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F. Giuffrè- I.A. Nicotra- F. Paterniti, Diritto pubblico e


costituzionale
Diritto pubblico (Università degli Studi di Catania)

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ORDINAMENTO GIURIDICO E STATO


DOMANDA
L’ORDINAMENTO GIURIDICO può essere definito come l'insieme delle norme vincolanti di
comportamento che vengono applicate ad un determinato gruppo sociale le quali determinano ciò che è
lecito e illecito, doveroso o obbligatorio, permesso o vietato.
Sono state elaborate tre diverse concezioni di ordinamento giuridico le quali non si escludono  tra loro ma
si integrano a vicenda.
- Secondo la teoria normativa (elaborata da kelsen) l'ordinamento giuridico consiste in un complesso di
norme che trovano la loro legittimazione in una norma superiore e pertanto avrebbe una struttura
piramidale al vertice della quale è posta una norma fondamentale cosiddetta grundnorm dalla quale
discendono tutte le altre norme.
-  Secondo la teoria istituzionale elaborata da  Santi Romano l'ordinamento giuridico consiste in un
istituzione ovvero un ente tengo corpo sociale corpo sociale reale ed effettivo, pertanto l'insieme delle
norme giuridiche deriva dall' organizzazione sociale di un determinato gruppo di individui.
- Secondo la teoria del decisionismo il diritto, il potere riguardano soltanto il soggetto che possiede
l'autorità di decidere le regole della convivenza.

Un ordinamento giuridico per essere tale deve possedere determinati caratteri:


- plurisoggettività in quanto necessità di una pluralità di soggetti di diritto destinatari delle regole
giuridiche.
- normazione cioè la presenza di un complesso ordinato di regole giuridiche che devono essere
osservate e applicate.
- l'organizzazione la quale fa riferimento al modo in cui le funzioni vengono esercitate all'interno
dell'ordinamento tra i soggetti istituzionali
- la coerenza intesa come assenza di situazioni di incompatibilità
- la completezza cioè l'ordinamento giuridico deve essere privo di lacune
Per quanto riguarda nello specifico la norma giuridica e sa può essere intesa come la regola che disciplina
in astratto la condotta dei consociati garantendo in questo modo la stabilità della comunità.
Essa si compone di due elementi essenziali di un precetto cioè la parte della norma che esprime la regola
di comportamento è la sanzione cioè la parte della norma che disciplina la punizione inflitta
dall'ordinamento al consociato che non osservi il precetto.

DOMANDA
La NORMA GIURIDICA È una regola di condotta stabilita convenzionalmente,
per consuetudine oppure imposta d’autorità.
La norma giuridica ha lo scopo di guidare il comportamento dei consociati, regolando una determinata
attività o indicando la condotta da adottare in certi casi.
Diversa dalla norma giuridica è la norma morale, anch’essa regola di condotta ma imposta non da
un’autorità riconosciuta bensì dal comune sentire e dalla sensibilità di ciascun individuo.
Per tale motivo la norma morale può non essere condivisa dalla collettività, in quanto ciò che un individuo
trova riprovevole non è detto lo sia anche per altri.
Allo stesso modo, a differenza della norma giuridica, la norma morale crea un obbligo solo nel singolo che
spontaneamente ne riconosce il valore e decide di osservarla.
L’eventuale sanzione conseguente alla sua inosservanza non è imposta d’autorità ma discende
direttamente dalla coscienza dell’individuo (ne è un esempio il rimorso per aver compiuto, o per aver
omesso una determinata azione).

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Ogni norma giuridica possiede caratteristiche peculiari che consentono di distinguerla da altre tipologie di
norme, ad esempio quelle religiose o morali.
Tra le principali:
- astratta poiché disciplina fattispecie astratte
- coattiva o coercibile in quanto comporta l'applicazione di sanzioni volte a reprimere le violazioni
commesse
- nuova in quanto pone prescrizioni prima inesistenti
- positiva in quanto effettivamente vigente
- esteriore poiché prende in considerazione soltanto i comportamenti esteriori dell'individuo essendo
invece irrilevanti le sue intenzioni

Diritto Costituzionale: è la disciplina che studia le strutture costitutive dell’ordinamento, cioè l’organizzazione costituzionale e dello statuto dei diritti e delle libertà.

Diritto pubblico : studia le norme concernenti l’organizzazione dello Stato, degli enti pubblici territoriali e non.

Diritto Privato : rapporti tra i singoli.

DIFFERENZA NORMA PRIMARIA E SECONDARIA


norme primarie o di condotta: contengono un comando o prescrivono l’osservanza di una
determinata condotta.
norme secondarie (o sanzionatorie): contengono una sanzione applicabile in caso di inosservanza del
precetto contenuto nella norma primaria. (KELSEN)

DIFFERENZA TRA NORMA E LEGGE


Non si tratta di una differenza concettuale ma di contenuto: la legge è un atto generico e di grande portata,
la norma invece è una disposizione più precisa, limitata ad un determinato ambito o settore. Una legge è il
risultato di diverse norme collegate e autonome tra loro ma unite da un unico filo logico.

Diritto Costituzionale: è la disciplina che studia le strutture costitutive dell’ordinamento, cioè l’organizzazione costituzionale e dello statuto dei diritti e delle libertà.

Diritto pubblico : studia le norme concernenti l’organizzazione dello Stato, degli enti pubblici territoriali e non.

Diritto Privato : rapporti tra i singoli.

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LO STATO E I SUOI ELEMENTI COSTITUTIVI


Per individuare il concetto stesso di Stato è necessario ricorrere ai suoi elementi costitutivi, potendosi
considerare per Stato solamente quell'entità composta da un territorio, un popolo e dove viene esercitata la
sovranità.
La dottrina di Santi Romano definisce Lo Stato “come l'ordinamento giuridico sovrano, cioè originario e a
base territoriale dotato di un proprio apparato autoritario che si pone in una posizione di supremazia”

 Il termine stato assume nel linguaggio giuridico diversi significati: 


• inteso come ordinamento esso si colloca in una posizione di supremazia rispetto a tutti i soggetti
che vivono in un determinato luogo ed è dotato di un potere originario. 


Secondo questa accezione lo Stato ordinamento si compone di tre elementi: 


l'elemento personale costituito dal popolo 
l'elemento spaziale costituito dal territorio 
l'elemento organizzativo costituito dalla sovranità 

• inteso come apparato o come persona l’ordinamento giuridico si identifica nel complesso di norme
che determinano l'organizzazione la struttura e i modi concreti di agire. 


Determinate caratteristiche dello Stato:


- è giuridico in quanto si compone di un insieme di norme che regolano il comportamento dei consociati; 
- è originario in quanto la propria validità non proviene da ordinamenti superiori;
- è indipendente in quanto non riconosce alcuna autorità sovrana; 
- è sovrano poiché detiene una forma di potere supremo in grado di imporsi all'interno del territorio nei
confronti di tutti i consociati; 
- è politico in quanto volto a soddisfare gli interessi che possono emergere in un gruppo sociale. 

Gli elementi costitutivi dello Stato sono il (Popolo,  territorio e la sovranità).


Il POPOLO indica la comunità di individui ai quali l'ordinamento attribuisce lo status di cittadini.
Non fanno parte del Popolo i cosiddetti stranieri di passaggio cioè coloro che solo occasionalmente e
temporaneamente si trovano sottoposti al potere dello Stato;
coloro che risiedono stabilmente in un determinato territorio ma sono privi di cittadinanza;
coloro che sono sottoposti al potere dello stato solo per una parte dei loro rapporti o per motivi contingenti
e particolari (si pensi allo straniero che contrae matrimonio sul territorio italiano) 

Il concetto di popolo si distingue da altre nozioni, in particolare 


dal concetto di popolazione: (che comprende tutti i soggetti stabilmente residenti sul territorio a
prescindere dalla cittadinanza); 
dal concetto di nazione (che rappresenta un'entità tecnico sociale preesistente allo stato, è caratterizzata
dalla comunione di razza, di lingua, di cultura, di costumi, di tradizioni, di religioni tra coloro che la
compongono);
dal concetto di etnia (intesa come una Comunanza di radici storiche culturali e linguistiche).
Come già detto per far parte del Popolo occorre avere la CITTADINANZA: quella condizione a cui vengono
ricondotti i diritti e i doveri dei cittadini.
Essa si acquista: 
• per nascita in quanto è cittadino italiano il figlio di padre e madre cittadini italiani 
• Chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori Sono ignoti o apolidi 
• per estensione ovvero è cittadino italiano il minore straniero adottato da cittadino italiano

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• il figlio riconosciuto o dichiarato giudizialmente durante la minore età 


• il coniuge o Lo straniero o apolide di cittadino italiano quando il contratto matrimonio risieda
legalmente da almeno due anni nel territorio dello Stato oppure 3 anni se risiede all'estero.
• Per beneficio di legge ovvero è cittadino italiano Lo straniero o apolide nato da padre o madre
cittadini per nascita, a condizione che presti il servizio militare dichiarando preventivamente di voler
acquistare la cittadinanza; o assume un pubblico impiego alle dipendenze dello Stato dichiarando
preventivamente di voler acquistare la cittadinanza; o al raggiungimento della maggiore età risiede
legalmente da almeno due anni nel territorio dello Stato e dichiari entro l'anno di voler acquistare la
cittadinanza.
• Infine la cittadinanza si acquista per naturalizzazione ovvero su concessione del Presidente della
Repubblica quando lo straniero abbia prestato servizio anche all'estero per almeno 5 anni alle
dipendenze dello Stato.


IUS SANGUINIS : diritto di sangue


IUS SOLI: diritto legato al territorio
IUS COMUNICATIO: vincoli di parentela (dopo 2 anni), lavoro nello stato (dopo 5 anni)
Il trattato di Maastricht del 1992 ha introdotto l’istituto della cittadinanza europea che permette ci
circolare e soggiornare liberamente negli stati membri.

Il secondo elemento costitutivo dello Stato è il TERRITORIO cioè l'ambito spazio-temporale di


efficacia dell'ordinamento statale, ne fanno parte: 
• la terra ferma 
• le acque interne 
• lo spazio aereo sovrastante 
• il sottosuolo 
• il mare territoriale cioè la fascia di mare costiero interamente sottoposta alla sovranità dello Stato 
• la zona economica esclusiva cioè la parte di mare adiacente al mare territoriale nella quale lo stato
costiero gode di una serie di diritti di carattere prettamente economico 
• e infine la piattaforma continentale cioè la parte del fondo Marino contigua al territorio continentale
degli Stati.


La SOVRANITÀ:  potere supremo di cui è titolare lo Stato all'interno dei propri confini territoriali, 
e consiste anche nella sua indipendenza rispetto a qualsiasi altro stato. 
La sovranità ricomprende in sé tre aspetti: 
• la sovranità esterna intesa come Indipendenza dall'esterno 
• la sovranità interna intesa come supremazia all'interno del territorio 
• l'originarietà intesa come negazione di qualsiasi derivazione e dipendenza delle sue norme, da
quelle di altri sistemi normativi.
La sovranità degli Stati contemporanei è soggetta al limiti derivanti dall'appartenenza degli Stati agli
ordinamenti internazionali e sovranazionali come l'Unione Europea, inoltre il processo di globalizzazione ha
di fatto comportato una perdita di controllo degli Stati rispetto a molti fenomeni che hanno assunto una
dimensione transazionale.
Varie teorie:
• TEORIA TEOCRATICA : La sovranità è un istituto " di diritto Divino” per cui il Monarca governa per volere di
Dio ;
• TEORIA DELLA SOVRANITÀ “STATUALE” DI HOBBES E BODIN: Il Monarca è l'unico mezzo con cui
garantire la sicurezza e l'incolumità dei sudditi dall'anarchia;
• TEORIA GIUSNATURALISTICA DI GROZIO E KANT: Il fine della sovranità dello Stato risiede nella garanzia
dei diritti inviolabili dell'individuo;
• TEORIA CONTRATTUALISTICA DI ROUSSEAU: la sovranità è espressione della democratica “volontà
generale” dei consociati scaturente da libero contratto d’interesse collettivo. 
• TEORIA DEL GOVERNO RAPPRESENTATIVO DI LOCKE E MONTESQUIEU: trovava fondamento nella
separazione dei poteri per garantire la libertà e la proprietà;

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• TEORIA STATUALISTICA DELLA “SOVRANITÀ NAZIONALE”: individua i detentori della sovranità negli
organi pubblici rappresentativi della “Nazione”.


COMMA 2 ART. 1 COST.: “La sovranità appartiene al popolo”, il vero ed esclusivo detentore della potestà
suprema, che la esercita secondo due modelli:
• DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA : Il corpo elettorale sceglie i propri rappresentanti ai vertici
degli organi pubblici elettivi Per esercitare il potere politico;
• DEMOCRAZIA DIRETTA : partecipazione in prima persona dai cittadini alle scelte politiche del
paese, attraverso l'esercizio di strumenti mediante i quali il popolo esercita direttamente la sovranità
duepunti La petizione, l'iniziativa legislativa popolare, il referendum. 


DOMANDA
FORMA DI STATO E DI GOVERNO
LE FORME DI STATO. - In linea di massima, la maggioranza della dottrina parla di forma di Stato per
indicare i diversi modi attraverso i quali si combinano i tre elementi costitutivi dello Stato: popolo, territorio e
sovranità.
Nell’ambito di questa prospettiva, si distinguono, a sua volta, due diversi profili: il primo attiene al rapporto
tra governanti e governati, mentre il secondo riguarda la ripartizione verticale del potere. 
Per quanto concerne questo secondo profilo, si suole distinguere tra Stati federali e Stati unitari

LE FORME DI GOVERNO.
Con questo riferimento si indicano comunemente le modalità di articolazione delle funzioni politiche tra i
diversi organi dello stato, e in particolare le dinamiche relazionali tra il potere esecutivo e legislativo.
Non si può comprendere veramente il principio di «forma di governo» senza accennare brevemente al
principio della separazione dei poteri. • In virtù del citato principio, ciascun organo di governo deve
esercitare una sola funzione statale (legislativa, esecutiva o giudiziaria) senza interferenze reciproche:
- Al Parlamento spetta la funzione legislativa, ovvero il compito di produrre la norma giuridica, vale a dire
la regola generale ed astratta che si rivolge a tutti i componenti di una determinata collettività;
- Al Governo spetta la funzione esecutiva, cioè il compito di dare concreta attuazione alla norma emanata;
- Alla Magistratura spetta la funzione giudiziaria cioè il compito di interpretare e applicare la norma,
utilizzandola per interpretare e controversie che insorgono.
Lo scopo ultimo della separazione dei poteri è quello di garantire che all’occorrenza un potere possa
arrestare l’altro, evitando che uno di essi possa prevaricare e degenerare nell’assolutismo o in
atteggiamenti tirannici; in pratica la separazione dei poteri costituisce la migliore garanzia affinchè sia
assicurata la libertà politica dei cittadini.

La forma di governo parlamentare


E’ la forma di governo adottata dalla maggioranza degli Stati contemporanei; è caratterizzata dal fatto che
il Governo formula un indirizzo politico che si impegna a seguire e di cui è responsabile solo di fronte al
Parlamento, il quale, a sua volta, può in ogni momento revocarlo, togliendogli la fiducia

Elementi caratteristici della forma di governo parlamentare sono:


a) La condivisione del potere tra l’esecutivo e il legislativo;
b) La presenza di un solo organo rappresentativo della volontà popolare, il Parlamento;
c) L’esistenza di una responsabilità politica del Governo nei confronti del Parlamento, che si esprime
attraverso l’istituto della fiducia.

La forma di Governo presidenziale


Con il termine «presidenzialismo» si indica una forma di Governo in cui il principio della separazione dei
poteri è applicato in maniera rigida e, in particolare, è assai accentuata la distinzione tra legislativo ed
esecutivo. • In tale forma di Governo il Presidente della Repubblica è contemporaneamente Capo dello
Stato e Capo del Governo ed è eletto direttamente dal popolo.

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Le caratteristiche principali della forma di governo presidenziale sono tre:


- L’esistenza di un Capo dello Stato (Presidente) eletto direttamente dal popolo:
- L’assunzione da parte del Presidente del doppio ruolo di Capo dello Stato e capo del Governo;
- L’impossibilità per il Parlamento di approvare una mozione di sfiducia che imponga le dimissioni
dell’esecutivo.
- La possibilità di qualificare una forma di governo come presidenziale o meno dipende dalla
contemporanea presenza di tutte e tre le caratteristiche prima individuate.

• È prevista la mozione di sfiducia? NO 


La forma di Governo semi-presidenziale


E’ una forma di Governo intermedia tra la forma di governo presidenziale e quella parlamentare.
La sua caratteristica principale è data dal doppio rapporto di fiducia che lega il Governo; da un lato
quest’organo è nominato dal Presidente della Repubblica ma dall’altro deve comunque godere della fiducia
del Parlamento.
• La carica di Capo dello Stato è assunta da un Presidente eletto direttamente dal popolo e al quale sono
attribuiti rilevanti poteri nella determinazione dell’indirizzo politico.
• Il sistema semi-presidenziale è stato adottato in Francia con la Costituzione del 1958 ed è così
denominato perché assume contemporaneamente caratteristiche proprie del parlamentarismo e del
presidenzialismo. Nel sistema francese non vi è alcun voto iniziale di fiducia da parte del Parlamento nei
confronti dell’esecutivo, così quest’ultimo è già operativo nel momento in cui è nominato dal Presidente
della Repubblica.

La coabitazione
Nel linguaggio politico si definisce coabitazione (in francese cohabitation) la situazione in cui la
maggioranza parlamentare e il capo dello stato in carica appartengono a schieramenti opposti. Il concetto è
caratteristico dei sistemi semipresidenziali, e in particolare di quello francese,

DOMANDA
LO STATUS DI STRANIERO
La Costituzione italiana afferma che la presenza dello straniero in Italia è regolata dalla legge nel rispetto
delle norme e dei trattati internazionali.
In base a questo principio costituzionale, allo straniero presente nel territorio dello Stato italiano sono
riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana, anche se la sua presenza è irregolare.
Lo straniero che soggiorna regolarmente in Italia gode, in linea generale, dei diritti attribuiti al cittadino
italiano e, in particolare, è garantita a tutti i lavoratori stranieri e alle loro famiglie parità di trattamento e
piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani.
Inoltre, la Costituzione riconosce il diritto di asilo allo straniero che, nel suo Paese, non può esercitare le
libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.
L’Italia aderisce alla Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati (detta “Convenzione di Ginevra”).
Pertanto uno straniero può chiedere lo status di rifugiato nel nostro Paese se ha una giustificata paura
di venire perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un gruppo sociale e
per le proprie opinioni politiche.
Il diritto di asilo non spetta, tuttavia, allo straniero che costituisce un pericolo per la sicurezza dello Stato,
che ha commesso gravi reati dentro o fuori dal territorio italiano, crimini contro la pace, crimini contro
l’umanità e crimini di guerra o atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite.
In Italia, la domanda di asilo può essere presentata all’ufficio di Polizia alla frontiera oppure all’Ufficio
Immigrazione presso la Questura del luogo in cui si vive.
A decidere sulla domanda sono le Commissioni Territoriali coordinate dalla Commissione Nazionale per il
diritto d'asilo. Se la domanda è accolta, lo straniero ottiene un permesso di soggiorno valido per 5
anni e rinnovabile. Quando la Commissione non riconosce lo stato di rifugiato, può attribuire allo straniero
lo stato di “protezione sussidiaria”, se rischia di subire un grave danno rientrando nel suo Paese di origine.
In tal caso lo straniero ottiene un permesso di soggiorno valido per 3 anni e rinnovabile.

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Al contrario, se la Commissione respinge la domanda, lo straniero deve lasciare il territorio italiano. Se lo


straniero ritiene senza fondamento la decisione della Commissione, può rivolgersi al giudice per chiedere
l’accertamento del diritto allo stato di rifugiato o alla protezione sussidiaria

LO STATO E LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI

ART. 11 COST : aspira a creare vincoli tra i popoli per imporre laforza della legge come strumento di
pacificazione. 
L'istituzione delle organizzazioni internazionali ha comportato che ciascuno stato rinunciasse ad una quota
di sovranità per garantire un equità fra di essi.
 ART.11 cost. italiana “consente, in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità
necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le
organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. 
Fra le varie organizzazioni internazionali ricordiamo:
• Società delle Nazioni : Fondata con il Trattato di Versailles del 1919, doveva garantire la pace fra
gli stati. tuttavia non ebbe successo Perché gli USA  non ne entrarono a far parte mai, mentre il
Giappone, la Germania e l'Italia ritirarono la loro adesione. 


• ONU: È stata fondata con il Trattato di San Francisco del 1945 e i paesi aderenti devono: salvare le
future generazioni da una possibile guerra, garantire i diritti fondamentali dell'uomo ( anche in
relazione all’ uguaglianza uomo-donna) e promuovere il progresso sociale ed un più elevato tenore
di vita.


Le Nazioni Unite sono formate da diversi organi:  


• Assemblea Generale : È composta da tutti i rappresentanti dell'ONU (193/196 paesi) che possono
discutere qualsiasi questione relativa alla pace e alla sicurezza internazionale e formulare
raccomandazioni. 
• Consiglio di Sicurezza: È composto da 15 membri, di cui 5 permanenti ( Ossia le potenze vincitrici
della Seconda Guerra Mondiale: Cina, Francia, Russia, USA e Gran Bretagna) E 10 eletti
dall'Assemblea generale per due anni, che devono mantenere la pace e la sicurezza. e dotato del
cosiddetto Diritto di veto, per cui le decisioni sulle tematiche rilevanti richiedono 9 voti, tra cui quelli
dei cinque membri permanenti. oggi vi sono in Corso proposte di riforma del consiglio di sicurezza
per aumentare il numero dei membri non permanenti e limitare il diritto di veto. 
• Segretariato Generale: È nominato dall'Assemblea generale su indicazione del consiglio di
sicurezza e ha  il compito di portare All'attenzione del consiglio di sicurezza qualsiasi questione che
possa minacciare la pace e la sicurezza internazionale. 
• L’Unione Europea è nata grazie a trattati stipulati dai 6 Stati fondatori dopo la II guerra mondiale. Il
Trattato di Parigi del 1951 e i Trattati di Roma del 1997 diedero rispettivamente alla CECA
(Comunità europea del Carbone e dell'Acciaio, che avrebbe dovuto tenere distante la tentazione di
iniziare una nuova guerra), all’EURATOM (Comunità Europea per l’energia atomica) e alla CEE
(Comunità Economica Europea). Da allora, i Trattati di Roma sono stati sottoposti a numerose
modifiche ed integrazioni, fino al tentativo di approvare una Costituzione Europea. ciò Ha
determinato un allargamento delle competenze nella comunità europea e una progressiva
limitazione della sovranità dei singoli stati. 


Le tappe fondamentali che hanno segnato la trasformazione della Comunità Economica Europea in Unione
Europea sono: 

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• TRATTATO DI BRUXELLES (1965) Prevedeva l'istituzione di un consiglio unico e di una


commissione unica per le tre comunità europee; 


• ATTO RELATIVO ALLE ELEZIONI DI MEMBRI DEL PARLAMENTO EUROPEO (1976)  a suffragio
universale diretto;


• ATTO UNICO EUROPEO (1986) Prevedeva la realizzazione di un mercato unico, ossia uno spazio
senza frontiere in cui fosse assicurata la  libera circolazione delle merci, delle persone dei capitali. 


• TRATTATO DI MAASTRICHT (1992) Si volevano: e rafforzare le istituzioni; instaurare un unione


economica e monetaria; sviluppare la comunità a livello sociale; istituire una politica estera e di
sicurezza comune. questo trattato crea l'Unione Europea, costituita da tre pilastri: 


1. LE TRE COMUNITÀ EUROPEE (COMUNITÀ  EUROPEA, CECA E ERURATOM) in cui si applica il


cosiddetto metodo comunitario, in cui si valorizza l’Unione Europea a posto delle nazioni.


2. LA POLITICA ESTERA E DI SICUREZZA COMUNE: in cui la collaborazione è invece di tipo


intergovernativa, perchè il potere decisionale è attribuito agli Stati membri.


3. LA COOPERAZIONE DI POLIZIA GIUDIZIARIA IN MATERIA PENALE: è sempre caratterizzato


dalla collaborazione intergovernativa.                             Tra Le grandi innovazioni del trattato via
anche l'istituzione della cittadinanza Europea. inoltre il Trattato adotta il principio di sussidiarietà,
secondo cui nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la comunità interviene soltanto
negli Stati membri non sono in grado di realizzare gli obiettivi richiesti.


• TRATTATO DI AMSTERDAM (1997) : In cui si valorizza il territorio in mente la cittadinanza


Europea, integrando l'elenco dei diritti civili e politici dei cittadini dell'Unione.


• CARTA DI NIZZA (2000): prevede la necessità di rafforzare la tutela dei diritti fondamentali data
l'evoluzione della società, il progresso sociale e gli sviluppi scientifici e tecnologici.      


• TRATTATO DI NIZZA (2001): Risolve i problemi legate all'ampliamento dell'Unione (lasciati aperti
dal Trattato di Amsterdam del 1997)  


• TRATTATO DI LISBONA (2007): prevedeva il riconoscimento della personalità Giuridica dell'Unione


Europea, l'ingresso dei parlamenti nazionali nel l'iter di approvazione delle leggi, l'aumento delle
materie su cui può intervenire il Parlamento Europeo, la possibilità di lanciare iniziative legislative.


Il Trattato di lisbona è stato approvato da tutti i 27 paesi dell’Unione Europea ed è entrato in


vigore il 1 primo dicembre 2009.

L’Unione Europea è formata da: 


• Parlamento Europeo : È l'unico organo ad essere eletto direttamente dai cittadini. è formato da 736
deputati, scelti ogni 5 anni.si riceve le petizioni presentate dai cittadini europei e nomina un
mediatore che si occupa dei reclami nei confronti delle istituzioni e degli organi comunitari. 
• Consiglio Europeo:  è un organo di Cooperazione politica che riunisce almeno tre volte l'anno i capi
di Stato o di governo degli Stati membri.
• Consiglio: composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro, è l'organo decisionale della
comunità punto di esso fanno parte i ministri dei singoli governi nazionali e i sottosegretari. Esso,
insieme al Parlamento Europeo, coordina le politiche economiche generali degli Stati membri.
Inoltre conclude accordi internazionali tra l'Unione Europea è uno o più stati ed approva il bilancio
della comunità. 

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• Corte di Giustizia Europea duepunti costituisce l'istituzione giurisdizionale comunitaria. Essa è


composta Dalla Corte di Giustizia, Dal tribunale di primo grado e dai Tribunali specializzati. il suo
compito fondamentale consiste nel verificare la legittimità degli atti comunitari, il garantire
un'interpretazione È un'applicazione uniforme del diritto comunitario su tutto il territorio della
comunità e nel giudicare le violazioni del diritto comunitario commessi dagli Stati membri o dalle
stesse istituzioni europee. essa è composta da un giudice per paese membro e da 8 avvocati
generali, designati di comune accordo dai governi degli Stati per un mandato di 6 anni rinnovabile. 
• Corte dei Conti Europea: Composta da 27 membri, nominati per 6 anni dal Consiglio, esercita il
controllo sulla gestione finanziaria della comunità, attraverso il montaggio della riscossione e
dell'utilizzo dei fondi dell'Unione Europea. 


Nell’ambito istituzionale dell'Unione si distinguono: 


• PRESIDENTE DEL CONSIGLIO EUROPEO: Eletto dallo stesso Consiglio Europeo per un mandato
di due anni e mezzo, ha il compito di garantire la preparazione e la continuità dei lavori del
Consiglio Europeo.
• ALTO RAPPRESENTANTE DELL’UNIONE PER GLI AFFARI ESTERI E LA POLITICA DI
SICUREZZA: Nominato dal Consiglio Europeo, è responsabile del consiglio per la politica estera e
di sicurezza comune.
• COMITATO ECONOMICO E SOCIALE: Garantisce la rappresentanza ai gruppi di interesse socio-
economico, dando la possibilità di esprimere il loro punto di vista sulle questioni europee.
• COMITATO DELLE REGIONI: Organo consultivo composto da rappresentanti delle collettività
regionali.
• GARANTE EUROPEO DELLA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI: Autorità indipendente,
preposto alla protezione della privacy istituzioni e negli organi dell'Unione Europea.    


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LE FORME DI STATO
Con l'espressione forma di Stato si intende il rapporto tra chi detiene il potere (governanti) e coloro che
rimangono assoggettati (governati). 
È possibile distinguere le forme di stato in: accentrate e decentrate (federali e regionali). 

STORIA
La nascita dello Stato moderno ha inizio alla fine del XV secolo, Quando terminano le Monarchie Feudali,
in cui le norme erano frammentate e si fondavano quasi esclusivamente sul rapporto di fedeltà e protezione
fra il sovrano e il Vassallo. 
Diversi fattori permisero il superamento di questa forma di Stato, tra cui: La guerra dei trent'anni, la riforma
protestante e, soprattutto, la pace di Westfalia del 1648. 
Questo superamento avvenne attraverso la depersonalizzazione dello Stato nei rapporti di vassallaggio,
che determinò la nascita dello Stato Assoluto, che si fonda sul completo accentramento di tutti i poteri
pubblici nelle mani della Corona (intesa come vero e proprio organo di vertice dell'organizzazione politica). 
Nel corso dell'evoluzione, l'assolutismo conobbe diverse caratterizzazioni, tra cui:
• Dispotismo Illuminato: In cui lo stato assoluto conserva le sue connotazioni rigide. 


• Mercantilismo: In cui la prosperità finanziaria è dei commerci doveva essere considerata come il
principale segno di grandezza della nazione e della Corona. 


Il XVIII secolo segnò la crisi del modello assolutistico, a cui contribuirono: 


• L’Età dei Lumi: Con la concezione giusnaturalista dell'individuo come titolare di un patrimonio
inalienabile di diritti innati, inviolabili e preesistenti agli ordinamenti statali. 


• Il pensiero filosofico inglese di Locke e Hume: che vedevano nello stato lo strumento di tutela
giuridica del binomio libertà personale-diritto di proprietà. 


• Il pensiero di Montesquieu (che postula la separazione dei poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario)
e di Rousseau (nel Contratto Sociale, contesta lo stesso fondamento del potere assoluto della
corona e immagina che tra i cittadini ci sia un contratto).


L'incontro di tali fermenti culturali con Le istanze politiche, sociali ed economiche in 
3 GRANDI RIVOLUZIONI  che posero definitivamente fine all'assolutismo: 
• RIVOLUZIONE INGLESE (1649-1689): Rappresenta la prima iniziativa della borghesia Liberale di
eliminare le tendenze assolutistiche. questa rivoluzione segnò il fallimento di qualsiasi distorsione in
senso assoluto della monarchia inglese degli Stuart punto fu proprio grazie a questa rivoluzione che
venne affermata la sovranità del parlamento quale supremo controllore del potere Regio. 


• RIVOLUZIONE AMERICANA (1773): Ebbe inizio perché le 13 colonie inglesi del Nord America si
ribellarono alle arbitrare imposizioni fiscali della corona Britannica. dopo aver adottato forme di

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boicottaggio delle importazioni inglese di te e, le colonie proclamarono la Secessione dalla


madrepatria con la storica dichiarazione di indipendenza del 4 luglio 1776 e la difesero
vittoriosamente con le armi sotto la guida di George Washington. l'emancipazione nordamericana
culminò, infine, nella promulgazione della Costituzione degli USA, che dava vita ad un nuovo Stato
confederale. 


• RIVOLUZIONE FRANCESE (1789): Indica la fine definitiva dei presupposti dell'ancien régime. Con
la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e del cittadino furono recepite le principali
rivendicazioni del Pensiero politico di Rousseau e di Montesquieu. nel nuovo assetto politico Era,
Inoltre, garantito il principio di rappresentanza dei cittadini politicamente attivi e il primato della
legge. proprio tali novità suscitarono la dura reazione delle principali monarchie assolute europee e,
che tentarono di imporre una restaurazione con il congresso di Vienna. 


Con l’affermazione dello STATO LIBERALE CLASSICO, Basato su una società di diritti, in cui cominciano a
trovare spazio le prime significative istanze di Costituzionalismo (limitazione del potere sovrano a fini di
garanzia), si assistette al superamento del mercantilismo nei processi economici, in favore del primato del
libro scambio, della libera circolazione delle Merci e dell'iniziativa imprenditoriale privata. Inoltre, fu
definitivamente affermato il primato della legge uguale per tutti i cittadini. 
I sovrani restaurati furono presto costretti a concedere carte e Statuti costituzionali.
La forma di Stato liberale ottocentesca si basa su diversi caratteri:
•  la concezione dello Stato quale garante delle libertà civili e politiche e dei diritti economici dei
cittadini.


•  il principio dello Stato minimo, la cui funzione deve mirare alla tutela dei diritti individuali. 


• La concezione” formale”, “ negativa” e “individualistica”  delle libertà fondamentali, in base alla quale
i diritti sono patrimonio esclusivo dei soli individui. in questo senso, si diffonde la concezione
dell'eguaglianza, in terra come parità dinnanzi alla legge. 


• Il principio di separazione dei poteri ( legislativo, esecutivo e giudiziario)  e l'attribuzione degli stessi
ad organi diversi ( Parlamento, Governo del Monarca e Magistratura).


• Il principio di legalità, Che postula il primato della legge come strumento essenziale di garanzia dei
diritti e dell'ordine sociale. Ad esso si riconnette il principio dello stato di diritto, in base al quale tutti i
cittadini sono vincolati al rispetto della legge e nessuno ne può essere dispensato. 


• Il principio rappresentativo di tipo limitato, basato sul fatto che la rappresentanza politica era di tipo
ristretto e monoclasse, non più cetuale (aristocrazia),  ma censuale (borghesia).  


LA GENESI DELLO STATO DI DEMOCRAZIA PLURALISTA


 Diversi furono i fattori di crisi che condussero alla decadenza dello Stato liberale ottocentesco:
• l’avvio della Rivoluzione industriale, che portò alla formazione di un vasto proletariato, che si
consolidò come classe sociale sempre più consapevole della propria condizione è sempre più
determinata nella pretesa del riconoscimento dei suoi diritti. 


• L'affermarsi di nuove tendenze ideologiche assai critiche nei confronti del liberismo politico e del
liberismo economico.


•  infine, la nascita dei partiti politici di massa, grandi organizzazione fortemente ideologiche (es. 
Partito Socialista Democratico tedesco, Partito Socialista italiano, Partito Popolare italiano, partito
Nazionale fascista, Partito Comunista d'Italia). 


Con l'introduzione del suffragio universale maschile e della legislazione sociale a tutela del lavoro si
assistette alla nascita dello Stato democratico-pluralista, che si ispira al principio pluralistico ( per cui lo

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Stato deve basarsi sulla sovranità popolare, sul suffragio universale e sul pluralismo politico, economico e
sociale). 
Tuttavia, l'evoluzione in senso democratico-pluralistico dello Stato liberale fu bruscamente interrotta dalla
grande depressione economica del 1929. in tale contesto, i nuovi partiti di massa si mostrarono incapaci di
reagire efficacemente attraverso l'azione dei governi stabili ed autorevoli, così si affermarono in molti paesi
europei Regimi Autoritari e Totalitari. 
I movimenti e i partiti di ispirazione fascista che riuscirò a prendere il potere approfittarono del momento di
crisi e, da un lato, si mostrarono come promotori I vasti programmi di trasformazione sociale ed economica
e dall'altro lato, sovvertire uno stato liberale istituendo regimi basati sulla centralità del potere di un capo,
interprete della volontà del Popolo o dello spirito del Popolo. Al totalitarismo d'ispirazione è fascista o
nazional fascista si contrappose quello comunista di matrice marxista-l'eninista, in cui lo stato viene
interpretato come strumento transitorio in vista dell'annullamento Delle diseguaglianze e della realizzazione
della dittatura del proletariato. 
Con la fine della seconda guerra mondiale e la caduta in Europa di gran parte dei regimi fascisti nazional
fascisti si consolidò una duplice tendenza: l'espansione del Comunismo in molti paesi dell'est Europa e in
ambito extraeuropeo, a carico dell' Unione Sovietica; e l'affermazione dello Stato Sociale, democratico e
pluralista nell'Europa occidentale. tale forma di Stato garantisce Diritti Sociali e l'eguaglianza sostanziale,
con l'obiettivo di assicurare una certa redistribuzione della ricchezza, garantire i diritti e le libertà per tutti i
cittadini. 

DOMANDA
LO STATO SOCIALE
Lo Stato sociale è una caratteristica dello Stato che si fonda sul principio di uguaglianza sostanziale, da cui
deriva la finalità di ridurre le disuguaglianze sociali. In senso ampio, per Stato sociale si indica anche il
sistema normativo con il quale lo Stato traduce in atti concreti tale finalità; in questa accezione si parla di
welfare state (stato del benessere tradotto letteralmente dall'inglese, detto anche stato assistenziale).
 

Caratteristiche
Lo Stato sociale è una forma di Stato che si propone di fornire e garantire  diritti  e servizi sociali, ad
esempio:

• Assistenza sanitaria
• Pubblica istruzione
• Indennità di disoccupazione, sussidi familiari, in caso di accertato stato di povertà o bisogno
• Previdenza sociale (assistenza d'invalidità e di vecchiaia)
• Accesso alle risorse culturali (biblioteche, musei, tempo libero)
• Difesa dell'ambiente naturale.
Questi servizi gravano sui conti pubblici attraverso la cosiddetta spesa sociale in quanto richiedono ingenti
risorse finanziarie, le quali provengono in buona parte dal prelievo fiscale che ha, nei Paesi democratici, un
sistema di tassazione progressivo in cui l'imposta cresce più che proporzionalmente al crescere del reddito.

DIFFERENZA STATO SOCIALE E LIBERALE


Lo stato liberale garantiva l’uguaglianza formale, mente lo stato sociale assicura l’uguaglianza sostanziale:
ovvero le leggi, oltre ad essere uguali per tutti, devono prevedere leggi speciali a favore delle categorie più
deboli.

L'orientamento democratico e pluralista contemporaneo ha visto il consolidamento di taluni modelli tipici, il


cui poi di riferimento sono:
• STATO ACCENTRATO:  il potere sovrano risulta attribuito allo stato centrale e al suo territorio.


• STATO COMPLESSO O COMPOSTO:  il potere è distribuito tra stato centrale e altri enti territoriali. 


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Noi due poli estremi dello Stato accentrato dello Stato confederale si possono individuare due modelli
intermedi: 
• STATO FEDERALE: È caratterizzato dalla sussistenza di un doppio livello di esercizio di sovranità
in relazione al territorio. a diverse caratteristiche: 1 ordinamento centrale ( basato su una
Costituzione federale scritta è rigida, che  convive con quello degli Stati membri della federazione), 
il bicameralismo parlamentare imperfetto ( con la presenza di una camera politica, rappresentativa
dell'intero popolo dello stato federale, è un Senato, che garantisce la rappresentanza degli Stati
membri)  e il coinvolgimento degli Stati membri nel procedimento di revisione costituzionale
Attraverso procedure aggravate. 


• STATO REGIONALE: È basato su un ampio decentramento funzionale, amministrativo e politico, in


cui però la Costituzione garantisce l'esistenza e le attribuzioni di enti territoriali dotati di autonomia
politica e di un proprio statuto. 


DOMANDA
LO STATO DI DIRITTO
Lo Stato di diritto è quella forma di Stato che assicura la salvaguardia e il rispetto dei diritti e
delle libertà dell'uomo; insieme alla garanzia dello Stato sociale
Il concetto dello Stato di diritto presuppone che l'agire dello Stato sia sempre vincolato e conforme
alle leggi vigenti: dunque lo Stato sottopone se stesso al rispetto delle norme di diritto, e questo avviene
tramite una Costituzione scritta.
Si esplica in due nozioni: lo Stato di diritto "in senso formale" e lo Stato di diritto "in senso materiale".
Stato di diritto formale
Parlando di formalità, lo stato di diritto implica i già noti:
• Separazione dei poteri
• Principio di legalità
• Giurisdizione ordinaria e amministrativa.
Stato di diritto materiale
Chiaramente, essere vincolati al rispetto della legge sarebbe poco utile se non fosse possibile garantire
che le leggi stesse siano garanti dei diritti fondamentali.
Per questo motivo, gli elementi formali dello Stato di diritto vengono sviluppati ed estesi dagli elementi
materiali dello stesso, in particolare attraverso l’adozione di norme che tutelano i diritti fondamentali.

DOMANDA
LA COSTITUZIONE
La Costituzione: l’atto normativo fondamentale di ogni Stato democratico moderno.
La Costituzione è un documento scritto formato dall’insieme di leggi fondamentali dello Stato.
Al suo interno sono elencati i diritti e doveri dei cittadini e vengono stabiliti i principi dello Stato come la sua
organizzazione e il suo funzionamento.
Tutte le leggi di uno Stato, che formano l’ordinamento giuridico, devono necessariamente conformarsi alla
Costituzione.
Diversi Tipi di Costituzione
La costituzione di uno Stato può prendere diverse forme a seconda delle sue caratteristiche, vediamole
una per una:
• Flessibile: può essere modificata come qualsiasi altra legge ordinaria. Nella gerarchia delle fonti
possiede lo stesso grado di una comune norma.
• Rigida: per modificarla servono procedure più laboriose, per questo motivo può essere modificata
solo da una legge costituzionale e con procedure particolari rispetto a quelle previste per le leggi
ordinarie. Possiede il grado più alto nella gerarchia delle fonti.

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• Lunga: contiene leggi sui diversi aspetti della società civile.


• Corta: stabilisce regole basilari della struttura statale e degli organi costituzionali e garantisce i diritti
fondamentali dell’individuo.
• Materiale: è considerata come la “sorgente del diritto”, da cui derivano le altre leggi.
• Formale: documento nel quale sono contenuti i princìpi, i valori, le regole e gli istituti fondamentali
dell’organizzazione statale.
La Costituzione italiana è nata per ricostruire lo Stato dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e la
caduta del fascismo.
Il governo provvisorio, il 2 giugno 1946, chiese agli italiani di scegliere, con un referendum popolare, se far
rimanere l’Italia una Monarchia o se farla diventare una Repubblica.
La Costituzione entrò definitivamente in vigore il primo gennaio del 1948.

DOMANDA
REVISIONE COSTITUZIONALE
Modificare la Costituzione italiana è possibile, ma solo attraverso un procedimento aggravato fissato
dall’articolo 138, che ha come oggetto le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali.
Le leggi costituzionali sono leggi di pari rango rispetto alla Costituzione e servono per modificarla (leggi di
revisione costituzionale) o per integrarla (leggi costituzionali).
Indipendentemente dal loro obiettivo le leggi costituzionali sono approvate dal Parlamento con il
c.d. procedimento aggravato, un sistema di votazione che richiede maggioranze più ampie di quelle
necessarie per l’approvazione delle leggi ordinarie e una doppia approvazione da parte di ciascuna delle
due Camere che deve avvenire con un intervallo di tempo tra una votazione e l'altra non inferiore a tre
mesi.
Le leggi di revisione costituzionale e quelle costituzionali vengono sottoposte
a  referendum  (detto  sospensivo - consultivo) qualora nella seconda votazione non venga raggiunta la
maggioranza dei 2/3 in una delle due Camere e se entro 3 mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale
- del testo di legge di revisione costituzionale approvato a maggioranza assoluta - ne facciano richiesta 1/5
dei membri di una Camera, 500.000 elettori ovvero 5 Consigli regionali. Sarà l'elettorato e quindi il popolo
sovrano a decidere se praticare quella revisione della Costituzione, esprimendo la propria volontà in sede
di referendum (si vota per il SI o il NO).


Tuttavia alcune disposizioni previste nella Costituzione non possono essere modificate neanche con
una  legge costituzionale, in quanto contenenti principî supremi dell'ordinamento (principio di democrazia,
principio dei diritti fondamentali, etc.).

DOMANDA
DIFFERENZA LEGGE ORDINARIA E COSTITUZIONALE
La legge ordinaria è una legge approvata da un'assemblea legislativa all'esito di una procedura non
aggravata (ordinaria) e che, per tale ragione, si distingue dalle leggi costituzionali e, in certi ordinamenti,
dalle leggi organiche.
Nella gerarchia delle fonti è sottordinata alla Costituzione, alle leggi costituzionali e alle eventuali leggi
organiche; nondimeno, il concetto di legge ordinaria presuppone una costituzione rigida giacché, in
presenza di costituzione flessibile, tutte le leggi hanno il medesimo rango, non presentando alcuna forza
passiva peculiare.
Solitamente la legge ordinaria ha competenza generale e residuale, nel senso che può disciplinare
qualsiasi materia, escluse solo quelle che la costituzione gli sottrae e attribuisce ad altra fonte, come la
legge costituzionale (riserva di legge costituzionale), la legge organica (riserva di legge organica) o
il regolamento parlamentare.

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PRINCIPI SUPREMI (DIRITTI E DOVERI)

La costituzione italiana, in particolare, si apre con una serie di disposizioni, chiamati principi fondamentali,
che sono superiori alle altre previsioni costituzionali.

ART.1 COST. (PRINCIPIO REPUBBLICANO E DEMOCRATICO-


COSTITUZIONALE):
“L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita
nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
questo articolo delinea i due principi cardine dello Stato italiano:
• Principio Repubblicano : e il principio con cui esordisce la Costituzione quando afferma che
l'Italia è una repubblica democratica. inoltre, il termine Repubblica è stato usato per indicare lo
stato-governo e lo stato-comunità, c'è l'insieme dei cittadini considerati come singoli. (2 giugno 1946
referendum istituzionale).

• Principio Democratico-Costituzionale: Individua nel popolo Il soggetto giuridico titolare della


sovranità dello Stato, sovranità che esercita in due modi: O in forma immediata, attraverso i diritti
politici riconosciuti dalla costituzione ( diritto di voto, di petizione, di associarsi in partiti politici,...). o
in forma mediata, attraverso la rappresentanza politica, con l'elezione dei componenti della Camera
dei Deputati, del Senato e degli organi degli enti territoriali.
Tale concezione ha introdotto il cosiddetto costituzionalismo, cioè l'insieme delle norme costituzionali la cui
funzione è quella di evitare che il principio Democratico degeneri in una tirannia della maggioranza.

ART. 2 (PRINCIPIO PERSONALISTA, PLURALISTA E SOLIDARISTA):


“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni
sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà
politica economica e sociale”
Da questo articolo si possono desumere:
• Principio Personalista: Ecco il principio per cui vengono riconosciuti e garantiti i diritti inviolabili
dell'uomo sia come singolo che come parte di uno Stato.

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• Inviolabilità dei diritti: Di libertà che delineano la dignità della persona.

Inviolabilità si traduce 2 punti o in senso negativo, nello stato che ha l'obbligo di astenersi da ingerenze
arbitrarie su di essi; O in senso positivo, nel dovere dello stato di garantire ad essi ogni adeguata tutela.
Sono, inoltre, sorti dei problemi per quanto riguarda il catalogo dei diritti considerati “ inviolabili”.
Un orientamento ha sostenuto che sono inviolabili solo i diritti espressamente menzionati nella prima parte
della Costituzione.
La dottrina maggioritaria ha esteso questa inviolabilità anche ai nuovi diritti ( diritto alla libertà sessuale,
all'abitazione, alla riservatezza,...).
• Principio Pluralista: È riconosciuto è tutelato il pluralismo delle formazioni sociali, degli enti
pubblici territoriali, delle minoranze linguistiche, delle confessioni religiose, delle associazioni, della
cultura, delle scuole e dei partiti politici.

• Principio Solidarista: È il principio secondo cui la persona, oltre a pretendere dallo stato in limitate
Libertà personali, deve garantire una solidarietà politica, sociale ed economica.

ART. 3 (PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA)


“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sasso, di
razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. è compito della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e
sociale del paese”.
Il principio di eguaglianza è stato esteso indistintamente a tutte le persone.
Il divieto di discriminazioni in base al sesso: è un problema che è stato molto presente nel corso della
storia. si può dire che la donna ha acquistato pienezza di diritti a partire dal 1946, quando potevo votare tra
monarchia e repubblica, fino a raggiungere piena parità con l'uomo solo nel 1968. la disuguaglianza
femminile era presente soprattutto nel mondo del lavoro, per questo l'articolo 37 Cost. sancisce il principio
di assoluta parità tra i lavoratori uomo e donna.
Inoltre l'articolo 51 Cost. afferma che “ tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici
pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”.
Inoltre con la legge del 2012 è stata introdotta la cosiddetta doppia preferenza di genere, ossia la
possibilità di esprimere due preferenze Per i candidati a consigliere comunale della stessa lista ( una
maschile e una femminile).
Il divieto di discriminazione in base alla razza: è da ritenere un elemento di rottura storico-politica con il
regime precedente (leggi razziali e antisemite del fascismo).
Oggi, la questione assume particolare importanza dinanzi al crescente fermento dell'immigrazione
extracomunitaria e dalla presenza di minoranze multirazziali nella società italiana.
Una definizione di discriminazione per motivi razziali viene fornita dal decreto legge 286/1998, secondo cui
per discriminazione si intende “ ogni comportamento che comporti una distinzione basata sulla razza, il
colore, l'origine etnica, e che abbia lo scopo di compromettere l'esercizio dei diritti umani e delle libertà
fondamentali”.
Il Divieto di discriminazione in base alla lingua: si pensi all’art. 6 Cost. secondo cui la “Repubblica tutela
con apposite norme la tutela delle minoranze linguistiche”.
Il Divieto di discriminazione in base alla religione: trova la sua esplicazione in diverse disposizioni
costituzionali (art. 8 e 19 principi di uguaglianza delle confessioni religiose e libertà religiosa; art. 7 e 8
rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose). Oggi lo Stato italiano si definisce “laico” e riconosce l’uguale
libertà di tutte le religioni.

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Il Divieto di discriminazione in base alle condizioni personali e sociali: ne discende il Canone di


ragionevolezza, secondo cui la legge deve prevedere a trattamenti normativi uguali per situazioni simili
trattamenti differenziati per situazioni oggettivamente diverse.

UGUAGLIANZA FORMALE E SOSTANZIALE


Per uguaglianza FORMALE si intende l'uguaglianza di tutti davanti alla legge.

Tale concetto si trova nel primo comma dell'articolo 3 della nostra Costituzione.
Per uguaglianza formale si intendono due concetti:

1) la legge è uguale per tutti (mentre fino alla Rivoluzione Francese nobili e clero venivano sottoposti a
leggi e a tribunali diversi da quelli previsti per il popolo).
2) la legge non deve operare discriminazioni e qui si intende: di razza, di sesso, di religione, opinioni
politiche, condizioni personali e sociali.
Le leggi che dovessero operare delle discriminazioni di questo tipo potrebbero essere portate al giudizio
della Corte Costituzionale.
Per uguaglianza SOSTANZIALE si intende che le leggi, oltre ad essere uguali per tutti, devono però
prevedere leggi speciali a favore delle categorie più deboli.
La parte dell'articolo 3 che descrive l'uguaglianza sostanziale è nel secondo comma, in questo caso la
Costituzione non promette l'effettiva uguaglianza di tutti i cittadini sul piano economico e sociale, ma
impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, in altre parole ad intervenire
attivamente per fornire ai soggetti più deboli i mezzi per esercitare effettivamente i propri diritti.

ART. 4 COST. IL PRINCIPIO LAVORISTA


“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo
questo diritto. ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta,
un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società”
Il lavoro è qualificato come diritto-dovere fondamentale che permette la realizzazione della personalità del
cittadino, l'adempimento degli inderogabili doveri di solidarietà e la realizzazione di una società di uomini
liberi ed eguali. Inoltre, in del Lavoro costituisce un diritto fondamentale e per questo deve essere conforme
alle capacità e alle attitudini del cittadino.

ART. 5 e 6 COST. (PRINCIPIO UNITARIO E AUTOMISTA)


“La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che
dipendono dallo stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua
legislazione alle esigenze dell'Autonomia e del decentramento”
“ La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”:
Questi articoli introducono:
• Il principio unitario: è la garanzia di inviolabilità dell'integrità territoriale e politica della nazione da
qualsiasi pericolo di disgregazione interna o esterna. Si basa su:
4. Unità della Repubblica: e la preservazione dell'indirizzo politico generale del paese e come
primato dell'interesse nazionale della Repubblica.
5. Indivisibilità della Repubblica: è il limite assoluto a qualsiasi ipotesi di smembramento
dell'integrità territoriale e politica del paese o di Secessione.

• Il principio autonomista: è il criterio di articolazione ed esercizio del potere Pubblico sul territorio
nazionale. si fonda sul cosiddetto decentramento amministrativo, cioè sul criterio di organizzazione
dei servizi dello Stato.

• Tutela delle minoranze linguistiche: sono quei gruppi etnico linguistici presenti nel nostro paese,
a cui è stato concesso di utilizzare la propria lingua nell'amministrazione pubblica.

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ART. 7-8 COST. (PRINCIPIO DI LAICITÀ):


“Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti
sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono
procedimento di revisione costituzionale”.

“Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse
dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con
l'ordinamento giuridico italiano”.

La Costituzione accorda ampia tutela al fenomeno religioso, inteso come libertà del singolo e come profilo
aggregativo dalle confessioni religiose. Ciò ha permesso di delineare il carattere laico dello Stato italiano,
presente anche nei confronti delle confessioni religiose, cioè di quell’insieme di persone che professano
una medesima fede. Le ragioni che hanno indotto il Costituente a dedicare ai rapporti fra lo Stato e la
Chiesa Cattolica una specifica disposizione costituzionale sono molteplici: una preponderanza della fede
Cattolica in Italia, l'influenza del cattolicesimo sulle tradizioni della Nazione e la sede della Chiesa Cattolica
a Roma, su cui il Papa esercitò fino al 1870 il proprio potere.

Quando ci fu l'Unità d'Italia, però, al Pontefice venne meno il governo temporale e per questo ebbe inizio la
cosiddetta "questione romana" che fu risolta con i PATTI LATERANENSI del 1929, che sancirono il
riconoscimento da pARTe della Santa Sede del Regno d'Italia e la costituzione dello Stato della Città del
Vaticano a garanzia dell'indipendenza del Pontefice dalle autorità italiane.
Nell'ART. 7 Cost., si afferma che lo Stato e la Chiesa Cattolica sono indipendenti l’uno dall’altra; tuttavia
allo Stato appARTiene la COMPETENZA DELLE COMPETENZE, cioè la decisione ultima su ciò che
riguarda l'ordine statale. L'ART. 8 Cost., invece, permette alle confessioni acattoliche di stipulare con lo
Stato degli accordi (es. ebraismo, buddismo, evangelismo,...). Per tutto questo, allora, la laicità dello Stato
italiano è diversa dagli altri, perché è semplicemente un metodo per garantire all'interno dello Stato un
pluralismo cooperativo fra Stato e diverse confessioni religiose.

ART. 9 COST. (LO STATO DI CULTURA E DELL’AMBIENTE):


“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e ARTistico della Nazione”.
La CULTURA è intesa come bene giuridico materiale e come libero insegnamento,ricerca scientifica,
sviluppo tecnologico e divulgazione del sapere anche attraverso i mezzi di comunicazione di massa.
Lo Stato conferisce alla promozione culturale la dignità di vero e proprio dovere costituzionale.
L’AMBIENTE, invece, è considerato un diritto fondamentale dell’uomo per la preservazione delle condizioni
necessarie per la sua sopravvivenza. Inoltre, nel nostro Paese si è cercato di introdurre nella Costituzione
norme specifiche sulla tutela dell’ambiente per garantire i beni del Pianeta.

ART. 10-11 COST. (PRINCIPIO INTERNAZIONALISTA):


“L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente
riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei
trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà
democratiche garantite dalla Costituzione italiana,ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo
le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici”.

“L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione
delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di
sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e
favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

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Alla condizione giuridica del non cittadino è dedicato l'ART. 10 Cost. che, invece di parlare di straniero,
parla di non cittadino da quando è entrata in vigore la cittadinanza Europea. Questo articolo permette al
legislatore di riconoscere allo straniero l’eguaglianza dei diritti fondamentali. Per quanto riguarda la
condizione dello straniero vanno ricordati:

• DIRITTO D'ASILO: implica un accertamento fra le libertà democratiche garantite al cittadino italiano
e quelle offerto allo straniero nel proprio paese d'origine. Se questi ultimi vengono a mancare, allora
viene concesso l'asilo politico in Italia.
• RIFUGIATO POLITICO: implica la dimostrazione di essere vittima di una persecuzione per motivi di
razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un gruppo sociale o per le proprie opinioni politiche.

Negli ultimi anni, inoltre, è sorto il problema del contrasto all'immigrazione illegale. Riguardo ciò, lo Stato
Italiano ammette la possibilità dei RESPINGIMENTI IN ACQUE INTERNAZIONALI delle imbarcazioni
dirette verso il nostro paese con immigrati clandestini, mediante l'accompagnamento coattivo delle stesse.
Inoltre, è prevista la cosiddetta ESTRADIZIONE, cioè il procedimento in base al quale è possibile disporre
la consegna di colui che si trovi nel nostro Paese, per sottoporlo ad un procedimento penale in corso a suo
carico in un altro Stato. Tuttavia vi è il divieto di estradizione quando: lo straniero è perseguito per un reato
politico o c'è il rischio che venga sottoposto ad atti persecutori.

L'ART. 11 Cost., invece, prevede il ripudio della guerra, che comprende il divieto di tutte quelle azioni che
tendono a favorire ed agevolare uno Stato promotore. Per questo in Italia vige per le imprese il divieto di
vendita di armi ai paesi impegnati in conflitto armato. Di contro, si ritiene costituzionalmente lecita la
GUERRA DI TIPO DIFENSIVO, ossia per la salvaguardia della collettività e del territorio nazionale da
qualunque aggressione esterna. Invece, non si è ancora capito se le ART. 11 Cost. riguardi anche la
cosiddetta guerra preventiva, cioè la guerra promossa nei confronti di uno Stato che abbia dato concreto
appoggio ad attentati o iniziative lesive della sicurezza e dell'integrità di un paese.

ART. 12 COST. (LA BANDIERA DELLA REPUBBLICA):


“La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali
dimensioni”.
Fra i simboli dell’Italia (anche se solo la Bandiera è citata nella Costituzione) ricordiamo:

• BANDIERA NAZIONALE: è espressione dell’unità e dell’identità della Repubblica.

• INNO DI MAMELI: scelto “provvisoriamente” nel 1946.

• GIORNATA DELL’UNITÀ NAZIONALE E DELLE FORZE ARMATE (4 Novembre): in ricordo della


vittoria italiana nella 1° guerra mondiale.

• LINGUA ITALIANA: non è indicata nella Costituzione.

• ROMA CAPITALE.

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DIRITTI ; LIBERTÀ E FORMAZIONI SOCIALI

ART. 13 COST : LA LIBERTÀ PERSONALE


L'articolo afferma che la Libertà personale è inviolabile, ammette restrizioni della 
libertà personale, "nei soli casi e modi previsti dalla legge".
La libertà personale consiste non solo nella libertà fisica, ma anche nella libertà amorale, nel senso di
libera autodeterminazione dell'individuo in ordine ai propri comportamenti.
Le RESTRIZIONI DELLA LIBERTÀ PERSONALE “ Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di
ispezione O perquisizione personale né qualsiasi altra forma di restrizione della Libertà personale”.
• La detenzione: Qualsiasi forma di costrizione sulla persona tale da impedirne la libertà di
movimento.


• L’ ispezione personale:  è un'attività volta ad acquisire le tracce di reato (impronte, tracce di


sangue..). Questa può essere disposta dal PM o dal giudice.


• La perquisizione personale: sempre mezzo di ricerca della prova, è finalizzata però non alla
ricerca delle tracce, bensì il corpo del reato  oppure cose ad esso pertinenti (come l’arma del
delitto).


Gli STRUMENTI DI GARANZIA DELLA LIBERTÀ PERSONALE, la libertà personale può essere
sottoposta alle limitazioni individuate soltanto nei casi e nei modi previsti dalla legge, in sostanza è
richiesta  una regolamentazione preventiva di ogni aspetto della restrizione stessa.
Si tratta di una riserva assoluta di legge: ovvero spetta alla legge indicare quali sono le circostanze che
possono legittimare misure restrittive della libertà personale.

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Altri limiti alla penalizzazione: (es.il principio della personalità della responsabilità penale; il principio di
colpevolezza).
La riserva di legge costituisce condizione necessaria ma non sufficiente a giustificare eventuali limitazioni
sulla libertà della persona. 
Ovvero la disposizione contenuta nell'articolo 13 richiede un ulteriore garanzia: l'atto motivato
dell'autorità giudiziaria. L’Emanazione del provvedimento limitativo della Libertà personale e di esclusiva
competenza del giudice. 
I PROVVEDIMENTI PROVVISORI DELL'AUTORITÀ DI PUBBLICA SICUREZZA 
L'articolo prevede anche per l'autorità di pubblica sicurezza la possibilità di adottare misure limitative della
Libertà personale. questo può avvenire Solo in casi eccezionali di necessità ed urgenza e predeterminati
tassativamente dalla legge. tagli provvedimenti non hanno carattere definitivo, bensì provvisorio.
Tra i casi eccezionali vanno Ricordati le misure precautelari:  l'arresto in flagranza e il  fermo. 
Vengono considerate ulteriori forme di restrizione della Libertà personale, che vengono giustificate da
esigenze di prevenzione. 
Le cosiddette misure di sicurezza: l'obiettivo è quello di neutralizzare la pericolosità di un soggetto,
assolvendo alla funzione di difesa sociale. 
Vi sono anche le misure di prevenzione : mirano ad impedire la commissione di delitti da parte di soggetti
ritenuti pericolosi ma che, a differenza delle misure di sicurezza, prescindono da un precedente reato. 
Le Misure cautelari invece vengono adottate dall'autorità giudiziaria nel corso di indagini preliminari o nella
fase processuale. 
Il TRATTAMENTO DEL DETENUTO E LA FUNZIONE DELLA PENA
L'articolo sancisce il divieto di ogni violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizione di libertà.
la pena deve tendere alla rieducazione del condannato e non assolvere solo ad una funzione punitiva. 

ART. 14 COST.: L'INVIOLABILITÀ DEL DOMICILIO


L’articolo definisce inviolabile il domicilio.
Nel nostro ordinamento sono presenti diverse nozioni di domicilio: Quella civilistica, quella propria del diritto
tributario e quella penalistica.
 la nozione costituzionale di domicilio ricomprende non soltanto l'abitazione o i luoghi a questa assimilabili
ma qualunque luogo di cui si disponga legittimamente a titolo privato, anche se non si tratta di privata
dimora.
La ragione che giustifica questa garanzia sta nel fatto di mantenere riservati atti e condotte che la persona
stessa desidera restino tali.
La titolarità della libertà domiciliare spetta non soltanto alle persone fisiche, ma anche le persone
giuridiche o agli enti di fatto, e anche alle formazioni sociali in cui si svolge una personalità del singolo. 
L'autorità di pubblica sicurezza non può accedere nel domicilio al fine di eseguire ispezioni, perquisizioni o
sequestri se non nei casi e nei modi stabiliti dalla legge e con atto motivato dall'autorità giudiziaria. 
La deroga alle garanzie della Libertà di domicilio: vi sono leggi speciali che consentono accertamenti e
ispezioni attraverso l'attività dell'autorità amministrativa, motivati da Sanità, incolumità pubblica a fini'
economici e fiscali, senza l’intervento dell'autorità giudiziaria.

ART.15 COST.: LA LIBERTÀ E LA SEGRETEZZA DELLA DELLA


CORRISPONDENZA E DELLA COMUNICAZIONE
La norma costituzionale in esame è posta a tutela della libertà e della segretezza di ogni forma di
comunicazione privata.

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L'articolo 15 tutela le comunicazioni indirizzate a persone determinate, al contrario dell'articolo 21, che
invece concerne la comunicazione pubblica con destinatari indeterminati, e fa riferimento alla “libertà di
pensiero”.
La libertà di corrispondenza offre la medesima tutela sia al mittente che al destinatario, garantendone sia la
segretezza che la libertà.
La segretezza non rappresenta soltanto un mezzo per tutelare la libertà della comunicazione del pensiero,
bensì anche una caratteristica peculiare delle comunicazioni interpersonali.
Le limitazioni della libertà di corrispondenza devono seguire i seguenti principi:
la riserva di legge assoluta, ovvero la competenza esclusiva della legislazione ordinaria a disciplinare le
forme di restrizione della libertà di corrispondenza;
la riserva di giurisdizione, dato che solo l'autorità giudiziaria può emanare provvedimenti restrittivi
(habeas corpus);
 l'obbligo di motivazione, il quale deve necessariamente accompagnare ogni provvedimento restrittivo.

In particolare, il sequestro della corrispondenza (art. 254) può avvenire solo quando vi sia fondato motivo di
ritenere che gli oggetti siano stati spediti dall'imputato o siano a lui diretti o comunque possano avere una
relazione con il reato commesso. In caso di urgenza si può ordinare al servizio postale di sospendere
l'inoltro, con obbligo di convalida da parte dell'autorità giudiziaria entro 48 ore.
Per quanto riguarda il diritto alla riservatezza o alla c.d. privacy è uno strumento posto a salvaguardia e
a tutela della sfera privata del singolo individuo, da intendere come la facoltà di impedire che le
informazioni riguardanti tale sfera personale siano divulgate in assenza dell’autorizzazione dell’interessato,
od anche il diritto alla non intromissione nella sfera privata da parte di terzi. Tale diritto assicura all’individuo
il controllo su tutte le informazioni e i dati riguardanti la sua vita privata, fornendogli nel contempo gli
strumenti per la tutela di queste informazioni.
Per quanto riguarda la legislazione italiana è inutile cercare norme sulla privacy nella carta Costituzionale,
essendo nata in un’epoca nella quale il problema era poco sentito. Però nel tempo si sono ritrovati
numerosi riferimenti tra le righe delle varie disposizioni, in particolare negli articoli 14, 15 e 21,
rispettivamente riguardanti il domicilio, la libertà e segretezza della corrispondenza, e la libertà di
manifestazione del pensiero. In realtà il primo e più importante riferimento è oggi visto nell’articolo 2 della
Costituzione, in quanto si incorpora la privacy nei diritti inviolabili dell’uomo, come del resto ha sostenuto la
Corte Costituzionale con la sentenza n. 38 del 1973.
A livello sovranazionale la tutela della privacy Viene riconosciuta dall'articolo 8 della convenzione Europea
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, dalla carta dei diritti fondamentali di
Nizza del 2000  e dalla più recente direttiva relativa al trattamento dei dati personali alla tutela della vita
privata nel settore delle comunicazioni elettroniche. 
In tema di protezione dei dati personali, abbiamo il cosiddetto codice della Privacy, tale decreto legislativo
ha l'obiettivo di tutelare i dati personali ed in particolare la raccolta il trattamento e gli stessi. 

ART. 16 COST.: LA LIBERTÀ DI CIRCOLAZIONE E SOGGIORNO


L'articolo in esame afferma la libertà del cittadino di poter circolare e soggiornare liberamente nel territorio
della Repubblica, salvo le limitazioni della legge per motivi di sanità e sicurezza. Salvo gli obblighi di legge,
inoltre, ogni cittadino può uscire e rientrare dal territorio della Repubblica.
La libertà di circolazione si articola nella possibilità di spostarsi senza limiti all'interno del territorio dello
Stato. A livello nazionale, la disposizione va coordinata con l'art. 120 Cost. che vieta alle Regioni di adottare
provvedimenti che possano ostacolare questa libertà. Essa, inoltre, si inserisce in un più ampio contesto
comunitario che riconosce la libertà di circolazione a tutti i cittadini dell'Unione e non solo a quelli italiani,
come prevede la disposizione in commento.
L'articolo  non attribuisce la medesima libertà incondizionata agli apolidi ed agli stranieri.
Per quanto concerne i cittadini dell'Unione Europea, essi godono anche della libertà di stabilimento, vale
a dire il diritto di svolgere senza restrizioni attività lavorative di qualsiasi tipo. Solo per i dipendenti della
Pubblica Amministrazione l'ordinamento può ammettere restrizioni legate alla cittadinanza, ma solo quando
strettamente necessario per il conseguimento dell'efficienza e del buon andamento della P.A.. La libertà di
stabilimento è inoltre rafforzata dall'Accordo di Schenghen.

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Le limitazioni della libertà di circolazione e soggionro devono seguire i seguenti principi:


•  la riserva di legge, ovvero la competenza esclusiva della legislazione ordinaria a disciplinare le
forme di restrizione della libertà di circolazione;
•  la riserva di giurisdizione, dato che solo l'autorità giudiziaria può emanare provvedimenti restrittivi
(habeas corpus);
•  l'obbligo di motivazione, il quale deve necessariamente accompagnare ogni provvedimento
restrittivo di tale libertà.


Per quanto concerne la riserva di legge, essa è relativa, dato che le limitazioni posso aversi in via generale
per motivi di sanità e sicurezza.
Vengono espressamente esclusi i motivi politici, che dunque non possono fondare alcuna limitazione alla
libertà di circolazione e soggiorno. In tal guisa si sono prese le distanze dal regime fascista, che prevedeva
il c.d. confino per i dissidenti.
Dal punto di vista applicativo, rilevano:
il foglio di via obbligatorio, che rappresenta un provvedimento tramite il quale si dispone il rimpatrio nel
Paese di provenienza per persone considerate pericolose per l'ordine pubblico (art. 157);
la libertà di espatrio, visto che al cittadino è concesso uscire e far rientro nel territorio della Repubblica,
salvo gli obblighi di legge;
 il divieto per le Regioni di ostacolare la libera circolazione nel territorio.
Ulteriori limitazioni sono disciplinate dalla L. 1423/1956, che consente all'autorità giudiziaria, per
determinate persone considerate pericolose, di vietarne il soggiorno in uno o più Comuni, diversi da quelli
di residenza o di dimora abituale, nonché di imporre l'obbligo di permanenza nel Comune di residenza o di
dimora abituale.
L'art.16, all'ultimo comma, prevede anche la libertà di espatrio, cioè la libertà di ogni cittadino di uscire dal
territorio della Repubblica e di rientrarvi "salvo gli obblighi di legge". La libertà di espatrio va posta in stretta
connessione con la libertà di emigrazione (art.35 Cost) che ha però fini diversi. Il diritto di espatrio deve
ritenersi collegato con il diritto di rimpatrio, cioè il diritto di ritornare entro i confini dello Stato. Nella storia
del nostro Paese, la libertà di espatrio ha conosciuto regimi giuridici assai restrittivi; attualmente il rilascio
del passaporto è riconosciuto come oggetto di un diritto soggettivo, salvo gli obblighi di legge di cui parla la
Costituzione e che la legge ha specificato essere: - l'adempimento degli obblighi di leva militare; -
accertamento di eventuali responsabilità penali; - esistenza di misure di sicurezza o di misure preventive di
polizia; - obblighi conseguenti alla posizione familiare, come ad esempio il potere-dovere dei genitori che
hanno prole in minore età. La libertà di espatrio implica anche, come libertà negativa, la libertà di non
espatriare, per cui e vietato l'esilio che è il bando di una persona dal proprio paese per motivi politici

ART.17 COST.: LA LIBERTÀ DI RIUNIONE


La libertà di riunione rappresenta una libertà individuale ad uso collettivo e, almeno per quanto riguarda
l'articolo in esame, è garantita solamente ai cittadini
Nonostante la formulazione della disposizione, si ritiene che la libertà in esame debba essere garantita
anche agli stranieri. Un argomento a favore di questa tesi è contenuto nell'art. 2 comma 4 del d.lgs. 25
luglio 1998, n. 286, che stabilisce che anche gli stranieri possono "partecipare alla vita pubblica locale"
purchè soggiornino regolarmente sul territorio: questa facoltà presuppone, evidentemente, anche la libertà
di associazione.
La libertà di riunione permette sia il libero scambio di opinioni tra le persone, sia lo sviluppo sociale della
collettività. In particolare consiste nel diritto di darsi convegno, volontariamente e temporaneamente, in un
luogo determinato e, in seguito a preventivo accordo con i promotori o su loro invito, soddisfare un proprio
interesse politico, sociale, culturale, religioso, sportivo ecc..
I diritti di riunione e di associazione (di cui all'art. 18 Cost.) costituiscono le c.d. libertà collettive, che si
esplicano con il contributo di più soggetti. La riunione indica il diritto di associarsi in modo non stabile ma
nemmeno fortuito e può manifestarsi, tra gli altri, nel corteo, nella processione, nel comizio elettorale.
A livello comunitario la "libertà di riunione pacifica" e la "libertà di associazione" sono garantite dall'art. 12
della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.
Esistono vari tipologie di riunioni:

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• assembramenti, ovvero riunioni occasionali determinate da una circostanza improvvisa ed


imprevista;
• dimostrazioni, cioè riunioni che danno luogo a manifestazioni per motivi politici o civili;
• cortei, ossia delle riunioni in movimento, ove l'identità del luogo è relativa.


A loro volta le riunioni vanno classificate in:


•  private;
• aperte al pubblico, che si svolgono in luoghi privati, ma per le quali l'accesso può essere
consentito con il possesso di determinati requisiti;
• pubbliche, liberamente accessibili da parte di chiunque.


Esistono vari limiti alla libertà di riunione.


Innanzitutto, le riunioni devono svolgersi in maniera pacifica e senza armi, dato che in un Paese
democratico lo scambio di idee non necessità che i partecipanti siano armati, oltre ovviamente al fine di
tutelare l'ordine pubblico e la sicurezza dei consociati.
Per le riunioni pubbliche, è obbligatorio avvisare il questore almeno tre giorni prima, affinché l'autorità
giudiziaria possa adottare eventuali provvedimenti, o comunque controllare lo svolgimento della riunione.
Per i luoghi privati o aperti al pubblico non serve preavviso.
Nello specifico, la disciplina normativa di riferimento è contenuta nel testo unico delle leggi di pubblica
sicurezza , che regola, tra l'altro, le modalità ed i tempi del preavviso ed i presupposti che legittimano il
divieto delle riunioni stesse, individuati dall'art. 18 nella tutela dell'ordine e la sanità pubblici e della
moralità. In ogni caso, il riferimento ai "comprovati" motivi implica la necessità che le limitazioni siano
espressamente motivate.
Va comunque precisato che il preavviso non rappresenta un presupposto necessario per potersi
riunire in pubblico. L'omissione non può infatti determinare l'illegittimità della riunione, e l'autorità può infatti
intervenire solamente per motivi di sicurezza ed ordine pubblico.
 

ART.18 COST.: LA LIBERTÀ DI ASSOCIAZIONE


Un’associazione nel linguaggio giuridico è un ente associativo formato da un insieme di persone fisiche o
giuridiche accomunate dalla comune volontà di perseguire uno scopo, prevalentemente di carattere non
lucrativo.
La Carta Costituzionale permette ai cittadini di associarsi liberamente, per fini non vietati dalla legge
penale.
Tale libertà si esprime essenzialmente nella libertà di costituire un'associazione, di aderirvi o meno, di
recedere da essa.
In particolare, la Corte Costituzionale ha chiarito come la libertà negativa di non associarsi sia da
considerarsi rispettata anche quando una categoria di soggetti è obbligatoriamente inquadrata entro enti
pubblici purchè ciò avvenga nel rispetto dei principi costituzionali. La stessa Costituzione contempla la
libertà associativa in relazione ai sindacati (39 Cost.) ed ai partiti politici (49 Cost.). A livello comunitario la
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea la accosta al campo "politico, sociale e civico" (art. 12).
A differenza della libertà di riunione (art. 17), l'associazione presenta una stabile e duratura organizzazione,
u vincolo permanente tra gli associati e l'esistenza di uno scopo comune da perseguire. Essa permette sia
il libero scambio di opinioni tra le persone, sia lo sviluppo sociale della collettività.
Nonostante il testo costituzionale attribuisca tale diritto ai soli cittadini, è pacifico che anche gli stranieri
possono usufruire di tale libertà, con gli stessi limiti previsti per i cittadini.

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Oggetto di divieto sono le associazioni vietate dalla legge penale (ad esempio l'associazione a
delinquere di cui all'art. 416 c.p., le associazioni segrete e le associazioni a carattere militare che
perseguano anche indirettamente scopi politici.
Le associazioni segrete sono proibite in quanto in un regime democratico in cui è libero associarsi, è chiaro
che le organizzazioni segrete perseguano scopi illeciti.
Per quanto riguarda le associazioni a carattere militare che perseguano anche indirettamente scopi politici,
il divieto scaturisce dalla considerazione che in un regime democratico i fini politici vanno necessariamente
perseguiti attraverso il libero, pacifico e civile dibattito.
Va infatti da sé che già solo la presenza di un corpo militare, quando istituito per scopi politici, può
intimorire il resto della popolazione, inibendo il libero confronto e la libera manifestazione delle libertà
democratiche.

DOMANDA
Differenza libertà di associazione di riunione
Libertà di associazione e libertà di riunione si distinguono tra loro perché, mentre la seconda è
caratterizzata dalla materiale compresenza di più persone in un determinato luogo, la libertà di
associazione prescinde da questa, essendo rilevante, invece, il vincolo giuridico esistente tra gli associati. 

ART.19 E 20 LA LIBERTÀ DI RELIGIONE DI COSCIENZA


La norma in esame, insieme al successivo art. 20 Cost., afferma, implicitamente, il principio di laicità: lo
Stato garantisce a tutti, cittadini e stranieri, di professare la propria fede, qualunque essa sia, senza che
una religione sia privilegiata rispetto alle altre. Ciò accadeva, invece, sotto il regime fascista, quando lo
Stato era dichiaratamente cattolico (e, quindi, confessionale) e tollerante verso le diverse fedi.
Libertà di religione implica anche diritto ad essere atei . 
Peraltro, è innegabile che nel nostro ordinamento la religione cattolica abbia una posizione di rilievo
rispetto alle altre confessioni. A livello comunitario, infine, questa libertà è garantita dall'art. 10 della Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.
La dottrina più avveduta ha spesso qualificato la libertà religiosa come un diritto soggettivo
dell'individuo, di natura non esclusivamente pubblica (in quanto appartenente sia allo Stato che
all'individuo), non negativo, perchè principi e diritti costituzionali non possono sostanziarsi in comportamenti
omissivi dello Stato. Non è infine un diritto assoluto, dato che trova un limite nei diritti degli altri consociati.
Allo scopo di rendere effettiva la tutela del fenomeno religioso, la Costituzione riconosce la facoltà dei
singoli e delle associazioni religiose di costituire enti a carattere ecclesiastico, a fine di religione o di culto.
Si impedisce in tal modo al legislatore di introdurre trattamenti sfavorevoli o discriminatori a carico di alcuni
enti religiosi rispetto ad altre associazioni che perseguano scopi diversi e di ricorrere ad un trattamento
fiscale peggiorativo per alcune categorie. Tale principio viene assicurato a tutti gli enti religiosi, cattolici o
meno, a tutela dell'eguale libertà di fede religiosa.
Nel concetto di professione di fede rientrano vari profili: dalla manifestazione pubblica del culto,
partecipando alle funzioni religiose, alla libertà di dichiararsi atei o, all'opposto, di fare proselitismo. Inoltre,
aspetti importanti di questa libertà sono l'obiezione di coscienza, cioè il diritto di astenersi dalle attività che
contrastano con la propria fede (ne sono esempi il rifiuto del medico a praticare un aborto e quello del civile
di prestare la leva obbligatoria) il quale si lega alla libertà di pensiero di cui all'art. 21 Cost.; e la questione
del crocifisso nei luoghi pubblici.
Il buon costume rappresenta l'unico limite alla libera manifestazione del culto e si identifica con i valori della
morale pubblica, non solo quella sessuale. Si ritiene, inoltre, che esista un limite implicito dato dal rispetto
dei fondamentali diritti di libertà della persona.

ART.21 COST.: LA LIBERTÀ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO


La libertà di manifestazione del pensiero esprime un valore fondamentale dell'odierna società democratica.
La norma in oggetto ne sancisce l'inviolabilità nei confronti di tutti i soggetto e la tutela sotto ogni forma,
scritta, parlata e con ogni altro mezzo di diffusione.

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Difatti, la garanzia della libera manifestazione del pensiero è una condizione imprescindibile per la vita
stessa di un regime democratico, in quanto assicura la formazione di un convincimento personale da
parte ogni persona e di una opinione pubblica libera e criticamente fondata. 
Nel periodo fascista i controlli sulla comunicazione erano penetranti. Il costituente, all'opposto, sceglie di
limitarli fortemente, consentendoli solo alle indicazioni di cui al comma (introducendo sia una riserva di
legge assoluta e rinforzata sia una riserva di giurisdizione) e vietando qualsiasi censura. Anche la
registrazione dei periodici presso i tribunali della circoscrizione di pubblicazione (v. art. 5 l. 8 febbraio 1948,
n. 47) non è una misura repressiva ma uno strumento volto ad agevolare l'eventuale sequestro e non può
mai comportare un controllo nel merito per autorizzare o meno la pubblicazione.
Tale diritto viene tutelato sia nel momento statico, che significa che ognuno può crearsi un proprio
patrimonio di idee, nel momento dinamico, quando si desidera esprimere tali idee, e nel momento
negativo, che implica che ciascuno ha il diritto di tenere segrete le proprie opinioni.
Va ad ogni modo precisato che qui si tutela la manifestazione del pensiero, mentre la trasmissione di esso
è garantito dall'articolo 15 Cost..
Esistono tuttavia alcuni limiti:
•  il buon costume, che impedisce di manifestare il proprio pensiero tramite modalità che offendono il
comune senso del pudore e la pubblica decenza;
•  la riservatezza e l'onorabilità delle persone, che tutelano la dignità, l'onore e la privacy delle
persone;
• il segreto di Stato, quando, per i motivi più disparati, un documento è coperto dal segreto, perchè
la sua divulgazione potrebbe arrecare un pericolo alla sicurezza dello Stato democratico;
•  il segreto giudiziario, al fine di garantire il buon andamento dell'amministrazione giudiziaria e per
non ledere la reputazione degli imputati, salvo il limte della pubblica rilevanza;
•  l'apologia di reato, che in realtà non costituisce una libera forma di manifestazione del pensiero.
La glorificazione e l'esaltazione di figure di reato può infatti rappresentare un pericolo per l'ordine
pubblico.
Per quanto concerne la libertà di stampa, oggetto di ampia tutela, l'articolo 21 sancisce vari principi. Viene
esclusa ogni forma di autorizzazione preventiva, unitamente a qualsiasi forma di censura successiva
alla redazione dello stampato.
Il sequestro dello stampato è oggetto di precisa disciplina legislativa (L. n. 47/1948), che assicura un
particolare procedimento e precipue guarantigie
Fondamentale è anche la facoltà di poter controllare preventivamente e con mezzi repressivi contro la
Stampa che offende il buon costume.
Quando, tuttavia, vi sia assoluta urgenza e non sia possibile i tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria,
è possibile nondimeno per gli ufficiali di polizia giudiziaria sequestrare della stampa periodica, che entro 24
ore devono farne denuncia. Se l'autorità non convalida il sequestro entro le 24 ore successive, il sequestro
si intende revocato e privo di ogni effetto.
Da ultimo, viene data la possibilità di agire con controlli sui mezzi di finanziamento, onde poter
intervenire in caso di sviamento dell'opinione pubblica
Venendo al diritto di cronaca, esso deve rispettare tre principi:
•  la verità dei fatti così come appresi e riprodotti sullo stampato. Segue il dovere di compiere una
attenta valutazione circa l'attendibilità delle proprie fonti di conoscenza;
•  la pertinenza, ovvero l'interesse pubblico alla divulgazione della notizia;
•  la continenza, vale a dire la correttezza delle espressioni utilizzate, in maniera tale da non
esorbitare in lesioni arbitrarie dell'altrui onore e reputazione.
L'articolo 21 vieta non solo le pubblicazioni a stampa, ma anche tutti gli spettacoli e tutte le manifestazioni
contrarie al buon costume.

ART. 22 COST.: IL DIRITTO ALLA CAPACITA GIURIDICA, ALLA


CITTADINANZA E AL NOME
L'articolo in esame impedisce che chiunque possa essere privato per motivi politici del nome, della capacità
giuridica e della cittadinanza.

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Tale norma si riferisce alle qualità che delineano la personalità giuridica del cittadino, consentendo a
quest'ultimo di essere identificato, di poter compiere atti negozi giuridici e di esercitare i diritti ed i doveri
che sorgono dall'appartenenza alla Repubblica.
Tali diritti costituiscono articolazioni di principi fondamentali sanciti nella prima parte della Costituzione
quale quello di eguaglianza (art. 3 Cost) e di salvaguardia dei diritti inviolabili della persona (art. 2 Cost.).
Essa si pone come baluardo nei confronti di quelle dittature che tentarono di calpestare i più elementari
diritti umani, al fine di imporre il proprio dominio politico.
Oltre alla cittadinanza italiana l'appartenenza all'ordinamento comunitario attribuisce anche la cittadinanza
europea che ha trovato la propria genesi nel trattato di Maastricht del 1992 ed è oggi disciplinata dall'art. 20
del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea e dal capo V della Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione Europea (artt. 39 ss.). Essa conferisce vari diritti tra i quali, ad esempio, quello di voto alle
lezioni del Parlamento Europeo (art. 39 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea).

ART.:23 E 53 COST.: I PRINCIPI COSTITUZIONALI DEL DIRITTO


TRIBUTARIO 
L'articolo 23 stabilisce una specifica riserva di legge in merito all'imposizione di prestazioni personali o
patrimoniali nei confronti del cittadino. Ciò al fine di evitare che ad egli possa essere arbitrariamente
imposto un obbligo di fare o di dare qualcosa senza che l'entità ed il contenuto della prestazione sia
desumibile dai criteri stabiliti dalla legge.
Tra le prestazioni personali rientrano il dovere di prestare testimonianza e quello di difesa dello Stato. La
Consulta ha precisato che il concetto di prestazione patrimoniale viene inteso in senso lato, cioè come
tributo (art. 53 Cost.) a prescindere dal fatto che si tratti di tassa, imposta o contributo ogni volta che si
realizza un'imposizione fiscale a carico dei singoli.
Il potere legislativo in materia spetta unicamente al Parlamento ed alle Assemblee regionali, e non al potere
regolamentare del Governo.
La disciplina di riferimento trova il proprio contenuto nel c.d. "Statuto del Contribuente" (L. n. 212/2000), il
quale innanzitutto sancisce che nessun tributo può venire introdotto con decreto legge, mentre è invece
possibile ricorrere al decreto legislativo, tramite cui il Parlamento delega il Governo a legiferare in materia
sulla base di principi e criteri direttivi previamente stabiliti e dai quali non è possibile discostarsi.
Ai sensi del presente articolo 53 , tutti i cittadini e gli stranieri con interessi economici in Italia hanno il
dovere di contribuire alle spese dello Stato mediante prelievi fiscali, i ragione della capacità contributiva
di ciascuno e secondo criteri di progressività (e non di proporzionalità).
In particolare, gli introiti che lo Stato ricava dal gettito fiscale devono rispondere a criteri di giustizia
distributiva ed eguaglianza del carico tributario tenendo conto dei principi suddetti, nonché in ossequio al
principio antielusivo, il quale pone il divieto di aggirare il sistema tributario traendo vantaggi illeciti, anche
in forma non esclusiva.
Per quanto riguarda più da vicino la capacità contributiva, è necessario innanzitutto verificare che i
contribuenti siano effettivamente titolari di reddito, perchè solo in questo caso possono essere chiamati a
concorrere alla spesa pubblica.

Sulla base di questo parametro la stessa Corte Costituzionale è chiamata a sindacare la legittimità delle
leggi ordinarie che impongono tributi. Peraltro, il riferimento a questa capacità non esclude che determinate
categorie di soggetti possano essere esonerate dal versamento o che lo stesso possa essere determinato
in forma meno gravosa, se ricorrono determinati presupposti (reddito minimo, nuclei famigliari numerosi
ecc.).
Oltre al generale principio della capacità contributiva, il costituente ha stabilito che il sistema fiscale deve
basarsi su quello di progressività, il quale implica che ciascuno sia chiamato a concorrere alla spesa
pubblica in base alle proprie risorse, in modo che chi ha meno versi meno e chi ha di più versi più, ma solo
in seguito al raggiungimento di determinate soglie (appunto, progressivamente).
In realtà, esso è suscettibile di trovare piena attuazione solo in relazione alle imposte c.d. dirette, che, cioè,
colpiscono le forme immediate di produzione di reddito (ad esempio l'IRPEF), ma non in ordine a quelle

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indirette (come l'IVA) che, gravando sui beni, finiscono per pesare indistintamente su tutti (salvo correttivi
come imporre un'IVA più bassa su certi beni).

ART. 29-31 COST.: LA FAMIGLIA


La carta costituzionale, al fine di favorire il pieno sviluppo della persona umana, tende a garantire i
principali diritti e rapporti etico-sociali, tra cui si annoverano i rapporti familiari.
L’art. 29 ha ad oggetto la famiglia, definita come società naturale, in cui l'essere umano si forma e
sviluppa i suoi diritti inviolabili. Con tale definizione il costituente ha inteso precisare che essa preesiste allo
Stato e non deriva da esso.
la società familiare è portatrice anche di doveri, quale, ad esempio, quello di assistenza tra i coniugi (143
c.c.). La famiglia a cui la norma si riferisce è quella che deriva dal matrimonio (celebrato in forma religiosa
o civile), fermo restando che l'ordinamento conosce anche la c.d. famiglia di fatto, derivante dalla
convivenza more uxorio di due soggetti di sesso diverso. Essa è riconosciuta e tutelata alla stregua di
formazione sociale di cui all'art. 2 Cost. e produce effetti rilevanti per il dritto (ad esempio in relazione ai figli
o alla successione nel contratto di locazione). Mancava invece fino a poco tempo fa una tutela a favore
delle coppie omosessuali.
Con la legge n. 76/2016 il legislatore ha finalmente disciplinato le Unioni civile tra persone dello stesso
sesso assimilando per molti versi l'istituto in questione a quello del matrimonio. Le uniche differenze
rilevanti sono la mancanza del periodo della separazione tra coniugi (prevedendosi solo lo scioglimento
dell'unione civile), e la disciplina dell'adozione, anche se la legge in questione non la vieta, sancendo
espressamente che per quanto riguarda le adozioni si deve far riferimento a quanto previsto e "consentito"
dall'ordinamento, garantendo in tal modo, attraverso l'oramai pacifica applicazione dell'adozione in casi
particolari alle coppie di fatto od omosessuali.
Il secondo comma sancisce l'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi.
L'uguaglianza effettiva tra i coniugi è stata raggiunta solo con l'emanazione della l. 19 maggio 1975, n. 151,
di riforma del diritto di famiglia. Tale uguaglianza riguarda vari profili, come quello della conduzione della
famiglia, dell'esercizio della responsabilità genitoriale (sul quale, da ultima, la l. 8 febbraio 2006, n. 54 in
ordine al diritto del figlio a mantenere un rapporto con entrambi i genitori), del regime patrimoniale della
famiglia (oggi, di regola, la comunione dei beni ai sensi dell'art. 159 c.c.). Rispetto all'uguaglianza il
concetto di unità famigliare appare in contrasto; in realtà si tratta di esigenze conciliabili sulla base del
consenso paritario tra coniugi.
Nel 2012 è stata altresì abrogata la norma che prevedeva che solo il padre potesse, nei casi di emergenza,
prendere i più opportuni provvedimenti per l'interesse della prole.

Art. 30 RESPONSABILITÀ GENITORIALE


Per quanto concerne il primo comma, la responsabilità genitoriale ha contenuto sia personale, cioè relativo
all'educazione ed istruzione dei figli, sia patrimoniale, in relazione soprattutto al loro mantenimento. Di
regola, essa è esercitata da entrambi i genitori ma se vi sono contrasti questi possono rivolgersi al
Tribunale affinchè suggerisca le misure più opportune o, addirittura, le imponga.
La responsabilità genitoriale non viene meno neanche in caso di scioglimento del matrimonio. La normativa
recente, anzi, nell'ottica anche di garantire la parità tra i coniugi (art. 29 Cost.), garantisce ai figli il diritto
alla bigenitorialità, ciò che si persegue soprattutto con lo strumento dell'affido condiviso.
Fondamentale appare anche la disciplina dell'"ascolto del minore" per le decisioni più importanti in merito
ad importanti fenomeni famigliari.
 L'ultima parte del comma introduce il principio di uguaglianza tra i figli, in base al quale questi non devono
essere discriminati dalla società perchè nati fuori dal matrimonio.

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L'ultimo comma fa invece riferimento solo alla ricerca della paternità, atteso che la ricerca della maternità è
molto più facile perchè si risolve nell'accertare che chi avanza l'istanza coincide con chi fu partorito dalla
donna. Per la paternità, invece, il codice detta una serie di norme che indicano gli elemento necessari per
la ricerca: genetiche, ematologiche ecc. (269 ss. c.c.). L'intera materia, comunque, è stata riformata dalla l.
10 dicembre 2012, n. 219 e dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154.

Art.31
Per quanto concerne il primo comma, esso impone allo Stato una tutela positiva nei confronti delle
famiglie più bisognose e numerose. Per l'attuazione del principio si sono susseguite nel tempo diverse
disposizioni di legge, tendenzialmente volte ad attribuire alla famiglia o ad uno dei genitori dei contributi
economici a sostegno della genitorialità, di regola sino a che i figli non raggiungono una certa età. Sulla
stessa scia si pongono anche le disposizioni che attribuiscono i congedi parentali (di maternità o paternità)
nonchè quelle che agevolano il reingresso dei genitori nel mondo del lavoro. Una particolare attenzione
viene dedicata dal costituente alle famiglie numerose.
Il secondo comma stabilisce invece un preciso dovere di tutela della maternità da parte dell'ordinamento, in
maniera tale da non disincentivare la donna a procreare, per il timore di perdere il lavoro o di non reperirne
un altro una volta terminata la gestazione.
A livello di legge ordinaria, altri due profili importanti di tutela della maternità sono quelli che riguardano
l'aborto e la procreazione medicalmente assistita. Il primo è stato introdotto dalla l. 22 maggio 1978, n. 194
mentre la seconda dalla l. 19 febbraio 2004, n. 40.

ART.32 IL DIRITTO ALLA SALUTE 


Il diritto alla salute rappresenta per il costituente un fondamentale diritto dell'individuo, oltre ad un interesse
primario per la collettività.
Esso si sostanzia nel diritto all'integrità fisica e psichica, sia nel senso di poter avere trattamenti medici
di prevenzione e cura sia nel senso di poter godere di un ambiente di vita e lavoro salubre. Tuttavia, da
esso non deriva il diritto a cure gratuite per tutti, essendo garantite solo per gli indigenti.
Il sistema sanitario si articola sulla base di strutture sia pubbliche che private, delle cui ultime il costo può
essere sostenuto anche dallo Stato. A livello comunitario il diritto alla salute è contemplato sia dall'art. 35
della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (come diritto alla prevenzione ed alle cure) sia
dall'art. 3, che disciplina una serie di principi in materia, tra i quali, ad esempio, quello del rispetto del
consenso informato.
La salute è dunque considerato un diritto fondamentale, in quanto rappresenta la premessa biologica che,
garantendo l'integrità fisica, permette l'esercizio di tutti gli altri diritti presi in considerazione
dall'ordinamento, indispensabile dunque per il pieno sviluppo della persona umana.
Importanza centrale assume il secondo comma, dato che sancisce la libera autodeterminazione del
malato in merito al trattamento sanitario, che non Con riferimento a questa normativa La Corte
Costituzionale è intervenuta per dichiarare l'incostituzionalità della disposizione che vietava la fecondazione
mediante donatori di ovuli o spermatozoi esterni alla coppia la cosiddetta fecondazione eterologa.può
quindi essere imposto se non nei casi espressamente previsti dalla legge (trattamento sanitario
obbligatorio).
La Costituzione sancisce in altri termini il diritto di rifiutare le terapie. Dopo anni di interpretazioni
giurisprudenziali non sempre univoche nell'affermare la valenza del c.d. testamento biologico,
quest'ultimo istituto ha trovato consacrazione normativa nelle legge 219/2017, che ne ha disciplinato le
caratteristiche ed i presupposti di liceità.
Naturale corollario della libera autodeterminazione del paziente è la disciplina del consenso informato,
che rappresenta un vero e proprio presupposto di liceità del trattamento (e non mera causa di
giustificazione dell'opera del medico).
La procreazione medicalmente assistita: legge 40/2004, La procreazione medicalmente assistita, nota
come p.m.a,  è una procedura medica di concepimento artificiale finalizzata a soddisfare il desiderio delle
coppie sterili o infertili di avere figli.

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Tale desiderio esemplifica la scelta della coppia di diventare genitori e di formare  una famiglia
caratterizzata dalla presenza di figli. Siffatta scelta è espressione della libertà di autodeterminazione
delle parti
La Consulta, in proposito ha sancito l'incostituzionalità di alcune norme a difesa dell'embrione proprio in
quanto potenzialmente lesive della salute della donna sottoposta al trattamento di inseminazione artificiale
(2009). 
Riguardo al cosiddetto fine vita virgole cioè Intervento medico e trattamenti sanitari sui pazienti in fase
patologica terminale ed irreversibile è entrata in conflitto con quelli cassoni valori costituzionali, primi fra
tutti l'idea di tutela incondizionata della vita umana fino alla sua cessazione naturale.
Nonostante vi siamo stati molti casi del genere, ad oggi c'è un sostanziale vuoto normativo in materia. la
giurisprudenza si è pronunciata a favore del diritto a rifiutare le cure, Quale risvolto negativo del diritto alla
salute. in questi termini per cui stata valorizzata la volontà espresso anche riconosciuto in sede giudiziale,
del paziente, di rifiutare sia le cure siano gli stessi trattamenti di sostegno Vitale, con un orientamento
sostenuto anche dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. 

ART.33 - 34 IL DIRITTO ALL’ISTRUZIONE: SCUOLA E UNIVERSITÀ


Art.33  Tramite tale norma l'ordinamento considera fondamentale la cultura, come mezzo per lo sviluppo
spirituale della persona e della comunità.
L'articolo 33, ribadendo che la scuola è aperta a tutti, inclusi gli stranieri, sancisce che l'insegnamento
dell'arte e della scienza è libero, come libero ne è l'esercizio.
La libertà d'insegnamento, del pari, significa possibilità per il docente di scegliere il mezzo con cui
manifestare il proprio pensiero, le teorie che intende professare e, soprattutto, il metodo di insegnamento.
Rispetto a ciò esistono due limiti: il primo, di carattere generale, che consiste nel rispetto della libertà di
opinione dei singoli alunni; il secondo, che si impone solo agli insegnati di religione, in base al quale essi
devono essere scelti dall'autorità ecclesiastica ed i programmi di insegnamento, i libri di testo e le modalità
di organizzazione devono essere approvati dalla CEI.
Per quanto concerne il comma 2, l'istruzione inferiore è obbligatoria e garantita a tutti, garantendosi in
tal modo il raggiungimento di un grado minimo d'istruzione, al di sotto del quale l'ordinamento ritiene che
l'individuo non sia in grado di partecipare all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Come specificato dal comma 3, lo Stato non ha il monopolio dell'istruzione, dato che qualunque ente,
pubblico o privato, può liberamente istituire scuole, al fine di impartire qualsiasi tipo di istruzione, purché ciò
avvenga senza oneri per lo Stato.
Ad ogni modo, la legge 10 marzo 2000, n. 62 delinea i requisiti che le scuole private devono possedere
per ottenere la parità. In particolare, il principio ispiratore è quello per cui, ferma restando la libertà di
assumere una tendenza ideologica precisa, queste scuole non possono adottare programmi che si
pongano in contrasto con i principi di libertà garantiti dalla Costituzione.
Venendo alle Università, la Costituzione ne riconosce il diritto di darsi ordinamenti autonomi, nei limiti della
legge. Esse sono pertanto sottoposte ad un controllo da parte dello Stato, in merito al rispetto dei principi di
legalità e trasparenza.
L'art. 16 del D.L. 112/2008 ha peraltro disciplinato la possibilità di trasformare le Università pubbliche in
private, senza ovviamente sottrarle al controllo statale.
Art. 34
La norma in esame va letta insieme al precedente art. 33 Cost. e prevede il diritto all'istruzione, nel senso
di possibilità, per chiunque ed a prescindere dalla sua situazione economica, di accedere al sistema
scolastico, diritto cui lo Stato deve far fronte. A livello comunitario esso è garantito dall'art. 14 della Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.

Oltre che un diritto l'istruzione, rappresenta un dovere, almeno per quanto concerne quella secondaria. La
normativa sulla scuola, che aveva trovato un recente punto fermo nella l. 28 marzo 2003, n. 53, è stata
oggetto di revisione. Di fatto, ad ogni nuovo esecutivo segue una riforma o, quantomeno, un progetto di
riforma della scuola.
Ad oggi l'istruzione è obbligatoria per almeno 10 anni nel periodo tra i 6 ed i 16 anni di età ed è volta a far
ottenere al soggetto un titolo di scuola secondaria superiore o una qualifica professionale di durata almeno

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triennale entro i 18 anni di età. L'istruzione obbligatoria, il cui mancato adempimento da parte del minore è
sanzionato dalla legge, è gratuita, nel senso che non è soggetta a tasse e tributi.
Il comma 3 sancisce inoltre il diritto di raggiungere i più alti gradi degli studi per i capaci e per i meritevoli,
anche se privi di mezzi, tramite borse di studi, assegni alle famiglie, attribuiti secondo il principio
meritocratico.

ART. 35-47 LA COSTITUZIONE ECONOMICA E DEL LAVORO


Art.35
Il titolo III della Costituzione disciplina in generale i rapporti economici e contiene le disposizioni
fondamentali in materia di rapporti di lavoro e di regime giuridico della proprietà.
L'articolo in esame ha più che altro natura programmatica, sancendo innanzitutto che la Repubblica tutela
il lavoro in tutte le sue forme,nella disposizione in esame si considera il lavoro subordinato.
Viene quindi apprestata tutela al lavoratore, parte debole del rapporto, rispetto alla figura datoriale. In
attuazione di ciò si sono susseguite nel tempo varie leggi, di regola volte sia a garantire protezione al
prestatore di lavoro sia ad agevolare l'occupazione.
Particolare importanza hanno assunto, la l. 20 maggio 1970, n. 300 
(c.d. Statuto dei lavoratori) e il d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 di attuazione della l. 14 febbraio 2003, n.
30 (c.d. Legge Biagi). 
Di recente, profondi cambiamenti sono stati apportati dal d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23 (c.d. Jobs Act).
Art.36
L'articolo in esame sancisce innanzitutto il principio della giusta retribuzione, secondo il quale vi deve
essere proporzione tra retribuzione e quantità e qualità del lavoro prestato e secondo cui la retribuzione
debba essere in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un'esistenza libera e
dignitosa.

DOMANDA

PARITÀ DI GENERE Art.37


L'articolo in esame sancisce innanzitutto il principio di parità tra uomo e donna in ambito lavorativo. Al
fine di evitare qualsiasi forma di discriminazione di genere, è stata introdotta la L. n. 903/1977. Quest'ultima
introduce varie regole dirette ad attuare il principio, tra cui la:
parità di retribuzione, quando le prestazioni siano di pari quantità e qualità;
parità di progressione nella carriera;
parità di diritti in merito all'assunzione degli oneri famigliari.

Art.38
L'articolo in esame tutela più nello specifico il principio della sicurezza sociale. In base ad esso l'autorità
statale deve salvaguardare la dignità umana nelle situazioni di bisogna, garantendo a tutti i cittadini i mezzi
minimi per vivere, tutelando la salute e rimuovendo tutti quegli ostacoli economici e sociali che impediscono
lo sviluppo della persona e la sua effettiva partecipazione alla vita pubblica.
Art.39
La Costituzione tutela i lavoratori anche mediante la possibilità di indire sindacati di categoria, che
rappresentano una forma di autotutela.
Il sindacato è un'associazione libera e spontanea di lavoratori (ma anche di datori di lavoro), costituita al
fine di tutelare gli interessi professionali dei propri membri.
La libertà sindacale rappresenta un'articolazione della generale libertà di associazione di cui all'art. 18 della
Costituzione.
La libertà sindacale si traduce quindi in:
• libertà di costituire anche più di un sindacato per categoria, salvo alcune eccezioni (magistrati e
forze dell'ordine);
•  libertà per il singolo lavoratore di scegliere a quale sindacato aderire, oltre alla facoltà di non
aderire ad alcuna organizzazione;

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• libertà di esercitare i diritti sindacali e di farne propaganda, anche all'interno dei luoghi di lavoro.


L'articolo in commento dispone, oltre che in merito alla libertà dell'organizzazione sindacale, anche in
merito al divieto di imporre loro alcun obbligo, se non quello della registrazione presso uffici centrali o
periferici. In seguito a tale registrazione il sindacato assume personalità giuridica e capacità di stipulare
contratti collettivi, con efficacia erga omnes.
L'unica condizione per la registrazione è che i sindacati adottino una organizzazione su base democratica.

Art.40 DIRITTO ALLO SCIOPERO


Il diritto di sciopero:Lo sciopero si sostanzia in una astensione collettiva dal lavoro da parte di
lavoratori subordinati e, di regola, viene indetto dai sindacati. Esso ha lo scopo di sollecitare migliori
condizioni di lavoro (ad esempio in ordine alla retribuzione o all'orario di lavoro) ma può anche tendere a
fini diversi, come quello di evitare licenziamenti, di contestare l'autorità (sciopero politico) o di sostenere le
richieste di altri (sciopero di solidarietà).
Lo sciopero costituisce un diritto di libertà, cioè un diritto il cui esercizio non può essere limitato, nè può
comportare alcuna sanzione da parte dell'ordinamento
Inoltre si tratta di un diritto che la Costituzione non crea ma si limita a rilevare, in quanto preesiste ad essa,
e di un diritto soggettivo potestativo che, come tale, riguarda i rapporti tra lavoratore e datore di lavoro.

DOMANDA

LIBERTÀ ECONOMICHE Art.41


L’iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà,
alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa
essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
Che cosa significa? L’art. 41 delinea un modello di economia mista, in cui l’iniziativa privata convive con
quella pubblica: lo Stato, cioè, non si limita a individuare i limiti entro i quali può muoversi l’iniziativa privata,
ma opera anche come proprietario o gestore di aziende.

La formulazione indeterminata dell’art. 41 ha dato luogo a numerose controversie interpretative, che hanno
riguardato il rapporto tra l’enunciazione del principio “l’iniziativa economica privata è libera” e le indicazioni
contenute nel secondo e nel terzo comma, che sono delle disposizioni di carattere limitante. Ma qual è il
significato da attribuire alle espressioni “utilità sociale” e “fini sociali”? E qual è la “posizione costituzionale”
del testo? Quella di garantire solamente la “libertà di iniziativa economica privata” oppure quella di stabilire
una “norma generale” sull’attività economica? Come sappiamo, la Costituzione è nata da un incontro tra
idee politiche e impostazioni economiche molto diverse: questa difficoltà interpretativa dell’articolo ne è
forse la testimonianza.

Ma perché...? Per molti decenni in Italia, al pari che in altri Stati europei, sono esistite aziende di Stato,
società pubbliche ecc.; in una certa misura esse esistono ancora anche se, a partire dagli anni Novanta, il
ruolo dello Stato e degli enti locali (Regioni, Province e Comuni) nell’economia si è andato ridimensionando
in seguito a un programma di privatizzazioni mediante il quale numerose società controllate dallo Stato
sono state cedute ai privati. Spesso la ragione di tale scelta è stata il costo eccessivo e la scarsa redditività
delle aziende; l’esistenza di aziende pubbliche falsava inoltre il libero mercato, perché lo Stato era nella
duplice situazione di essere un proprietario di aziende ma anche il legislatore.

Va notato che in Italia si è fatta più consistente l’influenza del pensiero liberista, secondo il quale lo Stato
non deve avere un ruolo attivo nell’economia, ossia non deve svolgere attività economiche, ma deve
lasciare spazio al libero mercato ponendosi unicamente come tutore delle regole.

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Art.42
“La proprietà è pubblica o privata .
I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di
godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale (2) e di renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di
interesse generale” .
Ad analoghi fini solidaristici in ambito economico s'ispirano, l'articolo 44 ( sulla razionale sfruttamento del
suolo agricolo);  l'articolo 45 ( relativo alla valorizzazione della Cooperazione economica
mutualistica) ;L'articolo 46 ( sul diritto dei Lavoratori alla collaborazione nella gestione delle aziende virgole
nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge e in armonia con le esigenze della produzione);  nell'articolo 47
(posso garanzia della tutela del risparmio in tutte le sue forme). 
 
I DIRITTI POLITICI 
Ciascun individuo come cittadino può partecipare alla vita politica dello Stato al quale appartiene e alla
formazione delle decisioni pubbliche di ogni giorno. La Costituzione nel titolo IV dedicato ai rapporti politici,
rende effettiva tale partecipazione attraverso il riconoscimento dei diritti politici che, pertanto,
rappresentano la tipica espressione dell’autogoverno del popolo (o sovranità popolare).
Circa la loro natura giuridica si contrappongono due diversi orientamenti: il primo secondo il quale i diritti
politici sarebbero riconducibili ad una funzione pubblica e come tali sottoposti alla discrezionalità del
legislatore, che potrebbe apporre limitazioni alla capacità elettorale nell'interesse generale;  diversamente,
per la teoria giusnaturalista i diritti di partecipazione politica vengono considerati diritti naturali dell'individuo,
inviolabili è suscettibile di restrizioni solo in ipotesi eccezionali. 
I diritti politici sono riservati unicamente ai cittadini, questa esclusività trova giustificazione nella circostanza
secondo cui la cittadinanza esprime una relazione stabile tra lo stato è un gruppo di persone accomunate
da un legame che li faccio sentire partecipi della stessa comunità. 
L'integrazione del nostro ordinamento con quello comunitario ha portato ad attribuire al Cittadino
Comunitario, nello Stato membro in cui risiede, il diritto di presentare petizione al Parlamento Europeo, il
diritto di rivolgersi al mediatore europeo, il diritto di voto alle elezioni comunali e alle elezioni europee.
 Vengono riconosciuti Il diritto di voto, il diritto di associarsi in partiti politici, e il diritto di petizione, il diritto di
accedere ai pubblici uffici e alle cariche elettive.
Il diritto di elettorato attivo o più semplicemente il diritto di voto è il più importante tra i diritti politici
riconosciuti ai cittadini. Attraverso il suo esercizio, infatti, ogni cittadino sceglie i propri rappresentanti nelle
istituzioni poste a guida dello Stato.
La Costituzione sancisce il principio del suffragio universale: il diritto di voto cioè, spetta a tutti i cittadini,
uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Essi votano per leggere i rappresentanti al
Parlamento (elezioni politiche), per i consigli regionali, provinciali e comunali (elezioni amministrative) e per
il Parlamento europeo (elezioni europee). Va precisato che per votare al Senato l’elettore deve avere
compiuto 25 anni.
Il voto deve presentare determinati requisiti, necessari a garantire a tutti gli elettori di manifestare
liberamente la propria volontà.
Pertanto, il voto è:
• personale, nel senso che può essere espresso solo dall’elettore e non sono ammesse deleghe. Fa
eccezione il soggetto che presenta un impedimento fisico come ad esempio una cecità. In questo
caso può essere accompagnato nella cabina elettorale, da una persona di sua fiducia all’uopo
autorizzata, che vota al suo posto;
• uguale per tutti, cioè ogni voto vale uno come tutti gli altri, qualunque sia il voto espresso e da
chiunque sia espresso;
• libero, ossia nessuno può essere costretto o indotto a votare in modo differente dalla propria
volontà;
• segreto, per cui l’elettore vota isolato in una cabina e successivamente deposita personalmente la
scheda nell’urna, senza mostrarla a nessuno. Qualunque segno sulla scheda che possa svelare
l’identità dell’elettore, ne determina la nullità.

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La Costituzione considera il voto come un dovere civico e non giuridico. I cittadini, infatti, non sono
costretti a votare e il mancato esercizio del relativo diritto non comporta alcuna sanzione.
L’esercizio del diritto di voto è assicurato anche ai cittadini italiani residenti all’estero tramite
l’istituzione di seggi elettorali nelle sedi delle ambasciate e dei consolati del nostro Paese.
Sono, altresì, previste alcune limitazioni all’esercizio del diritto di voto: sono private di tale diritto le
persone condannate a gravi pene detentive o moralmente indegne (si pensi a coloro che sono stati
interdetti dai pubblici uffici per essersi impossessati di denaro pubblico o a coloro che sono stati condannati
in via definitiva a più di 5 anni di reclusione per delitti contro la persona) nonché i minori di età.
Per quanto riguarda, invece, gli interdetti e gli inabilitati per infermità di mente, il limite inizialmente posto
dalla Costituzione, è stato superato da una legge del 1978  e pertanto, anche questi soggetti sono stati
ammessi all’elettorato attivo.
L’articolo 49 della Costituzione riconosce ai cittadini la libertà di associarsi in partiti politici.
Nei partiti politici si associano persone che sono unite da idee politiche comuni e che, attraverso essi,
cercano di promuoverle e di attuarle. I partiti sono associazioni di fatto che non possiedono personalità
giuridica.
La libertà di associazione politica incontra, però, alcuni limiti di natura costituzionale sia per quanto
riguarda la libera formazione dei partiti sia per la libertà dei cittadini di aderire ad un partito.
Per la formazione è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista [3]; per
quanto attiene, invece, alla libertà di adesione, alcuni dipendenti pubblici (magistrati, funzionari ed agenti di
polizia, militari, ecc.) non possono fare parte di alcun partito politico.
Il diritto di petizione: in cosa consiste
Il riconoscimento a tutti i cittadini del diritto di rivolgersi alle Camere mediante una petizione [5] ha
comportato l’introduzione del primo istituto di democrazia diretta disciplinato dalla Costituzione.
Tutti i cittadini possono manifestare la propria volontà, rivolgendosi alle Camere mediante questo specifico
strumento, cioè possono richiamare l’attenzione degli eletti su un problema di interesse generale.
Il Parlamento, una volta conosciuta la questione, non ha alcun obbligo di provvedere in quanto la petizione
è solo un canale di comunicazione tra il cittadino e i parlamentari.
La petizione è un diritto riconosciuto a tutti i cittadini, sia elettori sia non elettori. Tuttavia, nonostante sia un
mezzo diretto per comunicare con i propri rappresentanti, è scarsamente utilizzato. Basti pensare che ogni
anno al Parlamento pervengono solo poche centinaia di petizioni.
D’altra parte esistono altri strumenti più rapidi ed efficaci che consentono ai cittadini di comunicare con i
parlamentari come ad esempio attraverso i partiti politici o i sindacati.
La petizione presenta delle caratteristiche specifiche:
• può essere rivolta da tutti i cittadini anche singolarmente;
• non è richiesta una forma particolare per la sua formulazione;
• è prevista solo l’autenticazione della firma del proponente;
• può attenere qualsiasi problematica purché di interesse comune.
Cos’è il diritto di elettorato passivo
La Costituzione enuncia il principio di parità tra i sessi nell’accesso ai pubblici uffici ed alle cariche
pubbliche, ribadendo l’uguaglianza dei cittadini già proclamata nell’articolo 3 della Costituzione [6]. In tal
modo, il nostro legislatore ha voluto rimuovere il limite del sesso che in passato non consentiva alle donne
di assumere determinati incarichi. Oggi, le donne possono accedere a qualsiasi carica elettiva così come
possono aspirare a qualsiasi ufficio pubblico.
In seguito ad una modifica costituzionale introdotta nel 2003 [7], sono state introdotte nella Costituzione le
“pari opportunità” così da dare più spazio alla presenza femminile sia per l’accesso alle cariche elettive
sia agli uffici pubblici.
Successivamente, nel 2004, per le elezioni del Parlamento europeo, è stata approvata la così detta legge
delle quote rosa [8], in base alla quale nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura
superiore ai due terzi dei candidati.
E’ prevista, inoltre, l’ammissione agli uffici pubblici ed alle cariche elettive anche agli italiani che non sono
cittadini della Repubblica, cioè coloro che vivono all’estero e hanno la doppia cittadinanza o che hanno
perso la cittadinanza italiana. A tal proposito, va rilevato che la legge ha equiparato ai cittadini gli italiani
non appartenenti alla Repubblica, riconoscendo loro il diritto di elettorato attivo e passivo per le elezioni

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politiche nonché in caso di referendum. Inoltre, ha previsto il diritto di votare e di essere eletti per i cittadini
comunitari sia per le elezioni del Parlamento europeo [9] sia per le elezioni comunali [10].
Relativamente all’accesso agli uffici pubblici i cittadini comunitari non possono ricoprire cariche che
comportano un esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri.
In ultimo, è previsto che chi ricopre una carica elettiva deve avere la possibilità di dedicarsi pienamente a
tale mandato. Pertanto, è stata emanata una normativa specifica che consente agli amministratori pubblici
di usufruire di permessi sul lavoro o, in casi determinati (si pensi ad un sindaco o a un deputato), di essere
esonerati dall’attività lavorativa per tutta la durata del mandato e di ricevere un’indennità.
Fra i diritti di partecipazione politica una posizione di rilievo riveste il referendum abrogativo, molto privare
di efficacia un atto di normazione primaria. il referendum abrogativo risponde all'esigenza di garantire una
partecipazione diretta del Popolo alle decisioni collettive.
Di diversa natura è il referendum costituzionale previsto dall'articolo 138 della Costituzione. 
 

DOMANDA

SISTEMA TRIBUTARIO ART. 53


Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

Il sistema tributario è improntato a criteri di progressività.

Che cosa significa? L’art. 53 afferma che chiunque (anche gli stranieri e gli apolidi) svolga un’attività
lavorativa ha il dovere di pagare le tasse: si tratta di un dovere di solidarietà, in quanto il pagamento dei
tributi è indispensabile per rendere effettive le protezioni sociali.

Il sistema tributario – cioè l’insieme delle leggi concernenti i tributi – deve seguire un criterio di
progressività: la percentuale della retribuzione da versare al fisco, definita aliquota d’imposta, deve essere
minore per le persone con i redditi più bassi e maggiore per quelle che percepiscono emolumenti elevati;
quanto più si guadagna, tanto più si paga.

Ma perché...? Benché nessuno le ami, le tasse sono necessarie a tutti: è solo con il pagamento delle tasse
che lo Stato ha le risorse per pagare i dipendenti e i servizi pubblici. Senza le tasse non potrebbe esistere
lo Stato come lo conosciamo.

Trovare il giusto equilibrio tra tasse e servizi non è facile. Nei Paesi come gli Stati Uniti dove la tassazione
è inferiore alla nostra, i cittadini devono spesso pagare di tasca propria servizi che invece in Italia sono
gratuiti o pagati solo parzialmente (in particolare i servizi sanitari), oppure devono sottoscrivere un contratto
con un’assicurazione privata che pagherà le spese nel momento di necessità.

In Italia esiste un grave problema fiscale dovuto alla presenza di un numero significativo di evasori, ovvero
di persone che non pagano (del tutto o in parte) i tributi pur essendo tenuti a farlo: ciò finisce per sottrarre
notevoli risorse economiche allo Stato, che è costretto ad aumentare la pressione fiscale.

DOMANDA

CONVIVENZA DI FATTO
Le convivenze di fatto (art. 1, commi 36-65), possono riguardare sia coppie omosessuali sia
eterosessuali. La convivenza di fatto regolata dalla legge n. 76/2016 ha una natura diversa dalle unioni
civili e non modifica lo stato civile delle parti.
La dichiarazione per la costituzione di una convivenza di fatto deve essere effettuata da due persone
maggiorenni, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale,
residenti nel Comune di Trevi, coabitanti e iscritte sul medesimo stato di famiglia. Nel caso in cui gli stessi
non siano residenti, coabitanti e iscritti sul medesimo stato di famiglia è necessario effettuare la variazione
anagrafica della residenza.

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Gli interessati non devono essere legati tra loro, né con altre persone, da vincoli di matrimonio o da
un’unione civile, né da rapporti di parentela, affinità o adozione.

Si definiscono unioni civili tutte quelle forme di convivenza di coppia, basata su vincoli affettivi ed


economici, alla quale la legge riconosce attraverso uno specifico istituto giuridico uno status
giuridico analogo, per molti aspetti, a quello conferito dal matrimonio. In Italia l'istituto giuridico dell'unione
civile è regolato dalla cosiddetta Legge Cirinnà.

DOVERI COSTITUZIONALI
I doveri costituzionali vengono definiti inderogabili, quindi sottolineano l'impossibilità per il cittadino di
sottrarsi agli stessi. si tratta di dov'eri in quanto espressione del principio di solidarietà.
I doveri sono in alcuni casi espressamente specificati dalla costituzione punto nell'ambito della solidarietà
politica è il caso del diritto-dovere civico di voto, del dovere di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della
Costituzione delle leggi. sul piano della solidarietà economica, assume primaria importanza il dovere
fiscale, il diritto-dovere al lavoro. 
Secondo una parte della dottrina, però, la Costituzione contempla anche dov'eri Non immediatamente
riconducibili al principio di solidarietà. 
La difesa della patria: la Costituzione stabilisce che la difesa della patria è un sacro dovere del cittadino. da
questa disposizione si vince anche il dovere nel l'obbligo di prestare il servizio militare. 
La partecipazione alle spese dello Stato: la disposizione è rivolta a tutti coloro i quali indipendentemente
dall'essere cittadini stranieri hanno interessi economici in Italia.
La fedeltà della Repubblica defunti si rivolge ai valori fondanti e l'ordinamento repubblicano consacrati nella
Costituzione Italiana. 

LE FORME DI GOVERNO
DALLA MONARCHIA COSTITUZIONALE ALLA MONARCHIA PARLAMENTARE . 

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La monarchia costituzionale nasce in Inghilterra intorno al 1600; nel resto d'Europa si è affermata in un
secondo momento tra il 1700 e il 1800. la caratteristica fondamentale della monarchia costituzionale è data
dalla presenza di una Costituzione concessa dal sovrano volta a limitare la sua originaria sovranità
assoluta. si comincia ad applicare il principio della separazione dei poteri:  che saranno Infatti attribuiti al
re( potere esecutivo), al parlamento (potere legislativo) e ad un corpo professionale di magistrati (potere
giurisdizionale).
Il Governo era responsabile unicamente nei confronti del monarca che lo nominava e non era legato da
alcun rapporto fiduciario con la maggioranza parlamentare. il Parlamento doveva condividere la Funzione
legislativa con il sovrano, che attraverso la sanzione regia partecipava al procedimento di approvazione
delle leggi. I giudici erano nominati dal sovrano.
La forma monarchico-costituzionale si è evoluta nella monarchia parlamentare nel momento in cui il
Parlamento è riuscito ad imporre al re la nomina di un governo che incontrasse anche la sua fiducia. quindi
il governo vi viene politicamente responsabile sia nei confronti del re che lo hanno minato sia nei confronti
del parlamento, che esercita in modo sempre più forte la funzione di sindacato puliti, accanto a quella
legislativa. 

LA FORMA DI GOVERNO PARLAMENTARE


La forma di governo parlamentare si caratterizza per il necessario rapporto di fiducia tra Parlamento e
Governo. la necessità della relazione fiduciaria obbliga l'esecutivo, una volta entrato formalmente carica, a
presentarsi immediatamente dinanzi alle assemblee parlamentari per ottenere il consenso sul programma
che intende realizzare il Parlamento così come può concedere può revocare la fiducia attraverso
l'approvazione di una mozione di sfiducia, costringendo il governo alle dimissioni. 
Nella forma di governo parlamentare, il capo dello Stato assume un ruolo di garanzia costituzionale,
rimanendo estraneo al conflitto politico. 

LA FORMA DI GOVERNO PRESIDENZIALE


La repubblica presidenziale è una forma di governo in cui il potere esecutivo si concentra nella figura del
Presidente che è sia il capo dello Stato sia il capo del governo. Generalmente è eletto direttamente dai
cittadini e forma il suo governo; essendo capo di stato non ha bisogno di voto di fiducia parlamentare
anche perché, avendo già ottenuto il voto della maggioranza dei cittadini tramite il loro voto, non ha
bisogno della fiducia dei loro rappresentanti. La legittimazione attraverso il voto conferisce al presidente
una chiara superiorità rispetto ai suoi ministri, non sempre rimarcato nei sistemi parlamentari.
Caratteristiche principali Il Parlamento, eletto indipendentemente dal Presidente, è il solo titolare del
potere legislativo. Per controbilanciare il grande potere politico affidato al Presidente, infatti, ai deputati
viene affidata l'esclusiva potestà di iniziativa legislativa. Il Presidente non può assolutaente modificare le
leggi se non affidandosi a deputati a lui vicini che agiscano secondo i desideri del Capo dello Stato. La
potestà legislativa non può essere delegata in alcun modo al governo neanche per motivi d'urgenza.
Questa netta divisione funzionale fra Parlamento e Presidente si riflette nell'insindacabilità politica reciproca
fra i due organi: il Parlamento non può licenziare il Presidente il quale a sua volta non può sciogliere le
Camere. È il principio cardine della Separazione dei poteri che garantisce la democraticità di questa forma
di governo. Tuttavia è presente un sistema di controllo reciproco (check and balances, ossia freni e
contrappesi) con cui i titolari dei suddetti due poteri si limitano: il parlamento ha il potere della borsa
(approvazione del bilancio e degli interventi comportanti nuove spese), mentre il presidente è titolare del
potere di veto. A corollario del sistema, secondo i principi di Montesquieu, vi è l'indipendenza del potere
giudiziario il quale, diretto da una Corte Suprema nominata dal Presidente, ne è comunque totalmente
autonoma in quanto non revocabile e vitalizia.
 
LA REPUBBLICA SEMI-PRESIDENZIALE
La repubblica semi presidenziale è una tipologia di forma di governo in cui il potere esecutivo è condiviso
tra Presidente della Repubblica e Capo del Governo. La nomina dei ministri è effettuata dal primo, ma su
proposta del secondo. Il potere legislativo spetta invece al Parlamento, eletto dai cittadini. Anche il
Presidente della Repubblica è eletto dai cittadini, e può accadere che egli sia espressione di una parte
politica diversa dalla maggioranza presente in Parlamento. Qualora si verifichi questa situazione (non

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infrequente) diventa estremamente difficile per entrambi governare, sempre alla ricerca di un difficile
equilibrio. Il Presidente ha infatti bisogno delle leggi del Parlamento per mettere in atto il proprio
programma, e il Parlamento ha bisogno del Presidente e del Governo per l’attuazione pratica delle leggi
che ha votato. In FranCome nella forma di Repubblica Parlamentare, nella forma di Repubblica semi
presidenziale esiste il rapporto di fiducia tra Parlamento e Governo, con la conseguenza che il primo può
votare una mozione di sfiducia nei confronti del Governo e costringerlo a dimettersi. Inoltre il Presidente
della Repubblica ha il potere di sciogliere le Camere.

LA FORMA DI GOVERNO DIRETTORIALE 


La forma di governo direttoriale si sviluppò nel corso dell’ottocento. Dal punto di vista cronologico, quindi,
precede la forma di governo semipresidenziale, sviluppatasi durante la prima metà del novecento.
La forma di governo direttoriale è oggi vigente solo in Svizzera.
Questo modello si è rivelato non riproducibile in un contesto diverso da quello in cui è nato (unicum).
La Svizzera ha iniziato a sperimentare delle forme di collaborazione fra cantoni (unità territoriali della
Svizzera). Essi hanno creato fra loro dei rapporti di collaborazione che sono confluiti nella formazione della
confederazione svizzera. Essa è il risultato della progressiva aggregazione fra due o più soggetti prima
autonomi e indipendenti (cantoni) che si sono riuniti in un unico ordinamento costituzionale. 
Le prime forme di collaborazione risalgono al XIII secolo.
Nel 1848, i cantoni redassero la prima Costituzione della confederazione elvetica, le cui successive
evoluzioni si configurano come un miglioramento del testo costituzionale del 1848. Una seconda
costituzione (1874) sviluppò ulteriormente il modello del 1848.
Nel corso degli anni novanta del XX secolo, gli stati elvetici hanno avviato una procedura di revisione totale
della costituzione, rivisitando la maggior parte degli articoli costituzionali e apportando modifiche soprattutto
formali. L’attuale testo costituzionale è entrato in vigore nel 2000.
La forma di governo direttoriale si basa su una collaborazione fra esecutivo e legislativo solo parziale: il
legislativo elegge l’esecutivo; questo, però, non può sciogliere il legislativo.
Il legislativo è rappresentato da un’assemblea federale (parlamento a struttura bicamerale); il vertice del
potere esecutivo è il consiglio federale: il direttorio. Esso ha una struttura collegiale. Il capo dell’esecutivo,
infatti, è formato dai sette membri che lo compongono. Essi ricoprono il ruolo di Presidente a turnazione
annuale (la carica ha un valore meramente simbolico).
All’inizio della legislatura, l’assemblea federale elegge ciascuno dei sette membri del direttorio.
 
IL GOVERNO NEOPARLAMENTARE
Il governo neoparlamentare è una particolare forma di governo teorizzata dal politologo francese Maurice
Duverger. Consiste in un rapporto fiduciario molto più stretto rispetto a quanto avvenga in una repubblica
parlamentare.
L'esecutivo riceve la fiducia dal Parlamento, ma un'eventuale crisi di governo comporta l'automatico
scioglimento del Parlamento.

DOMANDA

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IMPEACHMENT USA
In presenza di comportamenti eccezionalmente gravi che configurano "il tradimento, la corruzione ed altri
altri gravi crimini e misfatti", quest'ultimi non meglio definiti.

LA PRIMA FASE ALLA CAMERA. Alcune commissioni parlamentari si mettono a caccia di prove
raccogliendo carte e testimonianze. I risultati confluiscono in commissione Giustizia che decide se le
accuse sono sufficienti o meno per l'impeachment. Se sì, si va al voto a maggioranza semplice in aula. E' il
voto che si è tenuto mercoledì 13 gennaio, passato con il sì di 222 democratici e 10 repubblicani.

IL PROCESSO AL SENATO. Scatta dopo che l'aula della Camera ha approvato l'impeachment. L'esame
delle prove e gli interrogatori dei testimoni avvengono sotto la supervisione del presidente della Corte
Suprema. Il voto finale del Senato richiede la maggioranza dei due terzi. Se l'aula vota a favore
l'impeachment è definitivo, senza possibilità di appello, e il presidente deve lasciare l'incarico. Dopo la
condanna il Senato può votare per un'ulteriore punizione bandendo il presidente dai pubblici uffici, come
intendono fare ora i dem. In quest'ultimo caso la costituzione non stabilisce un quorum ma il Senato ha
adottato finora la prassi della maggioranza semplice.

IL PARLAMENTO
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IL
BICAMERALISMO PERFETTO 
Il Parlamento italiano è un organo complesso e possiede una struttura bicamerale, poiché si compone di
due organi collegiali, la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica (art.55 cost.).
La nostra Costituzione affida il potere legislativo ha due camere elettive.

NB: Il termine bicameralismo perfetto non viene sempre usato esattamente. A volte viene utilizzato scorrettamente
per descrivere il modo in cui vengono approvate le leggi, ma questo termine non indica il procedimento, ma in modo
più ampio e completo fa riferimento a tutte le funzioni proprie delle camere rappresentative, dunque non soltanto alla
funzione legislativa.

DOMANDA
Cosa vuol dire bicameralismo imperfetto/perfetto?

• Perché il legislatore scelse questa forma di Governo per lo Stato italiano? A che Pro?
La ragione per cui venne adottato un Parlamento dalla struttura bicamerale perfetta e paritaria, è da
ricercare nel fatto che un modello monocamerale, con il passare del tempo avrebbe potuto
comportare una dittatura di assemblea.
Venne preferito un meccanismo in cui la seconda Camera potesse svolgere una funzione
moderatrice e di freno nei confronti della prima. La struttura bicamerale perfetta però presenta un
tallone d’Achille poiché lo svolgimento delle stesse funzioni, se da un lato assicura un maggior
controllo delle decisioni, dall’altro ha dato vita ad un processo lento e farraginoso, motivo per cui
negli ultimi anni si è pensato di riformare il Parlamento basandolo su un modello di bicameralismo
imperfetto.

BICAMERALISMO PERFETTO
(PARITARIO)
• Tipico degli Stati Democratici;
• Le due Camere hanno gli stessi poteri e le stesse funzioni, seppur il sistema elettorale ed il numero
dei componenti sia diverso in entrambe le camere;
• Punto debole: appesantimento del processo decisionale dovuto al fatto che i processi legislativi
sono molto lunghi dato che le camere hanno le stesse funzioni.

BICAMERALISMO IMPERFETTO
(ASIMMETRICO)
• Tipico degli Stati Federali, quali lo Stato federale tedesco e lo Stato federale americano;
• Le Camere hanno poteri e funzioni differenti;
• La seconda Camera (Senato federale) rappresenta gli Stati membri e può sfiduciare il Governo
poiché non è legato a quest’ultimo da un vincolo di fiducia, come lo è la Camera dei Deputati.

Il progetto di riforma parlamentare è stato portato avanti dal Governo Renzi, ma non è stato
approvato con il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 per cui si continua ad utilizzare il
modello del bicameralismo perfetto.

PARLAMENTO IN SEDUTA COMUNE

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L’art.55 Prevede che, nei soli casi previsti dalla stessa Costituzione, il Parlamento si riunisce in seduta
comune.
Si suole affermare che la seduta congiunta di deputati e senatori costituisca una deroga al principio del
bicameralismo.
Le funzioni affidate al parlamento riunito in seduta comune sono indicate in modo tassativo.
Non si tratta di compiti legislativi, ma di funzioni di diversa natura, prevalentemente elettive: elezione
giuramento del Presidente della Repubblica; messa in stato d'accusa del Presidente della Repubblica;
elezione di un terzo dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura ; elezione di un terzo dei
componenti della corte costituzionale, la compilazione dell'elenco di 45 cittadini tra i quali estrarre giudici
aggregati ai fini del giudizio di accusa contro il Presidente della Repubblica.
Si ritiene che il Parlamento in seduta comune sia un collegio imperfetto, vale a dire, che non sia legittimato
a discutere prima di decidere.
Esso è presieduto dal Presidente della Camera dei deputati e per il suo funzionamento si applicano le
disposizioni del regolamento della Camera dei deputati.
Poichè viene riunito solo per specifiche funzioni perciò viene definito un collegio imperfetto.

DOMANDA
I PROCEDIMENTI ELETTORALI
I sistemi elettorali sono meccanismi giuridici che servono a trasformare i voti in seggi.
I sistemi elettorali si distinguono in proporzionali e maggioritari.
Il sistema proporzionale garantisce a tutti i partiti politici che si presentano alle elezioni un numero di
seggi proporzionale ai voti ottenuti. Il Parlamento così formato rispecchia la volontà espressa dal corpo
elettorale.
Il difetto di questo sistema è legato alla eccessiva frammentazione dei partiti in Parlamento.
Con i sistemi maggioritari Il seggio viene attribuito al candidato che abbia ottenuto la maggioranza dei
voti. Si incentiva la stabilità politica a scapito della rappresentatività delle assemblee elettive.

Negli ultimi 10 anni si sono succedute diverse leggi elettorali: 


- La prima fu emanata dal ministro Calderoli con la legge 270/2005, la cosiddetta legge PORCELLUM
basata su un sistema proporzionale → Liste bloccate che non permettevano di esprimere il voto di
preferenza per la singola lista ma esclusivamente per la coalizione e premio maggioritario per entrambe
le Camere. Con la legge 1/2014 la Corte costituzionale dichiarò la parziale incostituzionalità della
seguente legge elettorale perché il partito che otteneva più voti, automaticamente godeva della
maggioranza assoluta dei seggi della Camera e quindi otteneva un premio maggioritario che era di gran
lunga superiore rispetto all’effettivo numero di voti raccolti;
- Con la legge 52/2015, al porcellum successe la legge elettorale ITALICUM, valida solamente per la
Camera poiché in quel periodo la riforma Boschi stava cercando di abrogare il Senato. L’Italicum fu
promossa da Matteo Renzi: si basava su un sistema maggioritario e prevedeva l’assegnazione del
premio di maggioranza alla lista (e non più alla coalizione) ottenente almeno il 40% di voti validi al primo
turno. Nel caso in cui nessuna avesse raggiunto tale percentuale, sarebbero andate al ballottaggio quelle
con il maggior numero di voti. Alla lista vincitrice sarebbero spettati 340 seggi della Camera. Inoltre,
furono stabiliti esclusivamente i capilista bloccati, così da permettere l’espressione del voto di
preferenza. Con la sent. 35/2017, il 25 gennaio anche l’Italicum fu dichiarata parzialmente
incostituzionale dalla Corte, poiché nel caso in cui nessuna lista avesse ottenuto almeno il 40% di voti
validi al primo turno e si fosse passati al ballottaggio, assegnando il premio di maggioranza alla lista che
al secondo turno avrebbe ottenuto un maggior numero di voti, sostanzialmente si annullava il valore dei
voti espressi durante il primo turno. Oggi, dopo aver apportato le giuste modifiche, l’Italicum viene
considerata una legge basata sul sistema proporzionale a turno unico (il ballottaggio aveva negato la
rappresentatività e l’uguaglianza del voto del primo turno), con premio di maggioranza e con sistema
misto formato da capilista bloccati e voto di preferenza.

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- Successivamente all’esito negativo del referendum per la riforma del Senato, il Parlamento dovette
emanare una nuova legge elettorale che avrebbe disciplinato anche l’elezione del Senato → Nel 2017
viene approvata la legge elettorale ROSATELLUM, basata su un sistema elettorale misto, cioè dire per il
36% maggioritario uninominale e per il 64% proporzionale. I collegi che si trovano dentro ogni
circoscrizione possono essere uninominali, viene eletto un solo rappresentante per ognuna delle Camere
del Parlamento; oppure plurinominali, in cui vengono eletti più rappresentanti (2-8) per ognuna delle
Camere del Parlamento: in questo caso la ripartizione dei seggi avviene in base al sistema
proporzionale, per cui i seggi sono assegnati ad ogni partito proporzionatamente ai voti ottenuti. Inoltre,
un partito per accedere alla ripartizione dei seggi proporzionali dovrà superare la soglia di sbarramento
del 3% calcolata su base nazionale, sia al Senato che alla Camera. 

Se si fa riferimento ad una COALIZIONE la soglia aumenta al 10%.

Solo per il Senato, possano accedere alla ripartizione dei seggi anche quelle liste che hanno ottenuto il
20% dei voti validi in almeno una Regione. Questa legge contiene delle norme per favorire l’equilibrio di
genere, in base alle quali in una lista non può esservi la prevalenza superiore al 60% di un genere
rispetto ad un altro. 


NB: capolilsta bloccato = in una elezione viene eletto il primo della lista, senza tenere conto delle preferenze scritte
sulle schede
preferenze = in una elezione chi vota può aggiungere uno o più nomi dei candidati del partito che vota così viene
eletto chi ha preso più preferenze.

DOMANDA
COMPOSIZIONE E CARICA DEL PARLAMENTO
La Camera dei Deputati ed il Senato della Repubblica di cui il Parlamento italiano si compone durano in
carica cinque anni.
• il numero dei deputati è di 630, 12 sono eletti nella circoscrizione estero.

• i senatori sono 315, 6 dei quali eletti nella circoscrizione estero.

• Un numero ristretto di senatori a vita scelti dal capo dello Stato. “ possono essere nominati senatori
a vita cinque cittadini che hanno illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico,
artistico e letterario”.

L'elettorato passivo spetta a tutti i cittadini che abbiano compiuto nel giorno delle elezioni rispettivamente
25 anni di età per la camera, è 40 anni per il Senato.
NB: In diritto, l'elettorato passivo è la capacità giuridica a ricoprire cariche elettive.
Allo Scopo di assicurare la continuità dell'organo parlamentare, le camere scadute, per fine naturale della
legislatura o per scioglimento anticipato, sono chiamate a svolgere la loro funzione in regime di prorogatio.
NB: prorogatio = continuare ad esercitare le loro funzioni nonostante sia scaduto il loro mandato, in attesa
della nomina o dell'elezione dei successori.
Proprio in virtù del fatto che le Assemblee Parlamentari non sono più rappresentative del corpo elettorale
devono limitare le loro attività alla solo ordinaria amministrazione. Inoltre durante la prorogatio le Camere
sono tenute A compiere alcuni atti indifferibili ed urgenti, l'approvazione della legge di bilancio, La
deliberazione dello stato di guerra è il riesame delle leggi rinviate dal presidente alla Repubblica.
La costituzione italiana esclude tassativamente la proroga della durata in carica delle camere, Salvo che
sia disposta per legge è soltanto in caso di guerra.

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IL FUNZIONAMENTO DELLE CAMERE


La regola generale è quella della pubblicità delle sedute delle Camere, l’art. 64 Cost. tuttavia ammette
che “ciascuna delle due camere e il Parlamento in seduta comune possono deliberare di adunarsi in seduta
segreta”.
La pubblicità dei lavori dell'aula è garantita con la pubblicazione degli atti parlamentari e nella forma della
trasmissione televisiva diretta.
Per quanto riguarda la validità delle deliberazioni assunte dalle camere “non sono valide se non è
presente la maggioranza dei loro componenti e se non sono adottate a maggioranza dei presenti”.
Il numero legale per la validità delle sedute è fissato nella metà più uno degli appartenenti all'organo
(maggioranza assoluta), mentre il quorum necessario per le deliberazioni è individuato nella metà più uno
dei presenti (maggioranza semplice), salvo che sia la Costituzione a prescrivere una maggioranza
speciale.
Secondo i regolamenti camerali il cosiddetto numero legale è sempre presunto, se si tratta tuttavia di una
votazione per alzata di mano, 20 Deputati e 12 senatori possono chiedere la verifica del numero legale.
Riguardo il quorum di maggioranza, sono considerati i presenti coloro che esprimono voto favorevole o
contrario, gli astenuti non sono considerati come votanti.
Modalità di voto: vige la regola del voto palese, il voto segreto è obbligatorio solo per le votazioni
concernenti le persone.
Lo scrutinio palese è obbligatorio per le votazioni sulle leggi di bilancio e le leggi ad essa collegate il voto
palese può essere manifestato per alzata di mano o per appello nominale. il voto segreto si esprime
attraverso il deposito di in un'urna di una pallina bianca o nera oppure, di un'apposita scheda.
Le camere, nello svolgimento dei loro lavori, devono rispettare il metodo della programmazione. Il
programma dei lavori viene deliberato dalla conferenza dei Presidenti di Gruppo per un periodo di almeno
due mesi e non superiore a tre mesi.
Il programma contiene l'elenco degli argomenti che la camera intende esaminare con l'indicazione del
periodo nel quale se ne prevede l'iscrizione all'ordine del giorno dell'assemblea.

DOMANDA
ORGANIZZAZIONE DELLE DUE CAMERE
In virtù del principio del bicameralismo perfetto le camere hanno pari dignità e godono di un potere di auto-
organizzazione. ciascuna camera ha il compito di eleggere fra i suoi componenti Il presidente è l'ufficio di
presidenza punto e, inoltre ciascuna camera doppia il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi
componenti.
Già con riferimento alle modalità di elezione dei presidenti dei due rami del Parlamento si notano
significative differenze tra i regolamenti di Senato e camera.
Per la Camera dei deputati, una volta costituito l'ufficio provvisorio di presidenza,
• l'elezione del presidente ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza dei due terzi dei componenti
la camera.
• Solo dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta dei voti.

Al Senato risulta eletto


• chi raggiunge la maggioranza assoluta dei voti dei componenti;
• se non si raggiunge questa maggioranza neanche con un secondo scrutinio,
• si procede ad una terza votazione nella quale è sufficiente la maggioranza assoluta dei voti dei
presenti, computando tra i voti anche le schede Bianche.
• Se anche dalle votazioni si conclude con un nulla di fatto sii procede al ballottaggio fra i due
candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti e viene proclamato eletto quello che
consegue la maggioranza, anche se relativa.
• A parità di voti è eletto il più anziano di età.

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Compiti assegnati ai due presidenti: sono sostanzialmente assimilabili: si tratta di un ruolo di


rappresentanza e di esternazione della volontà dell'organo. Fa osservare il regolamento, dirige e modera la
discussione, pone le questioni, stabilisce l'ordine delle votazioni.

I GRUPPI PARLAMENTARI sono organi necessari delle camere. costituiscono la proiezione dei partiti
politici all'interno delle camere. i regolamenti parlamentari richiedono una soglia minima perché si possa
dar vita ad un gruppo, per evitare una eccessiva frammentazione organizzativa. il numero minimo richiesto
alla camera è di 20 deputati, al senato di 10 senatori.
I gruppi parlamentari svolgono un ruolo fondamentale perché al loro interno si decide la linea politica
comune da tenere nei dibattiti che si tengono in parlamento e si procede alla designazione dei
rappresentanti nelle commissioni parlamentari.
Rapporto tra singolo parlamentare e gruppo: è necessaria la cosiddetta disciplina di gruppo punto nel caso
di inosservanza la disciplina di gruppo, Il parlamentare resta comunque libero di aderire ad un altro gruppo
e potrà continuare liberamente svolgere il suo mandato.
La disposizione costituzionale afferma che ogni membro del parlamento rappresenta la nazione ed esercita
le sue funzioni senza vincolo di mandato.
In epoca recente l'assenza di vincolo di mandato ha reso possibile il verificarsi del cosiddetto transfughismo
parlamentare, che sta indicare il cambiamento di partito e a volte anche di qua lezione, percepito dal corpo
elettorale come un vero e proprio tradimento è la volontà Popolare espressa attraverso il voto.
Al fine di arginare il fenomeno, il Senato ha approvato una modifica regolamentare, in cui si afferma il
principio di corrispondenza tra le liste che si sono sottoposti al vaglio elettorale e i gruppi parlamentari che
possono essere costituiti, escludendo che, nel corso della legislatura, possono nascere nuovi gruppi
parlamentari, se non scaturenti dalla fusione di gruppi preesistenti.

Le COMMISSIONI PERMANENTI sono organi necessari delle camere che svolgono funzioni
prevalentemente legislative.
Il numero dei parlamentari di ciascun partito, deve rispecchiare proporzionalmente quello ottenuto in
parlamento, a seguito delle votazioni.

Le COMMISSIONI BICAMERALI: sono commissioni parlamentari previste dalla legge e composte da


Senatori e da Deputati, nel rispetto del principio di proporzionalità; se previsto dalla legge, vi deve essere
assicurata anche la rappresentanza di tutti i gruppi.
Si possono distinguere in:
• Commissioni direttamente previste dalla Costituzione o da leggi costituzionali.

• Commissioni di indirizzo, vigilanza e controllo.


• Commissioni consultive, istituite con legge per l'esame di specifici atti del Governo


Le GIUNTE: Le giunte parlamentari sono organi collegiali permanenti della Camera dei deputati e del
Senato della Repubblica ed hanno prevalentemente funzioni di garanzia.Si tratta nello specifico di organi
collegiali permanenti previsti dal regolamento di entrambe le camere, investiti non di funzioni legislative o di
controllo politico bensì di compiti legati al corretto funzionamento delle camere stesse e all'autonomia del
Parlamento rispetto agli altri poteri dello Stato.
Il carattere tecnico delle funzioni svolte dalle giunte parlamentari si riverbera sulle modalità di nomina dei
loro componenti e sulla durata, posto che le giunte non si rinnovano al termine del primo biennio della
legislatura, come avviene invece per le Commissioni permanenti.
Attualmente vi sono tre giunte in ciascuna camera e nello specifico:
- la giunta per le autorizzazioni, la giunta per il regolamento e la giunta per le elezioni alla Camera dei
deputati;
- la giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, la giunta per il regolamento e la commissione per
la biblioteca e l'archivio storico al Senato.

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GRUPPO MISTO
Nelle due Camere del Parlamento italiano, il Gruppo misto è il gruppo parlamentare nel quale vengono
inseriti d'ufficio tutti quei parlamentari che non sono iscritti a nessun altro gruppo.
In genere, accoglie tutte le formazioni politiche minori che non hanno ottenuto un numero di parlamentari
sufficiente a costituire un gruppo proprio e i singoli parlamentari che scelgono di non aderire ad alcun
gruppo.
La soglia minima per formare un proprio gruppo è di 20 deputati[1] o 10 senatori[2].

INELEGGIBILITÀ E INCOMPATIBILITÀ
L’ineleggibilità: Mira ad evitare che il candidato possa influire indebitamente sul diritto di voto proprio in
forza del ruolo professionale svolto, le cause di incompatibilità rispondono alle esigenze di vietare il
contemporaneo esercizio di funzioni.
La legge prevede infatti l'esclusione di talune categorie di persone titolari di particolari uffici; persone che
sono legate allo stato da particolare i rapporti economici punto e, nonché persone che abbiano un impiego
alle dipendenze di un governo estero, fine di impedire interferenze straniere nello svolgimento delle
competizioni nazionali.
La rimozione delle cause di ineleggibilità deve avvenire prima del termine fissato per la presentazione della
candidatura, attraverso un atto di volontà dell'interessato (dimissioni, aspettativa). Qualora questo non
avvenga, l'elezione risulterà nulla punto diversamente le cause di incompatibilità possono essere rimosse
dal soggetto in un momento successivo alla elezione, mediante l'esercizio dell'opzione tra le due cariche.

NON CANDIDABILITÀ
L'istituto della non candidabilità riguarda le elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali.
colpisce coloro che abbiano subito condanne in via definitiva per determinate fattispecie criminose (delitti
connessi al fenomeno mafioso, traffico di droga, abuso di potere).
La legge anticorruzione, prevede che non siano temporaneamente candidabili a deputati o senatori coloro
che abbiano riportato condanne definitive superiore a 2 anni di reclusione ; la ratio di tale norma va
ricercata nell'esigenza di tutelare bene di rilievo costituzionale quali il prestigio delle istituzioni, il buon
andamento e la trasparenza della pubblica amministrazione.
La verifica dei poteri è l'atto in base al quale un organismo collegiale, prima di procedere all'esercizio
delle sue funzioni, si pone il problema della regolarità della sua costituzione. Ciò comporta - in via
preliminare, per la vita stessa dell'organo - che una volta per tutte siano conosciuti e convalidati i titoli di
ammissione dei suoi componenti.
Secondo l'istituto della verifica dei poteri "ciascuna camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi
componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità ".

DOMANDA
IL DIVIETO DI MANDATO IMPERATIVO. ART 67 Cost.
Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato
L'assenza di vincolo di mandato si spiega considerando che i parlamentari, dopo che vengono eletti,
rappresentano l'intera nazione e non singoli soggetti o gruppi di essi.

Il primo principio che emerge è quella della rappresentanza nazionale, secondo il quale i parlamentari


sono svincolati dall'influenza dei propri elettori nell'ambito dei collegi elettorali locali. Ciò non impedisce
chiaramente che i parlamentari possano prendere in considerazione gli interessi locali, ma tuttavia impone
che in via principale siano considerati quelli nazionali e generali.

Il secondo principio scaturente è quello del divieto di mandato imperativo. Il singolo parlamentare, una
volta eletto, non rappresenta gli elettori e, quindi, non agisce quale loro mandatario, essendo egli piuttosto

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libero di compiere le scelte (spiccatamente, di appoggiare o meno l'azione di Governo) che ritiene più
opportune. Ciò significa che egli non può essere chiamato a rispondere civilmente delle proprie decisioni
ma non significa che, in qualche modo, queste non possano avere riflessi nei suoi confronti.
Ed, infatti, innanzitutto esiste comunque una responsabilità c.d. politica: ogni parlamentare dovrà
rispondere delle proprie scelte quando, in sede di nuove elezioni, il corpo elettorale deciderà se eleggerlo
nuovamente o meno.

DOMANDA
INSINDACABILITÀ PARLAMENTARE ART. 68 Cost.

I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti
dati nell'esercizio delle loro funzioni
Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere
sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà
personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna,
ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in
flagranza (2).
Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento a intercettazioni, in qualsiasi
forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza.
Le immunità parlamentari furono introdotte dal costituente per consentire a deputati e senatori di svolgere il
proprio lavoro liberamente e senza interferenze.
La carta costituzionale riconosce ai singoli parlamentari determinate prerogative irrinunciabili, le quali
perseguono lo scopo di tutelare la regolarità e l'indipendenza del mandato parlamentare, in ossequio al
principio del rispetto della piena rappresentatività degli organi elettivi.

Tali prerogative sono:


-  l'insindacabilità, secondo cui i parlamentari non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni e
dei voti espressi nell'esercizio delle loro funzioni. Tale principio tutela la libertà di espressione del
parlamentare, al fine di evitare possibili condizionamenti che potrebbero derivargli dalla consapevolezza
di dover render conto dell'attività svolta. L'insindacabilità delle opinioni si estende anche al di fuori del
Parlamento, quando l'attività è connessa alle funzioni parlamentari. Tale concetto è stato ribadito
dalla Corte Costituzionale anche dopo che la l. 20 giugno 2003, n. 140 (c.d. lodo Schifani, emanata per
dare attuazione al dettato costituzionale) ha esplicitamente esteso le menzionate garanzie alle attività
extraparlamentari di critica, divulgazione ecc.;
-  l'immunità penale, secondo cui nessun parlamentare, senza autorizzazione della Camera di
appartenenza, può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o
altrimenti privato della libertà personale o detenuto, salvo che in esecuzione di sentenza
penale irrevocabile, ovvero sia colto in flagranza di delitto, se la legge prevede l'arresto
obbligatorio (art. 380 c.p.p.). Analoga autorizzazione è richiesta per le intercettazioni e per il sequestro
di corrispondenza. Le Camere possono negare questa autorizzazione solo se ritengono che gli atti in
esame mirano a perseguitare, e non a perseguire, i propri membri, incidendo, cioè, sulla loro funzione di
parlamentari. Dal punto di vista procedimentale, è previsto che la richiesta sia inoltrata dal Presidente
della Camera di appartenenza alla Giunta per le elezioni (Camera) ed alla Giunta per le elezioni e
le immunità (Senato). Quindi essa passa all'assemblea che, su parere della Giunta, decide.

Fino agli inizi degli anni novanta, infatti, per poter sottoporre a giudizio un parlamentare era imprescindibile
il consenso della Camera di appartenenza. Oggi non è più così, con la conseguenza che il giudice può
liberamente procedere contro un parlamentare, a meno che l'attività contestata non sia coperta da
insindacabilità ai sensi dell'articolo 68, comma 1, della Costituzione.
Il NESSO FUNZIONALE:Per poter applicare l'insindacabilità del comportamento del membro del
Parlamento occorre sempre verificare che il comportamento stesso sia legato da un nesso funzionale con
l'attività parlamentare.

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A tal fine, come precisato anche dalla Corte costituzionale con le sentenze numero 10/2000 e numero
11/2000, non è sufficiente un semplice collegamento ma è indispensabile che la dichiarazione sia
espressione di attività parlamentare.

INDENNITÀ PARLAMENTARE ART. 69 Cost.


I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge.
Al fine di consentire al parlamentare di svolgere con piena dedizione la sua attività politica, la norma in
esame stabilisce che ad ogni membro del Parlamento spetta un'indennità stabilita dalla legge.
L'indennità in parola non rappresenta l'unica forma di emolumento garantito ai parlamentari, a cui spettano,
tra gli altri, una diaria (come rimborso per le spese per stare a Roma), rimborsi per gli spostamenti, per le
spese telefoniche ecc.. In tempi recenti si è spesso parlato di riduzione dei costi della politica, soprattutto a
causa degli scandali finanziari che l'hanno colpita. 

I REGOLAMENTI PARLAMENTARI
I regolamenti parlamentari sono fonti del diritto che, tuttavia, sfuggono ad una precisa collocazione nel
sistema gerarchico delle stesse.
Le Camere hanno approvato per la prima volta i loro rispettivi regolamenti nel 1971.
Essi contengono nella parte prima norme relative ad organizzazione e funzionamento,nella parte
seconda norme riguardanti il procedimento legislativo e nella parte terza le disposizioni concernenti
le procedure di indirizzo, di controllo e di informazione, mozioni, risoluzioni, interrogazioni,
interpellanze; inolfre, in uno specifico Capo vengono delineate le procedure di collegamento con
l'attività di organismi comunitari ed internazionali.
Le disposizioni contenute nei regolamenti del 1971 rispecchiano fedelmente la tendenza presente in
Italia, in quegli anni, volta a valorizzare la cenfralità delle Assemblee nella dialettica Parlamento-
Governo.
Le modifiche apportate ai regolamenti nel 1997 e nel 1998 traducono, per molti versi, il mutato
scenario istituzionale, nel quale 1' adozione di un sistema elettorale con effetti maggioritari ha
sensibilmente rafforzato il ruolo dell'Esecutivo anche nel rapporto con il Parlamento.
Rispondono a tale nuova esigenza le innovazioni che riguardano l'abolizione del voto segreto,
Anche l'allargamento delle questioni su cui il governo può porre la fiducia, 1a previsione di
procedimenti abbreviati per la conversione dei decretilegge, così come l'estensione dell'istituto del
contingentamento dei tempi della discussione e la nuova disciplina sulla programmazione dei lavori
parlamentari risultano coerenti all'intento di rinsaldare il legame fra 1a compagine governativa e 1a
sua maggioranza.
I regolamenti parlamentari non sono soggetti al sindacato da parte della Corte costituzionale in
quanto atti che non rientrano tra quelli che, ai sensi dell'art. 134 Cost., sono sottoponibili al giudizio
di legittimità costituzionale.
Ciascuna Camera approva anche regolamenti C.d. minori per la disciplina di un settore della sua
organizzazione interna: il regolamento interno della Giunta delle elezioni, alla Camera, il regolamento per la
verifica dei poteri, al Senato, il regolamento della commissione parlamentare per l'indirizzo generale e
l'indirizzo dei servizi radiotelevisivi, il regolamento per i procedimenti di accusa.

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DOMANDA
LE COMMISSIONI D’INCHIESTA
L'art. 82, co. 1, Cost. prevede il potere di entrambe le Camere «di disporre inchieste su materie di
pubblico interesse». La norma prosegue precisando, nel co. 2, che la Camera «nomina tra i propri
componenti una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione fra i vari gruppi». Con
riferimento ai poteri, l'ultima parte dell'articolo afferma che «la commissione d'inchiesta procede alle
indagini e agli esami con gli stessipoteri e le stesse limitazioni dell 'autorità giudiziaria».
Le Camere possono svolgere inchieste solo per tramite di una Commissione all'uopo costituita, l'art. 82
Cost. conferisce specifici poteri non alla Camera nel suo complesso, ma ad una articolazione interna di
essa, proprio alla scopo di assegnare direttamente alla Commissione compiti di natura ispettiva.
Quanto alla struttura, le commissioni possono essere sia monocamerali che bicamerali. Solitamente le
commissioni bicamerali vengono istituite con legge, in quanto ciò esclude che la decisione di una sola
Camera ne comporti la revoca. L'istituzione mediante legge consente altresì di porre a carico dello Stato
(e non del bilancio delle Camere) le spese per il suo funzionamento e di prolungare la durata della
commissione anche oltre quella della legislatura. Nella legge istitutiva sono inoltre precisati i poteri con cui
la Commissione è chiamata a svolgere le sue funzioni.
La Costituzione italiana non attribuisce la possibilità ad una minoranza parlamentare di istituire
commissioni d'inchiesta; nella sostanza, dunque, affinché si possa istituire una Commissione di inchiesta
è necessaria una determinazione della maggioranza politica.
Per tale motivo è stato messo in dubbio che tale istituto possa costituire uno strumento di controllo delle
Camere sull'operato dell'Esecutivo.
Le finalità dell'inchiesta possono essere legislative o politiche: le prime, risultano finalizzate all'esame
di una materia sulla quale il Parlamento deve intervenire con legge, assumendo, dunque, valore
conoscitivo; le seconde, sono strumentali alla verifica di certi accadimenti anche allo scopo di individuare
responsabilità di soggetti pubblici o privati, fermo restando che eventuali provvedimenti sanzionatori
restano riservati alla sola autorità giudiziaria.
I poteri delle Commissioni d'inchiesta sono i medesimi di quelli attribuiti all'autorità giudiziaria: sentire i
testimoni, richiedere documenti utili all'inchiesta e così via.

LO STATUTO DELL’OPPOSIZIONE
L'affermazione di un sistema politico "bipolare", che a partire dalla metà s degli anni '90 ha sostituito il
modello "consociativo" della relazione tra maggioranza ed opposizione, ha inaugurato l'era della
democrazia dell'alternanza. Di qui la necessità di rielaborare il Testo Costituzionale con l'intento di
destinare uno spazio alle prerogative dell'opposizione e realizzare un «adeguato bilanciamento, nella
sede parlamentare, fra i diritti di queste ultime e la valorizzazione del ruolo dell 'esecutivo e della sua
maggioranza».

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DOMANDA
LE FUNZIONI DEL PARLAMENTO
LA FUNZIONE LEGISLATIVA
Secondo quanto stabilito dall'art. 70 Cost. «la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due
Camere». In omaggio al principio del bicameralismo perfetto e paritario, il progetto o il disegno di legge
diviene legge soltanto dopo l'approvazione in un identico testo da parte di entrambi i rami del Parlamento.
È chiaro dunque che se il testo subisce modifiche una volta che giunge al ramo del Parlamento che lo
esamina per secondo dovrà essere nuovamente trasmesso all'altra Camera. Si darà luogo alla C.d.
navetta, cioè alla trasmissione del testo da una Camera all'altra, finché il progetto non venga approvato
nell'identica formulazione. Spetta poi al Presidente della Repubblica promulgare 1a legge entro un mese
dall'approvazione. Subito dopo la promulgazione le leggi sono pubblicate ed entrano in vigore il
quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine
diverso.

DOMANDA
INIZIATIVA LEGISLATIVA
ART.71 L’iniziativa di legge spetta al Governo quale organo esecutivo e politico della nazione ed a ciascun
parlamentare quale soggetto che fa parte dell'organo legislativo stesso. Infine, in ossequio al principio di
sovranità popolare, essa spetta anche ai singoli cittadini.
l diritto di iniziativa legislativa è altresì conferito al Consiglio Nazionale dell'economia e del lavoro, in
materia economica e sociale e a ciascun Consiglio regionale, nelle materia che interessano la Regione .

L'approvazione di una legge si articola in quattro fasi:



- iniziativa legislativa;

- esame e approvazione;

- promulgazione;

- pubblicazione.


L’iniziativa legislativa si esercita presentando al Presidente di una delle due Camere una proposta di legge,
cioè un testo legislativo redatto in articoli.

Tale proposta può essere presentata dal Governo, da singoli parlamentari, dal Consiglio nazionale
dell’economia e del lavoro, da cinquantamila elettori, dalle Regioni e dai Comuni (in ordine al mutamento
delle circoscrizioni provinciali esistenti ovvero alla istituzione di una nuova provincia nell'ambito di una
Regione).
La fase dell'iniziativa è propedeutica a quelle di esame, di discussione e di approvazione da parte
delle Camere del disegno di legge (La proposta di legge viene inviata per un esame preliminare alla
Commissione permanente competente per materia).

Al riguardo, l'art. 72 Cost. prevede tre diversi procedimenti di formazione delle legge.
- Procedura normale o ordinaria
- Procedura abbreviata
- Procedura decentrata
- Procedura mista

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Il PROCEDIMENTO ORDINARIO Comporta che il progetto di legge venga preliminarmente


esaminato e discusso da una commissione parlamentare, competente per materia, che svolge i suoi
compiti in sede referente. La commissione, esaurito l'esame, trasmette il progetto accompagnato da una o
più relazioni all'assemblea che discuterà in linee generali su tale progetto. Se l'assemblea si dimostra
favorevole al progetto si passa alla discussione e all'approvazione articolo per articolo (e degli eventuali
emendamenti proposti) dello stesso, quindi si sottopone la legge nel suo complesso al voto finale che
avviene, di regola, a scrutinio palese mediante procedimento elettronico. Il procedimento ordinario è
obbligatorio per i progetti in materia costituzionale ed elettorale, di delegazione legislativa, di approvazione
di bilanci e consuntivi e di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali.

Il PROCEDIMENTO ABBREVIATO:
È adottato per i disegni di legge dichiarati urgenti. L'approvazione della dichiarazione di urgenza comporta
la riduzione dei termini alla metà.
In base all’art. 72 Cost., per accelerare i lavori parlamentari è possibile che alcune leggi vengano deliberate
direttamente in Commissione (detta, in questo caso in sede deliberante).
Questo procedimento abbreviato non è consentito né per le leggi in materia costituzionale ed elettorale, né
per le leggi di bilancio e di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali.

La legge viene approvata articolo per articolo e poi globalmente.
Sui singoli articoli i parlamentari e il governo possono presentare emendamenti, cioè proposte di modifica
aggiuntive, modificative e soppressive. Gli emendamenti vengono posti in votazione prima del testo
originario e possono essere approvati o respinti.

Se l’emendamento è approvato, esso sostituisce il testo originario.
Se è respinto si vota sul testo originario. Se il Governo decide di porre la fiducia sull’approvazione di una
legge, non possono essere fatti né quantomeno proposti emendamenti.

Il PROCEDIMENTO DECENTRATO

Avviene quando le commissioni parlamentari non si limitano a esaminare il progetto di legge, ma lo
approvano anche. In questo caso, la commissione svolge i suoi lavori in sede deliberante in quanto
procede all'approvazione senza che essa si svolga davanti all'intera assemblea.

Il PROCEDIMENTO MISTO
(o redigente). Consiste in una suddivisione del lavoro legislativo fra la commissione e l'assemblea: alla
commissione può essere riservata l'approvazione articolo per articolo e all'assemblea l'approvazione finale,
oppure all'assemblea è riservata la fissazione dei criteri informatori della legge, mentre l'approvazione, sia
per articoli sia finale, è riservata alla commissione.

La legge viene inviata al Presidente della Repubblica per la sua PROMULGAZIONE.



La promulgazione è l’atto con il quale il Presidente dichiara che la legge è stata regolarmente approvata,
che essa è conforme alla Costituzione e ordina che sia rispettata da tutti.
Il Presidente può esercitare il veto sospensivo. Può infatti rifiutarsi di promulgare la legge rinviandola alle
Camere, quando questa non sia stata regolarmente deliberata ed approvata secondo la procedura prevista
ovvero quando non sia conforme o addirittura contraria alla Costituzione.

La legge in questo caso torna in Parlamento, accompagnata da un messaggio del Presidente della
Repubblica recante le motivazioni ed i profili della mancata promulgazione.

Il Parlamento, a questo punto, può modificare il testo di legge, seguendo le direttive del Capo dello Stato
ovvero riapprovare lo stesso identico testo a maggioranza assoluta. In questo ultimo caso il Presidente
della Repubblica non potrà rifiutarsi di promulgare la legge.

La legge, una volta promulgata, viene PUBBLICATA dal Ministro della Giustizia sulla Gazzetta Ufficiale ed
entra in vigore (cioè la sua osservazione diventa obbligatoria) il quindicesimo giorno (periodo che viene
indicato con l'espressione  vacatio legis) successivo alla pubblicazione, salvo che la stessa legge non
contenga termini diversi.

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DOMANDA
DISEGNO DI LEGGE ART. 72

Quando parliamo di un disegno di legge, facciamo riferimento ad una proposta legislativa,


avanzata da vari organi e che potrà tradursi (laddove approvata) in una legge vera e propria.
Il disegno di legge è un testo, suddiviso in articoli, e presentato agli organi che sono depositari del
potere legislativo per l’approvazione.
La bozza viene presentata alla Camera dei Deputati, o al Senato che poi la perfezionano e la
votano, facendogli seguire l’iter necessario per divenire legge.
 
Chi può presentare un disegno di legge?
Il Parlamento. I deputati ed i senatori possono effettuare delle proposte di legge alle quali, in
genere, viene ricollegato il nome del proponente. Il testo viene affidato ad un relatore che lo
illustra ai colleghi. 
Il CNEL. Il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro è un organo costituito da diversi
rappresentanti di categorie economiche e produttive. Ha iniziativa legislativa, ed ovviamente le
proposte di legge qui formulate sono soprattutto di ordine economico-sociale.
Il governo. Il governo dirige l’indirizzo politico del Paese, e può presentare al Parlamento i c.d.
DDL, ovvero i disegni di legge, che sono progetti coi quali si chiede l’approvazione al Parlamento
di proposte legislative in ambito economico, sociale, e via dicendo.
I cittadini. Anche i cittadini possono presentare una proposta di legge. I progetti di legge devono
essere redatti in articoli, e devono essere firmati da almeno 50mila elettori maggiorenni, spesso
per mezzo delle c.d. raccolte di firme.

DOMANDA
PROMULGAZIONE DI UNA LEGGE Art.73
Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione.
Se le Camere, ciascuna a maggioranza assoluta dei propri componenti, ne dichiarano l’urgenza, la legge è
promulgata nel termine da essa stabilito.
Le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore il quindicesimo giorno
successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso.

DOMANDA

LA FUNZIONE DI CONTROLLO
La funzione di controllo è una delle funzioni affidate, dalla carta costituzionale,
al Parlamento italiano.

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Oltre alla funzione legislativa e alla funzione di indirizzo, il parlamento è tenuto


anche a una funzione di controllo nei confronti dell'operato del governo : tale [1]

funzione è concretizzata attraverso gli strumenti dell'interrogazione,


dell'interpellanze e delle mozioni.
INTERROGAZIONE
Una interrogazione parlamentare, in Italia, indica una domanda che uno o più parlamentari rivolgono
al governo della Repubblica Italiana nel suo complesso o a un singolo ministro per essere informati sulla
veridicità di un fatto o di una notizia e sui provvedimenti che il governo intende adottare o ha già adottato in
merito.
La domanda viene formulata per iscritto e la risposta del Ministro interpellato potrà essere in forma scritta o
orale secondo quanto richiesto dal parlamentare interrogante che indica pure se intende ottenere risposta
in commissione o in aula. Il governo ha la facoltà di non rispondere alla singola interrogazione indicando
però il motivo. Una volta ottenuta la risposta l'interrogante può a sua volta replicare per dirsi o meno
soddisfatto.

INTERPELLANZA
Una interpellanza parlamentare, in Italia, è una domanda per iscritto che uno o più parlamentari rivolgono
al governo della Repubblica Italiana per conoscere le ragioni o le intenzioni della politica governativa su
questioni rilevanti e di interesse generale. Attraverso l'interpellanza si mira a ottenere o esplicitare la
posizione del governo su questioni determinate.
Viene discussa in aula, con la presenza di un rappresentante del Governo.L'interpellanza viene introdotta
dal proponente; se la risposta del Governo non è soddisfacente l'interpellante, secondo
il Regolamento della Camera dei deputati, può presentare una mozione avente lo stesso oggetto e allo
scopo di provocare una discussione e un voto da parte dell'assemblea, il cui significato politico starà poi al
Governo valutare.
MOZIONE
La mozione parlamentare (generica) è uno strumento di indirizzo politico attraverso il quale la Camera dei
deputati o il Senato danno un indirizzo al Governo sul comportamento da tenere o le misure da prendere
per affrontare una determinata questione. È un atto politicamente rilevante, ma che non comporta vincoli
giuridici per il Governo che può assumersi la responsabilità politica di comportarsi diversamente
dall'indirizzo indicato.
La mozione può essere presentata o da un capogruppo, o almeno da 10 deputati o almeno da 8 senatori.
La discussione in aula avviene in maniera simile a quella di una legge. Il testo della mozione viene
discusso, possono essere presentati e votati gli emendamenti al testo iniziale e poi si svolge una votazione
finale.La costituzione italiana con l'articolo 94 prevede altre due forme di mozione particolari che
concernono strettamente il rapporto di fiducia tra Parlamento e Governo: la mozione di fiducia e quella di
sfiducia.
La prima ricorre in occasione della formazione di un nuovo Governo (entro 10 giorni dalla formazione). Le
mozioni di sfiducia nei confronti del Governo possono essere discusse e votate ogni volta che almeno un
decimo dei componenti della singola camera (Camera o Senato) ne facciano richiesta.

INCHIESTE
Le commissioni parlamentari d'inchiesta sono degli organi parlamentari investite della funzione
ispettiva, conoscitiva o anche di indagine, su materie di interesse pubblico.
Il parlamento può creare delle commissioni d'inchiesta al fine di appurare determinate questioni e verificare
se vi siano responsabilità

FUNZIONE DI CONTROLLO NELLA MANOVRA DI BILANCIO


la funzione di controllo nella manovra di bilancio, attraverso la legge di approvazione di bilancio. 

DOMANDA

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LO SCIOGLIMENTO DELLE CAMERE ART 70 Cost.

L’art. 70 disciplina il potere di scioglimento da parte del Presidente della Repubblica della Camera
"politica" (la Camera dei deputati).

Il Presidente della Repubblica puo`, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse.
Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in
parte con gli ultimi sei mesi della legislatura.

Null’altro dice la Costituzione: né si specifica quando si possa ricorrere a questo potere, né a quali
condizioni.
Ciò che viene precisato è solamente che il potere di scioglimento del Parlamento non può essere
esercitato durante gli ultimi sei mesi del mandato presidenziale: la ragione di questo divieto sta nel fatto di
voler impedire ad un Presidente uscente di determinare in maniera così dirompente le sorti del governo
italiano.
Se il Presidente della Repubblica decide di sciogliere le Camere, non esiste altra alternativa se non quello
di tornare al voto per poter eleggere un nuovo Parlamento. Sempre la Costituzione [2] afferma che
le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti; finché non
siano riunite le nuove Camere, sono prorogati i poteri delle precedenti.
Di conseguenza, dal momento in cui il Presidente della Repubblica decide lo scioglimento delle Camere, ci
sono settanta giorni di tempo per procedere all’elezione delle nuove; nel frattempo, le precedenti Camere
continuano a rimanere in vita, occupandosi però solamente dell’ordinaria amministrazione.

Quando il Presidente della Repubblica può sciogliere le camere?

Nel primo paragrafo abbiamo detto che la Costituzione non specifica quando e a che condizioni
il Presidente della Repubblica possa sciogliere le Camere, obbligando così gli Italiani a votarne delle
nuove.
Si potrebbe trattare di una lacuna molto grave, visto che questa facoltà, se esercitata in maniera
sproporzionata, potrebbe conferire al Presidente della Repubblica un potere enorme, capace di incidere sul
sistema democratico stesso, tenuto anche in considerazione il fatto che il Presidente della Repubblica non
è eletto direttamente dal popolo.
La prassi costituzionale, però, si è sviluppata nel senso di limitare il potere di scioglimento delle Camere
solamente all’ipotesi in cui il Parlamento, a causa di dissidi interni, non possa funzionare.
In pratica, il Presidente della Repubblica, sentiti i presidente delle Camere, può procedere allo scioglimento
delle stesse soltanto quando non ci sia una maggioranza politica in grado di governare.
Di conseguenza, questo scenario si prospetterà ogni volta in cui ci sia una crisi di Governo, cioè un
conflitto tra le forze politiche che forma la maggioranza parlamentare che, a sua volta, si proietta al
Governo. È in questo caso che diventa fondamentale il ruolo del Presidente della Repubblica, il quale deve
decidere in base alle proprie consultazioni.

Le consultazioni del Presidente della Repubblica sono una prassi istituzionale non codificata dalla
Costituzione italiana. Le consultazioni consentono al Presidente della Repubblica di individuare la
maggioranza che dovrà essere nominata al Governo: non si dimentichi, infatti, che secondo la
Costituzione [3] è il Presidente della Repubblica a nominare il presidente del consiglio dei ministri e i
ministri.
Ciò non significa che il Presidente della Repubblica possa scegliere chiunque voglia: egli, infatti, sarà
sempre vincolato dal risultato delle elezioni politiche, elezioni che non determinano direttamente la carica
governativa, bensì la composizione del Parlamento.
Le consultazioni sono uno strumento importantissimo anche nel caso di crisi governativa: quando la
maggioranza che governa il Paese si spacca e le Camere non riescono più a legiferare perché manca
l’accordo su un programma di governo coeso, allora la parola passa di nuovo al Presidente della
Repubblica il quale, aperte nuovamente le consultazioni, verifica se c’è la possibilità di nominare un nuovo
governo che sia sostenuto da una maggioranza parlamentare.
In caso di crisi di governo, dunque, le consultazioni serviranno a stabilire:

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• se ci sono le condizioni affinché il Presidente della Repubblica nomini un nuovo Presidente del
Consiglio dei Ministri e nuovi Ministri (quindi, una nuova squadra governativa);
• se, al contrario, non essendoci la possibilità di creare una nuova maggioranza che possa far
funzionare il Parlamento, il Presidente della Repubblica debba procedere allo scioglimento delle
Camere e all’indizione di nuove elezioni.

SCIOGLIMENTO TECNICO
Non si è trattato, pertanto, di uno scioglimento per crisi politica e impossibilità di formare una maggioranza
di governo, né per ritenuto deficit di rappresentatività del Parlamento, né per altri casi estremi, quali il venir
meno a obblighi costituzionali da parte delle Camere o l’arresto dell’attività parlamentare, ma solo per un
motivo tecnico di tempistica elettorale, che, a fine Legislatura, è compito del Governo determinare. 
Lo scioglimento tecnico (e non per crisi politica o istituzionale) è equiparato alla fine naturale della
Legislatura e, pertanto, non comporta alcuna diminuzione di potere né per le Camere né per il Governo.
Tant’è vero che “finché non siano riunite le nuove Camere sono prorogati i poteri delle precedenti” (art. 61
Cost.).
DIFFERENZA GOVERNO POLITICO E TECNICO
G.P.= Dopo che i cittadini hanno votato per i partiti politici eleggendone i rappresentanti in Parlamento, le
forze politiche si organizzano in gruppi parlamentari e costituiscono una maggioranza politica per formare e
sostenere un Governo, il quale acquista pieni poteri solo dopo il voto di fiducia del Parlamento.
G.T.= Quando il Parlamento non riesce a esprimere una maggioranza, e conseguentemente un governo
politico, il Presidente della Repubblica dovrebbe sciogliere le camere e indire nuove elezioni per il rinnovo
del Parlamento, ma poiché il processo di rinnovo del Parlamento richiede tempo e crea una sorta di paralisi
istituzionale (dovuta allo scontro tra i partiti durante la campagna elettorale), può succedere che i partiti
decidano di ricorrere alla formazione di un governo "tecnico" per evitare lo scioglimento delle camere e le
conseguenti elezioni. In tal caso, l'accordo tra i partiti rappresentati in Parlamento finalizzato alla
formazione del Governo non è spontaneo, non ha ragioni politiche ma di necessità, e generalmente porta
alla formazione di Governi con caratteristiche peculiari.

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IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA


ELEZIONE E DURATA DEL MANDATO PRESIDENZIALE
Ai sensi dell'art. 87, Cost. il Presidente della Repubblica è «il Capo dello Stato e rappresenta l'unità
nazionale».
Al Presidente delle Repubblica è riconosciuto un RUOLO di controllo e di garanzia, di moderazione e di
stimolo nei confronti degli altri poteri, nonché di raccordo fra gli altri organi ed enti dello Stato.
Il Presidente della Repubblica è stato collocato dalla Costituzione italiana "al di fuori dei tradizionali poteri
dello Stato e, naturalmente, al di sopra di tutte le parti politiche".
Il Capo dello Stato rappresenta una sorta di "personificazione istituzionale della Repubblica", sia sotto il
profilo interno che nella rappresentanza internazionale.
«può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni di età e
goda dei diritti civili e politici»
Il collegio elettorale del Capo dello Stato, è rappresentato dal Parlamento in seduta che, in tale circostanza,
viene integrato da tre delegati per ogni Regione.

Ai sensi dell'art. 85, Cost., per procedere all'ELEZIONE del Presidente della Repubblica, il Parlamento in
seduta comune in composizione integrata viene convocato dal Presidente della Camera 30 giorni prima
della scadenza del precedente mandato presidenziale.
Soltanto qualora le Camere siano sciolte o manchino meno di tre mesi al loro fisiologico scioglimento « del
nuovo della Repubblica avrà luogo entro 15 giorni dalla del nuovo Parlamento. Nel frattempo, risulteranno
prorogati i poteri del Presidente in carica.
Tale previsione si giustifica con l'esigenza di evitare che il Capo dello Stato possa essere eletto da un
Parlamento che, sciolto o prossimo al suo rinnovo, risulti politicamente depotenziato sotto il profilo della
rappresentatività.
L’elezione del Capo si dà luogo con votazione a scrutinio segreto non preceduta da alcun dibattito in aula,
al fine di evitare qualsiasi rischio di politicizzazione dell'investitura.
Come stabilito dall'ultimo comma dell'art. 83 Cost., « eleggere il Presidente della repubblica
è necessario il raggiungimento della maggiorana qualificata dei due terzi in seduta comune.
Nel caso in cui tale quorum si raggiunga nella prima votazione, la Costituzione richiede la medesima
maggiorana anche nelle due tornate elettorali successive.
Soltanto a partire dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta, pari alla metà più uno degli
diritto al voto.

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La fissazione di tali soglie elettorali è data dalla volontà del costituente di far si che il Capo dello Stato
venga eletto con il più alto grado di rappresentatività possibile.
Avvenuta l'elezione, ai sensi dell'art. 91 Cost., il nuovo Presidente presta giuramento di fedeltà alla
Repubblica e di osservanza della Costituzione dinanzi al Parlamento in seduta comune. A seguito di ciò,
esso entra formalmente in carica, segnando l'inizio del mandato presidenziale.
È bene sottolineare che si fratta dell'unico messaggio letto personalmente dal Presidente della Repubblica
dinanzi al Parlamento. L'art. 87, co. 2, Cost., infatti, prevede che.gli afri suoi messaggi possano essere
soltanto inviato alle Camere.
Ai sensi dell'art. 84, co. 3, Cost., per l'adempimento delle funzioni presidenziali è prevista una dotazione
finanziaria determinata per legge.
L'art 85, co. 1, Cost. fissa la DURATA DEL MANDATO presidenziale in 7 anni.
Resta salva la possibilità di una rielezione che, seppur astrattamente ammessa in Costituzione, (nella
prassi non si è mai verificata fino alla situazione di grave crisi del sistema politico che si è avuta con le
elezioni politiche del febbraio 2013; Giorgio Napolitano).
Oltre alla naturale scadenza del mandato, ulteriori CAUSE DI CESSAZIONE DEL MANDATO
presidenziale sono: la morte del titolare, le dimissioni volontarie, la decadenza per sopravvenuta perdita dei
requisiti di eleggibilità, la destituzione, quale sanzione accessoria in caso di condanna pronunziata dalla
Corte costituzionale per alto tradimento ed attentato alla Costituzione art. 90 Cost. e, infine, l'impedimento
permanente.
È necessario distinguere fra impedimento permanente e impedimento temporaneo.
L'impedimento si considera permanente quando ragionevolmente se ne possa dedurre la irreversibilità,
come nell'ipotesi di una malattia grave ed irrimediabilmente invalidante.
Diversamente, l’impedimento temporaneo quella situazione reversibile di momentanea impossibilità
all'esercizio delle funzioni presidenziali.
Il verificarsi di tale impedimento meramente temporaneo dà luogo all’istituto della supplenza.
Invece l'accertata sussistenza di un impedimento permanente legittima il Presidente della Camera dei
Deputati ad attivare le procedure per l'elezione di un nuovo Presidente della Repubblica.

FUNZIONI ED ATTI PRESIDENZIALI


Relativamente alle attribuzioni che interessano le attività parlamentari.
-La prima di tali attribuzioni si riflette in via indiretta sulla funzione legislativa, andando a riguardare la
possibilità di integrare il Parlamento, infatti, il Capo dello Stato può conferire la nomina di senatore a vita a
cinque cittadini che «hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e
letterario».
Tale nomina, espressa tramite un atto formalmente e sostanzialmente presidenziale, ha la ratio di
consentire il coinvolgimento nella sede parlamentare di figure di eccezionale rilevanza culturale e
scientifica, possano mettere al servizio della Nazione le competenze acquisite.
-Il Capo dello Stato influisce altresì sul concreto funzionamento delle Camere. Egli, infatti, ha il compito di
indire le elezioni per il rinnovo del Parlamento e di fissare la prima riunione delle Camere.
-Allo stesso modo, è facoltà del Presidente la convocazione in via straordinaria di ciascuna Camera.
A fianco di tali attribuzioni, particolarmente significative appaiono quelle che incidono sul procedimento di
formazione delle leggi e dei decreti aventi valore di legge.
Di maggior rilievo, invece, risultano le funzioni presidenziali che si concretizzano nella promulgazione delle
leggi, nella emanazione dei decreti avente valore di legge e nel rinvio alle Camere dei testi di legge già
approvati, per un loro riesame da parte delle medesime.
-Ai sensi dell'art. 73, co. 1, Cost. "Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un
mese dall'approvazione". Spetta, cioè, al Presidente della Repubblica la promulgazione delle leggi
approvate dalle Camere. Subito dopo la promulgazione le leggi sono pubblicate ed entrano in vigore il
quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine
diverso.
-Analogamente, in base all'art. 87, co. 5, è riservata al Capo dello Stato l'emanazione dei decreti aventi
valore di legge dal Governo, nonché dei regolamenti governativi.

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Tanto in sede di promulgazione quanto di emanazione, l'intervento presidenziale vale ad accertare la


regolarità delle procedure seguite ai fini della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e della conseguente
entrata in vigore dei provvedimenti normativi.
Inoltre, l'intervento del Capo dello Stato contribuisce a dare "oggettività" al provvedimento normativo, che,
nato come proposta di una parte politica, dopo la promulgazione presidenziale assume il diverso rilievo di
legge della Repubblica italiana.
Ai sensi dell'art. 74 Cost. «il Presidente della Repubblica prima di promulgare la legge, può con
messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione».
La norma contenuta nell'art. 74 Cost. è assai chiara sotto l'aspetto procedurale, richiedendo che il rinvio,
che può essere compiuto una sola volta; nulla dice, invece, sui motivi per i quali il Capo dello Stato possa
rinviare la legge, il Capo dello Stato sarebbe legittimato al rinvio della legge alle Camere soltanto qualora,
nel testo, ravvisi dei profili di palese illegittimità costituzionale.
Altro motivo che nella prassi è spesso stato causa di rinvio è nella violazione dell'art. 81 Cost. per
mancanza della C.d. copertura finanziaria. Laddove, cioè, il testo della legge abbia omesso di indicare i
capitoli del bilancio dello Stato da cui trarre le disponibilità finanziarie per la sua attuazione.
L'art. 74 Cost. pone un esplicito limite al potere presidenziale di rinvio, stabilendo espressamente che «se
le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata».
-Analogo potere di controllo e di rinvio può essere esercitato in sede di emanazione dei decreti legislativi
in base all'art. 87, co. 5, Cost., e all'art. 14, co. 2, legge n. 400/1988. Tale ultima disposizione, infatti,
stabilisce che il testo del decreto del Consiglio dei ministri debba essere trasmesso al Presidente della
Repubblica, ai fini della sua emanazione, «almeno 20 giorni prima della scadenza» del termine all'uopo
indicato nella legge-delega. Ciò per consentire al Capo dello Stato un esame sulla "non manifesta
incostituzionalità" del decreto legislativo.
In questo caso, analogamente a quanto previsto per le leggi dall'art. 74 Cost., è prevista la possibilità
di sollecitare il Governo ad riesame del provvedimento normativo.
Più limitato, sembra essere il controllo presidenziale sui decreti-legge, essendo deliberati dal Governo, in
base all'art. 77, co. 2, Cost., «in casi straordinari di necessità ed urgenza», e «sotto la propria
responsabilità», che sarà valutata dalle due Camere in sede di conversione.
-Ai sensi dell'art. 87, Cost., il Presidente della Repubblica può inviare messaggi alle Camere. Il potere in
questione, permette di richiamare l'attenzione del Parlamento sui principali temi dell'attualità sociale od
istituzionale.
La Costituzione attribuisca al Presidente della Repubblica un ruolo anche in relazione al referendum
popolare.
La previsione contempla la possibilità di sciogliere, tanto, entrambe le Camere, quanto, solo una di esse.
Il dettato di cui all'art. 88, co. 2, Cost., così come modificato dalla legge cost. n. 1/1991, prevede altresì
l'impossibilità di procedere allo scioglimento delle Camere negli ultimi sei mesi del mandato presidenziale,
tranne che quest'ultimo periodo coincida con il termine naturale della legislatura.
Al di fuori della naturale scadenza della legislatura è anche possibile dare luogo allo scioglimento anticipato
delle Camere.
L'art. 88 Cost., tuttavia, nulla dice in ordine ai motivi in virtù dei quali il Presidente della Repubblica possa
(o debba) procedere a tale scioglimento anticipato.
La dottrina e la prassi costituzionale hanno individuato un'ampia gamma di tipologie di scioglimento
anticipato.
-è stata evidenziata la possibilità di ricorrete ad C.d. scioglimento funzionale qualora, in presenza di
insanabili contrasti; Uguali considerazioni possono estendersi nell'ipotesi in cui si manifestino gravi
discrepanze fra 1a rappresentanza parlamentare ed il corpo elettorale.
-potrebbe anche parlarsi di un C.d. scioglimento sanzione, nel caso in cui le Camere tentassero la
sovversione "per vie legali" dell'ordinamento costituzionale e dei suoi principi fondamentali.
-Si parla, infine, della possibilità del C.d. auto- scioglimento, laddove il Presidente della Repubblica
prenda atto della volontà delle forze parlamentari di maggioranza di sottoporsi al giudizio elettorale nella
speranza di un loro rafforzamento.

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LE ATTRIBUZIONI RISPETTO AL GOVERNO E ALLA PUBBLICA


AMMINISTRAZIONE
L'art. 92 Cost., stabilisce che «il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri
e, su proposta di questo, i Ministri», raccogliendone afresì il giuramento di fedeltà alla Repubblica, alla
Costituzione ed alle leggi in base all'art. 93 Cost. di fronte ad una maggioranza parlamentare determinata
dagli elettori, chiamati a scegliere tra coalizioni formate prima delle consultazioni elettorali, il Capo dello
Stato non può che limitarsi a recepire l'orientamento popolare, nominando Presidente del Consiglio il leader
della coalizione che ha vinto le elezioni.
A seguito della nomina, come previsto dall'art. 93 Cost, il Presidente del Consiglio e i Ministri prestano
giuramento di fedeltà alla Repubblica innanzi al Capo dello Stato.
Sul piano del rapporto con la Pubblica Amministrazione, l'art. 87, co. 7, Cost al Capo dello Stato, nei casi
indicati dalla legge, la nomina dei funzionari dello Stato cui conferire i più alti incarichi di responsabilità. In
questo caso, invero, il decreto presidenziale di nomina è da intendersi come atto governativo, il cui
contenuto sarà quindi determinato da un'apposita del Consiglio dei Ministri. In altre parole, tali ipotesi, al
Presidente della Repubblica è riservato soltanto un controllo alla mera regolarità formale del procedimento
di nomina.

LE FUNZIONI RELATIVE AL POTERE GIURISDIZIONALE


Il Capo dello Stato, presiede il Consiglio superiore della Magistratura, organo di rilevanza costituzionale,
preposto all'autogoverno dell'ordine giudiziario.
Gli atti posti in essere quale Presidente del CSM non sono soggetti a controfirma. In base alla prassi, in
qualità di presidente del CSM, il Presidente della Repubblica è solito conferire un'ampia delega di funzioni
al Vice-Presidente dello stesso organo. Quest'ultimo, viene eletto dal collegio fra i suoi componenti laici,
vale a dire fra quelli scelti dal Parlamento.
Il Presidente della Repubblica emana con proprio decreto «gli atti di nomina e conferimento di incarichi
direttivi a magistrati ordinari, amministrativi e militari».
In base all'art. 87, Cost. il Presidente della Repubblica ha il potere di concedere grazia e di commutare le
pene. Si tratta di un’attribuzione che conferisce al Capo dello Stato un potere di clemenza individuale, nei
confronti dei soggetti sottoposti a sentenza penale irrevocabile di condanna.
Infine, ai sensi dell'art. 135, Cost., il Presidente della Repubblica, in ragione del suo ruolo di garanzia
costituzionale, con provvedimento controfirmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 4, legge n.
87/1953), ha il potere di nominare un terzo dei 15 giudici della Corte costituzionale.

DOMANDA
Messa in stato d’accusa / Responsabilità del Presidente della Repubblica

LA CONTROFIRMA MINISTERIALE
A salvaguardia della più ampia autonomia del Capo dello Stato nell'esercizio delle sue funzioni, il
Costituente ha inteso disegnare un sistema di irresponsabilità giuridica e politica che Trova il suo fulcro
negli artt. 89 e 90 Cost.
L'art. 90, espressamente, prevede che «il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti
compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In
tali casi è messo in stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi
membri».
L'art. 89 Cost., attraverso la previsione della C.d. controfirma ministeriale, costituisce il presupposto logico
della irresponsabilità funzionale del Capo dello Stato, sancita dal successivo art. 90. L'istituto della
controfirma è esteso a tutti gli atti compiuti dal Capo dello Stato nell'esercizio delle sue funzioni
In questi casi, come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale (sent n. 200/2006), a controfirmare l'atto
presidenziale dovrà essere non già il ministro proponente, bensì quello competente in relazione alla
materia trattata.

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-Pertanto, 1a prima fondamentale funzione della controfirma è quella di conferire piena validità ed
efficacia giuridica agli atti del Capo dello Stato, configurandosi la sua assenza come causa di nullità
assoluta dell'atto stesso.
-Sotto il profilo funzionale, la controfirma ministeriale permette il trasferimento in capo al Governo della
responsabilità giuridica e politica dell'atto emanato dal Presidente della Repubblica. In tal modo, si
consente al Capo dello Stato esercizio delle sue funzioni, lontano da quelle interferenze politiche che
potrebbero pregiudicarne il ruolo di garanzia.
-A ciò si aggiunga che la controfirma ministeriale assolve all'ulteriore finzione di garantire il reciproco
controllo fra Presidente della Repubblica e Governo.
Gli atti che sfuggono all'obbligo della controfirma ministeriale sono pochi.
Tra questi, le dimissioni del Presidente della Repubblica ( quanto atto personalissimo), il conferimento
dell'incarico a formare il nuovo Governo (per la sua natura informale e provvisoria), l'atto con il quale si
solleva il conflitto d’attribuzioni dinanzi alla Corte Costituzionale e, infine, gli atti posti in essere dal Capo
dello Stato nella sua veste di Presidente del CSM o del Consiglio Supremo di Difesa.

L’IRRESPONSABILITÀ FUNZIONALE DEL PRESIDENTE DELLA


REPUBBLICA

L’ irresponsabilità del Presidente della Repubblica per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni,
con le eccezioni dei casi di alto tradimento e di attentato alla Costituzioni. A fronte di tale irresponsabilità,
limitata ai C.d. atti funzionali, la Costituzione nulla dice ordine alla C.d responsabilità extrafunzionale del
Capo dello Stato.
Vale a dire alla responsabilità conseguente agli atti quale privato cittadino, siano essi antecedenti
all'assunzione dell'incarico o posti in essere durante il mandato. La dottrina, al riguardo, pur riconoscendo
la piena responsabilità giuridica del Presidente della Repubblica per le condotte che ricadono 'al di fuori
della funzione, ha sempre sostenuto la C.d improcedibilità.' Cioè, l’impossibilità di convenire in giudizio il
Capo dello Stato fino alla scadenza del mandato presidenziale. Ciò allo scopo di garantire piena libertà e
serenità di giudizio nell'esercizio delle sue funzioni e di evitare eventuali ed indebite interferenze da parte
dell'ordine giudiziario.
I reati di "alto tradimento" e di "attentato alla Costituzione" rappresentano le uniche due eccezioni al
principio dell’immunità funzionale del Capo dello Stato.

• Dove si svolgerà eventualmente il giudizio? (dinanzi alla Corte costituzionale)

DOMANDA
I SENATORI A VITA
Art. 59 Cost.
«Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria
per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario.»
In dottrina si era posto il problema se il limite costituzionale di cinque senatori a vita fosse da intendersi
come limite massimo di senatori a vita presenti in Senato oppure come limite massimo di nomine a
disposizione di ciascun presidente.
Dall'entrata in vigore della Costituzione nel 1948 fino all'anno 1984 vi fu una chiara prevalenza della prima
interpretazione.
Nel 1984, invece, il presidente Sandro Pertini, dopo il parere favorevole della giunta per il regolamento del
Senato, seguì la seconda interpretazione, nominando altri due senatori a vita: questi arrivarono a essere
quindi complessivamente sette. Secondo tale interpretazione infatti, l'articolo 59, comma 2 della
Costituzione non intenderebbe limitare a cinque il numero di senatori a vita che possono sedere

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in Parlamento, ma permettere a ogni presidente di nominare i "suoi" cinque senatori a vita. Questa
interpretazione è stata fortemente criticata da parte della dottrina,
Il successivo presidente, Francesco Cossiga, seguì la medesima interpretazione di Pertini e nominò altri
cinque senatori a vita. 
Come conseguenza tra il 1982 e il 1992 il numero di senatori a vita totali salì da 6 al massimo di 11.
In seguito tornò chiaramente a prevalere l'interpretazione iniziale, secondo la quale i senatori a vita di
nomina presidenziale non possono essere in numero superiore a cinque.
La legge costituzionale 19 ottobre 2020, n. 1, approvata con referendum del 20 e 21 settembre 2020 e in
vigore dal 5 novembre 2020, stabilisce definitivamente che il numero complessivo dei senatori di nomina
presidenziale non può in alcun caso essere superiore a cinque.

(Però sono 6)
Al 2021 sono in carica sei senatori a vita: il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano e altri
cinque di nomina presidenziale (Mario Monti, Elena Cattaneo, Renzo Piano e Carlo Rubbia, nominati da
Napolitano, e Liliana Segre, nominata da Sergio Mattarella).

IL GOVERNO
IL RUOLO DEL GOVERNO
Il Governo incarna il potere esecutivo, costituisce il vertice della pubblica amministrazione e definisce
l'indirizzo politico-amministrativo, vigilare sulla coerente e regolare attuazione del programma politico.

LE ORIGINI DELLA DISCIPLINA COSTITUZIONALE IN MATERIA DI GOVERNO


La Carta costituzionale italiana presenta una scarna disciplina riguardo al potere esecutivo, tanto che le
disposizioni relative a tale aspetto della forma di governo (appena cinque articoli) sono state definite "a
fattispecie aperta", disponibili alle integrazioni che provengano dalla prassi.

LA FORMAZIONE DEL GOVERNO


L'art. 92, Cost, «Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta
di questo, i ministri».
Il procedimento di formazione dell'Esecutivo si può suddividere in quattro fasi.
1.La fase prepatoria, consistente principalmente nelle consultazioni presidenziali.
2.La fase costitutiva, caratterizzata dal conferimento dell'incarico.
3.La fase perfettiva, che prevede i decreti di nomina.
4.Infine, la fase integrativa dell'efficacia del procedimento che si sostanzia nel giuramento del Presidente
del Consiglio dei ministi e dei minisfri nelle mani del Capo dello Stato.

LE CONSULTAZIONI E IL CONFERIMENTO DELL’INCARICO


II procedimento di formazione del Governo prende avvio a seguito delle elezioni o dopo l'apertura di una
crisi di Governo. In ambedue tali circostanze il Presidente del Consiglio in carica deve preliminarmente
recarsi dal Capo dello Stato presentandogli le sue dimissioni che, di norma, vengono accettate con riserva

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e con l'invito rivolto al Presidente del Consiglio dimissionario di continuare ad occuparsi dei C.d. affari
correnti e dell'ordinaria amminisfraione. A seguito delle dimissioni del Presidente del Consiglio, quindi, il
Presidente della Repubblica inizia le consultazioni, con cui prende avvio 1a procedura di formazione del
nuovo Esecutivo.
Le consultazioni non trovano esplicita previsione in Costituzione ma la prassi si è tanto consolidata da
poterle considerare ormai una consuetudine costituzionale.
Il sostanziale bipolarismo che aveva caratterizzato il precedente ventennio, è stato radicalmente superato
dalla presenza non più di due bensì di tre principali formazioni politiche (Centro-destra, Centro-sinistra e
Movimento 5 Stelle) che si sono contese le preferenze del corpo elettorale.
Le consultazioni assumono comunque un peso politico di assoluto rilievo tutte le volte in cui, invece, si apre
una crisi di Governo: in tal caso, venuto meno il legame fiduciario fra Esecutivo e Legislativo, al Presidente
della Repubblica — prima di assumere una decisione tanto impegnativa, quale lo scioglimento delle
Camere — spetta il compito, spesso non facile, di tentare la ricostituzione della maggioranza intorno ad
una nuova personalità politica, in proposito; si ritiene che l'incarico debba essere affidato ad un esponente
della coalizione uscita vincitrice dalle ultime elezioni.
In occasione delle consultazioni presidenziali le personalità che vengono di norma consultate sono i
Presidenti delle due Camere, i presidenti dei gruppi parlamentari (C.d. capigruppo) accompagnati dai
segretari dei partiti politici e gli ex Presidenti della Repubblica. L'elenco di soggetti può comunque
allungarsi o restringersi a seconda delle circostanze e della discrezionalità del Capo dello Stato.
Il coinvolgimento di ciascuna categoria nella fase preparatoria di costituzione del Governo assume un
significato diverso.
-I Presidenti dei due rami del Parlamento vengono ascoltati poiché, in ragione del loro ufficio, sono a
conoscenza degli umori delle Camere; inoltre, 1a loro posizione di garanzia li rende idonei ad effettuare
valutazioni di ampio respiro, comprendenti la totalità delle posizioni presenti nelle Aule parlamentari.
-Gli incontri con i Capigruppo parlamentari, invece, tendono a saggiare la capacità e la volontà di
collaborazione delle forze politiche per addivenire ad una soluzione positiva della crisi.
-Infine, la consultazione degli ex Capi dello Stato rappresenta poco più che un elemento di galateo
istituzionale, non potendo costoro offrire altro contributo se non un dato di esperienza, anch'essi si sono
trovati a gestire analoghi procedimenti di formazione del Governo.
Le consultazioni si concludono di norma con il conferimento dell'incarico. Ove però, all'esito delle
consultazioni, lo scenario politico funzionale alla formazione non risulti ancora sufficientemente chiaro, il
Presidente della Repubblica può decidere di assegnare un mandato esplorativo o un preincarico.
Il mandato esplorativo viene solitamente a un soggetto super partes, di norma uno dei Presidenti delle
Camere, il quale svolge indagini aggiuntive e più articolate.
Il preincarico invece, viene accordato al Premier in pectore, senza l'esposizione che deriverebbe da un
incarico vero e proprio, affinché tale soggetto possa verificare in prima persona la disponibilità delle forze
politiche presenti in Parlamento a sostenere un eventuale esecutivo da lui guidato. Tanto il mandato
esplorativo quanto il preincarico si concludono con una relazione offerta al Presidente della Repubblica
circa le risultanze di quanto accertato.
L'incaricato non accetta immediatamente, bensì con riserva.
Dal momento dell'accettazione, iniziano le piccole consultazioni, le quali permettono all'incaricato di
formare la lista di ministri.
Il Presidente della Repubblica, invece, non gode di vero e proprio spazio di intervento nelle decisioni
dell'incaricato rispetto alla lista di ministri. Solo qualora i soggetti fossero palesemente inadeguati a
ricoprire l'incarico, il Capo dello Stato potrebbe suggerire una scelta differente.
Se la prima fase si conclude positivamente e l'incaricato ritiene di poter costituire un Esecutivo sostenuto
dalla fiducia parlamentare, allora egli si reca al Quirinale per sciogliere positivamente la riserva, altimenti
rinuncia all'incarico e il procedimento riprende dall'inizio, finché non si giunge alla formazione
dell'Esecutivo che gode del della maggioranza parlamentare.

LA NOMINA E IL GIURAMENTO
I decreti di nomina del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri integrano 1a terza fase, percettiva
del procedimento di formazione del Governo. In tale momento viene altresì emanato il decreto di

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accettazione delle dimissioni del precedente Governo, presentatosi dimissionario al Presidente della
Repubblica.
Infine, ai sensi dell'art. 93 Cost., il Presidente del Consiglio dei ministri ed i ministri prestano giuramento
nelle mani del Presidente della Repubblica. Il nuovo Governo assume così le sue funzioni (art. 94 Cost.) ed
entro dieci giorni deve presentarsi alle Camere per chiederne la fiducia (art. 95 Cost.).

IL RAPPORTO DI FIDUCIA CON IL PARLAMENTO


La Costituzione italiana, all'art. 94, sancisce puntualmente che il Governo deve necessariamente godere
della fiducia da parte di entrambe le Camere.
Nell'eventualità in cui il legame fiduciario dovesse venire meno o non dovesse addirittura nemmeno
costituirsi ab initio, il Governo si troverebbe privo del sostegno politico indispensabile per dare attuazione al
proprio programma.
In tale scenario, il Presidente della Repubblica si troverebbe dinanzi a due alternative: se, avviate le
consultazioni, dovesse rendersi conto che vi sono ancora i margini per la formazione di un nuovo Governo,
procederà con il conferimento dell'incarico al soggetto che potrebbe ottenere la fiducia del Parlamento; in
caso contrario, il Capo dello Stato procederà allo scioglimento delle Camere.

IL GOVERNO IN ATTESA DI FIDUCIA


Seppure ancora in attesa del voto di fiducia da parte del parlamento, il Govemo può compiere alcuni atti di
notevole importanza e che certamente eccedono l'ordinaria amministrazione: l'approvazione del
programma di governo che dovrà essere presentato alle Camere, la delibera di nomina dei Sottosegretari
di Stato e dell'eventuale vice-Presidente del Consiglio, 1a presentaziqne dei disegni di legge, l'adozione dei
decreti legislativi in scadenza, la deliberazione dei decreti legge nei casi straordinari di necessità ed
urgenza. Qualora la fiducia non dovesse essere successivamente accordata, ciò non vanificherebbe
l'attività svolta, la quale verrebbe sottoposta al giudizio delle Camere secondo le norme prescritte dalla
Costituzione.

IL CONFERIMENTO DELLA FIDUCIA


L'art. 94 Cost. prevede che «entro dieci giorni dalla sua formazione, il Governo si presenta alle Camere per
ottenerne la fiducia», la quale viene accordata attraverso una mozione motivata e votata per appello
nominale.
La Carta costituzionale, dunque, non fa esplicito riferimento al programma di governo, il quale viene
elaborato dal Presidente del Consiglio, previa delibera del Consiglio dei ministri, nel lasso di tempo
intercorrente tra la sua nomina e 1a votazione della fiducia. Esso costituisce atto di primaria importanza,
nel quale il Governo fissa gli obiettivi che intende raggiungere e che in questo modo vengono resi noti non
soltanto alle Camere, ma all'intero Paese.
La Carta fondamentale non dice nulla con riferimento al quorum, pertanto, nel silenzio dell'art 94 Cost., è
sufficiente che la mozione di fiducia venga approvata dalla maggioranza semplice (quindi da parte del 50%
più uno dei presenti).

LA CRISI DI GOVERNO
Il Governo non è un organo a termine, la sua esistenza dipende, infatti, dal mantenimento della relazione
fiduciaria con le Camere. Le crisi di Governo nascono da una frattura insanabile fra Governo e
maggioranza parlamentare.
Si possono verificare crisi parlamentari ed extraparlamentari.
l'Esecutivo preso atto dell’impossibilità di governare si dimette volontariamente, senza previo passaggio
parlamentare.
La Costituzione prevede che la mozione di sfiducia sia firmata da almeno un decimo dei componenti la
Camera e venga messa in discussione non prima che trascorrano tre giomi dalla sua presentazione; al pari
della mozione di fiducia, deve essere motivata e votata per appello nominale.
L'art. 94, co. 4, Cost prevede che il voto contrario di una o di entrambe le Camere ad una qualunque
proposta da parte del Governo non comporti l'obbligo di dimissioni. Ipotesi certamente diversa è se le
Camere sistematicamente rifiutino le proposte del Governo o se vengano più volte rigetta disegni di legge

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particolarmente importanti per la realizzazione del programma politico. In tal caso, l'Esecutivo dovrebbe
prendere coscienza della rottura del legame fiduciario con il Parlamento e comportarsi di conseguenza.
Le ipotesi di crisi extraparlamentare, per quanto non previste dalla Carta costituzionale, non possono,
considerarsi incostituzionali: si tratta semplicemente di ipotesi non disciplinate, che tuttavia si sono
verificate più volte nel corso degli anni.

IL RIMPASTO , LA SFIDUCIA INDIVIDUALE E LA REVOCA


Rimpasto: avviene allorquando uno o più ministri vengono sostituiti, mantenendo però inalterata la struttura
complessiva dell'Esecutivo e quindi senza che si apra formalmente una crisi di Governo.
La linea di demarcazione fra rimpasto e crisi di governo appare assai labile, soprattutto quando più ministri
decidano contemporaneamente di rassegnare le dimissioni, qualora la relazione fiduciaria dovesse
mantenersi integra, allora ci si troverebbe dinanzi ad un mero rimpasto, altrimenti si tratterebbe di una vera
e propria crisi di Governo.
Ipotesi ancora diversa è quella della sfiducia individuale.
La sfiducia individuale è quel passaggio parlamentare che colpisce il singolo componente dell'Esecutivo,
costringendolo a lasciare l'incarico. La presentazione e l'approvazione della mozione da parte delle
Camere avviene con le stesse modalità previste per la sfiducia "collettiva", con la differenza che la censura
individuale di un solo ministro, non comporta le dimissioni dell'intero Governo.

LA QUESTIONE DI FIDUCIA
In alcuni casi è invece lo stesso Governo a suscitare un voto che, qualora dovesse risultare sfavorevole, lo
costringerebbe alle dimissioni.
L'istituto in esame prende il nome di questione di fiducia.
Con la questione di fiducia, il Governo assume l'iniziativa e dichiara che farà dipendere la propria
permanenza in carica dall'approvazione di un atto all'esame del Parlamento.
La questione di fiducia può essere posta su provvedimenti di diversa natura: un articolo o un disegno di
legge, una mozione, una risoluzione, un ordine del giorno, mentre non può essere posta su una proposta
di inchiesta parlamentare, su questioni relative all'organizzazione e al funzionamento della Camera, su
nomine, fatti personali e sanzioni disciplinari.
Attraverso la questione di fiducia, il Governo rivendica la propria responsabilità nell'attuazione dell'indirizzo
politico e impone una verifica alla propria maggioranza in Parlamento, inducendola a mostrarsi compatta e
coesa attorno alle scelte programmatiche inizialmente concordate.

LA COMPOSIZIONE DEL GOVERNO


Il Governo è un organo costituzionale complesso, costituito, al suo interno, da più organi. L'art. 92, co. 1,
Cost., infatti, sancisce che esso è composto «dal Presidente del Consiglio e dai ministri, che costituiscono il
Consiglio dei ministri».
La Costituzione, dedica pochi articoli al Governo. La Carta costituzionale non individua una precisa
gerarchia all'interno dell’Esecutivo.
Egli, ai sensi dell'art. 95 Cost., «dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile.
Mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promovendo e coordinando l'attività dei ministri».
Il Primo ministro ha dunque compiti direzionali, affinché l'Esecutivo possa svolgere correttamente le
proprie numerose attività.

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Il primo degli strumenti che la legge n. 400/1988 riserva al Premier per promuovere e coordinare l'attività
dei ministri consiste nel potere di imporre direttive politiche ed amministrative in attuazione delle
deliberazioni del Consiglio dei ministri.
Inoltre, il Presidente del Consiglio (e non i singoli ministri) gode del potere di manifestare all'esterno gli
indirizzi politici generali del Governo.
Ancora, spetta al Premier l'approvazione e 1a diffusione dei comunicati sui lavori dei singoli Consigli dei
ministri.
Il Primo ministro può promuovere altresì verifiche sul funzionamento dei pubblici uffici e «in casi di
particolare rilevanza può richiedere al ministro competente relazioni e verifiche amministrative».
Tra le attribuzioni, spiccano poi quelle di rappresentanza.
Il Presidente del Consiglio dei ministri rappresenta l'intero Governo in numerose circostanze: in sede di
dichiarazioni programmatiche, di sottoposizione della questione di fiducia alle Camere, di controfirma delle
leggi e degli atti aventi forza di legge e di contatto con il Presidente della Repubblica, ecc.
Inoltre, al Premier vengono riconosciute rilevanti attribuzioni concernenti la direzione dell'organo collegiale:
egli dispone del potere di fissare la data delle riunioni del Consiglio dei ministri che poi sono sottoposte alla
sua direzione; di redigere l'ordine del giorno, individuando gli argomenti da trattare in seduta.
Il Presidente del Consiglio gode inoltre di importanti compiti in materia di sicurezza nazionale: la legge n.
124/2007, affida al Presidente del Consiglio, in esclusiva «l'alta direzione e la responsabilità generale della
politica dell'informazione per la sicurezza, nell 'interesse e per la difesa della Repubblica e delle istituzioni
democratiche poste dalla Costituzione a suo fondamento.
La sede istituzionale del Presidente del Consiglio si trova dal 1961 a Palazzo Chigi, dopo esser stata
collocata per lungo tempo presso il palazzo del Viminale, sede attuale del Ministero dell'Interno.

DOMANDA
2. IL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Il Consiglio dei ministri, l'organo collegiale facente parte del Governo, composto da i ministri e presieduto
dal Premier, è titolare delle più importanti funzioni governative.
Il Consiglio dei ministri «determina la politica generale del Governo e, ai fini dell 'attuazione di essa,
l'indirizzo generale dell 'azione amministrativa», ma anche che esso «delibera altresì su ogni questione
relativa all 'indirizzo politico fissato dal rapporto fiduciario con le Camere».
Pare opportuno sottolineare in modo chiaro come il Costituente e il legislatore abbiano distinto i ruoli fra
Premier e Consiglio dei ministri: il primo «dirige la politica generale del Governo», mentre il secondo la
«determina», assumendo dunque quest'ultimo una funzione decisoria.
Le attribuzioni proprie del Consiglio dei ministri appaiono tanto numerose da renderne poco agevole una
precisa elencazione, sicché ci limitiamo a fare riferimento agli ambiti più rilevanti.
Essi sono:
1.decisioni politiche;
2.attività normativa: delibera i disegni di legge; adotta i decreti legislativi ed i decreti legge, nonché i
regolamenti governativi;
3.politica internazionale ed eurounitaria: il Consiglio determina le linee di indirizzo dei progetti dei trattati e
degli accordi internazionali, comunque denominati, di natura politica o militare;
4.rapporti con le Regioni;
5.rapporti con le confessioni religiose:;
6. nell'ambito .della Pubblica amministrazione
L'organo collegiale, inoltre, delibera, su proposta del Premier, la nomina di uno o più vice-Presidenti del
Consiglio e dei Commissari straordinari del Governo e deve essere sentito per la delega, di funzioni ai
ministri senza portafoglio, per la nomina dei Sottosegretari.

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Il Consiglio dei ministri è dotato, inoltre, di un regolamento interno, che fissa le modalità di inserimento dei
provvedimenti o delle questioni che i ministri intendono proporre all'ordine del giorno (deciso dal Presidente
del Consiglio); descrive il contenuto dei processi verbali; contiene la disciplina delle iniziative del Consiglio
dei ministi.

3. I MINISTRI
I ministri, insieme al Presidente, compongono il Consiglio dei ministri e sono posti al vertice dei ministeri,
ossia degli apparati, gerarchicamente strutturati, in cui è suddivisa la pubblica amministrazione. Non
esistono particolari requisiti per essere nominati, sicché cittadino che semplicemente goda dei diritti politici
può entrare a far parte dell'Esecutivo.
In momenti di crisi, in Italia si è spesso preferito costituire dei C.d. governi tecnici, ossia composti
principalmente da ministri particolarmente competenti nei settori loro assegnati, con Io scopo di far
transitare il Paese fuori da una crisi politica e poter indire nuove elezioni.
Del Governo fanno parte anche i ministri senza portafoglio. Si fratta di soggetti che, pur non essendo a
capo di alcun ministero, esercitano funzioni
loro delegate dal Presidente del Consiglio.
Si possono distinguere due categorie di ministri senza portafoglio.
-La prima riferimento a incarichi di stampo prettamente politico.
-La seconda, invece, riguarda quei ministri che gestiscono funzioni complesse loro conferite dal Premier,
pur essendo privi di un dicastero.

1.GLI ORGANI COSTITUZIONALMENTE NON NECESSARI


(vice-Presidenti del Consiglio dei ministri; Sottosegretari; vice-ministri; Alti Commissari e Commissari;
Comitati interministeriali e Consiglio di Gabinetto
Il Consigliò dei ministri può nominare uno o più Vice-Presidenti del Consiglio, su proposta del Presidente
del Consiglio. Ad essi viene attribuita la funzione di supplire il Premier quando questi sia assente o versi in
condizioni di impedimento temporaneo. Nel caso in cui siano staü individuati più vice-Presidenf, 1a
supplenza speta al più anziano fra essi.
I Sottosegretari di Stato rappresentano i più stretti collaboratori dei ministri o del Premier. Non fanno parte
del Consiglio dei ministri, né possono partecipare alla formazione della politica generale del Governo, però
possono intervenire ai lavori parlamentari, ossia alle sedute delle Camere e delle Commissioni
parlamentari. Essi possono, altresì, rispondere a interrogazioni ed interpellanze, pur sempre nel rispetto
delle indicazioni provenienti dal ministro.

Fra i Sottosegretari, si distingue il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, il quale ottiene
l'incarico soltanto previo assenso del Consiglio dei ministri. Il Sottosegretario alla Presidenza svolge le
funzioni di segretario del Consiglio dei ministri.
I vice-ministri: sono dei sottosegretari che, in misura non superiore a dieci, possono vedersi attribuito
siffatto titolo, nel caso in cui siano state loro conferite deleghe particolarmente ampie, relative all'intera area
di competenza di una o più strutture dipartimentali ovvero di più direzioni generali di un ministero.
Gli Alti Commissari sono figure che effettivamente appartengono di più al passato. In alcuni casi, ad essi
erano attribuite considerevoli responsabilità in ambito amministrativo e venivano chiamati allo syolgimento di
specificicompiti di natura soltanto contingente, ma talvolta di indubbia rilevanza. Essi potevano essere
considerati organi governativi, anche se non ricoprivano una posizione assimilabile a quella dei ministri.
I Comitati di ministri e interministeriali sono veri e propri organi collegiali governativi, composti dai
ministri con l'assistenza di tecnici ed esperti.
I Comitati di ministri, sono organi con funzioni prevalentemente consultive e preparatorie rispetto alle
riunioni del Consiglio dei ministri.
Diversamente, i Comitati interministeriali, cui sono conferite funzioni deliberative e competenze di indirizzo,
necessitano di una legge istitutiva.

DOMANDA

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LE FUNZIONI DEL GOVERNO


1. INDIRIZZO POLITICO
Il Governo incarna nel nostro ordinamento il potere esecutivo.
Tra i compiti del Governo v'è, la funzione di indirizzo politico, consistente nella determinazione dei grandi
obiettivi della politica nazionale, nell'individuazione delle linee fondamentali di sviluppo dell'ordinamento e
nella scelta degli strumenti più idonei al raggiungimento di tali scopi.
Nel percorso di implementazione dell'indirizzo politico, si possono distinguere tre aspetti fondamentali: la
scelta dei fini da raggiungere, la scelta dei mezzi necessari ed infine la fase conclusiva, ossia la loro
attuazione. A tale complesso iter partecipano in stretto collegamento il Governo e il Parlamento.
Una volta emersa la maggioranza politica ed entrato nel pieno delle sue funzioni, il Governo, seguendo la
procedura descritta, passa all'attuazione dell'indirizzo politico: l'accordo sul programma elettorale, prima, e
1a fiducia data all'Esecutivo, dopo, costituiscono le tappe fondamentali affinché entrambi gli organi
procedano all'unisono verso la realizzazione del programma politico.

2. LE FUNZIONI NORMATIVE
-Il Governo gode di alcune importanti attribuzioni normative: la presentazione di disegni di legge alle
Camere l'adozione di decreti legislativi e decreti legge, dotati della stessa 'forza" e valore di legge;
l'elaborazione di regolamenti, provvedimenti di rango secondario, indispensabili per garantire l'effettiva
attuazione alle leggi.

3. LE FUNZIONI AMMINISTRATIVE
Consiglio dei ministri gode infatti di importanti poteri di nomina, i quali spiccano la quota di componenti del
Consiglio di Stato e della Corte dei Conti di spettanza del Governo e la nomina dei dirigenti generali dei
ministeri. Consiglio dei ministri è poi coinvolto nella nomina dei componenti degli organi gestionali dei
maggiori enti pubblici, aziende, agenzie o strutture collegiali che operano presso l'amministrazione statale.

LA RESPONSABILITÀ GOVERNATIVA E MINISTERIALE


Il Governo è un soggetto istituzionale responsabile tanto politicamente quanto giuridicamente.
La responsabilità politica in generale, comporta che un organo dotato di potere politico debba rendere
conto della propria azione ad uno o più soggetti istituzionali, legittimati a confrollarlo e ad estrometterlo.
L'art 94 Cost. — il quale sancisce il legame fiduciario che sempre deve sussistere fra Legislativo ed
Esecutivo — costituisce il fondamento di tale responsabilità governativa all'interno del nostro ordinamento.
Il Governo, infatti, risponde dinanzi al Parlamento delle decisioni attraverso cui dà attuazione, al
programma che era stato inizialmente presentato dinanzi alle Camere e su cui aveva ottenuto la fiducia.
Il Governo, quindi, ha su di sé l'onere di mantenere il consenso della magioranza parlamentare, per poter
procedere con la propria azione politica.
Le risposte che l'Esecutivo è tenuto a dare al Parlamento coinvolgono anche il corpo elettorale, che,
attraverso i suoi rappresentati nelle Assemblee elettive, può giudicare periodicamente l'operato del
Governo.
La responsabilità politica può essere collegiale o individuale, a seconda che a rendere conto dinanzi alle
Camere sia chiamato Governo o uno solo dei suoi componenti, il quale può essere colpito da una mozione
di sfiducia individuale.
Oltre a quella politica, i ministri possono andare alla responsabilità giuridica: civile, amministrativa e
penale. Essi rispondono sia collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, sia individualmente degli atti
dei loro dicasteri.
I ministri, infatti, pur non essendo dipendenti pubblici, sono considerati funzionari onorari dello Sato e sono
dunque tenuti a rendere conto dei danni cagionati a terzi nell'esercizio delle loro funzioni.

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Sotto il profilo amministravo, i ministri possono essere chiamati dinanzi alla Corte dei Conti per i danni
erariali arrecati alla Pubblica Amministrazione.
Essi non sono soggetti a responsabilità disciplinare, dato che — essendo funzionari onorari — non sono
però pubblici dipendenti.
Infine, la responsabilità penale ricorre nei casi in cui vengano commessi dei C.d. reati ministeriali.
A Seguito di un referendum popolare del 1987, con cui furono abrogate le norme relative alla commissione
inquirente, ossia l'organismo parlamentare bicamerale che svolgeva le indagini sui reati ministeriali, il
Parlamento ha approvato 1a legge cost. n. 1/1989, novellando l'art. 96 Cost. che, infatti, oggi prevede che:
«Il Presidente del Consiglio dei ministri ed i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i
reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del
Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale».
Per quanto concerne la natura dei reati ministeriali essi integrano fattispecie
criminose comuni (ad esempio, peculato, malversazione, corruzione, concussione) le quali però, afferma la
Costituzione, devono essere commesse nell'esercizio delle funzioni ministeriali.

DOMANDA
POTERE SOSTITUTIVO DEL GOVERNO ART. 120 Cost.
La Regione non può istituire dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni, né adottare
provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le
Regioni, né limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale.
Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel
caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo
grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o
dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali.
La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del
principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione.
Secondo la dottrina, si tratta di un «potere sostitutivo straordinario», che il governo può esercitare «sulla
base dei presupposti e per la tutela degli interessi» indicati nel secondo comma. Con questo articolo lo
Stato si riserva una sorta di “potere di salvataggio” nei confronti delle amministrazioni locali in particolari
circostanze. Lo Stato non può intervenire semplicemente perché, per esempio, le scelte di un Comune non
sono condivise da una larga parte dei cittadini, perché questo riguarda scelte di carattere politico, che
vengono sanzionate o approvate con le elezioni successive. Dobbiamo pensare invece a casi straordinari:
riciclaggio di rifiuti che non funziona, gravi problemi di ordine pubblico, infiltrazioni mafiose ecc. In questi
casi lo Stato interviene per ripristinare condizioni di normalità, efficienza e legalità. L'intervento non è
arbitrario, ma segue comunque norme e procedure precise.

DOMANDA

SCIOGLIMENTO DEL GOVERNO ART. 94 Cost


Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere.
Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale.
Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia.
Il voto contrario di una o d’entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di
dimissioni.
La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può
essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.
Questo articolo rende esplicito il fatto che il sistema italiano si fonda sul rapporto di fiducia fra il Parlamento
e il Governo che, per restare in carica, deve avere il consenso della maggioranza dei deputati e dei
senatori.
Una volta formato il Governo, il Presidente del Consiglio ha l’obbligo di illustrare il programma di governo di
fronte alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, che sono chiamati a votare («per appello

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nominale») una mozione di fiducia, ovvero un atto con il quale viene formalizzata l’approvazione del
programma di governo. Se il governo ottiene la fiducia può iniziare a esercitare le proprie funzioni. Al
contrario, se le Camere non concedono la loro fiducia il Governo decade.
Il Parlamento ha la facoltà di negare la propria fiducia all’Esecutivo anche durante il corso della legislatura:
ciò può avvenire attraverso una mozione di sfiducia chiesta da almeno un decimo dei componenti di una
delle due Camere. Se la mozione di sfiducia viene approvata, il Governo decade e deve dimettersi.

La MOZIONE DI SFIDUCIA è l'atto attraverso il quale il Parlamento manifesta la sua sfiducia nei
confronti del Governo.
Quando un governo perde la fiducia, il Presidente non scioglie le Camere. Sarebbe infatti un atto contrario
alla Costituzione. Dato che l'Italia è una Repubblica parlamentare, infatti, ad essere eletto è il Parlamento e
non il Governo. 
Però in caso di crisi di governo, infatti, il Presidente della Repubblica ha la piena facoltà di conferire un
nuovo incarico che si può concludere con la formazione di un governo sostenuto da una maggioranza
diversa da quella indicata dagli elettori.
Di conseguenza sono possibili tanto maggioranze a sostegno di un governo di legislatura eletto, quanto
maggioranze formatesi in epoca successiva alle elezioni e svincolate dal modo in cui i partiti si erano
contrapposti durante la campagna elettorale.

DOMANDA

IL RIMPASTO
Con l’espressione “rimpasto di governo” si intende un cambiamento nella composizione dell’esecutivo
senza che si arrivi alle dimissioni di tutto il governo.
L’istituto del rimpasto di governo è solitamente utilizzato quando viene meno il rapporto di fiducia tra il
presidente del consiglio e alcuni suoi ministri. Si può anche usare per adeguare la composizione del
governo a un nuovo equilibrio politico, spesso a seguito di eventi elettorali che mostrano un elettorato che
non sostiene più come in precedenza le forze al governo.

DOMANDA

IL TRIBUNALE DEI MINISTRI


Il tribunale dei ministri è una sezione specializzata del tribunale ordinario e ha il compito di giudicare i
cosiddetti reati ministeriali, ossia quelli commessi dai ministri o dal presidente del
Consiglio nell’esercizio delle loro funzioni, anche se ormai cessati dalla carica. 

Cos’è l’autorizzazione a procedere


Se un ministro o il presidente del Consiglio dei ministri commette un reato – sia nell’esercizio delle loro
funzioni che una volta cessati dalla carica – per poter agire nei suoi confronti è necessario ottenere
l’autorizzazione del Parlamento, quindi del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati. In
precedenza, l’autorizzazione andava chiesta al Parlamento in seduta comune (e non alle singole camere).
Quindi, l’autorizzazione a procedere è una condizione di procedibilità per promuovere l’azione penale.
In attesa dell’autorizzazione, non possono essere effettuati, ad esempio, il fermo della polizia giudiziaria,
l’emissione di misure cautelari, le perquisizioni, le ispezioni, ecc.

Come funziona il tribunale dei ministri

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In passato, il presidente del Consiglio e i ministri, per i reati in questione, erano inizialmente messi in stato
d’accusa dal Parlamento in seduta comune e poi giudicati dalla Corte Costituzionale nella sua
composizione integrata.
Oggi, invece, in presenza di un reato ministeriale, gli atti devono essere trasmessi immediatamente alla
Procura della Repubblica presso il tribunale competente per territorio. Le indagini preliminari spettano,
però, al tribunale dei ministri, che riceve il fascicolo dalla procura entro quindici giorni. Contestualmente,
occorre darne comunicazione anche ai soggetti interessati (ministri o presidente del Consiglio), affinché
possano presentare memorie o chiedere di essere ascoltati.
Ricevuti gli atti, il tribunale dei ministri deve compiere le indagini preliminari e sentire il pubblico
ministero. Entro 90 giorni deve decidere:

• l’archiviazione: in tal caso, la procedura si conclude e il decreto non è impugnabile;


• la trasmissione degli atti, con una relazione motivata, al Procuratore della Repubblica, affinché
chieda l’autorizzazione a procedere al Parlamento, qualora il ministro ricopra la carica di
parlamentare.

Spetta alla giunta per le autorizzazioni, uno degli organi del Parlamento, esaminare la questione per poi
riferire all’assemblea.
L’autorizzazione è chiesta, come già detto, alla Camera di appartenenza dell’indagato (Senato della
Repubblica o Camera dei Deputati). Se il ministro non è deputato o senatore, la richiesta di autorizzazione
è inviata direttamente al Senato. La Camera competente – sulla base dell’istruttoria condotta dalla giunta –
può fare due cose:
• negare l’autorizzazione a maggioranza assoluta dei suoi membri, ove reputi, con valutazione
insindacabile, che l’indagato abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente
rilevante oppure per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della
funzione di governo;
• concedere l’autorizzazione.
Una volta ottenuta l’autorizzazione a procedere, il giudizio di primo grado spetta al tribunale ordinario del
capoluogo del distretto di Corte d’Appello competente per territorio (cioè il cosiddetto tribunale dei ministri).
Quindi, la normativa, senza limitare l’autonomia delle Camere, ha affidato a tecnici terzi e imparziali (cioè ai
magistrati) la competenza istruttoria.
In estrema sintesi, possiamo dire che al tribunale dei ministri spettano tre funzioni principali:
• condurre le indagini preliminari a carico di un ministro o del presidente del Consiglio per i reati
commessi nell’esercizio delle funzioni di governo;
• formulare o meno l’imputazione;
• operare in qualità di giudice delle indagini preliminari.

Il tribunale dei ministri: da chi è composto?


Il tribunale dei ministri è, quindi, una sezione specializzata del tribunale ordinario ed è un organo
collegiale composto da tre membri effettivi e tre supplenti, estratti a sorte tra tutti i magistrati in servizio nei
tribunali del distretto che abbiano da almeno cinque anni la qualifica di magistrato di tribunale o abbiano
qualifica superiore. Il collegio è presieduto dal magistrato con funzioni più elevate, o, in caso di parità di
funzioni, da quello più anziano di età.
Ministri: nomina e funzioni
I ministri sono organi costituzionali scelti dal presidente del Consiglio e sono nominati con decreto dal
Presidente della Repubblica; svolgono due tipologie di funzioni:
• politiche: rientrano in questa categoria, il diritto di iniziativa legislativa, la partecipazione alle
riunioni e all’attività del Governo, ecc.;
• amministrative: ossia emanano regolamenti, atti amministrativi, ecc.
Va precisato, inoltre, che il numero dei ministri che compongono il Governo è di regola superiore al numero
dei dicasteri previsti dalla legge. Pensa, ad esempio, al ministero dell’Interno, della Salute, dell’Istruzione,
ecc. Oltre questi, sono previsti in misura variabile anche i ministri senza portafoglio, cioè non a capo di
un dicastero e che quindi non hanno compiti amministrativi.
Il presidente del Consiglio: nomina e funzioni

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Il presidente del Consiglio è nominato con decreto dal Presidente della Repubblica e dura in carica finché
è sorretto dalla fiducia del Parlamento (in teoria, per 5 anni). Ha un ruolo di supremazia, in quanto sceglie i
ministri, ne dirige l’attività ed è responsabile in prima persona per tutti gli atti posti in essere dal Governo.

LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E FUNZIONE AMMINISTRATIVA
La Pubblica Amministrazione rappresenta l'insieme di strutture, uomini e mezzi adibiti dall'ordinamento
giuridico alla cura degli interessi della collettività che, per questo, vengono definiti pubblici.

L’ORGANIZZAZIONE DELLA P.A.


L'organizzazione amministrativa indica 'la struttura, la suddivisione parti, di quel complesso sistema che è
l'amministrazione pubblica.
La nostra Costituzione attribuisce al Parlamento l'organizzazione della P.A.
Questo non significa che il Parlamento sia l'unico soggetto organizzatore della P.A.

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Al riguardo, infatti, il Testo costituzionale ha posto una riserva di legge relativa, al fine di consentire che,
accanto alla legge, possano intervenire anche altre fonti nel determinare i profili organizzativi delle
pubbliche amministrazioni.
L'amministrazione pubblica rappresenta un sistema complesso che si articola in vari enti pubblici.
Questi sono delle strutture dotate di personalità giuridica (intesa come idoneità ad essere titolari di
situazioni giuridiche) e capaci di esercitare poteri amministrativi.
Possono, dunque, essere definiti come centri di potere. Accanto allo Stato, che è l'ente pubblico più grande
per estensione ed ampiezza delle competenze, vi sono le amministrazioni regionali e gli enti esponenziali
delle comunità territoriali (Comuni, Province, città metropolitane)riconosciuti dall'ordinamento generale in
quanto portatori di interessi pubblici. A loro volta, ciascuno di questi livelli
(Stato, Regioni, locali) si articola in una serie di enti, variamente collegati a loro ma dagli stessi distinti in
quanto provvisti di una propria personalità.
Ciascun ente pubblico, per poter concretamente operare nell’ordinamento giuridico, si avvale dei C.d.
organi. Con tale termine, si fa riferimento alla persona fisica che materialmente pone in essere gli atti
imputabili all’ente.
L'organo risulta composto dal titolare, la persona fisica che ricopre la posizione funzionale e che agisce in
nome e per conto dell'ente, e dall'ufficio, inteso come il complesso di beni, strumenti e personale messi a
disposizione dell'organo per poter svolgere la sua attività.

La funzione propria della Pubblica amministrazione si esplica tramite la cd attività provvedimentale,


attraverso la quale, nell’esercizio dei poteri conferitegli dalla legge, la P.A. può adottare dei provvedimenti
amministrativi
Può adottare dei provvedimenti amministrativi capaci di incidere sulle posizioni giuridiche degli amministrati
al fine di crearle, modificarle o estinguere. le posizioni giuridiche soggettive costituiscono il complesso dei
diritti e degli interessi di cui un soggetto può essere titolare. le principali posizioni giuridiche di vantaggio,
che permettono l'esercizio della discrezionalità e delle libertà individuali, sono rappresentate dal diritto
soggettivo ed all'interesse legittimo.
Il diritto soggettivo è quella posizione giuridica che l'ordinamento conferisce ad un soggetto,
riconoscendogli determinate utilità in ordine ad un bene, nonché la tutela dello stesso in modo pieno ed
immediato (esempio il diritto di proprietà). 
L'interesse legittimo deve intendersi come la posizione di vantaggio riconosciuta ad un soggetto
dall'ordinamento in ordine ad un bene oggetto di potere amministrativo e consistente nell'attribuzione del
medesimo soggetto di poteri atti ad influire sul corretto esercizio dell'azione amministrativa, in modo da
rendere possibile la realizzazione degli interessi al bene. 
La legge numero 241/ 1990 introduce la normativa generale sul procedimento amministrativo che offre le
coordinate di base a garanzia dei termini e dei modi nel rispetto dei quali deve svolgersi l'azione della
pubblica amministrazione. essa, disciplina i principi generali dell'attività amministrativa; i termini di
conclusione del procedimento amministrativo e le eventuali responsabilità derivanti dalla loro mancata
osservanza, l'obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi virgole i compiti e i doveri del responsabile
del procedimento ecc.

DOMANDA
I PRINCIPI COSTITUZIONALI SULLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

ART 97
Efficienza, buon andamento e imparzialità sono, in primo luogo, i principi su cui si basa
la pubblica amministrazione. A stabilirli è l’articolo 97 della Costituzione italiana.
L’art. 97 della Costituzione, in particolare al comma 3, impone che l’operato della pubblica
amministrazione sia improntato ai principi di efficienza e imparzialità. Il testo infatti recita in
relazione alla pa:

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“I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon
andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.

Vi sono vari principi cardine della pubblica amministrazione che si possono desumere dal’arti. 97:

IL PRINCIPIO DI LEGALITÀ
Tra i principi in materia di pubblica amministrazione riveste particolare rilievo il principio di legalità. Esso
può essere inteso come uno strumento di limitazione del potere esecutivo , Infatti afferma il primato della
legge, alla quale spetta il compito di indicare i fini e gli interessi pubblici che la pubblica amministrazione
deve perseguire. in ragione di ciò il principio di legalità assume rilievo nel garantire i diritti dei cittadini
contro i possibili abusi della pubblica amministrazione. 
In senso formale il principio di legalità implica che l'attività amministrativa non possa realizzarsi in contrasto
con la legge, dovendo trovare in essa il suo specifico fondamento giuridico.
In senso sostanziale esso impone che, oltre a rispettare i limiti sessuali fissati dalla, gli atti della pubblica
amministrazione devono essere adottati In conformità alla disciplina effettiva dettata dalla stessa. pertanto
la legge non solo attribuisce alla pubblica amministrazione il potere Ma Indica anche le modalità di
esercizio dello stesso e gli obiettivi da realizzare. il L'eventuale difformità dal parametro normativo sarebbe
controbilanciata dall'esigenza sostanziale di realizzare il corretto assetto degli interessi in gioco.principio di
legalità quindi deve essere inteso come parametro di valutazione e come vincolo di scopo per la pubblica
amministrazione. 
Le più recenti tendenze normative appaiono orientate ad una cosiddetta legalità di risultato. In questo
senso, è stato osservato che l'applicazione del principio di legalità apparirebbe eccessivamente rigida nel
caso in cui si sanziona asse con l'illegittimità qualsiasi minimo scostamento dal parametro normativo,
anche nelle ipotesi in cui la violazione e formale nel precetto legislativo non faccia seguito ad alcun
pregiudizio sostanziale degli interessi pubblici punto in questa direzione, la legalità viene spesso valutata
nell'ottica del buon andamento dell'azione amministrativa. 
In questo caso l'eventuale difformità dal parametro normativo sarebbe controbilanciata dell'esigenza
sostanziale di realizzare il corretto assetto degli interessi in gioco. 

IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ
In ragione di tale principio, i diritti e le libertà dei cittadini possono essere limitati solo nella misura in cui ciò
risulti indispensabile per proteggere gli interessi pubblici.
Quindi, ogni provvedimento utilizzato dalla P.A., specialmente se sfavorevole al destinatario, dovrà essere
allo stesso tempo necessario e commisurato al raggiungimento dello scopo prefissato dalla legge.

IL PRINCIPIO DI IMPARZIALITÀ
L'art. 97, co. 2, Cost. stabilisce che «i Pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo
che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell’amministrazione».
La disposizione costituzionale in questione, istituisce una riserva di legge relativa «allo scopo di assicurare
l'imparzialità della pubblica amministrazione, la quale può soltanto dare attuazione, a quanto in via
generale è previsto dalla legge.
Tale limite è posto a garanzia dei cittadini, rispetto a possibili discriminazioni, nel parametro legislativo.
Sotto il profilo organizzativo, il principio in questione implica che l'amministrazione debba essere strutturata
in modo tale da assicurare una condizione oggettiva di imparzialità, raggiungibile solo quando chi
amministra non sia personalmente interessato alla materia della decisione.
In questa eventualità, infatti, grava sui pubblici dipendenti l'obbligo di astenersi dal partecipare a tali attività.
In secondo luogo, l'imparzialità dell'organizzazione richiede che la selezione del personale avvenga di
norma attraverso il pubblico concorso.
In ragione di tale principio, i diritti e le libertà dei cittadini possono essere limitati solo nella misura in cui ciò
risulti indispensabile per proteggere gli interessi pubblici.
Quindi, ogni provvedimento utilizzato dalla P.A., specialmente se sfavorevole al destinatario, dovrà essere
allo stesso tempo necessario e commisurato al raggiungimento dello scopo prefissato dalla legge.

IL PRINCIPIO DEL BUON ANDAMENTO DELLA P.A


Strettamente connesso a quello di imparzialità è il principio del buon andamento della Pubblica
Amministrazione.
La previsione costituzionale che sancisce il principio del buon andamento

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Tale principio si sostanzia nell'obbligo che i funzionari della P.A, svolgano le proprie funzioni secondo le
modalità più idonee a garantire l'efficacia, dell'azione amministrativa, al fine di ottenere il miglior risultato
possibile con il minor sacrificio degli interessi dei cittadini.
La previsione dell'art. 97 Cost.. riguarda, non solo, l’organizzazione degli uffici ma, in maniera più ampia,
investe il funzionamento della P.A. nel suo complesso e, quindi, anche i profili concernenti l'esercizio dei
poteri amministrativi.Nel nostro ordinamento il precetto costituzionale del buon andamento viene a
concretizzarsi, in particolare, nei principi di economicità, efficacia ed efficienza dalla legge generale sul
procedimento amministrativo.
Il principio di economicità, dalla logica imprenditoriale, riguarda il rapporto ta i mezzi impiegati ed i
raggiunti. Esso, impone alla P.A. di perseguire i suoi fini con il dispendio di risorse. Queste ultime
comprendono non solo quelle finanziarie, ma anche quelle umane, cioè il personale di cui le pubbliche
amministrazioni si servono e che deve essere valorizzato e incentivato a produrre senza essere
ingiustificatamente sacrificato nelle sue professionalità.
Il principio di efficacia, invece, si sostanzia nel rapporto tra gli obiettivi che, in sede di progammazione, si
era prefissata di raggiungere e ciò che l'Amministrazione concretamente realizza; ovvero bisogna agire in
maniera idonea al perseguimento degli interessi.
Infine, il principio di efficienza si riferisce al funzionamento dell'intero apparato amministrativo.

IL PRINCIPIO DEL PUBBLICO CONCORSO PER L’ACCESSO NELLA P.A.


L'art. 97, Cost. dispone che «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso,
salvo i casi stabiliti dalla legge». II principio del concorso pubblico costituisce, innanzitutto, specificazione di
quelli di imparzialità e buon andamento.
In primo luogo, perché impedisce che il reclutamento del personale sia influenzato da interessi di parte. In
secondo luogo, perché, garantendo la competizione tra un ampio spettro di candidati, assume la
competenza professionale quale unico criterio selettivo del personale e assicura l'interesse pubblico alla
scelta dei più capaci.
A tal fine, è previsto che la selezione debba avvenire nel rispetto di alcune imprescindibili coordinate quali
la pubblicità della selezione, l'economicità e celerità nello svolgimento della procedura concorsuale ed il
rispetto delle pari opportunità fra lavoratrici e lavoratori.
L'art. 4, Cost., tuttavia, consente l'introduzione di deroghe al principio del concorso nei casi stabiliti dalla
legge.
Tale facoltà, negli ultimi.anni, costituisce fenomeno diffuso l'assunzione a tempo determinato e senza
concorso di personale non di ruolo (C.d. precario).
La Corte ha affermato che, al fine di procedere alla stabilizzazione del personale precario, «occorrono
invece particolari ragioni giustificatrici, ricollegabili alla peculiarità delle funzioni che il personale da
reclutare è chiamato a svolgere, in particolare relativamente all'esigenza di consolidare specifiche
esperienze professionali maturate all'interno dell'amministrazione e non acquisibili all'esterno, le quali
facciano ritenere che la deroga al principio del concorso pubblico sia essa stessa funzionale alle esigenze
di buon andamento dell’amministrazione».
Costituisce una parziale deroga al principio del concorso pubblico e, in.particolare, alla sua massima
apertura verso l'esterno, la possibilità di dare luogo ai C.d. concorsi interni.
Infine, una ulteriore categoria di deroghe al principio del pubblico concorso è previsto per il reclutamento
del personale delle qualifiche più basse, per le quali è richiesto solo requisito della scuola dell'obbligo. In
relazione a tali profili professionali, in particolare, la legge promuove l'inserimento e l'integrazione lavorativa
delle persone disabili.

IL DOVERE DI FEDELTÀ DEL PUBBLICO DIPENDENTE


Il generale obbligo di fedeltà alla Repubblica che per i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche si
specifica nel «dovere di adempierle con disciplina ed onore.
In ragione di ciò, il pubblico dipendente, da un lato, deve osservare il dovere di fedeltà alla Repubblica e di
obbedienza alla Costituzione ed alle leggi che gravano su tutti i cittadini, dall'altro lato, in quanto soggetto
cui sono attribuite funzioni pubbliche, è tenuto ad un particolare rapporto fedeltà nei confronti dell'apparato

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in cui agisce. Tale dovere si sostanzia nell'obbligo di svolgere le proprie mansioni nell'interesse
dell'Amministrazione, al fine di servire esclusivamente la Nazione e di realizzare il bene pubblico.
Conseguentemente, le finzioni amministrative devono essere svolte dal dipendente mantenendo separati
l'interesse pubblico da quello personale; In linea con tali finalità, , è stato introdotto un' apposito Codice di
comportamento dei dipendenti della P.A.

IL PRINCIPIO DI SEPARAZIONE TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE


La giurisprudenza ha affermato che una “netta separazione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e
funzioni di gestione” costituisce una condizione “necessaria per garantire il rispetto dei principi di buon
andamento e di imparzialità dell’azione amministrativa”.
La separazione tra funzioni di indirizzo politico – amministrativo e funzioni di gestione amministrativa,
costituisce un principio generale, che trova il suo fondamento nell’art.97 Cost; a sua volta tale potere
incontra un limite nello stesso articolo 97 della Cost: nell’identificare gli atti di indirizzo politico
amministrativo e quelli a carattere gestionale, il legislatore non può compiere scelte che, contrastando in
modo irragionevole con il principio di separazione tra politica e amministrazione, ledano l’imparzialità della
pubblica amministrazione.

IL PRINCIPIO DI AUTONOMIA E DI DECENTRAMENTO


L'art. 5 Cost., 'stabilendo che «la Repubblica una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali;
attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed
I metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentranento», i principi costituzionali
dell'autonomia e del decentramento amministrativo,.
Per quanto concerne il principio autonomista di cui al presente articolo, esso rappresenta una risposta
alle tendenze centriste dell'epoca fascista.

Viene qui infatti sancito il pluralismo territoriale, ovvero il riconoscimento di centri di potere autonomi, più
vicino al cittadino, in un'ottica di c.d. sussidiarietà verticale.
Così, oltre al principio di unità ed indivisibilità della Repubblica, si afferma il principio di decentramento dei
poteri, della promozione e del riconoscimento della autonomie locali.La norma in commento enuclea
quattro principi fondamentali:
•  l'unita ed indivisibilità della Repubblica;
• la promozione ed il riconoscimento della autonomie locali;
•  l'attuazione del più ampio decentramento amministrativo nell'erogazione dei servizi;
•  lo Stato deve adeguare le proprie leggi alle esigenze dell'autonomia e del decentramento, mediante la
creazione e la tutela di enti territoriali espressione dello Stato comunità.

Il decentramento e l'autonomia sono infatti complementari tra loro. Lo sviluppo delle autonomie territoriali
garantisce anche un importante decentramento di funzioni, mentre il decentramento amministrativo
consente di avvicinare i servizi erogati e le funzioni ai destinatari di essi. Nondimeno, lo Stato è comunque
da considerarsi l'Ente pubblico sovrano per eccellenza.

IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ
Principio e criterio di ripartizione delle funzioni e delle competenze amministrative all’interno
dell’ordinamento giuridico. La sussidiarietà ha due modalità di espressione: verticale e orizzontale.
La sussidiarietà verticale si esplica nell’ambito di distribuzione di competenze amministrative tra diversi
livelli di governo territoriali (livello sovranazionale: Unione Europea-Stati membri; livello nazionale: Stato
nazionale-regioni; livello subnazionale: Stato-regioni-autonomie locali) ed esprime la modalità d’intervento
– sussidiario – degli enti territoriali superiori rispetto a quelli minori, ossia gli organismi superiori

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intervengono solo se l’esercizio delle funzioni da parte dell’organismo inferiore sia inadeguato per il
raggiungimento degli obiettivi.
La sussidiarietà orizzontale si svolge nell’ambito del rapporto tra autorità e libertà e si basa sul presupposto
secondo cui alla cura dei bisogni collettivi e alle attività di interesse generale provvedono direttamente i
privati cittadini (sia come singoli, sia come associati) e i pubblici poteri intervengono in funzione
‘sussidiaria’, di programmazione, di coordinamento ed eventualmente di gestione.
Evoluzione nell’ordinamento interno. -  Le origini della sussidiarietà si rinvengono nella dottrina
ecclesiastica che sosteneva l’importanza del ruolo dei privati e delle comunità minori all’interno della
società, ai fini del mantenimento del giusto ordine.
Nell’ordinamento italiano la sussidiarietà è stata inizialmente recepita dalla l. n. 59/1997 (cosiddetta legge
Bassanini) e dalla l. n. 265/1999 (confluita nella l. 267/2000, testo unico di ordinamento sugli enti locali,
t.u.e.l.), per poi divenire principio costituzionale in seguito alla riforma del titolo V, parte II, Cost. attraverso
la l. cost. n. 3/2001 (su cui v.  Decentramento amministrativo). Un ruolo fondamentale nell’articolazione
concreta del principio di sussidiarietà è stato svolto dalla giurisprudenza costituzionale, che ha ritenuto
ammissibili deroghe alla rigida ripartizione delle competenze tra Stato e regioni, in virtù del cosiddetto
criterio della dimensione degli interessi.
L’art. 118, co 1., Cost., disciplina la s. verticale, stabilendo che le funzioni amministrative sono attribuite ai
comuni, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a province, città metropolitane,
regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. La norma indica
il comune quale ente «a competenza amministrativa generale», poiché organismo territoriale più vicino ai
cittadini e in grado di rappresentare meglio le necessità della collettività.
La sussidiarietà, in tal modo, tende a limitare l’azione dell’organizzazione di governo di livello superiore nei
confronti dell’organizzazione di livello inferiore, stabilendo che la prima interviene qualora le attività non
possano essere adeguatamente ed efficacemente esercitate dal livello inferiore.
Con la sentenza 303/2003 la Corte costituzionale ha specificato le modalità di trasferimento delle funzioni
amministrative dal livello inferiore al livello superiore, dovuto a «esigenze di carattere unitario», affermando
che esso deve essere disposto con legge statale e che, assieme alla funzione amministrativa, deve essere
altresì trasferita la funzione legislativa correlata; lo Stato avocando a sé, per sussidiarietà, funzioni
amministrative che non possono essere adeguatamente ed efficacemente esercitate ad altri livelli di
governo, può e deve, in osservanza del principio di legalità, disciplinare tali funzioni con legge statale.
Questa deroga è tuttavia legittima solo se «proporzionata», «ragionevole» e «concordata» con la regione
interessata.
La sussidiarietà orizzontale ha trovato, inizialmente, riconoscimento nell’art. 2 della l. n. 265/1999, confluito
poi nella l. n. 267/2000 e, infine, nell’art. 118, co. 4, Cost., secondo il quale Stato, regioni, città
metropolitane, province e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo
svolgimento di attività di interesse generale, sulla base appunto del principio di sussidiarietà. La
sussidiarietà orizzontale esprime il criterio di ripartizione delle competenze tra enti locali e soggetti privati,
individuali e collettivi, operando come limite all’esercizio delle competenze locali da parte dei poteri
pubblici: l’esercizio delle attività di interesse generale spetta ai privati o alle formazioni sociali e l’ente locale
ha un ruolo sussidiario di coordinamento, controllo e promozione; solo qualora le funzioni assunte e gli
obiettivi prefissati possano essere svolti in modo più efficiente ed efficace ha anche il potere di sostituzione.

LO SPOIL SYSTEM
Lo Spoils System è un meccanismo in forza del quale gli alti dirigenti della pubblica amministrazione
ricoprono il loro incarico solo finché resta in carica il soggetto politico che ha vinto le elezioni e vengono
"destituiti" al momento in cui cessa il suo mandato.


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Lo Spoils system è una pratica nata negli Stati Uniti nel corso dell'Ottocento e che si è diffusa in Italia a
partire dagli anni novanta del Novecento.
In base al suo meccanismo, gli organi politici come i Ministri, il Consiglio dei ministri, il Presidente della
Regione e il Sindaco possono scegliere le figure dirigenziali di vertice dell'ordinamento. 
Il sistema è organizzato in modo tale che i tempi degli incarichi non eccedano la durata dell'organo politico
che ha nominati.

Lo Spoil system, in Italia, è attualmente regolato dalla legge n. 145/2002, che prevede, che "le nomine degli
organi di vertice e dei componenti dei consigli di amministrazione o degli organi equiparati degli enti
pubblici, delle società controllate o partecipate dallo Stato, delle agenzie o di altri organismi comunque
denominati, conferite dal Governo o dai Ministri nei sei mesi antecedenti la scadenza naturale della
legislatura, computata con decorrenza dalla data della prima riunione delle Camere, o nel mese
antecedente lo scioglimento anticipato di entrambe le Camere, possono essere confermate, revocate,
modificate o rinnovate entro sei mesi dal voto sulla fiducia al Governo". 

DOMANDA
LA RESPONSABILITÀ DEI PUBBLICI DIPENDENTI

RESPONSABILITÀ DIRETTA: L’art. 28 Cost. stabilisce che i funzionari e i dipendenti pubblici sono
direttamente responsabili nei confronti dei terzi per i danni cagionati nello svolgimento delle loro funzioni.
I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le
leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti  (1). In tali casi la responsabilità
civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.
La norma in esame, esprime da un lato l'esigenza di tutela dei singoli contro i possibili abusi dei poteri
pubblici, dall'altro impone al singolo dipendente pubblico di rispettare la legge nello svolgimento delle
proprie funzioni. Infine, l'estensione della responsabilità del dipendente all'ente è prevista per consentire al
danneggiato una maggior possibilità di ristoro, atteso che, mentre il dipendente potrebbe non essere in
grado di risarcirlo, ciò non vale per un ente pubblico.

Perchè sorga la responsabilità dell'ente serve un nesso di necessaria occasionalità tra le attribuzioni
dei soggetti e la loro condotta illecita. Nella nozione rientrano tutti quei fatti illeciti resi possibili dal
rapporto del funzionario (anche di fatto) con l'ente pubblico di appartenenza ed occasionati da esso. Come
più volte ribadito dalla giurisprudenza amministrativa, è inammissibile l'utilizzo del principio secondo cui la
commissione di un reato spezza il nesso organico tra il soggetto agente e la P.A., dato che esso priverebbe
la vittima del necessario ristoro economico.

Tale responsabilità degli enti ed è solo civile. La responsabilità penale del singolo, invece, è sempre
personale ed è disciplinata, oltre che dall'art. 27 Cost., dalle singole norme previste dal codice penale.
Quest'ultima forma di responsabilità si ha quando la trasgressione dei doveri d'ufficio da parte
dell'impiegato assume il carattere di violazione dell'ordine giuridico generale e si concretizza in un reato.

LE AUTORITÀ AMMINISTRATIVE INDIPENDENTI


Per Autorità indipendenti si intende una serie di poteri pubblici, che possiedo un discreto grado di
indipendenza dal potere politico e con una elevata competenza tecnica.
Il fenomeno di tali autorità è comparso anche in Italia, negli ultimi anni, malgrado il forte ritardo rispetto agli
altri paesi dell’Unione Europea.
Il problema di incostituzionalità: attualmente ricorre una difficoltà nella completa comprensione di tali
autorità, perché non vi si trova alcun riferimento nella Costituzione non essendo stato approvato il progetto
di riforma costituzionale.
Sul punto, parte della dottrina è intervenuta esprimendo gravi dubbi di incostituzionalità. Tali dubbi
riguarderebbero in primo luogo, la compatibilità di tali autorità rispetto al principio di separazione dei poteri.
Le Autorità indipendenti di collocherebbero al di fuori di questa separazione, poiché autonome al Governo e

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pertanto, non soggette all’art. 95 Cost. che prevede la responsabilità politica dei Ministri per l’attività dei
propri ministeri.
Ulteriore questione riguarda il sistema delle fonti amministrative, se sia in grado di accogliere gli atti
normativi adottati da soggetti che non sono muniti di legittimazione democratica e rappresentativa.
La dottrina è arrivata ad un giudizio di ammissibilità di tale figura istituzionale con la carta costituzionale
passando per vie traverse. È stato stabilito che l’articolo 95 Cost. contempla congiuntamente il Governo e
l’organizzazione amministrativa; il disposto non riguarderebbe figure neutrali e prive di capacità gestionali
dell’interesse pubblico.
Tale tesi è quindi giunta a stabilire che queste autorità svolgono attività di controllo, regolazione e sanzione,
ma non dispongono di un potere discrezionale, bensì esclusivamente tecnico senza alcuna comparazione
degli interessi in gioco.
L’incertezza relativa all’inquadramento di tali figure amministrative fece sì che inizialmente venissero
inquadrate come enti aventi carattere giurisdizionale, tali da escludere o comunque limitare fortemente il
sindacato giurisdizionale.
Tale inquadramento è stato completamente ribaltato in favore di visione di natura completamente
amministrativa.
La natura amministrativa è stata riconosciuta anche dalla giurisprudenza che ha stabilito la non
ammissibilità nell’ordinamento di un tertium genus.
Le funzioni: Il carattere predominante consiste nell’assunzione di funzioni neutrali e indipendenti.
La neutralità consiste nell’indifferenze rispetto agli interessi in gioco, e l’indipendenza riguardo il vincolo a
comportarsi nei confronti di tutti i soggetti coinvolti senza discriminazioni arbitrarie.
Le funzioni delle Autorità Indipendenti non rientrano nell’attività di gestione, bensì di controllo, regolazione e
sanzione, per le quali è necessaria la neutralità.
Quali sono nello specifico le funzioni di tali autorità: amministrative e contenziose; regolatorie; vigilanza.
Nello specifico, le Autorità indipendenti svolgono attività meramente ausiliarie, definite moral suasion nei
confronti dei pubblici poteri. Come nel caso dell’Autorità anticorruzione che ha il compito di segnalare al
Governo e al Parlamento, fenomeni di inosservanza o di applicazione distorta della normativa sui contratti
pubblici.
A queste tipologie di funzioni, si aggiungono quelle con poteri immediatamente incidenti sui terzi, come
quelli inibitori o sanzionatori.
La funzione sanzionatoria deve comunque essere svolta sulla base di una discrezionalità tecnica. Come ad
esempio nelle materie antitrust, l’irrogazione di sanzioni previste per le condotte illecite è preceduta da
concetti, quali: mercato rilevante, abuso di posizione dominante e intese restrittive della concorrenza.
Quanto alla funzione regolatoria, la delega da parte del Parlamento di poteri normativi ad apparati
amministrativi è un fenomeno che ricorre qualora il legislatore si trovi in una situazione in cui non è in grado
di porre una disciplina completa della materia.
È stato osservato a riguardo il rischio di una collisione con il principio di legalità sostanziale.
La tutela giurisdizionale: ci si è domandati fino a che punto è possibile e corretto spingersi nell’attività di
sindacare in sede giurisdizionale un’attività particolarmente complessa e caratterizzata da profili altamente
specifici e tecnici.
Esclusa la natura giurisdizionale di quasi judical, gli atti di tali autorità non possono che essere sottoposti
al sindacato giurisdizionale, in quanto ogni potere ha il suo giudice.
La giurisdizione è esclusiva del giudice amministrativo ex art. 133 c.p.a., mentre restano attribuite al
giudice ordinario le controversie riguardanti il Garante delle privacy.
Le tecniche di sindacato sugli atti delle Autorità indipendenti hanno come tratto distintivo la esigenza di
garantire la effettività della tutela giurisdizionale in controversie particolarmente complesse, che hanno ad
oggetto atti adottati dalle autorità all’esito un lungo procedimento (sia esso di tipo regolatorio o sia esso
sanzionatorio), svolto in sede amministrativa con l’intervento di staff di economisti e giuristi
delle authorities e delle parti.
Gli esiti del procedimento vengono poi assoggettati al sindacato del giudice, che, benché collegiale, può
avere difficoltà a controllare provvedimenti in cui valutazioni economiche o tecniche si fondono con
interpretazioni giuridiche. La giurisprudenza che si è formata sul tema è in via prevalente quella del giudice
amministrativo, competente per le controversie che riguardano la maggior parte delle autorità indipendenti.
La giurisprudenza amministrativa ha iniziato da tempo un percorso evolutivo che la ha condotta da un
iniziale atteggiamento “timido” nell’esercizio del sindacato ad un sindacato pieno, che ha superato il vaglio
e i parametri della Corte europea dei diritti dell’uomo. Nessun limite oggi sussiste per il giudice
amministrativo per procedere ad una piena verifica dei fatti e anche ad un sindacato pieno sulle analisi

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economiche e sulle valutazioni tecniche compiute dalle Autorità, oltre al sindacato di merito sulle sanzioni,
compreso il potere di rideterminarle. Numerosi sono i casi che dimostrano la pienezza del sindacato e
l’utilizzo da parte del giudice amministrativo di ogni mezzo probatorio, comprese le Ctu e, anche
comparando il contenzioso sviluppatosi davanti al g.a. con quello davanti al g.o., emerge come in sede di
giurisdizione amministrativa siano più frequenti i casi in cui la controversia è risulta attraverso un pieno
sindacato delle valutazioni, anche economiche, svolte, anziché sulla base di profili di tipo procedimentale.
Si tratta di un sindacato del tutto coerente con quello esercitato dal giudice comunitario sugli atti della
Commissione. Rispetto a tale evoluzione va evitato il rischio di fare passi indietro, introducendo limiti al
sindacato che non sarebbero compatibili con i principi affermati dalla Cedu; va, quindi, evitato il rischio che
in sede di controllo sui limiti esterni della giurisdizione la Cassazione possa frenare la tendenza verso un
sindacato sempre più pieno ed effettivo e parimenti va evitato il rischio di interpretazioni dell’art. 7 del
d.lgs. n. 3/2017 incoerenti con i sopra richiamati principi. Anzi la tendenza sembra essere quella di passare
da un sindacato di mera attendibilità (è sufficiente che sia in sé attendibile la valutazione economica svolta
dalle Autorità) ad un sindacato Consiglio di Stato Ufficio Studi, massimario e formazione 2 di maggiore
attendibilità, in cui il giudice non si limita a ritenere appunto attendibile la valutazione dell’Autorità, ma la
valuti in termini di maggiore o minore attendibilità rispetto alle valutazioni alternative prospettate dalle parti
con la possibilità, quindi, di ritenere che la valutazione dell’Amministrazione, sebbene intrinsecamente
attendibile, non meriti conferma, in quanto meno attendibile di quella prospettata dall’impresa sanzionata.

DOMANDA
L’ANAC - AUTORITÀ NAZIONALE ANTICORRUZIONE
È un’autorità amministrativa indipendente il cui compito è quello di prevenire fenomeni corruttivi nell’ambito
delle amministrazioni pubbliche e degli appalti.
La corruzione nella Pubblica Amministrazione è un fenomeno ampiamente diffuso e coinvolge tanto
dirigenti e vertici amministrativi, agisce per ridurre le opportunità che favoriscono i casi di corruzione
cercando di rendere le Pubbliche Amministrazioni un ambiente ostile ai corruttori.
Si tratta di un’autorità amministrativa indipendente, cioè di un soggetto autonomo e indipendente rispetto ai
poteri dello stato (Governo, parlamento e magistratura). Questo le consente di agire in maniera più neutrale
ed imparziale
Oggi, quindi, l’ANAC agisce per prevenire e contrastare la corruzione su tre piani:
- organizzazione delle Pubbliche Amministrazioni;
- trasparenza amministrativa;
- contratti pubblici.
L’ANAC non si limita a fornire indicazioni, ma ha anche il compito di vigilare e controllare sull’applicazione e
sull’efficacia delle misure adottate dalle pubbliche amministrazioni.
Infine, all’ANAC sono attribuiti compiti di vigilanza sul conferimento degli incarichi

DOMANDA
IL CRITERIO DI COMPETENZA (grado - materia - territorio)
Nell’ambito della giurisdizione amministrativa, le singole controversie vanno ancora ripartite in base alle
norme sulla competenza
La competenza è la porzione di giurisdizione che spetta a ogni organo dell’ordine giurisdizionale
amministrativo. 
All’interno della giurisdizione amministrativa, la competenza è attribuita sulla base dei seguenti criteri: • il
grado; • il territorio; • la materia. 
— per materia, quando la ripartizione fra gli organi avviene per compiti (si pensi alla distribuzione dei
compiti fra i diversi Ministeri 
—  per territorio, quando, ferma restando l’identità di competenza per materia, la ripartizione fra gli organi
avviene con riferimento all’ambito territoriale di esercizio delle attribuzioni;
—  per grado, quando, ferma restando l’identità di competenza per materia e territorio, la ripartizione fra gli
organi avviene con riferimento al livello che l’organo occupa all’interno di uno stesso ramo

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d’amministrazione. La competenza per grado presuppone, quindi, un rapporto di gerarchia [vedi], per cui
certe funzioni sono affidate all’organo superiore e altre all’organo inferiore.

LA MAGISTRATURA

CARATTERI GENERALI
Il potere giurisdizionale: composizione, organizzazione e funzionamento del terzo potere dello Stato. Guida
alla magistratura

Per magistratura si intende l'insieme di tutti gli organi giurisdizionali civili, penali, amministrativi, contabili,
tributari che, nel loro complesso, costituiscono il potere giudiziario (quale potere dello Stato, autonomo e
indipendente, che secondo la classica distinzione montesquieiana affianca il potere legislativo delle
Camere e quello esecutivo o amministrativo del Governo).

Il potere giudiziario si presenta allora quale titolare unico della funzione giurisdizionale, quale soggetto
chiamato a dare una corretta e uniforme applicazione al diritto, risolvendo le eventuali controversie, ove
questo non sia rispettato o sia oggetto di lite tra più consociati. La giustizia è espressamente amministrata
in nome del popolo come prevede l'art. 101 che rappresenta la prima norma del Titolo IV della Costituzione.


DOMANDA
I PRINCIPI IN MATERIA DI GIURISDIZIONE
La funzione giurisdizionale è una delle funzioni fondamentali dello Stato, attuata attraverso funzionari dello
Stato che si denominano Magistrati. La MAGISTRATURA è un organo “diffuso”. La funzione di giudicare,
emanando sentenze, spetta ai GIUDICI.
Occorre dunque una precisazione terminologica preliminare: nel linguaggio corrente si sente parlare
indifferentemente di magistrati, giudici e pubblici ministeri (PM). Il “genere”è costituito dai “magistrati”, che
si differenziano a seconda delle funzioni che sono chiamati a svolgere:
-      funzione giudicante (applicazione del diritto), attribuita ai Giudici;
-     funzione inquirente (rispondente al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale), attribuita ai Pubblici
Ministeri (PM), che sono Magistrati.
Presupposti della funzione giurisdizionale sono:
1)      una controversia (o lite) tra due o più soggetti che assumono il nome di parti;
2)      l’esistenza di un giudice imparziale in grado di risolvere la controversia;
3)      l’applicazione del diritto attraverso una decisione del giudice che si denomina sentenza.

PRINCIPI COSTITUZIONALI IN MATERIA DI MAGISTRATURA


Nell’esercizio della funzione giurisdizionale vengono in gioco delle questioni particolarmente delicate cui i
“padri costituenti” hanno inteso dare una particolare protezione, dando loro una copertura costituzionale,
cioè richiamando determinati princìpi in Costituzione.
 
1)             DIRITTO DI AZIONE, riconosciuto dall’art. 24 I c. Cost.: tale diritto permette ad ogni soggetto di
attivarsi (cioè di  “agire” di fronte all’autorità giudiziaria, contro qualcuno)  affinché siano
tutelati i propri «diritti» [verso gli altri soggetti] e «interessi legittimi»[verso la PA].
 
2)             DIRITTO ALLA DIFESA: l' art. 24 II c. Cost. riconosce come inviolabile tale diritto, in quanto tutti
devono potersi difendere. Tale diritto viene riconosciuto «in ogni stato e grado del procedimento»,
quindi per l’intera durata del processo e in qualsiasi grado ci si trovi (esistono, infatti due gradi di giudizio
più la Corte di Cassazione - cfr. procedure e organi giurisdizionali). Tale diritto, inoltre, viene, ai sensi del
III c. riconosciuto anche ai non abbienti, cioè a coloro che si trovino in particolari condizioni di indigenza,
e che, quindi, possono richiedere il “gratuito patrocinio” (cioè l’assistenza da parte di un avvocato, senza
spese). Una precisazione: la difesa di cui stiamo parlando è quella in senso tecnico, quella operata da
un legale rappresentante della parte in causa (avvocato difensore), poiché nel nostro ordinamento non è

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possibile difendersi da soli (nel caso in cui la parte, pur avendone i mezzi economici, non nomini da sé il
suo legale procuratore, gliene verrà assegnato uno dall’amministrazione ( “difesa d’ufficio”).
 
 
3)             PRINCIPIO DEL GIUDICE NATURALE: non possono essere istituiti giudici straordinari (art. 102
II c. Cost.), cioè giudici che vengano istituiti dopo che il fatto illecito sia stato commesso ed istituito
appositamente per quel fatto o per quel soggetto. I cittadini, infatti, hanno il diritto di sapere in via
preventiva quali sono i fatti illeciti, ed anche quale sarà il  giudice competente  per tipo di
giurisdizione (civile, penale, amministrativa), per grado di gravità (giudice di pace, tribunale, corte
d’assise),  per territorio  (dove è avvenuto il fatto); a tal proposito si parla di diritto di non essere
distolti dal giudice naturale precostituito per legge, art. 25 Cost.).

4)             PRINCIPIO DI IMPARZIALITÀ: il giudice deve essere “terzo”, cioè “neutrale”, rispetto alle
parti in causa ( non deve parteggiare né per l’accusa, né per la difesa). Da qui le varie disposizioni
che troviamo nei Codici di Procedura a proposito dell’impossibilità del giudice a pronunciarsi
quando una parte o l’avvocato di una parte sia suo parente, oppure quando egli stesso abbia un
qualche “interesse”, anche indiretto, nell’avvenimento ecc., casi nei quali il giudice può essere
“ricusato”.
 
5)             PRINCIPIO DI INDIPENDENZA: l’art. 101 Cost. stabilisce che «i giudici sono soggetti soltanto
alla legge». Ciò significa: a) che, nel prendere le loro decisioni (rectius: per predisporre le loro
sentenze) devono tenere presente solo la legge (intesa in senso lato, non nel senso di mera legge
formale, cioè, quella emanata dal Parlamento - cfr.  potere normativo del Governo); b) che è
esclusa qualsiasi altro tipo di soggezione. Al fine di raggiungere in modo efficace questi risultati,
occorre trovare degli strumenti per garantire sia l’indipendenza interna, sia quella esterna.
 
6)             PRINCIPIO DELL’OBBLIGATORIETÀ DELL’AZIONE PENALE: tipico del processo penale (nel
processo civile il potere giurisdizionale si attiva solo su iniziativa di parte), tale principio
comporta  l’obbligo per il Pubblico Ministero    di attivarsi  ogni qualvolta ritenga di essere in
presenza di un  illecito penale, cioè di un  “reato”. Questo modello di azione si collega al
“principio  accusatorio”, secondo il quale il giudice si dovrà limitare a giudicare sulla base delle
prove che gli vengono portate dalle parti. Modello diverso, invece, è quello del
“principio  inquisitorio”, in cui lo stesso giudice può andare alla ricerca delle prove rilevanti ai fini
della risoluzione della controversia che è stata portata alla sua attenzione.
 
 
7)                          OBBLIGO DELLA MOTIVAZIONE: tutti  i provvedimenti del giudice devono essere
“motivati”  (art. 111 Cost.) e la motivazione deve riguardare sia i fatti portati all’attenzione del
giudice, sia il diritto, cioè il ragionamento giuridico fatto dal giudice per arrivare a prendere la
decisione contenuta nella sentenza.
 
8)             PRINCIPIO DEL “NE BIS IN IDEM”: non si può chiedere ad un giudice di ritornare a decidere
su una questione su cui si è già pronunciato. Ciò per ovvie ragioni di economia processuale (cioè
per risparmiare tempo), ma anche per garantire la certezza del diritto.
 
9)                          PRINCIPIO DEL “GIUSTO PROCESSO”, introdotto nel nuovo  art. 111 Cost. da  L.Cost.
2 3 / 11 / 1 9 9 9 n ° 2  : o g n i p r o c e s s o , c i v i l e , p e n a l e , a m m i n i s t r a t i v o , d e v e
svolgersi  “nel  contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e
imparziale”.  Esso, tra l’altro, prevede l’assistenza di un interprete per la parte in causa (“attore” o
“convenuto”) che non parli o non comprenda la lingua usata nel processo.

Articolo 111 (giusto processo)


La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.
Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e
imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.

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Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo
possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del
tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di
interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la
convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione
di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la
lingua impiegata nel processo.
Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza
dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre
volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore.
La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso
dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita.
Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.
Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali
ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a
tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.
Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i
soli motivi inerenti alla giurisdizione.

GIUDICI E PUBBLICI MINISTERI


La Costituzione distingue fra la giurisdizione ordinaria, civile e penale, affidata nel suo esercizio alla
cognizione dell'ordine giudiziario, e altre giurisdizioni (amministrativa, tributaria e contabile)
riservate a magistrature specializzate cui sono riconosciute specifiche garanzie.
In riferimento alla giurisdizione ordinaria, la Carta fondamentale affida la titolarità e l'esercizio a
(magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario», stabilendo altresì che «la
magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere». Si sancisce, pertanto,
una generale garanzia valevole per l'intero ordine giudiziario, di indipendenza C.d. esterna. In base ad essa
i magistrati, senza distinzione alcuna, non possono in nessun caso essere soggetti a pressioni,
condizionamenti od ingerenze da parte di qualsiasi altro ente o istituzione pubblica o privata. (Ciò allo
scopo di preservare l'esercizio della funzione giurisdizionale nell'esclusivo interesse della giustizia).
Sul piano della giurisdizione civile, organi giudicanti di primo grado sono il Giudice di pace ed il Tribunale.
Quest'ultimo, a sua volta, si articola in composizione monocratica o collegiale, a seconda delle diverse
competenze per materia e valore assegnategli dalla legge.
Organi giudicanti di seconda istanza sono il Tribunale per le decisioni rese in primo grado dal Giudice di
Pace, nonché la Corte d'Appello, per quelle emesse dal Tribunale.
Nella giurisdizione penale, organi giudicanti di primo grado sono il Giudice di Pace, il Tribunale e la Corte
d'Assise per il giudizio su reati di particolare efferatezza ed allarme sociale.
Sempre in ambito penale, la magistratura inquirente si articola in Procura della Repubblica presso il
Tribunale ed in Procure generali presso 1a Corte d'Appello, oltre alla Procura generale presso la Suprema
Corte di Cassazione.
Le garanzie di autonomia e indipendenza riconosciute dalla Costituzione all'intera magistratura ordinaria
sono molteplici.
Il C.d. autogoverno dell'ordine giudiziario, attuato mediante l'istituzione del Consiglio superiore della
Magistratura.
Quindi, la riserva assoluta di legge in materia di ordinamento giudiziario. Ancora, l'accesso in magistratura
per pubblico concorso, l'inamovibilità dei magistrati e la loro distinzione soltanto per diversità di
funzioni svolte.
Per autogoverno della magistratura s'intende l'autonoma gestione di tutti gli aspetti inerenti allo status di
magistrato da parte dello stesso ordine giudiziario, secondo quanto tassativamente stabilito dalla legge,
mediante l'istituzione del Consiglio Superiore della Magistratura.
Solo una propria amministrazione giuridica, della carriera, dell’assegnazione degli incarichi e delle
responsabilità interne giudiziarie, può infatti preservare quest'ultimo rischio di condizionamento e di
ingerenza da parte di altri poteri dello Stato.
L'art 106 Cost. stabilisce che «le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso»,
(garantisce il rispetto del principio di pari opportunità di accesso di tutti i cittadini ai pubblici incarichi).

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Come già evidenziato, la stessa Costituzione opera una distinzione non irrilevante fra magistratura
giudicante e inquirente, dettando specifiche disposizioni tanto per i giudici, quanto per il Pubblico
Ministero.

Con riferimento alla magistratura giudicante, l'art. 101, Cost stabilisce che «i giudici sono soggetti soltanto
alla legge», precisando altresì che, nell'ambito del giusto processo, esso debba celebrarsi «davanti a
giudice terzo e imparziale».

DOMANDA
IL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
L’art. 87, comma decimo, e l’art. 104, comma secondo, della Costituzione attribuiscono al Presidente della
Repubblica la Presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM).
Il CSM  è organo di amministrazione della giurisdizione e di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza dei
magistrati ordinari. Ha rilevanza costituzionale in quanto espressamente previsto dalla Costituzione, che ne
delinea la composizione (art. 104) e i compiti (art. 105). Esso adotta tutti i provvedimenti che incidono
sullo status dei magistrati (dall’assunzione mediante concorso pubblico, alle procedure di assegnazione e
trasferimento, alle promozioni, fino alla cessazione dal servizio). Provvede inoltre al reclutamento e alla
gestione dell’attività dei magistrati onorari. Ha infine il compito di giudicare le condotte disciplinarmente
rilevanti tenute dai magistrati. Quest’ultima competenza gli è attribuita dalla legge n. 195 del 1958 che 
regola, in via generale, la costituzione e le competenze del Consiglio stesso.
Perché siano garantite al massimo l’autonomia e l’indipendenza della magistratura dal potere legislativo e
da quello esecutivo,  il Consiglio Superiore è presieduto dal Presidente della Repubblica che ne è membro
di diritto al pari del Primo Presidente della Suprema Corte di Cassazione e del Procuratore Generale
presso la stessa Corte. Gli altri componenti, il cui numero è stato fissato in ventiquattro dalla legge n. 44 del
 2002,  sono eletti per 2/3 da tutti i magistrati e per 1/3 dal Parlamento riunito in seduta comune. La carica
elettiva ha la durata di quattro anni, con divieto di immediata rieleggibilità. Dei sedici componenti eletti dai
magistrati (cc.dd. componenti togati), due sono scelti tra coloro che svolgono funzioni di legittimità presso
la Corte di Cassazione, dieci tra i giudici di merito (presso le Corti di  Appello o i Tribunali), quattro tra i
pubblici ministeri (che operano nelle Procure Generali presso le Corti di Appello o le Procure della
Repubblica presso i Tribunali). Gli otto componenti eletti dal  Parlamento (cc.dd. componenti laici) sono
scelti tra professori universitari in materie giuridiche e avvocati che esercitano la professione da almeno
quindici anni.
L’art. 104 della Costituzione prevede che il Consiglio elegga tra i componenti designati dal Parlamento un
Vice Presidente. Questi sostituisce il Presidente in caso di assenza e impedimento ed esercita le funzioni
che il Presidente gli delega. Presiede poi il Comitato di Presidenza (composto dal Primo Presidente della
Corte di Cassazione e dal Procuratore Generale presso la stessa), al quale è attribuito il compito di
promuovere l’attività del Consiglio, dare attuazione alle sue delibere e provvedere alla gestione del bilancio.
Gli organi del Consiglio, che ha la potestà di autodisciplinare il proprio funzionamento mediante
regolamento interno,  sono rappresentati dalla Segreteria, cui è preposto il Segretario Generale e
dall’Ufficio Studi e Documentazione.
Il CSM si articola in Commissioni, attualmente in numero di otto. A queste spettano competenze istruttorie e
di proposta. All’Adunanza Plenaria (c.d.  plenum), spettano invece poteri deliberativi. All’Adunanza, che è
presieduta generalmente dal Vice Presidente (salvo non ritenga di farlo il Presidente - Capo dello Stato)
partecipano tutti i componenti del CSM: i componenti laici e togati, il Primo Presidente della Corte di
Cassazione e il Procuratore Generale presso la stessa. La Sezione Disciplinare del CSM ha, invece, natura
giurisdizionale e le sue decisioni sono ricorribili dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. La
Sezione delibera con la partecipazione  di sei componenti, quattro togati e due laici. Uno di questi è il Vice
Presidente del CSM che la presiede.
I rapporti del Consiglio con il Governo sono improntati ai principi dell’autonomia e dell’indipendenza
dell’Ordine Giudiziario e coinvolgono in special modo i profili collegati all’organizzazione e al buon
funzionamento dei servizi relativi alla giustizia: servizi che l’art. 110 Cost. assegna alla responsabilità del
Ministro. In particolare, il CSM è chiamato a esprimere parere sui disegni di legge governativi che
interessano l’ordinamento giudiziario e l’amministrazione della giustizia; può inoltre avanzare proposte per

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la modifica delle circoscrizioni giudiziarie e su tutte le materie riguardanti l’organizzazione dei servizi relativi
alla giustizia.
Anche i rapporti con il Parlamento sono improntati ai principi dell’autonomia e dell’indipendenza: l’unica
forma di interlocuzione è costituita dalla facoltà per il CSM di inviare al Parlamento, tramite il Ministro, una
Relazione annuale sullo stato della giustizia, segnalando problemi e avanzando proposte.

LE GIURISDIZIONI SPECIALIZZATE E LE ALTRE GIURISDIZIONI


Vi sono delle sezioni specializzate dei Tribunali, delle Corti d'Appello e della Corte di Cassazione in
materia di lavoro, stante il carattere fondamentale di tale diritto-dovere quale "fondamento della
Repubblica' Sono altresì previste sezioni specializzate del Tribunale e della Corte d'Appello per i
Minorenni, composte con la partecipazione di psicologi, assistenti sociali ed esperti nell'ambito della tutela
minorile, oltre che un'apposita Procura della Repubblica.
Alta giurisdizione specializzata è quella sancita dall'art. 103 Cost «i tribunali militari in tempo di guerra
hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari
commessi da appartenenti alle Forze armate».
In tutti questi casi l'art. 108 Cost., oltre a stabilire una riserva di legga assoluta, stabilisce che «la legge
assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse, e degli
estranei che partecipano all 'amministrazione della giustizia».
L'art. 103 Cost. affida la giurisdizione amministrativa «al Consiglio di
Stato e agli altri organi di giustizia amministrativa» per «la tutela nei confronti della pubblica
amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti
soggettivi».

DOMANDA
LA RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE DEI MAGISTRATI
La responsabilità disciplinare è quella che sorge a seguito del compimento di un illecito
disciplinare del magistrato nell'esercizio delle sue funzioni

In risposta alle esigenze di razionalità del sistema e di garanzia di certezza del diritto sono state
introdotte tre specifiche categorie di illeciti disciplinari:
- quelli commessi dal magistrato nell'esercizio delle funzioni giudiziarie;
- quelli commessi dal magistrato fuori dall'esercizio delle funzioni;
- quelli conseguenti a reato.

Gli illeciti disciplinari nell'esercizio delle funzioni


Elencazione tassativa delle ipotesi di illeciti disciplinari nell'esercizio delle funzioni, tra i quali:
- i comportamenti che, violando i doveri del magistrato (ossia imparzialità , correttezza, diligenza,
laboriosità , riserbo, equilibrio e rispetto della dignità della persona), arrecano ingiusto danno o
indebito vantaggio ad una delle parti;
- l'omissione della comunicazione, al Csm, della sussistenza di una delle situazioni di
incompatibilità dell'ordinamento giudiziario;
- la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile;

Gli illeciti disciplinari fuori dall'esercizio delle funzioni


Tra le più rilevanti si segnalano:
- l’uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti per sè o per altri;
- il frequentare persona sottoposta a procedimento penale o di prevenzione comunque trattato
dal magistrato

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- l'assunzione di incarichi extragiudiziari senza la prescritta autorizzazione del Csm;


Gli illeciti disciplinari conseguenti a reato

ovverosia i fatti per i quali è intervenuta condanna irrevocabile o è stata pronunciata sentenza del
codice di procedura penale:
- per delitto doloso o preterintenzionale, quando la legge stabilisce la pena detentiva sola o
congiunta alla pena pecuniaria;
- per delitto colposo, alla pena della reclusione, sempre che presentino, per modalità e
conseguenze, carattere di particolare gravità ;
- alla pena dell'arresto, sempre che presentino, per le modalità di esecuzione, carattere di
particolare gravità

SANZIONI
- l’ammonimento, che è un richiamo all'osservanza da parte del magistrato dei suoi doveri, in
rapporto all'illecito commesso;
- la censura, che à una dichiarazione formale di biasimo;
- la perdita dell'anzianità , non inferiore a due mesi e non superiore ai due anni;
- l'incapacità temporanea a esercitare un incarico direttivo o semidirettivo (che non può essere
inferiore a sei mesi e non può superare i due anni);
- la sospensione dalle funzioni, che si concretizza con l'allontanamento, la sospensione dello
stipendio e il collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura;
- la rimozione, che determina la cessazione del rapporto di servizio e viene attuata mediante
decreto del Presidente della Repubblica.

DOMANDA
INAMOVIBILITÀ DEI MAGISTRATI ART. 107 Cost.
I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre
sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i
motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso.

Il Ministro della giustizia ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare.

I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni.

Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario.
Che cosa significa? L'articolo 107 affronta alcuni nodi cruciali della magistratura. Innanzitutto
l'indipendenza dal potere esecutivo, perché i provvedimenti di trasferimento o sospensione sono soggetti al
CSM. In secondo luogo la distinzione solo funzionale e non gerarchica dei magistrati (un pubblico
ministero, quindi, non vale di più di un giudice). In terzo luogo la posizione del pubblico ministero, ossia del
magistrato che conduce un'inchiesta.

Sulla promozione dell'azione disciplinare da parte del Ministero della giustizia, su come l'azione venga
svolta, da chi e con quali metodi, sono state emanate diverse norme, trattandosi di un tema estremamente
tecnico e carico di importanza per il rapporto tra i poteri dello Stato.

Ma perché...? Le norme che tutelano la magistratura nell'esercizio delle sue funzioni da interferenze del
potere esecutivo non escludono interventi nei confronti dei magistrati o di situazioni difficili. In particolare, il
CSM può procedere con il trasferimento d'ufficio per incompatibilità ambientale (destinazione ad altra sede)
e funzionale (destinazione ad altro ufficio). La Corte costituzionale (457/2002) ha affermato che il
trasferimento non riguarda un illecito del magistrato, ma «una situazione obiettiva che si determina
nell’ufficio ove egli esercita le sue funzioni».

Questa indicazione è stata recepita nella legislazione ordinaria che dispone il trasferimento dei magistrati
quando «per qualsiasi causa indipendente da loro colpa non possono, nella sede occupata, svolgere le
proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità».

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LE FONTI DEL DIRITTO


(collegamento con teoria istituzionista e normativista)
Per poter introdurre le fonti del diritto risulta funzionale partire dall’antico brocardo latino
“Ubi societas ibi ius” perché ogni comunità ha da sempre sentito il bisogno di seguire delle regole che
disciplinassero i comportamenti individuali dei consociati garantendo quindi il benessere e la coesione
sociale.
Quando si parla di regole è opportuno distinguere le regole OGGETTIVAMENTE vincolanti, cioè dire le
norme giuridiche, e le regole SOGGETTIVAMENTE vincolanti, come per esempio le regole sociale e
religiose; in questo senso dunque le norme sociali (il galateo) se non rispettate faranno andare l’uomo
incontro ad una sanzione sociale quale può essere il rimprovero, monito per il soggetto che non avrà
interiorizzato una norma sociale; le norme giuridiche invece, se non rispettate faranno andare il soggetto
deviante incontro ad una sanzione coattiva oppure coercitiva poiché una norma giuridica è costituita da:
• -  un precetto primario: la regola che l’ordinamento vuole sia rispettata da tutti i consociati; 


• -  un precetto secondario: la sanzione che il soggetto deviante riceverà se non avrà 

rispettato il precetto primario e quindi la norma di comportamento. 


• Altre caratteristiche della norma giuridica sono:


• COATTIVITÀ: una norma si dice coattiva quando l’ordinamento riconosce delle sanzioni
affinché il precetto normativo primario venga eseguito dal destinatario che, avendo preso
coscienza della sanzione nella quale potrebbe incorrere, decide contro voglia di rispettare
una determinata norma giuridica; 


• GENERALITÀ: una norma giuridica deve regolare delle categorie di fatti o di comportamenti
generali, senza quindi fare riferimento a situazioni specifiche; 


• ASTRATTEZZA: è strettamente legata alla generalità poiché una norma giuridica,


disciplinando una categoria generica e non il singolo caso concreto, deve poter essere
applica per tutti i casi analoghi che si verificano

Le FONTI DEL DIRITTO sono quegli atti e quei fatti normativi ai quali l’ordinamento giuridico
riconosce il potere di produrre delle norme giuridiche e dato che tale ordinamento per funzionare
deve rappresentare lo specchio della società, in una società complessa come la nostra vi è una
pluralità delle fonti del diritto all’interno della quale possiamo distinguere: 


• FONTI DI PRODUZIONE: si riferiscono ad ogni atto normativo o fatto normativo abilitato


dall’ordinamento giuridico a produrre delle norme capaci di innovare o modificare l’ordinamento
giuridico; chiaramente alla base delle norme di produzione vi sono le norme sulla produzione che
dettano i procedimenti ed i soggetti, riconosciuti dall’ordinamento a produrre le norme giuridiche che
innoveranno o modificheranno 

l’ordinamento giuridico → Le FONTI ATTO sono atti giuridici presentati in forma scritta, come le
leggi, capaci di innovare l’ordinamento giuridico, mentre le FONTI FATTO sono comportamenti relativi
a determinati fatti, come le consuetudini, abilitati dall’ordinamento giuridico ad innovare o modificare lo
stesso ordinamento;

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• FONTI DI COGNIZIONE: quei documenti attraverso i quali è possibile conoscere il testo legale di una
norma giuridica che è stata introdotta → In questo senso, è una fonte di cognizione la Gazzetta
Ufficiale della Repubblica Italiana poiché permette ai cittadini di conoscere il testo di legge della norma
che entrerà in vigore una volta trascorso il periodo di “VACATIO LEGIS” dalla sua stessa pubblicazione
sulla Gazzetta.

LA TIPICITÀ DELLE FONTI: Affinché una fonte del diritto possa produrre i suoi effetti e, quindi, possa
essere vincolante per tutti, è necessario che essa sia riconoscibile. In questo senso è indispensabile che
tutte le fonti del diritto si manifesti noi consociati in forme tipiche e predeterminate. 
La tipicità delle Fonti permette, quindi di creare un collegamento tra una determinata forma e la
conseguente efficacia dell'atto normativo.
Ogni tipo di Fonte ha una sua forma tipica che deve essere rispettata, permettendo di valutarne l'efficacia e
la forza. 
La forma di un atto normativo è determinata da una serie di elementi di riconoscimento:
- il soggetto, inteso come le autorità che ha imposto in essere quella determinata Fonte;
- il nome specifico dell'atto;
- il procedimento di formazione, cioè quella sequenza di passaggi predeterminati alla produzione di un
determinato atto normativo. 
A volte, Tuttavia, alcune fonti possono presentare delle peculiarità, in tutti questi casi si può parlare di fonti
atipiche: ossia di tutte quelle fonti che fuoriescono dai normali tipi normativi di riferimento presentando
delle specifiche peculiarità. 

DIFFERENZA TRA DISPOSIZIONE NORMA E PRINCIPI


- La disposizione è rappresentata dall’enunciato letterale in cui si articola l'atto normativo, quindi,
corrisponde a qualsiasi espressione linguistica, in esso contenuta, avente significato compito significato
compiuto. 
- La norma, invece, è il risultato è l'attività interpretativa a cui viene sottoposta la disposizione al fine di
ricavarne il significato ho i significati. ciascuna disposizione, Infatti, può dare vita ad una o più norme. 
- I principi, generalmente sono desumibili da un insieme di previsioni normative. il nostro ordinamento
conosce più tipologie di principi. la stessa Costituzione Individua i principi fondamentali; la
giurisprudenza, ha individuato i principi generali dell'ordinamento giuridico; vi sono i principi fondamentali
della legislazione statale .

LE c.d. PRELEGGI : Le disposizioni sulla legge in generale, dette anche preleggi o disciplina


preliminare al codice civile, sono un insieme di articoli previsti dal Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 262,
con il quale fu approvato anche il codice civile italiano. In origine consistevano in 31 articoli. Con la legge
31 maggio 1995, n. 218 furono abrogati gli articoli dal n. 17 al n. 31.
Si tratta di legge ordinaria di livello paracostituzionale, quindi le disposizioni contenute in tali leggi si
collocano subito al di sotto del livello costituzionale e poiché statuiscono disposizioni generali si pongono,
come la Costituzione Italiana, al di sopra delle altre leggi, comprese le leggi speciali. In ogni caso,
trattandosi comunque di legge ordinaria, le disposizioni possono essere derogate da un'altra legge
ordinaria.
Il primo capo (art. 1-9) delinea le fonti del diritto. Il secondo riguarda l'applicazione della legge in generale.

I SOGGETTI DELL’INTERPRETAZIONE
A seconda dei differenti soggetti chiamati ad interpretare il diritto, possiamo distinguere quattro diversi tipi di
interpretazione: 
- L’interpretazione dottrinale Pur non essendo giuridicamente vincolante assume un ruolo importante,
Infatti, il compito delle opere scientifiche è quello di offrire uno studio approfondito dei molteplici
significati da assegnare alle disposizioni. 
- L'interpretazione giudiziale, è quella compiuta da giudici chiamati a decidere una controversia.
- L'interpretazione burocratica è quella posta in essere dalle pubbliche amministrazioni, che con i loro
provvedimenti sono chiamate a realizzare in concreto di interesse pubblico.

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- L'interpretazione autentica è quella operata dallo stesso autore della legge, vale a dire dal legislatore
punto Essa, infatti, e contenute in una legge che il Parlamento approva allo scopo di chiarire il significato
di disposizioni precedenti, considerate ambigue o Oscure. 

I CRITERI INTERPRETATIVI
I principali criteri di interpretazione della legge sono individuati dalle disposizioni sulla legge in generale le
(c.d. Preleggi).
- Il criterio letterale, afferma che nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che
quello fatto Palese dal significato proprio delle parole.
- Il criterio logico afferma che si può aggiungere alla corretta interpretazione della legge facendo
emergere il significato derivante dalla connessione tra le parole in essere utilizzate.
- Il criterio originalista si concretizza nella possibilità di fare riferimento alle originali intenzioni del
legislatore.
- Il criterio storico prendi in considerazione le circostanze storiche nelle quali la disposizione ha preso
forma. 
- Criterio sistematico, in base al quale il significato di una disposizione può essere ricavato mettendo in
relazione alle altre norme che compongono l'ordinamento giuridico. 

L’ANALOGIA
Nell'ipotesi in cui l'ordinamento giuridico presenti una lacuna normativa, vale a dire ma anche una specifica
disciplina di una determinata materia, può essere utilizzata L'analogia. 
- Analogia iuris: Ove giudice si trovi dinanzi ad un caso che non è stato specificamente previsto dal
legislatore, è previsto il ricorso all'analogia di legge che permette di applicare una norma emanata per
regolare casi simili. 
- Analogia iuris: se non è possibile rinvenire una disciplina pensata per una fattispecie analoga, è
possibile ricorrere all'analogia di diritto, in base alla quale si potrà decidere la questione applicando i
principi generali dell'ordinamento giuridico. 
- Interpretazione estensiva: con cui si attribuisce ad un termine della disposizione un significato più
ampio di quello letterale .
- Interpretazione restrittiva : limita e resitringe il campo di azione della disposizione.

DOMANDA

RAPPORTI TRA LE FONTI


Esistono tre tipi di rapporti tra le fonti: Rapporti basati sul criterio di gerarchia: ovvero la fonte di grado
superiore prevale su quella di grado inferiore; Rapporti basati sul criterio della competenza: ovvero la fonte
competente prevale su quella incompetente; Rapporti basati sul criterio dell'abrogazione: ovvero la fonte
successiva nel tempo prevale su quella precedente.

ANTINOMIE NORMATIVE
Per antinomie si intendono tutti quei casi in cui vi è incompatibilità tra due norme (Disposizione e norma)
che disciplinano una medesima fattispecie, nel senso che l’applicazione dell’ esclude l’applicazione
dell’altra. La presenza di antinomie è fisiologica (e non patologica) all’interno di un qualsiasi ordinamento
giuridico, in virtù della pluralità di fonti del diritto in esso esistenti. Da ciò discende che le antinomie sono un
problema essenzialmente interpretativo.

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I CRITERI ORDINATORI
I criteri ordinatori sono 4: gerarchico, cronologico, della specialità e della competenza.

1-IL CRITERIO GERARCHICO: ordina la pluralità delle fonti secondo la struttura piramidale proposta
dal giurista austriaco Kelsen il quale vedeva l’ordinamento giuridico come una concatenazione logico-
formale di norme, ordinate gerarchicamente secondo la forza di legge di ciascuna fonte.

Quando si parla della forza di legge si intende in senso attivo la capacità della norma di innovare
l’ordinamento giuridico, ed in senso passivo la capacità di resistenza della norma all’abrogazione da parte
di una approvata successivamente. Dunque, secondo forza di legge, una fonte di rango superiore non può
essere abrogata da una fonte di grado inferiore (poiché la fonte di grado superiore stabilisce i criteri di
produzione e di validità della fonte di grado inferiore).

Per cui in caso di antinomia normativa tra una norma di grado superiore ed una norma di grado inferiore
dovrà sempre essere applicata quella di grado più elevato mentre la norma di grado inferiore verrà
annullata perdendo retroattivamente la validità, questo perché se venisse applicata la norma di grado
inferiore avverrebbe una violazione del principio gerarchico.

LA GERARCHIA DELLE FONTI DEL DIRITTO ITALIANO PREVEDE:

1° liv: Fonti Costituzionali (Costituzione, leggi costituzionali, leggi di revisione costituzionale)


2° liv: Fonti Primarie (leggi ordinarie, decreti-legge, decreti legislativi, leggi regionali)

3° liv: Fonti Secondarie (regolamenti del governo e regolamenti degli enti locali)

2-IL CRITERIO CRONOLOGICO: esprime il principio di inesauribilità dell’ordinamento giuridico ovvero,


essendo il diritto strettamente legato alla società, al modificarsi di quest’ultima si modificherà anche
l’ordinamento giuridico. Proprio tale modifica potrebbe far sorgere delle antinomie tra norme dello stesso
grado adottate in tempi differenti (legge adottata nel 1990 e legge adottata pochi mesi fa) oppure tra norme
di differente rango (legge adottata nel 2000 e legge costituzionale adottata 1 anno fa).

Secondo il criterio cronologico dovrà sempre essere applicata la norma più recente poiché questa sarà più
adeguata alla risoluzione dell’antinomia verificatasi. Di conseguenza, la nuova norma produrrà
l’abrogazione della norma precedente, limitandone l’efficacia temporale futura, e NON l’annullamento.
Questo per permettere che la fonte di grado inferiore continui ad esistere all’interno dell’ordinamento,
permettendo al giudice di consultarla al fine di disciplinare contrasti verificatisi nel periodo storico in cui
quest’ultima era in vigore.

Infine, risulta funzionale distinguere gli effetti dell’annullamento dagli effetti dell’abrogazione di una norma
perché spesse volte questi vengono fatti coincidere quando invece:

• -  L’annullamento di una norma consente al legislatore di cessare retroattivamente (ex tunc) la


validità della norma precedente come se questa non fosse mai esistita (la validità di una norma si
riferisce al rispetto dei principi di produzione e di validità stessa che le hanno permesso di stare
all’interno dell’ordinamento) ed è tipico del criterio gerarchico; 


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• -  L’abrogazione consente al legislatore di cessare irretroattivamente (ex nunc) l’efficacia della


norma giuridica precedente poiché, come sancito nell’Art. 11 delle preleggi, la legge non dispone
che per il futuro, cioè dire le leggi sono irretroattive poiché non valgono per il passato ma solo per il
futuro. 

In casi particolari, il legislatore può prevedere delle norme irretroattive però, come stabilito all’Art. 25
della Costituzione, le norme di natura penale non possono essere retroattive data la materia trattata
e le conseguenze eventuali sulla violazione della libertà personale (diritto inviolabile). 


Quando si parla di EFFICACIA di una norma ci si riferisce alla capacità della norma di produrre degli effetti
giuridici → Per cui l’abrogazione priva la norma del suo carattere giuridico.

In riferimento all’ABROGAZIONE invece bisogna dire che, come stabilito all’Art. 15 delle preleggi, ne
esistono tre tipi:

• ESPRESSA→Si ha quando il legislatore dichiara espressamente all’interno della legge più recente
che la legge precedente è stata abrogata; 


• TACITA → È una forma di abrogazione parziale che si verifica per incompatibilità tra le nuove
disposizioni di legge e le precedenti, in questo caso il legislatore approva una nuova norma che
tacitamente sott’intende l’abrogazione della norma precedente, la quale disciplinava la medesima
materia secondo dei principi differenti; 


• IMPLICITA → È una forma di abrogazione totale che si verifica quando il legislatore approva una
nuova norma che ridisciplina un’intera materia già regolata da una precedente – in questo caso
quindi si parla di abrogazione totale perché implicitamente viene stabilita l’abrogazione di tutte le
norme precedenti che disciplinavano l’intera materia. 


3-IL CRITERIO DELLA SPECIALITÀ: è un criterio sussidiario che rappresenta il limite del criterio
cronologico prevedendo che, in caso di antinomia normativa tra una norma generale ed una speciale dello
stesso rango e che disciplinino la medesima materia, bisognerà SEMPRE applicare la norma speciale a
prescindere dal fattore cronologico, indi per cui la legge generale non abrogherà la legge speciale
precedente ma quest’ultima costituirà la deroga (eccezione), mentre la legge generale non subirà né
l’annullamento (validità) né l’abrogazione (efficacia) ma semplicemente non verrà applicata dal giudice
chiamato a risolvere l’antinomia normativa. 

Infine, qualora in seguito ad un ripensamento del legislatore, la norma speciale da lui emanata venisse
abrogata oppure venisse annullata, per evitare eventuali lacune normative, automaticamente la legge
speciale verrebbe rimpiazzata dalla legge generale che in questo modo disciplinerebbe l’intera materia. 


4-IL CRITERIO DELLA COMPETENZA: è una naturale conseguenza della complessità sociale odierna
descritta nel 1° comma dell’Art. 114 della Costituzione: 

“La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo
Stato” 

per cui vi sono numerosi enti territoriali e non, come l’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione) che hanno
la capacità di produrre norme giuridiche. Per questo motivo la Costituzione assegna ad ogni ente
territoriale delle competenze specifiche → Affinchè ogni organo possa legiferare in determinate materie
senza invadere la sfera di competenza di un altro organo. Il criterio di competenza si collega
automaticamente al capitolo sulla... 


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DOMANDA
LA RISERVA DI LEGGE: Nell'ordinamento giuridico italiano la riserva di legge,
inserita nella Costituzione, prevede che la disciplina di una determinata materia sia regolata soltanto
dalla legge primaria e non da fonti di tipo secondario. La riserva di legge ha una funzione di garanzia in
quanto vuole assicurare che in materie particolarmente delicate, come nel caso dei diritti fondamentali del
cittadino, le decisioni vengano prese dall'organo più rappresentativo del potere sovrano ovvero dal
parlamento come previsto dall'articolo 70

Tipologie delle riserve:

Si distinguono, comunque, vari tipi di riserva di legge:


• riserva di legge ordinaria: la materia può essere disciplinata dalla legge e da atti aventi forza di
legge.
◦ assoluta: la materia deve essere regolata integralmente dalla legge. Ad esempio l'art.
13.Cost. ammette restrizioni della libertà personale nei soli casi e modi previsti dalla legge

◦ relativa: i principi sono stabiliti dalla legge, riducendo la discrezionalità dell'esecutivo, che
però potrà intervenire dettando la disciplina di dettaglio con propri regolamenti.

◦ rinforzata: riserve, assolute o relative, dove la Costituzione pone dei limiti alla
discrezionalità del legislatore, predeterminando alcuni dei contenuti che la legge deve avere.
• riserva di legge formale: nella materia può intervenire la legge del parlamento mentre non
possono farlo atti aventi forza di legge, come decreti legge o decreti legislativi, del governo. Di fatto,
poi, le materie disciplinate da riserva di legge formale sono quelle coperte da riserva di assemblea.
la riserva di legge formale è tipica dei casi in cui si vuole riservare al solo parlamento la possibilità di
adottare un determinato atto, ed è dunque soprattutto utilizzata per quanto riguarda gli atti
autorizzatori dell'assemblea. Basti pensare alla legge di bilancio, la cui natura autorizzatoria è
sottolineata dalla stessa Costituzione all'art. 81[10] Cost. La stessa ratio impone di considerare
riserva di legge formale la conversione di decreti legge, così come la delega della funzione
legislativa nel caso di adozione di decreti legislativi: infatti, non fosse imposta una simile riserva, si
potrebbe in questi casi procedere con atti aventi forza di legge, falsando in modo inaccettabile la
natura dei rapporti tra l'esecutivo e il legislativo.
Esistono anche riserve non a favore della legge ordinaria:
• riserva di legge costituzionale ,
• riserva a favore dei regolamenti parlamentari 
• riserva di giurisdizione:
• riserva di regolamento amministrativo

DOMANDA

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REGOLAMENTI GOVERNATIVI (differenza regolamenti d’esecuzione e attuativi)

I regolamenti dell’esecutivo rappresentano l’attività normativa secondaria del Governo, diretta a produrre


norme subordinate a quelle primarie (leggi ordinarie, decreti legislativi, regolamenti comunitari).

La potestà regolamentare del Governo, regolata direttamente in base all'art. 17 della Legge 400 del 1988,
si manifesta attraverso l'adozione e la successiva emanazione di regolamenti.

I regolamenti sono fonti secondarie e come tali non possono derogare né alla Costituzione (come d'altra
parte avviene per le fonti primarie) né tanto meno alle leggi ordinarie. Inoltre non possono regolare materie
coperte da riserva di legge sia essa assoluta o relativa. Infine le sanzioni penali non possono essere
previste con un regolamento.

A seconda del soggetto che li emana si distinguono in:

- regolamenti del Presidente del Consiglio, emanati dal Presidente del Consiglio dei Ministri
nell'esercizio delle sue funzioni;

- regolamenti ministeriali (D.M.), emanati da singoli ministri nell'ambito delle competenze del Dicastero o
Ministero che presiedono;

- regolamenti interministeriali (D.P.C.M.), emanati dal Presidente del Consiglio dei Ministri e riguardanti
materie afferenti a più Ministeri.

A seconda del contenuto e dell'oggetto i regolamenti si distinguono in:

- regolamenti di esecuzione, adottati per regolare le modalità di esecuzione di una legge senza introdurre
novità giuridiche sostanziali e senza creare nuovi diritti, obblighi o doveri a carico dei cittadini;

- regolamenti di attuazione e integrazione, adottati per integrare o attuare i principî contenuti all'interno
di una legge o di un decreto legislativo, sempre che si tratti di materie non coperte da una riserva di legge
assoluta;

- regolamenti indipendenti, con cui il Governo detta norme nei più svariati settori di interesse pubblico al
di là di quanto già previsto dalle legge, determinando spesso nuovi diritti e doveri dei cittadini. Vengono
disciplinate infatti materie non già regolate da leggi o atti aventi forza di legge, sempre che non siano
coperte da riserva di legge;

- regolamenti delegati, finalizzati a permettere un processo di delegificazione; questi regolamenti emanati


su delega del Parlamento al Governo disciplinano ex novo una materia precedentemente disciplinata da
norma primaria abrogandola per espressa previsione contenuta nella legge di delega (norma primaria).
Quindi in realtà l'abrogazione e la delegificazione si verificano per effetto del regolamento ma sono
predisposte dalla legge di delega.

I regolamenti vengono emanati con D.P.R. ovvero con Decreto del Presidente della Repubblica e sono
pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.

DOMANDA

REGIONI A STATUTO SPECIALE


Una regione italiana a statuto speciale è una regione italiana che gode di particolari forme e condizioni
di autonomia.
Cinque regioni italiane sono chiamate a statuto speciale, approvato dal Parlamento con legge
costituzionale: Sicilia, Sardegna, Valle d'Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige
L’istituzione di tale tipologia di Regioni e l’attribuzione ad esse di un livello di autonomia differenziato
rispetto alle altre affonda le sue radici, soprattutto, negli eventi storici. Dopo la seconda guerra mondiale,
infatti, lo Stato ha ritenuto opportuno garantire ampi margini di autonomia ad alcuni territori per preservare
la coesione nazionale ed evitare il rischio di disgregazione territoriale del Paese.

Fonti locali e regionali


Le fonti regionali sono: gli statuti delle regioni ordinarie; le leggi regionali e i regolamenti regionali. Gli statuti
delle regioni speciali sono invece definiti «fonti statali di rango costituzionale.
L’articolo 116 della Costituzione, revisionato nel 2001, evoca la specialità regionale: esso, infatti, sancisce
che «il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallée

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d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali
adottati con legge costituzionale». Le leggi costituzionali approvate per modificare gli statuti delle regioni
speciali sono leggi costituzionali particolari adottate sulla base del procedimento definito dall’articolo 138,
ma con due differenze introdotte dalla legge costituzionale 2 del 2001:
1. Quando la revisione dello statuto speciale è di iniziativa del governo o parlamentare, il progetto di legge
costituzionale deve essere comunicato all’assemblea regionale, la quale ha due mesi di tempo per
esprimere un proprio parere;
2. Nel suddetto caso in cui la revisione dello statuto speciale è di iniziativa del governo o del parlamento
non si fa comunque luogo al referendum.
L’unico ente regionale capace di adottare fonti primarie è una regione a statuto ordinario o speciale, con
l’eccezione di Trento e di Bolzano.
Il sistema regionale ordinario, invece, è scaturito da un’attuazione più lenta.
Sulla base del criterio di competenza, è possibile comprendere quali materie possono essere disciplinate
dalla leggi delle regioni e quali dallo Stato.

DOMANDA

RAPPORTO STATO - REGIONI


La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei
vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Lo Stato ha legislazione esclusiva di determinate materie come:
 politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo
e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;
e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema
tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla
legislazione dello Stato.
• Lo Stato può impugnare la legge della Regione in merito a cosa?
la Regione può contestare una legge dello Stato o di altre Regioni soltanto quando la sua sfera di
competenza subisce delle limitazioni ed il relativo ricorso è promosso dal Presidente della
Regione, previa delibera della Giunta regionale.
lo Stato può impugnare una legge regionale per denunciare il contrasto con qualsiasi parametro di
legittimità costituzionale.
Mentre la Regione deve dunque dimostrare la concreta invasione di una sfera di competenza
propria, il Governo non deve dimostrare un concreto interesse a ricorrere, in quanto agisce a
tutela dell’ordinamento giuridico complessivo.

• ART.118
Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano
conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi
di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle


conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.

PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ

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In generale, è il principio per cui l'ente di livello superiore svolge compiti e funzioni amministrative solo
quando questi non possano essere svolti dall'ente di livello inferiore.
Nell'ordinamento italiano, si distingue una sussidiarietà verticale, che è il criterio di allocazione delle
competenze fra livelli di governo differenti e mira ad attribuire la generalità delle competenze e delle
funzioni alle autorità territorialmente più vicine ai cittadini; e una sussidiarietà orizzontale, che contempla la
suddivisione dei compiti fra le pubbliche amministrazioni e i soggetti privati.
Il principio di sussidiarietà verticale è stabilito anche dall'art. 5 del Trattato della Comunità europea: "Nei
settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene […], soltanto se e nella misura in
cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e
possono, dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio
a livello comunitario".

GIUDIZIO IN VIA PRINCIPALE/INCIDENTALE


Il giudizio in via principale è quel giudizio di costituzionalità promosso dallo Stato avverso una legge
regionale ovvero da una Regione avverso una legge dello Stato o di altra Regione.Può essere proposto:
• dal governo nei confronti di leggi regionali;
• da una regione nei confronti di una legge.
Le sue caratteristiche sono:
• il giudizio della corte ha carattere astratto, le disposizioni impugnate sono valutate a prenscindere
dalla loro concreta attuazione;
• il giudizio è disponibile, cioè si tratta di una questione che può essere sollevata dalle parti;
• è un giudizio successivo all'approvazione della legge.
L'atto che introduce il giudizio in via principale è il ricorso. Il giudizio in via incidentale trova applicazione
quando la questione di legittimità costituì è sollevata nel corso di un giudizio che si svolge dinanzi al
giudice.

DOMANDA

DELEGIFICAZIONE
Termine che indica il potere del legislatore di affidare una determinata materia, già disciplinata da legge,
alla competenza normativa del potere esecutivo, con conseguente abrogazione delle norme di legge e loro
sostituzione da parte di norme di rango secondario (poste cioè sotto la legge nel sistema delle fonti del
diritto). L'art. 172 L. 400/1988 prevede appunto i regolamenti di (—) [Regolamenti], emanati per la
disciplina di materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista da Costituzione, per le quali leggi
statali, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare, determinano le norme generali regolatrici della
materia e dispongono l'abrogazione delle norme di legge vigenti con effetto dall'entrata in vigore delle
norme regolamentari.

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LE FONTI STATALI
All’interno dell’ordinamento giuridico italiano i rapporti tra le diverse fonti del diritto sono dettati dal principio
gerarchico, che ordina le fonti a seconda della loro forza di legge, e dal principio della competenza
attraverso il quale la Costituzione, seppur non in maniera rigida, assegna ai diversi enti territoriali autonomi
riconosciuti dall’Art. 114, la disciplina di determinate materie. Le fonti del diritto si distinguono in:

1° FONTI DI RANGO COSTITUZIONALE


2° FONTI DI PRIMO GRADO (PRIMARIE).
3° FONTI DI SECONDO GRADO (SECONDARIE)
E DI TERZO GRADO
4° USI e CONSUETUDINI

FONTI DI RANGO COSTITUZIONALE

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Tra le fonti di rango costituzionale possiamo annoverare oltre alla Costituzione anche le leggi costituzionali
e le leggi di revisione costituzionale che, avendo la stessa forza di legge della Costituzione, sono le uniche
fonti capaci di modificarla oppure di integrarla.

La Costituzione rappresenta la legge fondamentale dello Stato ed è essenziale ai fini della coesione sociale
poiché racchiude al suo interno l’insieme dei principi e delle regole organizzative su cui si fonda la
comunità organizzata.
La Costituzione è una naturale conseguenza dell’esercizio del potere costituente, ossia quel potere libero
da vincoli giuridici che si esercita quando in seguito ad un evento particolarmente traumatico bisogna
riscrivere l’assetto politico, economico e civile del paese. In Italia tra il 1943 ed il 1945 vi fu una guerra civile
che determinò la rottura dell’unità politica italiana ed il conseguente venir meno dell’ordinamento giuridico
fascista.
Durante questo conflitto le forze politiche che erano riuscite ad affermare la propria egemonia esercitarono
il potere costituente costringendo nel 1944 il Re Vittorio Emanuele a siglare il Patto di Salerno con il quale
si impegnava sia a rimettere la questione monarchia- Repubblica ad un referendum che si sarebbe tenuto
alla fine della guerra civile: 2 giugno 1946,
sia a riconoscere la Costituzione che sarebbe stata deliberata dall’Assemblea. Naturalmente una volta
siglato il patto di Salerno le forze politiche che avevano acquisito l’egemonia cominciarono ad esercitare un
potere costituito, ossia un potere soggetto alle limitazioni imposte dalla Costituzione.
La Costituzione italiana si definisce dunque:
• SCRITTA → Poiché i principi e gli istituti che disciplinano il funzionamento dello Stato sono
racchiusi in un documento: il testo costituzionale, ma soprattutto perché la stessa Costituzione è
tassativa circa la forma scritta delle leggi che regolano la stessa Costituzione; 


• RIGIDA → Poiché la Costituzione può essere modificata esclusivamente dalle leggi aventi ugual
forza di legge e non da fonti di grado inferiore, inoltre la modifica della Costituzione richiede
l’adozione di un procedimento aggravato previsto agli artt. 138 e 139 della stessa; 


• VOTATA → Poiché il 2 giugno del 1946 il popolo votò circa la questione Repubblica- monarchia ed i
risultati del referendum individuarono i membri che avrebbero composto l’assemblea costituente; 


• COMPROMISSORIA → Poiché la Costituzione italiana è il frutto di un compromesso coerente tra


forze politiche ideologicamente polarizzate che hanno vinto la guerra sociale del 1943, cioè dire, il
liberalismo che lottava per il riconoscimento dei diritti della persona, la dottrina sociale cattolica che
lottava per il riconoscimento dei diritti dell’uomo all’interno della comunità, il socialismo che lottava a
difesa dei lavoratori e delle classi più deboli. 

Circa le LEGGI DI REVISIONE COSTITUZIONALE bisogna sottolineare come queste siano le
uniche fonti del diritto capaci di modificare le disposizioni della Costituzione ed è in ragione di ciò
che si trovano a livello costituzionale (anche se le stesse sono soggette ai limiti della Costituzione
che ne regola il procedimento di formazione ed i limiti). 

Le LEGGI COSTITUZIONALI invece sono quelle fonti del diritto capaci di integrare il testo
costituzionale poiché la stessa ha predisposto una riserva di legge costituzionale attraverso la quale
sarà sempre possibile integrare o modificare l’ordinamento nel corso degli anni; questo perché il
diritto è strettamente legato alla società per cui al modificarsi di quest’ultima si necessiterà di una
modifica della Costituzione. 

In linea generale però bisogna sottolineare come seppur operando differentemente all’interno
dell’ordinamento giuridico sia le leggi costituzionali che le leggi di revisione costituzionale, sono
approvate attraverso il procedimento aggravato di formazione della legge disciplinato agli artt. 138 e
139 della Cost → Tale procedimento viene definito 


aggravato poiché richiede degli ulteriori passaggi rispetto al procedimento ordinario di formazione della
legge disciplinato dagli artt. 70 e seguenti.

ART. 138
“Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con
due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza
assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.

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Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne
facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli
regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei
voti validi.
Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle
Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.”

ART. 139
“La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale.”
1° INIZIATIVA LEGISLATIVA → Consiste nella presentazione di un articolato alle Camere, avente come
oggetto l’approvazione di una legge costituzionale oppure di una legge di revisione costituzionale,
accompagnato da una relazione illustrativa dei fini (uguale alla legge ordinaria);
2° FASE ISTRUTTORIA → Consiste nell’esaminazione della proposta di legge operata dalle commissioni
permanenti competenti per materia interne alle Camere (uguale alla legge ordinaria);
3° FASE DELLA DELIBERAZIONE → Durante la seguente fase la proposta di legge, dopo essere stata
esaminata dalla commissione competente, passerà prima ad una Camera per la discussione e per
l’eventuale approvazione di emendamenti al testo di legge che sarà seguita da una prima delibera a
maggioranza semplice, cioè dire la metà +1 dei presenti; successivamente la proposta di legge passerà
all’altra Camera ove avverrà lo stesso iter (discussione, approvazione di emendamenti, votazione a
maggioranza semplice); la seconda delibera del testo di legge avverrà a distanza di almeno tre mesi dalla
prima, per i motivi del bicameralismo perfetto il quale assicura una maggiore consapevolezza delle
decisioni adottate.
In questa fase avverrà esclusivamente l’approvazione o la bocciatura della proposta di legge approvata in
prima deliberazione ma non sarà possibile apportare modifiche al testo di legge poiché questo
determinerebbe uno slittamento dell’approvazione dello stesso; durante la seconda votazione, raggiunta la
maggioranza qualificata dei 2/3 dei componenti di ciascuna Camera la proposta di legge verrà approvata in
via definitiva e sarà promulgata dal Presidente della Repubblica, per cui non sarà possibile indire un
referendum costituzionale.
Se invece durante la votazione viene raggiunta la maggioranza assoluta, la proposta di legge verrà
pubblica sulla Gazzetta Ufficiale in modo tale da consentire l’avvio di un referendum costituzionale qualora
entro 3 mesi dalla pubblicazione una minoranza parlamentare (1/5 dei componenti di ciascuna Camera)
oppure 500.000 elettori oppure ancora 5 Consigli regionali ne facciano richiesta; se il referendum viene
effettivamente richiesto, il rigetto o l’approvazione della legge dipenderanno dall’esito dello stesso, cioè dire
qualora venga raggiunto il quorum funzionale (la maggioranza dei sì sui no), la legge costituzionale o di
revisione verrà promulgata dal Presidente della Repubblica ed in seguito pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
per il decorso della VACATIO LEGIS;
Se il referendum non viene promosso la legge verrà promulgata dal Presidente della Repubblica una volta
scaduto il termine dei 3 mesi e verrà ripubblicata sulla Gazzetta Ufficiale per il decorso del vacatio legis. In
verità la revisione della Costituzione italiana è soggetta a dei limiti riconosciuti all’Art. 139 il quale chiarisce
che la forma repubblicana, e con essa tutti i principi che garantisce, non sono soggetti alla revisione
costituzionale → La corte costituzionale avendo il potere di giudicare le controversie relative alla legittimità
costituzionale delle leggi può dichiarare l’incostituzionalità di una revisione o di una legge costituzionale
che pretenda di modificare il nucleo duro della Costituzione, poiché determinerebbe la rottura della legalità
costituzionale.

Il REFERENDUM è il principale strumento attraverso il quale si esprime la democrazia diretta dando


la possibilità al popolo di esprimere la propria sovranità di cui all’Art. 1 della Costituzione, partecipando
personalmente al processo decisionale che di norma spetta al Parlamento.
Precedentemente si è parlato del referendum costituzionale, forma di referendum confermativo disciplinato
all’Art. 138 nel quale si afferma che: una legge costituzionale o di revisione costituzionale approvata in
seconda deliberazione a maggioranza assoluta dei componenti delle Camere, può essere sottoposta a
referendum popolare qualora entro 3 mesi dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, ne facciano
richiesta una minoranza parlamentare (1/5 dei componenti di una Camera), 500.000 elettori o 5 Consigli
regionali; inoltre affinché il testo di legge costituzionale o di revisione costituzionale venga approvato sarà
necessario esclusivamente il raggiungimento del quorum funzionale (il numero dei voti validi superi il
numero dei voti contrari) poiché il costituente, trattandosi della modifica del testo fondamentale dello Stato,

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era certo della presenza in massa del popolo alle urne, per cui non ha ritenuto necessario alcun quorum
strutturale (numero minimo di partecipanti).
Dal punto di vista giuridico, il referendum costituzionale interviene esclusivamente su delle fonti non ancora
efficaci (capacità di produrre effetti giuridici) perché non ancora entrate in vigore, a differenza del
referendum abrogativo, per cui il termine “leggi” usato all’Art. 138 è errato.

DOMANDA

REGOLAMENTI COSTITUZIONALI
Tra le fonti primarie di origine statale vengono compresi, infine i regolamenti di autonomia degli organi
costituzionali.
Per quanto riguarda i regolamenti parlamentari, essi trovano un esplicito riferimento innanzitutto nell’art. 64
cost.
Da questa disposizione, unita al principio di autonomia degli organi costituzionali, si suole ricavare un
potere di carattere primario, a favore del quale è prevista una riserva di competenza per ciò che attiene
all’organizzazione interna delle Camere stesse.
Se poi si collega il concetto di organizzazione con quello di disciplina dell’esercizio delle funzioni, si può
giungere alla conclusione che sia riservato alla fonte parlamentare anche quest’ultimo aspetto.
La prevalente dottrina e la giurisprudenza della Corte costituzionale hanno infatti ritenuto che tutto il
procedimento legislativo, per la parte non disciplinata dalla Costituzione, sia riservato alla disciplina
regolamentare.
Di fronte a questa ricostruzione è stato però sostenuto che i regolamenti parlamentari sarebbero in via di
principio fonti di grado subordinato rispetto alla legge,salvi i casi in cui viene loro esplicitamente riservata
una specifica competenza.
Tra le due impostazioni non può farsi in questa sede una scelta precisa: da un lato, la seconda è
formalmente più aderente alla lettera del testo costituzionale e ad una prassi legislativa da cui emerge una
notevole disinvoltura del legislatore ordinario nel disciplinare sia l’organizzazione interna che l’attività delle
Camere; dall’altro lato, la prima può ricollegarsi ai principi di autonomia di cui si è detto e ad alcune
pronunce della Corte costituzionale che mostrano di considerare i regolamenti parlamentari come fonti
primarie.
Anche la Corte costituzionale risulta essere dotata di un potere normativo autonomo di vasta estensione,
comprendente la sua organizzazione interna e la disciplina dei procedimenti dinanzi ad essa.
Formalmente questo potere ha fondamento nella legge ordinaria (l. 87/53); di modo che gli atti che ne sono
esercizio dovrebbero collocarsi a livello subordinato a quello legislativo.
Peraltro larga parte della dottrina tende ad individuare nella stessa posizione istituzionale della Corte e
nell’autonomia che vi si riconnette il fondamento di tale potere, collocandone a livello primario le
manifestazioni.

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Ma, se difficoltà indubbiamente sorgono a fondare una riserva di competenza ed un potere normativo
primario su un generico principio di autonomia in ordine all’organizzazione della Corte, esse diventano
ancora maggiori per ciò che attiene alle norme di procedura.

FONTI DI PRIMO GRADO


(Prima di definire le fonti di rango primario risulta funzionale ricordare che con la riforma del titolo V della Costituzione,
avvenuta con legge costituzionale 3/2001, la potestà legislativa non è più riconosciuta esclusivamente al Parlamento
(per i motivi del Costituzionalismo) ma anche alle Regioni a statuto ordinario (Art. 117 riformato);
Tra le fonti di primo grado distinguiamo le leggi formali ordinarie, le leggi regionali, gli statuti regionali, gli
atti aventi forza di legge ed il referendum abrogativo.
Circa le leggi ordinarie bisogna dire che queste sono emanate dal Parlamento in quanto organo
costituzionale che esercita il potere legislativo, attraverso il procedimento ordinario di formazione della
legge disciplinato agli artt. 70, 71, 72, 73 e 74 della Costituzione (vedi Parlamento: potestà legislativa).

*Ciò che differenzia la legge ordinaria dalla legge costituzionale sta nel fatto che la legge costituzionale
mira a modificare la Costituzione, per cui è approvata con un procedimento aggravato, ma soprattutto, data
la sua posizione gerarchica, può abrogare la legge ordinaria; mentre la legge ordinaria disciplina la sfera
giuridica dei cittadini (rapporti tra i cittadini, rapporti tra i cittadini e la P. A.) e viene approvata con il
procedimento ordinario di formazione della legge. Essendo subordinata alla Costituzione e alle leggi
costituzionali e di revisione costituzionale non può abrogarle ma può abrogare le fonti di grado inferiore*

La costituzione ha previsto che per disciplinare una determinata materia bisogni seguire
procedimenti particolari di formazione del progetto di legge, più complessi di quello
ordinario, ovvero le leggi rinforzate; in altri casi ha previsto che una determinata legge abbia
una collocazione particolare nel sistema delle fonti, non avendo esattamente la stessa forza
attiva o passiva delle altre leggi ordinarie, le leggi atipiche.

Le LEGGI ATIPICHE, così definite poiché differiscono dalle leggi ordinarie non per la forma
(mantengono il nomen juris) ma per la forza o per il contenuto (la competenza), presentano
caratteristiche eterogenee che non ci permettono di collocarle all’interno di determinate
categorie specifiche. Sono dotate di una forza passiva potenziata: non sono abrogabili dal
referendum.

Le LEGGI RINFORZATE: sono tali perchè più complesso dell’ordinario il procedimento di


formazione del progetto di legge, che sia nella fase dell’iniziativa o fase istruttoria o fase

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della deliberazione. Anche per la loro posizione nel sistema delle fonti, dal punto di vista
della forza di legge, le leggi rinforzate godono di una maggiore forza passiva rispetto alle
leggi ordinarie per cui non possono essere abrogate o modificate da leggi ordinarie:
per forza attiva (possono abrogare solo le leggi che hanno quello specifico contenuto),
per forza passiva (possono essere abrogate solo dalle leggi formate con quello
specifico provvedimento).
-
-
Per esempio, le leggi di esecuzione dei Patti Lateranensi sono delle leggi rinforzate poiché la
formazione del progetto di legge fu il frutto di un accordo bilaterale (non unilaterale come
per le leggi ordinarie) tra lo Stato e la Chiesa; quando il progetto di legge venne presentato
alle Camere queste non poterono apportare modifiche al testo, poiché ogni emendamento
sarebbe dovuto essere prima oggetto di un nuovo negoziato tra Stato e Chiesa.
Altre leggi rinforzate sono tali poiché aggravato il procedimento parlamentare di
approvazione: Indulto e Amnistia (sospensione di leggi penali, Art. 79) richiedono
maggioranza qualificata, ovvero i 2/3, dei componenti di ciascuna Camera.
Fanno parte delle fonti atipiche anche le leggi attuative del REGIONALISMO DIFFERENZIATO
Art. 116 co. 3, ovvero quelle leggi che permettono di aumentare la propria autonomia
regionale nell’ambito di alcune specifiche materie, rientranti nella potestà legislativa
corrente. Per far si che ciò accada, le regioni devono avviare una trattativa con lo Stato,
finalizzata al raggiungimento di un’intesa. È richiesta la maggioranza assoluta delle Camere.
LEGGI MERAMENTE FORMALI: non introducono norme capaci di produrre effetti giuridici
nell’ordinamento (leggi di approvazione di bilancio e legge di autorizzazione alla ratifica dei
trattati internazionali).
Sotto il profilo del contenuto (competenza) questa fonte è atipica poiché pur rispettando il
procedimento di formazione della legge ordinaria è priva del normale contenuto della legge,
sono cioè delle fonti che non introducono delle norme capaci di innovare l’ordinamento
giuridico.
La formazione del disegno di legge delle cosiddette “leggi meramente formali” è rimessa al
Governo che produce delle “LEGGI-PROVVEDIMENTO” il cui contenuto quindi non può essere
dettato dal Parlamento.

DOMANDA

REGOLAMENTI PARLAMENTARI
Il regolamento parlamentare, ai sensi degli artt. 64 e 72 della Costituzione, è l'atto che disciplina
l'organizzazione e il funzionamento di ciascuna delle due Camere del Parlamento italiano (Camera dei
deputati e Senato della Repubblica).

I regolamenti parlamentari sono fonti del diritto di rango primario, sono dotati di efficacia sostanziale propria
delle fonti normative, ma la loro efficacia formale non è quella dei regolamenti che, nella gerarchia delle
fonti, si collocano in posizione subordinata alla legge.
I regolamenti parlamentari sono fonti subordinate solo alla costituzione, le cui disposizioni eseguono e
attuano. In virtù della riserva di regolamento parlamentare, contenuta nell’art64cost, sono fonti del diritto
che sfuggono ad una collocazione nella scala gerarchica.
Si tratta di fonti separate che trovano la loro legittimazione in una riserva di competenza costituzione
riconosciuta a ciascuna camera, di modo che la legge formale non può disciplinare la loro materia.
Inoltre tali regolamenti non sono soggetti al sindacato della corte costituzionale: alle camere è infatti
riconosciuta l’indipendenza di ogni altro potere.

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GLI ATTI NORMATIVI DEL GOVERNO CON FORZA E VALORE DI LEGGE

DOMANDA
DECRETO LEGGE E DECRETO LEGISLATIVO

Il  Decreto Legge e il Decreto Legislativo  sono due atti aventi forza di legge emanati dal Governo.
Nonostante vengano emanati dallo stesso organo dello Stato presentano importanti differenze.
In Italia, è bene ricordare, il  potere legislativo è affidato al Parlamento  che emana le leggi ordinarie.
Nonostante ciò, in casi particolari di necessità o per materie particolarmente complesse e tecniche è
previsto l’intervento del Governo.
Con il Decreto Legge e il Decreto Legislativo al Governo viene affidato il potere legislativo, ovvero la
possibilità di emanare  atti aventi forza di legge ordinaria  che, tuttavia, devono essere convertiti e
approvati dal Parlamento entro tempi ben precisi o devono partire proprio dall’iniziativa parlamentare.

Quali sono i casi in cui il Governo, avente potere esecutivo, può emanare Decreti Legge e Decreti
Legislativi e qual è la differenza tra i due atti aventi forza di legge?

Decreto Legge e Decreto Legislativo: definizione e differenza

Il Decreto Legge è disciplinato dall’art. 77 della Costituzione, in cui è previsto che il Governo, in caso di
necessità e urgenza, ha il potere di emanare atti aventi forza di legge. Si tratta di una  deroga alla
formazione delle leggi  nell’ordinamento italiano che, sulla base di quanto disposto dalla Costituzione,
sono emanate dal Parlamento.
Secondo quanto disposto dall’art. 77 dalla Costituzione:
“Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge
ordinaria.
Quando, in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità,
provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle
Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni.
I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro
pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti
non convertiti.”

Nella disciplina che regola l’emanazione dei Decreti Legge sono contenute anche alcune importanti
indicazioni sulla definizione di Decreto Legislativo e su quando il Governo può emanarli.
A differenza del Decreto Legge, il Decreto Legislativo può essere emanato dal Governo soltanto su delega
del Parlamento, nella quale e ai sensi dell’art. 76 della Costituzione, devono essere indicati contenuti e
tempi dell’emanazione. Con la  legge delega  il Parlamento demanda al Governo il potere di emanare
Decreti Legislativi su  materie complesse e specifiche, come Testi Unici o Codici, che se sottoposte al
procedimento ordinario di formazione delle leggi causerebbero ritardi e rallentamenti nei lavori
parlamentari.
La differenza è a questo punto abbastanza chiara ed evidente ma, vediamo nel dettaglio, in cosa consiste
un Decreto Legge (D.L.) e quali sono le caratteristiche del Decreto Legislativo (D.Lgs.)

DECRETO LEGGE: procedura e casi in cui il Governo ha potere legislativo

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Il  Decreto Legge, così come indicato dall’art. 77 della Costituzione, può essere  emanato dal
Governo come atto avente forza di legge ordinaria soltanto nei casi di necessità e urgenza.
Si pensi ai casi di calamità naturali, per i quali è necessario un intervento normativo immediato. In questi
casi, il Governo può decidere in autonomia di emanare leggi le quali, tuttavia, devono obbligatoriamente
essere presentate lo stesso giorno al Parlamento e  approvate e convertite in legge dal Parlamento
entro 60 giorni, pena la perdita di valore retroattiva, ovvero dal momento della loro entrata in vigore.
La nozione di necessità e urgenza è, tuttavia, fonte di molte perplessità: non sono mancati i casi in cui i
Governi hanno normato con Decreto Legge discipline per le quali sarebbe stato più opportuno un
intervento del Parlamento; si pensi soltanto a titolo di esempio al  D.L. che ha abolito i voucher Inps,
lasciando un vuoto normativo sulla disciplina del lavoro accessorio.
L’abuso dei Decreti Legge  è stato più volte denunciato sia da costituzionalisti che da membri del
Parlamento; il potere legislativo affidato al Governo, organo amministrativo dello Stato e dotato di potere
esecutivo, ha natura straordinaria ma nel corso degli anni è diventata una prassi abusata e fonte di
controversie e discussioni.
Un'altra "aberrazione" della decretazione è poi rappresentata dalla prassi della REITERAZIONE:
la consuetudine, cioè, da parte del Governo di ripresentare più volte decreti-legge dal contenuto
praticamente identico − salvo minime variazioni − a quello di decreti in scadenza o appena
scaduti, così da far decorrere nuovamente il termine di sessanta giorni per la loro conversione.
Negli anni '90, addirittura, si verificarono casi di decreti riproposti per più di 20 volte consecutive,
senza mai essere convertiti in legge! Fin quando, nel 1996, la sentenza n. 360 della Corte
Costituzionale dichiarò illegittima tale pratica.

Secondo il 3° comma, dell’Art. 77 se non viene convertito entro i 60 gg, il decreto perde efficacia sin
dall’inizio, causandone quindi la DECADENZA. È opportuno distinguere la decadenza
dall’abrogazione e dall’annullamento: 


• DECADENZA = comporta la perdita dell’efficacia retroattiva. 


• ABROGAZIONE = legata alla successione delle leggi nel tempo; 


• ANNULLAMENTO = riconosciuta dall’illegittimità di una norma contrastante con 



un’altra gerarchicamente superiore.

LEGGE SANATORIA
I decreti-legge, se non convertiti in legge entro 60 giorni, perdono efficacia sin dall'inizio. La perdita di
efficacia del decreto-legge è chiamata "decadenza", che travolge tutti gli effetti prodotti dal decreto-legge.
Quando il decreto entra in vigore, esso è pienamente efficace e va applicato; ma se decade, tutto ciò che si
è compiuto in forza di esso è come se fosse stato compiuto senza una base legale. Tutti gli effetti prodotti
vanno eliminati perché costituiscono, una volta persa la base legale, degli illeciti.
L'art. 77 della Costituzione appresta uno strumento attraverso il quale è possibile trovare una soluzione: la
legge di sanatoria degli effetti del decreto-legge decaduto (art. 77 ultimo comma).[6] Si tratta di una legge
riservata alle Camere con cui si possono regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non
convertiti. Ovviamente, attraverso questo strumento è il Parlamento a risolvere il problema. Vanno
considerati due aspetti:
1. innanzitutto il Parlamento, quando decida di non convertire il decreto-legge, non è affatto tenuto ad
approvare la legge di sanatoria. Si tratta di una decisione politica, come tale libera e non affatto
indipendente della scelta, di coprire o meno la responsabilità del Governo;
2. in secondo luogo non è una soluzione tecnicamente praticabile sempre e comunque. Il Parlamento
può appunto regolare i rapporti giuridici sorti, ma nel rispetto dei principi costituzionali e, in
particolare, del principio di eguaglianza, cioè del divieto di trattare situazioni eguali in maniera
diversa e situazioni diverse in maniera eguale.

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DECRETO LEGISLATIVO: legge delega e funzioni di Governo e Parlamento


A differenza del Decreto Legge, nel quale il Parlamento ha potere successivo all’emanazione dell’atto
avente forza di legge ordinaria, con il  Decreto Legislativo  è lo stesso  Parlamento  che demanda al
Governo l’emanazione di leggi.
Con il Decreto Legislativo il Parlamento, attraverso la legge delega, chiede esplicitamente al Governo di
emanare leggi riguardanti discipline particolarmente complesse e articolate, le quali richiedono pareri
tecnici e specifici. Con la legge delega che precede l’emanazione del Decreto Legislativo il Parlamento, nel
rispetto della funzione legislativa attribuita dalla Costituzione, disciplina materia, tempi di emanazione e
limiti della potestà legislativa del Governo.
La  differenza principale tra Decreto Legge e Decreto Legislativo  sta nel fatto che il percorso
nell’emanazione della legge è inverso: mentre nel primo caso il Governo ha totale autonomia e solo
successivamente l’atto è sottoposto al voto del Parlamento, il Decreto Legislativo parte dalla legge delega,
emanata dal Parlamento nel rispetto del principio costituzionale della separazione dei poteri.

• La legge delega può essere conferita esclusivamente con legge per le motivazioni dell’Art.
72 della Costituzione il quale chiarisce che per l’analisi e l’approvazione dei disegni di legge
di delegazione legislativa è previsto il procedimento ordinario; 


• La legge delega deve definire in maniera tassativa l’oggetto della delega che non deve
riguardare quelle materie disciplinate dalle leggi costituzionali oppure quegli atti di
approvazione o di conversione dei provvedimenti adottati dal Governo stesso; 


• La legge delega deve essere tassativa nella definizione del termine entro il quale il Governo
può esercitare la delega; 


• La legge delega deve chiarire i principi e le direttive ai quali il Governo dovrà attenersi, in
caso di abuso da parte dell’Esecutivo, la Corte costituzionale interverrà accusandolo per
eccesso di delega; 


Il parlamento in alcuni casi può REVOCARE la delega: 


o REVOCA ESPRESSA = tramite una legge successiva rispetto a quella della delega
stessa;

o REVOCA TACITA = se nel tempo concesso al Governo, il Parlamento approvi una
legge nella medesima materia oggetto della precedente delega;

Quando il decreto viene approvato, l’utilità della legge delega non si esaurisce:
• -  AUSILIO INTERPRETATIVO → Precisa l’oggetto ed i principi direttivi; 


• -  PARAMETRO DI LEGITTIMITÀ → Serve per verificare che l’attività normativa esercitata 



dal Governo si sia effettivamente attenuta alle direttive indicate dal Parlamento. Nel caso in cui ciò
non fosse rispettato, la Corte Costituzionale può intervenire agendo per 

“eccesso di delega”, per fare ciò utilizzerà la stessa legge delega come parametro interposto,
ovvero strumento di raffronto tra l’Art.76 ed il contenuto del decreto.
*I limiti del decreto legislativo sono quelli che il Parlamento definisce nella legge delega*

Affinché la potestà normativa del Governo possa esplicarsi, la legge di delega deve
espressamente indicare i principi e i criteri direttivi a cui deve conformarsi
il Governo nell'esercizio della delega, l'oggetto della delega (che deve essere predeterminato e

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delimitato) e il termine (una data determinata o determinabile in modo oggettivo) entro cui
esercitare la delega. La mancanza di uno di questi elementi essenziali per la delegazione
legislativa comporta l'illegittimità costituzionale della legge di delega.

DOMANDA
ILREFERENDUM ABROGATIVO Art. 75 e legge 352/70:
Il referendum è un ISTITUTO tramite il quale si chiede al corpo elettorale di compiere una scelta normativa,
confermando o eliminando (abrogandola), compiuta dai propri rappresentanti politici→Manifestazione di
democrazia DIRETTA.
Il referendum abrogativo, regolato dall’Art. 75 e dalla legge 352/70, viene considerato dalla dottrina come
un atto di “legislazione negativa” poiché capace di far eliminare totalmente o parzialmente una legge
ordinaria oppure un atto avente forza e valore di legge dall’ordinamento giuridico, innovandolo. Allo stesso
tempo, viene considerato come una fonte positiva poiché potendo intervenire con la modifica di una singola
parola del testo formale, tale istituto giuridico è capace di ricavare dalla stessa disposizione di legge una
norma differente dall’originale → REFERENDUM MANIPOLATIVO.
A livello costituzionale il referendum abrogativo è disciplinato all’Art. 75 il quale al primo comma stabilisce
che una minoranza popolare (500.000 elettori) oppure una minoranza territoriale (5 Consigli regionali) può
richiedere la celebrazione un referendum popolare avente come oggetto l’abrogazione totale o parziale di
una legge o di un atto avente forza di legge, per cui, a differenza del referendum costituzionale, il
referendum abrogativo agisce sull’efficacia della legge.
Nel secondo comma invece vengono evidenziati i limiti a cui è soggetto il referendum abrogativo, ossia,
tale istituto giuridico non può avere come oggetto l’abrogazione totale o parziale delle fonti atipiche (leggi
tributarie, leggi di bilancio, leggi di amnistia e di indulto, leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati
internazionali). Inoltre, con la sent. n. 16/1978, sono stati aggiunti ulteriori limiti: le fonti di rango
costituzionale (leggi costituzionali e leggi di revisione costituzionale) poiché la forza di legge di quest’ultime
è superiore rispetto alle fonti di rango primario all’interno del quale rientra il referendum abrogativo.
Per evitare confusione da parte dei votanti, riguardo la materia della domanda presentata tramite
referendum abrogativo, la Corte ha richiamato la necessaria “coerenza del quesito”, volendo alludere alla
semplicità e alla chiarezza del testo.

IL PROCEDIMENTO→Il referendum abrogativo può essere indetto quando lo richiedono:


• 5 Consigli regionali. In questo caso il quesito da sottoporre a referendum deve essere deliberato a
maggioranza assoluta da ognuno dei 5 Consigli regionali e deve essere presentato alla Corte di
Cassazione per mezzo di alcuni delegati;
oppure
• 500.000 elettori. In questa seconda ipotesi i promotori del referendum devono essere almeno 10 cittadini
iscritti nelle liste elettorali. Essi formano il Comitato dei promotori e depositano presso la Corte di
Cassazione il quesito che vogliono sottoporre al referendum abrogativo. Quindi devono raccogliere, entro i
3 mesi successivi, almeno 500.000 firme su appositi fogli vidimati.
Non è possibile presentare la richiesta di referendum:

• Nell'anno che precede lo scioglimento del Parlamento;
• Nei 6 mesi successivi alle elezioni.

Le richieste di referendum devono essere depositate presso la Corte di Cassazione dal 1°
gennaio al 30 settembre.
Una volta depositate le firme presso la Corte di Cassazione, l'Ufficio centrale per il referendum della Corte
di Cassazione, controlla che sia stato raggiunto il numero di 500.000 firme, che queste siano regolari e
siano state validamente raccolte oppure che le deliberazioni dei Consigli regionali siano state prese in
maniera conforme alla legge: in questa fase si procede al controllo della regolarità formale del referendum.
Se vengono rilevate delle irregolarità convoca, entro il 31 ottobre, i promotori per integrare o sanare le
inesattezze riscontrate nei casi in cui è consentito. Le integrazioni devono essere presentate entro il 20
novembre.
Entro il 15 dicembre dell'anno in cui è stata depositata la richiesta, l'Ufficio centrale per il referendum,
decide con ordinanza definitiva sulla regolarità della richiesta avanzata.

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Una volta che è stata accertata la regolarità formale dello stesso, si passa ad un controllo sulla regolarità
sostanziale del referendum: tale controllo spetta alla Corte Costituzionale che verifica che il referendum
non riguardi una materia sulla quale esso è vietato dalla Costituzione e che non abbia un contenuto
comunque non pienamente costituzionale. La decisione della Corte Costituzionale deve essere pubblicata
entro il 10 febbraio.
Una volta che la Corte Costituzionale ha ammesso il referendum esso viene indetto dal Presidente della
Repubblica che ne fissa la data in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno.
Inoltre, il referendum non viene effettuato nel caso in cui, nel frattempo, il Parlamento abbia provveduto a
modificare la legge oggetto del referendum abrogativo in modo conforme alla volontà popolare o dei
consigli regionali proponenti.
Continuando nella lettura dell’Art. vengono definiti i criteri di VALIDITÀ DEL REFERENDUM, cioè dire, il
referendum per essere considerato valido richiede il raggiungimento del:
• QUORUM STRUTTURALE (partecipazione del 50% +1 degli aventi diritto al voto) ma anche del
• QUORUM FUNZIONALE (maggioranza dei voti favorevoli sui voti contrari);
Infine, in caso di esito favorevole all’abrogazione, il Presidente della Repubblica con proprio decreto
dichiarerà l’avvenuta abrogazione la quale sarà effettiva, a partire dal giorno successivo alla pubblicazione
del decreto presidenziale all’interno della Gazzetta Ufficiale, salvo che il Presidente non disponga
diversamente.
Se invece non dovesse essere raggiunto il quorum funzionale o emergesse la volontà contraria degli
elettori all’abrogazione → Ne verrà data notizia sulla Gazzetta Ufficiale e conseguentemente non potrà
essere avanzata una nuova richiesta referendaria avente come oggetto la stessa legge, prima che siano
trascorsi 5 anni.

FONTI DI SECONDO GRADO


Le principali fonti secondarie sono i REGOLAMENTI GOVERNATIVI che collocandosi al di sotto delle fonti
di rango primario (leggi, atti aventi forza di legge ed atti risultanti dal referendum abrogativo) non possono
né abrogare né modificare una legge ordinaria o un atto avente forza di legge secondo l’Art. 4 delle
Preleggi. Inoltre, mentre le fonti di rango primario sono previste dalla Costituzione, che ne disciplina la
forma e l’efficacia, le fonti di rango secondario costituiscono un sistema di fonti aperto poiché regolate da
leggi.

Circa la disciplina dei regolamenti si può notare come la Costituzione ne faccia riferimento esclusivamente
all’Art. 87 in relazione ai poteri del Presidente della Repubblica (potere di emanare i regolamenti) indi per
cui l’attività regolamentare del Governo è stata disciplinata per intero con la legge 400/1988, mentre la
disciplina dell’attività regolamentare statale e regionale sarà il frutto della legge costituzionale 3/2001 che
ha operato sulla Costituzione revisionandone il titolo V, che darà largo spazio alla ripartizione della potestà
regolamentare di Stato e Regioni→Principio del parallelismo tra funzioni legislative e regolamentari.

L’Art. 17 della legge 400/1988 si pone come norma sulla produzione di tali fonti. Chiarisce il procedimento
di formazione dei regolamenti, ossia, che ogni regolamento prende avvivo dalla proposta di uno o
dell’intero dal Consiglio dei Ministri, successivamente viene sottoposto al parere, obbligatorio ma non
vincolante del Consiglio di Stato, che avrà 45 gg di tempo per pronunciarsi – (il Governo può anche
discostarsene). Scaduti i 45 gg, il regolamento verrà adottato sulla base di una delibera del Consiglio dei
Ministri. Verrà emanato con la forma del decreto del P.d.R. e per acquisire efficacia verrà sottoposto al
controllo della Corte dei Conti per poi esser pubblicato sulla Gazzetta ufficiale.

Inoltre, l’Art. 17, definisce le varie tipologie di regolamenti:

• REGOLAMENTI DI ESECUZIONE: sono quei regolamenti finalizzati all’esecuzione delle leggi, dei
decreti legislativi (non dei decreti-legge poiché essendo immediatamente efficaci non hanno

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bisogno di un regolamento che ne disciplini l’utilizzo) e dei regolamenti comunitari (regolamenti UE),
in quanto offrono degli strumenti tecnici utili per rendere applicabile la normativa che è comunque
già efficace; 


• REGOLAMENTI DI ATTUAZIONE E DI INTEGRAZIONE: sono quei regolamenti finalizzati ad


attuare ed integrare quelle leggi e quei decreti legislativi che pongono in essere delle norme di
principio che vanno integrate con una normativa di dettaglio disciplinata dal regolamento, indi per
cui questi regolamenti non possono essere adottati in quelle materie di legislazione concorrente
quando la disciplina di dettaglio è riservata dalla Costituzione alla Regione; 


• REGOLAMENTI AUTONOMI (O INDIPENDENTI): sono quei regolamenti che si occupano della


disciplina di quelle materie che non sono regolate da leggi, in questo senso si potrebbe parlare di
una compromissione del principio di legalità poiché si tratta di una fonte secondaria che disciplina
una materia in via primaria ma non è così in quanto questi regolamenti sono soggetti al rispetto di
eventuali riserve di legge, inoltre il loro ambito di applicazione è ristretto solamente a materie non
ancora disciplinate;

• REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE: si differenziano dai regolamenti di attuazione ed


integrazione per la specificità della materia nella quale intervengono, in questo senso sono dei
regolamenti che si occupano di disciplinare l’organizzazione ed il funzionamento dei pubblici uffici,
nel rispetto delle disposizioni di legge; 


• REGOLAMENTI AUTORIZZATI (o di DELEGIFICAZIONE):sono quei regolamenti che


sostituiscono una norma di rango legislativo (delegificazione), ciò sostanzialmente per due motivi: il
primo riguarda la rilevanza istituzionale che ha assunto il Governo il quale potrà occuparsi
direttamente della disciplina di determinati settori, il secondo collegato al processo decisionale (la
delegificazione fa sì che l’approvazione e le eventuali modifiche del regolamento seguano delle
procedure più veloci rispetto alle procedure parlamentari di approvazione e revisione della legge).
Questi regolamenti vengono definiti autorizzati proprio perché autorizzati tramite una legge (LEGGE
DI AUTORIZZAZIONE) dal Parlamento. La delegificazione produce una fittizia successione tra una
legge ed un regolamento, purché la materia disciplinata non sia coperta da riserva assoluta di legge 


• REGOLAMENTI DI RIORDINO NORMATIVO:sono quei regolamenti finalizzati a facilitare il compito


degli operatori del diritto poiché si occupano di abrogare esplicitamente quei regolamenti che non
sono più in vigore e quindi risultano obsoleti e superati. 

TESTI UNICI COMPILATIVI → Raccolte di pluralità di atti normativi preesistenti e riguardanti un
medesimo oggetto che hanno lo scopo di coordinare le varie normative succedutesi nel tempo, per
agevolare l’applicazione della stessa disciplina. 

Negli ultimi decenni la legislazione amministrativa si è estesa e ramificata man mano che i pubblici
poteri hanno assunto nuovi compiti in campo sociale ed economico. Tale produzione ha poi
acquisito una dimensione patologica, tanto che l’inflazione legislativa e il disordine normativo sono
dovuti anzitutto al cattivo funzionamento del parlamento, riconducibile a fattori collegati alla doma di
governo, come l’instabilità politica e la scarsa coesione delle maggioranze di governo. 


Le leggi amministrative organiche frutto di un disegno coerente sono sempre meno frequenti; prevalgono
invece gli interventi normativi estemporanei, limitati a modifiche puntuali, spesso mal coordinate, di testi
legislativi previgenti.

A partire dagli anni ’90 è cresciuta la consapevolezza della necessità di promuovere un riordino della
legislazione, almeno nelle materie più rilevanti e si è prima di tutto cercato di istituzionalizzare questo tipo

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di attività, prevedendo a cadenza annuale un disegno di legge per la semplificazione e il riassetto


normativo.

Lo strumento di riordino più tradizionale è costituito dai testi unici, che accorpano e razionalizzano in un
unico corpo normativo le disposizioni legislative vigenti che disciplinano una certa materia. Si distinguono
due tipi:

1. INNOVATIVI: sono emanati sulla base di un’autorizzazione legislativa che stabilisce i criteri del riordino;
essi sono fonti del diritto in senso proprio, nel senso che sono atti a innovare il diritto oggettivo e
determinano l’abrogazione delle fonti legislative precedenti;

2. MERAMENTE COMPILATIVI: sono emanati su iniziativa autonoma del Governo e hanno solo la
funzione di unificare in un unico testo le varie disposizioni vigenti, rendendo più semplice il loro
reperimento.

DIFFERENZA TRA I REGOLAMENTI GOVERNATIVI ED I REGOLAMENTI PARLAMENTARI:


I Regolamenti Governativi sono fonti di rango secondario ed in quanto tali subordinate alle fonti di rango
primario. I suddetti regolamenti possono essere emanati dal Presidente del Consiglio oppure dal singolo
ministro, nel caso in cui la materia oggetto del regolamento sia di competenza del ministro, ma soprattutto
in quanto fonti secondarie, il limite implicito dei regolamenti governativi è la riserva di legge. Infine, i
regolamenti governativi non sono disciplinati dalla Costituzione ma sono disciplinati dalla legge 400/1988.
I Regolamenti Parlamentari invece sono delle fonti di rango primario, emanati da ciascuna camera che
regolano l’organizzazione ed il funzionamento delle Camere, inoltre non sono soggetti al controllo della
Corte costituzionale poiché riguardano esclusivamente la sfera parlamentare.

Regolamenti Regionali (vedi Art. 117)→Potestà regolamentare tra Stato e Regioni: principio del
parallelismo tra funzioni legislative e funzioni regolamentari.

DOMANDA

REGOLAMENTI INDIPENDENTI
Si definiscono regolamenti indipendenti quelle fonti secondarie con le quali l’organo esecutivo interviene
su materie o gruppi di materie che presentano una lacuna a livello legislativo e che quindi non avrebbero
copertura dal punto di vista disciplinare.
Sono tali quei regolamenti governativi che intervengono su materie non normate, ovvero prive di una
precedente copertura legislativa.
Ovviamente, questo genere di regolamenti ha posto non infondati dubbi di legittimità costituzionale con
riguardo alla compatibilità con il principio di legalità, in particolare con quell’accezione “forte” di legalità, che
impone una precisa determinazione dei limiti, del contenuto e delle procedure del regolamento.

FONTI DI TERZO GRADO


Le fonti di terzo grado sono rappresentate dai REGOLAMENTI MINISTERIALI ed i REGOLAMENTI
INTERMINISTERIALI.

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Circa i regolamenti ministeriali bisogna dire che essi sono degli atti normativi che, secondo quanto stabilito
nell’Art. 17 della legge 400/ 1988, sono posti in essere dai singoli ministri nelle materie di competenza dei
loro dicasteri, inoltre bisogna sottolineare come le suddette fonti possano essere emanate solo nel caso in
cui una legge ne autorizzi espressamente l’intervento.

Circa i regolamenti interministeriali, essi vengono posti in essere al fine di disciplinare materie di
competenza di più ministri e soprattutto al pari dei regolamenti ministeriali, i regolamenti interministeriali
necessitano di una previa autorizzazione legislativa.

Da un punto di vista gerarchico, i regolamenti ministeriali ed i regolamenti interministeriali non possono


emanare delle norme contrarie a quelle dettate dai regolamenti governativi e dalle leggi, inoltre per quanto
riguarda il procedimento di adozione dei suddetti regolamenti, si necessita del parere, obbligatorio ma non
vincolante, del Consiglio di Stato.

Successivamente tali atti verranno comunicati al Presidente del Consiglio il quale potrà sospendere
l’adozione dei regolamenti ministeriali ed interministeriali relativi a questioni politiche ed amministrative, al
fine di sottoporti al Consiglio dei Ministri durante la riunione successiva. In seguito, verrà eseguito il
controllo della Corte dei Conti ed infine avverrà la pubblicazione del decreto ministeriale/interministeriale
sulla Gazzetta Ufficiale.

GLI ATTI DI REGOLAZIONE sono posti in essere dalle Autorità Amministrative Indipendenti,
talvolta ascrivibili alla categoria dei regolamenti, altre volte a quella degli atti amministrativi generali.
Devono essere:
• -  Impugnabili davanti al giudice amministrativo;
• -  Adottati con le forme e i metodi di consultazione dei portatori di interessi; 


• -  Adottati secondo appositi percorsi tali da valutarne l’utilità;


• -  Funzionali al loro inserimento organico all’interno del Testo unico della materia;
• -  Pubblicati nella Gazzetta Ufficiale. 


DOMANDA

LE CONSUETUDINI 

Le consuetudini rientrano tra le fonti fatto e rappresentano comportamenti che nascono in maniera
spontanea all’interno della società e nel corso del tempo diventano delle vere e proprie regole. Tale
meccanismo avviene tramite l’individuazione di due elementi:
• Materiale/Oggettivo → La ripetizione costante e generalizzata di un determinato comportamento nel
tempo;

• Psicologico/Soggettivo → Quella convinzione, che nasce pian piano in ogni singolo componente della
comunità, che porta a ritenere quel determinato comportamento legato ad un vincolo giuridico (una sorta di
effetto domino della presa di coscienza).

Le consuetudini vengono anche definite “usi” e si distinguono in:


1. Consuetudini Proprie, ossia quelle consuetudini che hanno valore giuridico; 


2. Consuetudini Improprie le quali non hanno valore giuridico. 


In linea generale le tipologie di consuetudini riconosciute dal nostro ordinamento sono:


• Le consuetudini SECUNDUM legem: possono operare soltanto laddove le leggi oppure i
regolamenti lo richiedano esplicitamente; 


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• Le consuetudini PRAETER legem: possono operare nelle materie non ancora regolate da leggi
oppure regolamenti, sempre che le stesse materie non siano coperte da una riserva di legge; 


• Le consuetudini CONTRA legem: contrastano con le leggi ed i regolamenti ed in ragione della loro
collocazione all’ultimo posto della gerarchia delle fonti, non possono operare; 

Nel nostro ordinamento troviamo anche le CONSUETUDINI COSTITUZIONALI: sono quelle
consuetudini che conferiscono o disciplinano l’esercizio di un potere costituzionale il quale non è
stato disciplinato esplicitamente. In particolare, bisogna sottolineare come le consuetudini
costituzionali, a differenza delle normali consuetudini, non si collochino nell’ultimo gradino della
gerarchia delle fonti poiché potendo integrare la Costituzione assumono il grado di fonti di rango
costituzionale. 

Particolare attenzione va alle critiche: bisogna distinguere il concetto di regolarità che legata al
concetto di consuetudine, da quello di regola (soprattutto nel caso delle costituzionali), proprio
perché la regolarità sta ad indicante la reiterazione del comportamento preso in esame, e non va
confusa con le Convenzioni Costituzionali → quest’ultime non integrano una regola giuridica,
piuttosto una “regola politica” (es. partito politico che scegli il personale interno maggiormente
ritenuto idoneo a ricoprire una determinata carica come Ministro) 

Fanno parte del nostro ordinamento anche le CONSUETUDINI INTERNAZIONALI, a tal proposito
bisogna fare riferimento all’Art. 10 della Costituzione il quale stabilisce che “l’ordinamento giuridico
italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute” e questo
significa che in presenza di una consuetudine internazionale, il nostro ordinamento recepirà una
norma dal contenuto corrispondente, successivamente sarà posizionata all’interno delle fonti di
rango costituzionale. 

In questo senso quindi, il meccanismo previsto dall’Art. 10 della Costituzione permette un
adattamento automatico del nostro ordinamento alle consuetudini internazionali: 


Cosiddetto “Rinvio mobile”.



CONSUETUDINI IMPROPRIE → Non assumono valore normativo, si distinguono in:
• Interpretative = rappresentate dalla costante interpretazione che gli operatori del diritto danno ad
una disposizione di legge;

• Facoltizzanti = consentono dei comportamenti non diversamente vietati da altre fonti-atto scritte,
ovvero un soggetto avrà la facoltà di tenere un determinato comportamento che, sebbene non
vietato, non può ritenersi obbligatorio.

DOMANDA
Cosa sono le leggi speciali?

LEGGI SPECIALI
leggi speciali sono quelle norme che regolano determinate materie o situazioni particolari, o che sono
rivolte a categorie di soggetti ben precise. Il criterio di specialità risolve l'antinomia che si crea tra due
disposizioni normative. Questo criterio stabilisce la preferenza della legge speciale su quella avente
carattere generale, anche se successiva. cioè "la legge speciale deroga quella generale, la legge generale
posteriore non deroga la precedente speciale". ESEMPIO: in una situazione di un particolare contratto
bancario: una norma di diritto privato regola disposizioni inerenti il contratto in generale, mentre il diritto
bancario prevede nello specifico quella particolare circostanza del caso, quest'ultima norma (bancaria)
speciale deroga e prevale sulla norma (dir. privato) generale.

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LE FONTI EXTRASTATALI
• L’ordinamento italiano si basa sul principio di apertura verso l’esterno, ne sono dimostrazione l’Art.
10 della Costituzione il quale stabilisce “l’adattamento automatico” del nostro ordinamento alle
consuetudini internazionali, oppure ancora l’Art. 11 il quale stabilisce che in condizioni di parità con
gli altri Stati, l’Italia consente di subire delle limitazioni della propria sovranità al fine di assicurare la
pace e la giustizia tra le nazioni. 

Ma come si recepiscono le norme del diritto internazionale nel diritto interno? 

DIRITTO INTERNAZIONALE GENERALMENTE RICONOSCIUTO→Attraverso “l’adattamento
automatico” che viene riconosciuto nel primo comma dell’Art. 10 il quale stabilisce che
l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente
riconosciute quindi che in presenza di una consuetudine internazionale, il nostro ordinamento
recepirà una norma dal contenuto corrispondente al contenuto della consuetudine internazionale,
posizionata all’interno delle fonti di rango costituzionale. Limiti all’ingresso delle norme nel sistema
interno sono i principi fondamentali dell’ordinamento. 

DIRITTO INTERNAZIONALE PATTIZIO→Costituito dai trattati internazionali, ossia dagli accordi
conclusi tra gli Stati che si impegnano reciprocamente in determinati settori di comune interesse
secondo l’antica formulazione latina” pacta sunt servanda” (i patti vanno rispettati). 

L’ITER per la stipula di un trattato prende avvio con la fase della

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• 1) NEGOZIAZIONE che si conclude con la


• 2) FIRMA dei rappresentanti degli Stati. In seguito a ciò, prende avvio la procedura nazionale
finalizzata a recepire il trattato: nel nostro ordinamento è prevista la
• 3) LEGGE DI AUTORIZZAZIONE ALLA RATIFICA, con tale provvedimento il Parlamento autorizza
i PdR a procedere con la
• 4) RATIFICA del trattato. Per perfezionare la procedura, seguirà lo
• 5) SCAMBIO DELLE RATIFICHE tra i rappresentanti degli Stati, ed infine sul versante nazionale si
dovrà procedere
• 6) all’ESECUZIONE del trattato. 

Bisogna sottolineare come, secondo uno dei più illustri professori del diritto internazionale, Giovanni
Quadri, le norme dei trattati internazionali per esplicare i loro effetti nel diritto 

interno seguano l’attuazione di due meccanismi: l’ordine di esecuzione e l’esecuzione in forma
ordinaria.
L’ORDINE DI ESECUZIONE → È una formula standard che si inserisce nella legge attraverso cui il
Parlamento deve autorizzare la ratifica dei trattati internazionali. A tal proposito risulta funzionale fare
riferimento all’Art. 80 della Cost. il quale stabilisce che la ratifica dei trattati internazionali aventi natura
politica o che prevedano arbitrati o regolamenti giudiziari oppure che importano modifiche del territorio
oppure ancora oneri alle finanze oppure modificazioni di leggi, necessita dell’autorizzazione del Parlamento
tramite legge, poiché il Parlamento deve poter controllare cosa stia accettando il Governo sul piano
internazionale.

Bisogna sottolineare come all’interno della legge di autorizzazione alla ratifica del trattato internazionale vi
è un Art. che recita così “piena ed intera esecuzione sia data al trattato allegato” e si allega il trattato
internazionale (è questo l’ordine di esecuzione), in questo modo le norme del trattato internazionale
divengono delle norme del diritto italiano.

In verità però il suddetto sistema (l’ordine di esecuzione) può essere utilizzato solo quando il trattato è
sufficientemente determinato (AUTOAPPLICATIVO), quando invece il trattato per essere applicato ha
bisogno di maggiori specificazioni allora viene utilizzato il MECCANISMO DELL’ESECUZIONE IN FORMA
ORDINARIA che consiste nell’approvazione di una legge o di una fonte di rango diverso (regolamento,
legge costituzionale) che riproduce, specificando ove necessario, le norme del trattato, rendendole fonte
interna dello Stato.

Nel l’eventualità di una disposizione interna in contrasto con il trattato internazionale, le norme di
esecuzione potranno assumere il valore di “Norme Interposte” nel giudizio di legittimità costituzionale→In
questo modo, eventuali norme interne contrastanti con norme pattizie recepite saranno da considerarsi
illegittime per violazione della Costituzione, secondo il modello del parametro interposto.

LE NORME DEI PATTI LATERANENSI → La nostra Costituzione riconoscendo l’indipendenza e la


sovranità tanto dello Stato quanto della Chiesa cattolica, ciascuno nel proprio “ordine”, attribuisce a
quest’ultima la dignità di ordinamento giuridico.

In ragione di ciò, le relazioni tra lo Stato e la Chiesa, al pari di quanto avviene nei confronti degli altri
ordinamenti esterni a quello nazionale, ricevono una disciplina che assume rilievo su versanti differenti
(extranazionale e nazionale).

Prima di parlare dei rapporti fra il nostro ordinamento e gli altri ordinamenti esterni bisogna quindi fare
riferimento in particolare al rapporto che intercorre tra Stato e Chiesa. Funzionale fare riferimento all’Art. 7
della Costituzione il quale stabilisce che lo Stato e la Chiesa sono indipendenti e sovrani, ognuno nel suo
ordine; mentre l’Art. 8 stabilisce che i

rapporti tra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano sono regolati dai Patti Lateranensi (1929), composti da tre
atti normativi: il trattato, il concordato e la convenzione finanziaria.

In verità, prevedendo che i rapporti tra lo Stato e la Chiesa si sarebbero evoluti nel corso del tempo, nel
secondo comma dell’Art. 7 viene evidenziato il principio concordatario secondo il quale i Patti lateranensi

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sarebbero potuti essere modificati soltanto in maniera bilaterale, ossia attraverso un ulteriore accordo tra lo
Stato e la Chiesa. Nell’ordinamento giuridico italiano la religione cattolica ha una preminenza rispetto ad
altre religioni, la quale però non deriva dal fatto che sia la religione di Stato ma dall’essere la confessione
religiosa a cui aderiscono la maggior parte degli italiani.

A tal proposito, l’Art. 8 della Costituzione afferma che tutte le confessioni religiose sono egualmente libere
davanti alla legge e la particolarità della suddetta espressione sta nel fatto che tutte le confessioni religiose
non sono uguali di fronte alla legge, ma possono essere professate liberamente all’interno del territorio
dello Stato italiano ed hanno diritto di organizzarsi con i propri statuti a patto che non contrastino con
l’ordinamento giuridico italiano.

LE FONTI DELL’UNIONE EUROPEA


L’Unione Europea è un’istituzione extra statale sviluppata come ordinamento autonomo, sovranazionale,
dotata di propri organi ed in grado di adottare atti normativi vincolanti per gli stati che ne fanno parte = il
diritto europeo (o comunitario). In modo particolare, il diritto europeo può essere suddiviso in primario e
secondario, ovvero originario e derivato:

• Il diritto originario fa riferimento a quell’insieme di Trattati Istitutivi (TUE, TFUE). Allegati figurano
numerosi protocolli e dichiarazioni su tematiche specifiche, come la Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea. Insieme formano una vera e propria sorta di “Costituzione” dell’Unione – non
lo è realmente: l’UE non è uno Stato; 


• Il diritto derivato fa riferimento a tutti gli atti normativi previsti e disciplinati dagli stessi Trattati
istitutivi adottati dagli organi dell’Unione, nell’ambito di competenze ad essa riservate e seguendo
dei processi decisionali autonomi rispetto a quelli degli Stati membri. 


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LE COMPETENZE DELL’UNIONE EUROPEA: 



L’esercizio dei poteri normativi da parte dell’UE, finalizzato all’adozione degli atti di diritto derivato, risulta
circoscritto dal principio di attribuzione, in virtù dei quali gli Stati membri non hanno conferito all’UE delle
competenze di natura generale ma solo quelle specificatamente indicate nei Trattati. In questo senso, l’Art.
5 del TUE stabilisce che: “L’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite
dagli Stati membri nei trattati, per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non
attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri.”

Questa condizione però non si applica rigidamente, basti pensare alla clausola di flessibilità in virtù della
quale le Istituzioni Europee possono adottare le disposizioni che ritengono più appropriate, se finalizzate ad
uno degli obiettivi previsti dai Trattati.

Teoria Dei Poteri Impliciti → L’attribuzione di una determinata competenza all’UE comporta anche il potere
di adottare tutte le misure indispensabili per assicurare un esercizio efficace ed appropriato di tale
competenza; con la conseguenza di fatto, di ampliare il raggio d’azione dell’Unione.

I Trattati individuano 3 tipi di competenze normative dell’UE:

• Competenze Esclusive→Riguardano settori tassativamente indicati nei Trattati, nei 



quali gli Stati membri non possono intervenire se non autorizzati dalla stessa UE; 


• Competenze Concorrenti→Hanno carattere residuale, trattano materie che non ricadono


esclusivamente in uno dei due ambiti. Di norma l’intervento compete gli Stati membri, quello dell’UE
viene considerato straordinario; 


• Competenze Di Sostegno, Coordinamento o Completamento dell’azione degli Stati


Membri→Trattano settori specificatamente indicati nei Trattati, l’UE può intervenire con
provvedimenti finalizzati al sostegno, coordinamento [...] a patto che tali attività seguano le finalità
europee in tali settori. 


DOMANDA
FONTI VINCOLANTI E NON VINCOLANTI
Art. 228 TFUE - Circa gli ATTI NORMATIVI dell’Unione europea bisogna distinguere:

• NON VINCOLANTI → Le raccomandazioni ed i pareri (non pongono vincoli giuridici);

• VINCOLANTI → I regolamenti, le direttive e le decisioni (pongono vincoli giuridici);

• Le RACCOMANDAZIONI sono definiti atti d’indirizzo, con i quali si invitano i destinatari


a

tenere un determinato tipo di comportamento, non creano un vincolo giuridico.


• I PARERI sono atti tramite cui ogni organo dell’UE può esporre il proprio punto di vista.

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• I REGOLAMENTI sono delle fonti aventi portata generale e che in quanto tali sono
immediatamente applicabili in ciascuno degli Stati membri e vincolano tutti i destinatari ad
una applicazione completa ed assoluta. I regolamenti prevalgono sulle leggi nazionali
eventualmente contrastanti. Inoltre, va detto che vincolando ogni Stato Membro, i
regolamenti sono delle fonti comunitarie che operano sia in senso verticale, cioè nei
confronti degli altri organi dell’UE e degli Stati, ma anche in senso orizzontale, ossia nei
confronti di tutti i soggetti che operano all’interno dell’UE. 


• Le DIRETTIVE sono delle fonti non immediatamente applicabili poiché necessitano di un


atto interno prima che lo Stato le recepisca ed in linea di principio operano solo in senso
verticale (stati e organi dell’UE), in base a quanto detto quindi le direttive sono degli atti
normativi che obbligano uno o più stati membri a raggiungere un determinato risultato in un
margine di tempo stabilito lasciando loro la scelta degli strumenti utili (leggi interne) per il
raggiungimento di tali obiettivi. Inoltre, nel caso in cui lo Stato non raggiunga l’obiettivo nel
tempo prefissato potrà essere condannato per inadempimento legislativo.

• Le DECISIONI sono degli atti normativi obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente
applicabili. Si discostano dai regolamenti poiché le decisioni non hanno portata generale ma
sono indirizzate a destinatari determinati. Con il Trattato di Lisbona, sono state introdotte le
Decisioni Senza Destinatari che servono a dettare disposizioni di portata generale i cui effetti
però non ricadono direttamente sugli Stati (sono atti legislativi a tutti gli effetti).

ATTI NORMATIVI DELEGATI → Spesso i regolamenti o le direttive presentano solo i tratti essenziali
della materia, poiché l’UE non si sofferma nello specificare ogni aspetto della disciplina in questione. Per
compensare questa mancanza, l’Art. 290 dell’TFUE permette che tali atti legislativi possano delegare alla
Commissione il potere di emanare provvedimenti capaci di integrare determinati elementi non essenziali
dell’atto legislativo (seguendo specifiche condizioni cui è soggetta la delega e fissando precisi limiti per gli
atti normativi delegati). Da notare che nonostante siano “atti non legislativi” in concreto assumano carattere
normativo a tutti gli effetti: regolamenti delegati/direttive delegate.

Rispetto al rapporto tra ordinamento interno nazionale ed ordinamento comunitario, la nostra Costituzione
non presentava alcun riferimento esplicito e diretto e per molto tempo si è fatto riferimento esclusivamente
all’interpretazione dell’Art. 11, dove viene redatto il principio di apertura del nostro ordinamento giuridico.
Solo con la riforma del 2001 è stato inserito il concetto di “ordinamento comunitario” nell’Art. 117,
conferendo maggiore chiarezza al nostro sistema giuridico.

Circa la risoluzione delle antinomie tra le fonti comunitarie europee e le fonti interne bisogna dire che in
caso di antinomia normativa tra una fonte del diritto comunitario europeo ed una fonte del diritto interno di
uno Stato, bisogna applicare la fonte del diritto comunitario europeo (regolamento) disapplicando la norma
del diritto interno dello Stato, secondo quanto stabilito dalla famosa sentenza 170 dell’1984. Lasciando in
vita due norme contrastanti, seppur una non applicata, potrebbe crearsi confusione → nel 1995 la Corte ha
stabilito che quando vi è contrasto tra la legge nazionale ed il regolamento europeo, bisogna fare
riferimento alla sentenza la Pergola, la quale stabilisce la disapplicazione della fonte del diritto interno
(legge nazionale). Ove non vi fosse urgenza d’applicazione della norma, è

consigliato attendere l’emanazione della sentenza da parte della Corte; così facendo si eviteranno inutili
confusioni dei cittadini e dei magistrati.

Possiamo distinguere all’interno delle fonti dell’UE due tipologie, quelle:

• Direttamente Applicabili → Regolamenti e Decisioni, prevalgono sempre e comunque su eventuali


disposizioni nazionali con queste contrastanti. La Corte è arrivata ad ammettere la forza che tali
norme hanno di apportare delle deroghe costituzionali, purché non siano dirette ad uno dei principi
fondamentali;

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• Non Direttamente Applicabili → Direttive, non prevalgono immediatamente e direttamente sulla


legislazione nazionale, impongono solo un generale obbligo di risultato e di conseguenza resta
assegnato agli Stati membri il modo in cui raggiungere tale scopo, sempre nei termini già
prestabiliti.

• La Corte costituzionale con la sentenza 170/1984 ha stabilito anche che “in caso di antinomie, la
prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno non è sempre valida; ciò avviene
esclusivamente nel caso in cui la norma comunitaria non violi i principi fondamentali della
Costituzione”. Tutto ciò al fine di proteggere il “nucleo dure” del nostro impianto costituzionale. In
questo modo la Corte ha precisato la possibilità di ricorrere alla c.d. teoria dei
CONTROLIMITI→Consiste nella verifica di costituzionalità relativa alla compatibilità della normativa
eurounitaria con la parte intangibile del nostro ordinamento costituzionale. Nel caso in cui ciò
avvenisse, la Corte non agirà sull’intera normativa contrastante, ma esclusivamente dichiararne
l’incostituzionalità “nella parte in cui...”

• Infine, per evitare che il legislatore nazionale, in modo caotico e casuale, sia chiamato ad
intervenire con singoli provvedimenti, ogni qual volta venga emanata una direttiva da parte dell’UE,
il nostro ordinamento si è munito di appositi strumenti normativi funzionali al costante e periodico
ricevimento delle normative eurounitarie. 

Con la legge 234/2012 sono stati individuati due provvedimenti: 


• -  LEGGE DI DELEGAZIONE EUROPEA→Su iniziativa del Governo, deve essere


presentata entro il 28 febbraio di ogni anno e contiene le deleghe legislative e le
autorizzazioni regolamentari finalizzate a conferire all’esecutivo gli strumenti necessari per il
ricevimento delle normative UE; 


• -  LEGGE EUROPEA→Non prevede nessuna scadenza, è un provvedimento che modifica


e/o abroga precedenti leggi nazionali in contrasto con obblighi dell’UE. Contiene i
presupposti per l’esercizio del potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni che
non prevedono l’attuazione degli atti normativi eurounitari nelle materie di loro competenza o
che non provvedono all’attuazione degli accordi internazionali. 


LA GIUSTIZIA COSTITUZIONALE
DOMANDA

CORTE COSTITUZIONALE
Nel sistema giuridico italiano la Corte Costituzionale è il maggiore organo di garanzia della Costituzione
repubblicana e la sua esistenza è intimamente connessa alla rigidità della nostra Costituzione. Circa la
composizione della Corte costituzionale bisogna fare riferimento all’Art. 135 della Costituzione il quale
stabilisce che la Corte è formata da 15 giudici dei quali 1/3 nominati dal Presidente della Repubblica, 1/3
nominati dal Parlamento in seduta comune ed 1/3 dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative:
3 dalla Corte di cassazione, 1 dal Consiglio di Stato e 1 dalla Corte dei conti.
Precedente della corte costituzionale italiana è stata L’Alta Corte della Regione Siciliana, successivamente
soppressa. All’indomani del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, le forze politiche non erano

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concordi in merito ai caratteri dell’organo di garanzia del futuro ordine costituzionale. Solo nel 1955 il
Parlamento trovò l’accordo per l’elezione dei giudici di propria spettanza, il 23 gennaio 1956 la Corte
s’insediò.
Per GIUSTIZIA COSTITUZIONALE, s’intende un sistema di controllo giurisdizionale del rispetto della
Costituzione, nonché principale garanzia della rigidità della Costituzione. In Italia è organizzata su un
giudizio successivo, ovvero che investe leggi già in vigore, accentrato in quanto è l’unico organo a svolgere
tale ruolo, indiretto poiché non sono i singoli cittadini ma soltanto i Giudici a poterla investire.
La Corte, in virtù della potestà di autoregolamentazione, con l’Art. 14 della legge n. 87/1953, si è data
norme integrative per i giudizi davanti alla Corte Costituzionale e per quelli d’accusa, un regolamento
generale ed altri regolamenti concernenti uffici e personale.

L’Art. 135 della Cost. ci illustra la COMPOSIZIONE della Corte:


Il numero dei giudici è pari a 15, nominati per 1/3 dal Presidente della Repubblica, per 1/3 dal Parlamento
in seduta comune con scrutinio segreto a maggioranza dei 2/3 dei componenti, ed infine 1/3 eletto dalle
supreme magistrature ordinarie ed amministrative.

I giudici sono scelti tra i magistrati, anche a riposo, delle giurisdizioni superiori ordinarie ed amministrative, i
professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno 20 anni di esercizio. Tale
composizione della Corte viene definita “ORDINARIA”.
Ma possiamo avere anche la c.d. “composizione integrata” ovvero quando viene integrata per i giudizi
d’accusa nei confronti del P.d.R. da 16 giudici popolari scelti a sorte dalle liste compilate dal Parlamento.
Una volta nominati i giudici della Corte giureranno nelle mani del Capo dello Stato ed inizierà a decorrere il
loro mandato novennale. Nel caso in cui il giudice volontariamente e ingiustificatamente, si assentasse per
6 mesi dall’esercizio delle sue funzioni, è prevista la
misura della DECADENZA. Inoltre, vige l’incompatibilità sia con le cariche politiche elettive che con le
professioni o con attività inerenti ad una associazione o partito politico.
I giudici NON sono rieleggibili e godono di alcune prerogative quali:
• Inamovibilità → I giudici non possono essere sospesi o spostati se non con decisione della Corte,
presa a maggioranza dei due terzi dei presenti e solo per sopravvenuta incapacità fisica o civile o
per gravi mancanze nell’esercizio delle sue funzioni; 


• Insindacabilità → I giudici non sono sindacabili per le opinioni espresse e per i voti dati nell’esercizio
delle loro funzioni; 


• Immunità penale → Finchè durano in carica godono della stessa immunità accordata nel co. 2
dell’Art. 68 della Costituzione ai membri delle due Camere. 


• Idonea retribuzione e di diversi vantaggi→Hanno un trattamento economico che non può essere
inferiore a quello di magistrato ordinario investito delle più alte funzioni; 

La corte elegge il PRESIDENTE tra i suoi componenti, il quale rimane in carica per 3 anni ed è
rieleggibile. In caso di impedimento, il presidente viene sostituito dal Vicepresidente. Affinchè il
collegio possa validamente operare è necessaria la presenza di almeno 11 giudici, 21 nei giudizi
d’accusa. 

Svolge un ruolo di particolare importanza: può porre “nel nulla” leggi ed atti aventi forza di legge,
adottati dagli organi che traggono la propria legittimazione dal consenso popolare. 


FUNZIONI DELLA CORTE COSTITUZIONALE Art. 134 → Alla Corte ha il potere di:
• Sindacare sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti
aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni; 


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• Risolvere i conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, sui conflitti di attribuzione tra lo
Stato e le Regioni, sui conflitti di attribuzione tra le Regioni; 


• Gestire il giudizio d’accusa contro il Presidente della Repubblica; 


• Gestire il giudizio di ammissibilità dei referendum abrogativi. 



In base a quanto stabilito nell’Art. 134, quindi può essere chiamata a giudicare in ordine alla
conformità alla Costituzione di una legge o di un atto avente forza di legge in due modi: 


Il GIUDIZIO IN VIA PRINCIPALE attraverso il quale la questione di legittimità viene proposta direttamente
alla Corte costituzionale da parte dello Stato oppure della Regione (non nel corso del giudizio) ed il
suddetto giudizio ha lo scopo di dirimere i conflitti di competenze legislative tra lo Stato e le Regioni; 


Il GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE il quale si verifica quando un giudice nel corso di un giudizio (civile,
penale oppure amministrativo) ritenendo che la disposizione di legge 

oppure l’atto avente forza di legge sia in contrasto con una o più disposizioni costituzionali, solleva la
questione di costituzionalità dinnanzi alla corte costituzionale

Nel GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE, si presuppone lo svolgimento di un processo (requisito oggettivo)


davanti ad un qualsiasi giudice (requisito soggettivo) e se nel corso di questo processo le parti coinvolte o il
giudice d’ufficio stesso, dovessero dubitare della legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente
forza di legge, il giudice “a quo”, dopo aver verificato che la questione proposta sia rilevante (cioè
necessaria ai fini della decisione) e non manifestamente infondata (cioè dotata di un minimo di
fondamento), sospende il processo e investe, con un’ordinanza motivata, la Corte costituzionale.

Il GIUDIZIO IN VIA PRINCIPALE invece, può essere promosso dagli esecutivi di Stato, Regioni e Province
Autonome di Trento e Bolzano, quando si ritiene che una legge regionale eccede la sua sfera di
competenza oppure può verificarsi quando una regione ritiene che una legge o un atto avente valore di
legge dello Stato (o di un’altra regione) leda la sua sfera di competenza. Nel caso dell’impugnazione
governativa delle leggi regionali in via principale abbiamo un giudizio di costituzionalità successivo rispetto
all’entrata in vigore della legge mentre, nel caso del giudizio d’incostituzionalità sulle deliberazioni di
modifica degli Statuti regionali si svolge preventivamente rispetto all’entrata in vigore delle stesse.

DECISIONI ADOTTATE DALLA CORTE COSTITUZIONALE

DOMANDA
TIPOLOGIE DELLE SENTENZE
Le sentenze della Corte Costituzionale possono essere di diverso tipo e contenuto:

- sentenze di accoglimento con le quali la Corte Costituzionale, dopo aver compiuto una valutazione sulla
questione di costituzionalità, la accoglie, dichiarando pertanto incostituzionale la legge in esame.

Queste sentenze hanno efficacia erga omnes, ovvero nei confronti di tutti dal giorno successivo alla
pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale. Ciò implica che qualunque altro giudice che si trovi
ad applicare quella norma per decidere una controversia non potrà più utilizzarla, essendo stata ritenuta
incostituzionale.

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Di regola l’efficacia delle sentenze di accoglimento è irretroattiva, ossia incide solo sui rapporti che
nasceranno da quel momento in poi.

Esistono tuttavia delle eccezioni, in quanto le sentenze della Corte che invece retroagiscono ed esplicano i
loro effetti su situazioni ancora pendenti (si pensi ai giudizi in corso ossia a quelli chiusi con sentenza non
ancora passata in giudicato) oppure quando si tratti di giudizi conclusi con sentenza di condanna penale
irrevocabile, sulla base della legge che viene dichiarata incostituzionale.

- sentenze di rigetto con le quali la Corte Costituzionale, dopo aver effettuato il giudizio sulla questione di
costituzionalità della legge, ritiene il problema non fondato e pertanto riconosce che la legge rispetta la
Costituzione.

Queste sentenze non hanno un’efficacia erga omnes, ma solo tra le parti interessate dal giudizio di
costituzionalità; quindi la legge potrà essere applicata in altri giudizi e potrà altresì essere promosso
davanti alla Corte un altro giudizio di costituzionalità sulla stessa legge, purché fondato su motivazioni
diverse.

- sentenze interpretative, che hanno ad oggetto l'interpretazione data ad una legge.

Possono essere di accoglimento, quando la Corte dichiara l’incostituzionalità di una determinata


interpretazione della legge e ne impone una conforme alla Costituzione; di rigetto quando dichiara la legge
costituzionalmente legittima purché interpretata in un certo modo.

Queste sentenze hanno efficacia erga omnes.

- sentenze c.d. manipolative di accoglimento, con le quali la Corte rivede (“manipola”) il contenuto di una
legge, per evitare di dichiararla incostituzionale ed impedire così la formazione di un vuoto normativo nel
sistema.

Esse hanno efficacia erga omnes e si distinguono in base al tipo di intervento operato dalla Corte
in: additive, con le quali la Corte dichiara l'incostituzionalità della disposizione impugnata “nella parte in cui
non prevede” un qualcosa che invece dovrebbe prevedere; ablative, con le quali la Corte dichiara
incostituzionale la disposizione impugnata “nella parte in cui prevede” qualcosa che non avrebbe dovuto
prevedere; sostitutive, con le quali la Corte dichiara incostituzionale una disposizione nella parte in cui
prevede un qualcosa anziché prevedere un’altra cosa.

- sentenze di incostituzionalità parziale, con le quali la Corte elimina solo quella parte della legge
considerata incostituzionale. Queste sentenze hanno efficacia erga omnes.

DIFFERENZA SENTENZE DI RIGETTO e INTERPRETATIVE DI RIGETTO


allora le sentenze di rigetto servono per rigettare la questione sollevata dal giudice a quo (per esempio per
manifestata infondatezza) invece quelle interpretative di rigetto rigettano la questione indicando però al
giudice la chiave interpretativa da adoperare per interpretare la norma per la quale la questione è stata
sollevata in maniera che essa risulti conforme alla costituzione.

DOMANDA
PRINCIPIO DI RAGIONEVOLEZZA DELLE LEGGI
È un corollario del principio di uguaglianza [vedi], elaborato dalla Corte Costituzionale [vedi], prendendo
spunto da un analogo principio individuato dalla giurisprudenza anglosassone.
Il principio di Ragionevolezza delle leggi esige che le disposizioni normative contenute in atti aventi
valore di legge siano adeguate o congruenti rispetto al fine perseguito dal legislatore.
Si ha dunque violazione della Ragionevolezza delle leggi, quando si riscontri una contraddizione
all’interno di una disposizione legislativa, oppure tra essa ed il pubblico interesse perseguito.

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Il principio in esame costituisce dunque «un limite al potere discrezionale del legislatore», che ne
impedisce un esercizio arbitrario.
La verifica della Ragionevolezza delle leggi di una legge comporta l’indagine sui suoi presupposti di fatto,
la valutazione della congruenza tra mezzi e fini, l’accertamento degli stessi fini; a tal fine, si ricorre spesso
ai lavori preparatori della legge, alle circolari ministeriali esplicative, ai precedenti storici dell’istituto.
Nel caso si accerti l’irragionevolezza della legge, la stessa sarà affetta dal vizio dell’eccesso di
potere [vedi] legislativo, e, in quanto tale, potrà essere ritenuta costituzionalmente illegittima dalla Corte
costituzionale [vedi Illegittimità costituzionale].

IL CONTROLLO DI COSTITUZIONALITÀ DELLE LEGGI

Il controllo sulle Leggi viene esteso sia ai vizi formali derivanti dalla violazione di norme procedurali che ai
vizi materiali derivati dalla violazione dei limiti espliciti o in via di interpretazione posti dalla Costituzione.

Sono escluse dal sindacato di legittimità della corte le fonti – fatto. La Corte può quindi sindacare tutte le
leggi e gli atti aventi forza di legge direttamente collegati alle fonti dell’ordinamento generale.

Un caso particolare sono le SENTENZE INTERPRETATIVE di rigetto ovvero quando la corte dichiara
infondata la questione di legittimità costituzionale, non perché il dubbio di legittimità sollevato dal Giudice
non sia giustificato, ma perché esso si basa su una cattiva interpretazione della disposizione impugnata.

Nel novero delle SENTENZE DI ACCOGLIMENTO, la dottrina distingue pronunce nelle quali non si
interviene con l’annullamento nella sua interezza della disposizione censurata, ma si incide
“chirurgicamente” al fine di renderla conforme alla Costituzione. Possiamo avere:

• DI ACCOGLIMENTO PARZIALE: solo una parte del testo viene dichiarata illegittima, “nella parte in
cui”; 


• ADDITIVE: dichiara illegittima la disposizione nella parte in cui non prevede qualcosa che andava
invece costituzionalmente previsto, “nella parte in cui non prevede”; 


• SOSTITUTIVE: viene dichiarata l’illegittimità di una disposizione legislativa nella parte in cui
“prevede x anziché y”. 


POTERI CAUTELARI DELLA CORTE: 



Ha il potere di sospendere l’efficacia dell’atto impugnato, in modo da evitare che, pendente judicio,
possano prodursi effetti dannosi cagionati dall’esecuzione dello stesso atto.

La corte nel decidere deve valutare il fumus boni iuris e periculum in mora: il primo requisito sussiste
laddove l’esecuzione potrebbe produrre gravi danni; il secondo quando, sulla base di una prima sommaria
deliberazione, il ricorso appaia suscettibile di accoglimento. Resta impregiudicata la possibilità della Corte,
in sede di decisione definitiva, di cambiare orientamento in merito alla fondatezza del ricorso e di
discostarsi, dunque, dalla decisione resa in sede cautelare. 


I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE TRA I POTERI DELLO STATO: 



Sono lo strumento con cui un potere dello Stato può agire davanti alla Corte per difendere le proprie
attribuzioni costituzionali compromesse dal comportamento di una altro potere dello Stato. Per potere dello
Stato non si deve intendere esclusivamente uno dei tre tradizionali (esecutivo, legislativo e giudiziario) ma
deve intendersi anche il complesso di 


organi concorrenti nell’esercizio della medesima funzione. Per POTERE devono intendersi tutti i soggetti
che hanno un ruolo cioè una attribuzione assegnata dal testo costituzionale. Il conflitto può sorgere sia in
caso di usurpazione del potere sia per intralcio.

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I conflitti di attribuzione, il cui giudizio spetta alla Corte costituzionale ai sensi dell’art. 134 Cost., sono di
due diversi tipi: i conflitti tra poteri dello Stato (conflitti interorganici) e quelli tra Stato e Regioni o tra le
stesse Regioni (conflitti intersoggettivi).

I CONFLITTI INTERORGANICI - (legge n. 87/1953) Insorgono tra organi statali, cioè tra articolazioni
organizzative appartenenti al medesimo soggetto (lo Stato, appunto) e riguardano comportamenti (azioni e/
o omissioni) o atti lesivi delle attribuzioni costituzionalmente previste.

• Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, non sono ammessi conflitti meramente
ipotetici: è necessario che il comportamento (o l’atto) sia suscettibile di produrre una lesione
concreta dell’altrui attribuzione. 


• Per quanto riguarda la legittimazione ad essere parte (attore o convenuto) di un conflitto


interorganico, tale conflitto deve insorgere «tra organi competenti a dichiarare definitivamente la
volontà del potere cui appartengono» (l. n. 87/1953). 

La Corte costituzionale, comunque, ha ammesso la legittimazione di una serie di organi che va ben
al di là della tradizionale tripartizione (legislativo, esecutivo e giudiziario) risalente a Montesquieu
(Separazione dei poteri) e che pure, a stretto rigore, non sarebbero organi di vertice: oltre, infatti, ai
singoli rami del Parlamento, al Consiglio dei ministri e ad ogni singolo giudice e pubblico ministero
(con la motivazione che il potere giudiziario costituisce un potere diffuso, cioè non soggetto al
principio gerarchico→Magistratura), sono legittimati a un sollevare conflitto di attribuzione anche il
Presidente della Repubblica, la stessa Corte costituzionale, la Corte dei conti, il Consiglio superiore
della magistratura (nonché la sua Sezione disciplinare), le Commissioni parlamentari di inchiesta, il
Presidente del Consiglio dei ministri (solo per le attribuzioni di rilievo costituzionale a lui riservate), il
Ministro della giustizia, nonché, addirittura, figure esterne allo Stato-apparato, come il Comitato
promotore di un referendum abrogativo, anche se limitatamente per ciò che attiene allo svolgimento
del procedimento referendario. 


• Per ORGANO-POTERE s’intende un organo facente parte di un sistema organizzativo complesso,


che con le proprie determinazioni può impegnare in via definitiva il potere costituzionale cui
appartiene (es. potere giurisdizionale diffuso). 


• Per POTERE-ORGANO si intende, invece, un unico organo che non rientra nella tradizionale
tripartizione dei poteri, ma che svolge un’attribuzione costituzionalmente garantita (es. il Capo dello
Stato). 

È stata negata, invece, la legittimazione ai partiti politici. Per quanto riguarda gli atti, è stata esclusa,
in linea di massima, la possibilità di sollevare un conflitto di attribuzione nei confronti di un atto
legislativo, con qualche parziale e recente ripensamento da parte dello stesso giudice
costituzionale.

Il conflitto, oltre alle ipotesi-limite di VINDICATIO POTESTATIS, può più frequentemente assumere le forme
di conflitto da menomazione (un potere invade l'ambito di un altro) o da interferenza (due poteri reclamano
la stessa competenza).

Rimane infine da sottolineare come la pronuncia della Corte costituzionale riguardi sia l'atto impugnato sia,
per il tramite di esso, la competenza e l'attribuzione.

I CONFLITTI INTERSOGGETTIVI – (legge n. 87/1953), soggetti legittimati sono lo Stato (nella persona del
Presidente del Consiglio dei ministri o di un Ministro da lui delegato, previa deliberazione del Consiglio dei
ministri), la Regione (nella persona del Presidente della giunta regionale, previa deliberazione della Giunta
regionale), e le Province autonome di Trento e Bolzano (l. n. 87/1953 e art. 98, co. 2, dello Statuto del
Trentino-Alto Adige). Essi insorgono quando un ente ritiene che l’altro abbia invaso con un suo atto la sfera
di competenza assegnatagli dalla Costituzione. A differenza dei conflitti interorganici, non è ipotizzabile un

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conflitto intersoggettivo che abbia ad oggetto un’omissione, benché parte della dottrina sia di diverso
avviso: l’omissione, infatti, può essere valutata solo a condizione di considerarla «atto negativo». Anche in
questo caso, il conflitto deve essere reale e non ipotetico.
È invece escluso che possa essere oggetto di un conflitto intersoggettivo un atto legislativo. Nei conflitti
intersoggettivi, a differenza di quelli interorganici, il ricorso è soggetto al termine perentorio di sessanta
giorni, che decorre dalla notificazione o dalla pubblicazione dell’atto, ovvero dalla sua avvenuta
conoscenza.
Anche nel giudizio che risolve un conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni, così come quello tra poteri
dello Stato, oggetto del giudizio, per il tramite dell'atto, è la competenza, sia in astratto sia in concreto.
Particolare rilevanza presenta, nel giudizio di cui si sta trattando, il problema del contraddittorio. Soprattutto
dopo la riforma del titolo V della Costituzione, infatti, si è riconosciuta una sfera di competenze anche agli
enti locali subregionali, i quali rimangono privi di strumenti di tutela attivabili presso la Corte costituzionale.
IL GIUDIZIO DI AMMISSIBILITÀ DEI REFERENDUM ABROGATIVO:

L’attribuzione di questo tipo di sindacato alla Corte non deriva direttamente dal testo Costituzionale. È stato
introdotto con la legge cost. 1/1953 che recita “spetta alla Corte Costituzionale giudicare se le richieste di
referendum abrogativo presentate a norma dell’art. 75 siano ammissibili ai sensi del co.2 dello stesso
articolo”.
Possono partecipare alla discussione orale in camera di consiglio o presentando memorie il Presidente del
Consiglio dei Ministri, i delegati dei consigli regionali proponendi o i presentatori delle 500.000 firme del
corpo elettorale. Il referendum non è ammesso per leggi tributarie, leggi di bilancio, leggi di amnistia e
indulto o per leggi di ratifica dei trattati internazionali. La Corte decide sempre con sentenza entro il 10
febbraio successivo.

IL GIUDIZIO PENALE SUL CAPO DELLO STATO:


Sono quelle funzioni che la Corte svolge quando deve giudicare le accuse contro il P.d.R. Quest’ultimo è
messo in stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei suoi membri e
giudicato dalla Corte Costituzionale in composizione integrata da sedici membri tratti a sorte da un elenco
di cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità a senatore che il Parlamento compila ogni nove anni. I Giudici
aggregati godono dello stesso status dei membri togati della Corte.

A seguito della messa in stato d’accusa del parlamento, la deliberazione è preceduta da un’attività di
indagine svolta da un Comitato costituito dai membri delle Giunte per le immunità di Senato e della Camera
che dispone di un termine di 5 mesi prorogabile una sola volta di tre mesi, per acquisire e valutare il
materiale probatorio relativo alla notizia criminis. Al termine dell’attività di indagine il Comitato può:

• Ritenere palesemente infondata l’accusa e procedere con propria ordinanza all’archiviazione; 


• Presentare una relazione sulla messa in stato di accusa; 


• Dichiarare la propria incompetenza nel caso in cui il reato di cui si tratta non rientri tra 

quelli previsti dall’art.90 Cost. (ovvero alto tradimento o attentato alla Costituzione). 

Sulle conclusioni presentate dal Comitato, il Parlamento in seduta comune procede alla votazione: il
procedimento ha fine se nessuno presenta ordini del giorno favorevoli all’accusa, altrimenti la
messa in stato d’accusa deve essere approvata a maggioranza assoluta dei propri componenti con
l’indicazione degli addebiti e delle prove su cui si fonda l’accusa. In attesa del giudizio, il P.d.R. può
essere sospeso con ordinanza della Corte Costituzionale in via cautelare. La seconda fase
eventuale, si svolge di fronte alla Corte Costituzionale nella sua “composizione integrata”. 


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DOMANDA
REVISIONE COSTITUZIONALE ART.138 Cost.
Le norme per la revisione della Costituzione impongono tempi lunghi e vari passaggi. Perciò la revisione
della Costituzione, anche senza contrasti tra le forze parlamentari, non avviene mani in tempi brevi. Si
tratta di una forma di garanzia, atta a impedire uno stravolgimento della Costituzione
Anche il popolo italiano può esprimersi in modo diretto sulla revisione della Costituzione.
Le leggi costituzionali infatti possono essere sottoposte a referendum costituzionale.
Allo scopo di garantire che la revisione costituzionale sia frutto di una deliberazione ponderata e non di una
scelta estemporanea o della volontà delle sole forze di indirizzo politico di maggioranza, l’art. 138 Cost.
prevede che sia necessaria un doppia deliberazione di ciascuna Camera, con un intervallo minimo di tre
mesi tra la prima e la seconda deliberazione. Inoltre, la seconda deliberazione deve avvenire almeno a
maggioranza assoluta (ovvero con la metà più uno dei componenti). In caso di raggiungimento della
maggioranza assoluta, ma non di quella dei due terzi nella seconda votazione, il progetto di revisione
costituzionale viene pubblicato nella Gazzetta ufficiale.

I LIMITI DELLA REVISIONE COSTITUZIONALE. - Per quanto riguarda i limiti alla revisione costituzionale,
la dottrina distingue tra quelli c.d. espliciti e quelli c.d. impliciti. 
Limite esplicito è l’art. 139 Cost., che dichiara esplicitamente sottratta alla revisione costituzionale la forma
repubblicana dello Stato (Repubblica). 
Oltre a tale limite, vi sono poi, secondo la dottrina maggioritaria, ulteriori limiti impliciti.
In primo luogo, collegando l’art. 139 Cost. con l’art. 1 Cost., è stata ritenuta sottratta alla revisione
costituzionale non solo la forma repubblicana, ma anche quella democratica dello Stato (Forme di Stato e
forme di governo). Oltre a ciò, la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto che siano insuscettibili di
revisione costituzionale i principi supremi dell’ordinamento, cioè tutti quei principi che «appartengono
all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana», tra i quali vanno annoverati il
principio di sovranità popolare (art. 1 Cost.), quello di unità della giurisdizione costituzionale, quello di unità
e indivisibilità della Repubblica, quello di laicità dello Stato (Laicità dello Stato) ecc.

DOMANDA

LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE
Per “legittimità costituzionale” si intende la conformità alla Costituzione delle leggi e degli atti, aventi forza
di legge, dello Stato e delle Regioni.
Il controllo di legittimità costituzionale è effettuato dalla Corte Costituzionale.

Tale tipo di controllo presuppone la presenza di un ordinamento giuridico a costituzione rigida, che pone la
Costituzione su un grado superiore alle leggi nel sistema delle fonti del diritto.

Infatti, se la Costituzione fosse flessibile, ossia posta allo stesso livello delle leggi, un atto avente forza di
legge in contrasto con essa si limiterebbe ad abrogarne le parti contrastanti, secondo il meccanismo
generale della successione delle leggi nel tempo (lex posterior derogat priori: la legge successiva abroga la
precedente).

Invece, in presenza di una Costituzione rigida, la legge (o l’atto avente forza di legge) in contrasto con una
norma costituzionale si considera essere invalida, più precisamente affetta da illegittimità costituzionale o
incostituzionalità sotto il profilo formale o sotto il profilo sostanziale.

Il controllo di legittimità costituzionale può essere organizzato secondo due modelli: diffuso e accentrato.


Il modello diffuso è un modello in cui non esiste un organo centrale che decide sulla costituzionalità delle
norme bensì sono i giudici comuni a sindacarne la costituzionalità. Il sistema diffuso per eccellenza è il
sistema statunitense nel quale ai giudici comuni è riconosciuto il potere di disapplicare una norma in quanto
giudicata contraria ai principi costituzionali.

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Il modello accentrato invece, prevede l’esistenza di un tribunale costituzionale centrale che decide della


costituzionalità delle norme, negando al giudice ordinario un qualsivoglia potere di decisione della
legittimità costituzionale sulla quale solo l’organo centrale è deputato a decidere.

La declaratoria di illegittimità costituzionale porterà all’ annullamento della norma in questione che quindi
non potrà più essere applicata dal giudice comune.
Il sistema italiano di Giustizia Costituzionale è un sistema tendenzialmente accentrato.

Infatti, la Costituzione ha previsto la Corte Costituzionale come organo di giustizia costituzionale, negando
ai giudici comuni qualsiasi potere in ordine al sindacato di legittimità costituzionale.

ARTICOLAZIONE TERRITORIALE DELLA REPUBBLICA

DOMANDA
REPUBBLICA DA COSA È COSTITUITA ART.114

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La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e
funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione.
Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento.

Che cosa significa? Questo articolo definisce gli enti di cui è costituita la Repubblica. Il nuovo art. 114
conferisce agli enti locali – di cui il Comune rappresenta l’organo più vicino ai cittadini su cui poggia la
suddivisione territoriale della Repubblica – autonomia politica, normativa (la Regione può approvare
leggi; gli enti locali regolamenti), statuaria (definiscono in proprio la loro organizzazione), amministrativa
e finanziaria (possono definire e applicare propri tributi).

Rispetto all’articolo originario, viene introdotta anche la città metropolitana (un organo che comprende
una grande città e i suoi agglomerati urbani periferici). Il Parlamento ha individuato 10 aree metropolitane
(Bari, Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Torino, Reggio Calabria, Roma, Venezia) e le Regioni a
statuto speciale altre 5 (Cagliari, Catania, Messina, Palermo, Trieste).

Inoltre, l’articolo ha costituzionalizzato la funzione di Roma quale capitale della Repubblica.

Ma perché...? Da qualche anno la discussione sugli enti locali è estremamente accesa. In particolare le
accuse sono rivolte nei confronti delle Province e dei Comuni. Per quanto riguarda le prime, la crescita del
loro numero ha suscitato aspre polemiche, per via dei costi derivati e ha posto in primo piano il dibattito
sulla loro utilità. Le opzioni in campo vanno dalla totale abolizione, alla riduzione, alla trasformazione in enti
di natura diversa, formati da rappresentanti dei Comuni. Si tratta in ogni caso di un dibattito aperto.

Per quanto riguarda i Comuni, nessuno mette in dubbio il loro ruolo, ma piuttosto il loro numero: molto
hanno una popolazione di poche migliaia di persone (o addirittura centinaia), altri sono così vicini gli uni agli
altri da essere indistinguibili (come avviene in alcune periferie di grandi città). La riduzione del numero di
Comuni tramite accorpamento porterebbe un certo risparmio perché calerebbe il numero dei sindaci, degli
assessori e dei consiglieri comunali, ma molti si chiedono se non comporterebbe anche un peggioramento
della qualità dell’amministrazione e dei servizi pubblici.

A tal proposito risulta funzionale analizzare l’Art. 117 della Costituzione il quale al primo comma stabilisce
che la funzione legislativa è esercitata dallo Stato (Art. 70) e dalle Regioni nel rispetto dei limiti della
Costituzione, dell’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali.
Nel secondo comma invece vengono chiarite le materie di competenza esclusiva dello Stato. Se la
Regione approva una legge in materia di competenza esclusiva dello Stato questa verrà dichiarata
illegittima per violazione del criterio della competenza per materia, allo stesso modo se una Regione
approva una legge su di una determinata materia pretendendo di proiettarne l’efficacia sul territorio di
un’altra Regione, la legge verrà dichiarata illegittima per violazione del criterio della competenza per
territorio.

Circa le materie di competenza esclusiva dello Stato bisogna dire che alcune materie sono trasversali
poiché vanno a ritagliare diverse competenze attribuite alle regioni, basti pensare alla tutela dell’ambiente,
materia di competenza dello Stato, dove le norme in merito introdotte proprio dallo Stato, devono essere
rispettate anche dalle regioni quando per esempio vengono costruite delle opere pubbliche di interesse
regionale, chiaramente questo intreccio ha prodotto diversi contenziosi che sono stati chiariti dalla Corte
costituzionale che ha stabilito l’annullamento della legge statale invadente la sfera di competenza
regionale.

Nel terzo comma vengono chiarite le materie di legislazione concorrente Stato-Regioni (oppure di
legislazione ripartita) poiché alcune materie sono regolate sia dallo Stato, che ne disciplina i principi
generali, sia dalla Regione, che nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalla legge statale approva la
disciplina di dettaglio.

In questo senso dunque la legge statale viene anche definita LEGGE QUADRO (oppure legge cornice)
poiché i principi fondamentali descritti al suo interno valgono per tutto il territorio nazionale, mentre la
disciplina di dettaglio vale per le singole regioni (viene approvata da ciascuna delle 21 regioni italiane – in
verità le regioni sono 20 ma Trento e Bolzano legiferano separatamente).

Si parla dunque di una competenza per grado poiché lo Stato con propria legge stabilisce i principi
fondamentali di una determinata materia di competenza concorrente, mentre ogni regione con propria

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legge disciplina nel dettaglio la stessa materia rispettando i principi fondamentali promossi dalla legge
quadro.

In base a quanto detto quindi, se una regione disciplina una determinata materia anche nei principi
generali, la legge verrà dichiarata illegittima dalla corte costituzionale per violazione del criterio della
competenza per grado.

Diversamente, se è lo Stato a disciplinare una materia di legislazione concorrente (sia dal punto di vista dei
principi fondamentali che nelle norme di dettaglio – al fine di non avere lacune normative all’interno
dell’ordinamento giuridico) le norme di dettaglio previste dalla legge quadro non saranno illegittime ma
chiaramente verranno eliminate, subendo L’EFFETTO GHIGLIOTTINA, nel momento in cui la Regione
legifererà sulla stessa materia rispettando i principi sanciti nella legge quadro.

Nel quarto comma del suddetto Art. viene specificata la clausola residuale secondo cui la potestà
legislativa delle materie che non sono disciplinate espressamente né dallo Stato né dalle regioni È
RIMESSA ALLE REGIONI.

A tal riguardo risulta funzionale chiarire che le regioni, nell’esercizio della funzione legislativa, devono
rispettare alcuni limiti i quali valgono tanto per le regioni a statuto ordinario quanto per le regioni a statuto
speciale (Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige):

• Limite Del Diritto Privato → Le leggi regionali non possono regolare i rapporti tra i privati (cittadini)
poiché devono esercitare esclusivamente la funzione pubblica di tipo amministrativo;

• Limite Del Diritto Penale → Le leggi regionali non possono ritenere illecita una condotta essendo
compito dello Stato che, con leggi valide sull’intero territorio nazionale (generali ed astratte), può
qualificare come illecite determinate condotte, anche perché in caso contrario si potrebbe creare
una situazione in cui una stessa condotta può essere considerata illecita in una regione e lecita in
un’altra regione; oppure una situazione in cui una stessa condotta può essere sanzionata
differentemente a seconda della regione (sedia elettrica); 

▪ Le suddette differenziazioni sono tipiche dello Stato federale

• Limite Relativo Ai Principi Generali Dell’Ordinamento Giuridico→Le regioni nel legiferare devono
rispettare i principi generali dell’ordinamento giuridico che si traggono dalle norme costituzionali;

• Limite Imposto Dagli Obblighi Internazionali → Secondo cui, come stabilito nel primo comma
dell’Art. 117, le leggi regionali non possono legiferare violando gli obblighi assunti dallo Stato nei
confronti di altri Stati oppure nei confronti dell’Unione Europea;

• Limite Delle Leggi Statali Di Grande Riforma Economico-Sociale → Le regioni devono uniformarsi ai
principi promossi dalle leggi statali che consentono il collettivo progresso economico-sociale della
Nazione, al fine di non ostacolare il principio 

unitario (interesse nazionale) della Repubblica italiana (sancito all’Art. 5 della Costituzione).

In verità il limite dell’interesse nazionale era previsto fino alla riforma del titolo V della Costituzione infatti, la
formulazione originale dell’Art. 127 stabiliva che qualora il Governo avesse ritenuto che una legge
regionale invadesse la sfera di competenza statale o che la stessa fosse in contrasto con l’interesse
nazionale,

il Governo avrebbe potuto sollevare la questione di legittimità dinnanzi alla Corte costituzionale la quale
avrebbe annullato la legge regionale per eccedenza della propria sfera di competenza, oppure avrebbe
potuto sollevare la questione di merito dinnanzi al Parlamento che avrebbe annullato la legge regionale.

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VIZIO DI MERITO: consiste in un’inesatta valutazione dell’utilità di un provvedimento rispetto ai fini


perseguiti dalla P.A.

La nuova formulazione dell’Art. 127 stabilisce che il Governo possa sollevare (entro 60 giorni dalla
pubblicazione della legge) la questione di legittimità costituzionale dinnanzi alla Corte costituzionale
qualora ritenga che una legge regionale abbia invaso la sfera di competenza statale, ma allo stesso modo il
consiglio regionale può sollevare (entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge) la questione di legittimità
dinnanzi alla Corte costituzionale qualora ritenga che una legge statale oppure una legge di un’altra
regione abbia invaso la propria sfera di competenza.

In conclusione, bisogna dire che esistono degli strumenti di tutela dell’interesse nazionale i quali seppur
non presenti nella Costituzione, sono dichiarati legittimi dalla Corte costituzionale.

Stiamo parlando dei poteri sostitutivi dello stato nei confronti delle Regioni, della tecnica del ritaglio delle
materie e della funzione di indirizzo e di coordinamento dello Stato nei confronti delle Regioni. Circa il
ritaglio delle materie (vedi sopra); circa i poteri sostituitivi la Costituzione all’Art. 120, 2° comma, riconosce
al Governo dei poteri che gli permettono di sostituirsi agli enti territoriali autonomi qualora, in casi di
emergenza istituzionale, si riverifichi una compromissione relativa agli interessi essenziali della Repubblica
come, per esempio il rispetto delle norme relative agli obblighi internazionali e comunitari, oppure qualora
siano state compromesse l’incolumità e la sicurezza pubblica, oppure ancora in caso di compromissione
dell’unità giuridica ed economica.

Insomma, il Governo può sostituirsi agli enti territoriali autonomi al fine di garantire l’interesse nazionale di
cui all’Art. 5 della Costituzione. Mentre per poter parlare dei poteri di indirizzo e coordinamento bisogna
fare riferimento all’Art. 118 della Costituzione secondo cui le regioni, in caso di competenza concorrente,
possono adottare dei provvedimenti amministrativi i quali devono rispettare i principi di indirizzo e di
coordinamento dettati dallo

Stato → In questo senso dunque lo Stato (Governo) limita l’esercizio della funzione amministrativa della
regione e di tutti gli enti territoriali autonomi attraverso il principio di indirizzo e coordinamento.

La potestà esclusiva che è attribuita alle regioni a statuto speciale che, secondo l’Art. 116, sono dotate di
particolari forme e condizioni di autonomia previste tassativamente negli statuti, indi per cui l’esclusività
consiste nel fatto che le materie tassativamente elencate negli statuti speciali sono sottratte alla disciplina
legislativa dello Stato ed affidate esclusivamente ed interamente alla legislazione regionale; chiaramente
per evitare lacune normative se la legge regionale che disciplina l’intera materia viene dichiarata
incostituzionale o abrogata, questa verrà sostituita dalla legge statale.

La Repubblica italiana è una forma intermedia di Stato complesso, tra lo Stato unitario e lo Stato federale,
infatti pur mantenendo l’unità dello Stato riconosce al suo interno degli enti locali come i Comuni, le
provincie, le regioni dotati di un’autonomia politico-amministrativa, seppur limitata. L’unità dello Stato
italiano è chiarita all’Art. 5 della Costituzione secondo cui:

La Repubblica italiana è una e indivisibile ed attua i principi dell’autonomia e del decentramento politico-
amministrativo, a tal proposito risulta funzionale ricordare che i costituenti optarono per un tipo di Stato
regionale poiché un tipo di Stato accentrato avrebbe determinato il rallentamento della Repubblica ed
anche se la caratteristica distintiva dei tipi di Stato complesso è il bicameralismo imperfetto, in Italia il
Parlamento si basa su un bicameralismo perfetto poiché esso garantisce un maggior controllo decisionale;
in seguito alla riforma Renzi-Boschi del 2016 si è tentato di riformare il Senato modificando il tipo di
bicameralismo: da perfetto ad imperfetto, senza successo.

Per poter parlare del decentramento amministrativo bisogna partire dalla vecchia formulazione dell’Art. 114
che segna il riconoscimento delle Regioni all’interno del territorio italiano, infatti il suddetto Art. stabiliva che
la Repubblica italiana fosse ripartita in Provincie e Comuni, che erano stati già riconosciuti durante l’età
pre-repubblicana, ma anche in Regioni che, oltre a rappresentare una novità, godevano di un’autonomia
legislativa, amministrativa e finanziaria – a differenza delle provincie e dei comuni.

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Bisogna però specificare che si tratta delle Regioni a statuto ordinario poiché le Regioni a statuto speciale
erano già state istituite precedentemente (Sicilia 1946).

La prima grande riforma del sistema delle autonomie locali si ebbe con la legge 142/1990: se
precedentemente le leggi statali assegnavano le competenze agli enti locali minori (Provincie e Comuni),
con la legge 142/1990 venne riconosciuta l’autonomia delle regioni per cui le

leggi statali avrebbero sempre assegnato le competenze alle Provincie ed ai Comuni ma le leggi regionali
avrebbero regolato la cooperazione tra le Provincie, i Comuni e le stesse Regioni.

La seconda grande riforma del sistema delle autonomie locali si ebbe con la legge di revisione
costituzionale 3/2001 che modificando il titolo V della Costituzione, introdusse i principi promossi dalle leggi
Bassanini (1997) riconoscendo un maggiore policentrismo (il potere è gestito da diversi enti) ed una
maggiore autonomia agli enti territoriali autonomi presenti sul territorio italiano.

Per poter parlare del policentrismo risulta funzionale analizzare l’attuale formulazione dell’Art. 114 della
Costituzione secondo cui:

“La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo
Stato.

I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e
funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione.

Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento.”

Gli elementi costitutivi della Repubblica italiana sono i Comuni, le Provincie, le Città metropolitane, le
Regioni e lo Stato (che nella vecchia formulazione del suddetto Art. coincideva con la Repubblica); in tal
senso risulta utile sottolineare come l’ordine dei diversi enti territoriali autonomi non sia casuale ma segua il
principio di sussidiarietà introdotto dalle leggi Bassanini del 1997 e disciplinato dall’Art. 118 della
Costituzione secondo cui le funzioni amministrative vengono assegnate in base al criterio di sussidiarietà
che può essere sviluppato in SENSO VERTICALE, poiché tale principio fa sì che le competenze
amministrative e le funzioni pubbliche siano attribuite agli enti territoriali autonomi più vicini ai cittadini per i
motivi del principio democratico di cui all’Art. 1 della Costituzione (Art. 118), indi per cui le competenze
devono sempre essere attribuite in primis ai Comuni, poiché possono essere maggiormente controllati dai
cittadini, se però la competenza è troppo complessa per essere gestita dal Comune allora la stessa verrà
gestita dalla Provincia, chiaramente se neanche la Provincia sarà in grado di gestire quella determinata
competenza allora quest’ultima verrà assegnata alla Regione e se neanche la Regione sarà in grado di
gestire la competenza, questa verrà assegnata allo Stato – bisogna sottolineare come la sussidiarietà
verticale debba rispettare i principi di differenziazione ed adeguatezza.

In base a quanto detto, il criterio della sussidiarietà è un criterio mobile poiché appare come un ascensore
all’interno del quale vi è la “competenza amministrativa” che sale o scende di piano a seconda della
complessità che si incontra quando la si deve esercitare, inoltre il principio di sussidiarietà verticale deve
essere esercitato sulla base del principio della leale collaborazione secondo il quale quando lo Stato
esercita una competenza che è stata

strappata alla Regione deve chiedere l’intesa (il parere) della Regione stessa, o il suo atto verrebbe
dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale e quindi annullato.

Il criterio della sussidiarietà può svilupparsi anche in SENSO ORIZZONTALE poiché le funzioni pubbliche
tendenzialmente devono sempre essere affidate all’autonomia delle diverse formazioni sociali presenti
all’interno del territorio italiano, in questo senso lo Stato deve incentivare l’attività di questi privati attraverso
vari sussidi economici. In Italia possiamo distinguere Regioni a statuto ordinario e Regioni a statuto
speciale.

Circa le REGIONI A STATUTO SPECIALE → Godono di una maggiore autonomia per i motivi geografici,
economici, storici e sociali che le caratterizzano ed in riferimento allo Statuto adottato bisogna richiamare
all’attenzione l’Art. 116 della Cost. il quale nel primo comma stabilisce che alle regioni a statuto speciale

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sono riconosciute particolari forme e condizioni di autonomia in base alle norme degli statuti speciali
adottati dalle stesse, statuti che sono approvati e modificati con legge costituzionale data la particolare
autonomia riconosciuta alle stesse regioni, per cui si collocano, all’interno delle fonti del diritto, a livello
costituzionale anche se chiaramente sono sotto i principi fondamentali della Cost. poiché tutte le norme per
essere legittime devono rispettare tali principi.

Nel secondo comma viene specificato invece come le regioni a statuto speciale siano formalmente 5
(Sicilia, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta) ma sostanzialmente siano 7
poiché all’interno della Regione autonoma Trentino-Alto Adige si distinguono le provincie autonome Trento
e Bolzano.

Il terzo comma invece si riferisce al “REGIONALISMO DIFFERENZIATO” che in seguito alla riforma del
titolo V della Costituzione sta scomparendo, poiché le Regioni a statuto ordinario possono rivendicare una
maggiore autonomia la quale chiaramente sarà sempre inferiore rispetto all’autonomia di cui godono le
Regioni a statuto speciale. Inoltre, questo comma evidenzia le materie in cui le regioni ordinarie possono
rivendicare una maggiore autonomia:

• ▪  Le materie di competenza concorrente Stato-Regione, di cui al 3° comma dell’Art. 117 (tutela
della salute, tutela del lavoro) 


• ▪  L’organizzazione della giustizia di pace, le norme generali sull’istruzione e la tutela dell’ambiente,


dell’ecosistema e dei beni culturali, le quali sono riconosciute dall’Art. 117 come materie di
competenza statale esclusiva. 

L’attribuzione di tali forme rafforzate di autonomia va stabilita con legge statale rinforzata, la quale
dal punto di vista formale deve essere approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei
componenti, mentre dal punto di vista sostanziale (contenuto) è formulata sulla base di un’intesa fra
lo Stato e la stessa regione che vuole rivendicare maggiore autonomia e nel rispetto dell’Art. 119
della Costituzione il quale stabilisce che gli enti territoriali, riconosciuti 


all’Art. 114 della Costituzione, godono di un’autonomia finanziaria di entrata e di spesa; ciò significa che le
Regioni e gli enti locali finanziano le proprie spese di funzionamento, di intervento e di amministrazione
attraverso i fondi raccolti, di norma, all’interno della propria collettività rispettando i criteri di perequazione
(perequazione: distribuzione equa o attribuzione equa).

Tale autonomia seppur formalmente riconosciuta a tutti gli enti territoriali, viene sostanzialmente esercitata
dalle regioni tramite potestà impositiva (potere di imporre autonomamente dei tributi) poiché gli altri enti
territoriali come le Provincie o i comuni devono necessariamente operare, in via regolamentare, nel rispetto
di leggi regionali oppure di leggi statali.

Circa le Regioni a Statuto ordinario bisogna richiamare all’attenzione l’Art. 121 della Cost. il quale stabilisce
che gli organi regionali sono:

• ▪  Il Consiglio regionale il quale esercita la potestà legislativa regionale riconosciuta dalla Cost. e
dalle leggi, ma gode anche, secondo quanto previsto dall’Art. 71 del potere di iniziativa legislativa
che permette all’organo di presentare delle proposte di legge alle Camere del Parlamento; 


• ▪  La Giunta regionale è l’organo esecutivo delle regioni; 


• ▪  Il Presidente della Giunta il quale oltre a rappresentare la Regione, dirige la politica della Giunta e
ne è responsabile, promulga le leggi regionali ed emana i regolamenti regionali, inoltre si occupa
della direzione delle funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle
istruzioni fornitegli dal Governo. 

In relazione allo Statuto regionale bisogna fare riferimento all’Art. 123 della Cost. il quale al 1°
comma stabilisce che: ogni regione ordinaria gode di uno Statuto che, in armonia con i principi

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costituzionali, deve avere un contenuto necessario circa la forma di governo, la disciplina


dell’iniziativa legislativa, del referendum, la disciplina della pubblicazione delle leggi e dei
regolamenti regionali; 

Nel 2° comma invece viene stabilito che lo Statuto viene approvato e modificato collegialmente dal
Consiglio regionale e la legge di revisione per essere valida deve essere approvata a maggioranza
assoluta dei componenti del Consiglio regionale con due deliberazioni successive adottate a
distanza di almeno 2 mesi; inoltre dopo essere stato approvato, lo Statuto verrà pubblicato nel
Bollettino Ufficiale della Regione ed entro 3 mesi dalla sua pubblicazione 1/50 degli elettori della
Regione oppure 1/5 dei componenti del Consiglio regionale potranno richiedere un referendum
oppositivo.

Allo stesso modo se il Governo ritiene che le modifiche non rispettino il titolo V della Costituzione allora
potrà impugnare lo Statuto regionale o la legge di revisione dinnanzi alla Corte costituzionale, entro 30
giorni dalla pubblicazione dello stesso.

Lo Statuto ordinario si colloca tra la Costituzione e le leggi regionali poiché è sottoposto alla Costituzione
ma è sovraordinato alla legge regionale.

DOMANDA

ART 118 . PRINCIPIO COSTITUZIONALE DI SUSSIDIARIETÀ


Il principio di sussidiarietà è regolato dall'articolo 118 della Costituzione italiana il quale prevede che "Stato,
Regioni, Province, Città Metropolitane e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e
associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio della sussidiarità". Tale
principio implica che le diverse istituzioni debbano creare le condizioni necessarie per permettere alla
persona e alle aggregazioni sociali di agire liberamente nello svolgimento della loro attività. L'intervento
dell'entità di livello superiore, qualora fosse necessario, deve essere temporaneo e teso a restituire
l'autonomia d'azione all'entità di livello inferiore.
Il principio di sussidiarietà può quindi essere visto sotto un duplice aspetto:
- in senso verticale: la ripartizione gerarchica delle competenze deve essere spostata verso gli enti più
vicini al cittadino e, quindi, più vicini ai bisogni del territorio
- in senso orizzontale: il cittadino, sia come singolo sia attraverso i corpi intermedi, deve avere la
possibilità di cooperare con le istituzioni nel definire gli interventi che incidano sulle realtà sociali a lui più
vicine.

ART 117 POTESTÀ LEGISLATIVA


La potestà legislativa è esercitata dallo Stato [70 e segg.] e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione,
nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:

a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di
asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea;

b) immigrazione;

c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;

d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;

e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema
tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie;

f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;

g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;

h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;

i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;

l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;


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m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale;

n) norme generali sull'istruzione;

o) previdenza sociale;

p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città
metropolitane;

q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;

r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati
dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno;

s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.

Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea
delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle
istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni;
ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute;
alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi
reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività
culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e
agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà
legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla
legislazione dello Stato.
Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano
alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e
all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di
procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso
di inadempienza.
La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle
Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città
metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento
delle funzioni loro attribuite.
Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella
vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche
elettive [3].
La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie
funzioni, anche con individuazione di organi comuni.
Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali
interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato

DOMANDA
REGIONALISMO DIFFERENZIATO
L'articolo 116, terzo comma, della Costituzione prevede la possibilità di attribuire forme e condizioni
particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario (c.d. "regionalismo differenziato" o "regionalismo
asimmetrico", in quanto consente ad alcune Regioni di dotarsi di poteri diversi dalle altre), ferme restando
le particolari forme di cui godono le Regioni a statuto speciale (art. 116, primo comma).

Il testo del terzo comma dell'articolo 116 recita: "Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia,
concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del
medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono

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essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli
enti locali, nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119".

L'ambito delle materie nelle quali possono essere riconosciute tali forme ulteriori di autonomia concernono:
tutte le materie che l'articolo 117, terzo comma, attribuisce alla competenza legislativa concorrente; un
ulteriore limitato numero di materie riservate dallo stesso articolo 117 (secondo comma) alla competenza
legislativa esclusiva dello Stato:
a. organizzazione della giustizia di pace;
b. norme generali sull'istruzione;
c. tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.
L'attribuzione di tali forme rafforzate di autonomia deve essere stabilita con legge rinforzata, che, dal punto
di vista sostanziale, è formulata sulla base di un'intesa fra lo Stato e la Regione, acquisito il parere degli
enti locali interessati, nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 119 della Costituzione in tema di autonomia
finanziaria, mentre, dal punto di vista procedurale, è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei
componenti.
Dall'introduzione di tali disposizioni in Costituzione, il procedimento previsto per l'attribuzione di autonomia
differenziata non ha mai trovato completa attuazione.
In particolare, la legge ha previsto un termine di sessanta giorni entro il quale il Governo è tenuto ad
attivarsi sulle iniziative delle regioni presentate al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli
affari regionali ai fini dell'intesa.
Il termine decorre dalla data del ricevimento delle iniziative e l'obbligo di attivazione si traduce nel dare
seguito all'impulso conseguente all'iniziativa regionale finalizzata all'intesa. Tali disposizioni si collocano
quindi "a monte" del procedimento delineato dall'art. 116, terzo comma della Costituzione, ferma restando,
a tal fine, la fonte ivi prevista, costituita da una legge rinforzata, il cui contenuto è determinato in base ad un
intesa tra regione e Stato e al parere degli enti locali interessati, approvata a maggioranza assoluta dalle
Camere. Su questi temi è stata svolta nel 2017 un'indagine conoscitiva in seno alla Commissione
bicamerale per le questioni regionali, che si è conclusa con la definizione di un documento conclusivo che
ne ripercorre i principali elementi. In particolare, nel documento conclusivo la Commissione ha evidenziato
come il percorso autonomistico delineato dall'articolo 116, terzo comma, miri ad arricchire i contenuti e
completare l'autonomia ordinaria, nell'ambito del disegno delineato dal Titolo V della parte II della
Costituzione e come l'attivazione di forme e condizioni particolari di autonomia presenti significative
opportunità per il sistema istituzionale nel suo complesso, oltre che per la singola Regione interessata. La
valorizzazione delle identità, delle vocazioni e delle potenzialità regionali determinano infatti l'inserimento di
elementi di dinamismo nell'intero sistema regionale e, in prospettiva, la possibilità di favorire una
competizione virtuosa tra i territori. L'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, non deve peraltro essere
intesa in alcun modo come lesiva dell'unitarietà della Repubblica e del principio solidaristico che la
contraddistingue. Uno dei punti più delicati del dibattito riguarda il tema delle risorse finanziarie che devono
accompagnare il processo di rafforzamento dell'autonomia regionale. Al riguardo, nell'ambito dell'indagine
conoscitiva è emersa come centrale l'esigenza del rispetto del principio, elaborato dalla giurisprudenza
costituzionale, della necessaria correlazione tra funzioni e risorse.

DOMANDA
CASO CUFFARO
L’ex presidente della Sicilia è stato condannato in via definitiva per favoreggiamento aggravato alla mafia e
violazione del segreto istruttorio. La Cassazione ha chiesto sette anni di reclusione e l’aggravante mafiosa
impedisce l’applicazione delle misure alternative alla detenzione: per questo Cuffarò, oltre a decadere dal
seggio di senatore, dovrà andare in carcere.

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