
che richiede un’ulteriore elaborazione. Tuttavia, la memoria a breve termine presenza solo un lieve
declino con l’invecchiamento, mentre la memoria di lavoro è seriamente compromessa dal trascorrere
degli anni.

10.4 Lo span di memoria è la quantità di spazio disponibile nella memoria a breve termine, cioè il
numero di informazioni che il soggetto può ricordare immediatamente a seguito di un apprendimento.
Miller ipotizzò che la memoria immediata avesse, generalmente, 7 ± 2 elementi ricordati. Questi 7
elementi non devono essere considerati come assunti in modo isolato, perché la memoria a breve
termine è in grado di raggruppare gli elementi in unità superiori di significato o chunks. Ovviamente, a
maggior possibilità di chunking, corrisponde maggior disponibilità di spazio per ulteriori item in entrata.
Questa caratteristica della memoria a breve termine fornisce un suggerimento importante per
l’insegnamento delle lingue straniere. Se infatti si propongono agli allievi liste di parole non correlate fra
loro, non associabili e non raggruppabili in frasi di senso compiuto, gli allievi avranno maggiori difficoltà
ad apprenderne più di un certo numero.

Rispetto all’invecchiamento, la letteratura conferma una riduzione modesta dello span di memoria a
breve termine a confronto di un declino evidente dello span di memoria di lavoro. Questo
probabilmente perché quest’ultimo sistema, dovendo coordinare allo stesso tempo diversi sottosistemi,
riduce lo span distribuendo tra questi le risorse disponibili. Da un punto di vista glottogeragogico, il
continuum passivo-attivo di Craik indica di utilizzare strategie e tecniche didattiche in task che non
richiedano un eccessivo carico cognitivo e quindi si concentrino su un unico compito da svolgere.
Quindi, il dettato, ad esempio, potrebbe risultare inappropriato non solo perché il sistema sensoriale
può essere deficitario, ma anche perché obbligherebbe l’allievo anziano a ricorrere
contemporaneamente a più sotto-abilità (ascoltare, codificare, comprendere, scrivere, ecc.). Sarebbe
più appropriato il completamento di una griglia, invece, come verifica della comprensione orale e non
richiede eccessive risorse.

Capitolo 11: La memoria di lavoro

11.1 La memoria di lavoro è il sistema di memoria che pensa a ciò di cui ci stiamo occupando. Per
svolgere un compito essa assume la funzione di mantenimento temporaneo dell’informazione e di
controllo attentivo nell’esecuzione dei processi di elaborazione cognitiva. Ha, dunque, un ruolo centrale
nelle attività di problem solving, di ragionamento e di pianificazione nella vita quotidiana.

Negli anni Settanta molti esperimenti, basati sul doppio compito, hanno dimostrato che lo svolgimento
contemporaneo di due compiti di natura diversa risultava meno difficile dello svolgimento di più compiti
simili che gravassero sullo stesso tipo di sistema. Tuttavia, gli esperimenti dimostrarono che la
prestazione risultava sì compromessa, ma non al livello devastante che si poteva immaginare. Tali
osservazioni hanno condotto al superamento della visione unitaria della memoria a breve termine del
modello modale e a supporre l’esistenza di diversi sistemi relativi al tipo di materiale da ricordare.

Baddeley e Hitch proposero il primo modello multicomponenziale della memoria a breve termine che
prevede due sottosistemi: il ciclo fonologico, deputato all’elaborazione del materiale verbale e dunque
fondamentale nella comprensione del linguaggio e un taccuino visuo-spaziale responsabile
dell’elaborazione delle immagini visive. Entrambi questi sottosistemi sono dipendenti dall’esecutivo
centrale, ossia un sistema di controllo attentivo in grado di coordinare i due sottosistemi. Baddeley
rappresenta le caratteristiche e il funzionamento dell’esecutivo centrale attraverso il Supervisory
Attentional System. Esso non ha la capacità di immagazzinamento di informazione, ma è l’elemento
centrale del modello, in quanto gestisce e distribuisce le risorse attentive da distribuire ai vari sistemi
periferici. Successivamente, Baddeley ha introdotto nel modello un ulteriore componente, il buffer
episodico, che svolge l’importante funzione di integrare le informazioni provenienti dal ciclo fonologico
e dal taccuino visuo-spaziale in episodi coerenti attraverso l’attività di chunking, ma soprattutto
rappresenta un contatto tra la memoria a breve termine e la memoria a lungo termine.

11.1.1 Il ciclo fonologico (o loop articolatorio) è deputato all’immagazzinamento e all’elaborazione del


materiale verbale. A sua volta è diviso in due componenti: uno magazzino fonologico che trattiene per
pochi secondi l’informazione destinata a perdersi se non interviene il secondo sistema, il circuito
articolatorio che attraverso la ripetizione rinfresca la traccia inviandola nuovamente al magazzino
fonologico.

11.1.2 La traccia permane per circa 2 secondi nel ciclo fonologico se non interviene l’articolazione
subvocalica. Ne consegue che una parola più lunga occuperà uno spazio maggiore e richiederà più
tempo per la ripetizione. Il ciclo fonologico svolge una funzione importante anche nell’apprendimento
delle lingue straniere, soprattutto nell’apprendimento del lessico. Esso, infatti, svolge un ruolo
fondamentale nell’apprendimento a lungo termine. Tuttavia, a causa della scarsa letteratura
sull’apprendimento delle lingue straniere negli adulti, non sono state condotte molte ricerche sul ruolo
della memoria di lavoro e l’apprendimento delle lingue straniere per questa fascia di popolazione.

11.2 La memoria visuo-spaziale è suddiviso a sua volta in una componente che elabora gli stimoli (what
system) e una componente che fornisce informazione sulla collocazione spaziale degli oggetti (where
system). Tale sistema è in grado di elaborare le informazioni visuo-spaziali provenienti sia dal sistema
percettivo che dai sistemi di memoria a lungo termine; è dunque in grado di trattenere ed elaborare sia
informazioni visive provenienti dall’esterno sia rappresentazioni visuo-spaziali interne definite appunto
immagini mentali. Secondo diversi studi la componente cognitiva visuo-spaziale è più vulnerabile al
trascorrere degli anni della componente verbale.

11.3 La letteratura ha ampiamente confermato il rapporto tra il deficit della memoria di lavoro e
l’efficienza cognitiva. Si è già osservato che lo spandi memoria nei compiti complessi è minore per la
popolazione anziana rispetto ai giovani. Altre ricerche mettono in relazione il deficit cognitivo alla
ridotta velocità di elaborazione o alla capacità di inibire le informazioni non rilevanti all’interferenza.

11.4 La velocità di elaborazione delle informazioni è un fenomeno che riguarda tutto l’arco della vita:
essa aumenta dopo l’infanzia, si mantiene nell’età adulta e decade con l’invecchiamento. Salthouse
indica nella diminuzione della velocità di elaborazione il fattore determinante dei cambiamenti della
memoria e di altre funzioni cognitive nell’invecchiamento.

La teoria della velocità di elaborazione include due importanti meccanismi responsabili del
rallentamento cognitivo nell’anziano: il meccanismo del tempo limitato e il meccanismo di simultaneità.
Il meccanismo del tempo limitato si riferisce all’eccessivo rallentamento con cui vengono eseguite
determinate operazioni cognitive, che a causa di ciò non possono essere adeguatamente portate a
termine e riducendo il tempo disponibile alle operazioni successive. Tale meccanismo è, secondo
Salthouse, particolarmente evidente quando vi sono limiti di tempo imposti dall’esterno e in relazione
alla complessità del compito: più è complesso e più è probabile che per la sua esecuzione siano
necessarie un certo numero di operazioni. Sotto il profilo glottogeragogico è giusto tener presente due
aspetti fondamentali: il tempo lasciato a disposizione per eseguire il compito e la complessità di
quest’ultimo. Il meccanismo di simultaneità implica invece che, a causa della minor velocità di
elaborazione, non siano contemporaneamente disponibili le informazioni necessarie ad operazioni
cognitive complesse. È possibile, infatti, che esse a causa del rallentamento del processo siano
disponibili troppo tardi, ossia quando è cambiato il compito e non sono più pertinenti.

11.5 Molti studi confermano che il fenomeno dell’interferenza è più marcato negli anziani rispetto ai
giovani adulti. Diversi esperimenti hanno dimostrato, infatti, che gli anziani dimostrano più difficoltà ad
ignorare informazioni non rilevanti e sono più sensibili ai distrattori. È interessante notare, ai fini
glottodidattici, che alcuni studi hanno dimostrato come il bilinguismo possa essere un ottimo antidoto
contro il fenomeno dell’interferenza. Negli anziani i meccanismi di inibizione selettiva non sono
efficienti, di conseguenza una maggior quantità di informazioni accede ed è attiva nella memoria di
lavoro e fra queste vi sono associazioni o significati non pertinenti o interpretazioni non coerenti al
contesto. Ciò produce interferenza a livello di codifica e recupero e pregiudica l’attività mnestica.

11.6 Il rapporto tra l’invecchiamento e il declino della memoria di lavoro è assunto anche nei termini di
una diminuzione dell’efficacia del sistema di controllo cognitivo. La necessità di affrontare diversi
compiti implica, infatti, che vi siano dei meccanismi in grado di coordinare e rendere flessibili le
operazioni cognitive necessarie, ad esempio, a mantenere attive più informazioni o a spostare il focus
dell’attenzione da un compito ad un altro (task switching). Alcuni studi indicano che il deficit del
controllo cognitivo non è omogeneo. Infatti, i costi cognitivi sono diversi per i compiti di task switching.
Vi è una differenza tra lo spostamento di attenzione tra aspetti diversi relativi ad uno stesso stimolo
(local task switching), e compiti che prevedono la contemporanea attivazione e mantenimento di
informazioni relative a compiti diversi (global task switching).

Il processo di accesso o uscita delle informazioni dal focus dell’attenzione viene definito focus switching.
Tale processo non sembra essere vulnerabile al trascorrere degli anni.

Capitolo 12: I fenomeni di compensazione e la plasticità neuronale

Le tecniche di imaging come la PET (Tomografia a Emissione di Positroni), e la fMRI (Risonanza


Magnetica Funzionale) permettono di osservare le aree cerebrali maggiormente coinvolte durante le
normali funzioni dell’encefalo e, dunque, localizzare le aree neurali sottostanti ai diversi processi
cognitivi.

12.1 Il modello HERA venne proposto negli anni Novanta e mise in evidenza il ruolo fondamentale della
corteccia prefrontale nelle attività di memoria episodica. Molte ricerche basate sul PET hanno
consentito di rilevare un’asimmetria nell’attivazione della corteccia prefrontale sinistra e destra in
funzione delle specifiche attività di codifica o di rievocazione. Si è potuto osservare che le regioni
corticali prefrontali dell’emisfero sinistro si attivano maggiormente nell’attività di codifica di nuove
informazioni nella memoria episodica, almeno per quanto riguarda il materiale verbale. Le ricerche
sperimentali basate sul PET utilizzavano attività come la produzione di verbi (verb-generation), in cui ai
partecipanti veniva fornito un nome a cui essi dovevano associare un verbo semanticamente appropriato
(ad esempio, al nome fornito libro può essere associato il verbo leggere), oppure attività di ripetizione di
parole lette o ascoltate.

Nel primo tipo di attività è evidente il coinvolgimento della memoria semantica oltre alla codifica nella
memoria episodica e di conseguenza è richiesta una codifica più profonda della semplice attività di
ripetizione. Mentre le aree della corteccia prefrontale destra sono attive nel recupero delle
informazioni dalla memoria episodica sia per quanto riguarda materiale verbale, sia per altri tipi di input.
Quindi, da un punto di vista neurofisiologico, il modello HERA conferma la separazione tra memoria
semantica e memoria episodica. Un’ulteriore osservazione riguarda il ruolo della familiarità e della
novità del compito. Si è notato, infatti, che negli esperimenti che comprendevano compiti di verb-
generation la corteccia prefrontale sinistra, nell’attività di codifica, si attivava solo quando i nomi a cui
associare i verbi erano nuovi, mentre l’attivazione scompariva se il tipo di task veniva ripetuto con gli
stessi nomi. È dunque possibile supporre che l’attivazione della memoria episodica riguardi solo un
input nuovo, mentre le operazioni di codifica della corteccia prefrontale sinistra scompaiono quando
l’input è familiare e non necessita di ulteriore codifica. Tale asimmetria si riduce negli anziani.

12.2 Il modello HAROLD si basa sull’osservazione di un importante processo di riorganizzazione


funzionale dei circuiti neurali osservabile nell’attività cognitiva dell’anziano. Tale modello presuppone
che la diminuzione dell’asimmetria della corteccia prefrontale proposta nel modello HERA, sia un
processo di compensazione neurale per sopperire ad una maggiore difficoltà nei processi cognitivi
dell’anziano. Il modello HAROLD viene confermato anche dagli esperimenti che riguardano la memoria
di lavoro. Negli adulti giovani è possibile, infatti, riscontrare un’evidente lateralizzazione a sinistra se il
compito prevede materiale verbale, e a destra se l’esperimento è incentrato su materiale non verbale e
visuo-spaziale. Negli adulti anziani, invece, in entrambi i casi si nota una maggiore attivazione bilaterale.
L’adulto anziano possiede minori risorse neurali per affrontare un determinato compito cognitivo. Di
conseguenza, il cervello cerca di sopperire a tale deficit recuperando nell’altro emisfero risorse
disponibili. Un’altra ipotesi, invece, sostiene che il fenomeno della riduzione dell’asimmetria emisferica
non sia un fenomeno di compensazione, quanto piuttosto conseguenza della difficoltà dell’anziano di
attivare circuiti neurali specifici per un determinato compito. Tale ipotesi si basa sul principio della
dedifferenziazione, ossia una progressiva riduzione della specificità di tali circuiti. È importante
sottolineare che le due ipotesi non sono incompatibili, infatti la dedifferenziazione potrebbe essere
interpretata, a sua volta, come una forma di compensazione. Nell’invecchiamento avvengono
mutamenti strutturali e funzionali che modificano l’attività cerebrale. Di conseguenza cambiano le
strategie che devono adeguarsi a tale processo ed emergono quindi fenomeni di compensazione.

12.3 Il modello CRUNCH supporta l’esistenza di processi di compensazione nel cervello per far fronte
alle diverse limitazioni funzionali e strutturali che caratterizzano l’invecchiamento. Tuttavia, quando la
performance è piuttosto scarsa l’iperattivazione neurale viene interpretata in termini negativi, in
quanto essa viene correlata ad una scarsa capacità di selezionare strategie efficaci. In altri casi, invece,
quando la performance tra gruppi di adulti giovani e anziani presenta caratteristiche simili,
l’iperattivazione neurale è stata spesso interpretata come un fattore compensatorio e dunque dagli
effetti positivi. Un’ulteriore interessante ipotesi riguarda la default mode network (connettività
funzionale intrinseca), cioè una rete neurale che coinvolge diverse aree corticali che si attiva nei
momenti di riposo o attività passive in cui il cervello non è impegnato nello svolgimento attivo di un
compito. Quando invece il cervello si focalizza su un determinato compito, la default mode network si
disattiva. Gli anziani dimostrano una minore possibilità dei giovani di disattivare la connettività
funzionale estrinseca, e ciò sarebbe un’ulteriore spiegazione della necessità di compensazione
attraverso l’iperattivazione delle aree frontali.

12.4 Il modello PASA si basa sul nesso tra l’iperattivazione delle regioni della corteccia prefrontale e la
dedifferenziazione delle aree occipito-temporali. L’ipotesi di questo modello è che la riduzione
dell’attività di tali aree sia un fenomeno di compensazione dovuto all’invecchiamento,
indipendentemente dal grado di difficoltà che si presenta, poiché si verifica anche in presenza di compiti
che richiedono un basso carico cognitivo. Il modello PASA descrive uno schift tra diverse aree corticali
che comporta fenomeni di iperattivazione e di deattivazione.

12.5 Il modello STAC (Scaffolding Theory of Aging and Cognition) evidenzia i fattori funzionali e le
caratteristiche del cervello nell’invecchiamento, durante il quale assistiamo alla riduzione volumetrica e
di peso di alcune aree del cervello, e in particolare la diminuzione della materia bianca. Perciò, come
fenomeno di compensazione, il cervello attiva delle strutture di supporto (scaffolding), dei circuiti
neurali aggiuntivi che consentono di sopperire alle conseguenze dell’invecchiamento. L’iperattivazione
delle aree prefrontali è dunque un fenomeno di compensazione, riconducibile al principio di omeostasi,
un processo adattivo del cervello per sopperire al declino cognitivo. Tali circuiti si attivano ogniqualvolta
il cervello si trova impegnato in nuove sfide cognitive. È importante notare che il modello STAC è inteso
sia come un meccanismo di compensazione in età senile, sia come sviluppo dinamico neurale presente
durante tutto l’arco della vita, come una normale risposta ai processi cognitivi.

Ovviamente, elementi genetici legati alla salute, e le esperienze vissute nella vita, fanno in modo che la
quantità e la qualità dell’attività cognitiva e di scaffolding sia legata anche a fattori soggettivi. Tuttavia, è
importante tener conto a fini glottodidattici, che l’attività in grado di migliorare il processo di scaffolding
è senza dubbio una costante attività cognitiva, il confrontarsi con nuove sfide intellettuali, che aiutano
inoltre il cervello a contrastare il declino funzionale e a sostenere una buona capacità intellettiva,
migliorando in generale i processi di compensazione.

12.6 L’ipotesi della riserva cognitiva, proposta da Stern, può essere considerata complementare al
modello STAC. Tale ipotesi si basa sull’evidente discrepanza osservata in molti pazienti tra il danno
cerebrale dovuto all’Alzheimer o altre forme di demenza, e la manifestazione di tali patologie. In molti
studi post mortem si è riscontrato un elevato grado di degenerazione neurale dovuto ad Alzheimer
senza che il soggetto avesse manifestato in vita sintomi di tale malattia. Il fatto che alla gravità del
danno patologico non corrisponda una manifestazione cognitiva coerentemente deficitaria, lascia
supporre l’esistenza di una qualche forma di compensazione a cui il cervello può attingere per sopperire
al deficit cognitivo. Sulla natura della riserva cognitiva sono state formulate diverse ipotesi; essa è
interpretata come:

- processo passivo, di soglia (brain reserve) → corrisponde al livello di danno sostenibile prima
che le conseguenze possano manifestarsi. In quest’ottica, la riserva sarebbe una capacità,
variabile da individuo a individuo, che una volta colmata lascia emergere i sintomi della
patologia. Tale modello viene definito passivo proprio in quanto implica una visione
quantitativa, sulla base di caratteristiche dell’individuo determinate, che non tengono in conto i
processi e le strategie alle quali egli può ricorrere durante l’attività cognitiva.
- processo attivo, dinamico (cognitive reserve) → tale processo si focalizza, al contrario, proprio
sulle caratteristiche soggettive dei processi a cui l’individuo ricorre nell’affrontare un
determinato compito. Osserva le differenze individuali in termini qualitativi, ossia all’abilità di
utilizzare reti neurali integre per compensare positivamente il danno cognitivo. In questa
prospettiva non conta tanto la quantità di substrati neurali, quanto la qualità dell’organizzazione
delle reti neurali disponibili.

Stern ha in seguito elaborato ulteriormente la teoria della riserva cognitiva: oltre alla riserva cerebrale,
essa sarebbe composta da:

- una riserva neurale → è il grado di efficienza, capacità o flessibilità delle reti neurali di cui un
individuo sano dispone. Quanto maggiori sono tali caratteristiche, maggiore è la possibilità che
egli ha di far fronte all’insorgenza di eventuali patologie.
- una compensazione neurale → è il grado di abilità dell’individuo di ricorrere a circuiti diversi da
quelli che normalmente userebbe un soggetto senza patologie per sostenere la performance.

In quest’ottica la riserva cognitiva è data dalla qualità delle reti neurali disponibili e dall’abilità di
sfruttarle.

La qualità e la quantità di riserva cognitiva disponibile sono dunque fondamentali e costituiscono


un’importante risorsa per affrontare i cambiamenti che accompagnano il normale invecchiamento del
cervello. È importante tenere a mente che il grado di compensazione e la sua efficacia varia da individuo
a individuo. Da questo punto di vista l’istruzione e la formazione possono essere fattori determinanti
per la qualità della riserva cognitiva, perché possono ritardare l’insorgenza di Alzheimer. Tra le tante
attività intellettuali che possono incrementare la riserva cognitiva, lo studio delle lingue straniere
sembra avere un ruolo principale.

12.7 Una grande risorsa del nostro sistema nervoso riguarda la sua plasticità, ossia il processo strutturale
e funzionale che consente al sistema nervoso di adattarsi a stimoli diversi attraverso un processo di
flessibilità cerebrale. Il sistema nervoso è, infatti, in grado di modificarsi in modo permanente, sia sul
piano funzionale che strutturale, sulla base dell’esperienza e dell’interazione dell’individuo con
l’ambiente e con il mondo nel corso della sua esistenza. Il bambino apprende la lingua madre in modo
innato, questo perché il linguaggio è una facoltà biologica che si basa su specifiche aree neurali.
Tuttavia, grazie ai cambiamenti concessi dalla plasticità neuronale, è possibile imparare più lingue nel
corso della vita, anche in età avanzata. A seconda del periodo di vita e al modo in cui avviene
l’acquisizione e al livello di competenza raggiunto è possibile parlare di bilinguismo o di plurilinguismo.
Con il termine bilinguismo si definisce un individuo che ha acquisito due o più lingue nell’infanzia e che
è in grado di parlarle con livello di competenza simile. A seconda dei criteri e parametri di osservazione
è possibile stabilire diverse tipologie e diversi gradi di bilinguismo:

- bilinguismo primario → acquisizione spontanea di una lingua in età prescolare;


- bilinguismo secondario → apprendimento che avviene in un periodo successivo ai 6-7 anni;
- bilinguismo simultaneo → nei contesti familiari bilingui in cui le due lingue sono normalmente
usate;
- bilinguismo consecutivo → il bilinguismo è raggiunto in un determinato contesto in seguito
all’acquisizione della lingua madre (famiglie migranti);
- bilinguismo composto → il parlante possiede un sistema unitario in quanto due parole fanno
riferimento ad un unico sistema concettuale;
- bilinguismo coordinato → i due lemmi fanno riferimento a due sistemi indipendenti, con uno
specifico rapporto tra significante e significato.

È fondamentale, tuttavia, sapere che la condizione di bilinguismo non appartiene esclusivamente


all’infanzia, infatti è possibile sviluppare una competenza bilingue anche nelle altre fasi della vita,
compresa l’età adulta, anche se l’acquisizione linguistica comporta uno sforzo maggiore. In ogni caso, il
bilinguismo deve essere considerato un fattore positivo. Un primo grande aspetto di interesse riguarda
il rapporto tra bilinguismo, processi cognitivi e riserva cognitiva. Infatti, i soggetti bilingui sviluppano
maggiormente i processi attentivi in ordine alle abilità di switching, di selezione e inibizione. Il
bilinguismo, infatti, costituisce un fattore importante per la riserva cognitiva e l’effetto che esso
produce su di essa si protrae lungo tutto l’arco della vita. Un aspetto rilevante emerge, inoltre, da
un’indagine su un eventuale rapporto tra grado di istruzione e la probabilità di insorgenza dei sintomi di
Alzheimer. Il dato interessante è che i benefici del bilinguismo si presentano maggiormente per coloro
che hanno un minor grado di istruzione, mentre era meno evidente per coloro con un grado di
istruzione maggiore (+12 anni). Una spiegazione possibile è che i pazienti con alto grado di istruzione
hanno già raggiunto il livello massimo di riserva cognitiva. Ciò implica, dunque, l’ esistenza di un tetto
all’accumulo di riserva.

12.8 Vi sono due principali teorie rispetto alla diversa organizzazione dei circuiti neurali in L1 e L2. La
prima stabilisce che le differenze sono conseguibili alla diminuzione della plasticità neuronale. Mentre,
infatti, in coloro che apprendono la L2 nell’infanzia i circuiti utilizzati per la L1 sono simili a quelli utilizzati
per la L2, in coloro che apprendono la lingua in età adulta l’attivazione coinvolge ulteriori aree neurali
per sostenere l’apprendimento. In questa prospettiva il fattore età ha evidentemente un ruolo
fondamentale. Una diversa teoria sostiene invece che le differenze nell’attivazione dei circuiti neurali
nell’acquisizione dalla L1 e della L2 dipendono piuttosto dal diverso grado di competenza. Essendo
questa minore nella L2 aumenta la richiesta di supporto neuronale (scaffolding) e si attivano ulteriori
circuiti.

12.9 Da alcuni studi emerge che grazie alla plasticità neuronale, l’apprendimento delle lingue straniere,
anche in età adulta, comporta variazioni nel volume della materia grigia in alcune aree cerebrali e aiuta
a preservare la materia bianca. Ciò vuol dire che anche l’apprendimento in fasce d’età della vita più
avanzate può favorire il consolidamento della riserva cognitiva. Dai vari esperimenti effettuati, emerge
che i processi di plasticità neuronale conseguenti all’apprendimento delle lingue straniere oltre che al
fattore età, sono riconducibili anche al tempo di esposizione alla lingua straniera, al livello di
competenza raggiunto ed al suo uso nel corso della vita. Sulla base di queste osservazioni risulta
evidente, sotto il profilo dell’educazione linguistica, che specifiche caratteristiche del corso di lingue sia
di tipo organizzativo, sia di tipo metodologico possono contribuire in modo importante a creare
condizioni ideali per conservare e possibilmente incrementare la materia grigia nelle aree del linguaggio
ad ogni età.

12.10 La materia bianca ha il compito di consentire, di controllare e facilitare la trasmissione


dell’informazione tra diverse aree neurali fra loro interconnesse. La plasticità del cervello, come per la
materia grigia, implica variazioni anche nella materia bianca in relazione all’apprendimento linguistico. Il
rapporto positivo tra bilinguismo e maggior integrità della materia bianca negli anziani e questo può
rappresentare un’ulteriore conferma sull’effetto positivo che esso svolge sulla riserva cognitiva, anche
in età adulta e in età senile. L’attività intellettuale e l’apprendimento concorrono a costituire la riserva
cognitiva necessaria a far fronte alle sfide che la ita attiva e relazionale richiede ogni giorno all’anziano.
La condizione di bilinguismo, inoltre, sembra ritardare l’insorgenza di forme di demenza.

Capitolo 13: Insegnare le lingue a studenti anziani: un modello glottodidattico

13.1 Il termine che può aiutare a comprendere il modello proposto è scaffolding; il termine in ambito
educativo è una metafora che indica un insieme di strategie di aiuto utilizzate da un individuo esperto
per agevolare il processo di apprendimento di qualcun altro meno esperto. Nel nostro caso, ha una
accezione più ampia: oltre alle strategie che il docente può e deve mettere in atto, rientrano tutte le
risorse dell’individuo (cognitive, emotive, esperienziali, fisiche, ecc.), utili per compensare le perdite e i
cambiamenti dovuti all’età. La competenza comunicativa in lingua straniera è raggiungibile da uno
studente anziano grazie all’azione di scaffolding cognitivo-emozionale che sfrutta sia le risorse di riserva
e di compensazione interne di tipo cognitivo, psicologico, biografico, sia le risorse esterne provenienti
dall’ambiente nel quale l’anziano ha interagito nel corso della sua vita e nel quale interagisce nel
presente.

Lo Scaffolding cognitivo-emozionale vuole essere quindi un modello:

- ecologico, nel senso che riconosce il ruolo che hanno nella conoscenza di una lingua straniera sia
l’ambiente nel quale l’individuo vive e impara sia le capacità interne di trovare percorsi di
apprendimento personali;
- umanistico, in quanto considera l’apprendente nei suoi aspetti cognitivi, psicologici,
psicoaffettivi, emotivi e biografici;
- olistico, perché prende in considerazione il quadro complessivo delle risorse e delle strategie
che l’anziano è in grado di utilizzare per adattarsi alle sfide connesse ad un percorso di
formazione linguistica in età avanzata.

13.2 Tra i fattori estrinseci che influenzano direttamente le modalità e le possibilità di apprendimento
linguistico ci sono la struttura fisica dell’ambiente formativo e le caratteristiche degli stimoli sensoriali
nei contesti didattici. Sono variabili che acquistano ancora più importanza quando gli studenti sono
anziani caratterizzati da deficit sensoriali fisiologici correlati con l’età, soprattutto vista e udito.

13.2.1 L’attenzione per l’aspetto e la disposizione degli elementi fisici nell’aula destinata ad ospitare un
corso di lingua straniera è importante per diverse ragioni. L’ambiente formativo è lo spazio che
“contiene” l’esperienza formativa degli studenti, che influisce sulle performance, e che quindi deve
rispondere alle loro necessità didattiche e di socializzazione.

13.2.2 È possibile neutralizzare almeno in parte gli effetti dei cambiamenti sensoriali dovuti all’età e
ridurre al minimo i problemi causati dal declino visivo e uditivo nella classe di lingua straniera
composta da studenti anziani adottando una serie di adattamenti dello spazio dell’aula e della
disposizione degli allievi, e mettendo in pratica azioni didattiche compensative.

13.2.3 L’organizzazione dello spazio e degli arredi dell’aula va predisposta facendo attenzione affinché
non ci siano troppi riflessi luminosi, accertandosi per esempio che le finestre siano schermate da tende;
che le postazioni degli studenti siano adeguatamente illuminate e organizzate in modo che tutti
possano vedere direttamente l’insegnate e le fonti visive; che chi ha maggiori problemi uditivi sia
posizionato più vicino alle fonti sonore. Vanno inoltre eliminate o ridotte le fonti di rumore esterno o di
fondo, tenendo sotto controllo anche il brusio di fondo che può esserci durante lo svolgimento di
attività collaborative, di gruppo o di coppia nelle quali gli studenti parlano tra loro
contemporaneamente.

13.2.4 Alcune azioni compensative che l’insegnante può mettere in atto sono:

- rallentare la velocità dell’eloquio e scandire in modo chiaro l’enunciato, senza utilizzare


l’elderspeak;
- far ascoltare più volte uno stesso testo orale;
- utilizzare fonti audio senza rumori di fondo o sono comunque attenuati quando gli attori
parlano;
- proporre dialoghi o conversazioni con voci chiaramente distinguibili;
- dare tempi più lunghi allo studente per rispondere alle domande e per abituare la vista a
cambiamenti luminosi;

In questo modo si possono dare agli studenti anziani gli strumenti necessari per costruire quella
sicurezza comunicativa che permetterà loro di provare ad usare la LS quando che si troveranno in
contesti autentici.

13.2.5 Non soltanto l’insegnate può mettere in atto direttamente delle azioni compensative, ma lo stesso
studente anziano può attivare e sfruttare delle strategie di compensazione in grado di limitare i
problemi di esecuzione delle prestazioni dovuti a deficit sensoriali. Con l’avanzare dell’età si colgono gli
aspetti essenziali della realtà che viene più vista ed ascoltata con il cervello piuttosto che con gli occhi e
le orecchie; è il fenomeno della costanza percettiva, che permette all’anziano di mantenere la
percezione visiva o uditiva anche se variano le modalità con le quali lo stimolo si presenta. Riguardo alla
vista ci sono tre strategie percettivo-cognitive legate all’anzianità: la costanza percettiva, la capacità di
trascurare i dettagli e i particolari non significativi delle immagini concentrando l’attenzione sulla forma
nel suo complesso e l’esperienza passata. Integrare supporti visivi e utilizzare la ripetizione,
contestualizzare i testi che si vanno ad ascoltare o a leggere, anticipare gli argomenti trattati nel testo
può ridurre di conseguenza lo svantaggio dovuto al decadimento sensoriale.

13.3 Tra gli aspetti che rimangono stabili o possono migliorare con il passare degli anni ci sono le
componenti emotive, psicoaffettive e motivazionali. Proprio grazie a questa loro stabilità giocano un
ruolo protettivo nel declino cognitivo e compensano le prestazioni degli anziani in compiti di memoria di
lavoro annullando o riducendo le differenze causate dall’età. Al proposito lo studio oggi più influente è
la Teoria della selettività socio-emotiva, coerente con il modello SOC di Baltes.

Dal punto di vista relazionali l’anziano tende a selezionare i rapporti con gli altri mantenendo
l’interazione con poche persone che gli danno sicurezza, e a dare un profondo significato emotivo alle
relazioni che rimangono; dal punto di vista emotivo tende ad apprezzare e ottimizzare gli aspetti
positivi della vita e degli eventi e ad allontanare quelli negativi, in quello che è stato definiti “effetto
positività”.
13.3.1 La didattica delle lingue assume una prospettiva definita umanistico-affettiva. L’apprendimento
delle lingue quindi prende in considerazione i processi psicologici dell’apprendente, la sua fisicità, le
componenti psicoaffettive ed emotive che influenzano l’acquisizione linguistica.

13.3.2 Costruire e gestire la relazione docente-discente nella classe di lingue con apprendenti anziani è di
primaria importanza. Nei contesti formativi con studenti anziani il fatto principale che caratterizza le
relazioni è l’asimmetria dovuta al gap generazionale che spesso divide il docente giovane dai discenti
vecchi. Ciò comporta innanzitutto la necessità da parte dell’insegnante di avere una visione realista
delle caratteristiche e della capacità di questa categoria di studenti, evitando pregiudizi ma anche
visioni troppo ottimistiche della vecchiaia. L’anziano, proprio grazie alla selettività socio-emotiva, è in
grado di costruire un legame emotivamente molto forte con l’insegnante. Uno strumento che può
aiutare è il patto formativo: strumento di copianificazione e di condivisione dei percorsi di
apprendimento, degli obiettivi e dei metodi per raggiungerli, delle modalità per la valutazione, basato su
una corresponsabilità di docente e discenti e sulla consapevolezza di bisogni e capacità.

13.3.3 In molti casi le agenzie formative non organizzano classi di lingua straniera omogenei per età.
Interessanti in merito sono le diverse ricerche effettuate: da una emerge che gli studenti anziani e i
docenti preferiscono corsi “misti” per età, pur sottolineando i possibili problemi, come per esempio la
difficoltà dei giovani di accettare i tempi più lunghi di apprendimento e di esecuzione degli anziani. Da
un’altra ricerca emerge, invece, che gli anziani preferiscono compagni di classe della stessa età e con
competenze linguistiche non troppo diverse dalla propria. Pur senza negare il valore
dell’intergenerazionalità dal punto di vista sociale e psicologico, una possibile soluzione sarebbe creare
corsi di lingue specifici per apprendenti anziani e nel contempo predisporre attività extrascolastiche
che favoriscano i contatti e la comunicazione con studenti di diverse età.

13.4 La creatività nella terza età è distaccata dalle pressioni sociali e permette di mantenere un ruolo
partecipativo a livello socio-culturale. L’invecchiamento di successo è anche un “invecchiamento
creativo”, che però deve trovare “luoghi creativi” per essere realizzato. Creatività e saggezza intese
come capacità di trovare nuove soluzioni usando modelli noti, divengono perciò altri punti di appoggio
in grado di fare da scaffolding allo sviluppo di competenze linguistiche nella terza età.

13.5 Progettare un percorso didattico per insegnare le lingue straniere ad una classe di studenti anziani
significa definirne il curricolo, inteso come lo strumento che permette di tradurre lo scopo
dell’insegnamento di lingua straniera in un progetto glottodidattico. La prima caratteristica che deve
avere un curricolo di lingue straniere per studenti anziani è l’inclusività, la capacità di includere senior
oggi esclusi dai percorsi formativi di lingue. Gli anziani che oggi sono esclusi dalla formazione linguistica
possono essere inclusi se si propone loro un curricolo che non risponda solo ad esigenze di tipo
comunicativo, ma un curricolo più centrato sui contenuti, sull’espressione della propria esperienza e sui
modi di affrontare problemi e sfide della vita quotidiana.

13.5.1 Quali lingue è preferibile imparino gli studenti anziani e quali livelli di competenza possono
raggiungere? Da una indagine risulta che gli informanti senior esprimono in maggioranza la volontà di
raggiungere soglie di competenza alte. La conseguenza glottodidattica è la necessità di programmare
curricoli di lingua straniera organizzati per obiettivi:

- specifici, quindi basati sui bisogni e sui desideri comunicativi e formativi degli anziani;
- realistici, quindi adattati alle loro potenzialità di acquisizione linguistica, ma nello stesso tempo
- sfidanti, quindi che richiedano loro di abbandonare la propria comfort zone, di impegnarsi in un
progetto di acquisizione linguistica ambizioso.

Va, tuttavia, evitato il mito del parlante nativo. Oggi, infatti, le caratteristiche globalizzate della società
moderna fanno spostare il focus dell’Educazione plurilingue e interculturale dal modello del parlante
nativo a quello del parlante plurilingue e interculturale in grado di utilizzare più lingue tra cui anche una
lingua franca e di confrontarsi con appartenenti a culture diverse dalla propria.

Quali strategie sono alla base della competenza ad acquisire una lingua straniera da parte di studenti
anziani?

La scelta e la messa in atto delle strategie di apprendimento di una LS dipendono da diversi fattori:
personalità, età, sesso, origine etnica, lingua materna dell’apprendente, la sua motivazione e il suo
interesse ad apprendere la LS, il suo grado di competenza nella lingua che sta imparando. Per quanto
riguarda gli studenti di lingue anziani, tuttavia, abbiamo una letteratura molto scarsa. Oxford ha
elaborato una tassonomia molto complessa di strategie, che possono essere divise in due gruppi, quelle
indirette:

- strategie metacognitive, per pianificare e valutare il proprio percorso di apprendimento e le


modalità messe in atto per imparare una lingua, e per avere consapevolezza dei propri stili e
preferenze di apprendimento;
- strategie affettive, in grado di tenere sotto controllo gli aspetti ansiogeni, di motivare
all’apprendimento linguistico e sviluppare autoefficacia;
- strategie sociali, basate sulla cooperazione con gli altri, sulla capacità di imparare attraverso
l’interazione.

E quelle dirette:

- strategie compensative, per superare i problemi nello scritto e nell’orale e compensare i limiti
dovuti all’età;
- strategie di memoria, per imparare e recuperare informazione per esempio con la creazione di
collegamenti mentali, con l’utilizzo e integrazione di immagini, suoni e movimenti;
- strategie cognitive, che consentono di manipolare la lingua attraverso il ragionamento, l’analisi,
la sintesi, l’organizzazione delle informazioni, la pratica della lingua, dei suoi suoni e delle sue
strutture.

13.5.2 Con sillabo si intendono gli argomenti, i contenuti e le strutture linguistiche e comunicative
proposti in un corso di lingua. In una impostazione glottodidattica di tipo comunicativo, il sillabo viene
costruito da una parte sulla base dell’analisi dei bisogni comunicativi dei discenti, dall’altra in base alle
funzioni comunicative che serviranno agli studenti a rispondere ai loro bisogni. Infatti, la scelta di un
nuovo corso di lingue da frequentare viene fatta dall’anziano in base agli argomenti proposti che gli
devono essere familiari e che devono avere importanza per la sua vita. Quando si tratta di programmare
il sillabo di un corso di lingue straniere per studenti anziani, di conseguenza, i contenuti assumono un
ruolo centrale, divenendo il fulcro di un progetto necessariamente content based piuttosto che function
based. Un curricolo content based richiede una programmazione precisa e individualizzata. Ciò che è
familiare o rilevante per gli anziani appartenenti ad una specifica comunità può non esserlo per altri.

15.5.3 La scelta dei materiali didattici per un corso di lingua straniera è legata alla scelta degli obiettivi e
dei contenuti. Innanzitutto va constatata l’estrema scarsità di materiali pensati per il pubblico degli
studenti di lingue anziani. Quindi diviene una sfida importante per i docenti di corsi per anziani reperire
o creare materiali e libri di testo: che presentino argomenti e situazioni comunicative significativi per un
pubblico anziano, collegabili alla loro biografia, che presentino attività correlate alle esperienze di vita,
che compensino le limitazioni sensoriali tipiche dell’età avanzata.

13.6 Qualsiasi apprendimento, quindi anche quelli linguistici, può essere agevolato o rallentato da una
serie di variabili individuali che caratterizzano ogni apprendente in modo unico. Tra i fattori che
possono influenzare l’apprendimento linguistico possiamo individuare:
- fattori interni o individuali, legati ad aspetti cognitivi, biologici, ereditari; tra questi troviamo
l’età, la motivazione, l’attitudine, l’intelligenza, gli stili di apprendimento;
- fattori esterni o contestuali, che non dipendono dall’individuo ma dall’ambiente sociale e di
apprendimento come per esempio la cultura di appartenenza, la lingua materna, il tipo di corso
frequentato;
- fattori affettivi o della personalità, collegati alla psicologia dello studente e agli aspetti emotivi:
filtro affettivo, ansia, autostima, introversione.

13.7 La motivazione è la ragione per la quale le persone decidono di fare qualcosa, per quanto tempo
sono disposte a sostenere tale attività e quanto ci tengono a raggiungere l’obiettivo.

13.7.1 Il motivo principale per cui gli anziani imparano una seconda lingua è principalmente di tipo
integrativo. La motivazione quindi non riguarda solo lo studente in quanto individuo, ma anche la
società che lo circonda e il sistema culturale in cui interagisce. Al fine di stimolare l’interesse e la
motivazione degli studenti senior è importante perciò mostrare loro l’apprendimento delle lingue come
un processo che porta ad ottenere contatti sociali e relazionali, e all’integrazione nella comunità
globale. Non è detto, tuttavia, che negli studenti anziani non ci siano anche motivazioni strumentali in
grado di sostenerli durante il percorso; eventuali bisogni legati alla vita quotidiana e ai rapporti sociali e
familiari, possono essere presenti nel loro profilo motivazionale e spingerli ad imparare un LS. Il docente
può facilitare la motivazione aiutandoli ad individuare obiettivi a breve termine.

13.7.2 Innanzitutto, va sottolineato come la motivazione sia uno dei principali punti di forza degli
studenti anziani, configurandosi come efficace strategia compensativa di fronte ad eventuali difficoltà
di apprendimento che possono sorgere in itinere. Questo è possibile però se, accanto ad una
motivazione iniziale, la motivazione durante e dopo l’attività viene sostenuta da adeguate strategie, per
esempio esempio incoraggiando l’autonomia o coinvolgendo nelle lezioni le loro esperienze.

13.8 Gli atteggiamenti sono delle disposizioni favorevoli o sfavorevoli che una persona assume nei
confronti di qualcosa con un orientamento di tipo valutativo. Un particolare tipo di atteggiamento
sono le attribuzioni, cioè i modi che persone abitualmente usano per analizzare i propri successi o
insuccessi; si manifestano principalmente nel bisogno di trovare le cause degli eventi che avvengono e
nel bisogno di verificare che le proprie previsioni riguardo un evento futuro si realizzino. Le
attribuzioni influenzano direttamente le reazioni dell’individuo agli eventi e sono collegate alla fiducia in
sé e all’autostima. Le credenze personali riguardo la propria efficacia nel gestire un determinato evento
o compito specifico sono dette invece autoefficacia.

13.8.1 Tutti gli studenti di lingue hanno un’idea di che cosa sia una lingua e su come la si impara. Negli
anziano queste credenze sono influenzate sia dalle pregresse esperienze linguistiche e della biografia
linguistica della persona, sia dalle percezioni circa le proprie attuali capacità di apprendimento e circa le
capacità che la società attribuisce agli anziani. Indicativamente possiamo presumere che un anziano
abbia avuto occasione di studiare una LS tra gli anni ’60 e gli anni ’90, e che quindi possa aver
sperimentato un tradizionale approccio formalistico basato su grammatica e traduzione, o
un’impostazione strutturalistica, oppure anche un più moderno approccio comunicativo. Con ogni
probabilità, in ogni caso, l’impostazione di tipo formalistico è quella che possiamo presumere sia stata la
più sperimentata.

13.8.2 Le convinzioni e il senso di autoefficacia influenzano la percezione degli anziani circa la propria
mente, il loro funzionamento cognitivo e il modo in cui interpretano i cambiamenti associati all’età.
Tuttavia, l’insegnate ha la possibilità di modificare atteggiamenti e autoefficacia attraverso momenti di
persuasione verbale di incoraggiamento ad accettare compiti cognitivi e comunicativi che propongano
sfide accettabili.
13.9 Una conseguenza dell’asimmetria comunicativa e generazionale tra docente e studente anziano è il
ricorso al cosiddetto elderspeak, utilizzato in contesti in cui l’anziano è ritenuto limitato nelle capacità di
decodifica e comprensione del messaggio, quindi presuppone un pregiudizio negativo dell’anziano.

ELEMENTI POSITIVI DELL’ELDERSPEAK ELEMENTI NEGATIVI DELL’ELDERPSEAK


- semplificazione morfosintattica - frasi troppo brevi con troppe pause
- ridotta ipotassi - lentezza di eloquio
- elaborazione semantica (ripetizione, - tono e volume di voce alto e non
parafrasi, ecc.) giustificato
- aspetti prosodici troppo accentuati

13.9.2 La qualità e la ricchezza dell’input proposto agli studenti resta un elemento chiave non solo per
garantire la comprensione, ma anche per attivare i processi di assimilazione della lingua straniera: per gli
studenti anziani una delle strategie più utili per imparare a parlare la lingua straniera è ascoltare
messaggi resi comprensibili attraverso specifiche attenzioni didattiche. Un altro aspetto importante è
l’eventuale uso della lingua materna degli studenti nelle lezioni di LS. Gli anziani affermano di voler
utilizzare la L1 in classe per traduzioni grammaticali o lessicali, in momenti di comparazione della L1 con
la LS, per richieste di chiarimenti, per comprendere istruzioni e per consultare il vocabolario bilingue.
Nella classe di LS con studenti anziani l’insegnate deve quindi valutare attentamente quando e quanta
lingua materna usare e per quali motivi, basandosi anche sui bisogni e le aspettative degli allievi.

13.9.3 Il rallentamento generale dei processi cognitivi, della velocità di elaborazione dell’informazione,
ecc, richiedono specifiche attenzioni relative all’organizzazione e alla gestione dei tempi della lezione da
parte del docente di classi di lingue straniere con studenti anziani. La prima variabile da tenere sotto
controllo è la velocità di progressione della lezione e di presentazione dei materiali didattici. Ciò
implica non solo rallentare l’eloquio per favorire la comprensione, ma anche dare la possibilità allo
studente anziano di procedere alla velocità che ritiene più adatta a lui, dargli più tempo per svolgere
compiti relativi alla comprensione di input che richiedono un carico cognitivo significativo. La ripetizione
è uno dei modi per rallentare e facilitare i compiti di comprensione dell’input, soprattutto di testi orali,
riducendo le difficoltà di discriminazione delle informazioni rilevanti. Allo stesso modo, la
semplificazione dei compiti mediante il frazionamento di quelli più complessi in compiti più semplici
permette di aumentare la chiarezza della richiesta. Il principio di chiarezza si realizza dando semplici
indicazioni sugli obiettivi delle attività che si propongono.

13.10 Con metodo narrativo si intende una serie di tecniche che sfruttano a scopi conoscitivi la
narrazione. Una declinazione del metodo narrativo è il metodo autobiografico, all’interno del quale la
narrazione di storie della propria vita è finalizzata ad attribuire significati soggettivi e culturalmente
situati alle esperienze e a rendere esplicito e plausibile il proprio percorso esistenziale. La narrazione è
anche uno degli strumenti per l’educazione interculturale in quanto permette di incontrare lingue,
culture, identità nuove. La narrazione e l’autobiografia hanno un ruolo importante nella terza età in
quanto permettono di spiegare a sé e agli altri chi siamo e chi siamo stati nel corso degli anni passati.
Le tecniche di storytelling fanno parte dell’insegnamento di una lingua che possono motivare in modo
profondo lo studente anziano verso le lingue e le culture straniere.

13.11 L’accostamento e la lettura di opere letterarie è un’attività gradita dagli studenti di lingue della
terza età, in quanto spesso mossi all’apprendimento di una lingua straniera da motivazioni di tipo
culturale.

13.12 Difficilmente l’anziano accede alla formazione linguistica in contesto formalo, mentre è più diffusa
l’esperienza informale, in corsi di lingua non ufficiali o in strutture come le Università della Terza Età.
Accanto a queste esperienze informali, troviamo spesso studenti anziani impiegati in apprendimenti
non formali o autodiretti. Dalle varie ricerche è emerso un impiego da parte degli informanti senior di
diversi ore settimanali in attività di studio o in attività legate all’apprendimento linguistico oltre alle
lezioni in classe, tra le quali: leggere libri in LS; vedere programmi televisivi o film in lingua originale;
svolgere altri esercizi di grammatica, avere contatti con persone straniere o che parlano la lingua
straniera studiata.

13.12.1 Il concetto di apprendimento autodiretto viene definito come una forma di studio auto-
pianificato dal discente, il quale prende l’iniziativa, diagnostica i propri bisogni e li traduce in obiettivi,
individua il materiale occorrente e le adeguate strategie. Tuttavia, queste sono specifiche competenze
che dovrebbero caratterizzare il soggetto adulto, ma che nell’anziano possono essere mancanti.

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