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PARTE PRIMA

CAPITOLO I – TEMPO ED ETA’

“il tempo non esiste, gli orologi sì”.

Il tempo esiste nel momento in cui cerchiamo di afferrarlo. Lo inventiamo nel momento in cui ci mettiamo a
calcolarlo. Per far questo, fissiamo dei punti fermi. L'invecchiamento biologico viene percepito e accompagnato da
diversi processi di interpretazione nelle diverse società umane. A seconda della percezione che ogni cultura ha
dell'invecchiamento. Sulla base di queste percezioni si costruiscono i diversi sistemi di classificazione dell'età. I
sistemi inventati per scandire la vita umana sono codici comuni finalizzati a definire più o meno approssimativamente
l'età di un individuo.
Ogni società attribuisce alle diverse fasi della vita significati differenti, che implicano anche determinati stereotipi
relativi allo sviluppo intellettuale, morale e sociale. Ad esempio in molte società tradizionali agli anziani è riservato un
ruolo fondamentale. Nelle società occidentali industrializzate il ruolo degli anziani è stato ridimensionato, in quanto
sono espulsi dal ciclo produttivo. Tuttavia lo storico inglese Peter Laslett ha evidenziato come sia nata una nuova
generazione, quella degli over sessanta, che nel secolo scorso era ridotta e costituita da persone in precarie condizioni
fisiche. Oggi invece gli ultrasessantenni sono quelli che detengono la maggior parte del patrimonio: è la generazione
che ha goduto del lavoro fisso negli anni in cui maggiore era il potere di acquisto, riuscendo a realizzare un risparmio.
Queste persone sono dunque protagonisti attivi della società dei consumi. Per un bambino si preveda
che non conosca le regole sociali, per un giovane che sia trasgressivo, ma in avvicinamento al comportamento sociale
ritenuto corretto. Tali percezioni sono in parte condivise da moltissime società umane, con specificità che però le
rendono diverse (l'età non è mai definita in maniera precisa). Nella società occidentale odierna è la scuola a
determinare la scansione delle prime fasce di età. Spesso accade che all'età biologica si leghi l'attribuzione di un
riconoscimento sociali connesso al lavoro.
Il modo di classificare l'età muta anche all'interno di una stessa società con il trascorrere del tempo.

Nell'Europa del XIX e XX secolo c'era una forte domanda di lavoro minorile, i ragazzi partecipavano alle attività
produttive. Dunque lo status di bambini non è un dato naturale, ma il prodotto di determinate condizioni sociali.

Nell'Europa preindustriale non si distingueva l'infanzia dalle altre fasi della vita preadulta. L'unica vera distinzione era
tra l'essere giovani e l'essere adulti, e il passaggio dalla prima fase alla seconda viene per questo in quasi tutte le
società marcato da qualche evento particolare di carattere collettivo. L'adolescenza è un periodo che porta a spostarsi
da una situazione di totale dipendenza dalla famiglia, verso una
situazione di autonomia decisionale ed economica. L'individuo inizia a costruire la sua identità personale. Rispetto al
bambino, l'adolescente elabora sistemi e teorie, si crea un programma di vita suo e si pone su un piano di eguaglianza
rispetto agli adulti. Ogni costruzione di identità si fonda sulla differenza, per questo è necessario che la comunità
stabilisca in modo chiaro il confine tra il mondo dei giovani e quello degli adulti e protegga il passaggio da giovani ad
adulti, collocando segnali e punti di riferimento ben visibili.
Le differenze devono essere chiare, come anche le responsabilità e i diritti.
L'età anagrafica è per certi versi di tipo “istituzionale” e recente. A una determinata età anagrafica non corrisponde una
pari età biologica, perché ogni corpo subisce processi di invecchiamento differenti. Non c'è neppure assoluta
coincidenza fra maturazione biologica e maturazione psico-sociale.
Oggi il passaggio all'età adulta avviene sempre più tardi e in modo spesso affievolito per un numero crescente di
giovani.
Oltre all'età anagrafica e a quella biologica esiste l'età che la società ci attribuisce per determinare il nostro ruolo, certi
nostri diritti e doveri. È l'età sociale. Al calcolo dell'età, che è un dato quantitativo, si può attribuire anche un valore di
carattere qualitativo.
Ad esempio si ritiene che gli individui di una determinata età siano adatti a particolari funzioni sociali. Si tratta di un
valore di tipo sociale, dunque non è più legato al singolo, ma diventa collettivo, e il passaggio da una fase all'altra
viene spesso ritualizzato. Perché ciò accada bisogna vincolare l'aspetto biologico a quello sociale. Gli snodi principali
di questo tipo nella nostra società sono l'inizio della carriera scolastica e il raggiungimento della maggiore età. Nelle
società statuali e burocratizzate è solitamente l'età anagrafica che determina il passaggio all'età adulta. Come è
l'anagrafe a dirci quando andare in pensione. Invece, dove non è presente un'organizzazione di tipo statuale, alcuni
passaggi risultano determinanti per la struttura sociale.
Per alcuni popoli i gradi di età vengono valutati secondo l'importanza dell'uno rispetto all'altro e pertanto implicano
nozioni di gerarchia e di autorità. L'accesso a un sistema di classi di età è solitamente segnato da un rituale grazie a cui
gli iniziati si costituiscono nel gruppo.

Esistono due modi fondamentali di reclutamento, iniziatico e generazionale. Il primo prevede l'ingresso dei giovani
maschi nel grado iniziale d'età in seguito a un'iniziazione collettiva, l'altro prevede la separazione attraverso i gradi di
età. I sistemi di classi determinano un ordine cognitivo e strutturale all'interno di una comunità, creando categorie
basate sull'età e sulla generazione. Le classi di età compiono un'operazione di livellamento agli occhi della collettività.
Mettono in atto un appiattimento delle differenze individuali e presentano alla comunità un gruppo di uguali,
sforzandosi di fare dell'invecchiamento un processo culturale piuttosto che fisico. Tentano cioè di arrestare
parzialmente il flusso del tempo, unendo gli uomini in insiemi i cui membri hanno pari diritti e pari status nel corso di
segmenti cronologici definiti.
Le classi d'età agiscono quindi come “calmieri” delle differenze tre individui. In queste società vige solitamente un
principio di gerontocrazia. I rituali scandiscono le tappe. Rendono più chiara la struttura.
Si tratta dei riti di passaggio, che segnano una rottura della continuità sociale e determinano una nuova
ricollocazione all'interno del gruppo di appartenenza.

CAPITOLO II - RITI DI PASSAGGIO

In campo antropologico cosa si intende per riti di passaggio? Il primo ad occuparsene è Durkheim che colloca questo
tipo di manifestazioni nella sfera del religioso. Il pensiero religioso separa il sacro dal profano. Partendo dal sacro,
Durkheim arriva alle forme sociali del rito, mettendone in evidenza il ruolo di motore dell'attività di aggregazione che
serve a rinsaldare una comunità. Invece Van Gennep parte dalla funzione sociale del rito per estenderne la portata in
ambito religioso. In ogni caso le procedure rituali sono più evocative che significative. Nel rituale si crede, perché è un
evento che si carica di simboli. Il rito è un insieme di atti formalizzati che si celebra in uno contesto spazio-temporale
specifico. Può essere paragonato a una liturgia, che ha come caratteristiche la regolarità di esecuzione e la ripetitività
formale.
Il primo rito di passaggio è la nascita, poi c'è l'ingresso nell'età adulta, il matrimonio, la gravidanza e il diventare
madre/padre. L'ultimo rito di passaggio è la morte. Esistono poi riti che accompagnano l'accesso a statuti
professionali, religiosi, politici o altro. Van Gennep dice che i riti di passaggio sono
caratterizzati da tre fasi fondamentali: la separazione (uscita dal gruppo sociale), la fase liminale (né una cosa, né
l'altra), e la riaggregazione (gli iniziati rientrano nel nuovo gruppo di origine).
Un esempio di tali fasi è la cerimonia del matrimonio.
Il passaggio all'età adulta avviene per i maschi tra i 17 e i 20 anni (reclutamento per le guerre). Per le femmine è più
legato a eventi di carattere biologico (mestruazioni, parto). Per gli ebrei però, ad esempio, i riti di iniziazione
avvengono rispettivamente a 13 e 12 anni, quando gli individui diventano capaci di distinguere il bene dal male. Molti
riti di iniziazione hanno a che fare col corpo (prove di forza, coraggio, sopportazione del dolore). Il dolore è vissuto
come esperienza necessaria per acquisire uno status diverso. Una sorta di prova di morte. Per rinascere a nuova vita,
superiore.
Costruzione del genere.
L'essere umano è biologicamente incompleto, a differenza delle altre specie animali. L'essere umano può fare scelte.
Questo processo porta alla costruzione della cultura, strumento per annullare l'incompletezza. Le risposte alle
questioni universali sono culturali. Le culture sono occhiali con cui leggere il mondo.
Ogni cultura dà un proprio ordine alla natura. Innanzitutto bisogna distinguere il sesso (legato all'anatomia) dal genere
(prodotto di una costruzione culturale). I processi culturali di andropoiesi e ginecopoiesi definiscono il genere. Molte
lingue hanno un termine neutro per riferirsi ai bambini, anche se la costruzione del genere inizia fin dall'infanzia. Per
alcune società, quelle tradizionali, è il lavoro che determina il genere. Esiste la divisione sessuale del lavoro. La
costruzione della mascolinità passa attraverso prove di energia o di dolore, l’allontanamento temporaneo dalla
famiglia. Invece le fanciulle sono relegate alla vita domestica. La femminilità si presenta più come una condizione
biologica, che può essere culturalmente affinata e perfezionata. Spesso il primo rito di passaggio femminile è costituito
dal primo parto. Invece ad esempio presso molte popolazioni dell'Africa Occidentale i maschi entrano a far parte di un
sistema di classi d'età costruito su basi culturali, che ne determinano le diverse fasi della vita adulta. Per la donna
invece la maggior parte dei riti sono legati alla riproduzione. Se però sono le donne che mettono al mondo i figli, il
fatto che siano le donne ad accudirli è anche un fatto culturale, spesso imposto dai maschi. Ma di per sé le funzione
materna non è un dato naturale.
Nella società italiana contemporanea uno dei riti maschili di passaggio più comuni era il servizio militare obbligatorio,
che portava a una ridefinizione dei rapporti tra il giovane e la società. Tutto è cambiato con l'abolizione della leva
obbligatoria nel 2000. Un altro momento che ha assunto una valenza rituale è l'esame di maturità. Meno la laurea
(riguarda meno persone). Anche l'ingresso nel mondo del lavoro è una sorta di rituale di passaggio, perché garantisce
un nuovo potere di negoziazione con la famiglia e la società. Anche il matrimonio è un rito di passaggio, e continua ad
esistere, anche se in forme sempre più variegate e spesso desacralizzate.
Secondo Max Gluckmann, più le società diventano complesse, meno sono ritualizzate. Ciò è condiviso da Victor
Turner, per il quale con la secolarizzazione sono scomparse le fasi di liminalità che costituivano il cuore del rito di
passaggio.

CAPITOLO III - UNA ROTTURA GENERAZIONALE

I riti di passaggio sono forme di un negoziato finalizzato a fare acquisire un nuovo status sociale in seno a una società,
che presenta un sistema strutturato e gerarchico di posizioni e associa gruppi di individui che si riconoscono negli
stessi principi. Nelle epoche premoderne il concetto di giovinezza era quasi sconosciuto. La ribellione in passato non
era formalizzata: raramente i giovani avevano consapevolezza di essere una categoria, e la coscienza di appartenere a
qualcosa di condiviso. È solo a partire dall''800 che la gioventù viene presa in considerazione in quanto condizione
positiva.
È il Romanticismo a celebrarla come categoria definita e coerente. Lo fa però prevalentemente in chiave militare
(l'immagine romantica viene ripresa dai regimi nazista e fascista).

Per i regimi dittatoriali l'immagine dei giovani era inserita in un progetto che prevedeva un percorso di continuità con
le generazioni più grandi. Era una categoria asservita agli adulti. Bisogna attendere il secondo dopoguerra per assistere
a una vera e propria frattura tra la generazione giovane e quella dei genitori, e alla conseguente nascita di una gioventù
in opposizione agli adulti. È negli anni '60 che i giovani vengono portati alla ribalta. L'irrequietezza e il desiderio di
insubordinazione tipico dei giovani si trasformarono da sentimento individuale in ispirazione collettiva e condivisa.
Furono gli anni in cui nacque la società dei consumi (differenze nel modo di vestire tra giovani e anziani).
Anche i gusti musicali si separarono nettamente (rivoluzione del rock). A proposito dei gusti. Bordieu parla di habitus:
una categoria in cui rientrano tutte le cose coondivise da una certa classe (comportamenti, gusti, idee, giudizi). È una
sorta di inconscio collettivo tipico di una determinata classe sociale, la quale non sa di averlo.
Bordieu considera i gusti strumenti di potere, in quanto legati da un insieme di sistemi classificatori che stanno alla
base dei conflitti sociali. La ricerca del cambiamento fece sì che anche la politica irrompesse nel mondo giovanile e si
trasformasse in azione (il sessantotto). Le proposte delle nuove generazioni erano mirate non a fianco, ma contro
l’ordine dominante. Successivamente sono state sollevate molte critiche sul reale carattere rivoluzionario di quel
movimento e sulla sua effettiva capacità di abbattere il sistema, tuttavia è innegabile che abbia espresso volontà di
cambiamento, in opposizione rispetto agli adulti.

Negli anni '80 la spinta propulsiva innescata dai movimenti giovanili venne ad esaurirsi.
Iniziò il “riflusso”, la fine delle grandi ideologie collettive e l'affermarsi di una sempre maggiore attenzione al privato
(edonismo reganiano). Sono gli anni della deregulation liberista. La società si ripiega sul proato, nasce il nuovo culto
del corpo legato a quello dell'apparire (società dell'immagine). L'anticonformismo non è più un valore. Il mercato
diventa una forza rinnovatrice, portatrice di progresso. Si ritorna al piccolo gruppo, alla famiglia. Le speranze di
cambiare diminuiscono progressivamente. I mutamenti politici finiscono per lasciare soli i giovani.
Il terzo millennio apporta ulteriori trasformazioni: complessità e precarietà sono le cifre della società “liquida”.
L'offerta di impiego si fa sempre più scarsa e frammentaria, il lavoro sempre più insicuro e a breve termine. Tutto ciò
ha portato al fenomeno dei cosiddetti NEET (Not in Employment, Education or Training). Anche i conflitti
generazionali si smorzano notevolmente. Inizia una nuova fase dei rapporti tra genitori e figli. I genitori di oggi sono i
contestatori di ieri. Inoltre sono mutati il clima politico e le condizioni economiche. In passato il momento di frattura
era tra scuola e lavoro, nel cui intermezzo si inseriva il servizio militare. Oggi il momento di rottura, che separa l'età
dello studio da quella del lavoro, è spostato in avanti, e la sua valenza si è attenuata, perché l'inserimento lavorativo è
sempre più difficile e anche quando si trova un impiego è spesso precario, e per certi versi prolunga quella situazione
di aleatorietà e di dipendenza dalla famiglia tipica dello studente, protraendola nel tempo e rimandando il distacco dai
genitori. In Italia c'è un notevole divario di autonomia rispetto agli altri paesi sul percorso casa-scuola. Minore è anche
l'uso dei mezzi pubblici.
Anche il servizio militare, abolito nel 2000, rappresentava in qualche modo un rito di passaggio, con separazione, fase
liminale e riaggregazione (ritorno a casa in veste di adulto). Venuto a mancare questo, il passaggio verso l’età adulta
segue un percorso più continuo, senza interruzioni formalizzate.
Anche il matrimonio, altro momento di passaggio, è sempre più ritardato per la difficoltà a trovare un impiego. È
complicato l'accesso ai mutui bancari. Sono allora i genitori a garantire per i figli.
C'è quindi una prolungata dipendenza dalla famiglia sia sul piano economico che su quello emotivo-relazionale, che
impedisce un vero distacco e anche la possibilità di maturare. I nonni sono di grande aiuto per l'accudimento dei figli e
i figli vivono vicino ai genitori.
In un caso su quattro, nell'ultimo trentennio del '900, ci si è sposati fra vicini di casa e si è andati a vivere nello stesso
rione dei genitori di entrambi i coniugi. Questa prossimità si traduce in scambi molto intensi fra le generazioni. In altri
paesi, come Germania e Danimarca, i provvedimenti statali favoriscono il distacco dei genitori dalla famiglia (in
Danimarca gli studenti che abitano coi genitori ricevono sussidi di importo inferiore rispetto a quelli erogati ai giovani
che non vivono in famiglia). In Danimarca il raggiungimento dell'autonomia viene percepito dai giovani e dalle
famiglia come valore e dovere. In Itallia non è così. L'apprendistato, se c'è, viene praticato a titolo gratuito, il lavoro è
precario. I giovani non vengono incentivati a lasciare la casa dove sono cresciuti. Dunque non considerano la
conquista dell'autonomia abitativa una tappa indispensabile per il raggiungimento dello status di adulto. La famiglia
italiana risponde alle difficoltà costruendo un ambiente accogliente per i figli. I genitori reagiscono in modo difensivo
attorno al figlio, aiutandolo e creando con lui una sorta di relazione ideale.
In Italia più che di famiglia allargata si parla di famiglia allungata. In un tale contesto le dinamiche interfamiliari
subiscono necessariamente modificazioni. Si comprimono le pulsioni all'autonomia dei giovani e viene quindi a
mancare il classico elemento di rottura generazionale. Si prolunga lo stato liminale. Questo porta a due atteggiamenti
da parte dei giovani: da un lato una sorta di ripiegamento nella famiglia, vissuto senza particolari traumi, dall'altro un
senso di fallimento e di impotenza per l'impossibilità di realizzare ciò che i genitori hanno fatto.
La tecnologia, il forte declino di produttività dell'Europa nei settori non di punta e l'avanzata di molti paesi del terzo
Mondo si sono da tempo combinati con le difficoltà nel trovare un primo impiego e hanno spinto fuori del mercato del
lavoro proprio quelli che non erano ancora riusciti ad entrarvi. Così i giovani sono più introversi, stimolati alla
riflessione più che all'azione (se un modello in passato era quello del combattente Che Guevara, un modello di oggi è
lo scrittore Roberto Saviano).

CAPITOLO IV - GENERAZIONI CONFUSE

Nello spettacolo teatrale del 1978 Polli d'allevamento, Gaber coglieva in pieno il mutamento antropologico che stava
avvenendo nelle famiglie italiane. Tradizionalmente i genitori rappresentavano la legge, la regola, che veniva
trasmessa verticalmente. I genitori mantenevano un certo distacco dai figli, una superiorità gerarchica. Oggi queste
distanze si sono progressivamente accorciate.
Per la formazione di un individuo è fondamentale il rispetto delle regole comuni. Il tentativo di trasgressione è tipico
dei giovani, ma è importante che sia ben chiaro il confine tra lecito e non lecito. Gli adulti non devono diventare
complici di un'assenza di regole. La parola complicità è una parola chiave per definire il rapporto genitori figli di oggi.
Autorità e ribellione si sono attenuate e in alcuni casi sono quasi scomparse. I genitori, più che come antagonisti, sono
visti come complici. Oggi ci si confida con i genitori. Sia per quanto riguarda le proprie ansie, sia per quanto riguarda
la vita sentimentale (resa pubblica anche attraverso i social network). Il dialogo ha sostituito il distacco. E il dialogo
implica un riconoscimento di parità. All'ordine indiscutibile si è sostituita la negoziazione. In alcuni casi accade che la
solidarietà intergenerazionale faccia prevalere il legame familiare rispetto al principio etico della valutazione. Genitori
e figli hanno una rappresentazione condivisa della vita adulta come di un passaggio arduo, che è bene rimandare per
attrezzarsi il più possibile.
La realizzazione di sé pare avere prevalentemente i caratteri della costruzione solitaria della propria biografia e molto
poco i caratteri di una risposta progettuale finalizzata a dare un contributo al patrimonio generazionale.

Anche le modalità di apprendimento sono cambiate. Una volta gli adulti detenevano il sapere, e il sapere era
condiviso. Erano previste forme di apprendistato.
Oggi anche la tv ha abdicato al ruolo pedagogico per trasformarsi in produttrice di intrattenimento. Si è passati da un
modello verticale a uno orizzontale, dove i protagonisti televisivi sono sempre più simili a chi li osserva. Oggi i
giovani sono immersi in una rete di informazioni e la cultura non è solo
trasmessa dai nuovi mezzi comunicativi, ma è anche causata da essi. I nativi digitali utilizzano una molteplicità di
codici comunicativi. Sono autori e attori dell'apprendimento. È una nuova cultura partecipativa e cross mediale. Per il
futuro, si va verso un nuovo modo di apprendimento, in cui si impara più dagli errori e attraverso l’esplorazione
piuttosto che mediante un approccio storico o logico-sistematico. Non basta ascoltare l'insegnante, si vuole imparare
dall'esperienza, apprendere in gruppo, usare il computer, produrre contenuti su internet. È un apprendimento più
interattivo e sociale. Lo schermo è una finestra di accesso al mondo. Il che significa sviluppare comportamenti di
apprendimento anche non lineari. A volte l'apparato tecnologico è diventato il veicolo principale con cui i ragazzi
comunicano tra loro, aggirando l'incontro diretto con la società. Le tecnologie digitali permettono ai giovani di ricreare
un proprio spazio pubblico e privato rendendolo virtuale, mentre si trovano in spazi fisicamente controllati. E nella
rete le gerarchie scompaiono. Il web è un piano orizzontale, in cui le relazioni corrono parallele. In questo contesto,
gli stessi elementi che sono visti come deboli dai web-pessimisti (distanza fisica, separazione) possono invece favorire
alcune persone nel vincere timidezze e freni inibitori. Si tratta di relazioni “leggere”, che costano poco in termini
umani. L'amicizia si “dà” con un click. Il modello orizzontale, con un flusso intenso e costante di informazioni, fa sì
che gli eventi diventino facilmente planetari. Tutto avviene in tempo reale sotto i nostri occhi. La rapidità comprime il
tempo. L'ora e il qui diventano preponderanti rispetto al passato e al futuro. Questa è la surmodernità, un'accelerazione
della storia in cui la rapidità ha annullato le distanze, il tempo prevale sullo spazio. La fine delle ideologie ha portato a
un eterno presente. C'è un rapido consumo di cose, emozioni, sentimenti.
C'è un indebolimento della percezione cronologica, un attenuarsi della scansione temporale. Anche per questo
svaniscono le barriere generazionali e le gerarchie tradizionali. Complice il culto della moda e la chirurgia plastica,
esiste un mito diffuso della giovinezza, e la vecchiaia è diventata un disvalore.
Oggi la gioventù non è più una condizione biologica, ma una “definizione culturale”. Si è giovani perché si partecipa a
certi stili di consumo e si assumono codici di comportamento e di abbigliamento. La seriosità tradizionale degli adulti
non è più una virtù. Non solo, in tanti casi i ruoli si invertono: i figli sono più abili utilizzatori degli strumenti
elettronici rispetto ai padri.
Tra i molti atteggiamenti tipici della gioventù, fatti propri da parecchi adulti, c'è un'insofferenza sempre maggiore nei
confronti dei limiti, che però sono fondamentali per la costruzione delle identità. Ogni scelta implica una rinuncia.
Diventare adulti significa superare un limite, che si deve oltrepassare pagando un prezzo, rinunciando a qualcosa.
Poiché alcuni di questi limiti stanno subendo una profonda rivoluzione, il rischio è che l'adolescente si trovi privato di
punti di riferimento definiti. La scomparsa/attenuazione del limite rendono inutili i riti di passaggio. L’appiattimento
generazionale annulla i limiti. I diversi diritti e doveri concessi a minori e adulti si fondano proprio sulla differenza di
età. L'annullamento/attenuazione di tale differenza nega le limitazioni di qualunque identità. Partecipa dell'illusione di
poter essere una cosa e il suo contrario.

CAPITOLO V – FINE DEI RITI?

Nelle società tradizionali i riti segnavano un passaggio a uno stadio superiore della vita in modo collettivo ed
egualitario, invece nelle società contemporanee non esiste più un solo modello di passaggio. Oggi i rituali sono stati in
gran parte privatizzati e la loro portata è diminuita in conseguenza del passaggio da una solidarietà meccanica a una
solidarietà organica. Le iniziazioni tradizionali assumono una valenza sacra e religiosa particolare, mentre nella
società occidentale l'uomo, quando viene al mondo, si trova in una rappresentazione scientifica e razionale, nasce in un
teatro chirurgico. I momenti di passaggio sono stati depotenziati sul piano rituale. Ad esempio per il matrimonio è
stata depotenziata anche la sua valenza di rottura (convivenza che lo precede). Martin Segalen sostiene che una tra le
ragioni della scomparsa di questi rituali dipende dal fatto che all'età adulta non si accede più come un tempo, a
scadenza fissa. Il passaggio si prolunga indefinitamente, senza che si possa stabilire con chiarezza un prima e un dopo,
poiché i diritti alla sessualità, all'indipendenza economica e a quella abitativa non si acquisiscono più nello
stesso momento. Viene meno anche la spinta alla progettualità, che caratterizza l'ingresso nell'età adulta.
Anche l'immagine della scuola è stata oggi in parte desacralizzata (non è più il luogo sacro deputato alla
trasmissione del sapere). Inoltre anche in questo ambito si assiste a un processo progressivo di semplificazione (testi
semplificati). È una tendenza al ribasso che sposta all'indietro il giovane allievo, facendogli evitare temporaneamente
le difficoltà e allontanando in avanti le prove di passaggio più ardue. Forse l'esame di maturità rimane uno dei pochi
eventi che hanno conservato la loro forza simbolica. Non è la stessa cosa per la laurea, che riguarda un numero più
limitato di giovani ed è un fatto quasi privato.
Inoltre, nella società moderna i passaggi vengono affrontati dai giovani in modo solitario. La società adulta non
sembra più manifestare né la volontà né la capacità di svolgere quel ruolo di controllo che serve a rendere sociale, e
cioè condiviso da tutta la comunità, un fatto.
In generale, quello che si osserva è una carenza di confini chiari, oltre a una diffusa e generale perdita delle
appartenenze di gruppo e collettive, che rende sempre più difficile cogliere i passaggi.
PARTE SECONDA

CAPITOLO I – LA CRISI DEI RITI DI PASSAGGIO

Da un'analisi delle rappresentazioni che le famiglie hanno dei propri figli (riferendosi a famiglie che vivono un
qualche rapporto di crisi con gli adolescenti), risulta che i bambini vengono percepiti come buoni, capaci di costruire
relazioni, con doti innate. Il bambino non è concepito come una tabula rasa a cui inculcare regole. Si delinea un
modello educativo fondato sulla prospettiva di spingere il figlio a seguire la propria indole. Il motto dei nuovi genitori
è “meno regole e meno pinuzioni”. Farsi obbedire non per timore della pena, ma per amore e rispetto. Scompare così
la tradizionale paura nei confronti degli adulti e anche l'idea che il bambino possa cedere alle tentazioni naturali e
diventare cattivo. Il problema della regolazione del controllo dell'aggressività e della sessualità lascia il posto alla
prospettiva di accompagnare il figlio nel viaggio della crescita, verso forme piene di realizzazione di sé. Una
concezione educativa ampiamente favorevole alla libertà di movimento sociale e relazionale.
L'uccisione simbolica del genitore non è più uno dei riti cruciali nel percorso di crescita. Il potere del padre è stato
ridistribuito tra le varie figure della famiglia, e ai figli ne è toccata una quota significativa. Il livello di conflitto si è
abbassato.
Caso mai si nota una sofferenza a causa dell'assenza del padre. Oggi si avverte la necessità di consegne più solenni e
ambite, investiture valorizzate meglio (possesso delle chiavi di casa, uso e disponibilità del
denaro, fruizione degli spazi domestici..). Sembra che tutti questi passaggi siano celebrati con noncuranza: appaiono
privi di valore, scontati e prevedibili. L'evanescenza o l'assenza del padre si misurano anche dal disinteresse nei
confronti della celebrazione di questi banali momenti di confronto all'interno della famiglia. Se tali cambiamenti
avessero un peso simbolico maggiore, potrebbero scandire la crescita e aiutare i ragazzi a capire meglio la propria
collocazione nella piramide della famiglia e della società. La mancanza di un controllo sugli impulsi degli adolescenti
determina un meccanismo di decolpevolizzazione radicale dei figli. I padri non devono più fare paura, ma farsi
obbedire per amore, stima e stile di accudimento. Questo fa sì che le relazioni siano caratterizzate sempre più dalla
ricerca dell'approvazione reciproca e da un'irrinunciabile tenerezza. La crisi dell'autorità paterna fa sì che i passaggi
non siano drammatici e selettivi, che non esistano celebrazioni ufficiali, che non vi siano attese da parte degli adulti.
In definitiva, che non ci sia spazio per loro e che perciò i cambiamenti di ruolo avvengano in modo fluido, senza
investiture. I rapporti tra la scuola e la famiglia, fra la giustizia e la società, sono liquidi, nel senso che non hanno una
definizione perentoria e istituzionalizzata. È in tale contesto che si avvera la crisi dei riti di passaggio.
Esiste un cambiamento radicale nel panorama delle emozioni, delle passioni e dei conflitti che innescano la pubertà.
Oggi è insolito intercettare un conflitto tra istanze etiche e desideri o comportamenti sessuali. Dopo la maturazione
sessuale i ragazzi non avvertono interdizioni o minacce che li costringano ad occultare il desiderio. I giovani ritengono
che l'uso della corporeità riguardi solo loro, che non abbia nulla a che vedere con la relazione con i genitori o con la
dimensione del sacro. È una sorta di privatizzazione della sessualità. Il modello educativo permette che i ragazzi
sperimentino la fisicità e l'intimità in modo più o meno scisso rispetto alla vita sentimentale. Inoltre la generazione
attuale fatica ad accettare il limite. Questo in parte anche perché si ha l'idea che il bambino debba
esprimersi liberamente.

Nel contesto attuale sono stati differiti due appuntamenti cruciali: il matrimonio e la procreazione. Di fatto non esiste
più il fidanzamento, che un tempo determinava un cambiamento radicale di ruolo e doveva essere festeggiato e anche
pubblicizzato, poiché tutti dovevano sapere che due persone stavano per diventare marito e moglie. Oggi il
matrimonio è spostato molto in là nel tempo, in parte per motivi di natura sociale e personale, in parte per una diversa
contrattualità affettiva, simbolica e progettuale all'interno delle coppie. I ragazzi hanno sviluppato negli ultimi anni
importanti motivi per ritenere che la questione centrale da verificare nel rapporto d'amore sia una: se il partner possa o
meno aiutare sostenere e cooperare nella realizzazione del proprio progetto di soggettivizzazione.
In sostanza: la coppia o il partner aiutano a realizzare l'individuo? La coppia deve porti al servizio della
soggettivizzazione dei due componenti. È il tramonto dell'amore romantico. In quest'ottica la relazione di mutuo
sostegno, valida fino al giorno in cui dovesse esaurirsi il fattore propulsivo legato allo sviluppo e al godimento
individuali, non ha bisogno di una convalida sociale, non punta al passaggio dal due al tre. La coppia narcisista è
radicalmente autoreferenziale. Non ci sono sacrifici relativi alle attitudini e agli interessi individuali. La coppia è al
servizio dei soggetti, in un clima di reciprocità e complicità.
Si assiste a un'anticipazione della pubertà. Sembra ci sia una “pubertà psichica” che precede quella biologica. È
diventato più difficile capire a quale età sia lecito praticare un certo tipo di relazione o usare determinati oggetti di
consumo.
L'anticipazione dei fenomeni della pubertà, connessa allo sviluppo precoce delle competenze sociali, crea un magma
confuso di ragazzi, che in parte incarnano la trasformazione da bambino-figlio a soggetto sessuale, con notevoli
aspirazioni di autonomia nella vita collettiva.
E quando si conclude il processo adolescenziale? Oggi esiste il fenomeno della “famiglia lunga”. Da un lato i figli,
soprattutto maschi, restano a vivere in famiglia anche dopo i 30 anni (60%), dall'altro aumentano le sofferenze
psichiche, dovute a conflitti tipici dell'età adolescenziale. Da un altro punto di vista però, l'adolescenza finisce invece
prima, al termine delle scuole superiori. Ma quali momenti governano il transito dalla fase adolescenziale a quella del
giovane adulto? Non c'è più il servizio di leva, avrebbe senso istituire una sorta di servizio volontario obbligatorio.
Inoltre, in che modo si struttura la rappresentazione del futuro nell'immaginario giovanile? L'autore parla di una
“morte del futuro”, come esperienza dolorosa da elaborare, per cui i giovani “fanno presente”. Questo farebbe
diminuire ancora di più l'importanza dei riti di passaggio, perché verrebbe messa in discussione la possibilità stessa di
fare passaggi. Come se non esistesse più una “cittadella delle opportunità”. A tale scopo sarebbe indispensabile
riuscire a elaborare collegialmente una rappresentazione della ricaduta che può avere la crisi economica, finanziaria,
etica e sociale sull'immaginario giovanile. Per evitare che l'annuncio della morte del futuro inneschi movimenti
finalizzati alla valorizzazione radicale del presente.

CAPITOLO II – I RITI DEL CONSUMO

I bambini arrivano alla soglia della pubertà già informati sulla chimica e la biologia della loro maturazione sessuale, e
scalpitano per la trasformazione del loro corpo. Non sono colti di sorpresa dal processo adolescenziale. Se lo
aspettano, ma a volte restano delusi dal cambiamento. Nella ricerca di sé stessi e della propria identità, compaiono
oggetti di consumo che acquistano notevole importanza. L'abbigliamento offre all'adolescente l'opportunità di farsi
un'idea di sé usando mille travestimenti e anche la possibilità di posizionarsi in una fascia di età che ha il diritto alla
fruizione di determinati prodotti e ne ha abbandonati altri. Il mercato dei consumi quindi aiuta l'adolescente a
collocarsi a livello sociale. Per questo può essere interessante indagare su un'eventuale funzione iniziatica degli oggetti
di consumo. In genere, i valori di riferimento della famiglia e della scuola italiana sono radicalmente anticonsumisti.
Nei genitori emerge la preoccupazione che che gli adolescenti possano essere “catturati” in un legame esclusivo con la
merce. Non sembra una preoccupazione del tutto infondata, perché alcuni oggetti acquistano una pregnanza simbolica.
È come se la relazione con l'oggetto esprimesse bisogni di presenza e protezione. L'oggetto svolge una funzione di
accompagnamento verso la crescita, perché permette ai ragazzi di effettuare separazioni avventurose e rischiose. Come
se la cura della cosa inanimata rappresentasse il tipo di rapporto che l'adolescente avrebbe desiderato avere con i cuoi
caregivers. Nell'oggetto vengono quindi proiettate
parti preziose del sé infantile.
Attraverso l'appropriazione di oggetti-sé gli adolescenti riescono a perfezionare il sentimento di identità e ad
aumentare l'autostima, senza dover affrontare il rischio della valutazione dei coetanei, del proprio e dell'altro sesso.
Esentati dalla crudeltà dei riti iniziatici di un tempo, gli adolescenti di oggi piegano le merci ai propri bisogni e
riescono a utilizzare i consumi per scandire il percorso evolutivo, sancendo implicitamente che il passaggio a un certo
tipo di prodotto rappresenta una sorta di iniziazione. In ogni caso la preadolescenza è caratterizzata dalla difficoltà
temporanea a fare investimenti su nuovi oggetti.
La rinomata dedizione allo shopping sottolinea quanto sia ineludibile per la giovane ricorrere a una
ipersimbolizzazione del proprio corpo, per portare alla luce il segreto della femminilità.
I fenomeni della pubertà determinano un cataclisma nell'organizzazione relazionale e simbolica: lacerano
appartenenze, inducono a denigrare ciò che solo poco prima veniva idealizzato. L'adolescente si sente solo perché non
è arrivato in porto, non ha costruito nuovi oggetti d'amore. Si è liberato da quelli vecchi, ma non è ancora capace di
stringere un patto di vera amicizia. L'adolescente si sente abbandonato nel labirinto della crescita, disseminato di
rovine dell'infanzia e di costruzioni di cui ancora non intuisce le possibilità di sviluppo. Ciò che lo caratterizza, però, è
un autentico desiderio di verità e di scoperta. Vuole conoscere la matrice originaria dei propri desideri. Tuttavia il
desiderio è avvolto da incertezze e sensi di colpa. Cammina avanti e indietro cercando ciò che è davvero. Le
corporation studiano gli adolescenti per realizzare ciò che neppure loro sanno di sognare. L'oggetto alla moda compie
il miracolo di regalare un sentimento di individualità integrata. Le corporation riescono a innescare un processo che
permette agli adolescenti di ritrovare a ogni stagione gli oggetti che stanno per sognare. Ciò che si realizza è una danza
interattiva tra l'immaginario adolescenziale e le capacità comunicative e interpretative della corporation. La società dei
consumi sostiene fin da un'età molto precoce il cucciolo che cresce, suggerendogli di volta in volta il diritto e il dovere
di esprimersi e realizzarsi attraverso il possesso di una merce che lo qualifica e dà
un nome al suo desiderio, orientando l'appartenenza a un sottogruppo. Il ragazzo firmato è aiutato emotivamente e
cognitivamente a effettuare un passaggio da una condizione evolutiva a un'altra. In assenza di altre celebrazioni, sono
le corporation che sostengono e legittimano i riti di passaggio.

CAPITOLO III – IL GRUPPO DEI PARI

La socializzazione con gli altri bambini è molto importante e presente nel mondo di oggi, complice anche il fatto che i
bambini passano fin da piccolissimi molto tempo al di fuori della famiglia e con i coetanei. C'è una forte spinta alla
nascita della soggettività sociale. Il preadolescente ha bisogno del piccolo gruppo di coetanei dello stesso sesso,
perché è alle prese con l'attribuzione di un senso affettivo, simbolico, etico della nuova corporeità. La scelta dell'amico
del cuore può essere speculare o simmetrica, affine per cultura, etica o religione. Oppure può muoversi in aree del
tutto diverse da quelle dell'appartenenza familiare. Il processo di separazione dalla madre e dai miti infantili necessita
dei legami che si instaurano nel piccolo gruppo di maschi o di femmine. Gli amici si aiutano a vicenda per mitigare le
emozioni negative che si creano quando si recidono gli antichi legami, che offrivano sicurezza e protezione.

Un altro gruppo da osservare è il gruppo classe. Nella scuola i ragazzini non riescono a vedere lo spazio preposto a un
rito di passaggio. La scuola per loro non rappresenta nemmeno la cultura e la scienza. Ai loro occhi è nuda. Perciò la
scuola non fa più paura, poiché dal modello educativo da cui provengono di rado qualche adulto li ha puniti
severamente. Non temono i castighi e non provano dispiacere. La crisi del valore simbolico della scuola media
favorisce così l'attribuzione della massima importanza alla relazione orizzontale con i coetanei e con il gruppo- classe.
Anche il gruppo-classe può farsi interprete dei riti di passaggio, arrogandosi il compito di sanzionare coloro che si
rifugiano nel limbo di una sospetta adesione alla relazione con la madre e con i più grandi. Il gruppo dei bulli è spesso
convinto di gestire un mandato collettivo: quello di punire qualcuno per le sue incertezze nella definizione dell'identità
sessuale e per l'apparente sottomissione alle aspettative degli adulti e la conseguente mancata integrazione con i
coetanei. I bulli lo richiamano al dovere della crescita. In qualche modo il gruppo-classe ha una funzione protettiva
che induce i membri a credere che il riconoscimento dei coetanei rappresenti un valore di gran lunga superiore rispetto
a quello degli adulti.
Sui banchi delle scuole medie si collaudano e realizzano legami di amicizia che perdono i connotati della fase infantile
e conquistano le caratteristiche del rapporto adolescenziale. L'amicizia serve per portare le cariche affettive e
pulsionali al di fuori della famiglia. A 13 anni l'amicizia è caratterizzata dal bisogno di realizzare un'attività comune
senza riflessione sul legame stesso. È quindi una relazione finalizzata a favorire il distacco dai genitori. In seguito
(14-15 anni) si intravede la capacità di valutare la qualità del rapporto in termini di lealtà, intimità e possibilità di
rispecchiamento. A 17 anni la relazione condivisa acquista un'importanza particolare.
Nel gruppo il nuovo ideale dell'Io diventa concreto, nel gruppo si acquisiscono competenze sul funzionamento
dell'apparato psichico dell'altro. Per i preadolescenti il gruppo è lo scopo. L'obiettivo è essere nel gruppo. I ragazzi
sono consapevoli che i legami di gruppo servono a realizzare un'accelerazione del processo di emancipazione
dell'autorità dei genitori, pertanto il gruppo si muove nell'area di condotte blandamente trasgressive.

Un fenomeno più complicato da comprendere nel suo determinismo e anche nella prevenzione è la metamorfosi del
gruppo in banda. Ciò avviene quando la mente del gruppo percepisce l'impossibilità di proporre attività che
generalmente divertono, coinvolgono e soddisfano. Si inventano così occupazioni, azioni rischiose per superare la
noia. Quando il futuro agli occhi del gruppo è agonizzante e non appare chiaro a nessun componente dove si voglia
andare a parare, ecco che si assiste a una repentina trasformazione in banda, con un'organizzazione gerarchica. I
membri vengono deresponsabilizzati e incitati a compiere l'atto di violenza. Il singolo è catturato nella rete delle
relazioni mentali collettive. La mente del gruppo si dà un specifica organizzazione “paranoica”. La banda cioè decide
di sentirsi perseguitata e quindi di andare alla ricerca del proprio nemico e sfidarlo. In questo modo il gruppo vince la
battaglia contro la noia individuale. Gli adulti e gli educatori sono preoccupati, ma non serve irrigidire le norme
disciplinari, minacciare castighi e bocciature. A questi studenti non si riesce a fare paura, perchè mancano i sensi di
colpa. A scuola converrebbe interessarsi molto di più alla formazione del gruppo-classe, alla presenza di tutor che
aiutino gli adolescenti a utilizzare la grande potenza espressiva e formativa del ruolo di studente. Bisogna aiutare i
ragazzi a comprendere che c'è ben poco da annoiarsi: è tempo di crisi, è necessario arruolarsi in un grande movimento
collettivo per cambiare l'attuale modello di sviluppo. I giovani, se c'è da modificare tutto, sono disponibili.
Delegare al mercato dei consumi e ai gruppi giovanili le ineludibili funzioni iniziatiche non può essere una soluzione
educativa soddisfacente. Bisogna creare nuovi percorsi di crescita, più intelligenti e coerenti con la natura del giovane.

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