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Le funzioni del diritto sono: 1) orientare i comportamenti individuali (controllo sociale), 2) ridurre
la conflittualità sociale, 3) legittimare il potere (cioè stabilire i compiti che ognuno deve svolgere
all’interno della società).
1) Il potere per attuarsi deve avere un consenso da parte della collettività; oggi, dominando
l’individualismo, le regole non vengono più prese tanto in considerazione ma ognuno si fa le regole
da sé.
I legami sociali si sono ridotti al punto che si è ridotto anche il peso delle norme.
2) Perché le regole giuridiche riescano a ridurre la conflittualità sociale è necessario che
l’istituzione giuridica abbia un sufficiente grado di legittimazione (reso giuridicamente valido dallo
Stato); inoltre la collettività deve condividere le regole giuridiche.
I conflitti sociali vengono risolti dai giudici, i quali sono chiamati a stabilire chi ha torto e chi ha
ragione, e la pena da scontare per chi ha torto.
I magistrati, inoltre, portano un certo abbigliamento (toga, cappello) per tradizione e affinché tutti
comprendano il suo ruolo.
In un determinato territorio possono presentarsi diversi ordinamenti giuridici data la presenza di
numerose culture; sono diverse anche le fonti giuridiche, cioè oltre allo Stato ci sono anche altre
istituzioni che regolano in comportamento delle persone.
Tutti gli ordinamenti giuridici sono sullo stesso piano e non si può dire che uno è migliore di un
altro; talvolta, i vari ordinamenti possono collaborare tra di loro, per esempio nel caso di
matrimonio tra due persone appartenenti a culture diverse.
L’obiezione di coscienza è una predominanza della coscienza interna rispetto alle regole giuridiche
ma, ovviamente, la mia coscienza non diventa una regola giuridica.
3) Se esiste un certo ordine all’interno della collettività è possibile evidenziare la terza funzione
delle norme giuridiche, cioè la legittimazione del potere (per esempio il presidente per essere
eletto deve avere determinate caratteristiche che sono esposte nelle regole giuridiche.
IL PROBLEMA DELLA SOCIETA’ NEL DIRITTO – Analisi dei comportamenti sociali conformi e
difformi rispetto alle norme. Le leggi impongono un comportamento, ma vi è anche chi segue la
propria morale. I nuovi fenomeni della realtà portano alla creazione di un nuovo diritto e di nuove
leggi (ES; Autorizzazione del convivente per le cure mediche).
IL PROBLEMA DEL DIRITTO NELLA SOCIETA’ – Si analizza il fine, e le funzioni del diritto nella
società. Il diritto permette la risoluzione dei conflitti e la strutturazione della coesione sociale.
SCIENZA DEL DIRITTO: Si occupa (del dover essere – validità ideale) della lettura del “codice”, della sua
interpretazione a seconda delle situazioni, e al “comprendere” che norma applicare. Inoltre, i giuristi,
devono attribuire alla regola che applicano un significato corretto e logico.
SOCIOLOGIA DEL DIRITTO: Si occupa (dell’essere – validità empirica) di ciò che succede nella società. Studia
il muoversi dei gruppi sociale e il loro agire in base alle regole giuridiche esistenti. I soggetti nel loro agire
sono condizionati dalle norme giuridiche.
PREFAZIONE
L’intreccio tra scienza giuridica e sociologia è stato sempre strettissimo nella sociologia del diritto;
vi è una naturale convergenza del diritto e della sociologia sul tema dell’ordine sociale.
Gli strumenti formali del diritto, con cui si controlla la società, si intrecciano con quelli informali
con cui la società è in grado di organizzarsi. La sociologia del diritto dal secondo dopoguerra ha
conosciuto significativi sviluppi e una crescente affermazione internazionale, in quanto è diventata
la testimonianza di una profonda esigenza di rinnovamento avvertita dal mondo nel diritto, come
pure di diffuse richieste di un diritto migliore proveniente dalla società
Per quanto riguarda i concetti della disciplina distinguiamo quello sociologico del diritto (ricerca
sociologica-giuridica) e quello di cultura giuridica (rapporto tra diritto e società).
Per i problemi fondamentali della disciplina, l’attenzione viene posta sull’efficacia del diritto
(interessa il lato giuridico), cioè come il diritto si impone sui comportamenti degli attori sociali, e
sull’evoluzione del diritto (lato sociologico), cioè come la società influenza il diritto per
modificarne le strutture e i contenuti.
Von Savigny e George Friedrich Puchta (1798 -1846, allievo del fondatore di questa scuola)
fondarono la scuola storica tra il ‘700 e l’800, quando ancora non esisteva la sociologia del diritto.
Il diritto, secondo le idee di tale scuola, è un sistema dipendente dalla società, è un complesso di
norme che sorgono spontaneamente dalla società e non è assolutamente imposto dalla volontà di
un unico legislatore.
Il diritto, secondo la scuola storica, ha un duplice principio di vitalità, cioè ci sono 2 fattori che
rendono vivo il diritto: 1)da un lato vive come parte integrante di tutta la vita del popolo (es. per
noi è giusto il matrimonio gay, non è giusta la pena di morte e il diritto ne deve tener conto)e
questo è un elemento politico, che fa capo al popolo che crea costumi e regole sociali; 2) pur non
finendo di vivere nella vita del popolo, il diritto vive nell’ambito di una scienza speciale affidata ai
giuristi e questo è un elemento tecnico (1814) (cioè dopo che abbiamo deciso se una cosa è giusta
o ingiusta, i giuristi si riuniscono e formulano le leggi che vengono poi applicate dai giuristi, e
questo rende vivo il diritto).
Tra il ‘700 e l’800 sorse un dibattito tra la scuola storica e la scuola non storica. (SCUOLA STORICA
– TEDESCA; Non va creato un unico codice di leggi, perché queste variano in base ai costumi. Il
diritto è creato non dalle leggi, ma dalla cultura di un popolo e deve restare il frutto di un processo
collettivo che si protrae nel tempo e dura attraverso le generazioni. SCUOLA NON STORICA –
FRANCESI; Va creato un unico codice)
Friedrich Carl Von Savigny (1779-1861) sosteneva che il diritto non fosse solo creato dalle leggi
ma dalla cultura di un popolo e deve restare il frutto di un processo collettivo che si protrae nel
tempo e dura attraverso le generazioni. (il diritto è dipendente dalla società).
Come lui la pensa anche Erlich che segue la scuola storica però meno orientata al diritto positivo
(cioè meno legata alle leggi scritte), Von Savigny, invece, parlava ancora di un diritto positivo e
tecnico.
Friedrich Justus Thibaut (Tibò) (1772-1840) appartiene alla scuola non storica ed egli è un giurista
che sostiene la necessità di emanare un codice civile che raccoglie tutte le norme vigenti, in modo
che siano chiare e conoscibili. (Il diritto è una variabile indipendente dalla società – egli inoltre
creò un unico codice per Napoleone)
La scuola storica si oppone alla sua idea perché con un codice civile scritto la figura del giudice
perde la sua importanza.
Bentham sostiene che il diritto sia un sistema indipendente dalla società e che è uno strumento di
cui si serve il potere sovrano dello Stato per conservare o trasformare l’assetto sociale esistente.
Egli sostiene il principio di utilità delle leggi, cioè le norme hanno il compito di procurare la
massima felicità al maggior numero di persone possibile.
Il diritto è un comando e non un fenomeno di formazione spontanea e naturale che può essere
codificato a livello universale (cioè tutti possono conoscerlo e capirlo).
Bentham è anche il filosofo del Panopticon e della morale di cui parla Focault, sostenendo che
nelle carceri vengono controllati i detenuti senza che possano accorgersene e così nelle prigioni c’è
una direzione e un orientamento dei comportamenti dei detenuti, ci sono dunque delle norme da
seguire che regolano i comportamenti dei detenuti.
Egli respinge il fondamento metafisico della legislazione (cioè respinge come funzioni i concetti di
legge naturale di contratto sociale) e sostiene che la legislazione deve basarsi sul principio
dell’utile, quindi ciò che abbiamo detto prima, cioè deve rendere felici quante più persone
possibili.
A cavallo tra ‘700 e ‘800 nacque, come abbiamo già visto, la scuola storica e il primo codice di leggi
scritto si ebbe con Napoleone nel 1804.
Lo studio delle relazioni tra società e diritto sorse con Ehrlich ma prima di lui alcuni operatori
giuridici (e non i sociologi) hanno posto le basi per quella che solo dopo sarà la sociologia del
diritto.
In particolare, Comte (1798-1857) fondò la sociologia generale come scienza autonoma e ha
studiato la relazione esistente tre diritto e società.
Secondo lui, la sociologia introduce nelle scienze umane livelli di prevedibilità paragonabili a quelli
delle scienze naturali (es; ho il lato, calcolo il perimetro). Secondo l’autore viene prima la
rivoluzione filosofica e poi quella politica (ossia viene prima il pensiero, e poi il comportamento
sociale). Comte ipotizzò la presenza di tre stati teorici: 1) stato teologico o fittizio, dove i fenomeni
vengono prodotti da forze sovrannaturali, e a questo stato corrisponde un’epoca
teologica/militare, cioè un epoca in cui la società si lega alla teologia e alla forza militare;2) stato
metafisico o astratto, dove i fenomeni sociali sono prodotti tra forze astratte, e a questo stato
corrisponde un’epoca metafisica e giuridica; 3) stato scientifico o positivo, dove lo spirito umano
si dedica a scoprire, con ragionamento e osservazione, le leggi effettive dei fenomeni e le loro
relazioni, e a questo stato corrisponde un’epoca positiva e industriale, che per Comte è la migliore
poiché l’uomo non si dedica più a cose astratte ma a cose reali ed effettive (secondo lui i giuristi,
insieme ai metafisici, avevano perso il potere succedendo ai teologi e ai militari nella guida della
società, ma erano a loro volta destinati a cedere il potere agli scienziati e ai tecnici che avrebbero
costituito la classe dirigente della futura epoca positiva e industriale). Nell’epoca positiva e
industriale, vi è la classe dirigente (scienziati) che indicano cosa produrre, e poi vi sono i tecnici (i
lavoratori) che sanno come produrre un bene. (SAINT SIMON – Città governata da industriali)
Comte voleva ottenere uno stato scientifico proprio perché estende le teorie scientifiche alla
sociologia; egli fonda dunque una sociologia scientifica e si occupa di sociologia del diritto quando
riflette sulla statica sociale, cioè dei fatti e delle istituzioni sociali.
Per esso i fatti sociali devono essere oggetto di studio di una scienza positiva, cosi definisce
inizialmente questa scienza come fisica sociale, quella che poi sarà la sociologia.
Con la nascita dello stato scientifico, la parola diritto scompare dal linguaggio politico poiché è un
concetto metafisico che si oppone alla concretezza dei fatti sociali di questo stato.
Per Comte, nessuno ha altro diritto al di fuori di ciò che deve fare per dovere, ciascuno ha dei
doveri verso tutti ma nessuno ha dei diritti al di fuori dei propri doveri.
Dunque, il diritto scompare poiché ognuno saprà come comportarsi nella società, ognuno saprà
quali sono i suoi doveri e, per tale ragione, non serva più il diritto per regolare i comportamenti
delle persone ma tutti sapranno cosa e come fare.
I cittadini ovviamente non faranno ciò che vogliono ma ciò che devono. Nasce, cosi, con Comte la
sociologia generale di impianto scientifico.
Un ulteriore passaggio, oltre alla figura di Comte, che porterà alla nascita della sociologia giuridica
è la divaricazione tra senso comune e tecnica giuridica; in questo periodo diventa importante
uscire dalle regole sociali e formulare un insieme di regole giuridiche. Il diritto più che scomparire,
diventa qualcosa di morale (trasparente), gli uomini sono concepiti COME DIVERSI ORGANI DI UN
UNICO ESSERE. Ogni cittadino diventa un funzionario del proprio ufficio, e sa cosa fare.
Quindi, il diritto assume una certa autonomia rispetto alla società; il diritto diventa diritto scritto,
astratto e generale e si pone cosi al di fuori della società. Per evitare che si dilatasse in modo
eccessivo l’area del giuridicamente possibile, il diritto scritto aveva bisogno di una barriera di
protezione, (doveva essere protetto a livello logico e terminologico) costituita da tecnicismi (tutti
possono conoscere il diritto, non tutti possono parlarne). Nasce così una chiusura terminologica
favorita da interessi di ceto come la preoccupazione di difendere, agli occhi degli utenti, la capacità
del diritto in quanto tale di risolvere autorevolmente i conflitti (nella fantasia popolare l’immagine
dell’uomo di legge è stata spesso associata a stereotipi caratterizzati da un eccessivo rispetto
formale nei confronti delle norme e da una perdita di contatto con il mondo reale. Gli operatori
giuridici sono stati così bollati con appellativi caricaturali “azzeccagarbugli” “leguleio” ecc.)
Un altro giurista che si occupa dei rapporti tra diritto e società è Von Kirchmann (1848) (verso la
metà dell’800). Egli si oppone alla scienza giuridica dogmatica (cioè quella degli operatori del
diritto che gestivano tutto il diritto) e da importanza agli studi sociologici.
Quindi, per lui, le regole giuridiche non sono più solo dogmatiche ma derivano dalla società. Si
chiedeva come era possibile concentrare l’attenzione di giuristi su una scienza come scienza che di
fronte a “tre parole innovative del legislatore” rischia di gettare all’aria intere biblioteche? Nel
libretto “la mancanza di valore della giurisprudenza come scienza” (1848) Kirchmann, evidenzia il
contrasto tra la legge positiva rigida e schematica, oggetto della scienza, e il “diritto cosi come vive
nel popolo e viene attuato da ciascuno nella propria cerchia”. Kirchmann suggeriva di intendere i
limiti della scienza giuridica dogmatica anzitutto come difetto della capacità di corrispondere da un
certo ideale scientifico rispetto ad altre scienze in grado di realizzare meglio tale ideale. Era infatti
difficile sostenere che l’insieme delle norme giuridiche vigenti di cui si occupava la scienza giuridica
dogmatica fosse provvisto di requisiti richiesti da un modello positivistico di scienza, vale a dire
fondamentalmente dotato di stabilità, univocamente determinabile nei contenuti, efficacemente
in grado di vedere tradotte le proprie preposizioni nella realtà. Quanto a livello pragmatico, il
metodo deduttivo della scienza giuridica dogmatica risultava invero basato sulla mera correttezza
tecnica delle argomentazioni adottate per motivare una certa decisione, ma, non occupandosi dei
risultati effettivamente ottenuti, poteva esporsi a critiche da parte di chi adottava una visione
orientata più al livello sostanziale che a quello formale del diritto. Dall’altro lato l’astrattezza dei
principi del normativismo (il diritto migliore in tale contesto non è più quello vecchio, ma quello
nuovo), il che rende difficilmente controllabile per la stessa dogmatica giuridica il mantenimento
dei livelli accettabili di unità e coerenza.
Nota: il Normativismo è la concezione secondo la quale il diritto consiste essenzialmente di norme,
intese come entità regolative (di dover essere) vincolati e non essenzialmente riconducibili o
riducibili ad altro.
Strategie di stabilizzazione interna del diritto:
-riferimenti normativi più duraturi, come le norme organizzative che regolano la produzione di
norme (normazione di normazioni – norme che regolano la produzione di norme)
-riferimenti valutativi più ampi, come gli insiemi di valori in grado di legittimare i principi ispiratori
di interi ordinamenti (valutazione di valutazioni)
-riferimenti fattuali più generali come le regolarità tipiche che possono canalizzare le interazioni
sociali lungo percorsi standardizzati (regolarità di regolarità).
Le varie discipline giuridiche in cui la scienza giuridica dogmatica viene solitamente articolata (dal
diritto privato a diritto penale, dal diritto pubblico al diritto commerciale), devono infatti tenere
conto di esigenze, non solo astrattamente formali, ma anche relativi ad ambiti dell’agire umano cui
esse si riferiscono, esigenze che, nel corso del tempo possono mutare e richiedere quindi nuove
classificazioni e nuovi confini. Di fronte a queste difficoltà è lecito chiedersi: è veramente possibile
sostenere che esista una scienza del diritto capace di soddisfare i compiti richiesti dalla gestione
del diritto nella società? Non è forse più opportuno che, in luogo dell’adozione di un comune
modello scienza per tutte le scienze giuridiche, si adottino diversi modelli di scienza per le diverse
esigenze che l’ordinamento giuridico nel suo complesso è chiamato a soddisfare?
Si è affermata la tesi sostenuta da Kantorowicz (1962), secondo la quale occorrerebbe
istituzionalizzare diversi modelli di scienza per le diverse scienze del diritto (“la lotta per la scienza
del diritto” (1906): il diritto libero come il diritto che vive indipendentemente dal diritto dello stato
ed è anzi il terreno da cui nasce il diritto dello stato. “Gli stessi tribunali dello stato si riportano
sempre più alla buona fede, ai buoni costumi, al concetto della vita, all’egualità e gli altri surrogati
della legge”). Si ritiene, conseguentemente, che il diritto possa essere visto, oltre che come
“norma”, anche come “valore” e come “fatto” (quindi oltre un DIRITTO LIBERO, esiste una scienza
del diritto che è chiusa rispetto alla società, e questo viene messo in discussione dalla società,
ossia dal diritto libero.). Questa “triplice dimensione” ha consentito di giustificare una
corrispondente articolazione della scienza giuridica, la quale viene pertanto intesa o come scienza
dei valori giuridici (filosofia del diritto), o come scienza delle norme giuridiche (dogmatica
giuridica) o come scienza dei fatti giuridici (sociologia del diritto). Tre modelli di riferimento ora
indicati non si escludono a vicenda. La stessa ricerca sociologico-giuridica, risulta prevalentemente
ma non esclusivamente, orientata ai fatti, in quanto dovendo studiare le relazioni tra diritto e
Società, deve innanzitutto identificare i fatti giuridicamente rilevanti (cosa che i fatti non possono
fare da soli). I 3 modelli secondo Kantorwicz sono:
- Scienza delle norme giuridiche (scienza dogmatica)
- Scienza dei valori giuridici (filosofia del diritto)
Scienza dei fatti giuridici (sociologia del diritto – fatti che hanno importanza nel diritto).
L’approccio normativista può essere insomma superato dalla sociologia del diritto, ma non
ignorato. L’approccio normativista nella sua versione dominante è quello di Kelsen, si attaglia a un
modello di diritto basato su alcuni fondamentali presupposti:
-L’ordinamento giuridico positivo, posto dallo stato, è in grado di opporsi a tutti i condizionamenti
esterni provenienti dalla società.
-Assicura affidabilità delle decisioni, coerenza dei metodi e legittimità dei contenuti
-La scienza giuridica è in grado di riprodurre una figura di giurista capace di soddisfare la richiesta
di fungere da affidabile terzo nella soluzione dei conflitti.
Secondo Kelsen lo stato è l’ordinamento giuridico inteso “come sistema di norme espresse
linguisticamente in proposizioni di dovere e in giudizi ipotetici nei quali la condizione viene
collegata alla conseguenza tramite il deve, e se queste vengono trasgredite, vi è la sanzione”.
Abbiamo un’impostazione dello studio del diritto ispirata al normativismo da parte di Hans kelsen
che sottolineava l’orientamento del mondo delle norme positive a una concezione gerarchica delle
fonti e al diritto statuale. La costruzione a gradi dell’ordinamento richiedeva l’introduzione
dell’ipotesi di una norma fondamentale (Grundnorm), vale a dire di una norma presupposta e non
posta, in grado di recidere il ricorso, che in linea di principio poteva essere proseguito all’infinito,
da una norma valida a un’altra norma valida sovraordinata la precedente. La grundnorm è il primo
anello della catena al quale si può risalire passando da una norma valida (e posta), ad una norma
valida (presupposta) (ES; OSPEDALE, la norma presupposta/grundnorm è il SALVARE LA VITA,
quella posta invece è per esempio “l’utilizzo di certi medicinali che è regolamentato”).
Tali principi organizzativi ambivano a rendere “pura”, “autoreferenziale” la scienza giuridica,
contribuendo a riservare al giurista il compito cruciale di interprete delle norme, di “bocca della
legge”. Era ovvio quindi fare riferimento alla variabile normativa della “validità formale (dover
essere)” più che a quella empirica dell’” efficacia”. (CARATTERISTICHE SCIENZA GIURIDICA)
L’autore che in Italia più di ogni altro ha contribuito a sostenere nell'insegnamento universitario il
modello normativistico di impostazione Kelseniana è stato Norberto Bobbio. Bobbio ha cercato di
porre la concezione normativistica della scienza giuridica al riparo da due pericoli
contrapposti: quello della deriva verso la fallacia naturalistica, intesa come l'errore logico di chi
pretende di ricavare norme da fatti solo perché questi risultano costantemente ripetuti
esempio (dal fatto reiterato che i pesci grandi mangiano i pesci piccoli non è dato ricavare che i
pesci grandi debbano mangiare quelli piccoli) e quello della tentazione giusnaturalistica, che
poteva costituire una minaccia a mantenimento della neutralità dell'interprete introducendo
valori non incardinati nelle norme dell'ordinamento. Le ricerche della sociologia del diritto hanno
utilizzato gli strumenti di varie branche della sociologia dei punti la sociologia: sociologia delle
professioni, Sociologia dell'organizzazione, sociologia economica e la sociologia della
comunicazione. Una ricerca per poter essere annoverata in quanto tale nel quadro delle
ricerche sociologico-giuridiche, dovrà adottare un concetto <<sociologico>> di diritto che non sia
appiattito sui fatti. Per delimitare il campo di studio della Sociologia di diritto risulta
pertanto essenziale il quesito: <<Di quale diritto può essere sociologia la sociologia del diritto?>>.
La risposta a tale interrogativo è tanto più cruciale in quanto, essa dovrà consentire, oltre che uno
studio <<fattualmente verificabile>> delle norme, anche uno studio <<normativamente
consapevole>> dei fatti.
PARTE PRIMA
CAPITOLO 1
IL CONCETTO DI DIRITTO
Secondo una definizione sociologica del concetto di diritto, molto generica, il diritto andrebbe
inteso come una struttura normativa complessa che sia:
• Capace di predeterminare le procedure con cui reagire agli stimoli provenienti dalla
società; se la società cambia, il diritto è in grado di adattarsi attraverso procedure pre-determinate.
Gli elementi che compongono questo concetto di diritto riguardano rispettivamente: a) gli
strumenti di regolazione (strumenti che regolano la condotta di noi civili – es; codice stradale) e b)
di autoregolazione (si riferiscono ai soggetti artefici del diritto e delle leggi – regole dirette a giudici
per il loro comportarsi), c) funzioni del diritto (mantenere la coesione sociale) e d) le loro
potenzialità (applicabilità di ogni campo della vita). Essi delineano, pertanto, un concetto di diritto
che comprende norme interne rivolte agli operatori per prefissare criteri e principi del loro
intervento, a) e b), come pure norme esterne, rivolte ai consociati per ridurre le loro possibilità di
comportamento e consentire quindi reciproche aspettative nei vari ambiti del sociale, c) e d).
Il diritto risulta essere una struttura normativa capace di regolamentare se stessa prima di
regolamentare la società. Il presupposto logico è che solo un insieme di norme ordinato in modo
coerente al suo interno può riuscire a ordinare in modo coerente un qualunque oggetto posto al
suo esterno.
Il concetto sociologico di diritto può essere in tutto o in parte indipendente dal concetto normativo
di diritto? Di quali requisiti interni al diritto come noi lo conosciamo deve tener conto un approccio
esplicitamente non normativistico come quello sociologico?
LA CONTROVERSIA KELSEN/EHRLICH
Secondo Kelsen in mancanza di una qualificazione normativa, non si possono individuare i fatti che
sarebbero rilevanti studiare per comprendere la norma da un punto di vista sociologico. (Kelsen
rimprovera Ehrlich di confondere il confine tra un discorso relativo al mondo delle norme e un
discorso relativo al mondo dei fatti)
Ehrlich, a sua volta, sottolinea la priorità temporale e sociale, rispetto al diritto posto dallo stato,
del diritto che nasce spontaneamente dalle relazioni sociali, e che proprio per questo è in grado di
regolarle in modo autonomo, giungendo solo in minima parte a consolidarsi quale diritto positivo.
Ehrlich (seguace della scuola storica – ritiene infatti che le norme siano il risultato di un processo
condizionato da variabili storiche e sociologiche – DIRITTO INCREMENTALE Il diritto è figlio
naturale della società e del suo sviluppo) ha una concezione del diritto che guarda ai fenomeni
sociali elementari (importanti), dai quali si sviluppa il diritto positivo. Secondo Kelnsen quello che
avviene nella società non conta; conta lo Stato, è esso che produce le norme, che concepisce da sé
stesso e non dalla società (normativismo).
1. La prima accusa di Kelsen riguarda l’inconsistenza del criterio proposto da Ehrlich per
separare il diritto dagli altri insiemi di regole dell’agire è sbagliato. Qual è questo criterio?
Ehrlich, distingue il diritto dalle altre regole in base alla diversa intensità (di reazione) dei
sentimenti e emozioni che si manifestano in base alle trasgressioni. Come se il diritto si
rifacesse alle norme della morale, della religione, del costume, ecc. (Es; contro il pedofilo,
c’è una reazione consistente, quindi è necessaria/applicabile una norma giuridica – Questa
rappresenta anche la TEORIA DEL RICONOSCIMENTO, il quale afferma che il “tipo” e
“l’intensità” di reazione è importante per stabilire se sia necessaria/applicabile una norma
giuridica)
Pertanto, egli distingue il sentimento di rivolta che segue alla violazione del diritto dal sentimento
di indignazione provocata dall’inosservanza di una legge morale.
Kelsen gli contesta che una tale definizione sarebbe basata su elementi del tutto inafferrabili (non
si può basare l’esistenza/creazione di una norma in base ad un sentimento – REAZIONE FORTE
REGOLA GIURIDICA – REAZIONE DEBOLE REGOLA SOCIALE MORALE). Egli sfida Ehrlich a
mostrare concretamente in cosa il sentimento di rivolta che segue alla violazione del diritto si
distingua dai sentimenti di indignazione, di risentimento, di disapprovazione, con cui si reagisce
alla violazione delle altre norme sociali. Per Kelsen, è lo STATO che fa le leggi, e non i sentimenti.
Ehrlich ribatte affermando che la definizione da lui elaborata non è definitiva anche se comunque
affidabile. Per E. insomma, la norma non si individua nelle leggi scritte ma l’atteggiamento della
società nei confronti delle norme stesse. Kelsen conclude dicendo che la sociologia giuridica di
Ehrlich non si distingue dalla scienza psicologica.
3. Una terza accusa di Kelsen riguarda l’incoerenza dell’articolazione dei vari «fatti del diritto”
(cioè i fatti giuridicamente rilevanti come rapporti di dominio, di possesso, dichiarazione di
volontà, consuetudine), che per Ehrlich sono il nucleo fondamentale del diritto stesso. I
rapporti di dominio riguardano la sovra ordinazione di alcuni soggetti su altri; i rapporti di
possesso riguardano le proprietà che coinvolgono l’ordinamento giuridico economico
economico (il dominio dell’uomo sulla cosa è connesso all’ordinamento della vita economica) (per
questo sono fatti giuridicamente rilevanti); la dichiarazione di volontà è ad esempio il
testamento che coinvolge sia i rapporti di possesso e ,quindi, l’ordinamento giuridico
economico; la consuetudine è l’unico fatto originario del diritto perché indica un
comportamento diffuso e costante nella società che è alla base della creazione del diritto
(perché per E. il diritto nasce dalla società).
Kelsen, ad esempio, non ritiene che la consuetudine faccia parte dei “fatti del diritto” (i
quali consistono per lui in comportamenti che determinano la produzione delle norme
giuridiche), ma essa indicherebbe solo la strada attraverso cui i fatti divengono
giuridicamente rilevanti, cioè divengono fatti del diritto dell’ordinamento sociale, e in
particolare l’ordinamento giuridico della società.
QUINDI per Ehrlich la consuetudine è parte del diritto (fatto del diritto), in quanto essa non è altro che una
semplice regolarità fattuale. Per Kelsen invece la consuetudine non è un fatto del diritto, in quanto è un
elemento non istituzionalizzabile (istituzionalizzazione: processo per il quale, pratiche ed orientamenti (le
consuetudini) si strutturano come costruzioni solide e generalmente accettate.), la consuetudine quindi per
Kelsen è solo UN ELEMENTO CHE PORTERA’ A DEFINIRE ALCUNI FATTI COME RILEVANTI PER IL DIRITTO.
4. La quarta critica riguarda la distinzione che Ehrlich fa tra diritto e Stato. Ehrlich ritiene che
lo Stato, quando si parla di diritto, è un semplice organo della società e va quindi descritto
secondo il suo contenuto e gli scopi da esso perseguiti; invece, per K. lo stato è
l’ordinamento giuridico, inoltre per K. questa distinzione non esiste, in quanto lo stato è
una forma dell’unità sociale, non un suo contenuto. Con l’affermazione di E. emerge che i
vari strumenti di cui lo stato si serve hanno solo un’efficacia ridotta, in quanto esso è parte
della società, lo Stato in Kelsen invece è separato dalla società, non è legato ad essa; cosi le
leggi poste dallo stato conseguono il loro scopo solo quando vengono osservate, almeno
dalla grande maggioranza del popolo, spontaneamente (come fossero regole sociali, in E.);
5. la quinta accusa di Kelsen riguarda la superiorità scientifica della sociologia del diritto di
Ehrlich sulla scienza giuridica pratica, cioè quella dogmatica, che appoggia Kelsen.
Kelsen accusa Ehrlich di porre la sociologia del diritto al di sopra della scienza giuridica; Ehrlich è
convinto che quest’ultima non comprende la spiegazione del significato dei comportamenti
concreti, come invece fa la sociologia del diritto che assume come punto di riferimento i gruppi
sociali e i loro ordinamenti spontanei (famiglie, comunità ecc.).
E. sostiene che il diritto si forma a partire dall’osservanza dei comportamenti sociali e la scienza
giuridica non ne tiene conto mentre la sociologia sì.
La sociologia del diritto osserva e studia la società con il metodo induttivo, cioè prima si osserva la
società, il particolare, e poi si arriva a idee generali, cioè alle norme scritte.
Kelsen, invece, e, quindi, la scienza giuridica usa un metodo deduttivo, cioè si parte dai concetti
generali, cioè le proposizioni giuridiche, per poi arrivare al particolare, cioè alla società.
Per E. la sociologia del diritto serve anche agli operatori giuridici perché consente loro di capire se
nel fare le norme stanno procedendo bene, cioè nel verso in cui si muove la società, oppure
stanno facendo delle norme che resteranno inapplicate a causa del dissenso sociale;
6) l’ultima accusa è relativa alla confusione tra essere e dover essere, quindi tra spontaneità
dell’agire e normatività.
Kelsen accusa Ehrlich di confondere l’essere con il dover essere; K. ritiene che la norma impone un
certo comportamento, è un obbligo nell’agire sociale, è un dover essere.
E. risponde dicendo che il suo intento in tutta questa storia era solo di osservare la società, il
diritto e le loro relazioni e non di ideare delle regole da accettare generalmente, non di imporre i
suoi pensieri e le sue teorie.
Il dibattito non avrà né vinti né vincitori.
A Kelsen va comunque il merito di aver espresso una visione centralistica del diritto; anche ad
Ehrlich spetta grande merito anche se ha ipotizzato idee con svariate ambiguità terminologiche.
Kelsen ha sostenuto che lo stato è l’ordinamento giuridico che impone le norme sotto forma di
comando, con proposizioni di dovere.
Egli parla anche di Grundnorm (si legge grendnorm) cioè una norma fondamentale che è alla base
di tutti gli ordinamenti giuridici nazionali.
Dal punto di vista di Ehrlich, sociologia del diritto e storia del diritto appaiono come discipline
complementari.
Per Ehrlich il diritto deve rispondere alle esigenze della società Per lui inoltre esistono anche altre
regole (morale, moda. Religione). Lo stato inoltre è un semplice organo della società, e il diritto
non si identifica con il diritto dello Stato, in quanto il primo sono NORME CHE GRUPPI DISTINTI
FANNO PER SÉ STESSI. Per Kelsen il giudice è subordinato alla legge.
IMPORTANTE:
PER UN SOCIOLOGO (COME E.) L’IMPOSTAZIONE TECNICISTICA DI KELSEN NON CONSENTE DI AFFRONTARE
PROBLEMI CHE RIMANDANO A VARIABILI NON-GIURIDICHE. COME AD ESEMPIO L’IMPATTO NELLE NORME
SOCIALI SUI DIVERSI CITTADINI.
C’E’ ANCHE DA DIRE PERO’ CHE L’IMPOSTAZIONE DI E. NON SI PREOCCUPA DEI POSSIBILI CONFLITTI TRA
DIRITTO POSITIVO E DIRITTO NATURALE.
Entrambi gli autori accettano comunque la fondamentale distinzione di due mondi, quello del
dover essere o delle norme, e quello dell’essere o dei fatti. Essi ammettono, quindi, la possibilità
che si sviluppino conseguentemente due scienze giuridiche, l’una teorica e fattuale, l’altra
pragmatica e normativa, limitando in definitiva l’area del loro dissenso alle reciproche relazioni di
tali scienze che, evidentemente, cambiano se la priorità è logica come vorrebbe Kelsen o è storica,
come sostiene Ehrlich. Infine, si richiede uno strumentario metodologicamente composito, in
grado di essere non esclusivamente normativo né esclusivamente fattuale, ma di assumere
entrambi i punti di vista. Ed è proprio questo quello che Ehrlich tenta di fare allorché focalizza
l’attenzione su combinazioni norma/fatto che si coagula intorno al concetto di diritto vivente.
IL CONCETTO DI DIRITTO VIVENTE
Per Ehrlich il diritto vivente è il risultato non di una singola decisione, ma di un lungo processo
strettamente collegato alle vicende culturali dei gruppi sociali di cui è emanazione. Dal punto di
vista di Ehrlich, sociologia del diritto e storia del diritto appaiono come discipline
fondamentalmente complementari. In generale il compito della storia del diritto consiste nel
fornire alla sociologia del diritto il materiale di cui questa ha bisogno e nel mostrare, seguendo le
indicazioni dei fondatori della Scuola storica, che le proposizioni e le istituzioni giuridiche, si
sviluppano dall’intera vita del popolo, cioè dall’ordinamento sociale ed economico nel suo
complesso. Il diritto vivente (DOMANDA D’ESAME) per Ehrlich (concetto esposto nel 1913) ha
origini statuali ed extrastatuali; nel primo caso il diritto vivente rappresenta solo una minima parte
del diritto posto dallo stato, con sentenze, documenti dove non solo si applicano le diverse leggi,
ma si applicano in taluni casi il principio di EQUITA’ (DIRITTO NATURALE – ciò che è giusto in
assoluto), ma è sul secondo caso che più si concentra Ehrlich. Egli afferma che, per esempio, il
diritto di famiglia (è un esempio di diritto extrastatuale) è sorto dai bisogni degli individui che
vivono nella famiglia e non dalle norme del codice, ed è quindi destinato a cambiare e a svilupparsi
in conformità a questi bisogni (quindi il diritto vivente è connesso ai bisogni primari dell’uomo). La
formazione del diritto vivente avviene col passare del tempo e con il consolidarsi delle
consuetudini, esso inoltre è connesso ai bisogni primari dell’uomo.
Insomma, il diritto vivente è quello che vige nella società e non è quello scritto, è un diritto che
cambia in relazione alla società che cambia, è un diritto che si forma con il trascorrere del tempo e
il consolidarsi delle consuetudini. IL DIRITTO VIVENTE NASCE DALLA SOCIETA’ MA E’
REGOLAMENTATO DALLO STATO, QUINDI NON SI POSSONO CREARE LEGGI SE NON SUSSISTONO
ESIGENZE NELLA SOCIETA’). All’interno del diritto vivente, ritroviamo in E. i fatti del diritto, questi
non sono bruti (che accadono una sola volta), ma sono istituzionali (accadono più volte e quindi
vanno regolamentati). Per conoscere il diritto vivente è necessario stabilire le consuetudini, i
rapporti di dominio, i contratti, le dichiarazioni di volontà, indipendentemente se questi siano già
espressi nelle sentenze o nelle leggi positive. I fatti del diritto (o meglio il diritto vivente) riflettono
un diritto più stabile e sviluppato nella società, che è in mutamento, rispetto alle norme positive.
E. appartiene alla scuola storica, ma non aderisce a Savigny o Puchta, ma aderisce a Beseler; costui
affermava che il diritto regola i rapporti della vita anche senza l’intervento dei tribunali.
Per E. quindi il centro dello sviluppo del diritto si trova nella società e non nella giurisprudenza,
non nella legislazione e nemmeno nella scienza giuridica.
Al fine di precisare le funzioni del diritto vivente, Ehrlich considera la distinzione tra “norme
dell’agire”, destinate a regolare il comportamento di tutti i consociati, e “norme di decisione”,
volte a regolare il comportamento dei giudici nel momento in cui devono decidere la soluzione
riguardo alle controversie portate avanti alle corti.
Le regole dell’agire umano e le regole secondo le quali i giudici decidono possono essere
completamente differenti. Gli uomini non agiscono sempre secondo le regole che vengono
applicate per risolvere le loro controversie (norme di decisione), ma secondo le norme che
assegnano a essi un certo ruolo nell’ambito dei gruppi sociali di appartenenza (norme dell’agire).
I fondatori della scuola storica del diritto (Savigny e Puchta, Beseler) si dividono: da una parte
viene ritenuto che sia importante il diritto applicato nei tribunali allorché parlano di coscienza
giuridica <<pensano, almeno per l’età contemporanea , alla coscienza giuridica dei giuristi che
hanno ottenuto il controllo dell’insegnamento e d dell’amministrazione della giustizia>> (K)
dall’altra parte si osserva che il diritto regola i rapporti anche senza l’intervento del tribunale, e si
parla così << di “coscienza giuridica del popolo” (E) nella quale oggi, come molti secoli fa , si
sviluppano le istituzioni giuridiche>> . A quest’ultima posizione si accosta Ehrlich. Secondo E, nella
scienza giuridica dovrebbe realizzarsi un circuito virtuoso tra teoria e Prassi che caratterizza le
scienze naturali. sviluppando in questo senso l’analogia tra scienza giuridica e scienze naturali,
Ehrlich afferma pertanto che mentre (esempio)<<il medico e l’ingegnere di oggi non apprendono
più semplicemente le tecniche necessarie all’esercizio delle loro professioni, ma ne studiano prima
di tutto i fondamenti scientifici>> nella scienza giuridica si sta operando solo ora <<una
distinzione , peraltro non ancora avvertita dalla maggior parte degli studiosi, tra scienza del diritto
e dottrina partica del diritto o scienza giuridica partica>> ammettendo che il processo di
fondazione scientifica di una tale scienza giuridica pratica sarà lento Ehrlich afferma quindi che <<
su un terreno scientificamente sicuro>> si potranno muovere< solo li legislatore, i giuristi e i giudici
dei secoli futuri>>.
Per E. quindi il centro dello sviluppo del diritto si trova nella società e non nella giurisprudenza,
non nella legislazione e nemmeno nella scienza guridica.
Al fine di precisare le funzioni del diritto vivente, Ehrlich considera la distinzione tra “norme
dell’agire”, destinate a regolare il comportamento di tutti i consociati, e “norme di decisione”,
volte a regolare il comportamento dei giudici nel momento in cui devono decidere la soluzione
riguardo alle controversie portate avanti alle corti.
Le regole dell’agire umano e le regole secondo le quali i giudici decidono possono essere
completamente differenti. Gli uomini non agiscono sempre secondo le regole che vengono
applicate per risolvere le loro controversie (norme di decisione), ma secondo le norme che
assegnano a essi un certo ruolo nell’ambito dei gruppi sociali di appartenenza (norme dell’agire).
La distinzione tra norme dell’agire e norme di decisione non va peraltro confusa con quella tra
diritto statuale e diritto non statuale. Se le norme dell’agire sono prevalentemente di origine non
statuale, e costituiscono una rilevante parte del diritto vivente, lo stesso può valere, sia per le
norme di decisione, sia per le norme alla cui trasgressione queste dovrebbero porre rimedio.
I “fatti del diritto” (vivente) non contrappongono la attualità alla normatività, ma superano
l’instabilità spazio-temporale degli strati più superficiali dell’esperienza giuridica diventando
suscettibili di una conoscenza scientificamente fondata. I “fatti del diritto” non sono fatti bruti ma
istituzionali. Per conoscere il diritto vivente delle società umane, anche quello di origine
extrastatuale, risulta quindi necessario stabilire <<le consuetudini, i rapporti di dominio i contratti,
le dichiarazioni di volontà, indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano già trovato o
troveranno in futuro espressione in una sentenza o in una legge>>. I “fatti del diritto” riflettono un
diritto assai più stabile e profondamente radicato nella società del mondo astratto e
continuamente variabile delle norme positive e, d’altro lato, rafforzano e consolidano la cultura
propria dei diversi gruppi sociali. I fatti del diritto sono già nelle società, anche se non vengono
regolamentati.
La società tenta di regolare in modo unitario e conforme alle proprie esigenze anche
l’ordinamento interno dei gruppi sociali. Il giurista e l’economista hanno ovunque a che fare con i
medesimi fenomeni sociali. Pertanto, ogni mutamento della società e dell’economia comporta un
mutamento del diritto e, per converso, è impossibile mutare i loro fondamenti giuridici senza che
si verifichi nella società e nell’economia un qualche cambiamento.
Lo stesso diritto vivente è sorretto da una struttura di interessi per la quale il singolo, che rinuncia
a una parte della propria libertà a favore del gruppo o di singoli consociati più forti, in definitiva
tutela la propria debolezza. L’uomo agisce sempre nel proprio interesse.
La società possiede una sua interna coesione grazie a un ordine sociale quotidianamente prodotto
dalle diverse consuetudini. È tale ordine che il diritto, attraverso giudici e giuristi, ma anche
attraverso la legislazione, può limitarsi a leggere e interpretare.
IMPLICAZIONI E SVILUPPI
La concezione ehrlichiana resta ancor oggi un punto di riferimento fondamentale per la sociologia
del diritto. I punti essenziali sono: (DIRITTO COME ISTITUZIONE – PROSPETTIVA SOCIOLOGICA)
• Il diritto positivo, scritto nei codici o nelle leggi, pur essendo formalmente qualificato come
giuridico in virtù della sua origine statuale, risulta invisibile per il sociologo che studia la realtà sociale
nella misura in cui non viene riconosciuto nei comportamenti effettivi di coloro che dovrebbero
osservarlo;
• I giuristi e i giudici svolgono un ruolo essenziale nel sostenere il diritto positivo e nel
guidare la sua interpretazione ma nello svolgere tali compiti devono tenere necessariamente conto
anche di una pluralità di altri ordinamenti spontanei che, indipendentemente dall’azione dello stato,
convivono con il diritto positivo integrandolo o sostituendolo in determinati ambiti sociali;
• Oltre al diritto positivo, ogni società è fornita di un diritto vivente la cui formazione avviene,
non tramite il potere e il comando dello stato, ma tramite l’opera costante del tempo e il lento
consolidarsi delle consuetudini;
• A livello storico-comparativo possono identificarsi alcuni nuclei genetici del diritto vivente, i
cd. “fatti del diritto”; fatti che si ricollegano a nuclei fondamentali della convivenza umana;
• Il diritto naturale in tale contesto non appare un rigido meta-ordinamento che rende
intoccabili determinati contenuti dell’ordinamento giuridico, ma rappresenta piuttosto un fattore di
variabilità, essendo destinato a tenere conto delle grandi impostazioni che, alternativamente, possono
prendere il sopravvento nel corso della storia correggendo l’una gli errori dell’altra.
Muovendo da queste tesi la concezione ehrlichiana sfocia in un “pluralismo giuridico” che, oltre al
radicale ridimensionamento del ruolo dello stato, comporta il riconoscimento di una serie di
ordinamenti minori prodotti da aggregati sociali di varia importanza e dimensione e provvisti di
strutture normative proprie, a partire dal gruppo genetico della famiglia.
Di fronte all’individuo, lo stato si pone quindi come solo una fra le tante forme di raggruppamento
sociale, e il suo ruolo se non viene totalmente negato, viene ridotto al minimo che lo giustifichi.
Il rapporto bipolare fatti/norme si trasforma così in un rapporto più complesso, nel quale diverse
culture giuridiche sono in grado di moltiplicare a dismisura le rappresentazioni del diritto che si
formano nella società, ma anche di mediare il loro reciproco condizionamento attraverso un
rapporto circolare che può rendere più flessibili i rapporti tra fatti e norme, e quindi facilitare,
invece che ostacolare, l’ordine sociale.
CAPITOLO 2
Le norme inizialmente nascono dallo Stato ma per continuare ad essere vigenti è necessario il
consenso sociale.
Per cultura si intende l’insieme di atteggiamenti, di opinioni e di convinzioni condivise che
caratterizzano una determinata società (un certo gruppo sociale), e assicurano a quest’ultima
l’attribuzione di significati condivisi.
In senso più limitato, il concetto di “cultura giuridica” è caratterizzato dal fatto che in esso prevale
l’orientamento o verso il diritto visto come ordinamento o verso i diritto visto come istituzione,
intendendo con ciò l’insieme, non solo delle norme giuridiche, ma anche degli apparati che le
scaturiscono e ne controllano l’osservanza.
La cultura giuridica può contribuire a chiarire importanti momenti dei rapporti tra società e diritto;
è importante perché si individuano i presupposti normativi che ispirano determinati
comportamenti e gli orientamenti sociali che spiegano le decisioni giuridiche.
Quindi, il termine “cultura giuridica” indica quelle che sono le convinzioni, i significati che si
attribuiscono ad un determinato oggetto (processi), visto non come un convincimento generale
ma solo da un punto di vista giuridico (per es. l’istituzione della famiglia è pienamente regolata dal
codice civile).
La cultura giuridica si divide in: interna (propria dei giuristi, professionalmente consapevoli;
orientamento alla legalità – cultura del diritto) ed esterna (del pubblico, non capace di cogliere il
lato tecnico del diritto; orientamento alla legittimità – cultura sul diritto).
Un tale quadro considera ideologica una cultura giuridica che esponga il diritto a “infiltrazioni”
provenienti da culture non rigorosamente giuridiche, e per converso tecnicistica e non ideologica
una cultura giuridica che, essendo filtrata dalla dogmatica giuridica e dalla dottrina giuridica,
sembrerebbe in grado di mantenere superiori livelli di consapevolezza e di autocontrollo.
Muovendo da un approccio di tipo realistico, può essere tuttavia sostenuto anche il contrario,
considerando così ideologica la maggiore chiusura alla realtà tipica degli operatori.
Si parla di componente intra-giuridica quando si parla di cultura del diritto interna, perché i giuristi
conoscono il diritto internamente; la componente extra-giuridica è quella del pubblico a cui le
norme sono rivolte, cioè la cultura giuridica esterna.
Quindi si avrà una natura più tecnicistica nella cultura del diritto (quella dei giuristi) e una cultura
più ideologica nella cultura sul diritto (quella dei consociati, cioè le persone a cui le norme sono
rivolte, l’idea dei non addetti al lavoro sulle norme).
Il diritto comunque regola la vita sociale in ogni campo e nello stesso tempo la società influenza il
diritto, cioè quando la società manifesta la necessità del cambiamento di una norma è necessario
che il diritto si adegui.
Il concetto di cultura giuridica è articolato in: ruoli (R) sociali rivestiti da un portatore di cultura
giuridica, l’oggetto (o) che gli attori prendono in considerazione, i criteri (ì) di interpretazione
utilizzati nei singoli casi concreti.
Se questi 3 elementi (ruolo, oggetto e criterio) sono interni allora si avrà una cultura giuridica
propriamente interna (ì), se sono esterni all’ambito giuridico, la cultura giuridica sarà esterna (e).
Esaminiamo ora alcuni esempi che, riferendosi in parte a elementi esterni e in parte a elementi
interni all’ordinamento, possono consentire di individuare culture<<parzialmente giuridiche>>,
come avviene per lo più nella vita di tutti i giorni.
Se uno di questi 3 elementi è interno e 2 esterni, o viceversa, la cultura giuridica sarà sia interna
che esterna.
In una stazione ci sono dei ferrovieri e un soggetto che deve trasportare le sue valigie segue i
ferrovieri che attraversano il binario; il passeggero viola così una norma perché ha attraversato i
binari non usando il passaggio pedonale. Il passeggero non viene però punito, c’è solo una
ramanzina.
Allora abbiamo un Ri (ruolo interno = capostazione che ha la possibilità di applicare le leggi
punitive per chi attraversa i binari), Oi (oggetto interno al diritto perché si tratta di un caso di
violazione delle leggi – regole delle ferrovie dello Stato; e vi era anche un cartello che esplicitava il
divieto.) e un Ce (criterio esterno perché la punizione data dal capostazione al soggetto non è
normativa ma è solo una ramanzina). Se il Criterio fosse stato interno (Ci) ci sarebbe stata una
sanzione normativa, e quindi sarebbe stata applicata una cultura giuridica propriamente interna,
ma in questo caso non c’è un concetto di cultura che è propriamente interno perché il criterio di
interpretazione usato per punire il caso non è giuridico, non conforme al diritto, bensì
sociale/esterno.
Stesso caso di quello precedente; un uomo che con una valigia, attraversa i binari accertandosi che
non passino treni. In questo caso però non vi sono ferrovieri a controllare l’uomo, come nel caso
precedente, bensì un vecchietto che ragguaglia l’uomo severamente, imponendo ad egli di
rispettare la regola. In questo caso abbiamo un Ruolo esterno (il vecchietto, e non il ferroviere),
abbiamo un Oggetto interno (la regola di non attraversare i binari), e un Criterio interno (ossia non
c’è la ramanzina, come nel caso precedente da parte dei ferrovieri, bensì l’uomo viene obbligato a
trascinare il resto delle sue valigie attraverso il sottopassaggio, sotto lo sguardo vigile del
vecchietto).
C’è un caso realmente accaduto che prevede un Ri, un Ci e un Oe: ci sono dei ragazzi che giocano a
pallone e la palla finisce nel balcone di un condomino, il quale nota che il bambino si arrampica nel
suo balcone per recuperare la palla e decide di denunciare il bambino per violazione di domicilio.
Dato che il soggetto era minorenne viene chiamato in causa il padre che era un maresciallo dei
carabinieri e il padre viene accusato di essere poco vigile nei confronti del figlio e così il caso viene
affidato agli assistenti sociali.
L’oggetto è esterno perché sicuramente l’apporto degli assistenti sociali al caso è sicuramente
lontano dalla cultura giuridica, ma di natura sociale.
Emerge dall’osservazione degli assistenti sociali che il minore, orfano di madre, era stato cresciuto
dal padre in maniera molto rigida e il reato compiuto dal minore è proprio frutto di questa
repressione paterna. Proposta al tribunale: il minore deve essere sottratto dalla patria potestà del
maresciallo e affidato ad un istituto. Il tribunale dei minorenni considera improponibile di separare
il figlio dal padre. Tuttavia non sentendosi neppure di ignorare del tutto il parere dell’esperto,
preferisce tagliare il male per metà e condiziona l’esercizio futuro della patria potestà al controllo
del servizio sociale. Va rivelato che la cultura dell’esperto, non risulta coincidente con quella di un
altro attore interno all’ordinamento, il giudice, il quale essendo a sua volta esposto a
condizionamenti culturali provenienti sia dall’interno che dall’esterno dell’ordinamento, opta per
una soluzione di compromesso. Nonostante però l’oggetto sia esterno, la legge può realmente
intervenire fino a questi livelli.
Ci si riferisce in questo caso ad una pluralità di attori, che anche se collocati all’esterno di un
ordinamento, si orientano verso di esso per esprimere giudizi e valutazioni (non giuridiche). Ci si
riferisce a studi KOL (Knowledge and opinion on law). Tali studi si occupano di come il diritto, o i
suoi elementi, vengono percepiti, valutati, e osservati dalla popolazione. L’oggetto interno non si
riferisce solo a norme, ma anche ai diversi apparati predisposti alla loro attuazione (corte di
assise). Ovviamente il tipo di valutazione dell’Oi dipenderà anche dalla cultura in cui ci si trova.
Una quarta variabile (oltre al ruolo, all’oggetto e al criterio) che potrebbe caratterizzare il concetto
di cultura giuridica è la profondità del radicamento delle culture, cioè se una cultura, giuridica o
meno, sia radicata in un contesto sociale; però la profondità del radicamento delle culture è più
complessa da prendere in considerazione perché le norme giuridiche cambiano molto
rapidamente.
Il concetto di cultura giuridica può essere articolato a seconda che ruoli, criteri, oggetti siano
orientati al diritto positivo o al diritto vivente, vale a dire all’insieme delle norme comprese in
ordinamenti giuridici statuali e non statuali.
Weber (1864-1920) si è occupato di sociologia del diritto e, quindi, anche del funzionamento delle
norme nella società ed è considerato uno dei fondatori della sociologia giuridica. Egli scrisse
un’opera di notevole importanza chiamata “Economia e società”, brano pubblicato dopo la sua
morte.
Weber muove una critica a Stammler affrontando il tema della sociologia comprendente (o anche
individualizzante) perché vuole comprendere razionalmente il significato di qualunque
comportamento umano (azione sociale), osservandolo individualmente, vuole comprendere,
quindi, le relazioni esistenti tra l’agire e le norme giuridiche. Mentre molti sociologi studiano la
società riflettendo sull’intera comunità, Weber lo fa riflettendo sul singolo individuo e sulla sua
azione all’interno della società (sociologia individualizzante, perciò viene definita così). La
sociologia, in Weber, è la scienza che si propone di intendere, attraverso un procedimento
interpretativo, l’agire sociale, e quindi di riuscire a spiegarlo nel suo corso e nei suoi effetti.
La critica a Stammler nasce dalla lettura della sua opera che considerava imprecisa, generalizzante
e non minuziosa su vari temi.
Le critiche mosse a Stammler da Weber sono 4:
1) Weber tenta di rispondere a questo interrogativo: la regola esiste veramente o è soltanto il
risultato dell’attività speculativa dell’osservatore? la distinzione tra regolarità e
regolatezza, nel primo caso Weber sostiene che si tratti del rispetto di una norma che è
obbligatoria ma non vincolante (seguo una regola che non è vincolante perché capisco che
è giusto seguirla), nel secondo caso indica, invece, la sottomissione ad una norma (perché
se violata si va incontro a sanzioni, è quindi una norma vincolante). Per illustrare questo
punto Weber ricorre all’esempio della digestione, che può essere naturalmente e
inconsapevolmente irregolare, ma nasce artificialmente regolata ove qualche disturbo, o
irregolarità, rispetto alla norma dell’igiene che fissa i requisiti di una buona digestione,
imponga di ricorrere ai mezzi <<coercitivi>> di un farmaco per ripristinare La regolarità
originaria. Per Stammler tale distinzione era inesistente, cioè per lui il diritto era composto
da norme che indicano la regolarità del comportamento vincolato dalla norma. Per
Stammler le regole esistono grazie alla ripetizione di determinati comportamenti. (Egli
confonde quindi regolarità e regolatezza);
2) Weber differenzia, cosa che non fa Stammler, le regole sociali, come quelle della buona
educazione, dalle regole tecniche che, a differenza delle prime, possono essere
indipendenti dalla vita sociale, cioè quelle che individuano i comportamenti da tenere per
raggiungere un determinato obiettivo. Esempio: non obbedisce quindi a una regola tecnica
il ladro che fugge dopo il furto, ma applica regole tecniche un Robinson che, nella
solitudine della sua isola, amministri le proprie risorse in modo da utilizzarle secondo certi
principi di carattere economico, ricavati dalla propria esperienza. Ma bastano solo le regole
tecniche per spiegare i fenomeni sociali? NO secondo W. Egli di fatti afferma che le regole
tecniche hanno bisogno di quelle sociali per spiegare le condizioni storiche e sociali in cui il
soggetto agisce.
• 3) Weber sottolinea (l’analogia tra le regole giuridiche e regole del gioco) che alcune regole
sono giuridiche ma altre sono regole inventate e non possono essere portatrici di regolarità, come le
regole del gioco (hanno diversi livelli di astrazione inoltre sono la condizione e il presupposto di
possibilità per giocare, e delle concrete partite osservate); nel gioco, le regole astrattamente stabilite
indicano un comportamento da seguire, i comportamenti da effettuare per vincere ma non le
strategie per raggiungere l’obiettivo di vincere il gioco (Weber fa l’esempio del gioco dello SKAT). Il
riferimento alle regole del gioco serve a W. per mostrare che, sia nel caso di un comune gioco di carte
sia nel caso del diritto, esse sono il presupposto culturale necessario per definire anzitutto a quale
gioco si stia giocando (un gioco che implica il diritto e le sue norme può essere il contratto), per
conoscere le strategie generali di quel gioco e per spiegare tutte le singole mosse dei giocatori nel
corso della partita);
4) Passando dalle regole del gioco alle regole giuridiche, Weber afferma che per studiare un
fenomeno giuridicamente rilevante, l’osservatore deve avere un’idea generale dell’oggetto in
questione. Weber fa l’esempio del baratto tra un Europeo e un Africano; uno dei due partecipanti
al baratto può presupporre, erroneamente, che l’altro vuole seguire una certa norma oppure uno
dei due può pensare che l’idea di baratto dell’altro sia errata. Pertanto è necessario separare
l’interpretazione empirica del baratto (cioè ciò che realmente accade) dall’ interpretazione
dogmatica (cioè ciò che dovrebbe accadere secondo una certa norma giuridica); l’interpretazione
dogmatica spiega certi comportamenti in relazione alle situazioni dei partecipanti e agli interessi
dell’interprete dei fatti.
Nel baratto tra soggetti di culture diverse, i diritti, le norme cambiano tra l’uno e l’altro, per
esempio per l’europeo barattare un bottone per un diamante va bene, è giusto, per l’africano no,
perciò intervengono in ogni comportamento sociale una pluralità di prospettive.
Nella sua opera, Weber definisce il diritto (DOMANDA D’ESAME) come un ordinamento di cui
viene riconosciuta la legittimità da parte dei suoi destinatari (prospettiva politica) e la cui validità
poggia sulla possibilità di una coercizione (costrizione, prospettiva sociologica) da parte di un
apparato di uomini disposto a tale scopo (prospettiva dogmatica e normativista).
Secondo l’autore esiste un soggetto giuridico che promuove delle leggi. Noi, soggetti del diritto,
riconosciamo tali leggi come giuste (la legittimità – sia nel bene sia nel male. ES: Sia nel bene. Nel
caso un omicida venga condannato; Sia nel male, in caso vengo sorpreso a rubare è giusto che io
venga imprigionato.) insieme al soggetto che le promuove (Questa rappresenta la prospettiva
politica, ed è attraverso questa che il potere viene distribuito all’interno dello Stato). La
coercizione (o meglio il costringere) è un carattere il quale indica che; la validità di queste leggi
poggia sulla possibilità (chance) che se queste vengono infrante, vi è una punizione/sanzione (ma
solo se veniamo scoperti). Se di fatti non esistesse questa coercizione, è come se la regola non
esistesse o fosse un optional (regola sociale, e non di carattere giuridico) (Questa è la prospettiva
sociologica, che tende a sottolineare che magari anche se si compie un reato c’è la possibilità di
non essere presi, ed è questa possibilità/rischio a conferire validità e legittimità alla legge).
Nell’ultima parte, nella prospettiva normativa, viene inoltre definito che vi è un organo composito
che si occupa del controllo del rispetto delle regole e delle sanzioni per chi non le rispetta. Perché
la prospettiva dogmatica è tipica del diritto? Perché il diritto è l’unico ordinamento che garantisce
un apparato di uomini che applica la coercizione.
Lo stato detiene il potere di creazione e affermazione del diritto e Weber, nel definire il diritto,
parla della teoria del riconoscimento, cioè l’attore deve riconoscere il diritto, e della coercizione,
cioè l’applicazione delle norme legate alla costrizione dei comportamenti da assumere.
La combinazione dei due elementi del “riconoscimento” e della “coercizione” nella medesima
definizione del concetto di diritto può essere anzitutto intesa come un doveroso omaggio alle
diverse correnti della cultura giuridica del tempo, ma anche come un riflesso del tentativo
weberiano di comporre, nel proprio apparato concettuale, due corrispondenti modi di impostare
l’indagine sociologica. La “coercizione” col suo aspetto istituzionale richiede infatti, per essere
analizzata, una prospettiva che tenga conto soprattutto del punto di vista dell’apparato che la
applica, mentre il “riconoscimento”, focalizzando l’attenzione sul “senso intenzionato” dell’azione
richiede, per essere analizzato, una prospettiva che tenga conto soprattutto del punto di vista del
singolo attore sociale.
Già nell’analisi del concetto di regola sono emersi alcuni modelli di azione volta a volta orientati
secondo regole generali e astratte (razionalità formale), secondo regole tradizionali connesse a
bisogni elementari (razionalità tradizionale), secondo regole tecniche (razionalità rispetto allo
scopo), secondo regole valutative (razionalità rispetto a valori).
Weber sviluppa questa polivalenza del concetto di razionalità rispetto al diritto affermando che un
diritto “può essere razionale in senso molto diverso a seconda della direzione nella quale il
pensiero giuridico procede”. Egli precisa quindi che la razionalizzazione del diritto può consistere
sia in una “generalizzazione”, vale a dire in un processo che comporta una semplificazione e una
“riduzione dei motivi rilevanti per le decisioni del caso concreto a uno o più principi”, sia in una
“sistematizzazione”, vale a dire in un processo che comporta un “coordinamento dei principi
giuridici così ricavati”. Dopo avere “ridotto” e reso “coerenti” i principi di decisione degli operatori
del diritto, un sistema giuridico che abbia raggiunto livelli relativamente elevati di razionalità,
risulta insomma caratterizzato dal fatto di essere più di altri in grado di assicurare agli utenti la
“prevedibilità” dei propri esiti decisionali.
Da questa lettura dei due fondamentali parametri weberiani della razionalità e della formalità,
risulta che una decisione giuridica è definibile come “razionale” se può essere fatta oggetto di
previsioni anche da parte dei non appartenenti all’apparato che la produce; mentre può dirsi
“formale” se deriva direttamente dall’applicazione di criteri peculiari all’apparato che l’ha
prodotta. La razionalità che viene contrapposta all’irrazionalità sottintende una prospettiva
intersoggettiva, e comporta quindi la controllabilità, o non controllabilità, dei risultati di un certo
procedimento decisionale, mentre la formalità contrapposta alla materialità comporta
l’appartenenza o non appartenenza di un certo procedimento a un certo sistema, e si fonda su una
prospettiva, almeno implicitamente interna all’ordinamento.
(Per Weber esistono 4 forme di diritto, in relazione a due concetti, cioè la formalità, opposta alla
materialità, e la razionalità, opposta all’irrazionalità.
Agire significa assumere un atteggiamento che ha un suo scopo; l’agire sociale è assumere un
comportamento in relazione all’atteggiamento degli altri individui. L’agire in Weber è un
atteggiamento umano (fare, tralasciare, subire, che può essere sia di carattere interno o esterno)
da parte di un singolo individuo o tanti, che connota un senso soggettivo. L’agire del singolo
connota un senso soggettivo. L’agire sociale è condizionato da un significato condiviso.
1) Agire razionalmente rispetto allo scopo da raggiungere, agire rispetto alle conseguenze che si possono
ottenere; Le nostre azioni sono determinate/condizionate da ciò che c’è nel mondo esterno (atteggiamento
di altri uomini). In questo caso le nostre aspettative/azioni sono come dei mezzi utili per raggiungere scopi
che noi consideriamo razionali.
2) Agire razionalmente rispetto al valore, cioè agire in relazione al significato che l’azione in sé ha e
prescinde dallo scopo; Questo agire è sempre razionale, ma in questo caso non ci si aspetta di raggiungere
uno scopo, ma l’azione è attuata per seguire un valore in sé, senza considerare le conseguenze o gli scopi.
3) Agire da un punto affettivo, cioè in relazione alle emozioni e ai sentimenti; Le nostre azioni non sono
dettate dalla razionalità, bensì dagli affetti e dai nostri stati d’animo (sono innamorato e quindi compro dei
fiori)
4) Agire per tradizione se un comportamento è determinato dagli usi, dalle abitudini acquisite; L’azione è
determinata da una abitudine acquisita in passato in base ai diversi avvenimenti.
5) Agire razionale-formale è quello del diritto e indica un’azione sociale orientata dalle regole giuridiche.
Quest’ultimo tipo di azione presuppone la conoscenza dell’apparato di norme che seleziona e indirizza
l’azione umana.
Le azioni vanno classificate osservando quale caratteristica nei comportamenti è più emergente (cioè se
l’azione è legata alle tradizioni, allo scopo, ai valori o in relazione alle norme) e così sarà catalogata in uno di
questi 5 tipi di comportamento sociale.
Questi 4 tipi di diritto indicano anche i criteri di azione dell’individuo all’interno della società: agire affettivo
cioè agire in base alle emozioni; agire razionalmente rispetto al valore, cioè agire in relazione ad un fattore
considerato importante; agire razionalmente rispetto allo scopo cioè in relazione alle probabili
conseguenze; agire tradizionale cioè come hanno in passato agito nella sua società. Le azioni vanno
classificate osservando quale caratteristica nei comportamenti è più emergente (cioè se l’azione è
legata alle tradizioni, allo scopo, ai valori o in relazione alle norme) e così sarà catalogata in uno di
questi 5 tipi di comportamento sociale.
Questi 4 tipi di diritto indicano anche i criteri di azione dell’individuo all’interno della società: agire
affettivo cioè agire in base alle emozioni; agire razionalmente rispetto al valore, cioè agire in
relazione ad un fattore considerato importante; agire razionalmente rispetto allo scopo cioè in
relazione alle probabili conseguenze; agire tradizionale cioè come hanno in passato agito nella sua
società.
- Potere legale, cioè un potere legato alla legalità degli ordinamenti giuridici, e questi sono gestiti da uomini
chiamati ad esercitare il potere (come il potere contemporaneo a Weber di fine ‘800 e inizio ‘900);
- Potere tradizionale, un potere legato al carattere sacro delle tradizioni e alla legittimazione di coloro che
sono tradizionalmente chiamati a rivestire un’autorità;
- Potere carismatico, legato al valore esemplare, al carattere forte di una persona e dell’ordinamento da lui
stabilito (cioè il potere legato alla bella personalità della persona che detiene il potere).
Secondo Weber il diritto non determina l’economia, ma esistono alcuni tipi di diritto, che si adattano a
modelli di potere, e sono questi ultimi a convivere in maniera più o meno efficiente con diversi modelli
economici. Inoltre il diritto non garantisce solo gli interessi economici, bensì anche altri interessi
elementari, come quello della tutela alla sicurezza.
I valori influenzano le regole giuridiche; ci sono due tipi di valori: valori collettivi (culture e regole
sociali); valori individuali (valori di singole persone stabiliti sempre in relazione alla loro cultura).
I valori quindi influenzano il diritto; anche esso ha dei propri valori, come la legalità e la giustizia.
La lotta per la salvaguardia dei valori del diritto può svolgersi all’interno del diritto o al di fuori di
esso con movimenti pacifici o violenti.
Il diritto è la più elevata espressione di giustizia, con riferimento al contesto sociale e al tempo
storico; la giustizia delle norme giuridiche può intendersi come coerenza tra regole giuridiche e
valori.)
Weber sostiene che ci sia una relazione tra il diritto razionale e formale e il sistema economico;
egli evidenzia la relazione tra i due non è di tipo causale (non è che uno è la causa dell’altro) bensì
alcune norme si adattano e convivono con il sistema economico e, viceversa, il sistema economico
convive bene con alcune norme.
Per mostrare, in particolare, la reciprocità dei rapporti tra diritto ed economia W. enuclea alcuni
principi generali tra loro strettamente connessi. Anzitutto, egli indica il principio che può dirsi della
“pluralità degli interessi giuridicamente tutelabili, secondo il quale il diritto non garantisce affatto
soltanto interessi economici, bensì interessi diversi, dai più elementari, come la tutela della
sicurezza personale, fino ai beni immateriali o ideali come l’onore proprio e quello di potenze
divine”
Un secondo principio, che può dirsi della “relativa autonomia” dell’ordinamento economico nei
confronti dell’ordinamento giuridico, sottolinea che la coercizione giuridica incontra rilevanti limiti
nel regolare l’attività economica. Diritto ed economia sono in effetti meccanismi diversi di
controllo sociale e si servono di strumenti specifici che non sempre sono in grado di integrare Un
terzo principio, che può dirsi dell’“indifferenza reciproca” tra i due ordinamenti, sottolinea da un
lato che “un ordinamento giuridico”, in certe circostanze, può rimanere immutato anche se le
relazioni economiche si modificano radicalmente, e d’altro lato che la regolamentazione giuridica
può variare profondamente, dal punto di vista delle categorie del diritto, senza che le relazioni
dell’economia e i relativi effetti pratici per gli interessati vengano con ciò toccate in misura
rilevante.
La relativa indipendenza e autonomia che diritto ed economia hanno raggiunto nelle società
occidentali avanzate non esclude, peraltro, che tra questi ambiti intercorrano profondi rapporti di
mutuo condizionamento.
Secondo Weber, ci sono due relazioni dirette tra diritto ed economia: 1) orientamento dualistico
dell’individuo nell’azione economica verso gli altri attori economici e verso le norme legali
riconosciute valide per l’ordine dell’economia (cioè il soggetto che agisce sul mercato deve tener
conto sia degli altri soggetti impegnati nel commercio sia delle norme che regolano e gestiscono i
mercati; quindi il diritto orienta l’azione economica, ecco la relazione tra diritto ed economia); 2)
potere di controllo e disposizione, trasmesso tramite i contratti(cioè i mercati e le azioni
economiche sono gestite dallo Stato ma anche dai contratti che devono sempre rispettare i
principi giuridici ad essi connessi).
Il diritto, inoltre, stabilisce la libertà effettiva di contrattazione (libero mercato) e offre la completa
possibilità di calcolo e la garanzia formale (cioè scritta proprio nell’ordinamento giuridico) su tutti i
contratti, il tutto espresso formalmente nell’ordinamento giuridico (è un diritto prevedibile e,
quindi, adatto al capitalismo razionale).
Weber, in “Economia e Società”, indica la relazione esistente tra diritto ed economia e sostiene
che l’economia è più all’avanguardia se c’è un buon diritto economico.
Nell’ottica weberiana, sia il diritto sia l’economia moderni, attraverso aggiustamenti reciproci delle
rispettive culture, ricorrono alle medesime categorie interpretative della razionalità e della
formalità. Per W. insomma, le relazioni tra diritto razionale-formale ed economia capitalistica
vanno ricostruite mediante un più articolato rapporto di affinità strutturali e di complementarità
funzionali, adatto a mettere in evidenza che un ordinamento giuridico razionale-formale, prodotto
da fattori non necessariamente né principalmente economici, può, per motivi di affinità culturale,
favorire la formazione di imprese capitalistiche ispirate dagli stessi criteri di razionalità formale.
Il “potere legale” su cui si fondano stato e diritto moderni, può utilizzare varie forme organizzative.
Tra esse un posto particolare, a livello ideal-tipico, è occupato dall’organizzazione burocratica che
viene appunto indicata come “il modo formalmente più razionale di esercitare il potere”. Questo
tipo di organizzazione, osserva W., ha trovato, per i suoi innumerevoli vantaggi, rapida diffusione,
non solo nell’amministrazione interna dello stato, ma anche nelle attività legislative e
giurisdizionali, come pure nell’impresa economica di tipo capitalistico oltre che in svariati altri
campi della cultura occidentale.
Weber distingue le norme regolative e le norme costitutive: 1) queste norme si limitano a dire se
certi comportamenti sociali esistenti sono vietati, obbligatori o permessi; 2) le norme costitutive
hanno la proprietà di creare comportamenti nuovi (per es. la creazione di una nuova tassa è una
norma costitutiva perché implica un nuovo atteggiamento sociale, cioè il pagamento della nuova
tassa creata).
Per Weber la legittimità di un ordinamento può essere garantita o dall’esterno (dalla convinzione,
in base alla disapprovazione generale o dal diritto, cioè dalla coercizione e dall’apparato a esso
relativo) o dall’interno (in modo affettivo, razionale rispetto al valore o su base religiosa). Per W. i
giuristi non solo devono conoscere le norme e saperle applicare, ma anche comprendere che
norme applicare.
IMPLICAZIONI E SVILUPPI
Weber considera il senso delle azioni degli uomini nei diversi ambiti della società strettamente
intrecciato al mondo dei fatti, delle norme e dei valori, e quindi così complesso da non potersi
esaurire culturalmente in uno solo di essi.
A Weber e alla sua teoria si sono ispirati diversi pensatori e, in particolare, al rapporto tra diritto
ed economia.
Leoni sostiene che nel sistema giuridico si giunge alla determinazione delle norme che
distribuiscono diritti e doveri con procedimenti analoghi a quelli con i quali nel sistema economico
si giunge alla determinazione della possibilità di acquisizione di un certo bene. Per Leoni, diritto ed
economia sono uguali e fa per questo un’estremizzazione della teoria di Weber verso la metà del
1900.
La sfera giuridica si appiattisce su quella economica negli Stati Uniti d’America ai tempi di Leoni
(per Weber il diritto non era solo connesso all’economia ma a tutti gli interessi sociali; anche gli
studiosi che diremo dopo vedono il diritto solo connesso all’economia).
Nota: Leoni, muovendo dalle possibili combinazioni tra cultura giuridica e cultura economica,
giunge a delineare un’originale costruzione sociologico-giuridica che fa del diritto il luogo nel
quale, non solo le diverse culture giuridiche, interne ed esterne, ma anche le diverse culture
economiche possono incontrarsi data la complementarità delle loro strutture decisionali. Egli
sostiene che nel sistema giuridico si perviene alla determinazione delle norme che di fatto
distribuiscono diritti e doveri, obblighi e facoltà. Con procedimenti analoghi a quelli con cui, nel
sistema economico si giunge, attraverso la somma di singole decisioni individuali, alla
determinazione delle possibilità di acquisizione di un certo bene. In particolare, come il prezzo può
essere considerato il punto di incontro e di equilibrio, peraltro instabile e mutevole, delle
aspettative economiche individuali, il diritto può essere considerato il punto di incontro e di
equilibrio, continuamente modificabile fra le varie aspettative che cercano di essere generalmente
tutelate sotto forma di pretese giuridiche.
Calabresi, sempre a metà ‘900, studia la relazione esistente tra diritto ed economia con gli
incidenti stradali; egli afferma che il diritto dovrebbe ideare norme per ridurre gli incidenti e i
danni economici da essi derivanti.
Posner utilizza la statistica per rivelare la portata economica delle norme giuridiche; Coase(Coos)
analizza i costi dei contratti e, quindi, valuta come Posner la valenza economica delle norme
giuridiche.
Ost e De Kerchove, verso la metà degli anni ’90, riprendono da Weber l’analogia tra diritto e gioco.
Entrambi criticano, tramite la teoria che associa il gioco al diritto, il normativismo kelseniano,
basato su proposizioni giuridiche che impongono i comportamenti da seguire.
Nel gioco accanto ai criteri formali (proposizioni di Kelsen) ci sono dei criteri informali che
ammettono di giocare più partite allo stesso tempo; è importante, quindi, interpretare le azioni
sociali per spiegare il diritto e non basta più la presenza di proposizioni giuridiche.
CAPITOLO 3
ALCUNE CONVERGENZE
Le considerazioni svolte sin qui consentono di individuare una cornice comune nella quale possono
trovare posto, non solo i concetti di diritto di Ehrlich e di Weber, ma anche quello,
apparentemente più lontano dalla sociologia del diritto, di Kelsen.
Questi 3 modelli di diritto consentono di prefigurare una dinamica dei rapporti tra diritto e società:
Kelsen muove dall’alto, tramite lo stato (le norme sono poste dallo Stato), Ehrlich muove dal
basso, attraverso la società (le norme nascono dalla consuetudine, dal diritto vivente), Weber
muove in entrambi i versi, sostiene che le regole sono una razionalizzazione (cioè uno studio sui
comportamenti che consente di regolarli) di comportamenti sociali
I caratteri essenziali di queste 3 definizioni del concetto di diritto possono essere riassunti in un
quadro sinottico che tiene conto di alcuni elementi: la prospettiva adottata per definire il diritto, la
fonte da cui si ricava tale definizione; il contesto nel quale la definizione viene inserita; lo scopo al
quale essa viene principalmente orientata, e infine le modalità di collegamento prescelte per
esaminare congiuntamente gli elementi precedenti.
Quanto alla prospettiva adottata, Kelsen concentra l’attenzione dal punto di vista interno
dell’operatore giuridico che, per applicare ogni norma compresa nell’ordinamento, usa uno
schema logico-deduttivo del tipo “se…allora…”, volto all’evidenziare certe premesse generali per
determinare le conseguenze giuridiche particolari; per Kelsen, il diritto ha lo scopo di produrre
norme osservando il principio della legalità; Ehrlich assume la prospettiva di un consociato (punto
di vista esterno) che adotta la consuetudine (fatti sociali ripetuti) come un fatto del diritto, creando
così un diritto che contribuisce al mantenimento dell’autonomia sociale del gruppo, il quale è in
grado di dotarsi di norme giuridiche efficienti molto prima dello stato; per Ehrlich, il diritto ha lo
scopo di assicurare che le norme prodotte dai gruppi sociali siano accettabili in base al principio
dell’efficacia del diritto, dei benefici per la società e usa un metodo storico-induttivo; Weber
adotta una prospettiva che supera tali posizioni assumendo il punto di vista di un osservatore
esterno che analizza i vari aspetti della società in relazione alle varie situazioni culturali in cui il
diritto opera; per Weber, il diritto ha lo scopo di attribuire senso all’agire degli operatori giuridici;
Weber usa un metodo relativistico-comparativo, cioè tiene conto del contesto e confronta con
esso il diritto.
Quanto alla fonte del diritto, essa va individuata, per Kelsen, nella norma intesa come prodotto
diretto dell’attività statuale; per Ehrlich nel “fatto del diritto” originario, la consuetudine, da cui
hanno origine tutti gli altri; per Weber nella regola, che può essere sottoposta a un’analisi
variamente orientabile a seconda delle esigenze interpretative dell’osservatore e degli attori da
questo osservati.
Quanto al contesto di riferimento, Kelsen lo colloca nell’ordinamento giuridico dello stato, che
assicura le condizioni di validità di ogni singola norma e dà forma allo stato stesso; Ehrlich lo
ravvisa nel gruppo inteso come elemento base di ogni aggregazione sociale, che è in grado di
autoregolamentarsi e di dotarsi autonomamente di norme giuridiche prima ancora che di
proposizioni giuridiche scritte; Weber lo individua al livello astratto dei criteri di razionalità che
sono capaci di tenere conto delle specificità delle diverse situazioni culturali nelle quali il diritto
opera in contatto con altri ambiti sociali (economia, politica, religione, ecc.).
Quanto agli scopi della definizione del diritto, Kelsen li identifica a livello pragmatico, nella
produzione di decisioni giuridiche formalmente valide da parte degli addetti ai lavori; Ehrlich li fa
risiedere nel mantenimento della coesione sociale da parte dei diversi gruppi di riferimento;
Weber li fa coincidere con l’operazione di attribuzione di senso all’agire sociale da parte degli
operatori e degli utenti del diritto.
Per quanto riguarda, infine, le modalità di collegamento degli elementi presenti nei rispettivi
modelli, Kelsen si serve di modalità logico-formali. Ehrlich si rifà esplicitamente a modalità storico-
induttive, mentre Weber adotta modalità che possono essere logico-formali o storico-induttive a
seconda delle specifiche esigenze delle comparazioni da lui condotte.
Per Kelsen il diritto allo scopo di produrre norme osservando il principio della <<legalità>> intesa
come garanzia della dipendenza della decisione giuridica da altre norme dell’ordinamento, per
Ehrlich ha lo scopo di assicurare che le norme prodotte dai gruppi sociali siano accettabili in
termini di costi/benefici, e quindi in base al principio dell’<<efficienza>>, avendo superato il lungo
collaudo, utilitaristicamente orientato, della storia; per Weber ha lo scopo di attribuire senso
all’agire degli operatori e degli utenti del diritto assicurando il principio della reciproca
<<adeguatezza>> dei diversi criteri di razionalità che caratterizzano i vari ambiti del sociale
Per Marx il diritto ha 4 caratteristiche: 1) è la struttura dei rapporti sociali, in particolare quelli
economici;2) il diritto serve per mascherare i rapporti di potere;3) tende a subordinare gli interessi
della maggioranza agli interessi di una minoranza che impone le leggi;4) le asimmetrie nei rapporti
di potere si rafforzano fino a quando non avviene una rivoluzione.
Marx sostiene che il centro motore della società sia l’economia e le sue idee influenzeranno le
teorie moderne sul diritto.
Llewellyn (Liuellin), nel 1940, elabora una teoria sulle funzioni del diritto moderno, mescolando
l’idea di Marx, Kelsen e Weber: 1) anticipazione e risoluzione dei conflitti (se il diritto conosce
anticipatamente lo scoppio di un conflitto può evitarlo e risolverlo); 2) regolamentazione dei
comportamenti; 3) legittimazione e organizzazione del potere nella società (il diritto ha la funzione
di scegliere chi ha un certo potere nella società;4) strutturazione delle condizioni di vita nei vari
settori della società (per esempio sceglie i ruoli e i comportamenti che ognuno deve assumere nei
rapporti economici, religiosi, ecc…); 5) amministrazione della giustizia.
Parsons (1902-1979) per indicare le funzioni del diritto ha ideato la sigla AGIL.
A=funzione adattiva (dall’americano “Adaptation”); G=raggiungimento dei fini (“gooal
attainment” ); I=funzione integrativa (“integration”); L=mantenimento del modello latente (“latent
pattern maintenance”).
Il diritto, quindi per Parsons, è uno strumento di dominio destinato a stabilizzare, guidare e
correggere la vita sociale; serve a mitigare gli elementi potenziali di conflitto (funzione integrativa).
Solo con l’adesione ad un sistema di norme (funzione adattiva), le interazioni sociali possono
funzionare senza degenerare conflitti aperti o latenti (mantenimento del modello latente e
raggiungimento dei fini).
La funzione del raggiungimento dei fini è affidata alla politica, la funzione adattiva è affidata
all’economia, la funzione del mantenimento del modello latente è affidata alla cultura, la funzione
integrativa spetta al diritto.
Parsons, inoltre, definisce il sistema sociale come un insieme di soggetti singoli che interagiscono
tra di loro. Egli distingue tre tipi di sistemi: 1) il sistema sociale stesso; 2) il sistema della
personalità dei soggetti agenti; 3) il sistema culturale basato sull’azione dei singoli soggetti e
dell’intera società.
Ogni concetto di diritto, presupponendo un modello di società all’interno del quale operare, risulta
necessariamente collegato a una o più funzioni da svolgere in tale contesto. Quando si parla di
funzioni del diritto si possono intendere due cose sensibilmente diverse tra loro. Si possono
attribuire al diritto funzioni generali relative al rapporto tra le norme giuridiche nel loro complesso
e il tessuto sociale, oppure si possono elaborare ipotesi relative alle funzioni svolte da singole
norme giuridiche in singole situazioni. L’ipotesi funzionale del primo tipo può essere utile a
orientare l’osservatore nell’interpretazione del rapporto generale diritto/società, ma risulta
estremamente difficile verificarla su un numero sufficiente di casi per un periodo di tempo
sufficientemente lungo e relativamente a un’area sociale sufficientemente vasta. Pretendere di
utilizzarla come uno strumento per interpretare i rapporti tra determinate norme e determinati
fatti nelle singole situazioni, significa, quindi tenere già una certa soluzione in tasca, ed
eventualmente giungere a valutare il diritto in senso pregiudizialmente positivo o negativo.
Le funzioni che possono essere concretamente attribuite a un diritto inteso in modo generale e
astratto, non sono affatto univoche. Tra esse va anzitutto ricordata quella del mantenimento
dell’ordine sociale, il cui raggiungimento verrebbe assicurato dalla coincidenza, almeno parziale,
fra ciò che è giuridicamente attuabile e ciò che è sociologicamente sostenibile.
L’ambiguità del concetto di ordine sociale, che mette necessariamente insieme, come si è visto, le
funzioni della stabilizzazione e dell’innovazione, non viene superata neppure definendo il diritto
come strumento di “controllo sociale”. Mediante tale definizione si può, infatti, alludere alla
capacità del diritto di provocare il mantenimento della situazione sociale esistente, come pure un
mutamento pilotato della stessa.
Questa dualità è di per sé istruttiva, in quanto in essa è possibile riconoscere i due livelli
problematici che attraversano ogni sociologia del diritto: il livello della stabilizzazione,
strettamente connesso all’applicazione delle strutture giuridiche e volto a ricostruire come il diritto
si traduca in azioni regolate poste in essere dai destinatari delle norme (problema dell’efficacia del
diritto), o il livello della variazione, volto a ricostruire come il diritto cambi consapevolmente i
propri contenuti in risposta a mutamenti dell’ambiente sociale (problema dell’evoluzione del
diritto). In entrambi i casi le culture giuridiche appaiono come un oggetto di studio di importanza
strategica. Esse raccolgono infatti un insieme di possibilità di azione e di criteri di valutazione che è
in grado di assicurare un’ingente riserva, non solo di stabilizzazione ma anche di variazione, alla
vita del diritto.
Le funzioni della stabilizzazione e dell’innovazione non sono peraltro le uniche che possono essere
attribuite al diritto. Tra le principali funzioni attribuibili al diritto moderno che precisano meglio
tale tradizionale bipartizione possono ricordarsi:
• La funzione della composizione dei conflitti, che non riguarda solamente casi patologici
della vita del diritto come reati e altri illeciti, ma anche fenomeni fisiologici di tensione fra diritto e
società, e quindi non comporta un atteggiamento di condanna e repressione nei confronti del
conflitto, ma di semplice anticipazione e canalizzazione dello stesso;
• La funzione della regolazione dei comportamenti, che consiste nello stabilire e mantenere
lo svolgimento normale della vita dei gruppi, dei sottogruppi e delle altre forme di aggregazione
sociale;
• La funzione della strutturazione delle condizioni di vita nei vari settori della società, che
deve essere suddivisa nella promozione delle attività dei gruppi e nella determinazione di direttive
generali rivolte alla società;
• La funzione dell’amministrazione della giustizia, che si articola a sua volta in due settori, a
seconda che si serva di una “interpretazione teleologica”, adottabile da una dogmatica giuridica
aperta agli influssi del sapere sociologico in vista del raggiungimento di certi scopi, oppure di una
scienza sperimentale del diritto, che consiste nella correzione del metodo interpretativo precedente
attraverso l’eventuale sostituzione degli scopi che si rivelino volta a volta irrealizzabili.
(Esempio) In definitiva il diritto è paragonabile a una macchina che può essere guidata in modi
diversi a seconda della potenza del motore e del fondo strade. Se SI preme il pedale
dell’acceleratore si riuscirà ad acquisire quella potenza che può consentire di superare gli ostacoli
e le lacune, le buche i sassi, che le norme giuridiche incontrano sul percorso tracciato dal
programma regolativo da realizzare, mentre se si preme il freno il processo di applicazione della
norma viene rallentato e si acquista quindi, il tempo necessario per osservare al strada e adeguarsi
meglio a essa giungendo anche a modificare i percorsi regolativi originariamente tracciati. Nel
primo caso il problema da risolvere utilizzando soprattutto la sanzione per vincere le resistenza
della società, è quello dell’effettività, nel secondo caso il problema da risolvere, avviando processi
di correzione dei tracciati normativi basati su mappe stradali irrealistiche, è quello dell’evoluzione.
PARTE SECONDA
CAPITOLO 4
IL PROBLEMA DELL’EFFICACIA
Il solo diritto sociologicamente rilevante è il diritto efficace, vale a dire il diritto i cui contenuti
normativi trovano corrispondenza nella realtà attraverso una diffusa accettazione sostenuta da
culture giuridiche esterne, e un adeguato sostegno degli apparati guidati da culture giuridiche
interne. Questo significa che il diritto totalmente inefficace, non venendo tradotto in pratica,
resterà diritto di carta, e non avrà, da un punto di vista empirico, alcuna influenza sul
comportamento degli uomini.
Una disapplicazione generalizzata, anche se non produce diritto efficace, non è del tutto irrilevante
per il sociologo del diritto (comunque si troverà sempre di fronte ad un diritto né totalmente
efficace né totalmente inefficace), che potrà cercare di chiarire per quali particolari contenuti
normativi e sotto quali condizioni si verifichi una diffusa volontà di ignorare il diritto scritto. A ben
vedere, questa volontà, se consapevole e manifesta, ferisce il diritto più di un rifiuto
all’obbedienza: se il ladro che fugge ammette, almeno implicitamente, l’esistenza della norma
violata, colui che si comporta come se la norma non esistesse ne nega esplicitamente l’esistenza.
Resta da stabilire cosa si intenda per diritto efficace e in che modo esso sia rilevante per la società.
In generale la rilevanza del diritto efficace per la società può essere espressa in vario modo,
affermando che il diritto è connesso alla società, oppure che il diritto riflette la società, oppure
ancora che il diritto è lo specchio della società. La prima espressione si limita a ipotizzare
semplicemente un rapporto tra diritto e società per cui il cambiamento di uno dei due termini
comporta necessariamente il cambiamento dell’altro, la seconda ipotizza che tale cambiamento,
pur tra possibili distorsioni, comporta una qualche somiglianza tra diritto e società, la terza ipotizza
una totale identità tra i due termini. Ora è evidente che quest’ultima alternativa comporterebbe la
scomparsa del diritto o, il che è lo stesso, il suo assorbimento nella società, della quale
rappresenterebbe l’immagine in modo tanto fedele da non avere più un volto e un’identità propri.
In effetti il diritto, come noi lo conosciamo, intende guidare in qualche modo la società, non
semplicemente descriverla. Esso è quindi destinato a incontrare inevitabilmente qualche forma di
resistenza nella società.
La solidarietà, in entrambi i casi sopra citati, porta alla coesione sociale e, quindi, al
rafforzamento dell’efficacia del diritto.
Nota: Durkheim (sociologo francese vissuto in metà ‘800 e inizio ‘900) nel 1893 scrisse “La
divisione del lavoro sociale”, in cui parla della progressiva differenziazione della società che è
tenuta unita nel suo interno grazie alla solidarietà.
Del problema si è esplicitamente occupato Émile Durkheim in una trattazione che resta un
punto di riferimento obbligato della riflessione sociologico-giuridica. Egli osserva che il
presupposto dell’ordine sociale, e quindi dell’efficacia delle norme giuridiche, è un
adeguato livello di solidarietà sociale. Ovviamente, la solidarietà, in un’ottica pluralistica,
non poggia solo sul diritto, ma su vari altri sistemi normativi a cominciare dai costumi.
Per definire le varie forme della solidarietà sociale, e del diritto che le manifesta, un punto di
riferimento fondamentale è costituito dalla sanzione, e di fatti queste caratterizzano le norme.
Le sanzioni, per Durkheim, possono essere di due tipi. Il primo tipo di sanzioni (si ha nelle società
primitive, in cui la solidarietà sociale è meccanica – in questo caso, sono sanzioni repressive, che
sono legate ad una società meccanicistica, più semplice, ove la divisione del lavoro non ha
comportato una netta distinzione tra ruoli sociali) interessa il diritto penale (cioè che punisce i
soggetti devianti), che si serve tipicamente di sanzioni consistenti “in un dolore, o per lo meno in
una privazione inflitta all’agente; esse hanno per scopo di colpirlo nella sua fortuna o nel suo
onore o nella sua vita o nella sua libertà – di privarlo di qualcosa di cui gode”, e vengono quindi
dette “sanzioni repressive”. Il secondo tipo di interessa il diritto civile, il diritto commerciale, il
diritto processuale, il diritto amministrativo e costituzionale e non implica necessariamente la
sofferenza da parte del soggetto sanzionato, consistendo semplicemente “in una riparazione, cioè
nel ristabilimento dei rapporti turbati nella loro forma normale” (la società moderna è tenuta
insieme da una solidarietà organica e il diritto pone al centro il contratto per regolare le relazioni
sociali, le sanzioni sono risarcitorie e civilistiche, cioè non puniscono più il soggetto deviante ma lo
rieducano e si parla in questo caso di sanzione restituiva o riparatoria).
Questi due tipi di sanzione possono prevalere negli ordinamenti giuridici a seconda del tipo di
solidarietà che caratterizza una determinata società. La solidarietà, che di per sé sarebbe invisibile,
viene così identificata attraverso la visibile sanzione che caratterizza un certo diritto. Alla
prevalenza del primo tipo di diritto e di sanzione Durkheim fa corrispondere una “solidarietà
meccanica” tipica delle società primitive basata sulla “somiglianza tra gli individui”. “È una società
a bassa differenziazione sociale dei ruoli, in cui si ripetono sentimenti simili e omogenei, dove la
personalità individuale è assorbita dalla collettività”. Essa raggiunge il suo massimo livello “quando
la coscienza
Hart, ritiene che la norma giuridica si differenzia da una mera abitudine sociale per quantità di
disapprovazione sociale connessa alla sua violazione e dunque alla pressione sociale che insiste sul
rispetto della norma. Nel realismo giuridico americano, esistono le sentenze degli giudici (common
law), il diritto qui è inteso come previsione di ciò che farà il giudice (la norma si vede ed esiste). Nel
common law, il centro è il giudice, che tiene conto delle sentenze precedenti. Nel realismo
giuridico scandinavo, ciò che esistono sono i comportamenti, di fatti secondo OLIVERCRONA il
diritto è una organizzazione della forza, dove il soggetto obbedisce alla legge per paura della
sanzione, che esercita paura. La nostra morale è quindi influenzata dalla norma. Più la norma è
spaventosa, più c’è un comportamento positivo.
Alla prevalenza del secondo tipo di diritto corrisponde invece secondo Durkheim una “solidarietà
organica” che è basata su una struttura differenziata della società, nella quale si autonomizzano
organi differenti, ognuno dei quali ha un suo compito specifico. Tipica delle società
contemporanee, in cui c’è una differenziazione tra gli individui in base ai diversi lavori svolti da
ognuno. Nota: perciò i titolo del libro è “La divisione del lavoro sociale” che porta anche
all’assunzione di una personalità singolare per ogni individuo.)
La solidarietà, in entrambi i casi sopra citati, porta alla coesione sociale e, quindi, al rafforzamento
dell’efficacia del diritto. Egli, inoltre, osserva che il diritto è visibile nella società (cioè si vede in
quanto si nota nell’agire dei soggetti in modo conforme alle norme) ed efficace, cioè crea ordine
sociale, in relazione alla sanzione stabilita su un soggetto deviante.
Le sanzioni mutano secondo l’importanza attribuita alle norme, in base al posto che queste
occupano nella coscienza pubblica.
Anche Tonnies fa una distinzione tra i diversi modelli di società e le modalità con cui
viene assicurata l’efficacia delle norme giuridiche; in questa distinzione egli vede due
modi contrapposti di intendere le relazioni sociali: - Comunità;-
Un’analoga connessione tra diversi modelli di società e diversi rapporti relazionali tra gli individui e
tra questi e le modalità con cui viene assicurata l’efficacia delle norme giuridiche, è proposta dalla
dicotomia, delineata da Tönnies, che contrappone “comunità” e “società”. In essa l’autore vede
l’alternativa tra due diversi e contrapposti modi di intendere le relazioni sociali. Nella comunità
(dove l’azione dei membri del gruppo è condizionata dalla volontà comune. società di tipo
organicistico), riprendendo le implicazioni del concetto romantico di “spirito del popolo”, Tönnies
ravvisa il condizionamento dell’azione dei membri del gruppo da parte di una volontà comune che
costituisce “il principio dell’unità della vita”, e si eleva a tal punto al di sopra degli “istinti sociali”,
da determinare e da sorreggere “l’intera civiltà di un popolo”. Nella società (dove l’azione dei
membri del gruppo appare determinata da una volontà soggettiva). Società di tipo
contrattualistica).
, invece, l’azione dei membri del gruppo appare determinata da una volontà che può essere
definita come arbitraria, non tanto perché istintiva, quanto perché soggettiva.
In una prospettiva sociologica, i due modelli della comunità, intesa come vita reale e organica, e
della società, intesa come formazione ideale e meccanica, sono caratterizzati da altrettanti
elementi strutturali, che riguardano le forme di organizzazione dei gruppi sociali e quindi i rispettivi
diritti: il modello di comunità è caratterizzato dal diritto familiare, mentre il modello di società è
caratterizzato dal diritto delle obbligazioni. Sulla base di tale contrapposizione, la coesione sociale
viene da un lato paragonata, riprendendo motivi della tradizione organicistica, a quella presente in
un organismo vivente, dove le parti collaborano necessariamente per la sopravvivenza del tutto, e
d’altro lato, riprendendo motivi della tradizione contrattualistica, a quella realizzata da un
contratto nel quale le parti fanno liberamente confluire le loro volontà individuali. Il termine
comunità coincide quindi con la priorità del gruppo rispetto all’individuo (organicismo) mentre il
termine società coincide con la priorità dell’individuo rispetto al gruppo (contrattualismo).
Entrambe le dicotomie appena viste vengono riprese da Theodor Geiger (che verso la metà del
secolo scorso 1964, le ripropone attraverso il filtro di un approccio metodologico direttamente
ispirato al realismo della scuola di Uppsala con la quale condivide l’impegno di essa volto a
demistificare tutte le ideologie, non solo quelle giuridiche. Per Geiger, la critica delle
sovrastrutture verbali che nascondono i fatti invece che descriverli, non esclude, il riconoscimento
dell’importanza delle radici psicologiche dell’osservanza e dell’efficacia delle norme): egli cerca di
distinguere, con l’ausilio di indicatori empirici, gli ordinamenti sociali nei quali la coordinazione è
prodotta da un reciproco e spontaneo adattamento dei singoli, dagli ordinamenti che rispetto ai
precedenti possono dirsi artificiali, in quanto l’armonica composizione dei comportamenti viene
guidata da apposite norme.
Nel primo caso si ha un ordine naturale il cui fondamento è, non un atto di volontà, ma un’intima e
necessaria connessione tra uomo e società. L’esistenza di tale ordine viene giustificata in base al
postulato che la società, ricondotta al suo “contenuto più semplice”, comporta una dipendenza
reciproca degli uomini, e che una forma esistenziale dello “stare insieme con altri” fa parte
integrante dello stesso concetto di uomo.
Questo fondamentale tipo di ordine sociale si concentra attorno a 3 aspetti del rapporto
“ego→alter”. Tali aspetti, che risultano controllabili solo in minima parte per mezzo della volontà o
dell’arbitrio individuali, sono: un’“interdipendenza sociale”, nella quale prevale un sentimento
istintivo di coesione fondato sulla necessità, che ogni singolo ha, per sopravvivere, di svolgere la
propria esistenza fisica e psichica insieme con altri e con l’aiuto di altri; un’“interrelazione vitale”
nella quale, sulla base di un’immedesimazione nell’altro, ci si comporta come se l’altro abbia
un’eguale vita interiore e si assume, quindi, che sia possibile interpretare e comprendere (o
credere di comprendere) gli atteggiamenti dell’altro nello stesso modo in cui l’altro è in grado di
comprendere e interpretare i nostri atteggiamenti; un’“interrelazione congetturale”, nella quale
predomina il momento pratico dell’adattamento al comportamento degli altri sulla base di ipotesi
intuitive, relative alle loro possibili reazioni.
Questi vari aspetti dei rapporti interumani, pur presentando diversi gradi di consapevolezza,
possono considerarsi guidati dal singolo individuo in modo prevalentemente istintivo.
Il secondo concetto di ordine emerge, invece, quando si passa dal livello dell’interdipendenza al
livello di coordinazione di comportamenti sociali tipizzati a seconda dei rispettivi ruoli. Questo
secondo tipo di ordine si rende necessario perché “il singolo possa prevedere con qualche
sicurezza come gli altri si comporteranno in situazioni tipiche e spesso ricorrenti”. La ricostruzione
geigeriana della formazione dell’ordine sociale risulta pertanto imperniata sulla contrapposizione
tra una società basata sulla semplice interdipendenza delle varie azioni, e una basata sulla
coordinazione di ruoli diversi.
Accanto a questa distinzione tra due modelli di ordine sociale, Geiger menziona un’altra
fondamentale distinzione (già richiamata da Weber), quella tra regolarità di comportamento
meramente iterative, e regolarità di comportamento normative nelle quali i comportamenti,
seguendo delle norme, richiedono interventi correttivi o sanzionatori in caso di infrazione e
obbligano anche per il futuro.
A partire dalla distinzione più ampia tra norme “verbali” e norme “sussistenti”, cioè tra norme
dotate di una formulazione verbale e norme osservate solo di fatto, si hanno ulteriori
suddistinzioni, per cui le norme verbali possono essere “proclamative” o “dichiarative” a seconda
che prendano atto di norme preesistenti o le modifichino, mentre le norme sussistenti possono
essere “latenti” o “attuali” a seconda che non abbiano mostrato la loro sanzionabilità non essendo
state ancora violate, oppure l’abbiano già mostrata. Quest’ultima distinzione è particolarmente
importante in quanto fa comprendere che la sanzionabilità per Geiger è un concetto che, al pari
del concetto di elasticità, può dirsi disposizionale, in quanto non si può dire se una regolarità abbia
o non abbia carattere normativo ove questa non venga violata, perché solo in tal caso può rilevarsi
se la violazione comporti un’effettiva sanzione.
NORME E SANZIONI
Per Geiger la norma è reale se c’è sanzione è l’indicatore principe dell’esistenza delle norme nella
mente degli uomini e della loro efficacia. Muovendo da tali presupposti Geiger elabora, intorno ai
concetti di sanzione e di efficacia, una costruzione formalizzata che intende rappresentare, su basi
rigorosamente comportamentistiche, le diverse fasi della formazione degli ordinamenti sociali e
degli ordinamenti giuridici. Il linguaggio da lui prescelto si serve di formule che esprimono
succintamente relazioni, linguaggio questo che certo non è usuale in un’opera sociologico-
giuridica, e che può essere giustificato per almeno due buone ragioni: perché in tal modo il lettore
può meglio apprezzare la linearità del ragionamento, e perché in tal modo tutti gli elementi
utilizzati possono essere trattati con maggiore neutralità. Secondo Geiger
- Norme valide quando sono obbligatorie vi è norma solo se vi è devianza
- Si rispetta una norma anche non conoscendola, e se non la si rispetta, c’è una reazione sociale,
fino alla sanzione
Egli usa dei simboli per spiegare la sanzione e l’efficacia del dritto e si può dire che ogni
ordinamento sociale riposa sul fatto che in ogni gruppo integrato ∑ (i cui singoli membri sono
indicati con M) c’è un rapporto stabile, o almeno statisticamente probabile, tra certe situazioni
tipiche s e determinate modalità di comportamento c.
La formula è che sc, cioè in una certa situazione si ha normalmente un certo comportamento,
ma può anche accadere sċ, cioè un comportamento diverso da quello statisticamente
prevalente.
Attorno a questi schemi ruota l’intreccio delle aspettative sociali; tali schemi servono, infatti,
all’attore come modelli per i suoi comportamenti e allo spettatore come strumenti per prevedere
certi comportamenti da parte dell’attore e quindi per le aspettative sociali.
Affinché il processo di coordinazione sia completato, l’attore dovrà a sua volta tenere conto delle
aspettative degli osservatori e delle loro possibili reazioni nel caso in cui le aspettative fossero
deluse.
Sarebbe, tuttavia, eccessivamente semplificante ritenere che il comportamento di un singolo
consociato dell’integrato sociale possa essere guidato dal principio della pura e semplice identità
rispetto ai comportamenti degli altri consociati. In generale, e a maggior ragione in una società
differenziata, il principio informatore della coordinazione sociale sarà infatti quello della coerenza
dei comportamenti rispetto ai singoli ruoli volta a volta esercitati
Questo principio della conformità dei comportamenti ai ruoli oltre che alle situazioni, provoca,
nella costruzione geigeriana, due conseguenze. In primo luogo, gli elementi che entrano a far parte
della situazione intesa in senso lato comprendono, non tanto elementi relativi a circostanze
esteriori e ad aspetti puramente fisici, ma soprattutto elementi che riguardano la posizione sociale
dei vari soggetti.
Geiger propone di usare la formula (sc) per indicare “dato s allora c” e propone, invece, di usare
la formula “(sc) v” per indicare che la connessione posta tra parentesi ha un fondamento non
solo statistico, ma anche normativo, obbligatorio, sia per i destinatari AA, sia per eventuali
beneficiari BB. Più precisamente, secondo geiger ogni norma sociale può essere ricondotta alla
formula
(S c) v AA/BB secondo la quale la connessione tra una certa situazione s e un certo
comportamento c sarà obbligatoria (vincolante) per i destinatari della norma AA che si
comporteranno nel modo previsto dalla norma nei confronti dei beneficiari BB.
In ogni norma possono distinguersi, almeno in linea di principio, 4 elementi fondamentali:
• Il nucleo s→c, con cui si indica che in un certo gruppo sociale integrato si ha una
correlazione, per cui dato “s” (situazione tipicamente ricorrente) si ha “c” (comportamento
solitamente tenuto dai membri del gruppo in una certa situazione);
• I destinatari AA;
Se poi, come avviene nel caso della norma elementare: (esempio)<<i ciclisti (AAA) sono tenuti (v)
dopo l’imbrunire (s) ad accendere i finali (c )>>, manca un beneficiario esplicitamente indicato si
ha la formula: (s → c) v A/ diviso
Imposta cosi la definizione della obbligatorietà v da un punto di vista formale, resta il problema di
reperire degli indicatori di v che siano empiricamente osservabili. Geiger muove da due
osservazioni preliminari. In primo luogo, l’attribuzione di carattere obbligatorio a uno schema di
comportamento s → c ha senso solo se per AA sia possibile, oltre a c, un comportamento diverso,
designabile nella simbologia geigeriana come ċ. In secondo luogo, l’obbligatorietà si (s → c) non
richiede necessariamente un comportamento conforme di tutti i destinatari. Se quindi, in
generale, la maggior parte degli AA realizzano nel loro agire il nucleo (s → c) mentre altri agiscono
in modo diverso secondo lo schema (s → ċ) non occorrerebbe per questo rinunciare a considerare
(s → c) obbligatorio. Ritiene infatti, che un tale schema sia obbligatorio o vincolante solo per gli AA
che lo seguono sarebbe un vero e proprio <<non senso>> in quanto verrebbe esclusa la possibilità
di una devianza
A queste premesse risulta che il concetto di regola implica quello di devianza. Per individuare la
vincolatività della correlazione (sc), occorre osservare cosa avviene dopo che un
comportamento diverso ċ sia stato commesso da un destinatario A.
Se obbligatorietà viene definita come la probabilità con cui una certa persona che si trova in una
certa situazione stabilita dalla norma compia un certo comportamento esponendosi, in caso
contrario, a una reazione da parte del pubblico, si prefigura in tal modo l’eventualità che, in un
certo numero di casi, l’inosservanza della norma non sia seguita da alcuna reazione da parte
dell’opinione pubblica per l’intervento di svariati fattori di disturbo, quali, ad es., la mancata
conoscenza dell’infrazione da parte del destinatario di una norma, l’irreperibilità del destinatario
di una norma, la temporanea impossibilità di esercitare la reazione alla violazione di una norma,
ecc
(Se al comportamento deviante, cioè alla violazione di una norma, segue una reazione r da parte
dei membri di un gruppo integrato o da parte dell’opinione pubblica, tale reazione r sarà un
sintomo sufficiente a far considerare (sc) obbligatorio, se tale reazione non si verifica, ciò sarà
sufficiente a far considerare (sc) non obbligatorio. Quindi lo stigma dell’obbligatorietà v non si
realizza solo con l’obbedienza di AA ma anche con la reazione del gruppo alla eventuale
disobbedienza di AA che ha un atteggiamento deviante che viene punito dal giudice e da una
sentenza, indicate con Δ (per indicare un destinatario deviante si usa Ad ).
Queste e altre osservazioni formali hanno chiaramente scarsa rilevanza sociologica se non si
stabilisce anche quali variabili sociali determinano i tassi di efficacia o inefficacia delle norme, e
quindi quale sia il loro grado di obbligatorietà.
Quanto più indipendenti dal gruppo sociale integrato sono i singoli consociati, tanto più facilmente
essi possono assumere una posizione autonoma nei confronti di tale gruppo, e tanto più incerto
diviene il mantenimento dell’obbligatorietà delle norme.
Quanto alla variabile dell’“opinione pubblica”, Geiger osserva che la reazione da questa posta in
essere non equivale sempre all’attuazione coercitiva del comportamento, ma può mirare a
infliggere semplicemente un danno al deviante (rappresaglia), oppure può svolgere una semplice
funzione preventiva, influenzando i comportamenti concreti dei destinatari con la minaccia di
sanzioni, oppure ancora può operare senza ricorrere a tale minaccia, ma con il semplice ausilio di
una serie di motivi di dissuasione collaterali, come il pensiero che un beneficiario di una norma
interessato a s→c (nucleo) potrà rivalersi in un’occasione successiva, ecc.
Nota: Geiger, inoltre, effettua una ulteriore differenza, quella tra norma consuetudinaria e norma
statuita:
a) mentre la norma consuetudinaria non ha né un inizio né un autore determinato, la norma
statuita ha un’origine precisamente databile ed è attribuibile a un determinato atto umano;
b) mentre la norma consuetudinaria ha un rapporto con il tempo di tipo retrospettivo (ciò che si è
fatto ieri lo si deve fare anche oggi), la norma statuita ha un rapporto con il tempo di tipo
prospettivo (domani e in futuro si farà come oggi si è stabilito);
c) mentre la norma consuetudinaria appartiene alla sfera della spontaneità, la norma statuita è
sempre espressione di riflessioni, e appartiene quindi alla sfera della razionalità.
CAPITOLO 5
IL PROBLEMA DELL’EVOLUZIONE
Il problema dell’efficacia si rifà a come cambiare la società con regole giuridiche, e queste non
bastano che siano obbligatorie, ma devono essere condivise. Il problema dell’evoluzione del diritto
è legato alla capacità che i fatti sociali hanno di mutare le norme e alla capacità che le norme
hanno di apprendere dai fatti. Questo dimostra che i sistemi giuridici possono essere esaminati da
un punto di vista statico (sincronicamente – osservati in un dato momento) oppure nel loro
trasformarsi, essi infatti sono in costante mutamento/movimenti. Da ricordare anche che il
mutamento può avvenire nel tempo (per il succedersi delle epoche storiche e degli equilibri
politici) e nello spazio.
Il diritto, quindi, non è stabile ma in continuo cambiamento e cambiando muta il senso delle
norme, la loro interpretazione, o ne vengono create delle nuove. Da ricordare che al mutamento
giuridico, segue il mutamento sociale. Il diritto fa parte della cultura nel senso generale, ma non è
il settore trainante, in quanto l’innovazione della cultura proviene dai comportamenti sociali.
Il rapporto tra mutamento sociale e mutamento giuridico nasce nell’800 con la nascita della teoria
evoluzionistica di Darwin, formulata nel 1859, evoluzione che sarà poi applicata alla società e al
diritto e al loro reciproco causarsi (alcuni però dicono che a parlare di evoluzione prima di Darwin
fu Spencer). L’evoluzione è il progresso da uno stadio più basso (meno complesso) a uno più alto
(più complesso), e questi stadi esistono anche nello sviluppo del diritto, che sia esso più o meno
articolato. Spencer parla di evoluzione sociale; questa si suddivide in una società più arcaica,
fondata sullo STATUS, e una più “moderna” di tipo cotrattualistica. Nel primo tipo di società gli
uomini e le loro identità vengono ricondotte a sfere più ampie (tipo caste). Qui non c’è un
progredire sociale. Nelle società contrattualistiche invece i singoli uomini hanno più valore, e vi è
un progredire sociale.
Henry Summer Maine (teorico evoluzionista inglese del 1861) nella sua teoria evolutiva riflette
sull’evoluzione del diritto, evidenziando il passaggio della società dallo status al contratto.
Egli sostiene che il diritto primitivo (solidarietà meccanica di Durkheim) era di tipo patriarcale,
incentrato sui rapporti di famiglia (famiglia intesa come ceto di appartenenza sociale) e non sul
singolo individuo. Era una società in cui il fattore centrale era lo status, cioè la posizione sociale
trasmessa per nascita (nasco aristocratico e resto aristocratico per sempre e così per tutti gli altri
ceti). Il diritto moderno (solidarietà organica per Durkheim), invece, dà valore al singolo individuo
e nella società moderna tutto si lega al contratto, alle relazioni contrattuali tra soggetti, in cui c’è la
possibilità per un soggetto di progredire o retrocedere nei ceti sociali (nasco povero, posso
diventare un ricco e viceversa), quindi l’individuo non è più legato alle sue origini.
A questo passaggio (dalle società primitive incentrate sullo status alle società moderne basate sul
contratto) corrispondono due forme di diritto, quello familiare e quello di commercio e traffico.
Da ciò si è sviluppato, nella sociologia del diritto, il problema dell’evoluzione del diritto e ci si
chiede come è possibile combinare cambiamento sociale e mutamento dell’identità del diritto.
Quindi;
- “Ancient Law” equivale ad un diritto primitivo di tipo patriarcale, dove diritti e obblighi non si
riconducono a singoli uomini, ma a gruppi di appartenenza.
- Status (si riferisce al punto sopra), è la condizione delle società primitive.
- Contratto, gli uomini sono staccati dai gruppi di appartenenza.
Durkheim evidenzia due tipi di solidarietà sociale: 1) solidarietà meccanica, tipica delle società
primitive, che indica una somiglianza tra tutti gli individui, è una società a bassa differenziazione
sociale dei ruoli, in cui si ripetono sentimenti simili e omogenei, dove la personalità individuale è
assorbita dalla collettività; 2)solidarietà organica, tipica delle società contemporanee, in cui c’è
una differenziazione tra gli individui in base ai diversi lavori svolti da ognuno (perciò i titolo del
libro è “La divisione del lavoro sociale”) che porta anche all’assunzione di una personalità singolare
per ogni individuo.
Nelle società primitive, in cui la solidarietà sociale è meccanica, il diritto è diritto penale (cioè che
punisce i soggetti devianti), c’è dunque una sanzione repressiva; la società moderna è tenuta
insieme da una solidarietà organica e il diritto pone al centro il contratto per regolare le relazioni
sociali, le sanzioni sono risarcitorie e civilistiche, cioè non puniscono più il soggetto deviante ma lo
rieducano e si parla in questo caso di sanzione restituiva o riparatoria.
La solidarietà, in entrambi i casi sopra citati, porta alla coesione sociale e, quindi, al rafforzamento
dell’efficacia del diritto.
Egli, inoltre, osserva che il diritto è visibile nella società (cioè si vede in quanto si nota nell’agire dei
soggetti in modo conforme alle norme) ed efficace, cioè crea ordine sociale, in relazione alla
sanzione stabilita su un soggetto deviante.
Le sanzioni mutano secondo l’importanza attribuita alle norme, in base al posto che queste
occupano nella coscienza pubblica.
Le sanzioni, per Durkheim, sono di due tipi: sanzioni repressive, che hanno lo scopo di colpire il
soggetto nella sua libertà, di privarlo di qualcosa di cui gode; sanzioni riparatorie, volte a ristabilire
i rapporti turbati e non implicano, quindi, nessuna sofferenza del soggetto sanzionato. Durkheim
centra con la teoria dell’evoluzione, perché si rifà all’opera “divisione del lavoro sociale”, ove la
società è tanto complessa quanto più è la divisione del lavoro. La solidarietà, per l’autore, è una
parte visibile del diritto, in quanto;
- Nella società meccanica assistenza ad un individuo è data dal gruppo di appartenenza
- Nella società organica c’è una alta differenziazione sociale, e l’assistenza è data da organi
appositi. Nella società organica/contrattualistica viene usato il contratto per regolare le relazioni
sociali. (DOMANDA D’ESAME) Durkheim considera l’importanza del contratto, la divisione del
lavoro, e la sanzione, che può essere repressiva (reprimo un comportamento errato) o restitutoria
(segna il passaggio da società primitiva – legate al risarcimento del danno)
Per quanto riguarda l’efficacia del diritto, si è visto entro quali limiti una struttura normativa, che
per definizione può dirsi “contro fattuale” essendo destinata non a cedere ai fatti ma a imporsi su
di essi, può affidarsi agli strumenti di controllo di cui tradizionalmente un ordinamento giuridico
dispone per addomesticare i fatti, vale a dire a sanzioni, che con le cattive o con le buone (sanzioni
premiali) riescono a esercitare una forza impositiva sugli effettivi comportamenti dei destinatari,
come pure a diffusi atteggiamenti valutativi di carattere più generale, volti a giustificare un
consenso nel confronti dell’ordinamento e a legittimarlo.
In questo capitolo l’attenzione verrà invece rivolta alla capacità che i fatti hanno di mutare le
norme, e che, correlativamente, le norme hanno di apprendere dai fatti. Attraverso tali strade
potrà prodursi una vera e propria evoluzione del diritto.
A riflettere sull’evoluzione del diritto è stato anche Niklas Luhmann (sociologo tedesco di metà
1900, allievo di Parsons),
(Nota: La sua teoria è il funzionalismo strutturale, cioè pone in primo luogo la funzione e in
secondo luogo chi la svolge (a differenza di Parsons che parla di strutturalismo funzionale, infatti
Luhmann con la sua teoria dei sistemi parte proprio dalla teoria di Parsons). Luhman mette in
secondo piano la struttura, che è determinata dalla funzione.
perché c’è bisogno del diritto? Perché sono necessarie le norme? Concetto di possibilità e
complessità
Il sistema sociale è presentato come un insieme di elementi tra loro interrelati, che per
sopravvivere in un ambiente complesso, incontrollabile e variamente fluttuante, ha bisogno di
sviluppare un’adeguata complessità interna, co-determinata da sottosistemi di cui è composto e
dalle loro reciproche relazioni.
Il sistema sociale richiede la presenza decisiva di un sottosistema giuridico. A tal fine vengono
utilizzate codificazioni binarie tipiche (nel caso del diritto: lecito/illecito, legale/illegale, conforme
al diritto/non conforme al diritto; nel caso dell’economia: ricco/povero, utile/non utile).
Dato che il problema dell’evoluzione assume un’importanza cruciale in una prospettiva sistemica,
non stupisce che nell’opera di Luhmann esso venga affrontato in 3 fasi diverse, ciascuna delle quali
prende in considerazione i fattori di cambiamento del sistema provenienti: a) dal suo interno, b)
dal suo esterno, c) da entrambi i versanti.
• I fattori sociali che possono spingere il diritto a mutare se stesso per continuare a svolgere i
propri compiti;
• I meccanismi del diritto che, come i procedimenti, sono di per sé in grado di produrre
innovazione in un quadro di continuità;
LE RAGIONI DELL’EVOLUZIONE
Inteso come sottosistema del più ampio sistema sociale, il diritto, è chiamato ad assicurare
prestazioni che sono collegate all’evoluzione propria e a quella del sistema sociale di cui il
sottosistema giuridico fa parte
L’evoluzione del diritto è il risultato di un più vasto processo che coinvolge tutti i sottosistemi
sociali, ognuno dei quali deve adeguarsi alla complessità, non solo dell’ambiente, ma anche degli
altri sottosistemi. È possibile quindi affermare che l'evoluzione è il risultato di un processo
generale di reciproco adattamento dei sottosistemi, e che a tale processo nessuna parte del
sistema sociale, a cominciare dal diritto, può del tutto sottrarsi, anche se i livelli di
condizionamento possono essere molto diversi (Luhmann). In effetti in un sistema, (esempio)
come in uno specchio d’acqua, qualunque movimento si diffonde all’intera società, e il diritto non
può restare indifferente a queste connessioni. Se, per utilizzar un esempio di Luhmann, i nomadi
addomesticano il cavallo, essi acquistano una superiorità bellica che può spingere altri popoli a
costruire fortificazioni ed ad accettate un ‘organizzazione politica stabile, con conseguenze anche
nel campo del diritto).
Ma, per potere individuare simili interrelazioni e i conseguenti cambiamenti sulla sfera giuridica
occorre anzitutto chiedersi: perché in un sistema sociale che si evolve c'è bisogno del diritto? O,
più in generale, perché un sistema sociale c’è comunque bisogno di normazione?
Per rispondere a tale interrogativo Luhmann delinea alcuni meccanismi elementari che portano i
sistemi sociali ad avvertire e soddisfare, nella loro evoluzione, una fondamentale richiesta di
normatività
La strategia di adeguamento della complessità interna a quella esterna viene realizzata mediante
l'elaborazione di strutture. La struttura è in tale prospettiva quel meccanismo che serve a
selezionare un ristretto campo di alternative di comportamento fra tutte quelle possibili allo scopo
di consentire la formazione delle aspettative. La struttura deve quindi servirsi di criteri che
assicurino una certa prevedibilità, filtrando dall'insieme degli eventi possibili l'insieme più ristretto
degli eventi che probabilmente saranno realizzati. Solo tali eventi potranno essere fatti oggetto di
aspettative. La struttura serve a ridurre la quantità di delusioni che la complessità del mondo può
provocare. Un importante esempio di struttura, per qualche verso analogo al diritto, è costituito
dal linguaggio. Il linguaggio offre, di per sé, un elevato numero di possibilità alternative di
espressione, e inserisce quindi chi lo usa in un articolato processo di selezione. Dopo aver
compiuto una prima selezione limitando le numerosissime possibilità di articolare suoni che il
soggetto comunicante naturalmente possiede, il linguaggio lascia che su questo campo,
convenzionalmente definito e quindi suscettibile di aspettative, il soggetto possa selezionare
ulteriormente i segni e i suoni da usare nei propri discorsi. Il linguaggio in quanto tale compie
insomma una duplice selezione di possibili alternative, selezionando in una prima fase ciò che, i
una seconda fase, dovrà essere scelto dai singoli individui nelle diverse situazioni.
Questa articolata operazione di selezione può essere compiuta da ogni struttura. Ora, la presenza
di strutture, per la società come per l'individuo, riduce, ma non elimina, la probabilità che le
aspettative siano deluse. Il mondo, infatti, oltre a essere complesso è anche contingente. Il
termine “contingenza” designa appunto la possibilità che anche gli eventi probabili dal punto di
vista di una certa struttura, non si realizzino o si realizzino in modo difforme dalle aspettative.
Questo non toglie che tra le due strategie quella normativa sia di gran lunga più facile da usare in
un mondo incerto. L'atteggiamento normativo, sia nel sistema-uomo sia nel sistema-società, può
estendersi a un campo di applicazione molto più vasto. Potendo “classificare come deviante il
comportamento difforme dalle aspettative esso trova in questa possibilità sicurezza già nel
presente”.
Con l'evoluzione del sistema, le norme acquistano sempre maggiore importanza come strumenti di
orientamento e di coesione sociale.
Un decisivo passo in avanti, per giungere a quelle particolari strutture normative che sono le
strutture giuridiche, viene compiuto da Luhmann sviluppando la distinzione, appena vista, fra
strutture di aspettative normative e strutture di aspettative cognitive, in un contesto più ampio.
Tale distinzione si fonda, infatti, su una dimensione temporale, alla luce della quale le strutture
cognitive risultano più instabili nel tempo e le strutture normative risultano invece più stabili
perchè non correggibili in seguito a esperienze difformi.
La non correggibilità delle strutture normative richiede invero la disponibilità di strategie volte alla
produzione di consenso o all'assorbimento delle inevitabili delusioni al fine di assicurare
comunque la difesa delle aspettative.
Per illustrare tale strategie, che possono essere sanzionatorie, o non sanzionatorie, Luhmann si
serve dell’esempio dell’appuntamento mancato. << se ho un appuntamento con un amico al bar e
non lo trovo, mi sento ferito, ma non solo nelle mie aspettative cognitive, ma anche in quelle
normative>>. In effetti, la (tendenziale) puntualità è un obbligo socialmente riconosciuto. Risulta
necessario, quindi, un “trattamento” della delusione, e per questo sono disponibili numerose
strategie non sanzionatorie, come quella del lamentarsi presso il cameriere e/o presso tutti i
presenti cercando una conferma del principio violato della puntualità, oppure la strategia di
continuare ad attendere, nel presupposto che prima o poi l’amico arriverà, per provocare,
mediante l’enormità del danno subito, una maggiore risonanza alla violazione della norma. È
inoltre possibile canalizzare, la delusione, sempre in modo non sanzionatorio, ignorando la
violazione della norma, e quindi non prendere atto. Una tale strategia può dirsi del <<fingere di
non vedere>>, e presenta una duplice vantaggio: protegge la norma da informazioni difformi che
la mettono in discussione, e protegge chi è deluso dalla necessità di reagire.
Le strutture di aspettative sono per Luhmann tipicamente esposte a delusioni. Proprio da questo
può nascere un importante impulso alla correzione delle strutture e quindi alla loro evoluzione. In
effetti, alla delusione di un'aspettativa è possibile reagire seguendo essenzialmente due strategie:
o correggendo l'aspettativa delusa in modo da adeguarsi alla realtà (strategia cognitiva) (strategia
tipica delle scienze), o tenendo ferma l'aspettativa anche nei casi in cui essa viene delusa (strategia
normativa). La strategia cognitiva e quella normativa sono funzionalmente equivalenti, il che
significa che entrambe possono svolgere, sia pure in modo diverso, la medesima funzione di
neutralizzare i pericoli che derivano dalla delusione di aspettative.
Le strutture di aspettative hanno, oltre a una dimensione temporale (cioè la durata della struttura
e il meccanismo di controllo è la normazione), anche una dimensione sociale il cui aspetto
rilevante è il consenso collettivo, che riguarda la loro capacità di incontrare consenso in un certo
gruppo umano. Luhmann muove dalla constatazione che l'attenzione di ciascun membro del
gruppo risulta limitata rispetto alla pluralità dei comportamenti socialmente rilevanti.
Vi è la necessità che, nel gruppo, si formino dei meccanismi per economizzare il consenso. Tali
meccanismi hanno lo scopo, non di procurare l'irrealizzabile consenso di tutti, ma di considerare il
consenso inespresso come se fosse espresso. Questi meccanismi portano all'istituzionalizzazione
del consenso, cioè alla sopravvalutazione dell'effettiva consistenza numerica dei giudizi favorevoli
in modo da renderli fittiziamente espressione della volontà dell'intero gruppo.
A seconda del grado di astrazione richiesto, una norma può riferirsi a persone, a ruoli, a
programmi, a valori. Nel caso in cui delle aspettative normative siano riferite a una persona, esse
rimangono su un piano tanto concreto da non poter essere senz'altro generalizzate. Nel caso,
invece, in cui si ha bisogno di formare aspettative normative più astratte, esse possono essere
riferite a un certo ruolo, cioè possono ignorare certi caratteri individuali tenendo conto solo dei
caratteri tipici che entrano nella definizione del ruolo. Un ulteriore aumento di astrazione viene
ottenuto riferendo un insieme di aspettative normative a un certo programma, cioè a una regola di
decisione che sia formulata verbalmente in termini generali e le cui condizioni di applicazione
siano specificabili a seconda delle situazioni. Infine, un ulteriore incremento di astrazione si ha nel
caso in cui un insieme di aspettative normative sia riferito a certi valori. A differenza dei
programmi, i valori hanno infatti tra loro rapporti che non vengono fissati una volta per tutte, ma
che possono variare nei casi di conflitto dando luogo a risultati non univocamente determinabili.
(Nota: Le aspettative normative riferite a persone sono concrete, ai ruoli sono un po’ più astratte,
ai programmi sono ancora più astratte, ai valori sono astratte al massimo livello)
(In sintesi: Il diritto, secondo Luhmann, può essere definito come quella struttura di un sistema
sociale la cui funzione consiste nella congruente generalizzazione di aspettative normative di
comportamento, ove per congruente generalizzazione si intende un modo di integrare il sistema
sociale che consenta a formazione, istituzionalizzazione e astrazione di operare compatibilmente
tra loro sul medesimo insieme di aspettative (Kelsen affermava che le norme dovevano essere
astratte e generali; per Luhmann non solo devono essere astratte e generali ma devono anche
indicare qual è il comportamento sociale più adatto che deve tenere il soggetto nelle varie
situazioni)
Luhmann ritiene che il costante aumento di complessità della società abbia effetti rilevanti per i
singoli sistemi di cui essa è composta in quanto provoca il contemporaneo potenziamento dei 3
meccanismi necessari all'evoluzione dei sistemi complessi, cioè: a) dei meccanismi che servono alla
produzione di possibilità di azione e di esperienza; b) dei meccanismi che servono alla selezione
delle possibilità utilizzabili e il rigetto di quelle inutilizzabili; c) dei meccanismi che servono alla
conservazione e alla stabilizzazione delle possibilità prescelte.
Il processo evolutivo così indicato sembrerebbe comportare una sorta di rincorsa senza fine del
diritto nei confronti della società, in quanto il sistema che abbia raggiunto un livello di complessità
interna superiore è anche in grado, per ciò stesso, di percepire, e quindi di avvertire come
problematica, una porzione maggiore di complessità ambientale.
La domanda che in tale contesto occorre porsi è, quindi, se il sistema giuridico sia in grado di
tenere il passo del generale aumento della complessità, oppure incontri dei limiti nell'aumentare
la propria complessità interna e debba pertanto reagire o isolandosi dal processo di mutamento
sociale o cedendo il posto ad altri sistemi, dotati di maggiore elasticità strutturale. È questa,
evidentemente, una questione centrale per una teoria dell'evoluzione del diritto.
Da un lato vi è chi teorizza, nelle forme più diverse, l'inevitabile declino del diritto oltre un certo
livello di complessità sociale; dall'altro vi è chi ritiene che il diritto possa aumentare ulteriormente
la propria complessità assumendo nuove funzioni, ad es. pianificatrici e promozionali, oltre a
quelle coercitive tradizionali. La risposta di Luhmann è nel senso di ammettere un costante
adeguamento della complessità interna del sistema giuridico all'aumentata complessità esterna
prodotta dalla differenziazione funzionale.
(In conclusione, il diritto deve evolversi per riuscire ad affrontare i problemi evolutivi connessi alla
differenziazione funzionale che la società stessa produce.
Luhmann sostiene dunque che la complessità esterna deve trasformarsi in complessità interna,
quindi il diritto deve evolversi)
La capacità evolutiva del diritto, per far fronte alla complessità esterna, può essere moltiplicata
mediante l’utilizzazione di meccanismi giuridici, pur mantenendo la loro caratteristica normatività
sono programmati per produrre con l’apporto di fattori esterni, risultati imprevedibili, in grado di
innovare il diritto.
Ciò, secondo Luhmann, è possibile attraverso il procedimento (DOMANDA D’ESAME; cioè tramite
il procedimento, il diritto è in grado di evolversi, di aumentare la sua complessità interna per
sopravvivere nella società complessa), con il quale non si intende solo il diritto processuale ma
ogni successione giuridicamente rilevante di atti aventi esito incerto.
ci sono almeno 4 tipi di procedimenti che illustra Luhmann, tra i quali (DOMANDA D’ESAME): 1)le
elezioni politiche,2) l’iter legislativo (ha un programma di riferimento allo scopo), 3)i processi
decisionali della pubblica amministrazione (il procedimento amministrativo è chiuso e rigido in
quanto non deve tener conto di ciò che dicono i soggetti agenti ma solo se l’azione è legale o
meno; ad es. io voglio costruire la casa, ma se costruirla non è lecito, il procedimento
amministrativo mi deve impedire di farlo e non deve tener conto delle motivazioni per le quali io
devo costruire la casa), 4)il procedimento giudiziario (il processo).
Il processo è, dunque, capace di innovare e ciò avviene proprio per la sua caratteristica di riuscire a
elaborare autonomamente informazioni provenienti dall’esterno.
Quindi, il procedimento è un meccanismo essenziale per l’evoluzione del diritto.
Come tutti i sistemi sociali, anche il procedimento si costituisce mediante delimitazione di confini
nei confronti di un ambiente. Ciò comporta che quanto vale nel mondo non vale nel
procedimento, ma deve esservi introdotto attraverso appositi filtri. Storicamente si assiste a un
progressivo aumento delle maglie dei filtri che regolano l'ingresso di informazioni del
procedimento. Esempi di tali filtri possono essere, per il procedimento giudiziario, da un lato il
giudizio di Dio, che affida la decisione finale a un solo evento, e d'altro lato il moderno processo,
nel quale numerosi criteri di rilevanza impongono costantemente al giudice di non tener conto di
tutto ciò che non sia rilevante per il processo. Alle singole parti viene pertanto imposto di lasciare
fuori dal procedimento ogni
altro ruolo sociale da esse eventualmente ricoperto.
L'incertezza dell'esito viene assorbita nel corso del procedimento stesso “mediante un processo
selettivo di decisione” che è in grado di legittimarsi da solo. La “teoria nascosta” del procedimento
si fonda sul fatto che esso inserisce l'individuo in un insieme coordinato di ruoli “interni” al
processo e, in tal modo, riesce a spingerlo ad accettare le decisioni finali da esso prodotte
qualunque sia il loro contenuto e indipendentemente da motivazioni personali . (Per il
procedimento e per la sua capacità di adeguare il diritto alla complessità esterna, esiste la teoria
nascosta del procedimento (DOMANDA D’ESAME), secondo la quale vengono prodotte
innovazioni mediante decisioni accettate dagli interessati (per es. se io voglio costruire una casa e
il comune me lo vieta, ci sarà un’innovazione del sistema giuridico che imporrà, a chiunque voglia
costruire la casa dove volevo io, il divieto di farlo e così io e gli altri, non costruendo la casa,
abbiamo accettato la legge)
Una sentenza passata in giudicato deve necessariamente essere accettata, in quanto non vi sono
più possibilità di mutarla o di ignorarla. L'accettazione significa, tuttavia, qualcosa di più, vale a dire
che il risentimento e le delusioni che possono seguire a una sentenza sfavorevole, non vengono
istituzionalizzate, ma rimangono invece confinate a livello privato, senza assumere la rilevanza di
conflitti sociali.
Affinché l'esito del processo sia accettato, è quindi necessario sviluppare strategie dirette a
coinvolgere la parte. Tali strategie si basano anzitutto sul principio della “coerenza” che regola le
interazioni sociali. Una certa misura di coerenza nella rappresentazione di se stessi (per es. chi si è
presentato come non fumatore, non può certo iniziare a fumare) la si attende da tutti i consociati,
come base di orientamento e come presupposto su cui fondare l'interazione sociale in modo
duraturo. Nel processo, questa attesa sociale che si rimanga coerenti a se stessi e che si mantenga
l’identità acquisita esercita una pressione sulle parti, che finisce per vincolarle, limitando così le
variazioni. In tal modo, la parte deve accettare l’esito di un procedimento, un esito che è sempre
incerto (è opportuno mantenere incerto l’esito finale del procedimento affinché il diritto
sopravviva). Il processo è capace di innovare il diritto elaborando autonomamente informazioni
provenienti dall’esterno rendendole vincolanti
Luhmann si occupa anche di ulteriori procedimenti oltre al procedimento giudiziario.
Relativamente al procedimento legislativo egli osserva che il programma decisionale di riferimento
non è quello condizionale (“se...allora”) ma un programma di scopo. Ciò comporta un ulteriore
aumento della capacità decisionale che in questo caso viene mantenuta entro limiti accettabili
grazie a una “doppia struttura” nella quale operano congiuntamente sia le procedure parlamentari
formalmente intese, con deliberazioni finali adottate a maggioranza, sia le concrete modalità
operative del processo legislativo, in cui si intrecciano relazioni personali e informali. Quanto ai
destinatari delle decisioni, essi possono accogliere favorevolmente le variazioni del diritto prodotte
dai procedimenti legislativi, ma in generale le subiscono come fossero eventi di cui tenere solo
cognitivamente conto, e quindi modificano “le loro aspettative in modo corrispondente, senza che
intervengano complicazioni o discrepanze di rilievo nei ruoli ulteriori da loro ricoperti”.
Quanto poi ai procedimenti elettorali, che consentono l'interazione tra attori istituzionali (partiti) e
tra questi e attori sociali (votanti), la canalizzazione delle eventuali delusioni verso forme di
espressione istituzionalizzate e non violente viene assicurata dal fatto che “le elezioni politiche
offrono l'occasione per manifestare un dissenso senza mettere in pericolo la struttura”. Esse
pertanto fanno parte “dei meccanismi di assorbimento della protesta” e in questa prospettiva
“contribuiscono all'adempimento della medesima funzione dei procedimenti giudiziari”. Affinché il
procedimento delle elezioni crei “determinati presupposti e contributi parziali per il processo di
autolegittimazione del sistema politico”, vanno comunque rispettati i principi dell'universalità
dell'accesso al ruolo di elettore, dell'eguaglianza del peso di tutti i voti, e della segretezza del voto.
Grazie a elezioni che osservino tali principi si può istituzionalizzare una certa “variabilità
indipendente” della politica rispetto ad altri settori della società, e si permette così una sorta di
autonomia operativa della politica.
In effetti, nelle elezioni si produce solo una modesta quota di incertezza riguardo all'esito finale
data la ridotta possibilità di individui, programmi, partiti di distinguersi tra loro. In effetti, nelle
elezioni il cittadino si limita ad attribuire il suo voto partecipando in forme altamente generiche a
una concreta distribuzione di ruoli. La democrazia presenta infatti il grande vantaggio di consentire
il decidere senza eliminare la possibilità di correggere in futuro la decisione presa, mantenendo
così aperto il sistema a dosi periodiche di evoluzione per combinare esigenze di continuità e di
cambiamento in modo che risultino sopportabili per l'organismo sociale.
Il procedimento viene inteso come sistema di atti giuridicamente ordinati e privi di un esito certo,
che riescono a produrre decisioni nuove e talora innovative e a farle accettare a priori, non tanto
per le loro capacità effettive o potenziali di tutelare valori ancorati nell'ordinamento come quelli di
verità e di giustizia, ma principalmente in virtù dei meccanismi di assunzione di ruoli. Tali
meccanismi sociologici e psicologici vincolano chi partecipa ai procedimenti a sentirsi obbligato ad
accettare il loro esito per il fatto di avere, almeno in linea di principio, contribuito a produrlo, e
quindi di essere socialmente corresponsabile del suo contenuto, nella misura in cui i
provvedimenti vengono usati in un quadro democratico di riferimento.
Il sistema del diritto, per evitare che l'evoluzione indotta dall'ambiente distrugga la sua identità e
azzeri, (cioè per evitare che il diritto scompaia). Attraverso omologazioni successive, ogni
differenza con il resto del sistema sociale, non può essere esposto senza protezioni all'onda del
mutamento sociale ed è per questo protetto da propri filtri interni. Infatti, non tutto il mutamento
sociale entra nel mutamento del diritto perché altrimenti il diritto scomparirebbe Pertanto,
l’evoluzione del diritto si basa su cicli di variazioni che aprono nuove possibilità che vengono prima
selezionate e poi stabilizzate.
Per riuscire a scomporre nei loro vari elementi i processi che regolano la correzione delle strutture
normative che si sono consolidate in un certo stadio del loro sviluppo, Luhmann, nell'ultima fase
della sua produzione teorica, elabora alcuni concetti che corrispondono al altrettante modalità di
regolazione dell'apertura e della chiusura del sistema diritto. Tutti i sistemi, egli osserva,
presentano una “chiusura operativa”. Cioè le operazioni che il sistema giuridico effettua nascono e
restano all’interno di esso e sono strettamente connesse con operazioni svolte precedentemente e
che il diritto svolgerà nel futuro (cioè il diritto decide in base a decisioni prese in passato per lo
stesso avvenimento e le stesse decisioni verranno prese in futuro se si ripeterà lo stesso evento;
quindi una decisione giuridica è il frutto di un’altra decisione giuridica). Quindi, i fatti appartenenti
all’ambiente possono essere considerati come appartenenti al sistema giuridico solo se filtrati e
ricostruiti sulla base di criteri giuridici.
Questo comporta un isolamento totale del sistema giuridico da qualsiasi forma di influenza con
l’esterno ed è proprio la chiusura operativa, tipica di tutti i sistemi e non solo di quello giuridico,
che fonda l’identità del sistema stesso.
Un esempio che può far comprendere la chiusura operativa è quello di un fotografo che immortala
la Torre Eiffel; nella foto non è più la Torre Eiffel reale ma è solo una sua riproduzione che viene e
verrà osservata (quindi la vera Torre Eiffel non sarà più presa in considerazione). Così fa il sistema
giuridico con la sua chiusura operativa: osserva un fenomeno, lo comprende, lo porta dentro di sé
e vi trova delle soluzioni in base ai suoi strumenti e questo sarà poi un esempio per come
comportarsi nel caso in cui quell’evento dovesse ripetersi. Quindi c’è un isolamento da parte del
sistema giuridico da qualsiasi forma di influenza dall’esterno.
La chiusura operativa del diritto si chiama chiusura normativa e chiusura non vuol dire isolamento,
infatti, si può avere un’apertura operativa, cioè il sistema giuridico può apprendere in modo
selettivo tramite i procedimenti interni al sistema dall’ambiente esterno (il sistema si apre verso
l’esterno solo per prendere l’evento su cui riflettere e poi si deve richiudere in se stesso).
Il diritto è un sistema pronto a diventare sempre più aperto senza per questo rinunciare a
difendere un certo margine di chiusura, in grado di combinare momenti di normazione o di
irrigidimento anche coercitivo nei confronti di comportamenti deludenti e devianti, a momenti di
apprendimento o di disponibilità a tener conto della devianza per modificare
corrispondentemente le aspettative deluse.
Nell'opera di Luhmann si può ravvisare una prevalente attenzione per il funzionamento delle
strutture del diritto e in particolare per il fondamentale problema dello studio del diritto, inteso
come analisi dei rapporti tra studio dogmatico del diritto e studio sociologico del diritto. I due tipi
di studio vengono riconosciuti, da parte di Luhmann, nelle loro esigenze essenziali: il primo
soprattutto nell'orientamento normativo e autoreferenziale che è indispensabile al mantenimento
e alla riproduzione del sistema stesso (Luhmann è un sociologo che guarda anche alla teoria
normativi sta di Kelsen, perciò si parla di studio dogmatico del diritto), e il secondo soprattutto
nell'apertura cognitiva del sistema all'ambiente (Ma Luhmann, essendo un sociologo, parla anche
dello studio sociologico del diritto, cioè secondo lui il diritto deve aprirsi anche all’ambiente
esterno per osservare i fattori rilevanti e richiudersi poi all’ interno di se stesso per riuscire a
sopravvivere)
Per Luhmann, quindi, il sistema si apre all’ambiente esterno (apertura operativa) ma poi si chiude
in sé (chiusura operativa)
Sia Kelsen che Luhnmann parlano del diritto positivo, cioè quel diritto utile per regolare i
comportamenti: per Kelsen a questo si arriva grazie alle proposizioni giuridiche (quindi non parla
del legame tra diritto e ambiente ma solo della logica interna dell’ordinamento giuridico),
Luhmann, invece, non guarda solo alla logica interna del diritto ma anche al legame tra diritto e
ambiente dato che il compito del diritto è quello di ridurre la complessità dell’ambiente esterno,
quindi guarda alla logica della riduzione della complessità.
Per Luhmann, dunque, all’evoluzione del diritto si arriva grazie ad una serie di micro-interventi di
apertura e chiusura del sistema giuridico verso l’ambiente (il suo è un approccio sistemico, cioè
guarda ai sistemi sociali).
I cambiamenti sociali e i cambiamenti del diritto si causano vicendevolmente, cioè tanto può
succedere che i mutamenti sociali causano l’evoluzione del diritto e tanto che il diritto cambia
causando trasformazioni sociali.
I mutamenti del sistema giuridico possono essere parziali e anche tardivi (cioè avvenire
lentamente e dopo tempo). Secondo Ogburn, il mutamento giuridico deriva dal mutamento
sociale e il cambiamento del sistema giuridico è molto lento.
Il diritto può evolversi anche attraverso un trapianto di un certo ordinamento in un altro. Un
esempio può essere l’integrazione europea che ha coinvolto la cultura giuridica interna ed esterna
dei paesi membri nel diritto superiore dell’unione europea.
Affinché avvenga l’integrazione del diritto con un diritto superiore è necessario un certo
radicamento culturale per evitare reazioni di rigetto.
Per evitare il rigetto ci sono 2 meccanismi: 1) meccanismi di acculturazione, cioè una generale
accettazione del nuovo; 2) meccanismi di inculturazione, cioè una rielaborazione e un
adattamento dei singoli punti.
Gli istituti del diritto penale mostrano maggior rigetto al cambiamento, soprattutto se l’ambiente
religioso e culturale è diverso (per esempio è difficile accettare la pena di morte se religiosamente
e culturalmente è vista in modo negativo).
Inoltre, alcune regole giuridiche hanno un forte radicamento sociale e quindi risulta complicato
cambiarle e sradicarle.
Un trapianto può avvenire solo se c’è un atteggiamento positivo da parte della cultura giuridica
interna ed esterna, quindi sia da parte dell’ordinamento giuridico interno sia da parte
dell’ambiente nell’accettare il radicamento di nuovi istituti giuridici trapiantati.
Habermas (1929) crea il passaggio dalla teoria dei sistemi di Luhmann alla teoria dialogica,
riflettendo sull’evoluzione del diritto. Habermas guarda all’azione dei soggetti e non più alla
funzione dei soggetti nelle strutture promossa da Luhmann.
Habermas ha avuto il merito di tradurre in un linguaggio più moderno i principali motivi ispiratori
della Scuola di Francoforte che si basavano sulle idee marxiste, ma ha anche cercato di ricostruire
il funzionamento dei sistemi sociali a partire, invece che dall'interno delle loro strutture,
prevalentemente dall'esterno, vale a dire dal punto di vista degli attori; sociali cioè a coloro a cui
sono indirizzate le norme, per ricostruire il funzionamento dei sistemi sociali.
I concetti cardine della sua teoria sono il “mondo vitale” e la “colonizzazione”, usati per spiegare il
rapporto tra diritto e realtà sociale nelle società moderne .
Habermas indica le principali tappe che il processo di evoluzione del diritto attraversa passando da
un'istituzionalizzazione del denaro e del potere (cioè dai media che sostengono la differenziazione
dei sistemi dell'economia e della politica) a uno stato democratico che finisce col
costituzionalizzare i rapporti di potere. (in quest’ultimo stadio ci sono state la riduzione delle ore
di lavoro, la tutela dei lavoratori, le assicurazioni sociali).
Tale ricostruzione porta Habermas a elaborare la distinzione tra due tipi di diritto (DOMANDA
D’ESAME): il diritto come medium e il diritto come istituzione. Il primo tipo di diritto serve
semplicemente da strumento organizzativo per i sottosistemi che si sono autonomizzati, e quindi
può essere legittimato “mediante procedimenti”, data la difficoltà di pervenire comunque a una
giustificazione materiale. Il secondo tipo di diritto – del quale fanno parte “i fondamenti del diritto
costituzionale, i principi del diritto penale e del diritto di procedura penale nonché tutte le
regolazioni di forme penali contigue alla morale (quali quelle relative ad assassinio, aborto,
violenza carnale ecc.)” - non può invece essere sufficientemente legittimato “mediante il richiamo
positivistico a procedimenti”, in quanto le sue norme “appartengono agli ordinamenti legittimi
dello stesso mondo vitale” e costituiscono “lo sfondo dell'agire comunicativo”.
Il diritto come medium si può creare, il diritto come istituzione è quello già insediato nella società.
Le norme del diritto come istituzione appartengono agli ordinamenti che la società stessa ha
fondato e sui quali si basa l’agire comunicativo.
Il diritto come istituzione, però, non resta solo nella società ma viene formalizzato tramite
proposizioni giuridiche che lo rendono artificiale e generale
A questo punto, per Habermas, il problema è perché gli uomini obbediscono ad un ordinamento
giuridico che è esterno al loro ambito di azione? Individua, dunque, un processo di consenso verso
le norme artificiali tramite il discorso che usa gli strumenti della teoria del linguaggio.
Il diritto come istituzione era già esistente nella società ma, con la nascita della sfera pubblica nel
1800, vari pensatori e intellettuali si riuniscono in bar, caffetterie e salotti per confrontarsi e
affrontare le principali questioni normative per arrivare alla verità, selezionando l’opzione più
condivisa dall’opinione pubblica come legge effettiva (questa è la democrazia discorsiva).
Se per Luhmann il compito principale del diritto era ridurre la complessità esterna, per Habermas
le strutture giuridiche devono tutelare l’espressione dei mondi vitali.
Per Habermas, dunque, il diritto non deve essere un’imposizione esercitata da parte dello Stato,
ma deve essere un sistema ideato grazie al dialogo e al confronto tra soggetti, il sistema giuridico
quindi è legato al mondo vitale. Habermas parla del diritto imposto dallo Stato come un disturbo
capace di minacciare l’ordinata vita di un cosmo già di per sé autoregolamentata (con Habermas,
quindi, crollano le ideologie che sostengono lo stato).
È proprio questa la colonizzazione, cioè l’imposizione di leggi da parte dello Stato, che impone un
ordine che la società sarebbe in grado di raggiungere autonomamente; per Habermas, le leggi non
possono essere imposte ma devono essere accordate tra le perone tramite la democrazia
discorsiva.
Habermas, dunque, ha un pensiero simile a quello di Ehrlich dato che secondo entrambi il diritto
nasce dal consenso sociale, un consenso che però per Ehrlich è spontaneo mentre secondo
Habermas è un consenso ottenuto tramite un discorso (egli parla di razionalità del discorso dato
che il consenso sociale avviene tramite discorsi fatti nei bar e nei salotti, durante i quali le persone
possono ascoltare le idee degli intellettuali e seguire quella che reputano essere la migliore).
Per Habermas, il diritto dovrebbe inoltre assicurare non solo e non tanto un ordine sociale dei
comportamenti, ma una compatibilità culturale dei diversi orientamenti, giuridici o extragiuridici,
che sia in grado di bilanciare la polverizzazione e l'anonimizzazione dei soggetti ricorrendo a una
ridefinizione universale dell'atto comunicativo.
L’evoluzione del diritto viene anche trattata da Teubner (Toibner, professore di diritto civile e
anche sociologo tedesco, ancora vivo).
Egli afferma che il diritto è un sistema auto poietico, cioè è in grado di farsi da sé; Teubner fu
allievo di Luhmann e continua la sua teoria del funzionalismo strutturale, affrontando la parte
strutturale tralasciata da Luhmann che si è soffermato su quella funzionale. Il sistema giuridico,
secondo Teubner, è in grado di potenziare la sua complessità per far fronte a quella esterna grazie
alla sua capacità di auto osservazione, auto descrizione, auto organizzazione e auto poiesi, cioè la
capacità che il diritto ha di auto prodursi. Il sistema giuridico, tuttavia, non viene visto da Teubner
solo come una sistema sociale che, utilizzando le dicotomie legale/illegale, lecito/illecito,
conforme al diritto/non conforme al diritto è in grado di applicare criteri anch'essi giuridici, e
quindi autoreferenziali, relativamente a fatti e azioni giuridicamente rilevanti e secondo modalità
giuridicamente predefinite. In effetti il sistema giuridico è comunque in grado di stabilire una sorta
di comunicazione indiretta con l'esterno, e in particolare con altri sistemi.
Teubner inizia la sua analisi parlando dei meccanismi che caratterizzano la dogmatica giuridica,
raccontando l’esempio del rabbino Eliezer. Si narra di questo rabbino che diceva di aver ragione
ma gli altri rabbini non gli credevano, allora Eliezer, che era in minoranza, per dimostrare che
aveva ragione, faceva accadere delle cose, per esempio diceva se io ho ragione si sposterà un
albero, se io ho ragione il ruscello scorrerà nel verso opposto; tutto quello che il rabbino Eliezer
diceva accadeva ma gli altri continuavano a non credergli. Intervenne anche Dio in difesa di
Eliezer, ma gli altri rabbini, che erano in maggioranza, non si lasciarono influenzare.
Con questo racconto, Teubner voleva dimostrare la superiorità della componente formale del
diritto rispetto a tutto il resto, come la non contraddittorietà delle proposizioni giuridiche porta il
diritto ad essere sempre prevalente su ogni altra cosa.
La razionalità formale prevale su tutto, anche sul parere di Dio; emerge così la superiorità del
principio di coerenza che fonda l’autoreferenzialità del diritto.
Il sistema giuridico è, comunque, in grado di stabilire una comunicazione indiretta con l’esterno e
con gli altri sistemi; il diritto, dice Teubner, riconosce i “rumori” ambientali ma ne riconosce anche
il proprio ordine.
I cambiamenti dell’economia, ad esempio, richiamano l’attenzione del legislatore indirettamente
attraverso criteri di selezione interna al diritto (cioè il diritto si adatta ai mutamenti esterni e
interviene su di essi tramite i propri strumenti). Dunque, secondo Teubner i sistemi comunicano
tra di loro.
La componente giuridica dogmatica (quella di cui parlava anche Kelsen) deve adattarsi ai
cambiamenti; i sistemi sono aperti verso l’esterno ma in modo “cieco”, in quanto i cambiamenti
sono elaborati e condizionati in base a quello che il sistema, tramite i suoi strumenti, dal suo
interno riesce a vedere del mondo esterno.
La capacità del sistema giuridico di organizzare e regolare se stesso sulla base dei fiochi e deboli
segnali provenienti dall’esterno che attraverso una serie di filtri riescono a raggiungerlo, determina
l’evoluzione del diritto.
Il diritto si evolve perché è in grado di selezionare gli stimoli provenienti dall’esterno, riuscendo a
scartare quei mutamenti sociali che non causano il mutamento giuridico.
La funzione di selezione è assunta dai procedimenti amministrativi; la funzione della variazione
del sistema giuridico è assunta dalla legislazione, che consente il mutamento del diritto grazie al
procedimento elettorale; la funzione della stabilizzazione è assunta dai procedimenti
giurisprudenziali che hanno il compito di stabilizzare, tramite l’applicazione delle nuove norme ai
casi devianti, il cambiamento del diritto.
Ci sono, inoltre, 3 fasi dell’evoluzione del diritto: prima fase-DIRITTO RIFLESSIVO- il diritto nasce
nella società con tutti i suoi elementi e, in questa fase, il diritto svolge la funzione di guida per il
singolo gruppo sociale in cui è sorto; seconda fase-DIRITTO POLICONTESTURALE- il diritto è
parzialmente autonomo e inizia a definire le sue componenti e ad usarle operativamente, in
questa fase, il diritto non appartiene più ad un singolo gruppo sociale ma si estende anche ad altri
gruppi, diventando valido e comune a tutte le società; terza fase-DIRITTO AUTOPOIETICO- il diritto
riesce autonomamente a rafforzarsi all’interno della società (non è per Teubner un diritto imposto
dallo Stato, ma nasce nella singola società, poi si estende a tutti i gruppi sociali e, infine, riesce ad
auto organizzarsi all’interno della società.
Il diritto fonda e mantiene la propria identità grazie alla sua parte dogmatica, quindi alla parte di
chiusura verso l’esterno e non grazie a quella di apertura.
La cultura giuridica interna, cioè quella tipica dei giuristi, è quella che consente al diritto di essere
riflessivo, cioè capace di auto organizzarsi, auto descriversi e auto gestirsi e di mantenere la
propria supremazia nelle decisioni.
A tal proposito c’è l’esempio della parabola del XII cammello: un proprietario di cammelli muore e
lascia 11 cammelli ai propri figli, dicendo che il primo deve averne la metà, il secondo la metà della
metà e il terzo un sesto dei cammelli. Essendo 11 i cammelli le proporzioni non possono esser fatte
equamente e i fratelli discutono su quanti devono averne a testa. Il giudice, per risolvere la
questione, presta un cammello ai fratelli; i cammelli diventano 12 e riescono a dividersi i cammelli
equamente (6 al primo, 3 al secondo e 2 al terzo, restituendo l’ultimo al giudice).
Il XII cammello sta a rappresentare come la cultura giuridica interna di tipo tecnico riesca con la
sua supremazia e con i suoi strumenti a risolvere i problemi sociali, la soluzione stabilita dal giudice
è sempre quella più giusta.
Il controllo giuridico dell’azione sociale diventa indiretto e astratto in quanto il sistema giuridico si
limita a determinare le premesse organizzative e le procedure dell’azione senza distruggere
modelli di comportamento consolidati nella vita sociale.
Il diritto riflessivo (cioè in grado di auto organizzarsi, auto regolarsi e auto formarsi) svolge la
funzione di guida nella società facendo un uso indiretto delle norme, il diritto infatti tiene conto
delle necessità della società e non impone il suo potere senza tener conto dei bisogni sociali. Il
diritto deve modificare le proprie norme nel caso in cui non venissero rispettate; l’ingiustizia è il
criterio più visibile socialmente e se è prevalente rispetto alla giustizia, quindi se prevale la
violazione piuttosto che il rispetto delle norme giuridiche, le norme devono essere modificate per
andare incontro alle necessità sociali.
Teubner parla del trilemma regolativo (DOMANDA D’ESAME), cioè una classificazione degli
interventi normativi che il diritto attua per regolare la società.
Ogni intervento normativo può essere: irrilevante, cioè non produrre alcun effetto; negativo per la
società, cioè produce effetti disgregativi rispetto all’area sociale regolata; negativo per il diritto,
cioè produce effetti disgregativi per il diritto stesso (la società continua a fare quello che vuole e
non ciò che ha stabilito il sistema giuridico).
Ci sono 3 ipotesi che rappresentano le principali varianti del rapporto diritto/società: 1) ipotesi di
incongruenza, il diritto va in un senso e la società in un altro; 2)ipotesi di iperlegalizzazione della
società, il diritto impone le proprie norme alla società in ogni campo (come la colonizzazione di
Habermas); 3)ipotesi di ipersocializzazione del diritto, il diritto si sforza ma scompare nella società
perché essa prevale e il diritto viene sottomesso, assorbito e sopraffatto dalla società (La
conseguenza di quest'ultima situazione, che rappresenta l'esatto opposto dell'ipergiuridificazione,
è che in questo caso il diritto viene per così dire “sottomesso”, dall'esterno, e quindi
“politicizzato”, “economizzato”, “pedagogizzato” ecc., il che per Teubner comporta, come risultato
negativo, che “l'autoproduzione degli elementi normativi del diritto viene esposta a tendenze
disintegranti”).
È chiaro che il sistema giuridico non può essere aperto totalmente verso la società, altrimenti
scomparirebbe.
Teubner fa, dunque, una teoria complessa: riprende Luhmann perché sottolinea l’importanza della
razionalità formale per tutelare l’identità del diritto; riprende Habermas nel sottolineare la
razionalità materiale, cioè la necessità e la capacità che il sistema giuridico ha di comunicare con
gli altri sistemi; Teubner fa anche una sintesi della razionalità formale e materiale di cui parla
Weber, sostenendo che la razionalità formale serve per il diritto affinchè possa sopravvivere nella
realtà complessa e, nello stesso tempo, è necessaria la razionalità materiale affinché i sistemi
collaborino tra di loro e siano in parte aperti verso la società.
Quindi, se per Weber ci sono la razionalità formale e materiale (separate), per Teubner c’è un
iperciclo di entrambe che porta al diritto positivo che si forma grazie ad una circolarità di apertura
e chiusura del sistema giuridico verso l’ambiente esterno.
Abbiamo visto, dunque, 3 modelli di diritto nella sociologia giuridica contemporanea: 1)sistemico
(Luhmann) che ha come oggetto di studio le strutture, prevale la chiusura operativa ed è un diritto
autoreferenziale e si fonda sulla logica binaria di se…allora (come Kelsen); 2) dialogico
(Habermas)che pone maggiore importanza agli attori sociali, prevale l’apertura operativa e il
diritto è si fonda sulla comunicazione tra i soggetti nella sfera pubblica ed è legato alla logica
discorsiva; 3)misto (Teubner) che è in parte sistemico e in parte dialogico e tale sistema misto ha
come oggetto di studio i criteri di decisione perché il diritto deve produrre decisioni per la società,
vede una circolarità tra apertura e chiusura verso l’esterno, è un diritto autocorrettivo e si corregge
da sé tenendo presente i bisogni sociali e si basa sulla logica intersistemica, quindi sulla relazione
tra i sistemi.
Tebner parla anche delle costituzioni; la costituzione è il punto di chiusura del processo di
riproduzione interna di un certo ordinamento giuridico dotato di struttura normativa gerarchica
(cioè la costituzione è l’insieme di leggi sovraordinate rispetto a tutte le altre norme, più astratte e
generali in assoluto).
La costituzione si presenta, dunque, come il punto di incrocio di tutti i principali canali di
comunicazione interni ed esterni all’ordinamento. Essa garantisce l’unità dell’ordinamento e
stabilizza i possibili cambiamenti del diritto.
Per Luhmann, la costituzione è in grado di connettere il sistema politico al sistema giuridico
attraverso un accoppiamento strutturale, cioè si aprono i sistemi gli uni verso gli altri.
Un ulteriore caso di accoppiamento strutturale è la democrazia, intesa come luogo di incontro
della politica e del diritto; un altro caso è il mercato che accoppia la cultura giuridica e la cultura
economica e il principale medium è il denaro.
Le costituzioni statali sono sottoposte al condizionamento delle opinioni sociali e questo aumenta
la capacità dei vari settori della società di autoregolamentarsi (cioè ogni settore nella società si fa
le proprie norme). Quindi, non c’è più una singola costituzione come insieme di principi
sovraordinati ma emerge un costituzionalismo multilivello.
Teubner parla così di costituzioni civili, cioè ogni settore della società si fa i propri principi
generali, la propria costituzione (il mercato si fa le sue leggi, il sistema sanitario ne fa delle altre
proprie e così tutti gli altri sistemi sociali).
Così si rompe il legame tra Costituzione e Stato: non c’è più una singola Costituzione fatta di
norme sovraordinate ma ogni settore sociale si fa da sé i suoi principi generali.
Le Costituzioni hanno dei problemi: il popolo non le riconosce e, di conseguenza, non da ad esse
legittimazione; le costituzioni, inoltre, non riescono a stabilire quale dei compiti che devono
svolgere è prioritario; un’ulteriore problema è che non si sa come modificare la costituzione e
quale sia la sua durata.
Per risolvere questi problemi, le nuove costituzioni potrebbero attingere dal patrimonio
accumulato nel corso dei secoli, cioè le soluzioni un tempo scartate non vengono cancellate e
perciò potrebbero essere riutilizzate.
Oggi c’è una crisi nella rappresentazione tradizionale dello Stato; cambia l’immagine esterna delle
norme comprese nell’ordinamento statale che appaiono sempre meno dotate di coerenza, unità e
riconoscibilità.
LEGITTIMAZIONE ED EVOLUZIONE
Particolarmente rilevante per la sociologia del diritto, è la questione della legittimazione, vista in
una prospettiva evolutiva, vale a dire come necessario sostegno dei mutamenti del diritto.
Per cogliere le specificità delle loro posizioni rispetto a questo tema centrale occorre muovere da 3
elementi-base che in varie forme compaiono nelle loro trattazioni. Tali elementi sono:
• l'insieme delle “strutture” che selezionano gli ordinamenti normativi e le singole norme che
possono rientrare in un certo processo di legittimazione;
• l'insieme dei “criteri” in grado di stabilire una connessione tra le strutture e i soggetti di cui
sopra.
Questi diversi approcci alla questione della legittimazione comportano diversi modi di intendere la
principale fonte di legittimazione degli ordinamenti: la costituzione.
Già nella teoria costituzionalistica del XIX secolo la costituzione può assumere invero diversi
significati a seconda del compito prioritario che a essa viene affidato. La costituzione è stata così
presentata come un “limite” che seleziona e filtra l'operare degli organi e degli apparati dello
stato, come un “contratto” che si ipotizza stipulato da tutti i soggetti coinvolti, e come un punto di
“equilibrio” la cui definizione viene affidata a determinati criteri di portata estremamente
generale. Questo significa che, sia pure attraverso una serie di finzioni e muovendo da un punto di
vista formale e gerarchico, l'assestamento generale del rapporto stato/società poteva essere
affidato a una costituzione intesa in modo unitario.
Affrontando il tema della costituzione in modo non stato-centrico ma pluralistico come suggerito
dalla molteplicità delle costituzioni civili, la costituzione in senso ampio può essere insomma intesa
come il sistema che costituisce e regola i giochi sociali. In tale contesto essa svolge il compito: a) di
definire i limiti che occorre osservare per non uscire dal gioco del diritto; b) di stabilire i ruoli
riservati ai vari attori-giocatori per farli entrare nel gioco del diritto; c) di precisare i criteri ai quali
essi dovranno ispirarsi per sfruttare i margini di variabilità ammessi dal gioco del diritto.
• Quanto all'importanza della definizione di “limiti” posti dallo stato ai suoi organi si può
osservare che, nell'esperienza storica, l'elaborazione della struttura della costituzione ha talora
addirittura preceduto la sua piena legittimazione.
Il processo di adattamento della struttura dello stato alla costituzione, che inizia immediatamente
dopo la promulgazione di quest'ultima, richiederebbe invero una costituzione già legittima, ma
questo non può avvenire in modo definitivo anche perché quello della legittimazione è un
processo continuo.
• Quanto all'importanza dei soggetti è appena il caso di ricordare che, per la costituzione
italiana, l'apertura alle culture giuridiche di soggetti esterni ai procedimenti legislativi può sempre
avvenire, successivamente alla promulgazione delle leggi, attraverso un istituto, quello del
referendum, volto a provocare l'abrogazione delle leggi che, sottoposte alla verifica del voto, non
risultino conformi, per i loro contenuti o per gli effetti eventualmente prodotti, alla cultura giuridica
prevalente nella società. Comunque, anche se eterogenee le culture giuridiche dei soggetti riescono
spesso a coabitare non solo formalmente, all'interno della costituzione, grazie alla compresenza di
disposizioni di diverso orientamento ideologico-politico, ma anche sostanzialmente nella società.
Se “dal punto di vista giuridico, il popolo ha una costituzione, da più ampio punto di vista culturale
il popolo è una costituzione, intendendo con ciò che esso vi è entrato, o dovrebbe entrarvi, con la
sua cultura.
• Quanto ai criteri, la costituzione, data la modificabilità dei giochi da essa previsti, può
essere intesa come punto di equilibrio di una sintesi complessa, nella quale confluiscono apporti
innovativi provenienti dai più diversi settori della società. Nei termini della teoria dei sistema la
costituzione assume in effetti il compito di gestire dal punto di vista culturale due confini: verso
l'interno e verso l'esterno, verso il diritto e verso la società.
La stessa costituzione italiana, il cui processo applicativo è stato di particolare lentezza, ha posto
l'istituzione di una Corte costituzionale tra le prime tappe della sua graduale realizzazione.
La costituzione, in effetti, segna l'atto di nascita di un nuovo ordinamento, da essa stessa fondato e
legittimato, che è chiamato a regolare la vita, non solo della generazione di coloro che hanno
condiviso il medesimo momento storico dei padri costituenti, e possono quindi sentirsi vincolati da
un atto normativo che hanno visto prendere forma, ma anche delle generazioni successive, che si
troveranno a dover rendere omaggio alla volontà di generazioni precedenti dalle quali saranno
inevitabilmente separate da un rilevante divario culturale.
Ciò non comporta necessariamente che, col tempo, la costituzione sia destinata a rifiutare
l'evoluzione e diventare la meno culturalmente radicata delle leggi. Si può anzi sostenere che
proprio i molteplici e spesso contraddittori elementi contenuti in una moderna costituzione la
mettono in condizione di mantenere quella singolare commistione di rigidità e flessibilità, che le
può consentire di sopravvivere al suo tempo.
CAPITOLO 6
CONCLUSIONI
I “NUOVI PROBLEMI
Alcuni problemi, attualmente individuati e studiati soprattutto sul versante sociologico, stanno
segnalando motivi di tensione tra diritto e società. Cerchiamo di elencarli a seconda del profilo:
sostanziale, spaziale e relazionale, che li caratterizza.
a) La maggiore complessità “sostanziale” dei rapporti diritto/società sembra dipendere
dall’accresciuta capacità di ricostruire, sulla base degli strumenti conoscitivi esistenti,
catene di connessioni causa-effetto giuridicamente rilevanti. Queste catene possono
diventare così lunghe e complesse da rendere estremamente arduo il loro controllo, con gli
strumenti offerti da una concezione gerarchica delle fonti, sia da parte degli autori sia da
parte dei destinatari delle decisioni giuridiche. Questo comporta un rilevante aumento
della percezione della rischiosità del diritto, intesa come divario tra certezza attesa e
certezza offerta.
In una prospettiva sociologica il diritto non è la sola struttura in grado di svolgere la
funzione di regolare e assorbire i rischi. La famiglia quale gruppo originario ha, ad es.,
svolto tradizionalmente la funzione di proteggere dai rischi fondamentali dell’esistenza i
propri componenti fornendo, nei momenti del bisogno, sostegno non solo economico, ma
anche psicologico.
I primi ad avvertire che le strutture giuridiche vigenti non sono in grado di offrire sufficienti
strumenti decisionali a chi dovrebbe professionalmente essere chiamato a gestire i rischi
elevati sono gli operatori giuridici. Questo aumenta la loro propensione ad avvalersi di
criteri di decisione misti, recepiti anche al di fuori del diritto positivo e per questo in grado
di offrire quella copertura sul versante dell’opinione pubblica, che non appare più possibile
ottenere ricorrendo a ideologie largamente diffuse.
In una situazione caratterizzata da tante, percepibili fonti di incertezza, non resta alla
cultura giuridica, interna ed esterna, che gestire i rischi conseguenti senza ignorarli, ma
affidandosi a strategie diverse. Questo rende il diritto non solo incerto quanto agli effetti
prodotti, e quindi insicuro, ma anche incerto quanto ai contenuti della decisione, e quindi
imprevedibile.
Talora la tutela da eventuali rischi tende pertanto a essere affidata a soluzioni spontanee e
partecipative suggerite da ordinamenti diversi da quello statuale, anche rifacendosi ad
argomenti di carattere morale, oppure a una concertazione in cui prevale l’interlocutore
politicamente più forte.
Altre strategie cercano, invece, di fare di necessità virtù, ispirandosi direttamente a valori
che fungano da bussola per superare incertezze interpretative. Si fa così riferimento a un
concetto, come quello di “persona”, definito alla luce di una sfera di diritti intangibili, di
natura giuridica ed extragiuridica, che sono di per sé incompatibili con una supina
accettazione di tutti gli effetti consentiti dal progresso della società.
La dottrina può pertanto teorizzare un graduale e sempre più aperto distacco dal mito della
certezza del diritto, in quanto questa non può più essere assicurata in misura soddisfacente
impiegando strategie univocamente tecnico-giuridiche, tese a ridurre l’intervento di
influenze culturali esterne, ma deve essere sostituita dalla funzione latente, assai più
realistica, del mantenimento dell’incertezza entro margini sopportabili.
Un’importante implicazione dell’eclissi del principio della certezza del diritto è che utenti e
operatori avvertono sempre più che il diritto rappresenta talora il rischio maggiore rispetto a
quello che dovrebbe contribuire a superare. La diffusa perdita di fiducia degli utenti nella capacità
del diritto di risolvere equamente e in tempi accettabili i conflitti che vengono a esso sottoposti
provoca evidenti conseguenze negative sull’attendibilità della razionalità formale che si identifica
con un programma di decisione come quello condizionale, di pressoché universale applicazione
perché basato sul semplice schema “se…allora”. Tale sfiducia provoca inoltre una crescente
propensione ad aggirare gli strumenti rischiosi e lunghi della giustizia ordinaria per utilizzare quelli,
forse altrettanto rischiosi ma certo più brevi, di una giustizia informale.
b) La maggiore complessità “spaziale” dei rapporti diritto/società che accompagna i
fenomeni, apparentemente antitetici ma per molti versi connessi, della globalizzazione del
diritto e della sua regionalizzazione, mette in discussione i confini tradizionali dello stato e
comporta l’esigenza di un profondo riassetto del ruolo dell’organizzazione statuale.
Decisivo in questo contesto appare il “mutato rapporto tra politica ed economia,
tradizionalmente organizzato dagli stati e negli stati”. Esso, infatti, “evidenzia una cesura
significativa rispetto al periodo della storia europea contrassegnato dalla preminenza
assoluta dello stato. La globalizzazione rappresenta una sorta di fuoriuscita dell’economia
dal contenitore statale e una tendenziale affermazione della sua autonomia e
autosufficienza rispetto al processo politico”. Questo mutamento degli equilibri tra politica
ed economia nella dimensione spaziale ha prodotto un rilevante mutamento della cultura
giuridica, sia di quella interna degli operatori sia di quella esterna degli utenti.
In vista dell’affermazione di un vero diritto globale, per il quale si richiederebbero elementi
non ancora diffusi, come una cultura giuridica dotata di adeguati livelli di selezione e di
astrazione oltre che di un adeguato potere sanzionatorio, si stanno pertanto delineando
numerose aree nelle quali la tutela di principi, come quello della libertà di scambio, stabiliti
dalle rispettive costituzioni richiede la presenza di autorità internazionali, oppure insiemi di
regole di livello sopranazionale e non munite di apparati sanzionatori.
Il realistico riconoscimento del progressivo aumento del peso e della rilevanza di
un’omogenea codificazione sopranazionale non può comunque far ignorare che tale
processo viene normalmente accompagnato, anche, ma non solo, nell’area dell’Unione
Europea, dal consolidamento di normazioni diversificate rispetto al livello dello stato e di
portata anche regionale oltre che sopranazionale. Nel caso dei regionalismi e localismi
riemergenti, ancor più che nel caso della globalizzazione e dell’internazionalizzazione, si
può parlare di fenomeni non solo economici e amministrativi, ma anche culturali, che
l’approccio statocentrico non aveva di fatto del tutto eliminato.
Queste diverse forme di normazione basate, da un lato su una “futuribile” cultura giuridica
caratterizzata dall’aspirazione ad acquisire una dimensione universale, e d’altro lato su una
cultura giuridica più rivolta al passato e “tradizionale”, caratterizzata da forti e consolidati
radicamenti territoriali e da uno stretto contatto con usi e costumi geograficamente
localizzabili, non danno in effetti luogo a una contrapposizione in termini rigidamente
alternativi. I due processi, infatti, possono essere facilmente visti come la risposta a un
medesimo fenomeno in grado di provocare contestualmente sia una perdita di autorità del
diritto positivo d’origine statuale, sia una rivalutazione di culture giuridiche locali mai del
tutto dimenticate.
c) L’aumentata complessità “relazionale” in riferimento soprattutto a rapporti tra decisori
giuridici e attori sociali, che accompagna l’attuale processo di frammentazione culturale,
sfugge alla rigida dicotomia appartenenza/estraneità costruita per un pluralismo
intrastatuale, e spinge invece a tenere conto di posizioni che, anche per l’indebolimento di
fattori di convergenza già consolidati, risultano frantumate in una moltitudine di istanze
eterogenee che hanno sensibilità, memorie, finalità diverse.
I problemi appena visti, che sono stati sollevati soprattutto dalla teoria sociologica, delineano nel
loro complesso una serie di insufficienze al livello specifico del diritto che sembrano: a) richiedere
criteri di decisione più adeguati per gestire gli attuali livelli di rischio; b) tenere conto di un numero
sempre maggiore di situazioni non coincidenti coi limiti della sovranità statuale; c) confrontarsi con
un processo di crescente frammentazione culturale al quale lo stato non sembra in grado di
rispondere.