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RIASSUNTO “SOCIOLOGIA DELLA FAMIGLIA”

CAPITOLO 1 – CHI VIVE CON CHI: FAMIGLIA COME UNITÀ DI CONVIVENZA


1. ALCUNI PROBLEMI CONCETTUALI E DI METODO
Il vivere insieme costituisce uno degli indicatori più semplici dell'esistenza di una famiglia. L'importanza è
suggerita dagli stessi usi linguistici (torno a casa per intendere la propria famiglia)
In altre lingue la distinzione è più precisa che in italiano:
1) Haushalt (tedesco)
2) Ménage (francese)
3) Houshold (inglese)
costituiscono il modo in cui nell'uso comune si designa la convivenza familiare
La famiglia è un gruppo di persone legate da rapporti di parentela più ampio di quello dei conviventi, ma
più ristretto rispetto all'insieme dei parenti. Non tutte le persone che vivono insieme sono considerate o si
autodefiniscono famiglia. Le differenze sono talmente tante che l'ovvietà dell'attribuzione dello stato di
famiglia appare problematico. L'individuazione della convivenza familiare e della famiglia come forma di
convivenza, richiede che vengano chiarite le regole che presiedono sia alla delimitazione dei confini della
convivenza familiare sia alla definizione dei rapporti tra le diverse persone come rapporti familiari. Queste
regole differiscono nel tempo e nello spazio mostrando come la famiglia, il modo di farla e di intenderla sia
un'istituzione storico-culturale, costruita dalle norme e dai rapporti sociali e di potere in cui queste sono
elaborate e fatte valere.
L'esistenza di una varietà di forme familiari e di regole per la delimitazione dei confini ha spinto molti
antropologi alla ricerca di funzioni e caratteristiche familiari che fossero insieme essenziali e universali.
Malinowski (1913): riflessioni sull' universalità del bisogno di cura dei piccoli
1) Gli antropologi si sono cimentati nel compito di dimostrare l'universalità della famiglia come istituzione
per la cura e l'allevamento dei piccoli, definita da precisi confini spaziali e relazionali e i cui membri sono
legati da particolari vincoli affettivi
2) I sociologi hanno parlato e parlano di funzioni della famiglia come di dimensioni in qualche misura
naturali, confrontabili e rinvenibili attraverso il tempo e lo spazio, pur con perdite e talvolta distorsioni
(es riproduzione, cura) da cui deriverebbero necessariamente sia la condivisione economica che la
divisione del lavoro tra i sessi
Questa concettualizzazione è stata criticata sia in sede antropologica che sociologica, in quanto condivide il
limite proprio a tutte le argomentazioni di tipo funzionalistico. Viene infatti attribuito un carattere di
necessità logica al dato empirico per cui talune istituzioni sociali realizzano determinate funzioni. la ricerca
etnografica ha mostrato come culture diverse organizzino e distribuiscano diversamente le funzioni che
siamo abituati a considerare unite nella famiglia ed attribuiscano loro una rilevanza differente nel definire
che cosa sia una famiglia e che cosa no (es società matrilineari in cui il fratello è l’effettivo padre sociale dei
figli della sorella). Più interessante appare una seconda direzione di ricerca tesa a individuare strutture della
famiglia. Questo tipo di indagine si pone la domanda chi sta nella famiglia, chi vive con chi, secondo quali
regole? La struttura della famiglia si riferisce al tipo di vincolo che lega i membri di una convivenza; viene
definita dal modo in cui le persone che la compongono si collocano lungo due assi, rispettivamente
orizzontale e verticale, dei rapporti di sesso e dei rapporti di generazione
Gruppo di Cambridge: questi studi hanno portato all'elaborazione di una tipologia di strutture familiari
lungo questi due assi. Sulla base dell'esistenza o meno generazionale di una coppia coniugale o
generazionale (genitore-figlio), distinguono quattro categorie fondamentali di struttura di convivenza
familiare, a loro volta articolate in sottotipi
1) Gruppi domestici senza struttura: vengono comprese sia le convivenze di fratelli e sorelle, o
consanguinei senza vincoli di generazione, sia coloro che vivono da soli

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2) Gruppi domestici semplici: composti sia da genitori con i figli, che da un solo genitore con i figli, che dalla
coppia senza figli
3) Gruppi domestici estesi: composti, oltre che dai membri della famiglia semplice, da parenti ascendenti
(nonno), discendenti (nipote) o collaterali (fratello della moglie)
4) Gruppi domestici multipli: sono presenti più nuclei coniugali, cioè più coppie eventualmente con i loro
figli. si articola ulteriormente a seconda dei tipi di legami che intercorrono tra i diversi nuclei lungo l'asse
generazionale
a) Frérèches: tutti i fratelli sposati vivono insieme con le proprie famiglie
b) Famiglie a ceppo: la coppia anziana vive con quella dell’erede
c) Congiunte: tutti i figli maschi sposati portano le loro mogli a vivere nella casa dei genitori
Barbagli propone di distinguere tra struttura e relazioni familiari:
1) Struttura: regole con cui una convivenza si forma e si trasforma, determinandone composizione ed
ampiezza
2) Relazioni familiari: rapporti di autorità e di affetto esistenti all’interno del gruppo di persone che vivono
insieme (quindi: patriarcali, autoritarie ecc.). Tale distinzione segnala l’esistenza di dimensioni diverse
entro l’esperienza familiare, ma è una semplificazione che rischia di nascondere i modelli distribuzione
dalle autorità, i rapporti di potere, che sono invece alla base della definizione di una struttura familiare.
Un discorso simile, per quanto riguarda i rapporti tra i sessi, si può fare per le famiglie multiple o le
Frereches:
1) Le famiglie a ceppo, ad esempio, riguardano sempre un vincolo non solo di coabitazione, ma anche di
autorità.
2) Le famiglie multiple, o le frereches, riguardano sempre una discendenza e un legame per via maschile in
cui le donne sono presenti come nuore mogli cognate. Gli uomini sono sempre tra loro consanguinei,
mentre le donne lo sono sole se figlie e sorelle non sposate. Se sposate, sono presenti solo come affini,
quindi estranee: come mogli e nuore.
Questioni di distribuzione dell'autorità e del potere sono anche implicate nella definizione dei rapporti di
generazione che distinguono un particolare tipo di famiglia da un altro.
Le famiglie multiple, ad esempio, si differenziano secondo l’autorità lungo l’asse generazionale in
1) Famiglie multiple discendenti: il figlio che erediterà abita con la propria moglie e figli con i genitori che
continuano a detenere l’autorità
2) Famiglie multiple ascendenti: c’è un passaggio ereditario quando la generazione anziana è ancora
vivente, quindi, un trasferimento di autorità.
Sia i componenti che i rapporti di una famiglia cambiano con l’andar del tempo. Nascite, morti, matrimoni
producono ore in continuo mutamento due il tipo di vincoli che legano le persone in una famiglia, mentre
crescita e invecchiamento modificano sia le competenze, che l'attribuzione dell'autorità e del potere. Si può
quindi parlare di struttura della famiglia solo nel senso di regole lungo tutto il ciclo di vita, non solo in un
particolare momento o fase. Infine, anche il criterio del "vivere sotto lo stesso tetto", che individua la
convivenza familiare rispetto ai legami di parentela, non è sempre così chiaro, soprattutto è il passato oh
per società non ancora sviluppate, talvolta anche in alcune situazioni odierne. Alcune ricerche hanno
mostrato come il confine dell'abitazione non coincida sempre con quello della divisione del lavoro,
dell'accesso al cibo, dei rapporti sessuali. Ad esempio, nelle famiglie tacite della Francia contadina
tradizionale, le famiglie che vivevano sotto tetti diversi si scambiavano lavoro e risorse quotidianamente,
così che l'individuazione dei loro reciproci confini non era facile. Oggi molte persone anziane vivono da sole,
tuttavia pranzano regolarmente dal figlio/a, e ricevono aiuto quotidianamente; ci si chiede quindi se
costituiscono effettivamente delle famiglie a sé stanti. Perciò il vivere sotto lo stesso tetto, o il non vivere
sotto lo stesso tetto è un confine invisibile e non superficiale, ma ha regalato è la direzione della sua
permeabilità è altrettanto importante per la definizione della convivenza familiare.

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2. STRUTTURE FAMILIARI NEL PASSATO EUROPEO
2.1 ECONOMIA FAMILIARE E STRUTTURA DELLA FAMIGLIA IN VARIE REGIONI EUROPEE
Per molti secoli la famiglia ha costituito non solo un modo per far fronte alla riproduzione e garantire la
continuità delle generazioni, ma anche una vera e propria impresa: produttiva, finanziaria, politica. Le
caratteristiche di impresa sono presenti sia nella famiglia contemporanea che in quelle del passato: la
struttura e l'ampiezza della famiglia dipendevano molto dalle risorse, materiali, legali e culturali che
esistevano per far fronte a compiti come la disponibilità della terra, l'ampiezza del patrimonio e così via.
Molti studiosi hanno criticato l'opinione che nel passato le famiglie europee fossero per lo più a struttura
multipla e che avessero attraversato nel tempo un processo di progressiva contrazione (Durkheim): dalla
famiglia multipla del gruppo di parenti alla famiglia coniugale - nucleare moderna (marito, moglie e
eventuali figli per proprio conto), dove l’industrializzazione avrebbe avuto un ruolo essenziale. Le prime
ricerche del Gruppo di Cambridge sembrarono quasi rovesciare questo resoconto, nella misura in cui
mostrarono che diversi secoli prima dell’industrializzazione il modello di struttura familiare prevalente in
Europa era proprio quello coniugale nucleare. In sintesi, le caratteristiche delle famiglie europee occidentali
sarebbero:
1) Età al matrimonio relativamente alta
2) Differenza d’età tra i coniugi relativamente bassa
3) Matrimonio tra coetanei in grado di stabilire la propria residenza separatamente dai genitori
4) Fecondità ridotta (la donna è vecchia)
Da questo tipo di famiglia si distinguevano il modello di:
1) Famiglia orientale a struttura multipla discendente, con età di matrimonio bassa e un'alta fecondità
2) Famiglia meridionale con famiglie multiple discendenti, o le frereches o le famiglie a ceppo
La famiglia europea si presenta quindi molto più diversificata nelle sue strutture del passato che nel
presente: segnata da confini, distinzioni, tra città e campagna, tra i ceti sociale e tra forme di accesso e
distribuzione della proprietà. Le trasformazioni economiche e politiche, anche perché modificano quelle
distinzioni e quei confini, d'altra parte non sembra abbiano un andamento lineare e univoco, come invece
sostenevano alcuni studiosi. Per quanto riguarda il caso italiano, Barbagli ha trovato forti diversificazioni tra
regioni, tra città e campagna e tra ceti. In particolare, mostra che, se è vero per l'Italia l'urbanizzazione e
l'industrializzazione sono state decisive per l'affermazione della famiglia coniugale-nucleare nel XIX e nel XX
secolo, non è affatto vero nella società tradizionale italiana precedente l'industrializzazione prevalesse
ovunque la famiglia multipla a tre generazioni.
1) Non prevaleva nel meridione: strutture familiari di tipo nucleare dovute al modello produttivo a coltura
estensiva
2) Non prevaleva nelle città del centro nord, dove si seguiva la regola di residenza neolocale dopo le nozze,
quindi famiglie nucleari
3) Prevalevano invece nelle campagne del centro nord strutture di tipo multiplo
Secondo Barbagli, la struttura delle famiglie urbane italiane ha attraversato 4 grandi cambiamenti:
1) Una stabilizzazione dovuta alla diminuzione della mortalità dovuta a carestie ed epidemie
2) Una riduzione del peso delle famiglie incomplete (senza un genitore) per il calo della mortalità
3) Riduzione delle differenze nel grado di complessità delle famiglie dei diversi ceti urbani, a motivo
soprattutto dei cambiamenti nelle regole di trasmissione patrilineare nei ceti nobiliari:
a) Famiglie multiple verticali-orizzontali, dove i fratelli sposati continuavano a vivere nella casa dei
genitori con moglie e figli
b) Modello patrilineare indivisibile fondato sul fidecommesso e la primogenitura, costringendo al
celibato i figli cadetti
c) Modello della divisibilità, il quale ha dato inizio alla progressiva nuclearizzazione delle famiglie dei
ceti nobiliari, che diventano così più simili alle altre famiglie urbane

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4) Riduzione della presenza del personale domestico nelle strutture delle famiglie urbane, che ha
comportato un minor peso dei membri esterni, ma una maggiore presenza dei figli in famiglia.
Per quando riguarda le campagne, Barbagli conferma la tesi secondo cui tra XV e XVI si consuma, nell'Italia
centro-settentrionale una frattura tra città e campagna. Si estende l’organizzazione produttiva poderale –
familiare, cosicché le terre vengono riunite a costituire un podere di dimensioni tali da potere esser
lavorato da tutti i componenti della famiglia. Perciò, mentre in città si afferma la famiglia nucleare, nella
campagna si diffonde la famiglia multipla. In generale, la struttura della famiglia contadina corrisponde alle
esigenze della produzione agricola ed è proprio con la modifica dei contratti agrari del 1870 che inizia una
prima nuclearizzazione della famiglia agricola. Dopo la Prima Guerra Mondiale, invece, con il processo di
redistribuzione della proprietà terriera, il numero delle famiglie a struttura multipla crebbe di nuovo. Non
sempre la proletarizzazione in agricoltura porta alla nuclearizzazione della famiglia, ma solo quando il
rapporto di lavoro agricolo è di tipo individuale (braccianti). Ad esempio, i boari che sottoscrivevano un
contratto si impegnavano per sé e per la propria famiglia e il padrone si interessava della composizione
dell’aggregato domestico del suo boaro, perché avesse un numero di braccia corrispondenti alle esigenze
del fondo. Il caso italiano mostra una varietà di strutture e di processi non lineari di trasformazione, anche
se ha finito per prevalere la struttura di tipo nucleare-coniugale anche nelle campagne. Anche per quanto
concerne il caso francese, le ricerche hanno rilevato un'analoga differenziazione delle strutture familiari del
passato: per esempio, nelle regioni centrali e meridionali dell’Ancien Regime, era molto diffusa la famiglia a
ceppo. Proprio perché questa struttura corrisponde a una particolare forma di accesso alla proprietà
agricola, gli interessi non solo di coloro che erano fuori dall’asse ereditario (fratelli non eredi), ma anche
delle generazioni che si avvicendano nella proprietà, erano tendenzialmente divergenti. Sia che la
trasmissione della proprietà avvenisse in vita, sia che avvenisse solo con la morte del maschio anziano, i
conflitti e le tensioni attorno a questo passaggio, e ai rapporti di potere cui dava luogo sono ben
documentati. Questo vale anche per altre strutture familiari multiple, come la frereche o la famiglia
congiunta, dove l'interesse a mantenere unita la proprietà si scontra con gli interessi dei singoli nuclei. Man
mano che le famiglie dei fratelli conviventi si fanno più numerose e i figli crescono, è facile che qualcuno si
stacchi per dare inizio a un nuovo gruppo familiare e a un nuovo ciclo generazionale. Nella famiglia
contadina, in particolare c'era una stretta interdipendenza tra ciclo di vita, risorse e struttura. La famiglia
contadina, infatti, è sempre alla ricerca dell'equilibrio tra forza lavoro disponibile, bocche da sfamare e
necessità produttive, stretta tre rischi della eccedenza di necessità produttive, cioè quando i figli sono
piccoli, della eccedenza di manodopera, ovvero quando i figli crescono. Per questo la famiglia contadina
mette in opera, quando può, strategie di flessibilizzazione della manodopera, assumendo servi quando i figli
sono piccoli o mandando a servizio i propri figli quando questi crescono.
2.2 L'INSTABILITÀ DELLE STRUTTURE FAMILIARI NEL PASSATO
Le famiglie del passato appaiono molto più instabili di quella contemporanee, è questo per alcune cause
1) Elevata mortalità: le donne morivano prima e c’erano molti orfani e famiglie spezzate. Circa la possibilità
di formare famiglie ricostituite va detto che essere vedova era un ostacolo: una donna non più giovane
poteva sposarsi solo se la terra che le aveva lasciato il marito costituiva una risorsa abbastanza
appetibile. Viceversa, la presenza dei figli poteva essere un ostacolo anche se la vedova era giovane,
vuoi per motivi di successione ereditaria, vuoi perché i figli costituivano un peso economico per il
potenziale marito. Un uomo vedovo, invece, trovava moglie più facilmente avendo un più rapido
accesso alla proprietà. Per questa diversità faceva sì che i figli delle vedove avessero più possibilità dei
figli dei vedovi di rimanere in una famiglia spezzata, o addirittura di essere dispersi nella parentela.
2) Fenomeni migratori:
a) Coinvolgevano soprattutto le famiglie contadine che mantenevano in equilibrio risorse e bisogni
facendo emigrare alcuni dei propri membri (ad esempio, i figli minori venivano mandati a servizio
presso altre famiglie)
b) Coinvolgevano i figli "eccedenti", non destinati ad ereditare

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c) Mobilità forzata dell'intero gruppo domestico, frequente nei ceti contadini non proprietari, quando il
padrone diceva i contratti di mezzadria o affitto costringendo la famiglia contadina a cercare altrove
un altro contratto
d) Mobilità connessa allo stesso lavoro. I pastori migravano ogni stagione, i braccianti si muovevano con
i tempi dei vari raccolti e così via
La diminuzione della mortalità, aumento e diversificazione delle risorse disponibili nel XX sec, favorirono
una maggiore stabilità della famiglia nel ciclo di vita, un’omogeneizzazione delle strutture familiari, cui
segue una nuova instabilità moderna. Quindi, i fenomeni più recenti di instabilità, dovuti a divorzi e
separazioni, andrebbero letti lungo questo processo di stabilizzazione per le strutture familiari.

3. INDUSTRIALIZZAZIONE E TRASFORMAZIONI DELLA FAMIGLIA


La famiglia nucleare è stata presente per diversi secoli ben prima dell'industrializzazione in diverse aree
europee. Tuttavia, in tutti questi paesi coinvolti dal processo di industrializzazione, La famiglia nucleare si è
diffusa rapidamente anche in aree e ceti precedentemente caratterizzati da altre strutture familiari. Con
l’industrializzazione cambia la composizione sociale della popolazione e la sua distribuzione tra città e
campagna: gli strati rurali si inurbano e divengono proletari urbani. Cambiano i rapporti familiari tra le
generazioni, mutano le possibilità di controllo familiare sulla forza lavoro, ma soprattutto cambia la
posizione di classe di interi gruppi sociali perché cambia il sistema di stratificazione sociale. Ciò che cambia,
quindi, tanto la famiglia contadina, quanto la composizione sociale della popolazione e la sua distribuzione
tra città e campagna. Artigiani e lavoratori già urbani vedono trasformare il proprio lavoro e il proprio modo
di produzione familiare. La fabbrica sottraeva ai genitori il controllo della formazione e dell'uso della forza
lavoro dei loro figli, a favore di un controllo e di una formazione ad opera degli imprenditori. In alcune
situazioni, la creazione di un nuovo mercato del lavoro tramite lo sviluppo della manifattura favorì la
stabilizzazione e l’allargamento della famiglia, consentendo ai figli di rimanere più a lungo in famiglia senza
emigrare, contribuendo con il proprio salario al sostentamento della famiglia, e favorendo un uso strategico
della parentela a fini sia di inserimento nel mercato del lavoro, ma anche di accoglimento, abitazione e
messa in comune delle risorse. Fenomeni che accompagnarono l’industrializzazione in Europa e che
segnarono l’organizzazione familiare:
1) Il sistema di fabbrica modifica la divisione del lavoro familiare
2) Emerge la necessità di uno spazio domestico non mescolato allo spazio del lavoro; quindi, c'era una
distinzione tra produzione e riproduzione. Infine, emergono necessità di cura per i bambini, che non
possono essere accuditi sul luogo di lavoro
3) Diffusione dell’economia familiare salariata: tutti sono chiamati a contribuire al comune sostentamento
della famiglia
4) Si delinea una divisione dei compiti e degli spazi per uomini e donne: i primi fuori dalla famiglia, le
seconde dentro, nascoste. L’industrializzazione crea l’operaio e la casalinga
5) Cambiano i rapporti tra le generazioni nella famiglia: l’accesso a un salario individuale favorisce
fenomeni di individuazione e separazione, ma la solidarietà economica familiare rimane forte.
6) La transizione demografica porta il passaggio da un alto tasso di mortalità e fecondità tipico delle società
preindustriali alla situazione attuale, caratterizzata sia da una bassa mortalità che da una bassa
fecondità.
Questi fenomeni furono diversi nei vari paesi. Secondo alcuni autori, durante la prima fase
dell'industrializzazione, la riduzione del controllo delle famiglie e della comunità sui giovani e le migrazioni
connesse ai processi di urbanizzazione favorirono anche le unioni libere e le nascite di figli illegittimi

4. STRUTTURE FAMILIARI NELLE SOCIETA' CONTEMPORANEE


4.1 PROBLEMI DI DEFINIZIONE E RILEVAZIONE

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Oggigiorno coresidenzialità e bilancio comune tendono a coincidere, cosicché i confini della famiglia
sembrano più chiari nella società contemporanea che nel passato. Tuttavia, le cose non sono così semplici e
i dati di tipo "macro" dei censimenti delle grandi indagini nazionali rischiano di far perdere la concretezza e
specificità delle singole famiglie e delle diverse realtà locali.
1) La tipologia delle famiglie usata dall’ISTAT:
a) Uni personali
b) Coppie senza figli
c) Coppie o singoli con figli
d) Estese (includono le estese e le multiple di Laslett)
2) Per definire l'unità di convivenza familiare l'istituto di rilevazione rimandava alla definizione anagrafica
ampia e flessibile, secondo cui i caratteri della famiglia sono:
a) La relazione di parentela o affinità o affettività tra più persone
b) La coabitazione, cioè la convivenza di tutti i membri nello stesso alloggio
c) L’unicità del bilancio (scomparso dagli anni 80), almeno per parte delle entrate e delle spese
destinate al soddisfacimento di bisogni primari della famiglia, come l'alimentazione e i servizi
dell'abitazione.
Le definizioni di famiglia usate dagli organi di rilevazione sono variate nel tempo. Queste disomogeneità
segnalano una difficoltà a tracciare in modo netto i confini della famiglia e la definizione dei criteri: riti e di
spaziali, relazionali, di scambio e di condivisione delle risorse. Nel 1987 l’ONU ha proposto una definizione
anagrafica di famiglia a fini statistici, adottata dall’EUROSTAT ma non da tutti i Paesi: "La famiglia dovrebbe
essere definita nel senso stretto del nucleo familiare, cioè le persone dentro un aggregato domestico che
sono tra loro legate come moglie e marito, o genitore e figlio/i (di sangue o adozione ma non in
affidamento) celibe o nubile. Le definizioni di "famiglia" possono essere solo di tipo operativo, legate ai
problemi di indagine, politica sociale, che ci si pone di vota in volta.
4.2 LA VARIETÀ DELLE STRUTTURE FAMILIARI CONTEMPORANEE
Dal secondo dopoguerra a oggi vi è stato un accumulo e un intreccio di fenomeni e tendenze diversi. In
particolare, si è assistito a un aumento del numero delle famiglie superiore all’aumento della popolazione,
a una riduzione dell’ampiezza delle famiglie e a una diversa distribuzione percentuale dei vari tipi di
struttura familiare, a favore di quella coniugale-nucleare, uni personale, monogenitore e a sfavore di quella
estesa e multipla. Questi fenomeni solo la conseguenza dei comportamenti individuali e familiari, sia di
processi demografici diversi.
4.2.1 I fattori della diversificazione e del dinamismo delle strutture familiari
a) L’aumento del numero delle famiglie è stato maggiore dell’incremento della popolazione; questo
conferma la tendenza verso la nuclearizzazione della famiglia e va messo in relazione con l'allungamento
della durata della vita.
b) La riduzione delle nascite rende più evidente lo squilibrio tra incremento della popolazione e incremento
delle famiglie.
c) L’invecchiamento della popolazione e l’aumento dell’instabilità coniugale, come separazioni e divorzi,
producono in alcuni casi una ripresa delle famiglie estese (coppia con figli che accoglie un genitore
vedovo o vedovo che accoglie in casa il figlio separato - chiamati fenomeni di ricoabitazione) segnala una
trasformazione del ciclo di vita individuale e familiare.
4.2.2 La famiglia nucleare coniugale con figli: una fase della vita familiare sempre più ridotta?
In tutti i paesi sviluppati le indagini di tipo statico (e non dinamico) segnalano una costante diminuzione
della quota delle famiglie coniugali nucleari, specie di quelle con figli. La coppia coniugata rappresenta una
fase della vicenda familiare, ma in Europa meno del 50% delle famiglie in un dato momento ha dei figli.
Emerge, quindi, una netta diminuzione delle famiglie estese e multiple e viceversa l’aumento dei solitari.
4.2.3 Strutture familiari e corsi di vita individuali

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Al variare dei modi di formazione della famiglia corrisponde una modifica del tipo di famiglia in cui ci si
trova a seconda dell’età e della fase della vita. In Italia, ad esempio, negli ultimi 20 anni è aumentata la
quota dei figli che vivono ancora con i genitori, una tendenza che si è verificata in tutti i paesi europei, in
connessione con l’aumento della scolarità che con le difficoltà di ingresso nel mercato del lavoro e
l’aumento dell’età al matrimonio. Tuttavia, sono i paesi mediterranei a mostrare tassi di permanenza più
elevati e lunghi, e motivazioni diverse per l'uscita dalla casa dei genitori: in questi paesi l'uscita coincide più
strettamente con il matrimonio, negli altri paesi, invece, è per vivere soli o in coppia. Queste lunghe
convivenze nascondono però spesso fenomeni di pendolarismo familiare: i figli hanno la residenza dai
genitori, ma vivono stabilmente altrove (ad esempio studenti e lavoratori pendolari). Uomini e donne
vivono da soli in fasi della vita diverse: le donne vivono sole nell’età anziana (longevità), gli uomini nelle età
centrali e giovanili, sia perché modelli culturali di genere sostengono di più l'uscita da casa dei maschi
piuttosto che delle femmine, perché in caso di separazione e divorzio se ci sono figli essi sono affidati
spesso alla madre.
4.2.4 Le nuove famiglie
Il termine "nuove famiglie" indica sia i nuovi modi di fare famiglia dal punto di vista delle regole e dei valori
(convivere senza sposarsi, convivenze omosessuali, risposarsi dopo un divorzio), sia l'emergere di nuove fasi
nel ciclo di vita individuale e familiare. Aumento delle famiglie uni personali, coppie non coniugate, famiglie
monogenitoriali.
1) Le famiglie con un solo genitore sono in crescita in tutti i paesi sviluppati con cause diverse: la vedovanza
(più nel passato), la procreazione al di fuori del matrimonio, instabilità coniugale come separazione e
divorzio (più oggi).
Questo cambiamento nelle cause che portano al formarsi di una famiglia consumi genitore spiega anche
perché nella maggioranza dei casi il genitore solo sia madre. In tutti i paesi parallelamente all’instabilità
coniugale c'è stato un cambiamento nei criteri di affidamento dei figli, non più basato sul colpevole della
separazione, o di chi tra i genitori ha più mezzi o potere sociale, ma sul migliore interesse del figlio e
quindi sul “genitore più adatto”. Questo ha comportato un affidamento quasi unico alla madre, ritenuta
più adatta ai compiti genitoriali, soprattutto in presenza di figli piccoli.
2) Le famiglie ricostituite o ricomposte includono figli nati da un matrimonio precedente, soprattutto se è
finito a seguito di un divorzio. Quindi si parla di famiglia ricostruita, o ricomposta quando almeno uno
dei due coniugi proviene da un matrimonio precedente. Dal punto di vista della struttura, se non ci sono
figli di un matrimonio o rapporto precedente, questa famiglia è del tutto assimilabile a ogni nuova
famiglia che nasca da un primo matrimonio. Se, invece, ci sono figli dal rapporto precedente coppia
genitoriale e coppia parentale non coincidono e anzi costituiscono due diversi nuclei. Se però l’altro
genitore è ancora in vita e mantiene rapporti con i figli, questi ultimi transitano tra le due famiglie.
Infine, se entrambi i coniugi hanno figli da un rapporto precedente nascono ulteriori complicazioni.
In tutti i casi c'è un problema di confini perché sono permeabili e complessi.
3) Le convivenze more uxorio, presentano specificità non dal punto di vista della struttura, ma dal punto di
vista della legittimazione. Qui la coppia coniugale non è legittimata dal matrimonio, ma dalla scelta di
vivere insieme. Il suo statuto di famiglia dal punto di vista legale e culturale è controverso, specie
quando non ci sono figli. Si distinguono: -- Convivenze eterosessuali e omosessuali: nelle prime è
l’assenza di matrimonio a motivare scarsa legittimità e sono state le prime ad essere riconosciute dalle
unioni civili. Nelle seconde è il tipo di sessualità che contrasta con ogni idea di famiglia in quanto non
potenzialmente generativa. È la relazione omosessuale, infatti, a sfidare l'idea della famiglia come patto
di solidarietà con finalità anche riproduttiva. Ci sono anche difformità normative: per esempio, in Italia
una convivenza etero o omosessuale è una famiglia dal punto di vista anagrafico, ma non lo è per il
codice civile, per il diritto ereditario o sistema pensionistico. -- Convivenze giovanili e convivenze tra
adulti, entrambe in aumento. Costituiscono il primo modo in cui una coppia va a vivere insieme. Solo nei
paesi scandinavi sono consistenti, configurando un vero e proprio modello di famiglia alternativa. In
Italia sono poche, ma in aumento, si tratta spesso di convivenze di necessità in cui uno o entrambi i

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partner sono in attesa di divorzio per potersi risposare o non intendono risposarsi perché vedovi o
separati con figli.
4) Le famiglie di migranti o famiglie miste, in cui uno dei coniugi è straniero, rendono visibili modi diversi di
intendere la famiglia, i rapporti uomo-donna, genitori-figli e così via. L'accento sulle differenze culturali
evidenzia il fatto che i migranti vivono in famiglie in cui i rapporti di coppia e generazionali sono spesso
spezzati dalla migrazione. In Italia, sia le famiglie straniere che ho quelle miste sono più diffuse nelle
regioni settentrionali. Inoltre, va osservato che nelle miste il coniuge straniero è più spesso la moglie
(circa il 77% di tutti i matrimoni misti).
5) La Comune che negli anni sembrava dovesse prefigurare il nuovo modello del futuro, è un tipo di
rapporto dove non ci sono rapporti di sesso né di generazione e si distingue dalla semplice condivisione
di uno spazio abitativo e di un progetto di vita comune. Ce ne sono stati molti tipi e continua ad essere
un fenomeno diffuso, anche se minoritario in Danimarca e Olanda specie in alcune fasi del ciclo di vita
6) I PACS (Pacte Civil de Solidarité) sono forme familiari basate sul mutuo aiuto, introdotte in Francia per
riconoscere inizialmente le coppie omosessuali, ma poi allargate a tutti i rapporti che intendono
dichiararsi e impegnarsi in modo solidale.
Si può quindi concludere dicendo che esiste una grande eterogeneità dei modi di fare famiglia che
caratterizza il panorama mondiale.

CAPITOLO 2 – LA FAMIGLIA NELLA PARENTELA


La delimitazione dei confini della convivenza familiare rispetto alla parentela è uno dei fattori principali del
dinamismo della struttura familiare stessa lungo il ciclo di vita: le persone entrano nella famiglia portando
con sé nuovi legami di parentela o modificando e articolando quelli esistenti; o viceversa, le persone escono
dalla convivenza per entrare nella parentela. Spazi e relazioni interne (convivenza) ed esterne (parentela) si
ridisegnano continuamente. Questo dinamismo è espresso dalla stessa instabilità e incertezza del
linguaggio con cui si assegna lo statuto di membro della famiglia o di membro della parentela allo stesso
individuo lungo il ciclo di vita. La letteratura sociologica sulla famiglia contemporanea e la marginalità degli
studi sulla parentela è stata motivata da un giudizio a priori di irrilevanza della stessa come fenomeno
sociale. La progressiva riduzione delle convivenze allargate è stata assimilata alla riduzione dello spazio sia
strumentale che simbolico della parentela. La progressiva perdita di esplicita rilevanza sociale della
parentela come sistema forte e riconosciuto ha fatto pensare a una sua totale irrilevanza sociale e a una
restrizione del suo spazio affettivo ai soli parenti stretti e neppure a tutti, con un progressivo allontanarsi
dei vincoli con l’andar del tempo. Da questo punto di vista, sembrava concluso il processo che Durkheim
aveva formulato come “Legge di contrazione”. Secondo questa interpretazione, la famiglia, che in passato
aveva origine nella parentela e in un patto tra parentele, progressivamente se ne sarebbe enucleata, fino a
giungere all’epoca contemporanea in cui la famiglia sembra trarre origine solo dall’unione di due individui.
Così che la stessa parentela sembra nascere da questo legame piuttosto che preesistergli. Costituirebbe per
questo un insieme di relazione deboli e marginali rispetto alla più forte struttura familiare coniugale. La
diffusione di una scarsa rilevanza sociale della parentela è sufficientemente consistente da suggerire se non
altro un’incertezza circa il suo statuto rispetto alle singole famiglie definite dalla convivenza e agli individui
che la compongono.

1. ELEMENTI DI ANTROPOLOGIA DELLA PARENTELA


1.1 STRUTTURE DI PARENTELA E STRUTTURE DI GENERE
Come ha osservato Levi-Strauss, perché ci sia una famiglia occorre che altre due rinuncino a un membro
ciascuna. E questo fatto, mentre in certa misura modifica le relazioni tra coloro che hanno vincoli di sangue,
instaura contemporaneamente nuovi vincoli sociali. In senso stretto, la parentela designa il rapporto che
deriva dalla comune appartenenza a una genealogia, in senso ampio ingloba sia i consanguinei che gli affini,

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cioè coloro con i quali si entra in rapporto direttamente o indirettamente tramite il matrimonio. La
parentela, infatti, è costituita dall’incrocio tra questi due tipi di vincoli. Ogni cultura non si limita solo a quali
siano i vincoli sociali messi in atto, ma anche la relativa importanza degli stessi vincoli di sangue: che si tratti
di individuare un sistema di filiazione, cioè di appartenenza nella catena delle generazioni, o invece un
sistema di alleanze e di solidarietà quotidiane, cioè una rete di relazioni tra persone. Come osservato in
alcuni studi, non tutti i vincoli di sangue danno luogo, e in egual modo in tutte le culture, a vincoli familiari e
di parentela.
Una prima differenziazione della rilevanza dei legami di sangue ha a che fare con l’appartenenza al sesso.
ES: Nella Cina tradizionale non vi era alcun limite alla proibizione di sposarsi con qualcuno entro la linea
diretta degli ascendenti maschili, laddove la proibizione si estendeva solo fino al quinto grado di parentela
per coloro che erano imparentati per via femminile. È un caso esemplare della funzione di
regolamentazione sociale propria del tabù dell’incesto e contemporaneamente dell’interpretazione sociale
dei rapporti di sangue. Se è il sesso maschile a essere scelto come elemento strutturante in primo luogo la
parentela, la relazione si definisce agnatica e la filiazione patrilineare. Se invece è il sesso femminile a
strutturare i vincoli di parentela, il rapporto parentale è definito uterino, la filiazione matrilineare e i legami
di parentela seguono la linea femminile ed escludono quella maschile. Allorché entrambi i sessi concorrono
alla definizione della parentela, la filiazione è bilineare, nel senso che ciascun individuo appartiene a due
linee di filiazione e a due gruppi parentali diversi, cui vengono attribuite finalità differenti. Non si tratta di
semplici questioni lessicali, ma appunto di modalità di rapporti e di organizzazioni sociali che regolano gli
scambi e le reciprocità, i diritti e i doveri, e che nella loro complicazione bene indicano come la parentela sia
un fatto sociale fondamentale e da regolarsi accuratamente, soprattutto nelle società prive di altri sistemi
di differenziazione. Contemporaneamente, indicano come i rapporti tra i sessi costituiscano un principio
ordinativo sociale fondamentale, continuamente e diversamente elaborato: come struttura sociale di
genere. Anche nell’occidente europeo tuttora si ritiene che una famiglia finisca perché nessuno porta più
quel cognome, trasmissibile solo per linea maschile, allorché non ci sono più figli maschi. Un altro esempio
è costituito dall’uso di dare una dote alle figlie, ma di trasmettere i beni immobili ai figli. Una terza
possibilità della strutturazione della parentela è quella indifferenziata o cognatica: allorché l’appartenenza a
un gruppo di parenti non è più una funzione del sesso e ciascun discendente di un particolare individuo fa
parte del medesimo gruppo di parentela e può ereditare da qualsiasi dei suoi ascendenti. Si tratta del
modello che prevale, anche se mai in forma pura, nelle società sviluppate contemporanee. Il
funzionamento e riproduzione dei gruppi di parentela non è più garantito in modo univoco e certo.
Interessa rilevare che un parente consanguineo è un individuo definito come tale da una società data e i
legami di sangue in senso genetico possono non entrare in nulla in tale definizione, benché nella maggior
parte delle società questi tipi di vincoli tendano a confondersi (es. adozione).
1.2 LA PARENTELA COME STRUTTURA E LINGUAGGIO SOCIALE
Si può dire che la parentela è innanzitutto un vocabolario sociale tramite il quale sono definiti spazi e flussi
di relazioni, confini tra gruppi sia nel senso di separazioni che di possibili alleanze, e contemporaneamente
ciascun individuo è collocato all’interno di questi. La terminologia della parentela non è che l’espressione
linguistica di questo lavoro di interpretazione e definizione sociale. Emergono cinque grandi tipi di
terminologie della parentela, designati sulla base dei gruppi culturali in cui sono stati individuati per la
prima volta (non citati). Il nostro sistema, maggiormente diffuso in occidente, è quello di tipo eskimo, o
cognatico, dato che utilizziamo un sistema di filiazione tendenzialmente indifferente e nessuno dei due
sessi prevale nel definire lo spazio di parentela. Noi distinguiamo infatti tra fratelli/sorelle e cugini/cugine,
ma riguardo a questi ultimi usiamo lo stesso termine per designare sia i cugini materni che quelli paterni. In
italiano, anche i termini nipote e cognato possono riferirsi indifferentemente senza badare al sesso e alla
linea di parentela.
La terminologia di tipo eskimo, con la sua imprecisione, mette in evidenza il ruolo centrale della famiglia
nucleare, situata al centro di un vasto gruppo di parenti di tipo cognatico. Di contro, altri tipi di terminologia

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non accordano che poca, o anche nessuna importanza alla famiglia ristretta. Va infine osservato che vi è un
utilizzo quotidiano dei termini della parentela che esprime direttamente non solo la collocazione di
ciascuno al suo interno, ma le posizioni relative. Nella nostra cultura i membri di una generazione si
chiamano l’un l’altro con il nome proprio e non con il termine di parentela; ma ai genitori e ai nonni ci si
rivolge con il termine della parentela, tutt’al più specificato dal nome proprio, quando più di una persona
può occupare quella posizione, indicando così l’esistenza di un’asimmetria dei rapporti. Uno degli indizi
delle asimmetrie che attraversano e strutturano i legami di parentela in occidente è l’uso e la trasmissione
dei cognomi. Il cognome, infatti, ha la funzione di fornire all’individuo e al gruppo familiare
un’identificazione sociale insieme chiara e fissa nel tempo. Sono stati dapprima i ceti aristocratici a darsi e
fissare un nome di famiglia che definiva lo spazio della parentela innanzitutto come sistema di discendenza.
Dapprima la funzione del cognome è una funzione di autodefinizione di una linea parentale (maschile), che
esprime un vincolo e uno spazio relazionale, e talvolta anche fisico, in cui tale linea esercita un controllo e
un potere. Questo processo di stabilizzazione dei cognomi, che valorizza l’appartenenza a, e il controllo da
parte della parentela, avviene in un periodo storico nel quale il potere centrale era debole e distante, lo
stato si limiterà a estendere e imporre per legge un sistema di definizione e ordinamento delle identità
sociali degli individui e dei gruppi nato in sua assenza. Ne accetterà e rafforzerà la patrilinearità, che annulla
del tutto la presenza sociale della madre e della linea materna dalla discendenza. In realtà, lo Stato si limita
a includere nei suoi ordinamenti questo criterio del cognome per esigenze puramente burocratiche.
1.3 LIGNAGGI E PARENTELE
Proprio in questo svolgimento emerge la tensione implicita nei vincoli di parentela. Nella misura in cui la
parentela esprime insieme una discendenza, un'appartenenza e un controllo, la questione di come definire
il criterio identificante il vincolo continua a riproporsi. Si propone anche nella forma della non totale
coincidenza delle regole del lignaggio e della discendenza con le regole della parentela, e dei vincoli del
lignaggio e della discendenza con i vincoli della parentela. Come scrive Segalen: “Tramite il lignaggio il
gruppo domestico si trova collegato alla catena di coloro che l'hanno preceduto e gli succederanno nel
medesimo luogo, e tramite la parentela all'insieme dei parenti con i quali si persegue tutto ciò che fa la
trama della vita sociale: litigi, amicizie o odi”. Considerata in questa seconda accezione, la parentela appare
un'articolazione fondamentale della vita sociale nel mondo tradizionale. Essa dura ben al di là del tempo di
un nucleo familiare, vincolando insieme e collegando le generazioni. Se la continuità del nome, e perciò
dell'esistenza sociale di un lignaggio, è regolata dal criterio dalla dominanza patrilineare, la continuità della
vita quotidiana e dei legami intergenerazionali non è così facilmente individuabile in base a un unico
criterio. Sarebbe errato leggere la forza della parentela nelle società tradizionali solo come un elemento di
vincolo, in quanto fonte di controllo e regolazione dei rapporti sociali fondato essenzialmente su status
ascritti. Al contrario, molte ricerche hanno mostrato come la parentela sia stata e sia una grossa risposta
proprio rispetto ai fenomeni di mutamento, consentendo di farvi fronte e assorbirli (vedove, orfani,
emigrazione).

2. LA PARENTELA NELLA SOCIETÀ URBANA CONTEMPORANEA


2.1 DALL’INVISIBILITÀ ALLA SCOPERTA DELLA PARENTELA
Così come l'industrializzazione è stata ritenuta a lungo la causa pressoché esclusiva del diffondersi del tipo
di gruppo domestico coniugale nucleare, è stata ritenuta anche la causa della progressiva perdita di forza
sociale della parentela. Questa lettura del cambiamento sociale, più che fornire informazioni su ciò che
avviene veramente a livello delle relazioni familiari, fornisce informazioni sulle forme di rappresentazione
autorappresentazione della società contemporanea occidentale, specie negli anni ‘40 e ‘50: come società
retta insieme dal principio di democrazia e da quello della scienza. Ove la fiducia nell’universalismo della
ragione si spostava quella nell'uguaglianza delle possibilità sul mercato, ove gli individui liberamente si
incontrano e negoziano sia merci che scelte politiche. In questa prospettiva, i legami di parentela
apparivano come contraddittori per il loro particolarismo insieme irrazionale e non democratico, e

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venivano letti tutt'al più come residuali, come appannaggio di ceti e regioni meno evolute, socialmente e
politicamente. Sono le popolazioni arretrate a essere viste attardarsi in legami parentali definiti non solo
disfunzionali rispetto al progresso ed efficienza economica, ma immorali rispetto al valore della democrazia
e della libertà individuale. Tale fenomeno è stato letto nei termini del familismo amorale, sulla base della
nota ricerca sulla comunità meridionale di Montegrano. Quella ricerca segnalava i rischi, per l'integrazione
sociale e la democrazia, della debolezza e non già della forza dei legami allargati di parentela. Tra le prime
ricerche che hanno segnalato la forza sociale della parentela, vanno ricordate quelle sulle comunità
operaie. La vita quotidiana si mostra molto più segnata da attività e rapporti di lavoro che non rimangono
circoscritti in spazi e tempi ad hoc. Il lavoro remunerato scandisce le presenze e le assenze sulla scena del
quartiere e della vita familiare degli operai, ma segnala anche una comunità generazionale e una relazione
di parentela, nella quale sono i parenti che spesso trovano lavoro ai figli. Molte ricerche successive sulla
cosiddetta economia informale mostreranno questo fitto scambio di lavoro tra uomini entro la rete
parentale. È tuttavia soprattutto nei rapporti tra donne, e tra donne e uomini, entro la rete parentale, che vi
è un fitto scambio di lavori: dal farsi reciprocamente la spesa, all’accudire i bambini l'una dell'altra, al fare le
faccende in casa del padre o suocero anziano, allo scambiarsi informazioni utili per il bilancio familiare. Il
cosiddetto matricentrismo delle comunità operaie studiate si è fondato sulla forte posizione affettiva delle
madri, ma anche sulla loro capacità di prestare e organizzare la distribuzione del lavoro femminile entro la
rete parentale. Nei ceti medi professionali e burocratici, Il particolarismo sembrava avesse sia legittimità
che esistenza solo nell'affettività, che non si poteva negare continuasse a esistere. Si potrebbe leggere in
quest'ottica il successo della psicanalisi proprio negli anni di massima diffusione dell'immagine della
famiglia nucleare isolata da significativi rapporti sociali con la parentela. In realtà, la stessa forma
organizzativa della famiglia nucleare coniugale sancita dalle teorie funzionaliste esprimeva la neppure
troppo sotterranea interdipendenza che esisteva tra particolarismo familiare e universalismo del libero
cittadino. Era infatti la forte divisione dei ruoli di genere adulti e di quelli generazionali a garantire l'accesso
ai liberi scambi e competizioni per i maschi adulti, salvaguardandoli dalla competizione in casa propria ed
entro la propria parentela. La libera circolazione e mobilità degli individui esige da un lato che ciascun
maschio metta su casa per contro proprio separando il proprio destino sociale da quello del padre e dei
fratelli; dall'altro che solo il capofamiglia maschio definisca lo status sociale della famiglia e abbia perciò
una posizione sociale da perseguire e difendere. Il divenire adulti dei figli maschi comporta potenzialmente
un conflitto di status entro la famiglia. Comporta un possibile conflitto anche tra fratelli e sorelle e tra
sorelle tramite la mediazione matrimoniale. Tale potenzialità conflittuale può venir controllata solo con la
formazione di un'altra famiglia. A maggior ragione ciò vale per la parentela più larga, non più definita da
vincoli di solidarietà e controllo, ma solo dall'affettività, a sua volta aperta, che è affidata alle scelte e
affinità individuali. A partire dagli anni ‘60, questa lettura delle trasformazioni dei legami di parentela nelle
società contemporanee sviluppate ha cominciato a essere messa in discussione. Le ricerche storiche,
mentre già nel passato indicavano una consistente presenza di famiglie nucleari, consentivano di formulare
la questione dei rapporti di parentela come distinta da quella della struttura della convivenza. Proprio la
ricerca storica sui processi di transizione, adeguamento, riorganizzazione familiare provocati
dall'industrializzazione indicava come la rete parentale, almeno in particolari circostanze, lungi dal venir
disattivata come risorsa economico sociale e come fonte di controllo, si rivelava un'agenzia di mediazione
sociale importante. La parentela non appare tanto come vittima, quanto come uno dei protagonisti sia pur
con grandi variazioni, non solo a livello di società ma anche di strato sociale. A fronte di una ideologia della
famiglia nucleare priva di significativi rapporti parentali stanno tutte le testimonianze storiche che ci
mostrano i grandi borghesi come membri e creatori di veri e propri lignaggi, costruiti attraverso complesse
strategie di alleanze matrimoniali, che poco hanno da invidiare alle strategie matrimoniali dei lignaggi
aristocratici di un tempo. In secondo luogo, negli stessi anni e in modo indipendente dalla ricerca storica
emerge una critica allo stereotipo della famiglia nucleare isolata e un'attenzione per i rapporti di parentela.
Anche l'invecchiamento della popolazione, con il conseguente allungamento delle relazioni e della
compresenza tra generazioni, ha comportato e ha sollecitato una maggiore attenzione agli scambi e ai

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rapporti intergenerazionali, benché per lo più limitata agli scambi lungo la linea diretta, trascurando i
rapporti orizzontali o laterali con fratelli/sorelle, zii/cugini.
2.2 LA PARENTELA COME RETE SOCIALE FLESSIBILE
Le ricerche sui rapporti di parentela nella famiglia contemporanea mostrano una famiglia nucleare che vive
all'interno di una fitta rete di rapporti e scambi tra parenti: tra famiglie e tra individui di diverse famiglie. Il
termine rete non è casuale: indica una pluralità di direzioni, di intrecci di rapporti e di scambi non sempre
diretti e lineari; ma indica anche un'attività di sostegno, o almeno di protezione. In società sempre più
indifferenziate dal punto di vista delle alleanze parentali, i rapporti parentali effettivamente attivati sia sul
piano affettivo che su quello della vita pratica sembrano avere gradi di libertà e di flessibilità maggiori di un
tempo. La distanza geografica, così come la diversificazione di collocazioni professionali e di status, non va
univocamente letta come un impedimento a una piena attivazione dei rapporti, bensì anche come risorsa,
utilizzabile a livelli e con modalità diverse, a seconda delle necessità. Da questo punto di vista, si potrebbe
dire che l'ideologia dell'isolamento della famiglia nucleare e della perdita di importanza sociale della
parentela, se non corrisponde all'esperienza effettiva, tuttavia, fornisce la legittimazione in termini culturali
e di valore a quella flessibilità dei rapporti di parentela, della loro attivazione e loro uso. Consente un
utilizzo e una modalità di rapporto più individualizzato, più tagliato su misura del singolo o della singola
famiglia, dei suoi bisogni, ma anche delle preferenze e affinità elettive di coloro che si pongono così in
relazione. Non sarebbe quindi il numero delle persone-parenti con cui oggi l'individuo e la famiglia nucleare
sono in rapporto a fare differenza rispetto alla società tradizionale. Anzi, oggi si possono mantenere
rapporti anche in circostanze che un tempo avrebbero provocato un'interruzione o un affievolimento, a
motivo dell'emigrazione, della lontananza geografica, ma anche della mobilità sociale. La diversità sta
appunto nella maggiore legittimità delle scelte relative al con chi, e su quale piano, intrattenere rapporti e
scambi. Va aggiunto che oggi le linee di parentela vengono complicate dalle possibilità offerte sul piano sia
normativo che tecnologico. Il divorzio, nella misura in cui può dare origine a nuovi rapporti di coppia, può
anche creare nuovi rapporti di parentela di fatto, anche se non legali, specie per i figli che uno, o entrambi, i
nuovi coniugi hanno avuto in precedenza. Se, e come, ciò avviene dipende pressoché esclusivamente dal
modo in cui tutti i soggetti coinvolti elaborano le nuove relazioni che si creano e si collocano nella
complessa costellazione familiare di cui fanno parte. Un fenomeno analogo avviene con le tecniche di
riproduzione assistita con donatore/donatrice, quando uno dei due genitori non è anche genitore biologico,
ma, diventando genitore per questa via, fa diventare nonni, zii, cugini rispettivamente i propri genitori,
fratelli/sorelle, nipoti. Chi è privo di rete di parentela, o la ha ridotta, o poco articolata, così come chi ne
sperimenta prevalentemente i tratti di obbligazione con poca reciprocità, si trova più solo e anche indifeso
rispetto sia alle richieste che ha i rischi connessi alla sua partecipazione nella società. Da quando negli anni
‘90 si è cominciato a studiare la parentela con qualche sistematicità e spesso anche in modo comparativo, si
è anche cominciato a distinguere tra mantenersi in contatto e fornire sostegno all'interno della parentela.
Anche se certi tipi di sostegno richiedono contatti faccia a faccia, non è così per tutti i tipi di sostegno. Per
quanto riguarda i contatti, è emerso che in tutti i paesi sviluppati essi rimangono frequenti tra parenti
stretti. Tuttavia, esistono significative differenze tra paesi, oltre che tra classi sociali, in particolare per
quanto riguarda i contatti faccia a faccia. Ancora oggi la famiglia mediterranea sarebbe più di altre
caratterizzata dal suo essere inserita in una fitta rete di rapporti di parentela. Le cose appaiono un po’
diverse se si guarda invece al flusso di sostegni scambiati entro la parentela: economici, psicologici, nel far
fronte alla vita quotidiana. Recenti ricerche comparative hanno confermato la notevole consistenza degli
scambi entro la parentela in tutti i paesi europei, a prescindere dal modello culturale di famiglia e dal tipo di
welfare state. Hanno segnalato che nelle società sviluppate cui gli anziani hanno di solito un reddito
adeguato, il flusso degli aiuti economici va dalle generazioni più anziane a quelle più giovani, mentre il
flusso degli aiuti in termini di prestazioni di cura e di sostegno nelle attività di vita quotidiana, va dalla
generazione di mezzo verso quella più anziana e quella più giovane. Se non sembra vi siano rilevanti
differenze tra paesi nella disponibilità a fornire aiuto entro la parentela, se si guarda all'intensità dell'aiuto

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prestato emergono invece differenze importanti: nei paesi mediterranei, infatti, questa è più elevata se
misurata in termini di tempo che vi viene dedicato. Vi sono anche differenze per classe sociale. Nelle
famiglie di ceto medio il flusso sembrerebbe essere quasi esclusivamente di tipo unidirezionale con le
famiglie di origine in funzione attiva, donatrice. Lo scambio di servizi sarebbe prevalente nella rete
parentale dei ceti meno abbienti, nella misura in cui questi hanno minori risorse di capitale economico o
sociale da redistribuire. L'analisi di come funziona la rete parentale fornisce indicazioni contraddittorie.
Goode sottolinea che la possibilità di ricorrere alla rete parentale è certo una forma di assicurazione contro
i rischi sociali, e più limitatamente una risorsa nella gestione della vita quotidiana in talune fasi della vita.
Essa, tuttavia, può anche imporre carichi più o meno pesanti e produrre stress nelle singole unità familiari e
negli individui da cui ci si aspetta aiuto. Altri studiosi, riferendosi in particolare agli anziani non
autosufficienti, rilevano che coloro che dipendono per il soddisfacimento dei propri bisogni dalla solidarietà
della parentela possono per questo trovarsi in una situazione di tensione, o almeno di forte ambivalenza.
Più recentemente, si segnala come la non autosufficienza in età anziana possa innescare conflitti di lealtà
nella generazione di mezzo. Può anche produrre condizioni di sovraccarico soprattutto nei ceti
economicamente più modesti. Per il caso tedesco, è emerso come il diverso tipo, e non solo la quantità, di
risorse che vengono scambiate entro la parentela e in particolare dalla generazione più anziana verso quella
più giovane abbia un effetto di mantenimento, se non rafforzamento, delle disuguaglianze sociali da una
generazione all'altra. Uno studio inglese, che ha potuto mettere a confronto i dati di ricerca sulle relazioni
di sostegno parentale in una stessa comunità a diversi anni di distanza, ha documentato sia la persistente
rilevanza di tali reti di sostegno, specie per gli anziani, anche al di là della vicinanza fisica, soprattutto in
termini affettivi e relazionali, sia i mutamenti che sono intervenuti in tali sostegni. Gli autori dello studio
concludono a questo proposito che, per quanto cruciale sia la parentela nella vita quotidiana e nel
benessere psicofisico degli anziani, la gestione della vita quotidiana di questi non può assolutamente più
fare conto in modo né esclusivo né prevalente sulla presenza della parentela. Altre ricerche si soffermano
sull'impatto che ha la pluralizzazione dei modi di fare famiglia, in particolare l'aumento delle convivenze
senza matrimonio e dell'instabilità coniugale. I risultati non sono univoci, in particolare per quanto riguarda
l'impatto della diffusione delle convivenze. Maggiore univocità sembra esserci per quanto riguarda
l'indebolimento delle relazioni parentali, in particolare lungo la linea maschile, nel caso di divorzio nella
generazione dei genitori e viceversa di un rafforzamento quando il divorzio avviene nella generazione dei
figli, in particolare nel caso delle figlie. In altri termini, il divorzio dei genitori indebolisce il rapporto dei figli
con il padre, mentre il divorzio dei figli, e soprattutto delle figlie, rafforza la solidarietà dei genitori nei loro
confronti. Tale solidarietà è viceversa più necessaria nei paesi, come l'Italia, in cui il welfare state ha
dimensioni più contenute. I processi in cui si definiscono le obbligazioni reciproche nelle reti parentali sono
al centro delle ricerche effettuate in Gran Bretagna. Queste ricerche segnalano che non vi è
necessariamente coincidenza tra i sentimenti di obbligazione e intensità dei sentimenti affettivi. Ovvero, il
sentimento di obbligazione che si ha verso i parenti non solo è storicamente e culturalmente mutevole e
variabile da una persona all'altra entro la rete parentale; è anche un atteggiamento non spiegabile
esclusivamente sulla base dell'affettività. Per quanto riguarda specificamente L'Italia, dal 1994 l'Istat ha
cominciato a rilevare i rapporti di parentela periodicamente in modo sistematico. L'indagine periodica
multiscopo “famiglia e soggetti sociali” segnala la persistenza del fenomeno della vicinanza residenziale
delle famiglie di genitori e figli. Nel 2009, il 38,3% dei figli coniugati ha dichiarato che al momento del
matrimonio era andato a vivere entro 1 km di distanza da almeno una delle due famiglie di origine e un
altro 19% era andato a vivere insieme ai genitori di uno dei due coniugi. Il fenomeno della stretta
prossimità spaziale si è fortemente attuato da una coorte matrimoniale all'altra. L'elevata prossimità
spaziale spiega in parte perché le ricerche comparative mostrino come gli italiani frequentino più spesso i
parenti più stretti di quanto non succeda in altri paesi. Oltre a scambiarsi visite e a sostenersi
reciprocamente dal punto di vista affettivo e psicologico, tra parenti ci si scambia anche la maggior parte
degli aiuti materiali forniti gratuitamente al di fuori della propria famiglia. Nel 2009 quasi il 76% della

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popolazione ha dichiarato di avere parenti, amici o vicini su cui contare e il 30% ha fornito aiuti gratuiti. Lo
scambio di aiuti è abbastanza diffuso, particolarmente nelle età anziane e centrali.
Le reti di aiuto informale sono più attive al Nord-Est e nei centri di medie dimensioni. Nel Mezzogiorno si
riceve e si dà meno aiuto e il divario con le altre ripartizioni è aumentato dal 1998 al 2009, segnalando
come la maggior ristrettezza di risorse di mercato sperimentata da individui e famiglie nel Mezzogiorno si
riduca anche in minori risorse da ridistribuire entro le reti familiari. I genitori sono una risorsa cruciale
anche per l'accesso a quel bene fondamentale che è la casa. In Italia, ove il 70% delle famiglie vive in
un'abitazione di proprietà, per le giovani coppie l'aiuto delle famiglie di origine è una risorsa quasi
indispensabile. Sempre in Italia, i nonni, e in particolare le nonne, sono una risorsa importante per la cura
dei bambini quando la madre lavora. In Italia questo aiuto appare insieme più intensivo e più
indispensabile.
2.3 L’AFFETTIVITÀ COME CODICE DEGLI SCAMBI PARENTALI CONTEMPORANEI
Esplicitare le dimensioni pratiche della rete familiare contemporanea non significa ignorare o sottovalutare
l'intensità dei rapporti affettivi. Pur con fasi alterne lungo il ciclo di vita l'affettività è un forte elemento
sottostante gli scambi parentali, e ne costituisce, più che la causa, la legittimazione ideale. Nelle società
contemporanee sviluppate, così come ci si può sposare solo per amore, si deve voler bene ai propri parenti,
almeno ai più prossimi. È nell'affetto scambiato, più che nella doverosità dell'obbedienza e del rispetto, o
nel controllo della trasmissione patrimoniale, che si fonda ora la continuità delle generazioni e
dell'appartenenza a una parentela comune. Il valore e l'aspettativa dell'affettività è così forte, che tende a
celare agli occhi degli stessi protagonisti gli aspetti strumentali della parentela, il valore pratico, sociale,
economico, di molti degli scambi che avvengono. L'articolazione dei rapporti di parentela nel ciclo di vita
peraltro vale anche al di fuori del rapporto generazionale diretto. L'importanza dei rapporti tra cugini, per
limitarci a un esempio, e quindi anche al rapporto tra famiglie di fratelli e sorelle, ha in generale un peso
diverso nelle varie età. Anche i rapporti con zii e zie possono assumere grande rilevanza nel processo di
identificazione a una tradizione e appartenenza familiare. La crescente mobilità geografica, unita
all'aumento di matrimoni tra persone di nazionalità diversa, ha reso sempre più frequenti le reti parentali, e
talvolta anche le famiglie nucleari, transnazionali che sono disperse in due e talvolta più paesi. La
transnazionalità delle reti di parentela ormai riguarda anche soggetti e ceti diversi. Avere genitori, suoceri,
fratelli, nonni, zii e cugini che abitano in un paese diverso dal proprio è ormai fenomeno diffuso. Se incide
sulla frequentazione faccia a faccia, non incide necessariamente su altri tipi di contatti e anche sull'esercizio
della solidarietà e lo scambio di aiuti. Pur senza sottovalutare la fatica, il rischio di isolamento, le difficoltà
create dalla distanza fisica, le opportunità offerte dai viaggi low cost e le nuove tecnologie di comunicazione
a basso costo consentono, inoltre, di mantenere forme di intimità a distanza inaccessibili anche solo
vent'anni fa a chi era costretto a migrare o comunque viveva lontano dai propri parenti.

3. LE STRUTTURE DI GENERE DELLA PARENTELA CONTEMPORANEA


Accanto all'importanza dello scorrere del tempo, del ciclo di vita individuale e familiare, nel disegnare e
ridisegnare la rete parentale in cui è collocata una famiglia e un individuo, le ricerche segnalano anche la
perdurante importanza delle strutture di genere, cioè delle diverse posizioni che i due sessi occupano entro
la parentela. Nelle reti parentali contemporanee le donne sembrano piuttosto collocate al centro degli
scambi, come tessitrici delle reti stesse. Sembra perciò che realizzino più pienamente e visibilmente quel
compito di comunicazione e mediazione tra gruppi, tra famiglie e linee di parentela. È vero che anche nelle
società occidentali sviluppate, caratterizzate da una sostanziale bilinearità dei rapporti e da un modello
eskimo della struttura della parentela, continua a permanere la patrilinearità simbolica espressa dalle
regole di attribuzione e trasmissione del cognome. Nell'esperienza quotidiana e affettiva, tuttavia, a fronte
di un indebolimento, o soffocamento, dei contenuti tradizionalmente più forti e visibili della trasmissione
patrilineare, l'appartenenza familiare anche allargata e l'identificazione in una comunità intergenerazionale
sembrano piuttosto essere comunicati e garantiti per tramite delle donne e dei rapporti tra donne. La forte

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prevalenza di donne sulla scena dei rapporti di parentela contemporanei è stata da alcuni studiosi
interpretata in chiave di prevalente matrifocalità, o matrilateralità, delle identificazioni e solidarietà
parentali nelle società sviluppate occidentali rispetto alla prevalente patrifocalità o patrilateralità delle
società preindustriali. Sia nelle situazioni matrilaterali che in quelle patrilaterali, che in quelle ove non vi è
particolare privilegiamento di una o l'altra linea, sono appunto in prevalenza le donne, oggi, a farsi carico
dei rapporti, a costituirli e mantenerli nella quotidianità. Da tutte le ricerche il ruolo femminile di
attivazione mantenimento della rete parentale emerge netto, sia che si guardi al flusso dell'affettività che al
flusso di aiuti. È nella casa della madre/nonna che per lo più continuano a incontrarsi le famiglie dei fratelli
e delle sorelle, che i cugini si conoscono; è nella casa della madre/nonna che i riti familiari continuano. Al
punto che quando la madre non c'è più, è più facile che le grandi riunioni cessino, anche se il padre c'è
ancora, o che continuino nella casa di una figlia, che per così dire ne prende il posto. Entro questa rete vi
possono essere anche rapporti privilegiati tra uomini, ma più difficilmente essi danno luogo all'attivazione
di altre relazioni per altri. Per questo gli uomini possono apparire di volta in volta beneficiari e vittime di
questa rete parentale femminilizzata, che tuttavia sarebbe improprio definire sia matrilineare, perché al
contrario spesso attraversa le linee parentali, sia matriarcale, nella misura in cui non è chiaro il tipo di
potere che vi viene esercitato. Forse il termine più appropriato sarebbe matricentrica, nella misura in cui è
innanzitutto nel legame con la madre che viene espressa, anche dagli uomini, l'affettività e continuità
familiare. Anche molti degli aiuti che fluiscono per la rete parentale coinvolgono innanzitutto donne, come
donanti e riceventi. Questo vale soprattutto per quanto concerne gli aiuti sotto forma di servizi. Ciò non può
destare sorpresa. Gli uomini stante la loro collocazione nella divisione del lavoro sociale e familiare,
possono funzionare innanzitutto come mediatori e sostenitori rispetto al mercato del lavoro e possono
fornire sostegno finanziario. Per lo stesso motivo, le donne si trovano più direttamente coinvolte negli aiuti
di tipo domestico. Non si tratta necessariamente degli aiuti che hanno maggior valore economico; ma certo
si tratta di attività di tipo più continuativo, a carattere meno eccezionale, e che insieme appaiono più
ovviamente attese o scambiabili. Una studiosa inglese ha parlato a questo proposito di carriere morali
specifiche di genere. Le donne in particolare, proprio perché la divisione del lavoro prevalente assegna loro
i compiti domestici e di cura, sviluppano nel tempo comportamenti, e propongono immagini di sé, tali che i
loro familiari si aspettano da loro che siano più disponibili degli uomini a prestare aiuto in caso di bisogno.
Tuttavia, all'interno di una determinata famiglia e rete parentale, ciò non avviene in modo omogeneo per
tutte le donne e viceversa può riguardare anche qualche uomo. Dipende, appunto, da come nel corso della
vita le scelte e le costrizioni hanno plasmato le carriere morali dei singoli/e. Questo tipo di attese,
diversificate per sesso, è incorporato più o meno esplicitamente anche in talune politiche sociali, in
particolare in quelle riguardanti gli anziani. La presenza femminile nel quotidiano rafforza, ma anche in
qualche modo qualifica, la femminilizzazione dei meccanismi di attivazione della rete di parentela, in una
singolare divisione non solo del lavoro, ma del riconoscimento simbolico.

CAPITOLO 3 – IL MATRIMONIO E LA COPPIA


Il matrimonio ha funzioni sociali molteplici che sono mutate nel tempo e hanno un peso diverso in base alla
cultura e corpo sociale di appartenenza., come la divisione del lavoro e delle competenze tra i sessi e la
stessa identità sociale di genere. I mutamenti nelle società contemporanee hanno comportato a modificare
le funzioni del matrimonio.

1. ELEMENTI DI UN'ANTROPOLOGIA DEL MATRIMONIO: UN'ALLEANZA FONDATA SU STRUTTURE


DI GENERE
Secondo la definizione generale: "il matrimonio è un'unione fra un uomo e una donna realizzata in modo
tale che i figli partoriti dalla donna siano riconosciuti come figli legittimi dei coniugi". Questa definizione è
contestata in quanto è indispensabile che i coniugi siano di sesso diverso e che la paternità venga

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obbligatoriamente assunta dal marito della madre. Questa definizione è anche smentita dall’etnografia,
riscontrabile in diversi esempi:
1) Poliandria adelfica: una donna è la moglie legittima di un gruppo di fratelli, e perciò la paternità
individuale è incerta
2) Mayar: una donna ha un marito scelto da un lignaggio cui il suo ha rapporti di stabile alleanza a questo
scopo, ma non vive con lui, può avere tutti gli amanti che vuole e fornisce figli al proprio lignaggio;
3) Nuer: una donna sterile ricca che sposa, in veste di marito, una donna che le dà figli tramite un uomo-
servo. Questa donna sterile non è considerata donna. Se è ricca può aspirare allo statuto di uomo-
marito. Se è povera non ha statuto sociale.
Quest'ultimo esempio va a sottolineare come dentro al matrimonio, gli uomini e le donne non hanno una
collocazione sociale equivalente, una struttura complementare ma anche asimmetrica. Questa diversa
posizione dei sessi dentro al matrimonio è visibile nell’utilizzo di diversi termini per esprimere questa
azione: l'atto di sposarsi di un uomo è spesso espresso in verbi attivi e per la donna è espresso tramite
termini nominali, che indicano, più che un'azione, un mutamento di stato (“la donna non si sposa, ma è
sposata”).
La parola latina matrimonium si riferisce a questo mutamento di status femminile: è la donna che è
condotta in matrimonium, cioè a prendere la condizione di mater in un'altra casa. Perciò il matrimonio, non
istituisce solo un rapporto coniugale, ma istituisce un rapporto di filiazione legittima e perciò pone i figli
entro un rapporto di paternità. La finalità generativa del matrimonio è presente in diversi gruppi sociali e
culture.
1) Nella cultura tradizionale giapponese, come in varie tribù africane, un matrimonio era effettivamente
compiuto solo quando la donna diventava madre. Prima della gravidanza, la donna poteva essere
rimandata alla famiglia e in assenza di figli poteva essere ripudiata.
2) Nelle società africane in cui, al posto della dote, c’è il prezzo della sposa, i pagamenti non vengono
completati in caso di donna sterile, o di morte della sposa prima che essa abbia avuto figli.
Pratiche simili sono state riscontrate anche presso le famiglie aristocratiche italiane.
Oltre alla finalità produzione di una filiazione legittima, c’è anche la finalità dell'alleanza tra gruppi.
Anche nei ceti aristocratici e poi imprenditoriali si parla di strategie matrimoniali come strategie di alleanze,
politiche ed economiche. La coppia ha una posizione strumentale, e il rapporto tra i due ha rilevanza solo in
quanto consente il proseguimento dell'alleanza tra i gruppi. Nelle famiglie contadine, nonostante i
matrimoni venissero combinati, non vi era questa prioritaria funzione, serviva soprattutto per necessità di
lavoro.
Le antropologhe G. Rubin e F. Héritier affermano che la stabilità del matrimonio non è necessariamente
fondata sulla monogamia e sulla fedeltà sessuale, e perciò sulla certezza biologica della paternità, il
matrimonio è sempre fondato sulla specializzazione dei ruoli sessuali dei partner. Si creano così forme di
interdipendenza tra i due gruppi sociali attraverso alleanze matrimoniali e creano la specializzazione del
maschile e del femminile, e quindi forme di interdipendenza tra i coniugi. Simmel, nella borghesia del XX
secolo, afferma che i matrimoni sembravano nascere dalle scelte individuali dei due, da fenomeni di
innamoramento e attrazione, a prescindere da secondi fini, come le alleanze.

2. ALLE ORIGINI DELLA REGOLAMENTAZIONE MATRIMONIALE IN OCCIDENTE


Il matrimonio è un ambito di intensa regolamentazione e di conflitti di competenza e di autorità tra:
parentele, famiglie, la Chiesa, lo stato e gli individui. A partire dal XII secolo in Europa il controllo normativo
extrafamiliare passa dall'impero (dalla legislazione civile) alla Chiesa Cattolica. La Chiesa sostiene la piena
validità e sufficienza del consenso degli sposi perché il matrimonio possa avvenire e sia legittimo (per
questo unici ministri del sacramento sono gli sposi stessi). L’assenza di consenso da parte delle rispettive
famiglie crea un effetto destabilizzante, e introduce possibilità di conflitti tra Chiesa, le famiglie e gli
individui. La Chiesa diventa, attraverso il consenso, complice nel processo matrimoniale, in quanto può
favorire un matrimonio contro il volere dei parenti, ma può anche favorire l’alleanza tra gruppi. Con il

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Concilio di Trento, l'età per sposarsi col proprio consenso viene stabilita a trent'anni per i maschi e a
venticinque per le femmine (età elevata visto che in alcuni ceti avveniva molto prima). Solo a quell'età gli
individui sono liberi di sposarsi indipendentemente dal consenso dei genitori, lasciando spazio e tempo alle
famiglie di combinare i matrimoni, elaborare le proprie strategie e alleanze, con il consenso della Chiesa
prima che il ragazzo giunga a quell'età. Si passa dall’idea che la Chiesa e il sacerdote siano i testimoni del
libero consenso degli sposi, dopo il Concilio il sacerdote appare sempre più colui che «fa» il matrimonio con
l’unico obiettivo di trasformare il libero consenso in un atto non più reversibile. Il matrimonio diviene così
indissolubile. La tensione tra consenso (e perciò libertà individuale) e controllo prodotta dalla Chiesa
determinano:
1) L'iniziativa individuale (si tenta di forzare la Chiesa con matrimoni clandestini, o ci si sottrae al controllo
della famiglia con un matrimonio segreto)
2) Gli interventi degli stati nazionali, che cercano di sostituirsi alla Chiesa nella regolamentazione del
matrimonio, facendone prevalere i tratti di contrattualità e la rilevanza civile, in termini di assetti
patrimoniali e di assi ereditari
L’irreversibilità non riguarda solo il vincolo del matrimonio, ma della dipendenza della donna dal marito.
La società borghese è una società di capifamiglia, dove i maschi sono svincolati dalla tutela parentale, ma le
femmine possono esercitare la propria libertà solo nell'atto del passaggio da una tutela (del padre) a
un'altra (del marito).

3. NUZIALITÀ ED ETÀ AL MATRIMONIO NEL PASSATO EUROPEO


Le età dei coniugi al matrimonio variano in base alle strategie familiari adottate: se si tratta di alleanza, il
matrimonio può perire in età più giovani soprattutto per la donna, se invece si tratta di famiglia come unità
produttiva, il matrimonio avviene quando l'uomo e la donna sono in grado di apportare risorse economiche
al matrimonio (dote, titolarità di un mestiere, accesso alla terra). Inoltre, anche i modelli di trasmissione
dell'eredità possono incidere sull'età e sulla possibilità di sposarsi per gli uomini e la disponibilità o meno di
una dote (e la sua consistenza) incidono sulla possibilità di sposarsi per le donne. La dote va a differenziare i
membri di famiglie di ceti diversi ma anche figli della stessa famiglia. La possibilità di sposarsi infatti dipende
dalle risorse familiari, che se scarse non permettevano il pagamento di una dote a tutte le figlie ed è per
questo che si parla di figli cadetti e ragazze senza dote. Un esempio è quello della monaca di Monza, per
risparmiare la dote, mentre per i ragazzi si optava per il sacerdozio, ordini religiosi oppure per il suo
ingresso nell'esercito. Nei ceti più bassi invece si parla di servitori. La condizione di celibato/nubilato
raramente corrispondeva a una scelta di vita e più spesso rappresentava una condizione di debolezza nel
mercato. Nel XIX secolo in Europa. Il matrimonio è caratterizzato da un'età elevata (26/27 anni per le
donne) e dall'alta percentuale di nubili e celibi (11% rispetto al 5% dell’Oriente), in quanto alla coppia è
richiesta l'autosufficienza economica per sposarsi (accesso ai mezzi di produzione e di possesso di
competenze lavorative). Nell'Europa meridionale, che comprende l'Italia, l'età media delle spose e tra i 24 e
i 25 anni, sempre più elevata delle regioni asiatiche. Nell'aristocrazia e nei ceti rurali ci si sposava
mediamente a un'età più giovane che in città e la proporzione di nubili e celibi era più alta nelle città. L'età
elevate degli sposi al matrimonio e la poca differenza di età tra di loro facilità rapporti di coppia più paritari.
Gli storici si chiedono se esistano o meno dei rapporti di amore tra i coniugi nelle società del passato e sulla
scelta del coniuge, quindi non attraverso strategie e capacità di lavoro ed economiche. L'analisi e la
valutazione di questi fenomeni sono complicate dal fatto che i codici espressivi erano diversi dai nostri. È
perciò scorretto valutare la presenza/assenza di sentimenti solo sulla base dell'assenza di forme espressive
(linguistiche, comportamentali) proprie della nostra cultura. Soprattutto le popolazioni rurali
prevalentemente analfabete non hanno mai lasciato traccia dei propri sentimenti. Una larga fascia di
giovani adulti doveva tardare la possibilità di sposarsi in quanto ancora dipendente dalle risorse e decisioni
familiari, comportando così ad un ritardo nell'entrata dello status di adulto, attraverso il matrimonio,
nonostante lavorino già e siano sessualmente maturi. Uno studio ha sottolineato come questo fattore porti

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a numerose tensioni nei giovani adulti e questo è possibile notarlo attraverso le numerose nascite
illegittime, soprattutto quelle prenuziali ed extraconiugali). Infatti, la chiesa, essendo riuscita a rendere
socialmente inaccettabile il corteggiamento e quindi ai rapporti sessuali, ha portato nei giovani, maschi,
all'abitudine di avere relazioni sessuali senza progetti matrimoniali.

4. CHI SPOSA CHI: MERCATI MATRIMONIALI «STRETTI» E «LARGHI»


Nel passato la scelta del coniuge avveniva attraverso la regola dell'omogamia, si sposava quindi la persona
socialmente simile per garantire stabilità ed equilibrio necessari per la sua efficacia. In contrasto c’è
l'esogamia, che impone di uscire dal proprio gruppo per allearsi con altri. Nelle società del passato, la regola
dell'omogamia matrimoniale era fatta su scelte obbligate all'interno di gruppi professionali e ceti sociali
omogenei. Per alcuni ceti urbani la ricerca del socialmente simile può spingere a cercare un congiunto
adatto anche molto lontano (famiglie dei regnanti che cercano in un altro regno). Nei ceti rurali, invece,
l'omogamia è basata sull'endogamia (sposarsi con una persona della stessa terra), dato che l'unità
patrimoniale è costituita dalla terra e perciò il/la coniuge va cercato nella stessa località, possibilmente con
una terra vicina (fino ai matrimoni tra consanguinei e affini). Il matrimonio serve per unificare patrimoni
terrieri e ridurre l’intervento di estranei. L’industrializzazione e l’urbanizzazione dalla seconda metà
dell'Ottocento comporta ad una maggiore mobilità geografica e sociale che contribuirà a fare aumentare la
possibilità di sposarsi e modificherà la regola dell'omogamia, in quanto i confini geografici sono aperti. Il
simile continuerà a sposare simile, ma i criteri della somiglianza vengono parzialmente modificati.

5. IL MATRIMONIO OGGI
5.1 IL COMPLESSO DELL'AMORE ROMANTICO
L'amore è al centro del matrimonio in quanto ci si incontra per caso, ci si sposa per amore e per amore si
rimane sposati (quando manca l'amore ci si lascia). L'amore è potenzialmente pericolose distruttivo e può
portare a delle mesaillance, ovvero al matrimonio tra due persone socialmente diverse, e perciò non
vengono lasciati alla sola decisione dei singoli. Nelle società contemporanee la mancanza di amore, al
contrario, costituisce un rischio. Attraverso numerose ricerche si è notata la forte omogamia e endogamia
geografica. L’omogamia e l’eterogamia possono riferirsi anche ad appartenenze etnico-razziali, religiose o
di cittadinanza. Per l'Italia, si sono trovati forti tratti di omogamia per livello di istruzione e anche
professionale.
Quando non c'è omogamia, si parla anche di matrimoni «misti» un termine che si riferisce ai matrimoni in
cui uno dei due coniugi è straniero (un tempo veniva utilizzato per i matrimoni con due coniugi di religione
diversa). Questi sono fortemente aumentati nel nostro paese negli ultimi vent'anni in seguito al forte
aumento dei flussi immigratori. A subire una drastica riduzione sono stati i matrimoni misti in cui la sposa è
cittadina italiana e lo sposo straniero, che erano già una minoranza di tutti i matrimoni misti. I due
fondamenti che legittimano il matrimonio contemporaneo sono:
1) «Scelta» implica un atteggiamento razionale di valutazione delle diverse opzioni e dei connessi costi e
benefici.
2) «Amore» evoca un atteggiamento libero da calcoli
Goode mostra come l'amore romantico, come fonte di legittimazione del matrimonio contemporaneo, è
reso possibile dalla relativa autonomia spaziale, economica, sociale della coppia rispetto alla parentela.
Essendo in larga misura indipendente, la coppia può concentrarsi maggiormente sul proprio rapporto.
L'innamoramento è un elemento fondamentale in una cultura in cui le relazioni familiari e parentali non
valgono come forma di collocazione sociale (nonostante siano informalmente importanti). Sposarsi per
amore, e prima ancora innamorarsi, perciò per scelta libera e autonoma, fornisce il codice legittimo e
consensuale della separazione e autonomizzazione necessaria dai propri genitori e dalla propria famiglia,
costituendo quasi un moderno rito di passaggio all'età adulta. Nell'aristocrazia e alta borghesia la sfera

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dell’affettività è rimasta divisa da quella dell’erotismo e della sessualità. Queste coppie hanno avuto
accesso tardivamente allo spazio della coppia e dell'intimità, dove la donna ha duplice valenza:
1) Sposa come madre
2) Verginità (pre ed extra matrimoniale) e castità matrimoniale
Il passaggio all’unità di coppia come unità anche erotica rappresenta il tentativo di superare questa
separazione, in quanto la sfera dell'affettività e dell'eros costituiscono il terreno di incontro ed esistenza
della coppia, nonostante la loro vita continua a scorrere su binari diversi. I ceti medi danno vita ad
un’innovazione, in cui l’amore sta alla base del matrimonio, in quanto conseguenza di esperienze individuali
e non influenzato quindi dal patrimonio. Questo ha portato all’indebolimento del matrimonio come
istituzione che dura tutta la vita e da cui si può uscire solo con la morte. Questo darà luogo a un nuovo
modello in cui il matrimonio non è fusionale (la donna che si fonde all’uomo), ma negoziale (basato
sull’autonomia). Queste innovazioni hanno portato anche all’accettazione dell’amore e del matrimonio
anche alle persone omosessuali con diritto al riconoscimento sociale. In Italia questo riconoscimento non
esiste, ma il 63% è favorevole al loro riconoscimento giuridico e il 44% anche al matrimonio.
5.2 NUZIALITÀ E MODELLI DI MATRIMONIO
L’industrializzazione ha favorito un consistente aumento dei matrimoni e un abbassamento dell'età media.
I primi decenni di questo secolo sono definiti “l'età d'oro della nuzialità”: nei paesi dell'Europa occidentale,
in media solo il 5% delle donne nate tra il 1930 e il 1940 rimangono nubili, e il matrimonio viene celebrato
tra i 22 e i 24 anni. In Italia l'età media al matrimonio degli uomini nati tra il 1944-1953 scende sotto i 27
anni, per poi risalire nelle annate successive. Per le donne, l'età media al matrimonio è rimasta sopra ai 24
anni fino alla coorte nata nel 1934-1938, per scendere fino ai 22,9 della coorte 1944-1948 e poi risalire. La
differenza di età è rimasta attorno ai tre anni. In Italia, c’è stata una lenta industrializzazione, di
conseguenza più difficoltà per le donne, specie se sposate, a mettersi sul mercato del lavoro, rimanendo più
indietro rispetto agli altri stati europei. La figura mostra l'andamento del tasso di nuzialità in alcuni paesi
dell'Unione europea dal 1960 al 2010 e solo in Svezia c'è un'inversione di tendenza. Queste tendenze sono
riscontrabili anche in Italia. La riduzione più consistente nel numero di matrimoni si osserva tra la metà
degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta. Dopo una piccola ripresa attorno al 1990 il declino riprende
fino a giungere ai bassi livelli attuali che sono tra i più bassi in Europa. Anche l'età al matrimonio, che non
era mai scesa ai livelli medi europei, ricomincia a risalire. Per i primi matrimoni celebrati nel 2011, l'età
media per le donne è 31 e quella degli uomini 34. L’abbassamento dell'età al matrimonio avviene
contemporaneamente ad un abbassamento dell'età dei primi rapporti sessuali (per gli uomini 15 anni e per
le donne 17 anni). Alcune ricerche mostrano che l'età in cui avviene il primo rapporto nella donna si sta
abbassando quasi a quello dell’uomo, riducendo così le differenze tra i due generi. Dallo studio di Bertone
emerge che l'età dell'inizio dell'attività sessuale si è abbassata e che le donne più giovani sperimentano,
rispetto alle più mature, «carriere sessuali» più variabili e meno «standardizzate», in cui la sessualità
femminile appare più attiva e consapevole. Il matrimonio non solo serve ad autorizzare la sessualità della
coppia. Soprattutto in Italia, non basta la procreazione per dare luogo al matrimonio. Dietro questi
cambiamenti stanno cause molteplici:
1) Diffusione in tutti gli strati sociali del complesso dell'amore romantico
2) Crescente autonomia nei comportamenti e nei consumi delle generazioni più giovani
3) Aumento della scolarizzazione soprattutto per le donne
4) Processi di emancipazione femminile
L'amore, o meglio l'innamoramento, da solo diviene la legittimazione della sessualità. L’amore e il sesso
sono la base della coppia a prescindere dal matrimonio. La coppia mette in atto passaggi precedentemente
solo autorizzati dal matrimonio, come la sessualità e la convivenza, anche per un weekend. Si parla di
«coppia a piccoli passi» caratterizzata da reversibilità della coppia contemporanea. Il matrimonio non viene
più visto come processo fusionale e allo stesso tempo asimmetrico, in cui il benessere dell'uomo diventano

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l'interesse della donna. Nei matrimoni contemporanei l'obiettivo di ciascun componente la coppia, e in
particolare della donna, è mantenere la dualità.
Thery definisce il matrimonio contemporaneo come «matrimonio conversazione»: in cui il rapporto di
coppia, coniugale, è continuamente costruito e riscritto. Il matrimonio, infatti, si costruisce e si modifica nel
tempo, secondo regole e stimoli che derivano dalle aspettative e dai comportamenti dei due coniugi, e
influenzato dalla presenza o meno di figli, dall'esperienza di essere genitori, dalle vicende professionali,
dalle circostanze economiche. Gli equilibri interni della coppia devono fare i conti con i mutamenti delle
circostanze e delle responsabilità derivanti dal fatto stesso di vivere insieme e di condividere esperienze e
responsabilità. Il nuovo diritto di famiglia del 1975 e la legge del divorzio, propongono un modello di
matrimonio più simmetrico (non vi è più la figura del capofamiglia e la stessa residenza non deve più
necessariamente essere comune alla coppia), più aperto alla conflittualità e alla rinegoziazione, e
soprattutto non più irreversibile. È diffusa, e in crescita, l'accettazione delle convivenze di coppia fondate
non sul matrimonio, ma sull'intenzione comune e continuamente rinnovata di stare insieme. In particolare,
in Italia (soprattutto nel Sud e nel Centro) il matrimonio è ancora la principale ragione per cui si esce dalla
casa dei genitori, a differenza di ciò che avviene negli altri paesi, in cui sembra piuttosto il raggiungimento
di una soglia di età (con un tetto massimo attorno ai 25 anni). L'innalzamento nell'età al matrimonio in Italia
causa un prolungamento della permanenza nella casa dei genitori.

6. LE COPPIE DI FATTO
In molti paesi occidentali sono in aumento le convivenze di fatto. Questo tipo di soluzione non è recente,
ma è nuovo il significato attribuito dagli individui e il grado di riconoscimento sociale e di legittimazione di
cui gode. In alcuni paesi europei la presenza di convivenze non matrimoniali è molto presente, di
conseguenza tollerata ed è diventata un comportamento socialmente “normale”. In molti paesi europei è
diventata la prima forma di vita di coppia. Trost dice che il matrimonio da rito di passaggio diventa un rito
conferma, neppure molto necessario. Le convivenze prematrimoniali non sfoceranno necessariamente nel
matrimonio, ma costituiscono una forma di organizzazione della vita sentimentale e quotidiana precedente
quella matrimoniale. La convivenza prematrimoniale non segna necessariamente un passaggio all'età
adulta, quanto una nuova fase dell'età giovanile. La convivenza può coesistere anche con forme di
dipendenza economica dalla famiglia di origine e con condizioni non lavorative, come nel caso di
convivenze tra studenti.
In una situazione di incertezza circa il proprio futuro, le persone tenderebbero a non impegnarsi con una
prospettiva di lungo periodo neppure nei rapporti di coppia. Le convivenze sono più diffuse proprio nei
paesi in cui gli ammortizzatori sociali rispetto alle incertezze nel mercato del lavoro sono più forti ed efficaci
(Nord Europa); nei paesi, come l'Italia, in cui le forme di protezione sono pressoché assenti, i giovani
piuttosto non escono dalla famiglia di origine fino a che non sono in grado di sposarsi. Le convivenze non si
sono diffuse con la stessa intensità in tutti i paesi (prima e più velocemente nei paesi del Nord Europa, in
Inghilterra e in Francia, più lentamente in quelli dove le reti familiari hanno maggiore importanza). In Italia,
c'è stato un importante mutamento per quanto riguarda le convivenze prematrimoniali. Con l'aumento
delle convivenze prematrimoniali è aumentata anche la durata del matrimonio. Le convivenze sono
diventate una fase della vita di coppia con una propria autonomia, che può o meno portare nel matrimonio.
In Italia il processo di divorzio avviene solo successivamente a tre anni dalla separazione; perciò, questo ha
portato ad un aumento delle convivenze prematrimoniali rispetto al secondo matrimonio. Nelle convivenze
fuori dal matrimonio sono per lo più caratterizzate, rispetto ai matrimoni, da una maggiore autonomia
reciproca dei due partner, sia a livello economico sia di organizzazione dello spazio, del tempo, della vita
sociale. Anche la divisione del lavoro domestico è meno asimmetrica che nelle coppie coniugate, quindi i
rapporti sono caratterizzati da maggiore «negoziabilità». In Italia le donne conviventi sono mediamente più
istruite delle donne sposate e hanno un'occupazione professionale (due caratteristiche che anche nei
matrimoni portano a una maggiore negoziazione). Le convivenze fuori dal matrimonio sono caratterizzate
invece da minore stabilità di quelle matrimoniali. Si può dire che le convivenze sono fasi di sperimentazione

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nel passaggio all'età adulta e hanno caratteristica di negoziazione. Quando sono convivenze giovanili, esse
sono viste come fase di passaggio (una quota rilevante finisce in una rottura). Spesso le convivenze non
hanno alcun riconoscimento di tipo legale e normativo e perciò i due conviventi non trovano alcuna
protezione istituzionale.

7. L'ALTRA FACCIA DEL MATRIMONIO: SEPARAZIONE E DIVORZIO


In base all’epoca e al luogo in cui si trova, il concetto di divorzio assume significati e accettazioni diverse.
Cambia soprattutto il tipo di motivazione ritenuto legittimo per richiedere il divorzio. In alcune società il
motivo può essere determinato dalla sterilità o dall'infedeltà delle donne, in altre società può essere meno
specifica, relative alla qualità del rapporto di coppia: incompatibilità, mancanza d'amore. In alcune società il
divorzio avviene solo «per colpa» in altre può avvenire per consenso. In società ed epoche caratterizzate da
una mortalità elevata e da speranze di vita più brevi, lo scioglimento del matrimonio avviene soprattutto
per morte (in minor percentuale dovuta a migrazioni). In società sviluppate, caratterizzate da un aumento
della durata della vita, le tensioni di coppia sono aumentate (conflitto e non-adattamento). Le conseguenze
sulla struttura della famiglia sono simili nel caso della vedovanza e del divorzio (nuovo matrimonio), sono
diverse dalle conseguenze sulle relazioni. Anche la rete sociale, di parenti e amici, deve elaborare in modo
assolutamente diverso la rottura di un matrimonio, rispetto ad un lutto: prendere le parti di uno o dell’altro,
trattare da singolo e separato colui/colei che fino a poco prima era nella coppia. La rottura di un
matrimonio, e l'eventuale nuovo matrimonio, avviene in vita e quindi impone scelte e ridefinizioni nella
rete sociale. La possibilità di divorziare è stata introdotta in tempi molto diversi: in Francia il matrimonio da
solo sacramento della Chiesa diviene un contratto riconosciuto dallo stato nel 1792 (in Italia è stato
introdotto solo nel 1970).
Negli ultimi 25 anni il tasso di divorzio è più che raddoppiato in Portogallo e Spagna e in Italia. Segalen dice
che il divorzio può esser paragonato concettualmente al matrimonio: se ci si sposa liberamente, il legame
matrimoniale non può costringere le due persone a rimanerci. In Italia, a differenza di altri stati, il divorzio è
un processo a due stadi (prima occorre separarsi legalmente, poi, dopo un periodo di attesa, si può
divorziare). Anche se in Italia continuano a separarsi e divorziare di più i ceti più istruiti e nel centro-nord,
negli ultimi anni c'è una crescente diffusione del fenomeno anche tra gli altri ceti e nelle regioni
meridionali. La maggiore stabilità del matrimonio nel Mezzogiorno e nei ceti sociali più bassi non significa
necessariamente che in queste regioni il rapporto coniugale sia meno carico di tensioni, ma che la soluzione
divorzio è meno diffusa. L'età media alla separazione è progressivamente aumentata in Italia, non perché i
matrimoni durino di più, ma come esito di due diversi fenomeni:
1) Maggior invecchiamento dei coniugati a causa della posticipazione del matrimonio
2) Aumento della propensione allo scioglimento dei matrimoni di lunga durata («divorzi grigi», ossia
l'aumento di separazioni che coinvolgono almeno uno sposo ultrasessantenne).
Sono in aumento anche le separazioni e i divorzi tra le coppie miste. L'accettazione del divorzio nella sua
attuale forma consensuale presuppone la presenza di una visione dei rapporti di coppia
simmetrico/egualitari, una capacità negoziale, aspettative elevate di reciprocità e di benessere psicofisico.
In Italia si sono riscontrate alcune differenze dovute anche alla collocazione territoriale e alla classe sociale
di appartenenza:
1) Separazioni più conflittuali nelle coppie con basso livello di istruzione, con costosa e lunga separazione
giudiziaria, soprattutto nel Mezzogiorno
2) Conflitto che coinvolge i rapporti con i figli, con abbandono del padre, continuità nelle corresponsabilità
genitoriali
In Italia la separazione coniugale è ancora un fenomeno prevalentemente di classe medio-alta, in cui le
donne hanno tassi di occupazione più alti. Quando la donna ha un proprio lavoro e un reddito che la rende
economicamente autonoma, ha maggiore possibilità di negoziare un rapporto coniugale
simmetrico/egualitario e ha maggiore possibilità di sciogliere un rapporto che non corrisponde più alle sue
aspettative. Il lavoro della moglie è causa di conflitti nel matrimonio perché mette in discussione i modelli di

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genere su cui si basano la divisione del lavoro e l'attribuzione delle responsabilità. Una ricerca mostra che
l'approvazione negli stati uniti di una legislazione che non solo aboliva il concetto di colpa, ma trattava i
coniugi come uguali, rispetto al patrimonio come rispetto alle responsabilità di mantenere sé e i figli, si è
rivelata estremamente costosa per donne che avevano aderito al modello asimmetrico di matrimonio,
fondato contemporaneamente sull'amore e sulla divisione delle sfere di competenza: che perciò avevano
optato per la condizione di casalinga, o quella di lavoratrice secondaria. L'impossibilità di colpevolizzare il
marito del «licenziamento» dal matrimonio, o di negargli il divorzio in attesa di circostanze più favorevoli, si
scontra con condizioni di disuguaglianza sociale tra donne e uomini. Il divorzio è diventato una delle
principali cause di povertà negli Stati Uniti per le donne e i bambini di ceto medio. È stato stimato che dopo
il divorzio il reddito del marito aumenta del 42%, mentre quello dell'ex moglie e dei figli crolla del 73%, una
conseguenza diretta del matrimonio fondato su una più o meno netta divisione di genere del lavoro e delle
responsabilità.
In base a questa divisione del lavoro, mentre gli uomini investono nel lavoro anche per far fronte alle
proprie responsabilità di procacciatori di reddito, le donne investono nella famiglia, riducendo o
rinunciando all'investimento sul lavoro remunerato. Quando avviene la rottura coniugale, queste scelte
diverse, producono effetti diversi e talvolta opposti per le due parti. In situazioni in cui l'intero sistema di
sopravvivenza è fondato su un sistema asimmetrico, la rottura di questo sistema comporta costi gravi per
chi ha meno risorse e meno forza negoziale (soprattutto vulnerabilità delle donne, in particolare con i figli).

8. LE SECONDE NOZZE
Le seconde nozze non sono un fenomeno nuovo, ma nelle epoche passate era reso possibile solo dalla
vedovanza. Man mano che sono migliorate le possibilità di sopravvivenza nell'età adulta, le seconde nozze
hanno perso gradualmente importanza nei paesi sviluppati. Il divorzio mette sul mercato una popolazione
doppia, e di pari numero per i due sessi, rispetto alla vedovanza. Così oggi le seconde nozze coinvolgono più
frequentemente divorziati che non vedovi. I nuovi matrimoni tendono ad avvenire tra i due e i quattro anni
dopo il divorzio. È più probabile che un divorziato sposi una nubile (mai sposata) che una divorziata sposi un
celibe (mai sposato). E se ci sono bambini, specie se piccoli, le probabilità che una donna ha di risposarsi
diminuiscono: più di un terzo delle donne bianche e circa la metà di quelle nere divorziate con figli non si
risposano mai. In Italia, l’aumento è dovuto soprattutto all'introduzione e diffusione del divorzio, che non
limita più la possibilità di seconde nozze ai soli vedovi e vedove. Esistono, tuttavia, differenze tra uomini e
donne. Negli anni Novanta aveva un divorzio alle spalle il 4% di tutti gli sposi e il 3% di tutte le spose (ancora
oggi è così). Gli uomini divorziati hanno, quindi, una probabilità più alta di risposarsi delle divorziate (dei
vedovi delle vedove). Inoltre, tra i divorziati di entrambi i sessi, in Italia si risposano più facilmente coloro
che hanno un titolo di studio elevato.

CAPITOLO 4 – FIGLI, FRATELLI, GENITORI, NONNI, NIPOTI: RAPPORTI E POSIZIONI


GENERAZIONALI
1. I FIGLI FANNO LA FAMIGLIA
A livello di senso comune sembra che ci sia veramente famiglia solo quando ci sono figli, e l'espressione
mettere su famiglia, riferita al fatto di sposarsi, indica in realtà il matrimonio come passaggio insieme
necessario e non sufficiente al costituirsi della famiglia, cioè al dar corso a una catena generazionale. Nella
cultura e dottrina cattolica a lungo il matrimonio è stato definito anzitutto come strumentale alla
procreazione. Solo con il Concilio Vaticano II, cioè negli anni ‘60, il Magistero della Chiesa colloca accanto, e
con pari dignità, al fine della procreazione il benessere e le relazioni di reciprocità nella coppia quali fini e
valori del matrimonio. Ma anche nella nuova dottrina, come confermano molti documenti successivi, il fine
della sessualità coniugale continua a rimanere la procreazione. Il posto che hanno la procreazione e i figli
nel ciclo di vita e nell'economia simbolica della coppia e della famiglia costituisce l'indicatore forse più

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potente di che cosa sia una famiglia in una determinata epoca e società. Essa coinvolge sia i modelli di
organizzazione familiare, di convivenza, di divisione del lavoro tra i sessi e tra le generazioni, sia la
scansione della vita individuale, di coppia e familiare, sia i confini, rapporti, controlli e influenze reciproche
tra famiglia e società.
Gli studi pionieristici nelle famiglie dell'occidente europeo hanno bene indicato come la stessa immagine di
famiglia moderna che fa ormai parte del nostro vocabolario simbolico, come relazione di affetti privati e
costituenti una sfera privata, sia nata innanzitutto come famiglia genitoriale educante, prima che come
coppia coniugale amorosa. La famiglia moderna come famiglia affettiva nasce cioè da una ridefinizione del
posto dei figli, prima che delle relazioni di coppia. Questa ridefinizione scandisce anche diversamente le
diverse età e il percorso di crescita. Questo processo è accompagnato da una trasformazione quantitativa
della presenza dei figli nella famiglia, che vede diminuire progressivamente il numero di figli per famiglia
man mano che la loro importanza affettiva aumenta.

2. I FIGLI NELLA FAMIGLIA NELLA SOCIETÀ TRADIZIONALI


2.1 FECONDITÀ E FIGLI NELLE STRATEGIE FAMILIARI
Per molti secoli la fecondità e il numero dei figli per famiglia sono stati affidati essenzialmente a due
regolatori esterni: al regolatore naturale della mortalità e al regolatore sociale dell'età al matrimonio. La
diffusione della mortalità femminile per parto, o comunque per motivi collegati alle gravidanze, contribuiva
a ridurre ulteriormente l'arco di fecondità possibile delle donne. L'elevata mortalità infantile nei primi anni
di vita riduceva ulteriormente il numero dei figli effettivi. L'esperienza costante della morte riguardava in
larga misura la morte dei bambini piccoli. Con una matematica biologica drammatica, si può dire che ogni
famiglia faceva il doppio dei figli che effettivamente sopravvivevano. Tasso di fecondità e numero di figli
viventi per famiglia non coincidevano in una misura oggi impensabile. Accanto a queste due regolazioni
esistevano anche altre forme di regolazione: dagli allattamenti prolungati che, nelle condizioni alimentari e
di salute di un tempo, provocavano una temporanea sterilità della donna, all'uso di non avere rapporti
sessuali durante il periodo di allattamento, fino all'aborto. Non si può perciò dire che nel passato la
fecondità fosse del tutto incontrollata. Il fatto che essa fosse più alta dell'attuale non dipendeva solo dalla
mancanza di strumenti efficaci sia per ridurre il numero dei nati sia per garantire la loro sopravvivenza.
Dipendeva anche da un modello culturale e familiare in cui i figli, molti figli, erano un bene, una risorsa.
Anche nella famiglia più povera, in cui il delicato equilibrio tra risorse e bisogni era più esposto al rischio di
sbilanciamento, i figli prima o poi divenivano una risorsa. Quello che oggi chiamiamo lavoro minorile, è
stato a lungo una risorsa familiare importante e legittima. Si potrebbe dire che il permanere del lavoro
minorile, non solo nelle campagne, ma nell'edilizia e nel terziario di servizio, costituisca una forma di
prolungamento/adattamento di questa tradizione che vede i figli anche piccoli, come risorsa familiare,
come partecipanti alla comune impresa di sopravvivenza, e perciò come potenzialmente sfruttabili dalla
famiglia. Allorché si analizza il ciclo di vita della famiglia-unità produttiva emerge chiaro il paradosso della
posizione dei figli nell'economia familiare del passato. Anche le analisi degli storici sulla presenza di servi
nella famiglia contadina e sulla esperienza della condizione di servitore lungo il ciclo di vita individuale
mostrano questa elasticità e insieme questa doppia faccia della posizione dei figli nella famiglia produttiva.
Paradossalmente è nelle famiglie aristocratiche e possidenti che i figli potevano rappresentare più
visibilmente un costo, nella misura in cui solo eredità e dote potevano garantire loro un futuro adeguato.
Abbiamo visto come le famiglie fronteggiavano questo rischio controllando e riducendo il numero dei figli
ammessi all'eredità, e perciò al matrimonio. Ciò suggerisce anche che l'idea dell'uguaglianza dei diritti dei
figli nella famiglia fosse sconosciuta come principio legittimo almeno in taluni periodi e circostanze del
passato.
2.2 FIGLI E FIGLIE
A prescindere dalla diversa posizione di maschi e femmine nelle strategie matrimoniali, figli e figlie
venivano precocemente inseriti in mondi differenziati per quanto interdipendenti, tramite la divisione del

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lavoro, delle competenze, dei comportamenti legittimi, dei saperi. Il mondo apparentemente poco
differenziato e articolato delle società preindustriali aveva nella distinzione materiale simbolica dei sessi
uno dei suoi più potenti ordinatori. In una società così apparentemente promiscua lo stesso
comportamento esteriore doveva segnalare sia le gerarchie di status sia le distinzioni di sesso. Usciti
dall'infanzia i ragazzi venivano inseriti in processi di addestramento alla vita adulta e di socialità secondo il
ceto e il sesso cui appartenevano. Questo ingresso segnava anche una certa irrilevanza dell'età, nella
misura in cui sembra che solo il grado, la quantità e non la qualità delle prestazioni attese, differenziasse i
ragazzi di età diverse. Così come ci si attendeva che i ragazzi/e prendessero molto presto parte alla vita
degli adulti, essi erano anche precocemente considerati responsabili dei propri atti. I bambini potevano
andare in prigione, o ai lavori forzati, come gli adulti. Per la loro diversa collocazione nella divisione del
lavoro, i figli maschi e femmine nella famiglia contadina venivano anche spesi diversamente dall'unità
economica familiare: con le figlie più spendibili dei figli sul mercato del servizio domestico urbano, e i figli
più spendibili delle figlie su quello dell'emigrazione stagionale e in lavori esterni alle unità produttive
familiari.
2.3. FIGLI COME SERVITORI E FIGLI ALLEVATI DA SERVITORI
Se divenire servitore è stato per molti secoli una specifica fase del ciclo di vita individuale per contadini,
artigiani, bottegai, ma anche, con altri nomi, per i nobili, l'avere persone a servizio ha fatto parte delle
strategie familiari di tutti i ceti, a esclusione solo dei più poveri. Un figlio/a cresceva in una famiglia in cui le
persone di riferimento e di autorità non erano solo i genitori, ma anche altre persone. E viceversa i figli/e
più grandi, o i giovani servitori, iniziavano a esercitare la propria autorità e responsabilità nei confronti dei
membri più giovani della famiglia. A prescindere dalla struttura della convivenza, l'esperienza di crescita
nella famiglia del passato era perciò segnata dalla presenza di persone insieme numerose e diversificate per
posizione, competenze e autorità. La presenza dei servi era importante anche nell'esperienza di crescita dei
figli nelle famiglie aristocratiche perché era dalla servitù che i bambini venivano allevati e con i domestici
passavano il proprio tempo, mentre con i genitori avevano rapporti per lo più ben circoscritti i di tipo
cerimoniale. Questa importanza della presenza dei servi nell'esperienza della crescita e nel definire lo
statuto dei figli è rimasta fin dentro la famiglia borghese per molto tempo. All'interno delle figure dei
servitori vennero progressivamente segnate precise gerarchie relativamente ai compiti, alle sfere di
influenza sul fanciullo/a con progressive separazioni e prese di distanza nel procedere dell'età.

2.4 LO STATUTO DI GIOVANE NELLE SOCIETÀ TRADIZIONALI


Nelle società tradizionali, l'entrata nello status adulto dipendeva meno dallo sviluppo e capacità individuali,
e tanto meno da decisioni legislative, e più dalle strategie familiari complesse. Così, una donna non diveniva
adulta pienamente se non quando si sposava, e anche in questo caso solo quando era moglie del
capofamiglia. Un uomo diveniva adulto non già quando iniziava a lavorare, il che poteva avvenire molto
presto, e neppure quando terminava la propria formazione, ma solo quando diveniva capo di casa, in
controllo delle risorse familiari. Per questo l'entrata nella vita adulta poteva avvenire molto prima tra chi
non possedeva nulla, ed essere invece subordinata alle strategie familiari tra aristocratici e possidenti. Una
ricerca del ‘77 indica come questa definizione del raggiungimento dell'età adulta potesse essere fonte di
conflitti nella famiglia. Molti studiosi di storia sociale hanno mostrato come la graduazione per età intesa
come graduazione dello sviluppo individuale sia un fenomeno relativamente recente e sviluppatosi poco a
poco. Dapprima è emersa appunto l'infanzia e la fanciullezza, poi la giovinezza, poi l'adolescenza, più tardi
la vecchiaia, e così via. In particolare, l'invenzione della giovinezza e dell'adolescenza come fasi dello
sviluppo individuale, con bisogni propri, avviene solo verso la fine dell'Ottocento, in contemporanea con il
prolungamento e l'istituzionalizzazione dei processi formativi nei ceti borghesi. Nuovo assetto della famiglia
e nuovo assetto delle istituzioni educative presiedono perciò allo sviluppo di una consapevolezza sociale
della distinzione delle età e della costruzione di un modello di sviluppo psicologico che a sua volta segnerà
profondamente le relazioni tra le generazioni entro la famiglia. Poiché i mutamenti sociali e culturali

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colgono le famiglie e gli individui in fasi diverse della vita, accade anche che i figli di una stessa famiglia nati
a diversi anni di distanza si trovino a crescere in culture e modelli di relazioni tra le generazioni diversi.

3. NASCITA DELLA FAMIGLIA MODERNA: FIGLI, MADRI, PADRI


3.1 LA FAMIGLIA EDUCANTE E AFFETTIVA DEI CETI ARISTOCRATICI E BORGHESI
All'origine della famiglia moderna come ambito privilegiato dell'affettività sta il processo di privatizzazione
della famiglia stessa, il suo progressivo ritiro dallo spazio e agire pubblici, conseguente all'affermazione
dello Stato moderno, con il suo monopolio della violenza e della legge. I ceti più poveri arriveranno alla
moderna concezione e cultura della famiglia per altre vie: per contaminazione, secondo il modello
epidemiologico, ma anche come conseguenza dei mutamenti nelle condizioni di vita e di lavoro, quali una
progressiva riduzione degli orari di lavoro e un miglioramento del tenore di vita. Dalla seconda metà del
‘600 in poi, nella famiglia aristocratica, e soprattutto borghese, privatizzata, i figli divengono sempre più
centrali e oggetto di precisa attenzione di strategie educative. Più che nell'espressione diretta dell'affettività
e della tenerezza, l'attenzione per l'infanzia, dell'atteggiamento di protezione dei non adulti, si esprimono
dapprima in atteggiamenti controllati e di controllo, che investono la totalità dell'esperienza dei bambini e
ragazzi. Si producono una serie di figure e spazi ad hoc: scuole, insegnanti, programmi di insegnamento
graduati secondo l'età, ma anche medici, norme igieniche e alimentari, e così via. Nasce la prima forma di
un curriculum dello sviluppo che conoscerà articolazioni sempre maggiori. Parte e conseguenza di quel
lungo processo di civilizzazione delle maniere e dei rapporti da cui nasce la società e l'uomo moderno,
questo divenir visibile dell'infanzia, è stato letto da diversi autori in termini ambivalenti, quando non
negativi. Alcuni studiosi parlano di recintamento e separazione dell'infanzia in parallelo alla progressiva
perdita di socievolezza della famiglia. L'emergere dell'infanzia come età della vita specifica, catalizzata da
bisogni, ritmi e spazi propri, è un percorso lento, che si realizza compiutamente, nei ceti borghesi e
aristocratici, solo nell'Ottocento. Esso ha anche conseguenze diverse per ragazzi e ragazze e per molto
tempo, differenzia i percorsi maschili e femminili ancora più nettamente che nella società tradizionale,
separando anche gli spazi.
Al centro di questo progetto educativo in cui si esprime la nuova collocazione dei figli, sta la figura della
madre. Anche la maternità è infatti un prodotto di questo nuovo modello di famiglia dei sentimenti e
dell'educazione. Si può dire anzi che la famiglia moderna, come famiglia di sentimenti e dell'educazione,
nasce attorno a queste due figure, la madre e il bambino. È la donna identificata come madre che esprime
innanzitutto questa nuova attenzione e responsabilità familiare verso i bambini e i ragazzi. Questa
responsabilità e attività specifica circoscrive sempre più sia il ruolo familiare che quello sociale delle donne
nei ceti borghesi. Il programma educativo e morale che sta al centro della famiglia moderna, e che
lentamente trasforma i figli da strumento per le strategie familiari ai fini delle stesse, riguarda perciò anche
la madre. Faceva parte di questo nuovo progetto educativo anche l'opera di convincimento che i medici, i
riformatori e poi anche i mariti misero in opera nei confronti delle madri perché non solo controllassero
meglio le balie cui per molti secoli le donne aristocratiche e borghesi usavano affidare l'allevamento dei
piccoli nei primi anni di vita, va rinunciassero del tutto a questo uso, a favore di un'assunzione diretta di
questo compito: sempre più valorizzato non solo in nome di una maggiore sicurezza igienico-sanitaria, ma
in nome di una più alta moralità e responsabilità materna. È interessante infatti vedere come, a mano a
mano che il valore dell'allattamento al seno da parte delle madri divenne la norma culturalmente
dominante, l'abitudine di dare i figli a balia venisse interpretata dai riformatori e moralisti come forma di
indifferenza, freddezza è vanità da parte delle madri. Vale la pena di notare che i moralisti del tempo e
contemporanei, quando denunciano la supposta indifferenza ed egoismo materni, ignorano quello paterno,
che pure sembra avesse non poco peso nella decisione di mandare i figli a balia, dato che la necessità
enorme dell'allattamento materno impediva ai mariti di avere rapporti sessuali con la moglie. Ciò
testimonia che era la donna il soggetto da educare individuato dalla nuova cultura della famiglia. Certo, in
parallelo veniva costruita anche la figura del padre, ma qui il processo è meno esplicito e lineare e i

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contenuti più indefiniti. Il ruolo paterno nella famiglia moderna appare, quando appare, più come un ruolo
prescrittivo di mete e valori, o testimone di successi e anche piaceri materni, che come ruolo direttamente
interattivo con i figli, specie quando questi sono piccoli. Questo nuovo posto dell'infanzia e dei figli nella
famiglia, con la connessa definizione della figura materna, si accompagna a quella che è stata definita la
prima rivoluzione contraccettiva: una modalità sempre più sistematicamente perseguita di regolazione
delle nascite che aveva lo scopo esplicito e positivamente legittimato di contenere il numero di figli. A
partire dalla fine del XVIII secolo, la fecondità coniugale iniziò a ridursi, probabilmente tramite un uso
sistematico del coito interrotto, oltre che a motivo della diffusione dell'allattamento da parte delle madri. Si
tratta di una contraccezione eminentemente maschile. Questa forma di contraccezione potrebbe perciò
essere vista quasi come il punto culminante di quel processo di civilizzazione e controllo interiori. La
sessualità coniugale diventerebbe uno spazio di ascesi e di calcolo, controllato dall'uomo. Al controllo
maschile del coito interrotto fa da pendant la frigidità, la mancanza di desiderio, della donna per bene. E il
rapporto tra i coniugi è sempre più improntato all'etica del rispetto che al principio del piacere o della
pulsione istintuale. La repressione sessuale può in questa situazione essere letta come strategia insieme di
coppia, familiare e individuale. Si capiscono allora le campagne contro l'ubriachezza, vista come causa della
mancanza di capacità di controllo maschile, e l’ambivalente atteggiamento delle classi borghesi verso i
comportamenti sessuali delle classi subalterne, visti come selvaggi, non civilizzati, non controllati, e perciò
anche socialmente pericolosi. Ma contemporaneamente la sessualità delle donne delle classi subalterne è
sempre aperta agli assalti dei maschi delle classi superiori che, rispettando le proprie donne, lasciano libero
corso agli istinti con le altre, che divengono così le prime vittime della doppia morale maschile borghese.
3.2 RAPPORTI GENERAZIONALI NELLE CLASSI LAVORATRICI
Nei ceti e classi meno abbienti le cose hanno tempi diversi. Ad esempio, per la Lombardia lo storico Della
Peruta documenta: nei primi anni dell'Ottocento, in pieno sviluppo della cultura della maternità,
dell'infanzia, dell'importanza dell'allattamento al seno, il numero degli esposti e dei lattanti ricoverati negli
istituti ospedalieri aumenta al punto da provocare le prime iniziative di assistenza alle famiglie povere, e in
particolare alle madri lavoratrici, purché bisognose e oneste. Anche il lavoro dei bambini e dei fanciulli
rimane un modello a lungo condiviso, al punto che le famiglie operaie fanno talvolta resistenza a ogni
forma di regolazione del lavoro minorile, in termini di età e di orari, nella misura in cui ciò sottrae loro sia
risorse che autorità. Se i riformisti del tempo si scandalizzavano per quello che sembrava loro l'egoismo
delle famiglie, non va dimenticato che l'opera di regolamentazione e separazione dell'infanzia e fanciullezza
presso le classi operaie avviene sotto forma di imposizione senza contropartite, e ha l'obiettivo di formare,
disciplinandola fin da piccola, la nuova classe operaia. L'educazione della madre di classe operaia, mentre
esprime più esplicitamente un progetto di disciplinamento morale, è strettamente intrecciata con la sua
educazione come donna di casa, come massaia. La maternità appare qui più direttamente connessa a
attività di lavoro domestico, da cui non è sempre facilmente distinguibile. Questo progetto educativo su
bambini e donne delle classi lavoratrici diverrà progetto interiorizzato delle stesse classi lavoratrici solo
quando vi saranno risorse per una vita domestica vera e propria, e quando le possibilità di garantire ai figli
una vita migliore appariranno sufficientemente realistiche da incoraggiare e investire in loro, piuttosto che
utili semplicemente entro la solidarietà familiare. Per quanto riguarda la prima condizione, sarà importante
lo sviluppo dell'edilizia economica e popolare. Per quanto riguarda il secondo punto, solo quando una
formazione più lunga potrà garantire un lavoro meglio remunerato, le famiglie operaie saranno in grado di
misurare attentamente i vantaggi e gli svantaggi di prolungare la dipendenza economica dei figli. Quando
questo calcolo dei costi e benefici diviene possibile anche in questi ceti si comincia a diffondere, come
specifica strategia familiare, il controllo della fecondità. Si tratta di una trasformazione dei comportamenti
tanto più spettacolare in quanto la diffusione del lavoro salariato non aveva fatto aumentare solo i tassi di
nuzialità, ma aveva fatto anche aumentare la fecondità. Questo mutamento nei comportamenti
demografici delle coppie, identificato come prima transizione demografica, non modifica solo il numero dei
figli e indirettamente l'ampiezza della famiglia. Modifica anche la composizione per età della popolazione.

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Nella maggior parte dei paesi europei essa rimane a lungo ancora una popolazione giovane, con tassi di
fecondità superiori al tasso di riproduzione e con una struttura per età della popolazione che sembra
stabilizzarsi nella forma della piramide. Tuttavia, per molti governi la riduzione delle nascite appare
problematica già allora e dà luogo sia a politiche repressive che alle prime politiche che oggi chiameremmo
familiari.
3.3 L’EMERGERE DELLA FAMIGLIA MODERNA IN ITALIA
In Italia, questi fenomeni avvengono più tardi e più lentamente. L'industrializzazione più tardiva e ridotta, la
predominanza della popolazione rurale, mantengono più a lungo nel nostro paese il modello di famiglia
produttiva e feconda. È impossibile avere una visione sistematica e attendibile della situazione demografica
italiana prima del 1861. Tuttavia, i dati frammentari disponibili indicano che, benché il declino della
fecondità inizi nel complesso alla fine del XIX secolo, in alcune regioni come Piemonte, Liguria e Toscana
iniziò prima. È inoltre probabile che presso alcuni ceti il declino sia iniziato prima che in altri, a motivo del
diffondersi della nuova cultura della domesticità e dell'infanzia. Il declino della fecondità, con la sua
specifica geografia che vede in testa le città rispetto alle campagne, e il Nord rispetto al Meridione, indica
come anche in Italia man mano che mutano le circostanze delle famiglie, i comportamenti riproduttivi
divengono sempre più oggetto di strategie esplicite, contemporaneamente segnalando un mutato posto dei
figli nell'economia, materiale e simbolica, familiare. La stessa storia del pensiero pedagogico italiano
costituisce un'utile indicazione del processo di formazione di una cultura dell'infanzia divenuta soggetto e
fase della vita da educare in modo attento e sistematico. Alcuni pedagogisti tracciano un programma
educativo che colloca il bambino già dalla prima infanzia in un percorso di apprendimento e sviluppo
controllati che, mentre istituisce spazi educativi ad hoc (le scuole materne), contemporaneamente valorizza
e plasma la funzione educativa della famiglia e soprattutto della madre. Alle soglie della formazione di una
nazione moderna emerge così l'immagine della donna-madre come soggetto da educare, ma anche come
soggetto in qualche modo civilizzatore, educante il cittadino moderno. Si tratta di messaggi e di iniziative
che, se privilegiano i ceti borghesi istruiti, non si limitano ad essi, coinvolgendo anche altri ceti urbani, in
particolare le classi lavoratrici, pur con modalità, rapporti di potere, risorse, diversi. La differenziazione di
comportamenti tra città e campagna e tra Nord e Sud e tra i ceti sociali rimase costante a lungo. Ciò
contribuì a rafforzare le differenze nelle esperienze familiari dei diversi ceti sociali. Tra la fine del XIX e
l'inizio del XX secolo inizia a instaurarsi un rapporto inverso tra ricchezza della famiglia e fecondità. Ora le
famiglie più numerose sono quelle più povere, in cui nascono più figli, a fronte di un numero più controllato
nei ceti benestanti. Quanto più basse sono le chances di vita adeguata di una famiglia, tanto minore o
assente sembra essere un atteggiamento strategico nei confronti della fecondità e dei figli, così come la
negoziazione e ridefinizione della sessualità entro la coppia.
4. UN NUMERO SEMPRE PIÙ RIDOTTO DI FIGLI
4.1 DALLA PROCREAZIONE CONTROLLATA ALLA PROCREAZIONE INTENZIONALMENTE DECISA
Mentre fino a tutti gli anni ‘70 sembra ci fosse un rapporto diretto tra bassa occupazione femminile e alta
fecondità, dalla fine degli anni ‘80 e nei ‘90 tale rapporto sembra essersi invertito: sono i paesi a più alta
occupazione femminile ad avere in generale i tassi più alti, mentre quelli a più bassa occupazione femminile
hanno raggiunto tassi più bassi di quelli mai toccati dai primi. Le spiegazioni dell'inversione del rapporto
occupazionale femminile e tasso di fecondità sono diverse, anche se tutte concentrate attorno a due
questioni distinte: il modo in cui le diverse società reagiscono all'aumento sia della scolarità sia
dell'occupazione femminile, e il modo in cui le diverse società sostengono il costo dei figli e/o ne
promuovono precocemente l'autonomia economica. In particolare, i paesi mediterranei sostengono poco,
tramite l'offerta di servizi e altro, l'occupazione delle donne con figli; allo stesso tempo sostengono poco
anche, tramite forme di rete o indirette di sostegno al reddito, il costo dei figli. Perciò le donne che
desiderano mantenere un'occupazione riducono il numero di figli. Viceversa, i paesi scandinavi sostengono
molto l'occupazione femminile tramite l'offerta di servizi e incoraggiano una precoce autonomizzazione
economica dei figli tramite il riconoscimento di diritti e benefici individuali. I paesi dell'Est europeo

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rappresentano un caso a sé. Negli anni ‘60 essi mostravano tassi di fecondità relativamente simili a quelli
mediterranei, nonostante l'alto tasso di occupazione femminile. Soprattutto negli anni immediatamente
successivi al mutamento di regime, tali tassi sono diminuiti consistentemente, in modo analogo a quanto è
avvenuto nei paesi mediterranei. La transizione a regimi capitalisti democratici con economia di mercato ha
modificato le condizioni e opportunità nel mercato del lavoro. È stato soprattutto il ruolo delle donne, il
sistema di opportunità disponibile per le donne a essere più fortemente toccato nel generale mutamento
degli assetti sociali e dei mercati del lavoro, nell'aumento della disoccupazione sia maschile che femminile e
conseguentemente anche delle migrazioni. Perciò, non solo le giovani coppie rimandano la decisione di
avere figli, o vi rinunciano, in una situazione di incertezza. Le donne si sentono particolarmente vulnerabili
sul mercato del lavoro, meno legittimate a esserci e meno sostenute dai servizi. Se desiderano rimanere, o
entrare nel mercato del lavoro fanno l'unica cosa che sembra dipendere da loro: rinunciano ad avere figli, o
più di uno. Nelle società tradizionali le donne adulte con carichi familiari lavoravano probabilmente più di
oggi, eppure avevano una fecondità più elevata. Il nesso statistico fra tasso di occupazione femminile e
tasso di fecondità ha cambiato segno alla fine del secolo scorso, rovesciandosi da negativo a positivo. A
livello di differenze individuali e non solo macrosociali, tra donne occupate e non, non è del tutto chiaro se i
differenziali di fecondità siano dovuti a un rapporto causale tra occupazione e fecondità ho invece a
fenomeni di autoselezione. La questione dei rapporti causa-effetto può essere espressa anche in termini
generazionali e di coorte. Se è vero che la figura della madre a tempo pieno è divenuta un'esperienza di
massa solo tra la fine degli anni ‘50 e i primi ‘60, essa ha riguardato coorti di donne-madri che hanno
cresciuto le figlie e i figli in famiglie già più piccole di quelle dei nonni, in cui emergeva già nettamente una
fase della vita familiare nella quale non c'erano figli piccoli e i genitori -la madre- erano ancora abbastanza
giovani. Non a caso i sociologi degli anni ‘50 e ‘60 cominciavano a individuare una fase del nido vuoto come
una nuova fase del ciclo di vita familiare. Per quanto riguarda più particolarmente gli andamenti della
fecondità in Italia, va osservato innanzitutto che non è possibile parlare di un unico modello di fecondità
coniugale. La fecondità è definita differenziale per regioni. Da almeno un secolo nel nostro paese esistono
almeno due modelli di famiglia dal punto di vista della fecondità: uno, tipico delle regioni del Nord,
caratterizzato da un numero contenuto di figli; l'altro, tipico delle regioni meridionali e insulari,
caratterizzato viceversa da un numero elevato di figli. Se l'Italia è uno dei paesi a più bassa fecondità al
mondo, presenta anche uno dei tassi di fecondità naturale, cioè fuori dal matrimonio, più bassi tra i paesi
sviluppati. Le varie tendenze nei paesi sviluppati corrispondono in larga misura alla diversa incidenza delle
convivenze senza matrimonio e alla diversa rapidità con cui esse vanno diffondendosi. Gli elevati tassi di
fecondità naturale nascondono fenomeni diversi, quindi implicano esperienze sia dei figli che così nascono,
che delle madri che dei padri fortemente diversificate. Nella maggior parte dei paesi europei gran parte di
queste nascite avviene entro rapporti di convivenza more uxorio difficilmente distinguibili dal matrimonio.
La diminuzione della fecondità non segnala solo o tanto una difficoltà a far fronte economicamente o
organizzativamente alla presenza di figli, segnala innanzitutto un mutato posto della filiazione sia nel ciclo
di vita individuale sia in quello coniugale. È interessante osservare che le indagini effettuate in vari paesi
occidentali a partire dagli anni ‘50 indicano un contemporaneo ridimensionamento del modello ideale di
famiglia, che passa da una dimensione ideale oscillante tra i due e i quattro figli a un orientamento
omogeneo e più nettamente favorevole ai due figli, accompagnato da comportamenti effettivi che
producono una fecondità più contenuta. Molti studiosi hanno a questo proposito parlato di seconda
rivoluzione contraccettiva, che a sua volta avrebbe portato a una seconda transizione demografica.
All'origine di questa seconda svolta starebbe lo sviluppo delle tecnologie contraccettive, in particolare della
contraccezione chimica e meccanica. Si tratta di strumenti contraccettivi femminili. Viene inoltre
sottolineato come, a differenza della tradizionale forma di contraccezione maschile, questi nuovi strumenti
consentano di scindere nettamente sessualità da procreazione. Se perciò la prima rivoluzione
contraccettiva era innanzitutto una contraccezione del contenimento sia della procreazione che della
sessualità, la seconda rivoluzione contraccettiva tocca direttamente la fecondità femminile. Mentre impone
un atteggiamento di calcolo, di intenzionalità, anche di razionalità, secondo queste interpretazioni tuttavia

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si coniugherebbe a una sessualità liberata dai vincoli della procreazione, quindi dalla necessità
dell'autorepressione. Affidare al solo sviluppo delle tecnologie riproduttive la causa della recente forte
riduzione della fecondità sembra tuttavia riduttivo. Anche rispetto a paesi in cui il loro uso è
massicciamente diffuso. Tantomeno la spiegano in paesi, come l'Italia, ove sia la prima indagine sulla
fecondità che le indagini di vario tipo effettuate negli anni successivi indicano nel coito interrotto il metodo
contraccettivo tuttora più diffuso, anche se parzialmente in via di sostituzione con il preservativo nelle
generazioni più giovani, e in cui la pillola è ancora utilizzata relativamente poco. Si aggiunga che nel nostro
paese la diffusione di informazioni sulla vendita di strumenti contraccettivi in quanto tali è stata vietata per
legge fino al 1975. Ciò non significa che lo sviluppo tecnologico sia senza significato e senza effetti. Piuttosto
indica che gli intrecci e le motivazioni sono più complessi e profondi, e anche che vecchi e nuovi
atteggiamenti nei confronti sia della sessualità che della procreazione si accavallano e combinano, piuttosto
che contrapporsi o sostituirsi in modo netto. I motivi per cui i vari gruppi sociali in tempi diversi
intervengono sulla fecondità per contenerla appaiono oggi molto più complessi e meno lineari: scelte,
motivazioni, ma anche vincoli individuali si combinano in strategie procreative di coppia, a loro volta
interagenti con tendenze e situazioni esterne fortemente caratterizzate a livello locale e di culture familiari
specifiche. I valori, le finalità segnate alla procreazione, mentre sono cambiati indipendentemente dallo
sviluppo tecnologico e dalle conoscenze, hanno probabilmente modificato i rapporti in cui vengono usati i
metodi tradizionali. Questi vengono progressivamente spostati da strumenti di contenimento a strumenti di
non procreazione, e anche contrattati diversamente entro la coppia. Anche i dati sugli aborti sono una spia
di questa complessità, nella misura in cui segnalano la contraddittorietà, o uno scarto tra comportamenti,
modelli ideali di procreazione, desideri e risorse individuali.
4.2 EQUILIBRI IN BILICO
In che misura questi diversi spostamenti, dal contenimento all'intenzionalità della procreazione, dal
controllo della sessualità alla sua liberazione dai rischi di conseguenze, dalla contraccezione maschile a
quella femminile, disegnino nuovi modelli, sia di generazione che di coppia, è aperto il dibattito. A fronte di
chi sostiene che vi è stato uno spostamento di centralità e importanza dai genitori ai figli e dal controllo al
piacere, vi è chi invece rileva come anche il figlio scelto e voluto intenzionalmente, risponde pur sempre a
un desiderio di autorealizzazione dei genitori, anche se cercata più nella dimensione relazionale che in
quella dell'affermazione economica o sociale della famiglia, o del sostegno futuro da parte dei figli. Non può
in ogni caso essere ignorato che il mutamento di codice nel legittimare le proprie strategie di fecondità
produce un diverso contesto simbolico in cui si dà procreazione e rapporti tra generazioni. Gli stessi esiti
quantitativi di strategie di fecondità così ridefinite, producono effetti qualitativi, sia sulla esperienza di
essere figli sia su quella di essere genitori. Per quanto riguarda la procreazione, alla cultura della
responsabilità nei confronti dei figli, che induce a contenere il numero onde garantire loro maggiori
opportunità, si affianca una cultura della scelta. Un figlio/a deve essere procreato solo se e perché voluto.
Un'altra delle conseguenze di questo spostamento dal principio della responsabilità a quello del desiderio e
del piacere, è che i figli devono venire solo quando e se sono desiderati, ogni figlio desiderato a sua volta
deve nascere: la sterilità non appare più accettabile, non già perché non consente la piena realizzazione
dell'identità sociale adulta femminile e maschile, o la realizzazione di un progetto di continuità familiare,
ma perché non consente di dar corso a un desiderio, a una scelta, che, proprio perché opzionale, non
necessaria, una volta compiuta chiede di essere realizzata. La fortuna delle nuove tecnologie riproduttive va
letta in questo contesto di messa in primo piano del desiderio. Proprio perché la disponibilità di queste
tecniche apre la possibilità di avere un figlio proprio a persone e coppie che precedentemente non
avrebbero potuto averlo apre anche il vaso di pandora delle questioni relative a chi può accedere alla
genitorialità. Anche la violenza sui bambini va letta come fenomeno in cui vecchi e nuovi atteggiamenti si
affiancano e confondono: quello del genitore padrone dei propri figli e quello del figlio/a che deve dar
piacere ai propri genitori e soddisfare le loro più nascoste aspettative e bisogni.
4.3 ESSERE FIGLI, ESSERE GENITORI: NUOVE ESPERIENZE, NUOVI CICLI DI VITA

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Il fatto che le famiglie contemporanee abbiano in misura crescente solo uno, al massimo due figli ha effetti
sulla concreta quotidiana esperienza di crescere e vivere come figli, oltre che sul posto dei figli stessi
nell'economia simbolica dei genitori. Anche se la famiglia continua a rimanere uno dei pochi ambiti in cui si
dà come ovvia e normale la differenza di età e vi è coesistenza di persone in età e fasi della vita diverse, tale
differenziazione è sempre meno articolata e contemporaneamente più polarizzata. Un figlio/a sperimenta
l'unicità della propria età e posizione nella famiglia, senza possibilità di misurarsi, confrontarsi con chi è un
po’ più grande o un po’ più piccolo. Una minore articolazione dell'età nella famiglia produce anche una più
netta scansione del ciclo di vita familiare per quanto riguarda la dimensione generativa. Oggi le famiglie
sembrano attraversare le stesse fasi dei figli: ci sono famiglie con figli piccoli, poi con figli adolescenti, poi
con figli giovani, poi senza figli. Va osservato che, se entro la famiglia l'articolazione dell'età e delle fasi della
vita è minore di quella che si trova nella famiglia numerosa, entro la parentela è oggi possibile sperimentare
ed entrare in rapporto con un raggio di età molto più ampio, e con posizioni generazionali diversificate:
nonni e anche bisnonni non sono più una rarità ben oltre l'infanzia. Se perciò è sempre più difficile per un
bambino e adolescente imparare dai propri fratelli/sorelle ad affrontare le tappe della propria crescita, la
disponibilità di età e posizioni generazionali diversificate entro la parentela fornisce strumenti per
immaginare un corso della vita lungo e articolato, in cui le posizioni generazionali più che alternarsi, si
modificano continuamente. Figli della scelta e genitori per scelta disegnano così una nuova costellazione
dei rapporti e investimenti familiari, in cui sono ridefinite le stesse figure genitoriali maschili e femminili,
della paternità e maternità - in sé stesse e nel loro reciproco rapporto. È la maternità a essere più
visibilmente direttamente coinvolta nella trasformazione. Se la riduzione della fecondità può avere avuto
effetti inattesi sull'organizzazione del tempo di vita delle donne adulte negli anni ‘50 e ‘60, per le loro figlie
per le corti più giovani questa stessa riorganizzazione può essere entrata a far parte di strategie
consapevoli, di tappe previste, vuoi per scelta, vuoi per necessità. Anche la paternità è coinvolta in questo
processo di trasformazione dei rapporti generazionali. I dati di ricerca disponibili mostrano che, all'interno
di una divisione del lavoro familiare per sesso ancora fortemente squilibrata, proprio le attività di cura e di
rapporto con i figli, in particolare con i più piccoli, sembrano non solo accettate, ma in parte rivendicate
come proprie dai padri più giovani. Sembra che l'espressione dell'affettività e il coinvolgimento in talune
attività di cura nei confronti dei figli non vengano più percepiti come inadatti a ruolo paterno-maschile.
Talune modifiche sia nella cultura degli esperti che nelle pratiche dei servizi, sia in talune legislazioni,
segnalano e insieme incoraggiano questa possibile trasformazione.

5. IL CONTESTO SOCIALE DEI RAPPORTI GENERAZIONALI: GENITORI E FIGLI OGGI


Abbiamo detto che il grande declino della fecondità, mutando la cornice quantitativa e la scansione
temporale della procreazione modifichi l'esperienza di essere figli e anche la carriera dei genitori. La
riduzione della fecondità, tuttavia, avviene e interagisce con una serie di eventi e trasformazioni sociali che
pure contribuiscono a definire lo statuto reciproco di figli e genitori.
5.1 UN’ALLEATA E UNA CONCORRENTE: LA SCUOLA
Il primo di questi fenomeni riguarda l'importanza che ha assunto la scuola nel processo formativo e nella
stessa definizione degli obblighi di genitori e figli. Oggi la scuola gioca un ruolo importante nel definire lo
statuto di figlio, anche se in modo più distinto, meno univocamente complementare alla famiglia di un
tempo. Ciò avviene a diversi livelli. In primo luogo, la scuola contribuisce in modo sostanziale a definire i
tempi e i modi della formazione dei figli, a scandire le tappe di una lunga fase di dipendenza dall'autorità
genitoriale e dal mantenimento da parte dei genitori. Perciò la scuola disegna contemporaneamente
curricula di crescita e curricula di genitori. L'emergere di tappe evolutive insieme socialmente riconosciute
e normate, deve molto a un'organizzazione scolastica che scandisce percorsi e tappe sempre più precise
dalla nascita all'età adulta.
La scuola agisce come strumento insieme di modificazione e di rafforzamento della stratificazione sociale.
La legittimità della dipendenza e la necessità di lunghi periodi formativi hanno infatti riconoscimenti e

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possibilità di realizzazione diversi a seconda delle risorse economiche e sociali dei genitori. Proprio perché
la scuola è divenuta un elemento cruciale nella definizione del destino adulto dei figli, essa si configura
come un banco di prova della stessa efficacia sociale dei genitori, della loro capacità e disponibilità a
investire effettivamente nei figli, e a offrire loro chances migliori. L'obbligo scolastico definisce un periodo
più o meno lungo di formazione/dipendenza obbligatorio, in cui non solo i figli, ma anche i genitori hanno
doveri, il cui espletamento è giudicato da agenzie e criteri esterni alla famiglia. Vale anche per i passaggi
scolastici successivi, nella misura in cui al capitale culturale e alle risorse economiche della famiglia/dei
genitori è affidata la responsabilità di fare o consigliare, o consentire, scelte giuste ed efficaci per i propri
figli. La stratificazione sociale differenzia sostanzialmente il modo in cui i genitori possono usare la scuola
per sostenere i propri valori e mete nei confronti dei figli. In Italia, il figlio di un operaio ha otto volte meno
possibilità di un figlio di un laureato di accedere all'università. Ricerche recenti segnalano che il capitale
culturale dei genitori ha un effetto ancora più pervasivo, incidendo sullo stesso sviluppo delle competenze
cognitive dei figli, quindi mettendoli più o meno in condizione di utilizzare al meglio la formazione
scolastica.
5.2 CRESCERE TRA COETANEI
La lunga diffusa permanenza scolastica ha favorito l'emergere di altri contesti di esperienza orizzontali, tra
coetanei, nel tempo libero e nel consumo. Così che è divenuto normale il vivere quotidianamente e per un
lungo arco della propria vita tra coetanei, in gruppi di età distinti e in spazi extra familiari. Al punto che
qualcuno ha parlato delle società occidentali come di società segregate per età. E altri hanno sostenuto che
la segregazione/dipendenza in cui sono tenuti oggi i bambini e i ragazzi, con forte grado di discontinuità tra
esperienza adulta e non adulta, comunica un messaggio di superfluità e inutilità sociale alle generazioni più
giovani. Ci sembra che la situazione non si presti facilmente a interpretazioni di tipo lineare e univoco. È
proprio la diversificazione a emergere al di sotto di comportamenti esteriormente omogenei come appare
anche nelle varie ricerche sui giovani. È stato osservato che i gruppi dei pari in età adolescenziale e
giovanile sono in realtà molto omogenei al proprio interno per condizione sociale di provenienza e anche
per condizione individuale dei partecipanti. Ciò rappresenterebbe un'ulteriore conferma del ruolo non di
livellamento, ma al contrario di rafforzamento delle forme di stratificazione sociale da parte della scuola.
Con queste cautele, ci sembra tuttavia che non si possa negare che l'organizzazione per fasce di età
favorisce la distinzione dei figli rispetto alla famiglia. L'esperienza della crescita si è sempre giocata entro il
delicato e talvolta conflittuale equilibrio tra appartenenza e individuazione. L'esistenza di gruppi di pari
anche organizzati e ritualizzati ha fatto parte della storia della gioventù. La novità tutta contemporanea sta
nell'esistenza di spazi ad hoc. Alcuni di questi sono istituzionali, altri sono più informali, altri ancora sono
comunità fittizie (social network che molto spesso sono sollecitati e rafforzati da particolari tipi di
consumo). Non è chiaro che ruolo giochi l'accesso alla rete e ai sistemi di comunicazione in rete, rispetto
alla sensazione di appartenenza. Se, da un lato, esso consente teoricamente non solo una dilatazione
dell'orizzontalità senza filtri, ma anche della comunicazione e interazione al di fuori del monitoraggio sia
della famiglia che della scuola, introduce anche nuove possibili differenziazioni sulla base delle
appartenenze sociali e familiari. I genitori più competenti in questi nuovi media non solo sono
maggiormente in grado di interagire con i figli anche in questo ambito; possono anche mettere in moto
nuove strategie di controllo all'insaputa dei figli stessi.
5.3 LA CULTURA DEGLI ESPERTI E LA CULTURA DI MASSA
Accanto alla scuola, e prima dei consumi di massa e delle attività di tempo libero, vi è la massiccia diffusione
degli esperti e della cultura degli esperti. Come per la scuola, si tratta di un fenomeno le cui origini sono
rintracciabili nel primo emergere della famiglia moderna, ma ha anche conosciuto uno sviluppo enorme, il
cui esito vede oggi questa cultura e questa articolazione di esperti in posizione ambivalente rispetto alle
famiglie: insieme di sostegno e di prescrizione, quando non di giudizio, con poteri di influenza e talvolta
persino di interferenza differenti secondo la posizione sociale e il capitale culturale e sociale delle famiglie,
o meglio degli adulti in esse. Accanto alla scuola, anche l'istituzione medica è divenuta un interlocutore

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obbligato delle famiglie, specie nell'infanzia e nella preadolescenza. Ma anche fuori dai passaggi obbligati,
la medicina, e in particolare la pediatria, è divenuta l'interlocutore privilegiato dei genitori nella fase di
crescita dei figli. Accanto a queste due istituzioni forti e ai loro esperti, si sono poi sviluppate altre figure di
addetti/esperti della formazione e delle età evolutive. Un ruolo importante ha avuto la costituzione di un
vero e proprio ambito di giustizia minorile. Strettamente collegati a questo ambito sono i servizi e gli
assistenti sociali. Tutte queste figure interagiscono in modo più o meno coordinato e più o meno
conflittuale, tra loro, con i minori e con le famiglie. La pluralità e anche non omogeneità dei modelli
educativi e delle immagini di bambino, ragazzo o adolescente è infatti una delle caratteristiche attuali sia
del crescere, sia del rapporto tra generazioni. Le trasformazioni sociali e anche politiche complessive che
hanno attraversato molte società sviluppate dalla seconda metà del secolo scorso hanno modificato
profondamente il contesto in cui si danno rapporti e trasmissione culturale tra le generazioni. Se è sempre
più difficile che un genitore possa trasmettere direttamente il proprio mestiere e anche la propria posizione
sociale a un figlio, senza passare attraverso la mediazione di altre agenzie, anche il saper fare quotidiano è
stato scompigliato dalla tecnologia domestica, dai nuovi prodotti e modelli di consumo, dalla scoperta di
bisogni e capacità prima insospettate, oltre che dalla cultura degli esperti. La trasmissione di saperi e modi
di fare non può più semplicemente avvenire in modo lineare, ma richiede una rielaborazione e selezione,
un adattamento e un'invenzione maggiori di quelli sempre richiesti nel passaggio delle generazioni. Il
susseguirsi di modelli pedagogici è un interessante indicatore di questa ricerca di strumenti per affrontare
una situazione che si percepisce come in larga misura priva di tradizioni, sia che si tratti della prima infanzia,
sia che si tratti dell'adolescenza. Il fatto che i cosiddetti esperti modificano modelli e indicazioni conferma la
complessità e incertezza della situazione. La famiglia non è quindi l'unica agenzia di socializzazione e di
produzione di norme, ma continua a essere un'agenzia di trasmissione intergenerazionale.
5.4 CALENDARI DI CRESCITA NON LINEARI
Tra i fenomeni che hanno contribuito a ridefinire i rapporti tra le generazioni entro la famiglia vi sono le
diverse forme di ridefinizione e riconoscimento degli statuti di età e delle classi di età che si sono venuti
articolando soprattutto nella seconda metà del secolo scorso. Si tratta di scansioni del corso di vita per
molti versi disomogenee tra loro. A fronte di una rigida scansione per età prodotta dall'organizzazione della
scuola e dai calendari normativi impliciti delle carriere lavorative, il susseguirsi delle scansioni sociali e il
nesso temporale tra scansioni di tipo diverso non è sempre chiaro e talvolta appare contraddittorio. Ormai
in quasi tutti i paesi occidentali la maggiore età è stata abbassata da 21 a 18 anni. A 18 anni si acquisiscono
diritti politici sia attivi sia passivi. Viceversa, la formazione lunga, cioè universitaria, non termina prima dei
24-26 anni. Le convenzioni internazionali relative al mercato del lavoro considerano giovani coloro che sono
tra i 18 e i 24 anni, mentre alcune misure a sostegno dell'occupazione giovanile possono alzare la soglia fino
ai 29 anni. In un'analisi delle scansioni del corso di vita di diverse coorti avvicendatisi tra il 1870 e il 1970,
indicano come nel corso del ‘900 vi sia stato un progressivo irrigidimento del ciclo di vita. Confini di età che
nel corso dell'ultimo secolo erano divenuti netti, si sono fatti di nuovo, anche se diversamente, confusi. E
molti incroci sono possibili, costringendo i genitori ai figli a negoziare continuamente una definizione dei
reciproci diritti e doveri, e prima ancora delle proprie legittime aspettative, rispetto a un'ampia gamma di
comportamenti e sfere di esperienza. Si disegnano così nuovi modelli di relazioni familiari; ove la famiglia
per lunghi archi di tempo diviene una comunità di adulti di varietà o di adulti con quasi adulti, cui sono
riconosciuti ampi gradi di autonomia pur entro rapporti di dipendenza economica, senza un chiaro, e
legittimo, modello di autorità. Si è parlato a questo proposito di famiglia lunga del giovane adulto. Pur con
forti differenze tra paesi anche la legislazione nel corso degli ultimi cinquant'anni ha progressivamente
ridisegnato e rafforzato i diritti dei figli, innanzitutto come diritti dei minori. In molte legislazioni nazionali il
diritto di famiglia è stato modificato spostando l'accento dall'autorità alla responsabilità genitoriale. Le
norme sull'adozione sono state modificate in direzione del benessere dei bambini piuttosto che della
garanzia della continuità di un lignaggio o dell'aiuto in età anziana. Ovviamente, questo nuovo modello di
rapporti tra genitori e figli, non è diffuso il modo omogeneo in tutte le società, neppure in quelle sviluppate,

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e in tutti i gruppi sociali. Non tutte le famiglie hanno le stesse risorse per far proprio questo modello e per
realizzarlo. Il caso estremo è rappresentato da quei gruppi sociali (migranti, famiglie povere) in cui ci si
aspetta ancora che anche i bambini facciano la propria parte nell'economia familiare. Da questo punto di
vista, il diffondersi dei processi migratori in tutti i paesi, anche in quelli un tempo protetti dalle immigrazioni
dall'esterno, se può consentire in linea di tendenza un processo di omogenizzazione dell'esperienza di
crescita e genitoriale attraverso le culture, nell'immediato almeno costituisce un potente elemento di
differenziazione e anche di potenziale conflitto interculturale. Ancora una volta, si deve sottolineare che
non solo padri e madri, ma anche figli e figlie sono diversamente coinvolti in questo complesso intreccio di
continuità e cambiamento. Le modifiche intervenute nel corso di vita femminile, la diversa presenza della
maternità nella vita adulta, l'aumento della partecipazione femminile adulta al mercato del lavoro, non
modificano solo l'esperienza di essere -e avere- una madre; modificano anche il contesto in cui le figlie
crescono come donne, sovrapponendosi ai cambiamenti intervenuti più in generale nell'esperienza
adolescenziale e giovanile. Sintetizzando, potremmo dire che le modifiche nella legittimità di taluni
comportamenti e forme di autonomia si presentano generalmente come molto più conflittuali per le figlie
che per i figli.
5.5 CRESCERE CON UN SOLO GENITORE, O CON TRE O QUATTRO
Crescere con un solo genitore, o con un patrigno o una matrigna, ed eventualmente fratellastri e sorellastre
era un'esperienza comune anche un secolo fa. Da questo punto di vista la quota dei bambini che
sperimenta l'interruzione del rapporto tra i genitori prima di diventare grande è minore di quella di un
secolo o più fa. Ne sono cambiati radicalmente i motivi: non più la morte, ma la separazione o il divorzio. E
il genitore che non convive più è sempre in vita e potenzialmente o effettivamente ancora parte della rete
di relazione dei figli. E proprio perché ancora in vita la sua eventuale assenza pesa di più. Abbiamo detto
come si tratti in effetti di situazioni molto diversificate e non assimilabili sotto un'unica etichetta,
soprattutto dal punto di vista relazionale. Ciò che emerge con sistematicità dalle ricerche sono due
fenomeni. Il primo riguarda l'esistenza di una quota consistente di padri che a pochi anni dalla fine del
rapporto di coppia ha interrotto praticamente i rapporti con i figli. Il secondo fenomeno segnalato dalle
ricerche è il fatto che nelle famiglie con un solo genitore i figli sono più spesso esposti all'esperienza di una
più o meno temporanea povertà, o comunque di un più o meno drastico abbassamento del tenore di vita.
Questo impoverimento, assoluto o relativo, motivando la necessità di cambiare stile di vita, provoca
squilibri più o meno temporanei nella vita dei figli, che si aggiungono a quelli provocati dalla separazione,
concorrendo, anche in modo prioritario, alle difficoltà che ne seguono sul piano della vita sociale e del
senso di sé. Quello dell'impoverimento a seguito dell'interruzione del rapporto coniugale è un vecchio-
nuovo problema. Anche in passato le vedove gli orfani erano tra le principali figure sociali esposte al rischio
della povertà. Ma perché ciò avvenga anche oggi richiede qualche spiegazione aggiuntiva, distinguendo tra
famiglie monogenitore provenienti dall'assenza di un rapporto di coppia e famiglie monogenitore
provenienti dalla fine di un rapporto. Le prime non solo sono più spesso prive effettivamente di un sostegno
relazionale ed economico da parte del genitore assente, ma vedono più spesso anche una madre molto
giovane, quindi con istruzione limitata e scarse qualificazioni professionali. Nel secondo caso, invece,
l'impoverimento, anche solo relativo, deriva dal venir meno del bilancio comune. Sono soprattutto le
famiglie che vedono presente la sola madre a impoverirsi. Le famiglie monogenitore con capofamiglia
donna presentano in modo concentrato condizioni di vulnerabilità economica e sul mercato del lavoro:
l'unico adulto presente sperimenta conflitti sull'uso del tempo a motivo delle responsabilità di cura e
responsabilità di produzione di reddito, senza poterle né dividere né condividere; le madri spesso, durante
il matrimonio hanno abbandonato il lavoro o comunque non vi hanno investito, presentando quindi tutte le
caratteristiche dei lavoratori marginali; infine sono donne, quindi incontrano le discriminazioni specifiche di
genere sul mercato del lavoro. Va aggiunto che parte dell'impoverimento è dovuto agli inadeguati assegni
di mantenimento per i figli pagati, per necessità o intenzione, dai padri separati. Se la separazione
coniugale rischia di ridurre l'ambito relazionale dei figli, il formarsi di una nuova famiglia ricostituita ha

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effetti meno lineari. Da un lato rischia di ridurre ulteriormente i rapporti tra padre non convivente e i propri
figli; dall'altro moltiplica sia le figure genitoriali che la fratria della rete parentale. Si tratta di reti parentali
complesse che non hanno ancora alcuna forma di riconoscimento sociale. In ogni caso, dal punto di vista
dei rapporti di filiazione e in particolare per quanto riguarda il rapporto padri-figli, è indubbio che
separazione, divorzio, nuovi matrimoni o comunque rapporti di coppia dei divorziati hanno profondamente
mutato i contorni e le dinamiche della genitorialità e reciprocamente dell'esperienza di essere figli,
distinguendo nelle dimensioni biologiche, genealogiche e domestiche.

6. PROLUNGAMENTO E SOVRAPPOSIZIONE DEI RUOLI GENERAZIONALI


Il prolungamento della durata della vita non ha solo modificato la struttura per età della popolazione, e la
possibilità di avere/diventare nonni e bisnonni. Ha aperto una nuova fase sia della vita di genitori che in
quella di figli. Ci riferiamo al fenomeno per cui le persone anziane hanno figli che a loro volta son ben
dentro la mezza età e hanno figli quasi adulti, o adulti, quando non a loro volta genitori. Essere genitori così
come essere figli, perciò, è una condizione che tende a durare per un arco della vita molto lungo e insieme
diversificato, senza quell'alternanza tra i due ruoli che in epoche con durate della vita più ridotta erano
piuttosto la norma che l'eccezione. Il diverso timing e intensità della fecondità differenziano nel mondo
sviluppato la lunghezza dei legami intergenerazionali. Le corti e le generazioni oggi anziane sono le
seconde, dopo quelle dei loro genitori, ad affrontare come esperienza sociale normale una durata della vita
molto lunga, in cui la transizione all'età anziana è normata socialmente. È l'età del pensionamento, infatti, a
definire gli individui come anziani per molti aspetti dell'appartenenza sociale. Ma una lunga durata della
vita implica rapporti familiari diversificati nel tempo anche relativamente al significato delle posizioni
generazionali. La situazione è tanto nuova, e le coorti che vi entrano sono così diversificate tra loro per
esperienza storica e storia lavorativa, riproduttiva e familiare, che mancano ancora una vera e propria
cultura è un linguaggio per esprimerla. Che cosa significa essere genitori di persone di mezza età o essere
figli di mezza età? Che non si tratti di semplici problemi linguistici è testimoniato dalle tempeste emotive
che può suscitare il rapporto generazionale ancora ben dentro l'età adulta, e non solo nei casi patologici. La
normalità della presenza dei nonni non solo nella prima infanzia, ma lungo tutto il processo di crescita, è
divenuta talmente ovvia da sollecitare in anni recenti indagini sul tipo di rapporti e scambi che avvengono
nelle famiglie a tre generazioni e in particolare, sul ruolo dei nonni nella rete parentale e nell’esperienza dei
nipoti. Si è così visto come i nonni, e soprattutto le nonne, continuano a essere una risorsa di cura non
indifferente per i loro nipoti. Di più, il miglioramento delle speranze di vita fa sì che tra questi nonni siano
sempre più presenti appunto anche i nonni maschi. Un numero maggiore di nipoti ha oggi l’occasione di
passare un tempo significativo con i nonni, nella vita quotidiana e non solo in occasioni di visite con i propri
genitori. Ciò consente lo sviluppo di rapporti di affetto e confidenza, che possono maturare ed evolvere
man mano che il nipote cresce e il nonno/a invecchia. Naturalmente, ci sono differenze nelle circostanze di
questa presenza dei nonni nella cura quotidiana. Le nonne che hanno un’occupazione riducono il tempo
che dedicano alla cura dei nipoti, ma che la abbiano o meno, tendono comunque a dedicare del tempo ai
nipoti. È aumentata la percentuale dei nipoti di età 3-10 anni che gioca regolarmente con una nonna o con
un nonno. È tuttavia diminuita la percentuale di nonne che si occupa dei nipoti a tempo pieno. Anche
quando non sono occupate, sono meno disponibili a dedicarsi esclusivamente alle relazioni e bisogni
familiari. Infine, in diversi casi possono trovarsi a fronteggiare contemporaneamente le domande di aiuto
che provengono dalle famiglie dei figli e dai loro propri genitori grandi anziani. Proprio l’importanza
crescente che assumono i nonni nella vita dei nipoti e questi nella loro, in anni recenti ha portato molti
nonni a lamentare la propria assenza dagli accordi di separazione coniugale. Essa, infatti, può implicare una
rottura più o meno formalizzata, o un allenamento, dei rapporti tra i nipoti e i nonni della linea del genitore
non affidatario, quindi per lo più paterni. È qui un altro caso in cui la separazione coniugale, rompendo il
legame che ovviamente teneva insieme tutti gli altri, di fatto ne interrompe o ne indebolisce alcuni, non
solo per gli adulti, ma anche per i minori. Un tempo il matrimonio rappresentava una discontinuità
genealogica per le donne e la linea femminile; oggi la rottura di un matrimonio può rappresentare una

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discontinuità nella genealogia affettiva per i figli di entrambi i sessi, e rispetto alla linea maschile. La
normalità della presenza degli anziani sulla scena delle relazioni familiari, mentre consente ai più giovai
previsioni di lunga durata sulla propria vita, concentra su queste figure familiari l’attesa e il timore della
malattia e della morte. Sono essi i primi deputati a morire; di essi si teme la malattia e l’invalidità, al punto
che, quando la morte o l’invalidità colpiscono qualche altro membro più giovane della famiglia, sembra
un’ingiustizia resa più visibile dalla sopravvivenza dei vecchi. D’altra parte, proprio la lunga durata della vita
può rendere più difficile ai vecchi accettare la propria morte, o agli adulti la morte di un genitore anche
quando anziano, quasi che il termine ultimo potesse venire indefinitamente spostato. Il comportamento
genitoriale degli adulti tende a cambiare a seconda che essi abbiano o meno ancora i genitori e i nonni. E la
distanza affettiva e sociale tra genitori e figli tende ad aumentare allorché i genitori si spostano nell’ultima
posizione nella linea generazionale, nel turnover provocato dalla morte. Se le coorti oggi anziane sono le
prime a sperimentare questo complesso di esperienze e trasformazioni come esperienza e condizione
collettiva, anche le coorti oggi nelle età centrali sono le prime a sperimentare come normalità l’essere
insieme figli adulti e genitori di figli adulti. È questa generazione di mezzo a essere al centro del flusso di
comunicazioni e scambi tra le diverse generazioni. Il fenomeno è tuttavia sufficientemente visibile da aver
indotto taluni osservatori a parlare della fase della vita in cui ci si trova a essere la generazione di mezzo
come fase di compressione tra i bisogni di dipendenza economica, affettiva, di cura, della generazione più
giovane e di quella più vecchia. Ciò sembra valere soprattutto per le donne, nella misura in cui ad esse è
delegato, e da esse appunto ci si attende, il lavoro di cura e relazione. Così che paradossalmente potrebbe
succedere che il tempo liberato dalla procreazione venga richiesto per far da madre ai propri genitori, se e
quando questi divengono troppo fragili, o non autosufficienti. Proprio questa sembra essere la situazione
delle coorti di donne che hanno superato i sessant’anni alla fine degli anni ’90 in poi. Le donne nate a metà
degli anni ’30 e che hanno compiuto sessant’anni negli anni ’90, sono divenute nonne più tardi delle loro
madri, ma, a differenza di queste, hanno dovuto aiutare di più le figlie e nuore nella cura dei nipotini e
hanno avuto più spesso anche la responsabilità di un genitore o suocero/a anziano non autosufficiente.
L’aspettativa di una disponibilità a fornire cura sia ai nipotini che ai grandi anziani è ulteriormente
aumentata per la coorte di donne nate nei primi anni ’40 e diventate sessantenni nei primi anni 2000. Ciò
che non è chiaro, è se esse potranno contare a loro volta su tali sostegni, quando diventeranno grandi
anziane e fragili esse stesse: perché hanno avuto meno figli delle loro madri, e le loro figlie e nuore
probabilmente alla loro età saranno in larga maggioranza ancora sul mercato del lavoro.

CAPITOLO 5 – LA STRATIFICAZIONE SOCIALE


1. FAMIGLIA, LAVORO, ECONOMIA: UN NESSO SOLO PARZIALMENTE ANALIZZATO
Nel passato il concetto di famiglia, lavoro e economia era molto esplicito da non costituire un problema. Per
tutte le fasce di età della popolazione, appartenenza famigliare e attività lavorativa coincidevano. Poiché la
famiglia era l’unità produttiva principale, la divisione del lavoro era una divisione del lavoro entro la
famiglia, e la stessa gerarchia sociale era una gerarchia tra famiglie diversamente collocate rispetto al
lavoro e al suo prodotto. Anche le grandi case aristocratiche e della borghesia erano caratterizzate da una
intensa e visibile attività economica e produttiva, infatti molti dei prodotti consumati erano prodotti
all’interno della casa sotto la sorveglianza del padrone. Il padre di famiglia era anche innanzitutto un
amministratore della casa. Weber ha osservato che l’economia capitalista moderna e la famiglia
moderna, nascono dalla separazione dell’economia domestica. Questa separazione avviene nei ceti
aristocratici per prima e poi in quelli borghesi. La famiglia borghese nasce come “famiglia privata” sottratta
a responsabilità pubbliche e insieme di disponibilità di spazi e risorse private, sulla base della creazione e
controllo di un capitale privato. Per le famiglie dei ceti e classi lavoratrici questa separazione tra
famiglia e lavoro avviene in modo molto più lento e meno netto. Molte famiglie comunque continuano ad
essere unità produttive e le stesse famiglie di lavoratori salariati e i loro membri si percepiscono o vengono

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percepite e definite da coloro che nella famiglia hanno autorità come lavoratori familiari. Per quanto i
redditi guadagnati siano individuali, nella famiglia il suo dispendio è collettivo. Non tutti i membri erano
uguali rispetto sia alle necessità della solidarietà sia alla decisione di come spendere il denaro della borsa
comune. Sulla stessa linea di questa affermazione Wimott e Young suggeriscono infatti che molti conflitti sul
denaro esprimessero la nuova ambivalenza e il nuovo squilibrio tra i membri delle famiglie creati dal fatto
che l’economia salariata distingueva più nettamente tra chi guadagnava e chi no e chi guadagnava
indirettamente tramite il valore aggiunto del lavoro domestico.
Molte famiglie tentavano anche di mantenere un controllo sui guadagni dei figli, almeno fino ad una certa
età facendoseli pagare direttamente dai datori di lavoro nelle fabbriche, sia dai lavori domestici nelle
famiglie.
Ancora oggi la questione di come unire e distribuire le risorse entro la famiglia riguardi non solo le forme
cruciali di sopravvivenza individuale e famigliare, ma esprima diverse culture dei rapporti famigliari. Qui
risulta importante come la separazione tra famiglia e lavoro non sia avvenuto nello stesso modo per tuti i
ceti e non sia stato fatto in modo lineare, bensì oggetto di continue ridefinizioni e rinegoziazioni. La famiglia
a questo punto sembrava diventata puro luogo degli affetti e dei processi di socializzazione primaria e
secondaria. Anche gli studiosi sembravano accettare questa visione di una famiglia il cui legame con il
mondo del lavoro e dell’economia appariva nella forma di deprivazione di risorse e di energie che perciò
non consentiva il pieno sviluppo delle sue autentiche relazioni di socializzazione.

2. FAMIGLIA E STRAFICAZIONE SOCIALE


2.1 LA QUESTIONE DELL’UNITÀ DI STRATIFICAZIONE SOCIALE
Fino agli anni 70 si parlava di famiglie di ceto medio e operaie, famiglie urbane e rurali, sulla base della
collocazione occupazionale. Si tratta di categorie e classificazioni discutibili, perché le famiglie vengono
considerate come omogenee sulla base della posizione occupazionale del capofamiglia. Nelle famiglie in cui
esisteva più di un occupato in cui gli occupati erano collocati in settori e nella gerarchia produttiva venivano
confrontate a partire dal semplice indicatore della posizione del capofamiglia. Questi problemi concettuali e
metodologici posti sulla questione di come collocare le famiglie entro la stratificazione sociale sono ben
lontani dall’essere risolti. Data la diversa collocazione sia professionale che rispetto al potere, mariti e
moglie non possono essere ricondotti alla stessa classe di appartenenza e perciò solo l’individuo può essere
considerato l’unità di base della stratificazione sociale. Altri invece ritengono che questa non valga
adeguatamente rappresentata dalla sola collocazione sociale del marito-capofamiglia; perciò, propongono
modelli di stratificazione sociale che tengano conto sia della posizione del marito che di quella della moglie.
In Italia è stato ripreso lo studio della mobilità sociale, in questo caso Barbagli e Schizzerotto propongono
due diverse soluzioni all’individuazione della posizione nella stratificazione sociale di una famiglia in cui il
marito e la moglie hanno due posizioni diverse su una base occupazionale:
1) Barbagli: propone di individuare una specifica categoria di famiglie cross classe, che avrebbero sia
risorse che comportamenti specifici e intermedi tra le due classi di appartenenza individuale.
2) Schizzerotto: propone di riassumere la classe di chi, si trova nella posizione sociale dominante,
indipendentemente dal fatto che sia marito o moglie.
In entrambi i casi le mogli casalinghe vengano assimilate tout court alla classe del marito, lasciando irrisolto
il problema non solo di diverso potere, ma del diverso controllo delle risorse, come dimostrano
ampliamente le conseguenze economiche divere per mariti e mogli in caso di separazione/divorzio. La
presenza di famiglie con due lavoratori oggi pone interrogativi circa la forma che prende la stratificazione
sociale, non solo dal punto di vista della classificazione. Ciascuno di questi studiosi segnala che proprio a
motivo occupazionale delle donne-mogli, oggi la divaricazione delle condizioni di vita e delle risorse
disponibili tra le famiglie potrebbe aumentare. Altri invece segnalano che l’occupazione femminile
potrebbe avere un effetto di eguagliazione tra le famiglie, nella misura in cui compensa differenze di
reddito ed eventuali perdite di occupazione maschile. Uno dei campi di analisi più interessanti in cui viene

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esplorato il nesso tra famiglia e stratificazione sociale è quello della mobilità sociale, quindi dell’impatto
dell’origine sociale sulle opportunità di successo e di mobilità delle giovani generazioni.
2.2 STRATIFICAZIONE SOCIALE, MODELLI DI SOCIALIZZAZIONE, CAPITALE UMANO E CAPITALE SOCIALE
Negli anni 50 e 60 l’interesse per le conseguenze della differenziazione e disuguaglianza sociale
sull’organizzazione famigliare si appuntava, da un lato, sui modelli di relazione coniugale, dall’altro sui
modelli di socializzazione dei bambini e di stili educativi. Tra le ricerche sui modelli di relazione coniugale e
di ruoli sessuali entro la famiglia, troviamo quella di Komarowsky, sul matrimonio nei ceti operai
statunitensi, che mostrò l’esistenza dio un modello di relazione coniugale fondato più sulle solidarietà che
sull’affettività e più sulla esplicita divisione dei ruoli e delle sfere di competenza che sull’intimità alla tanto
di moda nella cultura di classe media di quel determinato paese. Egli mostrò anche la tensione esistente tra
le diverse aspettative di mogli e mariti; va per altro sottolineato che la divergenza di aspettative, emergeva
con maggiore visibilità nei ceti a basso reddito ove è più marcato che il funzionamento quotidiano della
famiglia si reggeva su una precisa divisione dei ruoli. Tra le ricerche sui modelli di socializzazione e gli stili
educativi dei genitori appartenenti a strati sociali diversi, Kohn, scrisse sugli stili e i valori educativi delle
famiglie di ceto e appartenenza professionale diversa; questa ricerca giunse alla conclusione che i genitori
insegnano ai figli i valori e i comportamenti che sperimentano come efficaci da adulti, nella propria
esperienza professionale e di classe. La ricerca fu condotta su un campione di semplici lavoratori
subordinati e su dirigenti della Fiat. Nel concreto emerse che:
1) I genitori operai insegnano obbedienza e solidarietà
2) Genitori professionisti e dirigenti insegnano autonomia e individualismo
La differenza di ceti diversi, in ultimo è ben visibile nella questione sul rendimento e il successo scolastico.
Molte ricerche proseguiranno questo interesse per i rapporti di appartenenza sociale e competenza sociale
in quanto misurata dal successo scolastico. Importanti sono le ricerche a livello sociolinguistico, che hanno
mostrato come gruppi sociali in condizione diversa adottino modi di comunicazione verbale differente, che
a loro volta consentono competenze nei rapporti interpersonali e nell’agire sociale differenti. Coloro la cui
esperienza quotidiano e di vita è circoscritta a rapporti e situazioni note utilizzeranno un codice verbale
ristretto di tipo colloquiale e famigliare; coloro invece che l’esperienza quotidiana e di vita espone più
facilmente a situazioni non del tutto note, a rapporti con persone non famigliari utilizzeranno un codice
elaborato, più articolato le cui argomentazioni sono maggiormente esplicitate e elaborate.
Non si tratta solo di una maggiore o minore competenza linguistica o sintattica, ma di capacità di agire in
relazione a ruoli diversi e di assumere il ruolo di un altro. Vengono poi condotte sull’interazione verbale
madre-figlio hanno tentato di mostrare questo diverso uso di linguaggio nei diversi ceti. È stato osservato
che non si tratta solo tanto di maggiore o minore ricchezza espressiva, ma diverse immagini dei rapporti
interpersonali e di diversi usi di linguaggio come forma di contratto sociale. Nelle famiglie di ceto medio,
dove prevale il modello di educazione tramite la persuasione e l’interazione dei valori e dei modello di
comportamento il linguaggio può divenire una potente forma di controllo sociale. Un approccio teorico e di
ricerca sui processi di trasmissione intergenerazionale delle differenze di classe più attento alle dinamiche
sociali, è quello che si occupa del rapporto tra istruzione e mobilità sociale. A fronte dell’opinione diffusasi a
seguito dell’espansione della frequenza scolastica, secondo la quale l’accesso all’istruzione di massa
avrebbe scompigliato i meccanismi di riproduzione della stratificazione sociale. Cobalti e Schizzerotto
mostrano come la scolarità da sola non riesca a controbilanciare le disuguaglianze di provenienza
famigliare. In particolare, Boudieu è stato il primo ad argomentare che la famiglia mantiene il controllo sulla
mobilità tramite la trasmissione non solo di risorse economiche ma di un vero proprio capitale culturale. In
questa prospettiva si può parlare di eredità intergenerazionale delle disuguaglianze. Anche la ricerca
italiana sulla mobilità sociale segnala come l’origine di classe famigliare e le disuguaglianze di classi di
appartenenza segnano fortemente le chances di mobilità degli individui, in modo che a fronte di una forte
mobilità sociale in termini assoluti, le disuguaglianze sociali esistenti fra le diverse classi nelle possibilità di
raggiungere i vari livelli di istruzione e le chances di vita che questi offrono sono rimasti immutati. Secondo

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una stima, l’Italia è uno dei paesi sviluppati in cui l’origine famigliare conta di più delle chances di vita
individuali; la società italiana sotto questo punto di vista è statica, la mobilità è immutata.

3. L’ECONOMIA DELLA FAMIGLIA: INTEGRAZIONE DEI REDDITI, CONSUMO, RISPARMIO


Nelle società sviluppate la famiglia rimane la principale fonte di redistribuzione sia di credito, sia di cura. Il
ruolo della famiglia può essere in parte maggiore o minore attenuato dal welfare state che garantisce
accesso a risorse importanti indipendentemente dalla situazione famigliare. L’accesso al reddito, quindi il
diritto al consumo, avviene in larga misura. L’appartenenza famigliare è importante anche per il reddito
disponibile di chi ha un redito proprio, da lavoro o da altro. Quanto vale un reddito, dipende certo dal suo
potere d’acquisto, ma dipende anche da quanti sono coloro che di quel reddito devono vivere o viceversa e
se se ne aggiungono altri di redditi in quello suo personale. Oltre al reddito in famiglia di redistribuisce
anche cura e prestazioni di lavoro non pagato nei confronti di coloro che non possono provvedere a sé
stessi per età o disabilità, ma in maggiore o minor misura a seconda del modello di divisione del lavoro
prevalente. Nelle famiglie si redistribuisce e si combinano redditi diversi. L’accesso al reddito è mediato
dall’appartenenza famigliare che la famiglia ha un ruolo così importante nella definizione non solo nella
collocazione sociale delle persone, ma anche del loro stile di vita. La redistribuzione non avviene solo
all’interno delle pareti di casa della coresidenza. Molte ricerche hanno segnalato come esitano rilevanti
fenomeni di redistribuzione del reddito e del capitale tra le generazioni ben al di là della fase di
allevamento dei figli. Tale ruolo sembra essere più forte in paesi, in cui i trasferimenti pubblici a favore delle
generazioni più giovani sono pressoché inesistenti e anche l’accesso al credito difficile. Dalla
consapevolezza dell’attività redistributiva, nasce il concetto di reddito disponibile, ovvero non il reddito
individualmente posseduto, ma il reddito cui si ha accesso. Alcuni studiosi hanno segnalato l’esistenza di
povertà di donne e bambini in famiglie che apparentemente hanno un reddito adeguato, a causa del fatto
che taluni procacciatori del reddito riservano a sé stessi una quota sproporzionata delle risorse famigliari.
Alcuni studi hanno sottolineato come esistano diverse modalità di gestione del denaro nelle coppie e nelle
famiglie a seconda d chi guadagna e quanto guadagna. Questa modalità rimanda non solo a una divisione
delle competenze, ma anche dell’autorità del potere. È stata perciò la famiglia la vera protagonista, o la
mediante, delle trasformazioni non solo economiche ma anche culturali, che vanno sotto il nome di società
di consumi e che non possono essere lette semplicemente nella chiave di adeguamento passivo degli
individui e delle famiglie alle offerte e pressioni del mercato. In questo senso il gruppo domestico diviene
un’unità di pianificazione i cui orientamenti non sono solo monetari. Decidere quali siano i bisogni da
soddisfare e come vadano soddisfatti a che fare con giudizi di valore, con modelli di rapporto. Studiosi tra i
primi a studiare la famiglia italiana del dopoguerra, anzi la dimensione di consumo e di risparmio e di
investimenti a medio e lungo termine è molto presente, forse anche perché il primo benessere degli anni
60 consentiva per la prima volta a un grande numero di famiglie di accedere a beni di consumo durevoli e di
migliorare il proprio tenore di vita. Le indagini svolte periodicamente sui consumi delle famiglie, forniscono
informazioni sistematiche su queste trasformazioni e sulle disuguaglianze tra le famiglie e una grossa
differenza di consumo tra aree territoriali diverse. Con il crescere e il diversificati dei consumi, i membri
della famiglia tendono a comportarsi come consumatori individuali. I consumi diventano così un modo per
affermare la propria autonomia, o la propria appartenenza a gruppi di riferimento diversi; questo è molto
visibile nei consumi giovanili che tendono sempre di più a essere decisi ed effettuati al di fuori della
famiglia, questo fenomeno era già presente negli anni 50 tra i giovani e che piano piano coinvolge tutti i
membri della famiglia. Da questo punto di vista, gli anni del dopoguerra a oggi possono essere visti come un
lungo periodo da un consumo insieme omogeneo e largamente effettuato in comune e in cui i propri
modelli e i beni di consumo hanno costituito una risorsa e un segnale per l’autonomia individuale. Non è un
fenomeno nuovo, questo era già noto agli osservatori dei processi migratori; ma nelle società di consumo
assume una tale rilevanza quantitativa e investe tante sfere di comportamento e di tipo di bisogni, ne sono
attraversati i rapporti tra le generazioni e le identità sociali dei giovani e adolescenti; ne sono attraversati
anche i rapporti tra i sessi e le identità sociali maschili e femminili. Questi processi di differenziazione nel

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consumo entro la famiglia non sono in contraddizione con il fatto che la famiglia continui a funzionare come
unità di consumo. Il problema della redistribuzione del denaro, non si limita solo a questo; indagini sul
lavoro giovanile effettuate nel nostro territorio hanno mostrato come il reddito da lavoro giovanile, sia per
molte famiglie una forma necessaria di integrazione del reddito. Esse inoltre suggeriscono che i confini tra
integrazione del reddito dei figli/giovani da parte delle famiglie e integrazione del reddito delle famiglie da
parte dei giovani sono di non sempre facile individuazione e anche oggetto di negoziazioni e conflitti. Meno
visibili sono queste negoziazioni e conflitti nei redditi de4i coniugi anche se analisi approfondite su piccoli
campioni mostrano come possa essere difficile per una donna distinguere tra spese famigliari e spese per
sé. Pahl sostiene che la definizione di come dividersi le spese implichi in realtà specifici modelli di rapporto
tra i coniugi in termini di potere e responsabilità. Il denaro, il suo uso e la sua redistribuzione costituiscono
un buon indicatore di molte dinamiche di potere e controllo entro la famiglia.

4. FAMIGLIA E POVERTÀ
Molti redditi individuali sono insufficienti a garantire una vita dignitosa o anche solo a far fronte ai bisogni,
se non venissero integrati dalla partecipazione al bilancio famigliare. La categoria del lavoratore povero non
è sempre chiara e corretta: non tutti i lavoratori a basso reddito sono poveri dal punto di vista del reddito
loro effettivamente disponibile. Se i redditi inadeguati possono divenire adeguati allorché si combinino
nella famiglia, può avvenire anche il contrario: un reddito che sarebbe adeguato a una persona sola o anche
per una diade, diventa inadeguato quando deve essere redistribuito tra più persone. Va infatti segnalato
che nonostante l’incidenza della povertà sia massima tra le famiglie in cui nessuna delle persone in età da
lavoro ha un lavoro. Fino agli anni 8’ in tutti i paesi sviluppati le famiglie a maggiore rischio di povertà erano
quelle degli anziani. Proprio a partire da questi anni, a motivo del diffondersi dei sistemi pensionistici e della
progressiva entrata nell’età anziana si è progressivamente attenuata e in alcuni paesi è pressoché del tutto
sparita. Tuttavia, ne sono emerse altre di categorie a maggior rischio di povertà:
1) Famiglie monogenitoriali: la povertà è una conseguenza della rottura del legame redistributivo e della
solidarietà coniugale
2) Famiglie numerose: uno squilibrio tra reddito famigliare e il numero delle persone che lo consumano
3) Famiglie bigenitoriali con figli minori
4) Persone che vivono da sole
5) Minori di 16 anni
Questi rischi però sono distribuiti in zone diverse del mondo, questo è sorto da uno studio.
Lo stesso studio ha anche mostrato il potere protettivo della povertà del lavoro delle madri: l’incidenza
della povertà diminuisce di due terzi quando entrambi i genitori sono occupati. Negli altri paesi un ruolo
importante è giocato dai trasferimenti alle famiglie, in particolare degli assegni famigliari. L’Italia infine è
uno dei paesi europei in cui la quota dei poveri che rimangono tali da un anno all’altro è tra le più elevate. È
un paese dove cioè poco ricambio tra i poveri e la povertà non è un fenomeno occasionale e temporaneo,
al contrario il fenomeno della povertà è persistente e ricorrente. Ciò che la povertà per chi nasce in una
famiglia povera, rischia di trasformarsi in un destino sociale incidendo seriamente sulle opportunità.

CAPITOLO 6 – FAMIGLIA E LAVORO


1. IL COMPLESSO FAMIGLIA-LAVORO NELLA SOCIETA’ CONTEMPORANEA
L’interdipendenza tra organizzazione famigliare e organizzazione del lavoro remunerato ha cominciato a
essere tematizzata in modo sistematico negli anni 70 che parlava di work-family system, ovvero un insieme
strutturato di interdipendenze e non già di mondi del tutto separati e autonomi. La divisione del lavoro
costituisce uno degli elementi chiave di questa interdipendenza strutturata che però non è sempre statica e
sempre uguale. Negli anni 60 una simile capacità di trasformazione radicale venne attribuita all’invenzione
e diffusione della televisione. Successivamente poi sono state importanti la diffusione di servizi alla persona

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e la diffusione delle nuove tecnologie ad essere messe a fuoco. Più recentemente poi si è aggiunta la
trasformazione nei rapporti e orari di lavoro. Un contributo importante sullo studio dell’economia e della
famiglia è stato definito “approccio dell’economia dell’aggregato domestico”. La condizione femminile è
diventata oggetto di ricerca specifica soprattutto su due temi entrambi di grande importanza per gli studi
sulle famiglie:
1) La partecipazione delle donne al mercato del lavoro
2) Il lavoro domestico insieme come lavoro necessario e come specifico lavoro femminile adulto.
Queste ricerche introducendo una prospettiva di genere nell’analisi della famiglia hanno consentito di
mostrare meccanismi che uomini e donne mettono in opera quando formano le proprie famiglie, per
rispondere a bisogni di reddito e cura della persona.

2. LA FAMIGLIA COME AMBITO DI DEFINIZIONE DELL’OFFERTA DI LAVORO


In Italia l’importanza della famiglia come ambito di definizione dell’offerta di lavoro è stata oggetto di
attenzione e ricerca forse prima che in altri paesi. Questo forse è il settore di studi in cui la contaminazione
tra approcci e interessi diversi si è rivelata feconda. All’inizio degli anni 70 May aveva mostrato come la
diversa presenza di uomini e donne sul mercato fosse speculare alla loro diversa presenza nel lavoro
famigliare. L’analisi successiva confermò sostanzialmente quel fenomeno, che appariva così uno specifico
modello di rapporto tra famiglia e lavoro. La pienezza della presenza maschile nel mercato di lavoro
richiedeva l’analoga pienezza di presenza femminile nel lavoro famigliare, almeno nelle fasi più esigenti fi
formazione della famiglia, soprattutto se vi era presenza di figli piccoli in età pre-scolare e scolare. La
mancanza di servizi per l’infanzia confermava e prolungava ulteriormente questa necessità. In altri paesi
questa interdipendenza tra piena partecipazione maschile al mercato del lavoro e casalingo femminile
assumeva una forma in parte diversa. In Inghilterra accanto al casalingo a tempo pieno delle donne nelle
età centrali, emergeva anche la figura della donna lavoratrice part-time e delle lavoratrici di ritorno, cioè la
donna che finita la fase di più intensa richiesta di lavoro famigliare tornava sul mercato del lavoro. Anche
queste due figure indicavano la forte interdipendenza fra il funzionamento del mercato del lavoro e
organizzazione famigliare nella scansione stessa del corso di vita femminile. Negli anni 50 e 60, si inizia a
parlare di donne con due ruoli, di cui emerge il carico e un grado maggiore o minori di incompatibilità.
Ricerche empiriche in diversi contesti territoriali hanno articolato in modo sempre più preciso l’analisi del
rapporto tra organizzazione del mercato del lavoro e divisione del lavoro nella famiglia, individuando in
quest’ultima l’ambito di definizione dell’offerta di lavoro. Accanto a una notevole diffusione di aziende
famigliari che continuavano entro l’industrializzazione la tradizione della famiglia unità produttiva
emergeva come l’offerta di lavoro, fosse parte ed espressione di strategia famigliari: con i maschi adulti
prevalentemente collocati nella forza lavoro ufficiale e garantita. Questa analisi del modo in cui entro la
famiglia si decide chi e come si presenta sul mercato del lavoro mostra una distinzione netta:
1) Il lavoro domestico effettuato quasi esclusivamente dalle donne adulte
2) Il lavoro per l'autoconsumo molto diffuso in questo tipo di economia prevalentemente svolta dagli
anziani e dai ritirati dal lavoro
3) Il lavoro nero svolto dai giovani e dalle donne e come secondo lavoro dai maschi adulti
In una ricerca effettuata in Inghilterra Phal mostra come famiglie collocate diversamente nella
stratificazione sia sociale che territoriale avessero cesso a combinazioni diverse di risorse da economia
formale e informale. 
A conclusioni analoghe è raggiunta anche in Italia la ricerca coordinata da Galliano sul doppio lavoro,
benché in questo caso l'unità di analisi fosse il singolo lavoratore e non le famiglie: i lavoratori a
specializzazione più alta e che vivevano in aree con una domanda di lavoro ufficiale elevata erano anche
quelli che avevano accesso ai secondi lavori, in nero, più qualificati e più remunerati. Incrociato con l'analisi
delle famiglie, ciò significa che nelle aree a domanda di lavoro più abbondante e più qualificata, le famiglie
hanno accesso doppio o triplo al mercato del lavoro. Viceversa, Collidà aveva indicato come nelle aree

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urbane del Mezzogiorno spezzo non vi fosse neppure un reddito ufficiale per famiglia. Sempre Phal,
confermando ciò che era emerso anche ricerche italiane sulla famiglia e sull'economia informale ha indicato
come esistono differenze tra i sessi entro la famiglia nella possibilità di accedere alle forme più remunerate
più sicure di lavoro.

3. LA CRESCITA DELL’OCCUPAZIONE FEMMINILE


Negli ultimi decenni in stretta relazione all'aumento dell'investimento dell'Istruzione da parte delle donne,
la partecipazione femminile al mercato del lavoro è aumentata. Il tasto di attività femminile comincia a
crescere nella maggior parte dei paesi occidentali alla fine degli anni 60. in Italia, invece la partecipazione
femminile al mercato del lavoro diminuisce nel corso degli anni 60. La variazione nella partecipazione
femminile al mercato del lavoro è connessa a fattori legati:  
1) Alle caratteristiche della donna di lavoro
2) Alle caratteristiche dell'offerta di lavoro
L'offerta di lavoro si forma nell'ambito di una struttura di opportunità ed i vincoli in cui sono prese  le
decisioni degli individui delle famiglie, condizionata dai fattori connessi al più ampio contesto socio-
istituzionale. In particolare, come hanno mostrato le analisi femministe un ruolo cruciale in queste strategie
giocattolo al modello di welfare state: dal modo in cui Esso promuove o dà per scontato sia un particolare
modello di divisione del lavoro tra i generi e tra le generazioni entro la famiglia, sia particolare in modalità
di divisione delle responsabilità tra pubblico e privato, tra famiglia, stato, collettività locali, mercato, terzo
settore e volontariato.  Anche se le partecipazioni femminile al mercato del lavoro è negli ultimi anni
aumentata ovunque, i gradi di integrazione delle donne nel mercato rimangono assai differenziati nei vari
paesi, sia in termini di livello sia dei tipi di donne che partecipano lungo il corso di vita. Permane però nella
maggior parte dei paesi una netta distinzione tra la partecipazione maschile e quella femminile, dato che la
chiusura del gap di genere è venuta solo nei paesi scandinavi. Va inoltre segnalato che in quasi tutti i
contesti nazionali si osservano non solo disuguaglianze di genere, ma anche differenze tra le donne in
relazione al tipo di occupazione e di contratto di lavoro, alla collocazione dei lavori atipici e alla
partecipazione al lavoro. Le responsabilità familiari continuano a condizionare l’accettabilità  e la
desiderabilità del lavoro retribuito femminile proprio in corrispondenza di alcune fasi della vita. È
importante segnalare che in tutti i paesi Italia inclusa, a seguito del progressivo aumento della scolarità
femminile, dell'indebolimento del legame matrimoniale e della perdita di sicurezza dei posti di lavoro, il
gruppo di donne che ha aumentato i propri tassi di partecipazione è proprio quello delle madri di figli
piccoli, coloro che negli anni Cinquanta e sessanta erano più spesso fuori dal mercato del lavoro. Questi dati
segnalano quanto sia importante non sono analizzare l'interdipendenza tra organizzazione della famiglia e
organizzazione del lavoro, ma anche analizzare i modelli di partecipazione delle donne nel mercato del
lavoro nelle varie fate del corso di vita. Bernard aveva individuato almeno otto modi di combinare lavoro e
numerato e lavoro familiare nelle donne statunitensi:
1) Dal dividere nettamente i due lavorando solo prima di avere figli
2) Alla sequenzialità di entrare e uscire dal mercato di lavoro in connessione con le fasi del ciclo di vita, fino
al modello di compresenza dei due tempi e di sfere di lavoro
L'analisi per coorti della partecipazione femminile al mercato dal lavoro dal secondo dopoguerra oggi indica
che nelle coorti più giovani di donne oggi è il modello della continuità piuttosto che quella della
discontinuità sequenziale a prevalere. Le donne adulte sembrano assumere sempre più come normale, il
modello dell’interferenza continua piuttosto che quello della separazione e dell'alternanza. La metafora
della doppia presenza segna la puntura novità di esperienze femminile ormai ritmate delle due strutture
temporali diverse dal lavoro remunerato e del lavoro familiare. Spesso arrivano queste decisioni
negoziazioni con risorse diverse a seconda delle loro caratteristiche individuali e sociali. Molte ricerche
hanno segnalato la rilevanza del titolo di studio per la continuità della partecipazione al mercato del lavoro
e le donne con responsabilità familiari. Sono le donne con istruzione medio-alta che mostrano maggiore
continuità nel mercato del lavoro anche lungo il ciclo di vita familiare; viceversa, le donne abbassa

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istruzione mostrano maggiore discontinuità in coincidenza con il matrimonio soprattutto con la nascita dei
figli. L'Italia si differenzia dagli altri paesi sviluppati non solo per un più elevato gap di genere nei tassi
complessivi di occupazione, ma anche per un più elevato divario tra donne a basso e alto titolo di studio. Il
fatto che in Italia la proporzione di occupate con un'altra istruzione eh para ti va mente più elevata che in
altri paesi spiegherebbe anche la prevalenza del nostro paese del modello della continuità. Le differenze tra
donne si trovano non solo tra occupazioni e non, ma anche tra occupata tempo pieno è occupata tempo
parziale.  in una statistica lavora part time Il 32,6% delle donne occupate, contro il 9,5% degli uomini.  Il
part-time rappresenta dunque una modalità di lavoro prevalentemente femminile che consente di
conciliare attività professionale e responsabilità familiari.  L'aumento dell'occupazione femminile e
l'invecchiamento della popolazione delle reti parentali hanno reso interferenza tra famiglia e lavoro una
questione non più solo confinata la fase del corso di vita in cui ci sono bimbi piccoli punto malattie
temporanee o di lungo periodo possono svolgersi sorgere in qualsiasi momento;  in particolare varie
ricerche segnalano che la percentuale di lavoratori e lavoratrici con responsabilità di cura verso i genitori
anziani è in crescita è destinata ad aumentare nei prossimi decenni.
L’interferenza della vita lavorativa su quella familiare mostra i suoi effetti anche quando si cessa di lavorare
per il mercato. Vita e organizzazioni familiari scanditi dai tempi di lavoro per noi bruscamente tale
scansione.

4. MODELLI DI COPPIA, TEMPI DI VITA E TEMPI DI LAVORO: VERSO LA FAMIGLIA A DUE


LAVORATORI?
Il modello di famiglia basato sul male breadwinner rappresentava e rappresenta la soluzione a domande
contrastanti e competitive sul tempo provenienti da due ambiti. Secondo alcuni esperti la distinzione dei
ruoli degli adulti dei due sessi nella famiglia contemporanea era una risposta funzionale alla necessità di
evitare conflitti di status. Una rigida distinzione sessuale del lavoro nella famiglia e nel mercato del lavoro
rappresenta tuttavia un costo non più sostenibile. Dato che i vincoli maggiori alla possibilità di realizzare la
doppia partecipazione derivano dalla rigidità dei tempi del lavoro remunerato, ma anche di quelli che si
potrebbero definire orari delle carriere, sarà difficile arrivare effettivamente nella distribuzione paritario tra
i sessi tutti i lavori se quei tempi non verranno cambiati. La nuova partecipazione delle donne al mercato
del lavoro e in particolare alla crescita della partecipazione delle madri ha significato il crollo del male
breadwinner. Dalla fine degli anni 90 del secolo scorso la coppia dual earner, ossia a doppia partecipazione,
è il modello di famiglia maggioritario sia nel caso di coppie senza figli sia nel caso di coppie con figli. La
stessa indagine mostra come seguito della crisi economica nel biennio 2007-2009, ci sia stato un aumento
delle coppie in cui la donna è la principale, o unica, produttrice di reddito.   in questo caso, l'occupazione il
reddito, della donna non si aggiungono, ma si sostituiscono a quello del coniuge. In Italia la famiglia a
doppia partecipazione rappresenta un modello di crescita. Si tratta per lo più di due lavoratori a tempo
pieno, stante la non alta diffusione del part-time nel nostro paese. Da queste ricerche emerge che le mogli
più facilmente riorganizza le proprie priorità per venire incontro alle richieste di tempo provenienti dalla
famiglia, in caso di conflitto; laddove i mariti invece tendono a privilegiare le richieste provenienti dal
lavoro. Molte ricerche hanno affrontato la questione dell’interferenza tra tempo di lavoro e tempo della
famiglia nell'esperienza delle donne adulte, non solo dal punto di vista organizzativo, ma anche per quanto
concerne i problemi dell'identità, o per verificare i possibili effetti sul rapporto coniugale, o addirittura sui
figli, del fatto che la moglie- madre abbia un lavoro. Il grado di accettazione sociale nella figura della madre
lavoratrice così come emerge dalle indagini sulle preferenze e affare differenziato nei diversi contesti sociali
e culturali; una ricerca condotta da Gerson mostra che i figli della generazione che ha agito la rivoluzione di
genere, cioè i giovani che oggi hanno tra i 18 e i 32 anni non sembrano condividere l'opinione di taluni che il
lavoro della madre abbia un impatto negativo sullo sviluppo dei bambini. Per lungo tempo meno analizzate
sono state le interferenze del lavoro paterno con la qualità e la qualità dei rapporti con i figli. L'aumento dei
tassi di occupazione delle madri, insieme ai mutamenti dei modelli di mascolinità in particolare della
paternità, hanno sollecitato un interesse crescente per l'esperienza dei padri. Queste ricerche mostrano

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ancora una volta come organizzazione della famiglia e organizzazione del Mercato del Lavoro siano
interdipendenti. In ultimo Gallie e Russel, in uno studio dedicato al tema della conciliazione tra famiglia e
lavoro in 7 paesi dell’Europa occidentale rilevano importanti differenze tra uomini e donne e tra i paesi

5. IL LAVORO DOMESTICO FAMILIARE: UNA NETTA DIVISIONE DI GENERE


L’analisi del lavoro domestico famigliare costituisce un particolare percorso di ricerca sulla famiglia, che ha
differenziato le ricerche sulla famiglia degli anni 70 da quelle dei decenni precedenti, che vedevano la
famiglia come agenzia di socializzazione e di scambio affettivo, e come unità di consumo. Lo sviluppo della
tecnologia domestica ha certamente alleggerito in modo sostanziale la fatica fisica un tempo necessaria per
i lavori fi manutenzione e trasformazione domestica quotidiana, ma risulta che abbia anche cambiato gli
standard. Non desta sorpresa che rivelazioni compiute in periodi diversi in vari paesi occidentali, abbiano
mostrato una costanza negli anni sia dell’attribuzione alle donne sposate della maggior parte del lavoro
domestico sia della quantità di tempo da esso richiesto a livello giornaliero e settimanale. Come ha
sottolineato una studiosa italiana, fino agli anni 70 la professione femminile che cresce nettamente è quella
della casalinga. L’importanza economica di
questo lavoro è stata riconosciuta da organismi internazionali come l’ONU che hanno deciso di inserirlo
nella valutazione del PIL. L’espressione “lavoro domestico” è stata abbandonata per fra posto a quella di
lavoro famigliare, al fine di comprendervi tutti quei lavori oggi necessari alla riproduzione e creazione
quotidiana della famiglia comprendendo:
1) Lavoro domestico
2) Lavoro di cura
3) Lavoro di consumo
4) Lavoro di rapporto
Qualcuno ha anche chiamato il lavoro famiglia “lavoro di amore” in quanto si riferisce ai rapporti famigliari
e implica contemporaneamente dimensioni consistenti di lavoro materiale e di elaborazione simbolica. Per
questo motivo non è sempre delegabile ai servizi e presenta grandi dosi di ambivalenza. Le analisi sul lavoro
domestico e di cura come lavoro specificatamente femminile hanno indicato come funzioni il sistema di
genere della famiglia, come la divisione del lavoro sociali trovi nel sistema di genere espresso dalla divisione
del lavoro famigliare un sostegno. È il “non detto” del matrimonio, come dell’organizzazione sociale, che
mina il modello di parità e reciprocità tra i coniugi, contemporaneamente indebolendo la posizione delle
donne sia nei rapporti coniugali che rispetto al mercato di lavoro. Infatti, come sottolineano diverse
ricerche italiane, il lavoro famigliare, domestici, di cura continua ad essere svolto dalle donne, nel loro ruolo
di mogli e madri, anche quando queste lavorano. L’aumento della partecipazione al lavoro remunerato da
parte delle donne sposate e con figli, avvenuto negli ultimi anni, non ha avuto come contropartita un
analogo aumento di partecipazione degli uomini mariti e padri al lavoro domestico. I dati sulle differenze di
orario di lavoro remunerato tra i due sessi mostrano, come le donne, siano occupate in media per un orario
più breve, perché si trovano per lo più in occupazioni caratterizzate da un orario più breve. Indicano perciò
l’esistenza di una strategia di composizione degli orari di lavoro complessivi che ne prevedono una maggior
presenza nel lavoro familiare rispetto al marito. Negli anni ’80 uno studioso aveva segnalato che le donne
occupate sia in famiglia che nel lavoro remunerato lavorativo circa un mese in più dei loro mariti. Ovunque
in Europa i bilanci tempo a parità di condizione occupazionale sono più gravosi per le donne, a causa del
maggior tempo dedicato al lavoro familiare. La diminuzione dell'orario di lavoro domestico delle donne
registrata in molti paesi è dovuta non tanto ad una maggiore collaborazione dei mariti, ma a fronte del
carico derivante dal doppio lavoro. Ciò può indicare trasformazioni nelle abitudini familiari nella stessa
organizzazione della vita quotidiana. Le ricerche sull'uso del tempo in Italia confermano l'ampio divario nei
tempi di vita tra uomini e donne; in Italia le differenze nella distribuzione dei tempi di lavoro familiare e
lavoro numerato inoltre si riducono meno che altrove quando la donna partecipa tempo pieno al mercato
di lavoro. Anche nelle coppie in cui la donna ha un lavoro retribuito la maggior parte del Lavoro familiare è
svolto dalla componente femminile circa il 78,3% punto le donne che lavorano nel mercato diminuiscono al

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lavoro femminile, in particolare quello domestico e non quello dedicato specificatamente alla relazione coi
figli, che è persino superiore a quello impegnato dalla madre casalinga. I padri sono più collaborativi
soprattutto se la loro compagna è occupata

CAPITOLO 7 – LA FAMIGLIA ED IL DIRITTO


1. INTRODUZIONE
Il rapporto famiglia-stato nasce nel momento in cui lo stato afferma il suo ruolo e potere come monopolio
legittimo della forza ed elaboratore di norme; si è andato così sviluppando il diritto di famiglia, che riguarda
la regolazione giuridica di tre tipi di relazioni familiari:
1) Le relazioni di coppia
2) Le relazioni tra genitori e figli
3) Le relazioni tra i membri del nucleo familiare e quelli appartenenti alla rete parentale
Negli ordinamenti giuridici tradizionali, dal XIX fino a metà XX secolo, lo status di figli era dipendente da un
legame giuridico tra i genitori, il matrimonio più che istituire il rapporto coniugale produceva la filiazione
legittima. Negli ultimi due secoli il diritto di famiglia ha conosciuto trasformazioni profonde. In particolare, il
Code Napoléon ha fatto da modello a buona parte degli ordinamenti di diritto scritto (civil law), lasciando la
sua impronta nei sistemi legali odierni. Le idee riguardanti la famiglia rinvenibili nel Code Napoléon sono
quelle di una famiglia forte in uno stato forte. Il comando della famiglia è incentrato sulla potestà paterna
sui figli e maritale sulla moglie, la filiazione è legittima. Novità fu l'introduzione del divorzio non per volontà
individuale e incompatibilità di carattere, ma il divorzio fondato sulla colpa, concesso solo per adulterino,
eccessi, sevizie e ingiurie gravi. Al Code Napoléon venne contrapposto il diritto anglosassone di Common
Law, che intendeva la famiglia come istituzione morale e religiosa, anche se dalle sue norme traspariva la
divisione dei ruoli per genere ed età. Questo tipo di diritto si occupava delle classi medie, ma esercitava
funzioni di controllo anche sui ceti subalterni. In tutti paesi occidentali, il diritto di famiglia era orientato
prevalentemente alle classi medie (Common Law); al contrario, le prime leggi pubbliche a carattere
assistenziale e amministrativo (Civil Law), che si sviluppano in concomitanza dell'industrializzazione, sono
rivolte innanzitutto ai ceti popolari, soprattutto alle famiglie povere e operaie. La vera svolta degli
ordinamenti giuridici, nei Paesi occidentali, si ha solo dagli anni '50 agli anni '70 del Novecento.

2. LE TRASFORMAZIONI DEL DIRITTO DI FAMIGLIA IN ITALIA


2.1 DALL'UNITÀ AL FASCISMO
Prima dell'unità d'Italia, le leggi e i costumi regolavano la famiglia rapporti familiari erano diversi uno
dall'altro, anche se esisteva il minimo comune denominatore del privilegio per il primogenito maschio e
l'ineguale distribuzione dei diritti tra i figli maschi e le figlie femmine, nonché tra marito e moglie. La prima
codificazione dei rapporti familiari dell'Italia post-unitaria è il “codice Pisanelli” del 1865 che affonda le sue
radici nel codice napoleonico, esso:
1) Limitava l'autorità paterna sui figli adulti
2) Riconosceva uguali diritti a figli e figlie nella successione
3) Afferma la non necessità del rito civile nel matrimonio: l'unico rito valido per il matrimonio era quello
religioso
4) Non consentiva il divorzio, ma solo la separazione in caso di adulterio da parte di uno dei due coniugi
5) Consentiva un potere illimitato del padre sulla moglie e sui figli minori
Con il codice penale del 1930 e il codice civile fascista del 1942 la famiglia diviene “un istituto sociale e
politico”. Durante il ventennio fascista ci si occupò della famiglia incoraggiando la fecondità, vietando
l'aborto e scoraggiando il lavoro extra-domestico delle donne sposate. Inoltre, vennero introdotte politiche
familiari a sostegno del modello patriarcale, basato su una rigida divisione dei ruoli di genere, in cui l'uomo

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era sostenuto nel ruolo di male bread-winner (procacciatore di risorse) e la donna incoraggiata a quello di
madre e moglie.
2.2 IL POSTO DELLA FAMIGLIA NELLA COSTITUZIONE
Le attuali norme sulla famiglia sono tracciate, in Italia, nella Costituzione. Il riconoscimento della famiglia a
livello costituzionale non riguarda solo il nostro Paese, ma anche altri come Germania, Francia o Spagna che
assegnano alla famiglia il ruolo di “istituzione sociale fondamentale”. In realtà, molte costituzioni tendono a
proteggere l'istituzione matrimoniale e non la famiglia. La Costituzione italiana del 1948 fu il risultato di una
serie di compromessi a partire dai quali vennero fissati i principi sulla famiglia e sulle relazioni familiari. Le
questioni oggetto di discussione furono sostanzialmente cinque:
1) Il posto della famiglia all'interno della Costituzione
2) La parità tra i coniugi, e il ruolo della donna nella società
3) Lo status dei figli nati fuori dal matrimonio
4) L'indissolubilità del matrimonio e del divorzio
5) Il grado di autonomia della famiglia di fronte all'intervento pubblico in campo socio-assistenziale
Stando a ciò, la storia della politica sociale italiana fu contraddistinta non solo da un mancato sviluppo di
politiche familiari, ma da una mancata responsabilità pubblica sulla riproduzione sociale e sul lavoro di
cura.
Fino agli anni '70 si continuò ad aderire alla visione tradizionale e autoritaria della famiglia e non ai principi
di uguaglianza tra i sessi. Fino al 1968 l'adulterio veniva punito in modo diverso: il marito veniva punito solo
quando si trattava di concubinaggio visibile. Al contrario, il solo sospetto di adulterio da parte della moglie
era una causa sufficiente per ottenere la separazione. Si dovrà aspettare la riforma del diritto di famiglia del
1975 per ottenere la piena uguaglianza tra marito e moglie e una definizione di famiglia più democratica.
2.3 LE RIFORME DEGLI ANNI SETTANTA
Nel clima di fermento politico e sociale, sotto la spinta dei movimenti sociali, come il femminismo, i
movimenti studenteschi e i sindacati, in relazione al più ampio accesso delle donne ai servizi di Welfare
State e all'aumento dell'istruzione e della partecipazione femminile nel mercato del lavoro, le relazioni tra i
due sessi divennero più paritarie. L'introduzione prima del divorzio nel 1970 e poi la riforma del diritto di
famiglia nel 1975 sanciscono definitivo tramonto della famiglia basata sulle differenze di genere. La riforma
diritto di famiglia consistette nel:
1) Equiparare la famiglia di fatto a quella coniugale, rendendo quasi del tutto uguali i figli nati fuori dal
matrimonio cui quelli nati al suo interno
2) Portare l'età minima al matrimonio a 18 anni per entrambi i coniugi (prima, invece, era di 16 anni per i
maschi e di 14 per le femmine)
3) Delineare una parità totale dei coniugi con stessi diritti e doveri
4) Definire che la potestà sui figli doveva spettare a entrambi i genitori, così come entrambi sono obbligati
a mantenere, istruire ed educare i figli
5) Passare, nei rapporti patrimoniali, dalla separazione alla comunione dei beni
6) Stabilire che in caso di separazione, venisse sentito il parere del figlio con almeno 16 anni di età
Inoltre, nel 1978 viene introdotta la possibilità di abortire e si rende legale l'informazione sui metodi
contraccettivi. Nello stesso anno, inizia da parte dei movimenti femministi, la lunga dura battaglia per la
legge sulla violenza sessuale, che si è conclusa solo nel 1996. Oggi la parità tra i coniugi appare pressoché
perfetta, anche se rimangono due disparità: il cognome del padre ai figli e alla moglie e la scelta/ decisione
da parte del padre in caso di contrasto tra genitori in situazioni di pericolo.

3. LE DEFINIZIONI LEGALI DELLA FAMIGLIA NELLE SOCIETÀ OCCIDENTALI CONTEMPORANEE

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Le riforme del diritto di famiglia, in tutti i Paesi occidentali, tendono a regolare i conflitti tra coniugi e non a
imporre rigidi modelli di comportamento coniugale. Soprattutto, c'è maggiore attenzione sulla regolazione
dei rapporti genitori-figli, in nome dei diritti di questi ultimi.
3.1 LA REGOLAZIONE DELLE RELAZIONI DI COPPIA
3.1.1 Il matrimonio
Definito nei Paesi occidentali come un'unione solenne tra uomo e donna da cui derivano precisi diritti e
doveri. In tutti i Paesi, tranne l'Italia in cui il rito religioso è inserito in quello civile, l'unica forma legale
consentita è quella civile per il concordato del 1929; inoltre, in tutti i Paesi è obbligatorio essere
maggiorenni per contrarre il matrimonio, tranne che in Francia che consente alle donne di contrarre
matrimonio senza il consenso dei genitori all'età di 15 anni. Sul piano patrimoniale con la comunione dei
beni del 1975, i beni acquistati dopo il matrimonio, tranne il denaro liquido, sono in comune. Prima, invece,
il regime patrimoniale dei coniugi era quello della separazione dei beni, veniva stabilito cioè, che in
mancanza di convenzioni ai due sposi, questi restassero proprietari ciascuno nelle proprie cose, acquistati
prima o dopo le nozze. Per quanto riguarda il diritto di successione, nei paesi in cui prevale la comunione di
beni, al coniuge superstite spetta la metà dei beni al titolo di proprietà. A titolo di eredità la parte che
spetta al coniuge è variabile a seconda dei sistemi dei diversi paesi. Anche la pensione di reversibilità
risponde alla logica di protezione del coniuge superstite.
3.1.2 Il divorzio
In Italia, come in altri paesi cattolici, l'unico rimedio al fallimento del matrimonio era la separazione. In
questi paesi il divorzio è stato introdotto tardi: in Italia nel 1970, in Spagna nel 1975, ma nella maggior parte
degli altri stati risale al Code Napoléon in cui il divorzio è visto come un divorzio-sanzione, cioè veniva
concesso per colpa di uno dei due coniugi. Dalla fine degli anni '70 si passa dal divorzio-sanzione al divorzio-
rimedio, per cui, per divorziare, bastavano differenze inconciliabili e non colpe. Fu la California a introdurre
questo nuovo tipo di divorzio e a trasportarlo anche in Europa, anche se ancora oggi in paesi come la
Francia permane l'impostazione di divorzio-sanzione. In Italia con la nuova legge il divorzio poteva essere
concesso purché ci fosse una delle seguenti condizioni:
1) Qualora il matrimonio non fosse stato consumato
2) Qualora uno dei due coniugi fosse stato condannato a un lungo periodo di detenzione
3) Qualora i coniugi fossero stati separati legalmente per almeno cinque anni
Svolta fondamentale: venne introdotta, con la legge del 1975, la possibilità di divorziare dal momento in cui
saltano i presupposti della convivenza civile, anche se rimane l'impostazione giudiziaria di colpa, in quanto il
magistrato può decidere di addebitare la separazione a uno dei due coniugi. La separazione rimane la
strada da percorrere per il divorzio, ma dal 1987 gli anni di separazione richiesti per presentare la domanda
di divorzio sono stati ridotti da cinque a tre.
3.2 LE RELAZIONI GENITORI-FIGLI: I DIRITTI DEI FIGLI E LA RESPONSABILITÀ DEI GENITORI
Dopo le trasformazioni legislative degli anni '70, l'oggetto di tutela non è più la famiglia in sé, ma i suoi
singoli componenti. L'interesse dei figli, infatti, a differenza di prima, è più importante di quello dei genitori.
D'altra parte, anche nel diritto internazionale, l'interesse del minore è diventato il principio cardine a cui si
devono ispirare le legislazioni nazionali. Purtroppo, questo “principio dell'interesse del minore” è tuttora
troppo indeterminato e dipende dai valori e dalla cultura dei giudici.
3.2.1 La filiazione: i figli nati fuori dal matrimonio e il riconoscimento della paternità
È proprio in base al “principio dell'interesse del minore” che i minori nati fuori e dentro il matrimonio sono
equiparati, anche se in Belgio, per esempio, la discriminazione tra figli legittimi e figli illegittimi è stata
eliminata solo nel 1987. In Italia dal 1975, le norme che regolano la posizione dai figli sono ispirate al
principio del "superiore" interesse del bambino a crescere ed essere educato in una famiglia adatta alle sue
funzioni genitoriali. Questo principio comporta anche un uguale trattamento tra figli “naturali” e “legittimi”,
anche se ai figli naturali non è riconosciuta l'appartenenza a una vera famiglia. Il riconoscimento legale del

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rapporto di filiazione è il primo passo per stabilire i diritti dei figli, ma soprattutto le responsabilità dei
genitori, in particolare quelle per provvedere alle spese di educazione e mantenimento. Le definizioni legali
di filiazione previste dai diversi ordinamenti giuridici contribuiscono alla costruzione sociale dell'essere
figlio e dell'essere genitore. Esempi:
1) Nei paesi scandinavi e in Germania, la madre di un figlio naturale è obbligata per legge a dichiarare il
nome del padre perché è obbligato a provvedere alle spese di mantenimento.
2) In Francia, Lussemburgo, Italia, Spagna, la madre, che non vuole tenere il figlio e che non vuole abortire,
può partorire in anonimato, mentre in Inghilterra è proibito l'anonimato, in nome del diritto di ciascuno
di conoscere le sue origini.
3) In Svezia è vietato l'anonimato per i donatori di seme, in nome del diritto bei figli a intraprendere una
volta maggiorenni se lo desiderano la ricerca dei genitori biologici. In Francia e Italia è invece possibile
l'anonimato.
4) In tutti i paesi occidentali, una volta stabilito il vincolo di filiazione, i genitori sono obbligati al
mantenimento e alle spese di educazione dei figli fino alla maggiore età; nell'Europa continentale può
essere esteso anche agli ascendenti (nonni e nonne) e talvolta (come in Italia) anche a zii, fratelli e
sorelle (per i beni di prima necessità), esso dura fin quando il figlio non è economicamente autonomo.
3.2.2 La responsabilità genitoriale e l’affidamento in caso di separazione e divorzio
Dagli anni '90, in tutti i paesi della comunità europea, ad eccezione del Lussemburgo, la patria potestà sui
figli non spetta più al capofamiglia maschio, ma viene esercitata da entrambi i genitori, i quali sono obbligati
a mantenere, istruire ed educare la prole. Inoltre, si richiede, in caso di divorzio, il mantenimento di
rapporti stabili e continuativi; questa idea si è espressa con la possibilità dell'affidamento congiunto, in cui
si condividono tutte le responsabilità genitoriali anche dopo la separazione. Anche se l'affidamento
congiunto è l'istituto privilegiato di molti paesi, in altri, dal 1987 fino alla legge del 2006, c'è la possibilità del
figlio di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori in affido condiviso. Lo
Stato però non prevede aiuti consultoriali e ciò dipende solo dalle capacità negoziali dei genitori.
3.2.2 L'adozione e l’affidamento familiare in Italia
il potere di controllo dell'autorità pubblica suoi genitori è una questione che si presta a interpretazioni
diverse. Da un lato si sostiene che i minori hanno il diritto di essere tutelati e protetti, dall'altro si interpreta
ogni forma di intervento dello Stato suoi genitori come una violazione della sfera privata dell'agire della
famiglia e dei diritti umani. In tutti i paesi, però, si è andata affermando l'idea che le esigenze del minore
coinciderebbero con quelle di vivere nella famiglia di origine. I casi come l'affidamento familiare
(allontanamento provvisorio) e l'adozione (allontanamento definitivo) sono pronunciati dall'autorità
giudiziaria che interviene in situazioni di disagio talmente gravi da deciderne l'allontanamento. Esistono due
tipi di affidamento familiare:
1) Quello attuato come un accordo consensuale e mediato dai servizi sociali
2) Quello per ordine del Tribunale dei minori (quando il ragazzo si trovi seriamente a rischio)
Le famiglie affidatarie ricevono contributi solo nei comuni che prevedono assistenza economica.
In Italia, a differenza di altri paesi, le coppie di fatto non possono adottare, è necessario che siano sposate
da almeno 3 anni; i genitori adottanti hanno l'obbligo di informare il figlio della sua condizione entro i 25
anni, il quale avrà il diritto di accedere alle informazioni che riguardano la sua famiglia di origine e i suoi
genitori biologici.
3.3 GLI OBBLIGHI INTERGENERAZIONALI E DI PARENTELA
Ancora oggi i confini della famiglia variano da un paese all'altro, Nord e Sud Europa hanno forme diverse di
accudimento: nel Sud, ad esempio, i parenti sono tenuti agli alimenti. In Italia, il codice civile prevede che i
parenti siano tenuti agli alimenti solo in caso di gravi disagi, in relazione non al grado di parentela, ma alle
risorse di cui dispongono. Questa estensione dei parenti tenuti agli alimenti, che va ben oltre la famiglia
nucleare ha degli scopi specifici:
1. Si ribadisce l'importanza della solidarietà familiare per il funzionamento della società

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2. L'estensione del numero e della durata degli obblighi alimentari deve essere letta in relazione al
cosiddetto principio di sussidiarietà. Esso prevede che un anziano potrà avere servizi socioassistenziali
dal momento in cui verrà accertato che non ha parenti in grado di provvedervi, con questo si è evitato di
occuparsi di un reddito minimo garantito e di risposte pubbliche alla cura degli anziani non
autosufficienti.

4. LE FAMIGLIE DI FATTO: DALLE CONVIVENZE REGISTRATE AL MATRIMONIO OMOSESSUALE


In Italia, con l'espressione "famiglia di fatto" si intende una forma di vita familiare non basata sul
matrimonio, anche se si sta prendendo atto della convivenza more uxorio. Le tendenze odierne del diritto
di famiglia vanno incontro alla deistituzionalizzazione del matrimonio o la degiuridificazione della relazione
di coppia, le norme che regolano il matrimonio stanno, infatti, diventando sempre più flessibili. La
questione nel come le coppie di fatto sono trattate dal diritto richiama due ordini di problemi:
1) La differenza di trattamento giuridico dei due tipi di copie eterosessuali (dentro e fuori il matrimonio) ed
i loro eventuali figli
2) Il trattamento giuridico riservato alle coppie omosessuali rispetto a quelle eterosessuali. Il
riconoscimento legale delle coppie di fatto ha soluzioni differenti a seconda del paese, in relazione alle
diverse idee di famiglia e in relazione a come è stata interpretata l'idea di unirsi con persone anche dello
stesso sesso: se è stata una scelta privata o una cosa d'interesse pubblico. Spesso però la matrice
religiosa ha reso difficile fare leggi in questo campo.
I diritti delle coppie di fatto eterosessuali sono stati riconosciuti dagli anni '70 in Svezia e Danimarca,
ampliandosi poi con una serie di diritti, tra cui l'adozione. In Svezia le coppie sposate e le coppie di fatto col
tempo hanno conseguito uguali diritti a prescindere dallo status coniugale. Il riconoscimento delle coppie
omosessuali è avvenuto in seguito a quelle di fatto (tranne che in Inghilterra), le coppie eterosessuali hanno
l'opzione del matrimonio, quelle gay no, per questo sono più bisognose di essere riconosciute. Nel
trattamento giuridico delle coppie omosessuali abbiamo:
1) Nord Europa: convivenza registrata (o unione civile). Questa è la prima forma di riconoscimento delle
unioni dello stesso sesso, è un "quasi matrimonio" poiché riconosce diritti poco diversi da quelli del
matrimonio come la patrimonialità, il fisco, la successione, i diritti sociali.
2) Francia: modello PACS (Pact Civil de Solidarité). Rivolto a tutte le coppie indipendentemente dal sesso
perché è un patto di mutuo aiuto, di unione assistenziale, di solidarietà reciproca tra i contraenti, sulla
quale non c'è una caratterizzazione sessuale perché non è alla base del rapporto. Nel PACS però non è
possibile l'adozione o diritti sociali come la successione.
3) Olanda: primo paese al mondo a introdurre nel 2001 il matrimonio civile per gli omosessuali, seguito da
Spagna e Belgio.
4) Italia: mostra forti ritardi. Le convivenze registrate o le unioni civili, sia di coppie eterosessuali che di
coppie omosessuali, sono istituti ancora estranei alla nostra legislazione. I partner di una coppia di fatto
etero o omosessuale sono considerati a tutti gli effetti dal Codice Civile due estranei, c'è solamente il
diritto di successione solo con testamento fatto dal defunto. Infine, sorge anche il problema
dell'immigrazione: ci sono immigrati con cultura poligamica che hanno creato problemi con i
ricongiungimenti famigliari rispetto alle norme monogamiche.

5. TRA DEISTITUZIONALIZZAZIONE E REISTITUZIONALIZZAZIONE


Il diritto di famiglia occidentale è andato verso direzioni comuni:
1) Una progressiva separazione tra l’istituzione matrimoniale e lo status di figli
2) L’introduzione del divorzio
3) L’alleggerimento della regolazione giuridica della coppia
4) L’accentuazione della tutela e dei diritti dei figli come l’oggetto centrale della regolamentazione giuridica
della famiglia

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5) La riduzione delle diversità di trattamento del diritto tra coppie matrimoniali e coppie di fatto (etero ed
omosessuali), con un progressivo riconoscimento giuridico di queste ultime e la progressiva estensione
del matrimonio anche alle coppie omosessuali
Si è andati verso una degiuridicazione dei rapporti di coppia, reistituzionalizzazione dei diritti dei figli e
un'espansione di risorse di Welfare che hanno assunto le funzioni precedentemente assolte dalla famiglia.

CAPITOLO 8 – FAMIGLIA E POLITICHE SOCIALI


1. INTRODUZIONE
La famiglia è direttamente e indirettamente oggetto di regolazione da parte dello stato attraverso le norme
giuridiche riguardanti il matrimonio, la filiazione e le obbligazioni a essi connesse, e tramite le forme di
redistribuzione pubblica delle risorse. La famiglia, i modelli e i valori rispetto alle responsabilità e
obbligazioni familiari sono stati incoraggiati e sostenuti attraverso alcune misure sociali destinate alle
famiglie, quali i trasferimenti monetari, la legislazione sulle madri e i genitori che lavorano, i servizi e le
politiche per le persone dipendenti (in particolare gli anziani fragili e i bambini). Nell'ambito del lavoro di
cura e di riproduzione sociale due sono i tipi di responsabilità e obbligazioni che permettono di osservare
l’interferenza tra sfera pubblica e sfera familiare:
1) Obbligazioni finanziarie e di mantenimento, che definiscono chi dovrebbe finanziariamente dare
sostegno a chi (politiche sociali destinate al sostegno del reddito);
2) Obbligazioni di cura, che prescrivono chi dovrebbe fornire cura a chi (nei servizi pubblici sociali e
sanitari)
La famiglia è stata differentemente definita nelle politiche sociali. Le obbligazioni e responsabilità familiari
sono mutate nei diversi contesti storici e istituzionali. Le differenze nei contenuti e nelle linee di intervento
delle politiche sociali per le famiglie riflettono le caratteristiche dei diversi sistemi di welfare state.

2. LE DIVERSE TRADIZIONI DI POLITICHE FAMILIARI IN EUROPA


L'espressione “politica familiares” è stata usata per fare riferimento a un ampio aspetto legislativo, di
sussidi monetari e servizi destinati alle famiglie, con finalità di miglioramento del benessere familiare e/o il
sostegno a particolari forme di organizzazione familiare. All'interno di questa categoria devono però essere
incluse soltanto le politiche rivolte alle famiglie con figli e, secondo alcuni autori, anche quelle rivolte alla
pari opportunità tra uomini e donne e quelle alla non autosufficienza degli anziani. Pochi sono i paesi che
hanno sviluppato un'«esplicita» politica familiare, ossia, un insieme di programmi di politica sociale
destinati a raggiungere il benessere familiare, tra cui la Francia, il Belgio e il Lussemburgo. Per gli altri paesi,
non vi è una politica familiare, dovuta all'assenza di omogeneità e coerenza delle stesse politiche e per la
loro discontinuità storica. I paesi scandinavi hanno sviluppato politiche sociali destinate esplicitamente alla
famiglia, con uguaglianza tra i sessi, attenzione rivolta ai bisogni e ai diritti dei bambini. In Germania e in
Austria l’intervento dello stato nell’ambito della cura è sussidiario (cioè subentra successivamente) rispetto
alle funzioni e responsabilità dei genitori e della famiglia. Le politiche familiari si sono contraddistinte per la
priorità attribuita alla “famiglia-istituzione” attraverso trattamenti fiscali che incentivano la figura della
moglie casalinga e uno scarso sviluppo sia di servizi pubblici che di politiche di conciliazione famiglia-lavoro.
La Germania negli ultimi anni ha modificato questo approccio, avvicinandosi a quello scandinavo. La
fecondità ridotta, soprattutto da parte delle donne più istruite, in difficoltà a conciliare lavoro professionale
e cure materne, ha motivato una serie di riforme intese a sostenere insieme l'occupazione femminile e la
conciliazione tra cure familiari e vita professionale. La Gran Bretagna e l'Irlanda sono un esempio del non-
intervento da parte dello stato nelle questioni familiari in cui politica la familiare è stata rivolta
prevalentemente alle famiglie povere e a quelle «a rischio». Italia, Grecia, Spagna e Portogallo si sono
distinti non solo per non aver sviluppato una politica familiare esplicita, unitaria e coerente, ma anche e
soprattutto:

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1) Per l'alto livello di frammentarietà della politica sociale
2) Per il più basso livello di generosità dei trasferimenti pubblici a sostegno delle famiglie con figli
3) Per la natura selettiva assunta dai trasferimenti monetari, elemento quest'ultimo che li avvicina ai paesi
anglosassoni
Un altro fattore che accomuna questi paesi è il loro scarso sviluppo di servizi pubblici per la primissima
infanzia e la lunga assenza di politiche di conciliazione famiglia-lavoro. Tutto questo è dovuto a un ritardato
sviluppo di welfare state e dovuto:
1) Al funzionamento dei loro sistemi di protezione sociale (orientati più ai trasferimenti monetari che ai
servizi)
2) Alla loro specifica configurazione politica e ideologica (il peso e ruolo della Chiesa cattolica e, in Grecia,
ortodossa)
3) Alla passata esperienza autoritaria che ha contrassegnato tutti questi paesi (fascismo ed epoca
franchista)
Alla base vi è il sistema-famiglia che si fonda sulle solidarietà (e obbligazioni) familiari e intergenerazionali e
sull'idea che i compiti di riproduzione sociale e di cura spettino alla famiglia (soprattutto alle donne presenti
nella rete familiare e parentale).

3. L'ANALISI DI GENERE E IL MODELLO DEL «MALE BREADWINNER»


Gli interventi di politica sociale non sono neutrali, i loro effetti sono visibili in termini di classe sociale, di
forma di famiglia, e anche di genere. Tutti i moderni stati sociali si sono sviluppati sulla base di un modello
di famiglia fondato sul male breadwinner, che si fonda sull'idea di una divisione del lavoro tra uomini e
donne, sull'attribuzione all'uomo del ruolo di procacciatore di risorse (da qui il termine breadwinner) e alla
donna del lavoro di cura non retribuito (homemaking). Queste idee si sono poi concretizzate in politiche
sociali che hanno sottolineato i diversi ruoli a loro attribuiti. Alcuni sistemi di welfare state hanno, invece,
successivamente sostenuto modelli di famiglia di tipo dual-earner o dual breadwinner, che prevede la
compresenza di uomini e donne nel mercato del lavoro. Lo sviluppo dei diversi welfare state permette di
capire come è stata risolta la questione del riconoscimento e come si è sviluppato un sistema di cura
formale (pubblico e privato), sostitutivo o complementare a quello informale e non retribuito svolto dalle
donne. Ci sono welfare che vedono un'assunzione pubblica ampia di responsabilità e funzioni che nel
passato appartenevano alla famiglia o alla comunità, e altri sistemi che vedono una presenza ridotta dello
stato sociale.

4. LA QUESTIONE DEL COSTO DEI FIGLI


In base al diverso contesto storico, sociale e culturale, i costi per i figli sono stati differentemente
concettualizzati e definiti. C'è una differente ripartizione delle responsabilità e competenze tra gli attori
istituzionali: famiglia, stato, mercato, volontariato e terzo settore. Alla collettività e alle famiglie vengono
lasciati costi. Le politiche sociali a sostegno del costo dei figli sono distinte in:
1) Trasferimenti monetari diretti e indiretti (assegni familiari e detrazioni fiscali),
2) Misure sociali previste per le madri (o i genitori) che lavorano (congedi di maternità e genitoriali),
3) Servizi per le famiglie (asili nido, scuole per l'infanzia, servizi di doposcuola, ...)
4.1 IL MANTENIMENTO DEI FIGLI: TRASFERIMENTI MONETARI
Storicamente il costo per il «mantenimento» dei figli, data la diseguale partecipazione al mercato del lavoro
di uomini e donne, è stato riconosciuto ai padri. Tra le due guerre nascono gli assegni familiari nascono per
rispondere all’aumento della povertà e al declino della fecondità. In Italia, gli assegni familiari vengono
introdotti dal fascismo per i lavoratori dipendenti dell'industria nel 1936 per compensare la perdita di
salario dovuta alle restrizioni provocate dalla crisi economica (analogia con la Spagna). Inoltre, gli assegni
familiari assunsero la forma di prestazioni monetarie (di tipo salariale), introdotte come in altri paesi al fine
di combattere la povertà diffusa tra le famiglie operaie con un numero elevato di figli. Diviene così uno degli

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strumenti centrali delle politiche familiari fascista e franchista, destinato sia all'incremento della fecondità
(e quindi all'incoraggiamento delle funzioni riproduttive e domestiche della donna) sia al sostegno della
figura del male breadwinner. La riforma del 1988 li ha sostituiti con l'attuale «assegno per il nucleo
familiare», riducendone i beneficiari e trasformandoli in una misura legata alla prova dei mezzi, ma
conservando lo stesso concetto estensivo di familiari/parenti. Dal 2007 gli assegni per il nucleo familiare
vengono aumentati, rimodulati e parzialmente coordinati con le detrazioni per figli a carico, anche se sono
destinati solo ad alcune categorie (i lavoratori dipendenti e chi ha una posizione previdenziale) e sono
sottoposti alla prova dei mezzi (chi supera le soglie di reddito stabilite ne è escluso). Nella maggior parte dei
casi, gli assegni familiari sono di tipo universale, previsti per tutte le famiglie con figli e di uguale importo a
prescindere dal reddito. In Spagna, Portogallo e Italia, l'assegno è destinato solo alle famiglie a basso
reddito. Esistono altre prestazioni monetarie oltre agli assegni familiari, come: l'assegno connesso alla
nascita, prestazioni ad hoc per le famiglie monogenitore, gli assegni per il mantenimento e la cura dei figli
nella prima infanzia o durante l'età scolare, i sussidi a sostegno delle spese per l'abitazione per le famiglie
con figli a carico. Negli anni 90, in Italia si riscontrano due problemi principali riguardanti la famiglia: la
povertà delle famiglie numerose e la denatalità. La prima è stata parzialmente affrontata con l'introduzione
dell'assegno al nucleo familiare con almeno tre figli minori (Anf3) e l'assegno di maternità destinato alle
madri sprovviste di altra copertura assicurativa. Due prestazioni monetarie basate sulla prova dei mezzi,
destinate solo alle famiglie a basso reddito. Queste sono politiche di contrasto della povertà, anche se
l'assegno di maternità, essendo di durata limitata, serve a sostenere i costi immediati della maternità. I
trattamenti fiscali per la famiglia (ad esempio le agevolazioni per i figli a carico) sono l'altra importante
forma di compensazione per i costi di mantenimento dei figli. L'Italia, insieme ai paesi del Sud dell'Europa,
si colloca tra gli ultimi paesi in termini di generosità verso le famiglie con figli.
4.2 IL TEMPO DELLA CURA PER I FIGLI: I CONGEDI E I SERVIZI PER L'INFANZIA
Negli ultimi anni uno degli obiettivi principali delle politiche sociali nei paesi dell'UE è quello
dell'uguaglianza di opportunità tra i sessi, favorendo l'occupazione delle madri, sia, indirettamente, di
contrastare la povertà delle famiglie con figli, sia di investire nelle nuove generazioni. I servizi per l'infanzia,
insieme alle misure sociali connesse alle responsabilità di cura dei genitori (congedi di maternità, di
paternità e genitoriali, e politiche del tempo) costituiscono il pacchetto di politiche sociali che contribuisce
al riconoscimento del costo dei figli in quanto «consumatori» di tempo, dall'altro favorisce la presenza e/o
la permanenza delle donne nel mercato del lavoro e quindi una maggiore uguaglianza di opportunità tra i
sessi.
4.2.1 I congedi di maternità e genitoriali
Le prime leggi di tutela delle madri lavoratrici furono approvate prima dell'introduzione delle principali
assicurazioni sociali (in Italia nel 1908). Il congedo di maternità retribuito fu introdotto qualche anno più
tardi (in Italia nel 1910). Tali misure hanno indirettamente riconosciuto che i figli sono un costo per le madri
perché portano via tempo a svantaggio del tempo di lavoro pagato. Il congedo di maternità consiste in un
periodo obbligatorio di astensione dal lavoro. In diversi paesi europei hanno iniziato a essere introdotti i
congedi genitoriali, cioè il periodo facoltativo di astensione dal lavoro, successivo al congedo di maternità,
che spetta sia alla madre lavoratrice, sia al padre lavoratore per un periodo variabile e retribuito. Questa
misura, un tempo rivolta solo alle madri, era presente soltanto in Italia, Austria e Svezia, poi esteso a tutti
gli stati europei e ai padri. Il congedo genitoriale (facoltativo) è definito in alcuni paesi un diritto familiare
(ad esempio in Francia, Spagna, Danimarca e tutti i paesi dell'Est europeo), ossia, è lasciata ai padri e alle
madri la facoltà di decidere chi dei due e in quale misura ne può usufruire. In altri paesi (ad esempio in
Italia, Svezia, e Germania) il sistema è misto, ossia, una parte del periodo di congedo è riservata ai padri e
una parte alle madri e va perso se non è usato dal genitore cui è destinato. Inoltre, alcuni paesi prevedono
anche il congedo di paternità, retribuito come quello di maternità e da usare nel periodo immediatamente
successivo alla nascita del figlio/a (in Italia introdotto nel 2012 e per un periodo limitato). Tra le donne, il

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tasso di utilizzo del congedo genitoriale è molto elevato, mentre tra i padri, il tasso di utilizzo del congedo è
molto limitato. Nella maggioranza dei paesi europei la quota non supera il 10%.
4.2.2 I servizi per l'infanzia
L'importanza dei servizi per l'infanzia è stata riconosciuta e sostenuta, prima con una direttiva del 1992 e,
dieci anni dopo, con il summit di Barcellona (2002), che ha chiesto agli stati membri di rimuovere gli
ostacoli che impediscono la partecipazione della donna al mercato del lavoro. L'offerta di servizi pubblici
per l'infanzia è differenziata per fasce d'età. Il tasso di copertura per la fascia 0-3, ossia, il numero di posti
disponibili ogni 100 bambini, non è elevata nella maggior parte dei paesi (ad eccezione dei paesi scandinavi,
della Francia e del Belgio), ed è particolarmente limitato in alcuni paesi sovietici e nei paesi mediterranei.
Nei paesi del Sud d'Europa vi è una scarsa diffusione di servizi per 0-3 anni e non sono presenti congedi
lunghi e ben pagati, c'è quindi una preferenza per soluzioni di tipo familiare. Il tasso di copertura in Italia è
molto variabile ed è molto più alto nelle regioni del Centro-Nord, dove è anche più alto il tasso di
occupazione femminile. Nei paesi del Sud dell'Europa, ma anche in Austria e fino al 2007 in Germania, le
cure per i figli sotto i 3 anni sono di fatto una responsabilità quasi esclusiva della madre anche in assenza di
congedi lunghi e ben pagati. La maggior parte dei paesi è offerta una buona copertura nel primo anno di
vita tramite i congedi. Dall'anno in poi, ci sono paesi che offrono buoni livelli di copertura tramite i servizi e
altri che preferiscono consentire congedi più o meno pagati (la Polonia non offre nessuna delle due
soluzioni). La situazione muta radicalmente per i servizi destinati ai bambini sopra i 3 anni. I tassi di
frequenza sono molto elevati, soprattutto dove è parte integrante del sistema educativo nazionale (Francia,
Belgio, Italia, Olanda e Spagna). In questi paesi la nascita e lo sviluppo delle scuole materne avvengono non
solo per sostenere la partecipazione femminile al lavoro, ma per finalità educative: ridurre le disuguaglianze
sociali e aumentare le opportunità scolastiche dei bambini più svantaggiati. Le variazioni nella possibilità di
conciliare lavoro e cura dei figli non dipendono solo dalla presenza di congedi e dall'offerta di servizi, ma
anche da quanto gli orari di lavoro sono flessibili, dagli orari dei servizi e della scuola, inclusi i servizi di
mensa, di doposcuola, le attività extrascolastiche estive, i servizi integrativi educativi di cura e custodia.
4.3 UNO SGUARDO COMPARATIVO SUL PACCHETTO DI AIUTI ALLE FAMIGLIE CON FIGLI
Lo studio mette in evidenza come vi siano ampie variazioni tra paesi:
1) I più generosi sono Lussemburgo e Ungheria, che spendono per ogni figlio più del 160% del salario
medio
2) I meno generosi risultano Grecia, Spagna e Irlanda intorno all'80% del salario medio
3) Italia, Belgio e Portogallo sono in una posizione intermedia, con una spesa di circa il 120% del salario
medio
Gli aiuti pubblici alle famiglie con figli minori hanno importanti risvolti nel benessere economico dei figli nel
medio e lungo periodo, dato che situazioni di disagio economico della famiglia di appartenenza
costituiscono anche il principale limite allo sviluppo futuro dei bambini e ragazzi. In tutti i paesi i
trasferimenti monetari riducono i tassi di povertà minorile, ma con intensità diverse. Per esempio, Grecia,
Italia e Spagna, pur partendo da tassi di povertà minorile più bassi di molti altri paesi europei, dopo i
trasferimenti monetari mantengono tassi di povertà minorile molto più elevati.

5. LE POLITICHE DI CURA PER GLI ANZIANI


Le politiche familiari non riguardano solo il mantenimento e la cura dei figli, ma anche la cura degli altri
membri familiari in condizione di dipendenza e necessità di cura (disabili, anziani, grandi anziani e anziani
non più autonomi). La perdita di autosufficienza è un evento critico sia per l'anziano che per la sua famiglia.
Il grado di copertura e la qualità dei servizi pubblici di cura (servizi di social care) per gli anziani non
riflettono sempre lo sviluppo e la logica del sistema dei servizi per l'infanzia: paesi con buoni servizi per i
bambini ma scarsi servizi per le persone anziane sono il Belgio, la Francia e l’Italia.
5.1 TRASFORMAZIONI DEMOGRAFICHE E FAMILIARI E AUMENTO DEI BISOGNI DI CURA

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L'invecchiamento e la riduzione della fecondità hanno portato ad un aumento della vecchia popolazione e
ad un aumento dei grandi anziani (ultraottantenni). Le avanzate cure sanitarie hanno aumentato
l’aspettativa di vita, anche in una situazione di completa dipendenza e di non-autonomia (la disabilità
aumenta dopo i 75 anni). La domanda di cura degli anziani è divenuta più visibile perché è diminuito, a
causa della riduzione della fecondità, il numero di potenziali caregiver che sono principalmente le donne e
diminuiscono anche a causa del loro ingresso nel mercato del lavoro. Un altro fenomeno che può indebolire
l'aiuto da parte della rete familiare è la rottura della coppia coniugale, degli anziani o dei loro figli. Molte
ricerche sull'impatto della rottura coniugale sui rapporti genitori-figli, infatti, segnalano che vi è un generale
indebolimento dei rapporti, in particolare tra padri e figli. Un padre divorziato anziano fragile può ricevere
meno sostegno di un vedovo o di uno sposato alla madre dei suoi figli. Anche la rottura coniugale nei figli ha
effetti simili, perché i genitori perdono quasi sempre il contatto con la nuora/il genero.
5.2 TRASFORMAZIONI DELLE POLITICHE DI CURA PER GLI ANZIANI
Il bisogno di cura degli anziani è stato a lungo considerato un problema a cui doveva far carico la famiglia;
perciò, l'intervento del settore pubblico è solo assistenziale e residuale, rivolto solo agli anziani gravemente
malati o senza rete familiare, che non erano più in grado di vivere presso il proprio domicilio, (ospedale,
case di cura, ricoveri). Solo negli anni Ottanta, in tutti i paesi industrializzati si sono ridefiniti gli obiettivi
delle politiche di cura per gli anziani, non solo come un'alternativa tra cura familiare o ricovero in case di
cura e ospedali. L'obiettivo è diventato quello di mantenere il più a lungo possibile la persona anziana,
anche se disabile, nel proprio ambiente familiare, nella comunità, nella propria abitazione. Negli ultimi
decenni, quindi, la cura a domicilio è diventata la priorità delle politiche di cura per gli anziani (assistenza
domiciliare, alloggi protetti, centri diurni per anziani, assegni di cura e altre prestazioni monetarie). Nei
paesi del Sud dell'Europa e nei paesi dell'Est la diffusione di servizi di cura formale (servizi residenziali e
assistenza domiciliare) è limitata. In Italia, i tassi di istituzionalizzazione degli anziani restano molto
contenuti (2%) e pochi anziani utilizzano i servizi domiciliari. In Italia, infatti la cura dell’anziano è riservata
alla famiglia e solo in un secondo momento lasciata a persone che offrono servizi di cura in crescita,
costituito soprattutto da lavoratrici immigrate, spesso irregolari. La cura prestata a un familiare non
autosufficiente è scarsamente riconosciuta a livello sociale, meno di quella prestata ai bambini piccoli. In
pochi paesi trova riconoscimento e sostegno con periodi di congedo.
5.3 LE IMPLICAZIONI DI GENERE DELLE NUOVE FORME DI CURA PER GLI ANZIANI FRAGILI
Negli ultimi anni si è diffusa una nuova tipologia di cura non sanitaria agli anziani fragili: l'assegno di cura,
pagato direttamente al titolare oppure alla persona che presta la cura. Si passa all'idea che anche le cure
prestate in rapporti informali e persino familiari debbano avere almeno un parziale riconoscimento
economico. Quando non è obbligatorio utilizzare la prestazione monetaria per acquistare servizi, l’assegno
può essere utilizzato per integrare il reddito familiare lasciando il lavoro di cura, appunto, alla gratuità del
lavoro di un, o meglio una, familiare. In Italia è presente l’indennità di accompagnamento riservata a
persone non autosufficienti. Il numero di anziani con più di 65 anni che ne usufruiscono è cresciuto in modo
esponenziale negli ultimi anni, raggiungendo nel 2008 il 9,5% della popolazione in tale fascia d'età. Negli
ultimi anni, è stato aggiunto un contributo economico denominato «assegno di cura», al fine di sostenere
l'assistenza di persone non autosufficienti, erogato dai comuni o dalle Asl, in alternativa ai servizi alla
persona.
In tutti i paesi le caregivers pagate con questi assegni risultano essere quasi sempre donne, migranti, spesso
irregolari. Le preoccupazioni sono legate alle conseguenze che tale misura può avere per la donna che
decide di lasciare il lavoro per accudire un genitore anziano. Preoccupazione anche per l'occupazione
irregolare. In effetti, in Italia, e nei paesi del Sud Europa, l'aumento degli anziani ha comportato un
aumento della domanda di cura privata a domicilio. In questi paesi l'assistenza privata a domicilio è
diventata la principale forma di cura per gli anziani fragili e la principale occupazione per le donne migranti.
Le conseguenze dell'espansione degli assegni di cura non sono le stesse ovunque, ma dipendono dal
contesto istituzionale, dove esistono servizi regolari e regolati.

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