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Lezione 1 con assistente

Il diritto ecclesiastico è diritto statale, cioè studia le norme dello Stato che si occupano del
fenomeno religioso.
Che connessione ci sta tra diritto e religione? (capire questa connessione mi fa capire
meglio il fenomeno giuridico e perché lo Stato se ne occupa).

Quando parliamo di religione, pensiamo che sia l’ insieme di credenze, di convincimenti


interiori che l’individuo ha; ma questa convinzione non equivale alle opinioni, ma è qualcosa
di molto più serio e profondo.

Riguarda convinzioni che determinano ed influenzano il comportamento delle persone, non


sono credenze campate per aria.

Il diritto è quello strumento che trasforma la vita in vita sociale, che ci consente di vivere
nella società, ovvero il diritto nasce in base a quelle che sono le esigenze della società.
Se la religione influenza i comportamenti degli individui, io poi mi trovo un diritto che è
condizionato dal fenomeno religioso, che è influenzato da quelli che sono i valori religiosi in
una società e che poi me li ritrovo nel diritto (si pensi ai paesi islamici e a quanto la religione
sta influenzano il loro diritto).

La religione è anche uno degli elementi costitutivi dell’identità della persona, ciò che
ciascuno crede di essere e l’identità è un ambito protetto dal diritto, sia in ambito civile
(2043) sia in ambito penale (la diffamazione è la tutela della reputazione/identità della
persona)

Il fatto che più persone credano in determinate cose, quel credo le accomuna e da vita a
dei gruppi sociali (creare dei gruppi significa, come vedremo, creare ordinamenti giuridici e
quindi è evidente il collegamento)

Quindi il diritto dal punto di vista dei fatti si trova davanti a fenomeni che non può ignorare.
Si potrebbe pensare che sia solo una circostanza, cioè che solo in un determinato momento
storico la religione abbia queste funzioni identitarie, di formazioni di gruppi sociali.

Oggi la società secolarizzata quasi potrebbe fare a meno di occuparsi di questo fenomeno,
ma secolarizzazione non vuol dire che la religione è o diventa irrilevante, ma vuol dire che la
dimensione religiosa assume altre caratteristiche; la dimensione religiosa riguarda l’uomo e
come non è possibile una società se non c’è il diritto (il diritto trasforma la vita dei singoli
individui in vita sociale, cioè consente di allontanare dalla società la violenza e quelle che
sono le leggi della sopravvivenza) e la religione rispetto a questo risponde all’esigenza
umana che non è storica, ma connaturata all’essenza umana, cioè l’esigenza della
domanda di senso rispetto alla vita stessa (io perché esisto?); questo è il nucleo
fondamentale del concetto di religione.

L’uomo primitivo che non aveva le nostre conoscenze e ha un problema, cioè che non sa
spiegarsi il mondo, perché sta lì e cose deve fare lì.
Questo problema è tipico solo l’essere umano perché solo lui ha un ambito di
indeterminatezza; non siamo, come esseri umani, esseri istintivi, ma ci possiamo muovere in
un modo piuttosto che in un altro (cioè a differenza degli animali, che sono definiti, l’uomo
non sa cosa deve fare).

La libertà religiosa è la prima delle libertà, perché l’affermazione della propria credenza è
una delle prime esigenze che nascono nell’età moderna.

Altro elemento da considerare è che storicamente, in generale, il diritto non è stato sempre
un diritto di derivazione statale, perché il fatto che il diritto sia solo di provenienza statale è
un fatto che si è affermato storicamente in un dato momento (età moderna inizia quando lo
stato dice “solo io posso emanare norme giuridiche”);

Questo dire da parte dello Stato si afferma contro la Chiesa cattolica, nel senso che prima di
questo elemento il diritto non era di esclusiva provenienza statale, ma proveniva anche dalle
varie organizzazioni, corporazioni, organismi sociali, nel senso che l’organizzazione della
società era tale per cui la società veniva divisa in corporazioni e ognuna emanava norme
che valevano per quella corporazione, prima quindi ci stava un diritto plurale, un diritto che
deriva da più organismi.

La chiesa emanava norme, che erano vincolanti per tutti, per esempio norme giuridiche sul
matrimonio (prima dello stato moderno).

Altro ambito in cui viene il rilievo il fenomeno religioso è che questo fenomeno religioso
crea conflitti di lealtà, crea tensione sociale, nel senso che abbiamo detto che il
fenomeno religioso agevola la creazione di gruppi sociali che si danno delle regole (per
questo sono ordinamenti giuridici), ma queste regole possono contrastare con regole dello
Stato (questi gruppi sociali con lo Stato condividono il territorio!)

Esempio: obiezioni di coscienza = conflitto che sorge tra la norma statale ed il


convincimento interiore della persona, che deriva dalla coscienza, la quale può derivare da
quelle risposte alla domanda di senso che ciascuno si da (io sono contrario alla guerra, alle
armi, può derivare da una determinata confessione religiosa ma in generale è un
convincimento interiore che prescinde da questa).

Non solo per chi crede, ma anche rispetto a chi non ha nessuna credenza si ha un conflitto
di lealtà; questi conflitti si pongono quando le norme dello Stato traggono ispirazione da
convincimenti religiosi (accanimento terapeutico, eutanasia).

Quindi, per riassumere, il diritto ecclesiastico è diritto dello Stato, il diritto ha una base
sociale ed in questa base sociale c’è questo fenomeno religioso che ha una sua incidenza.
Se pensiamo ai padri costituenti ci sono due norme della nostra Costituzione che danno
conto delle cose che abbiamo sempre detto: l’articolo 4 e 52 Cost:

- il 4 richiama il dovere di ogni cittadino di concorrere al progresso materiale o


spirituale della società: quindi dal punto di vista della nostra legge fondamentale,
abbiamo una norma (oltre alle altre che abbiamo citato indirettamente).
Il secondo comma dice che la dimensione spirituale è una dimensione che concorre al
progresso della società, quindi c’è già un giudizio del costituente sul fatto che
anche le funzioni spirituale non solo quelle materiali, concorrono al progresso della
nazione.

- Il 52 è l’unico articolo in cui si dice che il dovere di difendere la patria è sacro; Ma


perché il costituente dice “sacro”? (è l’unico punto della Costituzione in cui utilizza
questa parola).

Usa questa parola perché “sacro” è tutto ciò che non può essere governato dall’uomo, tutto
ciò che esula da quello che l’uomo può definire, gestire, controllare e cos’è che l’uomo non
può mai controllare? La morte ⇒ è tutto ciò che rispetto alla vita, alla razionalità, alla
società, deve essere tenuto fuori perché spaventa).
Quindi intende che la difesa della patria è l’unica cosa per cui il cittadino deve mettere a
disposizione la propria vita, può rischiare la morte. Sacro significa “separato” dalla vita.

Lezione 2 assistente

Stavamo parlando del fatto che un altro elemento presente nel fenomeno religioso è che
questo determina là formazione di gruppi sociali, di organizzazioni.

Adesso dobbiamo vedere l’altro aspetto per cui lo stato si occupa del fenomeno religioso; in
Italia ha sede il governo centrale di un’istituzione millenaria, cioè della Chiesa cattolica e
questa cosa ha determinato è influenzato lo Stato italiano nell’elaborazione di norme sul
fenomeno religioso e sul diritto ecclesiastico.

Il fenomeno religioso determina la nascita di gruppi sociali che chiamiamo con un termine
non strettamente giuridico “confessioni religiose”.

Cosa sono, queste organizzazioni, dal punto di vista giuridico?

Non c’è una norma che ci dice cos’è una confessione religiosa; potremmo qualificarle come
degli ordinamenti giuridici, cioè se c’è un concetto di diritto che possiamo applicare alle
confessioni religiose è che queste sono ordinamenti giuridici e perché questo concetto di
ordinamento è quello che si adatta meglio a questo gruppo che condivide una credenza?

Cos’è un ordinamento giuridico?

Un gruppo sociale che si da delle regole e che è stabile e le osserva convintamente (idea
introdotta da Santi Romano a inizio ‘900, il quale dice che il diritto non è un comando di
un'autorità, un sistema per gradi dove l’autorità emana norme che sono valide per un
determinato territorio, ma dice che il diritto è un fatto che ruota intorno ad un principio
ordinatore, al fine che si da il gruppo sociale ed è caratterizzato, più che dalla validità, dalla
effettività: è importante che la comunità osservi le norme, non tanto che le norme siano
valide).
Esempio classico per spiegare l’ordinamento giuridico: se un gruppo di persone si riunisce
davanti al servizio postale e organizza una fila, quella fila organizzata è un ordinamento
giuridico?

Santi Romano dice che quella fila ha un fine, tutti credono che sia la cosa migliore da fare
per raggiungere l’obiettivo comune, cioè avere il proprio servizio e quindi si.

Allora anche la mafia è un ordinamento giuridico?

Si, ma questo contrasta con quello dello Stato e quindi c’è uno scontro tra due ordinamenti
dove lo stato prevale ed esclude dal proprio territorio questa organizzazione.
Se quello che è importante è il fine, l'effettività, siamo di fronte ad uno ordinamento giuridico
e quindi anche per le organizzazioni confessionali siamo di fronte ad un ordinamento
giuridico: rispetto alla Chiesa cattolica è chiaro che si tratti di un ordinamento giuridico, il
discorso va riferito alle nuove confessioni religiose; quando siamo di fronte ad un gruppo
sociale con una credenza comune e che si dà delle regole, siamo di fronte ad un
ordinamento giuridico che può essere considerato anche confessione religiosa.

Ma quali di queste regole rilevano nell’ordinamento statale?

Altro aspetto che caratterizza il diritto ecclesiastico: la presenza in Italia della confessione
cattolica, è un aspetto che condiziona tutto il diritto ecclesiastico; fino a pochi anni fa, quasi
tutto il diritto ecclesiastico era costruito da norme che derivavano dai rapporto tra Stato e
Chiesa, ma come siamo arrivati a questa situazione?
Dobbiamo partire dal momento in cui ancora l’Italia non è unità, quindi 1860, nel 1861 si
realizza l'Unità d’Italia, ma manca lo stato pontificio e Roma.

Si comincia a pensare come risolvere il problema della presenza in Italia della Chiesa
cattolica: non era una questione di territorio (ricorda l’espressione di Cavour “libera chiesa,
libero stato”), ma è una questione più sostanziale.
Il problema di fondo rispetto alla costituzione di un’Italia unita è che l’Italia, rispetto agli altri
stati europei, ancora non si era costituita come stato moderno, anche a causa della Chiesa
cattolica e perché?
Costituirsi come Stato moderno, vuol dire mettere in discussione un concetto fondamentale
per la costituzione dello Stato, che è quello di sovranità.
Cioè il regno d’Italia nel 1861 anche senza lo stato pontificio non è uno stato moderno e
anche dopo quello che deve fare è costituirsi come Stato sovrano, che vuol dire che, su un
determinato territorio, c’è un unico soggetto con la potestà d’imperio, nessun altro potere gli
può apporre dei limiti (potere assoluto).
Questo è il concetto di sovranità che nasce in età moderna in contrasto con l’organizzazione
medievale del potere, con tanti centri di potere/comando, per cui se uno era mercante era
assoggettato alla categoria dei mercanti etc.
Questo unico centro di comando si afferma nell’età moderna.

Rispetto a questo, la Chiesa cattolica è un ostacolo perché l’idea di sovranità della Chiesa
contrasta con questa impostazione (in tutti gli stati europei, ma sopratutto in Italia in cui ci
stava anche una presenza territoriale della Chiesa).
Per la Chiesa, questo concetto che la sovranità è unitaria, che ci sta un unico soggetto con
una potestà di imperio su tutto, è un concetto che non ha mai condiviso (ricordiamo che il
cristianesimo introduce il dualismo del potere temporale e di quello spirituale, quindi la
Chiesa voleva la propria sovranità nelle questioni spirituali).
Lo Stato rivendita una sovranità unità, mentre la Chiesa affermava di avere una sovranità
nelle cose spirituali, proveniente direttamente da Dio (questioni alla base delle lotte sociali in
epoca rinascimentale).

Bisogna ridimensionare questa idea di sovranità della Chiesa, cosa che nel risarcimento
accende.
Quando nel 1981 il Papa perde il potere temporale, ci si chiede la posizione della Chiesa
cattolica nell’ordinamento internazionale, una volta che non ha più un territorio su cui
esercitare la sovranità.
Se la Santa sede perde il suo territorio, non è più parte della comunità internazionale e non
c’è più una ragione giuridica per ritenere che la Chiesa cattolica sia un soggetto con la sua
autonomia, ma deve sottostare alle leggi dello Stato ed è quello che si verifica nel 1980 con
la debellatio dello Stato pontificio e poi con la Legge delle Guarentigie del 1981 che è una
legge unilaterale dello Stato, che dice alla Chiesa cosa può e cosa non può fare.

Come si pone rimedio a questa situazione? Se la chiesa con la legge delle guarentigie è per
lo stato una mera associazione, vuol dire che è sotto l’organizzazione dello Stato e la chiesa
non lo accetta.

Come si arriva a mediare tra queste due posizioni così distanti?


Si risolve quando mutano le condizioni, la chiesa si dà pace che ha perso il suo territorio,
non lo rivendica più e si comunica ad avere una pacificazione dei rapporti perché Mussolini
capisce di avere bisogno del consenso della Chiesa.
La chiesa inizia a capire che rispetto alla sua opposizione a questa idea di Stato assoluto è
meglio evitare cose peggiori e quindi si inventano l’istituto concordatario, strumento in cui
due soggetti che si dichiarano autonomi e indipendenti, si mettono d’accordo, definiscono
delle regole che però sono delle regole che si realizzano non in uno o nell’altro ordinamento,
ma si inseriscono nell’ordinamento internazionale (ordinamento terzo).
Concordati sono atti tra due soggetti autonomi e indipendenti che vivono e si collocano in un
ordinamento terzo rispetto alle parti

Quando saranno sottoscritti i Patti lateranensi, nella discussione che si fece per la sua
approvazione, Mussolini impedisce al ministro di giustizia che è relatore del disegno di
legge, di chiarire il concetto di sovranità, di come si è arrivati a questa soluzione.
Non vuole chiarire che la Chiesa resta sovrana nel proprio ordine, nella dimensione
spirituale.

Siamo ancora nel 1929, in cui non ci stava la Costituzione, un sistema di gerarchia delle
norme.

Con l’entrata in vigore della Costituzione, nell’articolo 7 si introduce questo principio


secondo cui Stato e chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
Concetto che ha creato problemi allo Stato costituente sul significato dell’espressione, cosa
significa che la Chiesa è sovrana nel proprio ordine (nell’ambito di un’organizzazione
statale)?
Va considerato che l’articolo 7 è una norma sempre unilaterale, che viene solo ed
esclusivamente dallo Stato, lo ha scritto l’assemblea costituente.

I patti lateranensi sono accordi che vivono nell’ordinamento internazionale e per essere
norme statali hanno bisogno di una legge di ratifica, cioè sono norme esterne allo Stato
italiano e quindi, per diventare interne, serve una legge di ratifica che traduce quegli atti in
norme interne, quindi le riproducono.
Se le norme interne possono essere modificate unilateralmente da parte dello Stato,
comunque sono norme che rimangono nell’ordinamento internazionale.

Si trova una soluzione con l’accordo del 18 Febbraio 1984, con cui, sul tema della sovranità,
chiarisce in via bilaterale, quello che la composizione sul concetto di sovranità propria dello
Stato e della chiesa, in maniera condivisa.
Si riafferma che Stato e chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

Ma perché l’articolo 7 dice che la chiesa è indipendente nel proprio ordine (e l’articolo 1
dell’accordo del 1984 lo ribadisce)?
Significa che la chiesa è libera di esercitare la sua missione; rispetto alla missione della
Chiesa, lo dice l’articolo 1 dell’accordo (azione di evangelizzazione), per realizzare questo
fine, lo Stato riconosce che la chiesa ha una posizione di autonomia in questo ambito.
Questa cosa dal punto di vista teorico sembra coerente, ma a livello pratico ci sono vari
problemi.

Lezione 3 assistente

Per arrivare all'unità d’Italia era necessario avere anche lo Stato Pontificio (quindi era anche una
questione territoriale il confronto tra Stato e Chiesa)

Ma c’era ancora più in profondità un altro problema, che era il concetto di sovranità: la Chiesa
riteneva di avere una giurisdizione autonoma e indipendente rispetto a quella dello Stato e lo Stato a
sua volta non poteva accettare nel proprio territorio un’organizzazione sovrana così come lo Stato.

Questo scontro di sovranità comportava che ci sarebbe sempre stato il problema nel definire gli
ambiti di competenza dell’uno e dell'altra, anche se la Chiesa sottolinea che la propria sovranità
avviene nell’ordine spirituale.

Nelle legge delle guarentigie c’è scritto che comunque la Santa sede mantiene una sovranità di diritto
internazionale, ma gli stessi patti lateranensi riconoscono alla Santa sede di avere gli ambasciatori
(riconoscimento del carattere di organo sovrano) e la costituzione del 1948 dice espressamente che
“lo Stato e la chiesa sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani” e l’articolo 1
dell’accordo del 1984 che modifica il concordato ribadisce questo principio di riconoscersi
indipendenti e sovrani.
Tutto questo è vero, ma dal punto di vista più culturale, più profondo, perché questo problema
ancora oggi non è risolto?
Qual’è il concetto che si usa per dire che c’è un’autonoma delle cose temporali rispetto a quelle
spirituali?
La frase di Gesù: date a Cesare (Stato, legge civile) quel che è di Cesare, date a Dio quello che è di
Dio (legge divina, legge naturale).

La soluzione sembra pacifica, ma che vuol dire dare a Cesare quel che è di Cesare? Vuol dire dare a
Cesare una cosa che è contro Dio? Se una cosa è contro Dio era quello che voleva dire Gesù con
quella frase?
Ci verrebbe da dire di no; una cosa che è contro Dio non può essere data allo Stato.

Si pensi alla difesa della Chiesa dei diritti umani: uno potrebbe pensare essere un ambito che
riguarda lo Stato e se la Chiesa che si fa interprete dei diritti umani, c’è un invadenza nell’ambito delle
cose di Cesare? E Cesare deve rispettare quell’idea di diritti umani che ha la Chiesa.
Secondo questa distinzione, quindi, Cesare dovrebbe stare sotto Dio ma in questo modo non è
indipendente e sovrano = soggetto che ha un dominio, senza un'autorità superiore.
Questo vuol dire, quindi, che la ragione (Cesare) sta sotto la fede (Dio).

L’ultima formula che abbiamo è la costituzione del 1948 (formula dello Stato che lo afferma in una
propria norma), che poi viene trasmessa in un atto pattizio diventando anche una formula della
Chiesa e viene riconosciuta in un ordinamento che non è né quello della Chiesa e ne quello dello
Stato, ma è l’ordinamento internazionale perché l’accordo è un atto di diritto internazionale perché
è un atto tra due soggetti sovrani.

Quando in assemblea costituente si dovette formulare il contenuto dell’articolo 7 Cost, la proposta di


uno dei giuristi più importanti, Dossetti, era quella di non dire che Stato e Chiesa sono sovrani, ma
dire che sono due ordinamenti giuridici autonomi e indipendenti, perché?
Perché se diciamo “sovrani” tecnicamente non diciamo le cose come sono e questa formula non passo
perché il partito comunità obietto dicendo che se noi diciamo “sovrano” siamo meno tecnici però
riusciamo ad essere più immediati, a farci capire meglio perché il popolo capisce meglio il concetto di
sovranità rispetto a quello tecnico di ordinamento giuridico e visto che la Costituzione deve essere
una carta fondamentale accessibile a tutti, non deve essere troppo complicata perché non è solo
materiale per i giuristi.

Lezione 4 assistente

Accordo
Nella premessa all’accordo ci sono anche le indicazioni generali che fanno conto di quello che era il
clima e la situazione politica del periodo.

C’erano state forte pressioni nell’ambito della società per arrivare alla modifica del concordato, la
sinistra del parlamento proponeva la revisione degli artt.7-8 cost.
Nella premessa, avente carattere normativo, non viene mai citata la parola “stato”. Bisognava
individuare cosa si volesse disciplinare, non si parlava del rapporto stato-chiesa, bensì del rapporto
comunità politica-stato: al posto di stato c’è il richiamo alla comunità politica.

Nell’art.1 c’è un’altra indicazione: le parti si impegnano a collaborare per la promozione dell’uomo e
per il bene del paese. Si sottolineano quelle espressioni che provocano problemi. L’accordo non serve
solo a regolare rapporti tra stato e chiesa cattolica. Oltre a raggiungere tale finalità, con questo
accordo le parti si impegnano alla collaborazione, si realizza per il futuro un impegno a collaborare
per il bene del paese. Bisogna allora capire cosa significhi bene del paese e in che senso la chiesa
collabora con lo stato per la promozione dell’uomo.

L’ art. 2 dell’accordo riassume gli ambiti propri della chiesa. La chiesa è sovrana perché può realizzare
quelle attività che rientrano tra le sue competenze. Riassume una serie di garanzie di libertà che sono
accordate alla chiesa cattolica, è un rafforzamento di queste garanzie. Al comma 2 sono riconosciute
anche libertà di comunicazione. Importante anche l’ambito del num.4 di questo articolo: riprende il
concetto avente riguardo al particolare carattere della città di Roma per la cattolicità. Uno degli
eventi che determinò la richiesta di modifica del concordato era la previsione per cui il governo
potesse intervenire a Roma quando si rilevava un evento in contrasto con la cattolicità. Questa è solo
una norma di carattere ricognitivo, richiama l’importanza di Roma.

Con gli artt.3-4 si può trattare l’argomento relativo ai ministri di culto e alla loro condizione giuridica,
sia con riferimento all’accordo (rapporti stato-chiesa) sia con riferimento al rapporto con le altre
confessioni religiose sia con riferimento all’ordinamento interno statale.

Ministro di culto: ha valore esclusivamente statale, è una qualifica civilistica che si dà l’ordinamento
dello stato. È una nozione propria di esso. Quando invece facciamo riferimento alla condizione e
qualifica che determinati soggetti hanno in un ordinamento confessionale, i termini che vi ritroviamo
non sono quelli di ministro di culto ma di sacerdote, vescovo, rabbino, pastore, luterano,… quindi
abbiamo due ambiti da considerare quando facciamo riferimento alla qualifica: vista dalla prospettiva
statale e quella vista dagli ordinamenti confessionali

Dal punto di vista degli ordinamenti confessionali, l’appartenenza a una determinata confessione
religiosa fa assumere alla persona la qualifica di fedele e allo stesso tempo di cittadino dello stato.

Ma in questi ordinamenti, oltre al fedele (ottenuta la qualifica col battesimo) vi sono anche qualifiche
di fedeli che hanno una funzione di guida, una podestà di magistero, hanno funzioni di cura e
assistenza, cioè sacerdoti per chiesa cattolica, himam per islam,… queste figure si trovano negli
ordinamenti confessionali ma sono rilevanti anche per lo stato.

La condizione di ministro di culto è una qualifica per la quale lo stato riserva norme specifiche. In che
senso rileva la loro posizione? Vi sono delle norme dello stato che prevedono ci siano delle
incompatibilità tra assunzione di uffici pubblici e qualifica di questi soggetti. Ad es. Un vescovo non
può ricoprire l’ufficio di giudice, non può essere avvocato, notaio…
Alcune incompatibilità sono previste anche per la normativa elettorale, ad es. il vescovo non può
essere consigliere regionale ma può essere senatore.

Altro gruppo di norme generali sono quelle proprie del diritto penale, fanno riferimento ai ministri di
culto. Ad es., la normativa sulle circostanze aggravanti di reato prevedono che determinati reati
commessi con abuso di autorità di ministro di culto determina una circostanza di aggravante di reato.

È prevista anche la disposizione di reato specifico, come il vilipendio di un ministro di culto, l’abuso
dell’abito ecclesiastico.

Abbiamo quindi visto le norme unilaterali dello stato: accanto a queste norme, vi sono norme
specifiche delle singole confessioni religiose che riguardano la condizione dei singoli soggetti, norme
bilaterali contenute nell’accordo dell’84 con la chiesa cattolica, vediamo la disciplina.

Art. 3 è la prima disposizione che si sofferma in questo, garantisce che la nomina da parte della
chiesa cattolica di sacerdoti, vescovi, ecclesiastici è libera. Nel concordato del ‘29 le nomine del
vescovo e parroco dovevano invece avere il placet del governo, la chiesa non era quindi libera di
nominare gli ecclesiastici liberamente. I vescovi avevano l’obbligo di giurare fedeltà al governo
italiano, ora invece con art.3 quanto detto è stato abrogato. Cosa rimane in piedi della disposizione
precedente? La chiesa deve comunicare allo stato le nomine a determinati uffici. La comunicazione
avviene al prefetto e al ministro degli affari esteri riguardo la nomina dei vescovi.

Art. 4 riconosce delle facoltà, tra le quali l’esclusione di questi soggetti dalla leva obbligatoria, anche
se ora vale per tutti i cittadini. È importante dire di questo articolo che esso tutela il segreto
ministeriale, al quarto comma dice che gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o altre
autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito dell’esercizio
delle proprie funzioni. La norma garantisce la segretezza nei rapporti tra ecclesiastici e i fedeli e
coloro che si rivolgono agli ecclesiastici per qualsiasi attività di assistenza spirituale di cui vogliono
servirsi.

Chi sono gli ecclesiastici? Vescovi e presbiteri per la chiesa cattolica, hanno ricevuto il sacramento
dell’ordine, del grado, dell’episcopato ed esercitano il ministero. I religiosi sono esclusi.
Questa garanzia riguarda il segreto della confessione? No è più ampia, riguarda l’esercizio del
ministero.

I problemi anche pratici che si sono verificati rispetto a questa disposizione sono dovuti al fatto che
accanto a questa previsione bilaterale, abbiamo anche una normativa statale unilaterale che
disciplina il segreto professionale, art. 200 c.p.p. dice: “non possono essere obbligati a deporre su
quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui
hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria”.
I problemi riguardano il fatto che le due previsioni hanno contenuto normativo differente: art.4 tratta
la garanzia di riservatezza, mentre la disciplina unilaterale è meno sintetica, riconosce questo diritto
di riservatezza al fedele, ma prevede anche un sindacato da parte dell’autorità giudiziaria sul
concetto di esercizio del ministero. La normativa unilaterale consente al magistrato di andare a
verificare se le informazioni che il ministro di culto ha acquisito siano informazioni apprese
nell'esercizio del ministero e può anche ritenere che se queste informazioni sono importanti per le
indagini, può obbligare il ministro di culto a deporle.

La normativa statale, visto il silenzio, può andare ad integrare il contenuto e quindi fornire criteri di
interpretazione dell’art.4? Art. 622 c.p. dice che è reato rivelare un segreto che si acquisisce
nell’esercizio della propria professione, questo riguarda avvocato, psicologo, giornalista,… tutelando
la riservatezza si tutela anche il contesto in cui la riservatezza si realizza.

La norma bilaterale è stringata, quella unilaterale più ricca e consente margini di sindacabilità

Caso:
A Palermo, fine anni 90, un sacerdote si reca nel rifugio di un latitante, Pietro Aglieri, per celebrare la
messa, assicurando assistenza spirituale.

Vi sono delle indagini e il sacerdote viene accusato di favoreggiamento, il sacerdote si avvale del
segreto ministeriale dinanzi la domanda “a chi sta assicurando assistenza?”.

Secondo la procura questo non rientra nell’esercizio del proprio ministero perché andare nel rifugio
del latitante assicura la latitanza, in modo che esso non esce all’esterno e non verrebbe catturato.

Se fosse vero che avesse bisogno di assistenza, sarebbe venuto in chiesa, si sarebbe spostato, vi era
maggiore probabilità di cattura.

Se il sacerdote e ministero spirituale non hanno come obiettivo andare a trovare la pecorella
smarrita, i peccatori, allora che cosa è? È quella la mia attività di evangelizzazione, dice il sacerdote.

Questa storia si conclude in Cassazione. In primo grado il sacerdote viene condannato per
favoreggiamento, ma le motivazioni della sentenza di primo grado sono che: rispetto all’esercizio del
ministero spirituale ex art.19 cost. e l’esigenza di giustizia, quindi collaborazione dei cittadini al suo
buon funzionamento, quindi fornire informazioni , prevale la seconda, quindi la norma penale
prevale su quella costituzionale, ma è un bilanciamento che suscita perplessità , motivazione che
portata in Cassazione non offre un’argomentazione adeguata, è debole, il sacerdote verrà infatti
assolto soddisfacendo le sue motivazioni.

Questa realizzazione della libertà religiosa è assicurata anche rispetto a persone sottoposte a
procedimento penale.

Lezione 5 assistente

Di queste qualifiche che hanno determinate persone negli ordinamenti confessionali, sono rilevanti
anche nello Stato; chi fa parte di una determinata confessione religiosa, i fedeli, oltre a loro ci sono
altri soggetti con ruoli e funzioni specifiche e rispetto a questi soggetti le confessioni hanno varie
qualifiche, non sono tutti uguali e quindi abbiamo detto che la Chiesa cattolica distingue i fedeli tra
chierici, presbiteri, diaconi, vescovi e altre confessioni religiose, invece, nel far riferimento a quei
fedeli che hanno ruoli guida parlano di fedeli, di immam (Islam), rabbini (ebrei) etc.

Queste qualifiche degli ordinamenti confessioni rilevano anche per lo Stato.

Quando lo Stato aveva rapporti solo con la chiesa cattolica, nel senso che questa era l’istituzione più
importante, non aveva interesse ad intervenire nell’ambito di queste qualificazioni, ma rinviava alle
confessioni religiose, cioè non c’era da parte dello Stato l’esigenza di avere una qualificazione
unitaria, un’unica categoria; questa esigenza è emersa quando dopo l’entrata in vigore della
Costituzione e i rapporti con le altre religioni, serviva un’unica categoria (unico concetto in grado di
racchiudere quei soggetto che nei vari ordinamenti confessionali avevano dei ruoli guida) e quindi da
lì è nata la categoria del ministro di culto che è una qualifica civilistica, generica, che vale per tutte le
confessioni religiose.

Quindi nelle norme unilaterali, quando lo Stato vuole far riferimento a questi soggetti parla di
“ministri di culto”; nelle norme poi troviamo la specificazione, cioè non parla solo di “ministri di
culto”, ma di “ministri di culto di confessioni religiose il cui statuto non constrasta con l’ordinamento
italiano” oppure “ministri di culto di confessioni religiose che hanno concluso intese con lo Stato” etc.

Il segreto confessionale: ci stavamo occupando della norma che riguarda l’accordo dell’84, cioè il
segreto professionale con riferimento ai ministri di culto cattolico (abbiamo parlato con riferimento
agli ecclesiastici, che sono presbiteri e vescovi)

Con riferimento al segreto ministeriale abbiamo visto che l’articolo 4 comma 4 dell’accordo disciplina
questo istituto, ma avevamo posto in riferimento anche una norma unilaterale che disciplina il
segreto ministeriale che è l’articolo 200 c.p.p.

La norma bilaterale è molto stringata, essenziale e dice che gli ecclesiastici non sono tenuti a dare ai
magistrati o altre autorità notizia a cui sono venute a conoscenza durante il loro ministero, mentre la
norma statale è molto più esplicita e si riferisce non solo ai ministri di culto, ma ad una serie di altri
soggetti rispetto ai quali l’ordinamento vuole tutelare la riservatezza dei loro rapporti professionali
(giornalista, avvocato, medico etc).

Esempio pratico
La procura e anche il giudice di primo grado che ha giudicato questa situazione, ha condannato il
sacerdote per favoreggiamento ma non andando a viscerare fino in fondo tutti gli elementi di fatto
che dovevano essere considerati anche ai fini di una soluzione più completa, perché ha considerato
preminente la norma penale, cioè per il giudice di primo grado non importa la condizione del
sacerdote o l’esercizio del ministero, ma importa solo che ha violato la norma penale.

Norma un po’ grossolana perché non tiene conto che l’esercizio del ministero è l’espressione
dell’esercizio della libertà religiosa previsto dall’articolo 19 Cost che ha il ministro di culto come il
comune cittadino (l’esercizio del culto è uno degli oggetti specifici della libertà religiosa) e quindi il
sacerdote non ha fatto altro che esercitare il suo diritto di libertà religiosa.
Proprio perché il giudice di primo grado non ha tenuto conto di questo aspetto, ha avuto buon gioco
la Corte di Cassazione a dire “ma il sacerdote che celebra la messa nel rifugio del latitante non è
accusato di associazione mafiosa, non ha commesso un crimine, ma si è solo recato nel rifugio del
latitante per amministrare il sacramento della confessione”.

Questo ha consentito alla Cassazione di annullare la sentenza del giudice di primo grado con l’ipotesi
di reato di favoreggiamento a carico del sacerdote, secondo la Corte c’è solo un mero esercizio di un
diritto, quindi l’applicazione dell’articolo 51 Cost che dice che se uno commette un’azione ma
quell’azione esprime l’esercizio di un diritto, non si configura un reato; quindi il sacerdote è stato
assolto perché più che andare a richiamare le norme generali sul secreto professionale si cui il
sacerdote comunque si è avvalso, la Corte ha richiamato l’esercizio di libertà religiosa dicendo che il
sacerdote ha solo esercitato il suo Ministero, che prevede anche di andare fuori dai luoghi di culto
per amministrare i sacramenti.

Se questa fattispecie si risolve in questi termini con il richiamo al diritto di libertà religiosa, un po’ più
complicato è stato un secondo caso che riguarda sempre il segreto professionale perché mette in
relazione la norma prevista dall’accordo dell’84 e la norma unilaterale (200 c.p.p).

Va detto che il 271 c.p.p prevede l'inutilizzabilità della prova (se c’è un’intercettazione che riguarda
un’attività relativa all’esercizio dell’amministrazione di un sacramento, quella notizia così acquisita
non è utilizzabile); quindi c’è una rilevanza processuale.

La fattispecie che si è presentata fa riferimento ad un calciatore che si è venduto una partita di calcio
e scrive ad un settimanale cattolico accusandosi di questo.

La polizia giudiziaria acquisisce il dato e avvia delle indagini perché il reato contestato è quello di
frode in competizione sportiva e per acquisire delle informazioni la polizia giudiziaria si reca dal
direttore del settimanale e chiede sia informazioni più specifiche sull’accaduto e chiede anche di
acquisire la lettera completa ed il nome della persone che si è accusata.

Il direttore del settimanale è un giornalista, ma era anche un sacerdote, ministro di culto e rifiuta di
dare le informazioni alla polizia apponendo il segreto ministeriale, ma il segreto ministeriale in
quanto ministro di culto o il segreto professionale in quanto giornalista? La prima: un contro è
l’articolo 4 dell’accordo e un conto è il 200 c.p.p perché se faccio valere il segreto in quanto
giornalista, mi avvalgo della dipsozopne unilaterale dello Stato, ma quella disposizione disciplina in
maniera diversa, più completa questo istituto tanto è che prevede che comunque c’è un’esigenza di
indagine, se ricorrono determinati presupposti il giudice può ordinare di passare sopra il segreto
professionale (al pirmo comma dice che ci sono soggetti che hanno l’obbligo di non riferire
all’autorita giudiziaria mentre al secondo comma afferma l’eccezione): se come giornalista mi rifiuto
di dare l’informazione, il giudice comunque fa i suoi accertamento per vedere se quello che mi stai
dicendo rientra o meno nell’esercizio della tua professione (quindi c’è un margine di sindacato da
parte dell’autorità giudiziaria che invece non c’è nell’ambito della norma bilaterale).
Poniamo che applichiamo l’articolo 4: siccome la norma possono anche intendere che sia lacunosa:
afferma che gli ecclesiastici non sono tenuti a dare informazioni alle autorità, quindi non sembra
ammettere un sindacato, ma chi giudicava della fattispecie si è posto il problema: c’è una cosa che il
legislatore pattizio non ha specificato: posso andare a considerare altre norme dell’ordinamento per
risolvere questa fattispecie? Posso andare ad attingere ad altre fonti per risolvere la fattispecie? (Il
presupposto è la lacuna dell’ordinamento).

Se io attingessi a norme unilaterali per interpretare una norma bilaterale, però, violerei il principio
della bilateralità necessaria, il principio consacrato nell’articolo 7 cost che dice che i rapporti tra Stato
e chiesa sono regolati dai Patti e che la modifica dei Patti richiede revisione costituzionale se non c’è
accordo tra le parti.

Se io mi avvalgo di una disposizione unilaterale anche solo per via interpretativa, sto integrando in via
unilaterale una dispozione pattizia e quindi è un ragionamento che viola l’articolo 7.

Questa stessa cosa la posso argomentare se richiamo l’articolo 14 dell’accordo che mi dice che
quando c’è una difficoltà interpretativa, si costituisce un’apposita commissione paritetica che ha il
compito di risolvere i problemi interpretativi che possono nascere e quindi risolvere in via
interpretativa questo dubbio non si può fare.

Questo problema si è verificato con riferimento al segreto professionale, ma anche nell’ambito del
matrimonio, quando ci sono state modifiche unilaterali nell’ambito del riconsocimento delle snetenze
straniere che hanno consentito di accogliere in Italia le sentenze straniere e si è detto “ si può fare la
stessa cosa anche per le sentenze sull’unità matrimoniale?”, si disse di no perché si andrebbe a
violare una dispozione pattizia.

Tornando al caso del sacerdote e direttore che oppone il segreto professionale, qual’è Stato l’ epilogò
di questa fattispecie è stato che si è indagato sul fatto se la lettera che il calciatore ha scritto è una
lettera scritta al giornalista o è stata scritta al ministro di culto? Lui scrive la lettera in quanto fedele o
in quanto calciatore e l’altro risponde come giornalista o come ministro di culto?

La situazione si è definita riconoscendo che sia il calciatore che il direttore hanno agito l’uno in
quanto fedele della chiesa cattolica e l’altro in quanto ministro di culto.

Si è arrivati a questa soluzione perché quello che il calciatore voleva fare con questo gesto è quello di
fare una denuncia riguardo comportamenti che lui riteneva lesivi della sua appartenenza non tanto
ad una società, ma alla categoria dei cattolici (per questo non scrive al Corriere della Sera per
esempio), voleva mettere in rilievo la sua appartenza ad una dimensione religiosa.

Circa il ruolo del direttore, quello che è emerso come elemento di fatto che ha consentito di arrivare
alla soluzione giuridica, è che in questo caso l’attività della comunicazione (del diffondere con i mezzi
di comunicazione il essa bio evangelico) è un’attività che rientra nell’ambito dell’esercizio
ministeriale.

Poteva non essere un sacerdote, ma lo era, ma anche in quanto direttore può svolgere un ministero,
che è quello dell’ evangelizzazione: la chiesa opera e agisce anche con i mezzi di comunicazione e
questa cosa non trasforma l’attività ad attività giornalistica, di divulgazione, ma è solo uno dei mezzi
di evangelizzazione che la chiesa utilizza.

Questo per sottolineare che l’analisi del fatto, delle situazioni, è un mezzo che consente di arrivare ad
un’applicazione più vista di dispozioni che possono sembrare lacunose.

Con riferimento sempre ai ministri di culto consideriamo un’altra situazione, che si riferisce ad un
obbligo che era previsto nell’articolo 8 Concordato e oggi considerato anche nell’articolo 2 del
protocollo addizionale (che da i criteri per chiarire singole disposizioni dell’accordo).

La disposizione dice che quando sono indagati ecclesiastici, l’autorità giudiziaria comunica all’autorita
ecclesasitca superiore che c’è un procedimento penale in corso che riguarda un ecclesiastico

Questa previsione, nel concordato del ‘29 aveva questa finalità: la figura dell’ ecclesiastico era molto
rilevante e tale disposizione serviva per consentire all’autorità ecclesiastica di prendere
provvedimenti per far sì che ci fosse un’indagine su un ecclesiastico, anche per evitare scandali
l’autorità provvederà a spostarlo, trasferirlo.

Questa disposizione è stata trasporta dopo l’accordo dell’84 nel protocollo addizionale: il problema di
questa disposizione sorge qualche anno più tardi, perché quando si è scritta questa disposizione era
in vigore il codice di procedura penale del 1930; nel 1989 c’è stata la riforma del codice e perché si
sono creati problemi?

Prima dell’entrata in vigore del nuovo codice, il reo era tale nel momento in cui la polizia giudiziaria
avviava delle indagini e quindi anche nella fase delle indagini l’ ecclesiastico era considerato un
imputato: bastava un’informazione alla polizia, avviare un’indagine che quel soggetto era considerato
imputato.

Quindi se questa era la situazione, l’informazione da parte dell’autorità giudiziaria all’autorita


ecclesastica non creava nessun problema.

Con il nuovo codice questa situazione è cambiata: non basta essere iscritto nel registro degli indagati
per essere soggetto ad un procedimento penale, non basta che la polizia giudiziaria indaghi sulla
persona per dire che c’è un procedimento penale nel suoi conforti.
Ora le indagini iniziano quando c’è l’esercizio dell’azione penale, che si ha quando si concludono le
indagini (che sono segrete).

Quindi si è posto il problema che l’autorità giudiziaria non informava più quella ecclesiastica anche
perché era scritto in maniera molto specifica nel articolo 129 dispozioni di attuazione del c.p.p.

Questo caso si è posto quando ci fu un indagine sui reati di usura nei confronti dell’arcivescovo di
Napoli (cardinale Giordano) e si omise di dare comunicazione all’autorita ecclesatica superiore (Santa
sede), la quale contestò questa cosa.
A differenza del caso di prima sul procedimento confessionale, il fatto che qui non ci sia stata la
comunicazione non incide sul procedimento, il quale continua normalmente.

Abbiamo preso questa situazione per sottolineare che questa fattispecie ha dato la possibilità di
specificare il senso di questa disposizione, però è stata una modalità fatta in via bilaterale: è vero che
da quando è sorto il problema sono passati più di 20 anni per la soluzione, perché la legge che ha
chiarito la fattispecie è del 2021, ma ha consentito di chiarire quetsa dispozione perché ci si è chiesti
se questa sia ancora attuale, abbia ancora senso ad oggi avere una disposizione che prevede di
informare l’autorità superiore dei procedimenti penali a carico degli ecclesiastici?

Questa disposizione è servita a chiarire un aspetto più generale: si porta dietro dal concordato del 29
una concezione di rapporti tra Stato e chiesa come se fossimo di fronte ad una logica di confronto tra
due ordinamenti differenti.

Che io posso leggere le norme dell’accordo come norme interoridnamnetali, cioè come norme tra
due ordinamenti differenti è una cosa che serve per interpretare le norme del concordato.

La Chiesa ha una sua autonomia, indipendenza, esigenze, si confronta con lo Stato e ottiene qualcosa
in un’ottica di rapporti tra due ordinamenti e questa è una delle letture delle norme dell’accordo.

C’è un’altra idea che può essere rivalutata rispetto ad una valutazione generale che deve guidare la
lettura delle norme tra i rapporti tra Stato e Chiesa e questa nuova lettura è la giustificazione che ha
portato alla riforma del concordato del 29 ed è l’attenzione di tutte le norme dell’accordo alla tutela
del cittadino fedele, alla tutela del sentimento religioso della popolazione, della libertà religiosa dei
cattolici: se si guarda alle norme dell’accordo nell’ottica del riconsocimento di una libertà, di una
garanzia particolare, non di un privilegio all’ordinamento canonico ma al cittadino fedele per
esercitare meglio il suo diritto di libertà religiosa.

Questa norma non è più vista come disposizione per salvaguardare l’ecclesastico, ma che serve per
tutelare la comunità dei fedeli: io di un ecclesiastico che è indagato di violenza sessuale su minori, se
l’autorità ecclesastica è informata può prendere provvedimenti nei suoi confronti e questa misura va
a favore della comunità di fedeli, perché l’autorità può intervenire per salvaguardare la posizione non
del singolo, ma dei fedeli.

C’è nell’ambito del nostro ordinamento statale qualcosa di simile previsto a tutela dell’interesse
generale?

Quando si indaga su un avvocato, o quando si deve fare un sequestro in uno studio legale, il consiglio
dell’ordine viene informato dall’autorità ecclesastica e la logica alla base è la stessa.
L’interesse superiore è che quel diritto di difesa ha un valore tale da sacrificare anche le indagini: se
informo il consiglio dell’ordine che sta lì a tutelare il diritto di difesa dei cittadini, questa cosa la
assicuro anche mettendo a rischio un’indagine.
Tra i punti di novità dell’accordo dell’84 c’è una disposizione, articolo 7 punto 5, in cui si dice che
sono rilevanti agli effetti civili i controlli canonici.
Vuol dire che tutta la disciplina canonica sull’amministrazione dei beni degli enti ecclesiastici rileva
nello Stato italiano (rileva la normativa canonica sui beni e sull’amministrazione).
La mancanza del rispetto della normativa canonica comporta l’invalidità degli atti di amministrazione
o sui beni ecclesiastici.

La normativa canonica ha come peculiarità il fatto che la chiesa ha impostato una serie di regole
rigide.
Si tratta di vigilare sui beni della chiesa, ma che debbono servire per realizzare la missione stessa.
La chiesa si premura di avere delle regole così che gli amministratori degli enti della Chiesa siano
vincolati al rispetto della normativa.

Il grosso di questa normativa la troviamo nel libro quinto del codice di diritto canonico; il resto della
normativa che rileva in questa materia la troviamo negli statuti e negli atti che l’autorità ecclesiastica
è tenuta a depositare nel registro delle persone giuridiche.
Nel registro delle persone giuridiche sono iscritte le vicende degli enti e le norme particolari non
previste dal codice dell’amministrazione sul regime dei beni ecclesiastici e sulla amministrazione.
L’iscrizione nel registro costituisce una forma di pubblicità e serve per rendere noto il sistema dei
controlli canonici.

Un bene ecclesiastico è quel bene (mobile o immobile) che appartiene ad una persona giuridica
pubblica della chiesa.
Nell’ordinamento canonico le persone giuridiche possono essere sia pubbliche che private e le prime
possono avere in proprietà dei beni chiamati appunto “ecclesiastici”.
Queste persone giuridiche pubbliche sono quei soggetti giuridici che possono agire in nome e per
conto della chiesa (una congregazione religiosa è una persona giuridica pubblica, così come una
diocesi, mentre un’associazione privata di fedeli può si avere personalità giuridica ma sarà privata,
cioè non è titolare di beni ecclesiastici).

Altra cosa sono le res sacrae, cioè beni che hanno ricevuto una benedizione o una dedicazione
particolare ad un culto e che non sono necessariamente un bene ecclesiastico. Vuol dire che può
appartenere anche ad un privato.

REGOLE SULL’AMMINISTRAZIONE DEI BENI ECCLESIASTICI: amministrare significa gestire un


patrimonio e l’attività dell’amministratore può essere ordinaria o straordinaria.
In generale, la prima, è di gestione del bene senza rischi, la seconda invece è più rischiosa.

Nell’ordinamento canonico, quali sono gli atti straordinari?

Sono quelli indicati negli statuti degli enti ecclesiastici; se si tratta di enti senza statuti (come la
parrocchia), il quel caso è il vescovo che deve fare l’elenco degli atti di straordinaria amministrazione
e depositare l’atto nel registro delle persone giuridiche.
Rispetto a tutto il territorio nazionale e quindi le diocesi, qual’è l’autorità ecclesiastica che indica gli
atti di straordinaria amministrazione? La CEI.

Come si conosce questo atto? Si conosce perché deve essere notificato al ministero dell’interno.
La CEI redige questo elenco che vale per tutto il territorio nazionale.

Quando si è di fronte ad un atto di straordinaria amministrazione, quali sono le regole da rispettare?


Sono quelle che attengono all’autorizzazione per porre in essere determinati atti individuati
nell’elenco della CEI.
Gli atti straordinari, quindi, possono essere posti in essere dall’amministratore, se sono stati
sottoposti ad autorizzazione dell’autorità ecclesiastica superiore (ad esempio nella diocesi dal
vescovo).

La licenza è l’atto di autorizzazione e deve essere preceduta da pareri che sono previsti da norme
canoniche.
Quindi, oltre alla licenza, si richiede la ricezione di pareri di determinati organi e il consenso da parte
di un organo consultivo appositamente istituto.

Il sistema di controllo quindi prevede:

● Autorizzazione autorità ecclesiastica superiore


● Pareri obbligatori di determinati organismi
● Consenso degli organismi consultivi ù

Fatto tutto ciò, l’atto di straordinaria amministrazione, dal punto di vista canonico, ha superato
l’esame della normativa canonica e si tratta di un atto posto in essere validamente.

L’invalidità rileva nell’ordinamento italiano: l’articolo 18 della legge 222 dice che: “ ai fini
dell’invalidità un efficace di negozi giuridici posti in essere posti a terzi, che non ne fosse a
conoscenza, le limitazioni dei poteri di rappresentanza o l’omissione di controllo i canonici che non
risultino del codice di diritto canonico o dal registro delle persone giuridiche”.

Questo sistema che vale per l’amministrazione è diverso degli atti di alienazione, in quanto
nell’ordinamento canonico l’alienazione segue un sistema diverso da quello che vale per gli atti di
straordinaria.
Questa differenza viene giustificata in forza dell’idea che permea l’ordinamento canonico secondo cui
l’alienazione è atto estremo, perché i beni ecclesastici servono l’adempimento di questa missione
della chiesa.

Parliamo ora dei Beni Culturali della chiesa (non oggetto di esame).

Qui ci sono delle peculiarità e distinzioni; partiamo dicendo una cosa generale: la chiesa a provato a
sottrarre i beni culturali ecclesiastici dalla normativa statale a questo tentativo non è mai riuscito: il
concordato del 1929 non ha nessuna norma specifica, ma soltanto ottenuto nel trattato una
disposizione (articolo 18) Secondo cui “i tesori d’arte di scienza esistenti nella città del Vaticano
palazzo del Laterano rimarranno visibili agli studiosi ai visitatori, pur essendo riservata la Santa sede
piena libertà di regolare l’accesso al pubblico”.

Rispetto ad alcuni immobili locati a Roma di proprietà della chiesa è stata riconosciuta all’extra
territorialità.

I patti, ricordiamo, oltre ad essere composti dal trattato del concordato, sono costituiti da quattro
allegati:
- Una riguardante la mappa della città del Vaticano
- Seconda con la mappa dei beni immobili extra territoriali
- La terza e la mappa degli immobili extra territoriali che non vanno incontro a tributi e le
espropriazioni
- La convenzione finanziaria

L’extra territorialità vale a sottrarre questi mobili dalla normativa statale riguardanti Beni Culturali.vi
è un’esenzione, per cui gli immobili indicati negli articoli 3 e 16 del Trattato del laterano, dalla
normativa statale.

L’accordo del 1984 a previsto invece una disposizione (articolo 12) rispetto al patrimonio culturale
ecclesiastico: “ la Santa sede Repubblica italiana, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del
patrimonio storico e artistico”.
La garanzia tratto da questa disposizione consiste nel fatto che su questi beni su cui insiste interesse
culturale autorità statale può procedere applicando la normativa statale solo previo accordo con
l’autorità ecclesiastica.
Per tutti gli altri beni culturali vale la normativa statale italiana desunta dall’articolo 9 della
costituzione, in quanto impegna sia il patrimonio nazionale civile ma anche quello religioso.

SOSTENTAMENTO DEL CLERO

In Italia possiamo parlare di un ‘modello italiano di sostentamento del clero'.


Questo per sottolineare un aspetto generale del tema: la materia del sostentamento del clero, in
senso proprio, è di competenza esclusiva della chiesa, nel senso che la chiesa dell’ordinamento
canonico deve provvedere a creare un sistema per sostenere il proprio clero, non è una res mista in
senso proprio, non c’è un’esigenza comune tra stato e chiesa che insiste nello stesso ordine e che
dunque richiede necessariamente una disciplina bilaterale.

È una materia bilaterale perché stato e chiesa la disciplinano bilateralmente, ma per sua natura non è
una res mista, non concorre un interesse dello stato così come c’è un interesse della chiesa, è solo
un’esigenza canonica.
La chiesa, ormai da 2000 anni, ha sempre avuto una disciplina sul sostentamento del clero, sin dalla
prima comunità.
Il modello italiano prevede una materia bilaterale, in altri paesi funziona diversamente, dove magari
lo stato paga lo stipendio del clero e dei sacerdoti. Il sistema italiano è bilaterale solo per circostanze
storiche.

La chiesa da sempre ha avuto un sistema di sostentamento del clero, dall’anno 1000 in poi è stato
recepito nel codice del 1917 un modello al quale lo stato reagì.
Lo possiamo definire partendo dal Risorgimento: all’epoca, metà 1800, il sistema che vigeva nella
chiesa era questo: l’ecclesiastico (sacerdote, vescovo, vicario) titolare di un ufficio, riceveva la sua
remunerazione da una dote patrimoniale costituita in beneficio (massa di redditi). Affianco l’ufficio
ecclesiastico, c’è sempre una dote patrimoniale.
Con il reddito si remunera l’ecclesiastico: si parla di sistema beneficiale.

Rispetto a questo modello che vige nella chiesa universale, quindi anche in Italia, dal punto di vista
del regno di Sardegna e dello stato italiano del 1861, lo stato ha bisogno del consenso dei parroci e
doveva stemperare i conflitti che c’erano con la chiesa, quindi comincia ad interessarsi del
sostentamento del clero, ritiene ci siano forti sperequazioni, disuguaglianze.

Gli uffici avevano doti diverse e di conseguenza sostentamenti diversi.


Per attutire a questa situazione, lo stato italiano interviene stabilendo che gli ecclesiastici non
possono avere una remunerazione inferiore ad una determinata cifra che stabilisce lo stato stesso.
Per legge si stabilisce una quota minima per i parroci, non per tutti gli ecclesiastici, essendo i parroci
coloro che si trovano tra la gente, svolgevano servizi a favore dei cittadini e questi ne usufruivano,
c’era l’esigenza di sostenere i parroci e fare dei provvedimenti che contribuivano a rendere i servizi ai
cittadini in maniera ottimale.

Si stabilisce quindi la soglia minima di remunerazione e per i parroci che non raggiungono quella
quota stabilita dalla legge, interviene lo stato con il supplemento di congrua: un supplemento per
raggiungere quel limite minimo, si chiama così perché l’ars congrua è quella parte di reddito che
produce beneficio, assicurato al titolare ecclesiastico, mentre il supplemento è il contributo statale a
completamento dell’ars congrua.

Questo modello del supplemento di congrua viene fatto proprio dallo stato italiano nel momento in
cui si costituisce il regno d’Italia, il primo provvedimento che una normativa generale detta sulla
proprietà ecclesiastica, il decreto luogotenenziale n.3036/1866, il quale è una delle prime leggi
eversive della chiesa perché ne espropria i beni.

La stessa legge che espropria i beni della chiesa dice che “comunque mi occupo anche del sistema di
sostentamento e assicuro la remunerazione con questo sistema”. Lo stato voleva appropriarsi dei
beni così come stabilito dalle leggi eversive di metà '800. Espropriando i beni ecclesiastici, di
conseguenza anche molti benefici sono stati espropriati.

Questa è la vicenda fino all’entrata in vigore del concordato del 1929: momento in cui si superano i
conflitti stato e chiesa, anche se già durante il conflitto lo stato cercava di ottenere la simpatia degli
ecclesiastici. Il sistema nel '29 non cambia, ma la materia diventa concordataria all'art. 30 del
concordato, stato e chiesa bilateralmente si impegnano a mantenere questo modello.
Succede però nel tempo che comincia a emergere, soprattutto nella chiesa, una certa critica a questo
sistema canonico di sostentamento, si contesta questo modello beneficiale, si avvertono degli abusi,
contraddizioni: il fatto che restano comunque uffici più interessanti rispetto ad altri dal punto di vista
economico, provoca che molti ecclesiastici tendono a rimanere in quegli uffici in cui si ottiene di più.

Pertanto, la chiesa vuole superare questo modello e l’occasione è offerta dal concilio vaticano II: si
fissano i principi per una riforma e superamento del sistema del beneficio. Il concilio vaticano II è dei
primi anni '60, c’era in vigore il concordato del '29, quindi vi era il problema di far convergere anche
lo stato italiano nel superamento, essendo materia bilaterale.

È un’esigenza che si può realizzare solo con la revisione del concordato con lo stato Italiano. La
chiesa, dal punto di vista canonico, supera il sistema beneficiale con il codice di diritto canonico del
1983 e nel 1984, in occasione della revisione del concordato del '29, la chiesa manifesta allo stato
l’esigenza di rivedere il modello, ritenendolo inadeguato rispetto ai tempi.

Propone che la norma contenuta nel codice del diritto canonico “superi il sistema beneficiario con un
nuovo sistema per cui in ogni diocesi del mondo si istituisce un apposito istituto che possa ricevere
offerte e beni da parte dei fedeli, con le quali si remunerano gli ecclesiastici che collaborano e
svolgono servizio nella diocesi”.

Questo è il sistema che ha le premesse nel concilio e viene codificato nel codice. Lo stato, tuttavia,
ritiene comunque utile la sua partecipazione nel sistema del sostentamento del clero.

Il sistema è definito nel protocollo del 15 nov 1984, che contiene anche le norme su enti e beni
ecclesiastici, è stato eseguito con legge 206 dell’85 e poi con legge d’esecuzione n.222.
Prendendo in riferimento la 222, gli artt. 21 ss. disciplinano il modello italiano di sostentamento del
clero.

I principi generali assunti con questo nuovo modello:


- Il sostentamento è materia di competenza della chiesa, essa vuole che sia primariamente la
comunità dei fedeli ad assicurare il sostentamento, anche se poi non si realizzò
concretamente;
- stato partecipa finanziariamente lasciando ai cittadini la possibilità di definire i termini
quantitativi del finanziamento;
- Assicurare al sistema massima trasparenza.

Gli ecclesiastici non si sentono più dipendenti dello stato. Il supplemento del congruo li rendeva
fidelizzati, subordinati.
Questo modello è stato superato anche per questo

Concretizzazione dei principi:


In ogni diocesi ciascun vescovo provvede a creare l’istituto diocesano per il sostentamento del clero.
Le norme 21 ss. della legge 222 prevedono che in ogni diocesi il vescovo costituisce l’istituto
diocesano.

Istituto diocesano: ente ecclesiastico civilmente riconosciuto che assicura il congruo e dignitoso
sostentamento al clero che svolge un servizio a tempo pieno a favore della diocesi.

Diocesi: circoscrizione territoriale avente un territorio coincidente circa con quello di una provincia
italiana, a capo della quale c’è un vescovo.

Ma come fa ad essere un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto se svolge una funzione di


remunerazione del clero e non, come per definizione, ha finalità di religione e culto? È effettivamente
un’eccezione alla regola.

Da dove ricava la fonte di reddito per remunerare? Gli istituti diocesani sono stati istituiti con ex beni
del beneficio, non espropriati dallo stato. L’istituto diocesano ha: uno statuto apportato dal vescovo:
una dote patrimoniale; un consiglio di amministrazione.

Ad attuare tutto ciò è una normativa canonica che ha emanato la conferenza episcopale italiana: essa
ha definito quale sia la remunerazione, quanto sia, a chi deve essere destinata, quale sia il ‘tempo
pieno’ che garantisce la remunerazione, …

Questa normativa canonica, contenuta oggi in un testo unico n. 58/1991, rileva anche nello stato
italiano: se un giudice viene investito di una questione sul sostentamento, deve fare riferimento a
questa normativa canonica.

Come si costruisce la remunerazione? La conferenza stabilisce alcuni criteri:


- Quantificare una somma minima dovuta a tutti in egual misura: 2/3 della remunerazione
sono uguali per tutti (criterio di uguaglianza)
- 1/3 può subire variazioni per situazioni particolari, ad esempio in base all’anzianità, se il
parroco abbia un alloggio, …
- Ognuno di questi criteri ha un numero determinato di punti: es. la parte uguale per tutti vale
80 punti; quella legata all’anzianità vale 2 punti ogni 5 anni di anzianità; l’importanza
dell’ufficio vale 3 punti se sei parroco, 5 se sei vicario diocesano; possesso o meno alloggio.

A ogni punto si attribuisce valore economico fissato in 12,61 centesimi. Moltiplicando il valore
economico per i punti si ha la remunerazione dell’ecclesiastico: questo è il congruo e dignitoso
sostentamento per il servizio a tempo pieno che l’ecclesiastico offre alla diocesi.
Dal punto di vista giuridico, la remunerazione non è uno stipendio ma un assegno di natura
alimentare, non assicura il mantenimento ma le condizioni essenziali di vita (vitto, alloggio, vestiario,
cure mediche).
È anche un diritto soggettivo, per lo stato, può essere fatto valere anche davanti ai giudici dello stato,
si assicura un sistema di tutela all’ecclesiastico.
In ogni diocesi si istituisce un organismo di composizione per eventuali controversie a cui viene
riconosciuta la giurisdizione nel caso in cui l’ecclesiastico lamenti qualsiasi problema rispetto alla sua
remunerazione; quindi, può rivolgersi sia all’organismo sia al giudice dello stato: è una giurisdizione
alternativa.

In ogni diocesi si crea un istituto diocesano per il sostentamento del clero: nel sistema generale, se
l’ambito diocesano prevede la costituzione di istituti, a livello nazionale il sostentamento prevede la
creazione di un istituto centrale per il sostentamento del clero, creato dalla CEI, la cui funzione è
quella di intervenire nel caso i cui i singoli istituti diocesani siano incapienti rispetto alle
remunerazioni che devono assicurare al clero diocesano. C’è quindi questo organismo centrale,
anch’esso ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, che rende però gli istituti diocesani subordinati
ad esso.

Il patrimonio dell’istituto centrale per il sostentamento del clero si è istituito con la dotazione iniziale
conferita dalla CEI e con due singoli istituti con i quali partecipa lo stato finanziariamente:
- Istituto delle offerte deducibili: lo stato assicura la deducibilità delle offerte dei fedeli, se
questi fanno delle donazioni, lo stato le ammette a deduzione, cioè al momento della
dichiarazione dei redditi, le somme donate all’istituto centrale per il sostentamento del clero
possono essere dedotte dal reddito delle persone fisiche. Es. Io guadagno 10.000€ annui ma
1000€ li devolvo alla chiesa, io pago le tasse per 9000€ annui. Lo stato ammette la deduzione
fino ad un massimo di 1032€.

- Sistema dell’8 x 1000: molti capitoli del bilancio dello stato prima dell’84 prevedevano una
serie di finanziamenti alla chiesa cattolica, ministero dei lavori pubblici, del bilancio, finanze
avevano dei capitoli destinati al finanziamento della chiesa. Con l’ '84 e la scelta di questo
sistema vengono meno tutte queste voci del bilancio statale. Si stabilisce che una quota pari
all’8 x 1000 dell’IRPEF (massa generale dell’IRPEF ottenuta dai contribuenti), su scelta dei
cittadini, al momento della dichiarazione dei redditi, viene destinata alla chiesa cattolica,
oppure allo Stato italiano oppure ad altre confessioni per la realizzazione di determinate
finalità. La scelta della destinazione si ha nel momento in cui si fa la dichiarazione dei redditi,
al momento del pagamento delle tasse.

Inizialmente l’obiettivo della chiesa era affidare il sistema di sostentamento alla comunità dei fedeli.

Nella pratica però, le offerte sono sempre di meno e non sono sufficienti. L’8 x 1000 ha come
problema il fatto che prevede che i cittadini contribuenti partecipano e decidono a chi destinare la
quota, ma dovendo poi dividere in base alle scelte fatte, non tutti decidono di dare questa
indicazione, molti fanno la dichiarazione dei redditi e non scelgono. Il legislatore ha previsto, nel caso
in cui il cittadino non sceglie, che anche le scelte non espresse comunque si dividono in proporzione
alle scelte espresse.
Ripartisco le scelte non espresse in base ai numeri delle scelte espresse, in misura proporzionale. La
ratio del sistema ha a modello quello del sistema elettorale: nell’ambito delle elezioni politiche si ha
una distribuzione dei seggi in base ai voti espressi.
Coloro che non votano non contribuiscono alla ripartizione dei seggi.
Così avviene anche nel meccanismo del finanziamento della chiesa cattolica. La quota di Irpef non
scelta comunque viene ripartita, non inficia sulla distribuzione.

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