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Dimensioni DEL Diritto

Filosofia del diritto (Istituto Accademico per interpreti e traduttori di Trento)

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DIMENSIONI DEL DIRITTO


Capitolo 1  Gius琀椀zia
Introduzione.
La gius琀椀zia può essere iden琀椀昀椀cata come un bisogno umano fondamentale e costante, che condiziona il
diri琀琀o, così come le scelte norma琀椀ve e interpreta琀椀ve e le decisioni poli琀椀che.
Il giusnaturalismo ha assunto questo problema come il proprio ogge琀琀o d’analisi primario e irrinunciabile,
ribadendo la necessità che nel diri琀琀o posi琀椀vo siano “costantemente integra琀椀 i principi del diri琀琀o naturale,
per garan琀椀re l’esigenza di gius琀椀zia”. Come nota lo studioso di diri琀琀o naturale Ernst Bloch, ribadire il nesso
fra diri琀琀o e gius琀椀zia è stata la funzione storica del giusnaturalismo.
La gius琀椀zia nel mondo classico.
Il pensiero greco classico ha elaborato una 昀椀loso昀椀a della gius琀椀zia stre琀琀amente dipendente dalla
speculazione sulla realtà e sulla relazione tra la realtà e il sogge琀琀o che conosce e agisce su questa. La realtà
è compresa come l’orizzonte all’interno del quale il sogge琀琀o opera e agisce, dunque un dato ogge琀�vo.
 Per i presocra琀椀ci la gius琀椀zia è un aspe琀琀o di quell’ordine necessario, ogge琀�vo e razionale che
cara琀琀erizza tu琀琀a la realtà, e così sarà anche per la scuola elea琀椀ca (Pitagora), però con la concezione
che tale ordine è matema琀椀co, e dunque la realtà comincia ad assumere l’aspe琀琀o di una necessità
meta昀椀sica e logica.
Dunque, da un lato l’irrazionalità, il caos, e il disordine sociali sono manifestazioni dell’ingius琀椀zia, in
quanto nefas琀椀 per l’ordine della realtà, mentre dall’altro emerge la visione della gius琀椀zia come
principio ogge琀�vo, non dipendente dal sogge琀琀o che conosce e agisce e dalla sua volontà. La
gius琀椀zia, quindi, è allo stesso tempo un principio di ordine morale (poiché da valore alle azioni
umane) e un principio di ordine cosmico, del quale il sogge琀琀o è inserito come parte.
 Questa omogeneità cessa con la so昀椀s琀椀ca (Gorgia e Protagora), poiché viene messo in dubbio che
l’ordine naturale sia conoscibile e comunicabile e quindi che possa avere una ricaduta per l’ordine
giuridico e poli琀椀co, e vediamo una crescente centralità del sogge琀琀o che in base alla propria volontà
determina ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Assume dunque centralità il ruolo della legge posi琀椀va, determinata dalla autorità degli uomini, che
richiede capacità retoriche e diale琀�che per a昀昀ermarsi.
 Con Platone (come con Aristotele) l’idea di gius琀椀zia come ordine e come corrispondenza fra ordine
naturale, sociale e morale si delinea nella sua forma più nota. L’idea platonica di gius琀椀zia si
costruisce in rapporto all’idea di armonia insieme al ruolo cruciale della ragione.
Sia nello Stato che nell’animo individuale, la gius琀椀zia è data dall’armonia tra le par琀椀, dunque tra le
classi nello Stato, e tra le passioni, i bisogni e la ragione nell’animo. Ma l’armonia si o琀�ene solo se si
fa prevalere la ragione, ovvero facendo governare lo Stato dai sapien琀椀, e quando l’anima razionale
domina sulle passioni.
 In Aristotele questa corrispondenza (sociale e individuale) riamane, ma con delle di昀昀erenze, poiché
si può parla di gius琀椀zia in senso generale (polis) o individuale (azioni dei singoli), ma sopra琀琀u琀琀o se
ne parla come virtù: ciò signi昀椀ca che l’ordine e l’armonia sono cala琀椀 nella concretezza della vita
reale, poiché la gius琀椀zia va pra琀椀cata e insegnata, 昀椀nché non si radica nell’individua come un
habitus.
Dunque, la gius琀椀zia è generale o par琀椀colare, con cara琀琀eris琀椀che costan琀椀 琀椀po l’essere una
dimensione di medietà fra eccessi oppos琀椀, ma le modalità di a琀琀uazione cambiano in ragione della
relazione cui si riferisce, ed è per questo che Aristotele discute diverse 琀椀pologie di gius琀椀zia.
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 Nello stoicismo la visione Aristotelica di gius琀椀zia viene approfondita per poi essere assorbita dal
pensiero cris琀椀ano. Si radica l’idea di un’e琀椀ca fondata sull’esercizio della ragione sogge琀�va, uguale
allo stesso logos presente nella storia e nella natura: la gius琀椀zia domino della ragione sulla vita, e la
ragione è omogena a quella che domina la realtà 昀椀sica.
 Nel cris琀椀anesimo, si farà strada l’idea di una ragione umana in grado di cogliere nella realtà le
tracce della Ragione divina: la ragione individuale diventa immagine della Ragione divina, e
pertanto è in grado di cogliere nella realtà, creata dalla Ragione divina, l’ordine al quale ogni
creatura deve liberamente conformarsi.
La gius琀椀zia nel Medioevo cris琀椀ano.
Anche nel Medioevo cris琀椀ano si conserva l’idea di un ordine del mondo ogge琀�vo ed esterno al sogge琀琀o,
cui il singolo deve conformarsi, ma l’idea di un Dio creatore e personale cambia profondamente la portata di
quest’ordine nel quale si radica l’idea di gius琀椀zia.
In questo periodo si a昀昀ermano tesi molto diverse, seppur in una comune visione teologica:
 S. Agos琀椀no, della patris琀椀ca, me琀琀e a fuoco un aspe琀琀o, ovvero il fa琀琀o che il rapporto tra individuo e
verità, e quindi tra ragione umana e logos che forma l’ordine reale, è un rapporto di dipendenza.
L’uomo certamente possiede la ragione, ma non è capace di comprendere pienamente e
de昀椀ni琀椀vamente l’rodine della realtà, poiché dipende da questo, e ne è ogge琀琀o.
La verità, in questa prospe琀�va, appar琀椀ene ul琀椀mamente a Dio, poiché esso è tale verità, e
l’individuo non può che intelligere, ovvero leggere dentro di sé, il criterio di comprensione della
realtà, con la consapevolezza che questa comprensione non sarà mai de昀椀ni琀椀va, e che solo
superando per fede i limi琀椀 della ragione umana si può riconoscere come creatura all’interno
dell’ordine creato da Dio.
L’ordine è ra琀椀o vel voluntas Dei (ragione o volontà di Dio), poiché se Dio è pura ragione, è anche
pura libertà.
Tale contrapposizione tra ragione e volontà sarà alla base della contrapposizione tra scuola
domenicana e francescana, tra razionalis琀椀 e volontaris琀椀.
 I razionalis琀椀 (San Tommaso), vedrà nella legge essenzialmente una ordina琀椀o ra琀椀onis, un ordine
della ragione, in cui è presente solo secondariamente un momento impera琀椀vo e volontaris琀椀co.
L’ordine della realtà, plasmato dalla lex aeterna, è espressione della ragione di Dio, e tale ordine si
manifesta parzialmente alla creatura razionale nella legge naturale, ovvero quella parte di ordine
della realtà che la ragione umana può cogliere, o che viene rivelato dalla legge divina, ovvero
l’rodine al quale la legge umana deve conformarsi.
Per S. Tommaso, la ragione umana può ricavare i contenu琀椀 della legge naturale solo per deduzione
o determinazione, dunque, solo a琀琀raverso operazioni logiche in cui è sempre possibile l’errore, e il
cui esito e sempre parziale. Un legge ingiusta, ovvero non conforme al diri琀琀o naturale, deve
comunque essere rispe琀琀ata, poiché l’rodine che la legge garan琀椀sce è comunque un bene
meritevole di tutela.
 I volontaris琀椀 vedono invece l’ordine della realtà come fru琀琀o della volontà di Dio, della sua libertà e
potenza creatrice, e come ogge琀琀o di obbedienza pieta dell’essere umano che si riconosce come
so琀琀omesso alla volontà divina. La ragione umana, in questo orizzonte, serve solo come strumento
per conoscere la volontà divina, non come mezzo per interpretarla o cogliervi un ulteriore ordine.
L’ordine è qui inteso come comando, non come disposizione razionale, e all’uomo, in quanto
creatura, non resta che obbedire.
In昀椀ne, nel medioevo cris琀椀ano si cristallizza la di昀昀erenza tra gius琀椀zia e bene morale, nel senso che ciò che è
dovuto per gius琀椀zia non coincida necessariamente con ciò che è buono in senso morale, dis琀椀nzione che per
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l’età classica non è evidente. La misericordia, ad esempio, è una dimensione morale che de昀椀nisce il bene,
ma non rileva giuridicamente o poli琀椀camente.
La gius琀椀zia nel mondo moderno.
Tu琀琀avia, l’idea comune alla classicità e la medioevo della gius琀椀zia come interna a un ordine ogge琀�vo,
tramonta con l’avvenire del mondo moderno: l’età moderna è segnata dalla 昀椀ne di unità poli琀椀ca (crollo
dell’Impero), dell’unità giuridica (ius commune e diri琀琀o romano) e dell’unità religiosa.
In questo mutato orizzonte socio-poli琀椀co, il pensiero giuridico e poli琀椀co diventa individualis琀椀co,
razionalis琀椀co e secolarista. L’individualismo è dato dal fa琀琀o che il singolo non è soltanto il centro
dell’interesse specula琀椀vo, ma sopra琀琀u琀琀o il principio dal quale si crea l’ordine sociale: tu琀琀e le grandi teorie
contra琀琀ualis琀椀che (Grozio, Locke, Hobbes) partono dall’idea di un ordine poli琀椀co prodo琀琀o dall’accordo fra
individui. L’idea di gius琀椀zia non è più rela琀椀va a un ordine che l’essere umano trova intorno a sé, ma è la
cara琀琀eris琀椀ca di un ordine che l’individuo costruisce per sé, insieme agli altri.
Il razionalismo è dato, invece, dal fa琀琀o che i limi琀椀 che tali ordini incontrano (es. la garanzia del diri琀琀o alla
proprietà) sono limi琀椀 necessari e logici, poiché un ordine costruito al 昀椀ne di tutale i diri琀� naturali sarebbe
insensato se tali limi琀椀 non venissero rispe琀琀a琀椀.
Dunque, la ragione non è più uno strumento di cui l’essere umano deve servirsi per indagare un ordine
esistente, ma è il principio di tale ordine, la misura della verità delle cose. Le opere di Galileo e Cartesio
fanno del problema del metodo cuore e fondamento di ogni conoscenza della realtà: non c’è una ragione
meta昀椀sica esterna all’individuo, ma è l’uomo stesso che servendosi di questo metodo (razionale e
scien琀椀昀椀co) deve elaborare una spiegazione anch’essa razionale dei fenomeni e stru琀琀urare razionalmente la
vita civile.
L’ul琀椀mo elemento è quello della secolarizzazione del pensiero, della sua sempre più marcata indipendenza
dalla fede: l’ordine sociale e gius琀椀zia non si fondano più sulla ra琀椀o vel voluntas dei, ma sulla ragione e
volontà dei sogge琀�: sono gli individui che hanno il compito di costruire un ordine all’interno di questa
realtà, che la loro ragione ha la possibilità di comprendere pienamente.
Le cara琀琀eris琀椀che della gius琀椀zia.
Tra le cara琀琀eris琀椀che del conce琀琀o di gius琀椀zia più ricorren琀椀, la prima è certamente quella della relazionalità:
ius琀椀琀椀a est ad alterum, la gius琀椀zia ha a che fare con al relazione, non si può essere gius琀椀 o ingius琀椀 da soli o
verso sé stessi, sosteneva Aristotele (considerando sempre la di昀昀erenza con il bene morale).
La seconda cara琀琀eris琀椀ca è quella che gli anglosassoni indicano come agency, che implica che la gius琀椀zia
faccia appello all’azione umana, al modo in cui i sogge琀� operano nel mondo e lo modi昀椀cano. Infa琀�, non
possono essere quali昀椀ca琀椀 gius琀椀 o ingius琀椀 gli Sta琀椀 naturali, ma come le is琀椀tuzioni tra琀琀ano ques琀椀 fa琀�
(Rawls). La gius琀椀zia si fa, si agisce, è rela琀椀va alla sfera dell’inter-azione umana.
Ancora, la gius琀椀zia ha il cara琀琀ere della doverosità, poiché genera doveri e diri琀�, obbligazioni reciproche,
non favori o a琀� di carità, e ciò consegue che la gius琀椀zia implica coercibilità della azioni a essa conformi,
poiché ciò che è giusto viene esigito e viceversa, e che ciò che è percepito come giusto viene preteso e viene
rivendicato (es. le donne che esigono il diri琀琀o al voto, e infa琀� questo è loro riconosciuto, non concesso).
La gius琀椀zia formale, sostanziale e procedurale.
Rela琀椀vamente al contenuto della gius琀椀zia, invece, si può fare riferimento a grandi prospe琀�ve teore琀椀che:
 Un primo gruppo di teorie della gius琀椀zia è di 琀椀po formale. Qui la gius琀椀zia si risolve
nell’individuazione dei principi per l’azione (pubblica o privata) e nell’applicazione di tali principi in
modo imparziale e rigoroso. Tali teorie si occupano di elaborare le precondizioni iniziali a昀케nché le
relazioni sociali possano essere giuste, senza però garan琀椀re gli esi琀椀 di tali relazioni, poiché ciò

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dipenderà in gran parte da fa琀琀ori naturali (es. talento dei singoli) di cui la gius琀椀zia non si occupa:
sono teorie ex ante, non ex post.
Tipico esempio di teorie formali della gius琀椀zia sono quelle liberali; in esse la gius琀椀zia si esaurisce
nell’individuazione e nel riconoscimento di un nucleo di diri琀� fondamentali a tu琀� coloro cui essi
spe琀琀ano e le regole giuridiche ad essi conseguen琀椀 vengono applicate in modo corre琀琀o e imparziale,
indipendentemente da quanto i sogge琀� possano goderne sul piano materiale.
A questa categoria sono ascrivibili le teorie di Von Hayek e Nozick, di 琀椀po libertario, in cui il mercato
diviene la stru琀琀ura della gius琀椀zia: esso garan琀椀sce a tu琀� eguali possibilità di accesso alle risorse,
stabilisce le regole a昀케nché i trasferimen琀椀 fra sogge琀� siano corre琀�, ma è indi昀昀erente agli esi琀椀 di
ques琀椀, poiché questa dipende da fa琀琀ori non controllabili e arbitrari.
 Un secondo gruppo di teorie guarda alla gius琀椀zia sostanziale: in questa prospe琀�va non ci si limita a
indicare i principi astra琀� in base ai quali ordinare secondo gius琀椀zia la società, ma ci si impegna a
de昀椀nire chi siano tali sogge琀�, e a cosa in concreto abbiano diri琀琀o (non basterà a昀昀ermare che “tu琀�
hanno diri琀琀o a ciò che spe琀琀a loro”). È essenziale speci昀椀care il contenuto di tali diri琀� e le modalità
di garanzia degli stessi a昀케nché ciò che è dovuto per gius琀椀zia sia e昀昀e琀�vamente fruibile e possibile
da parte ei sogge琀� des琀椀natari.
 Una terza possibilità è rappresentata dalle teorie procedurali, che consistono nell’idea che una
procedura giusta ed equa possa trasferire il suo valore agli esi琀椀 della sua applicazione.
Nel caso in cui le procedure postulino una gius琀椀zia procedurale pura, è inu琀椀le la veri昀椀ca dell’esito,
poiché la gius琀椀zia dell’esito dipende solo da una rigorosa applicazione della procedura. Ma questo si
veri昀椀ca molto raramente, a di昀昀erenza della gius琀椀zia procedurale imperfe琀琀a che si ha quando si
ado琀� un criterio esterno di valutazione dell’esito della procedura, non disponendosi una procedura
che infallibilmente garan琀椀sca l’esito della sua applicazione, garantendolo solo come probabilità in
grado maggiore o minore rispe琀琀o ad altre procedure. Tali sono quasi tu琀琀e le procedure giuridiche.
Esempi di prospe琀�ve della gius琀椀zia procedurale sono le teorie di Rawls e Habermas.
In Rawls, la scelta dei principi fondamentali sui quali basare la distribuzione di beni e ricchezze è
a昀케data a una procedura, un contra琀琀o sociale, s琀椀pulato dagli individui dietro a un “velo di
ignoranza” (da individui cioè che ignorano le proprie cara琀琀eris琀椀che e il proprio ruolo nella società).
Rawls individua, a fronte di tale situazione, due principi per la distribuzione delle sostanze: quello di
eguaglianza e quello di di昀昀erenza. Gli individui si accordano dunque intorno a una distribuzione
egalitaria dei beni, amme琀琀endo disuguaglianze solo nella misura in cui questa fungano da bene昀椀cio
compensa琀椀vo per i meno avvantaggia琀椀.
In Habermas, la gius琀椀zia è pensata come indipendente dal bene morale (giacché ciascun sogge琀琀o
tema琀椀zza questo per sé) ed è invece vista come esito del “discorso pubblico razionale”. La
determinazione colle琀�va della gius琀椀zia è il fru琀琀o di un consenso fra sogge琀� che acce琀琀ano la
discussione pubblica razionale e regolata come unico strumento idoneo a produrla. Sono dunque
pubblicamente gius琀椀昀椀cabili solo quelle scelte sulle quali si sia prodo琀琀o un accordo all’esito di un
dialogo equo e paritario, razionale, condo琀琀o all’interno di un quadro di regole disciplinan琀椀 il
discorso stesso. Anche il tal caso, la gius琀椀昀椀cabilità della procedura si trasferisce ai suoi esi琀椀, che
però non sono determina琀椀 né determinabili ex ante.
Gius琀椀zia e diri琀琀o.
Il rapporto tra la gius琀椀zia e il diri琀琀o si può analizzare in tre prospe琀�ve: dal punto di vista dell’ordinamento
nel suo complesso, dal punto di vista della singola norma, e dal punto di vista della persona che agisce (sia
essa ci琀琀adino, giudice, o altro).
Inoltre, il parametro della gius琀椀zia può essere u琀椀lizzato in modi diversi:

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 Se si ri琀椀ene che pagare le tasse sia giusto anche quando che sia giusto pagare le tasse anche
quando il livello di imposizione 昀椀scale sia troppo elevato ci si riferisce alla gius琀椀zia come legalità,
cioè come conformità dell’azione a un ordine norma琀椀vo dato, e riteniamo dunque che giusto sia ciò
che è conforme alle norme vigen琀椀 e rilevan琀椀 per quella data azione
 Se invece si considera una norma giusta o ingiusta in relazione alla sua conformità a un sistema di
valori da琀椀 a essa superiori: che il riferimento siano principi cos琀椀tuzionali o internazionali o altro, si
tra琀琀a di un sistema di principi in base al quale la singola norma viene valutata giusta o ingiusta.
 In昀椀ne, si può far riferimento alla gius琀椀zia intesa come conformità a un ordine, considerato però in
prospe琀�va meta posi琀椀va. In questo caso il comportamento del singolo o la norma vengono
giudica琀椀 gius琀椀/ingius琀椀 se conformi o meno a un ordine di valori che, in quanto superiori al diri琀琀o
stesso, ne rappresentano il criterio di gius琀椀昀椀cazione (es. è giusto pagare le tasse se riteniamo che
redistribuire la ricchezza a琀琀raverso la 昀椀scalità sia una scelta gius琀椀昀椀cata e gius琀椀昀椀cabile). Non è
quindi in questo caso la conformità a un ordine norma琀椀vo a rilevare ma la conformità a fa琀�/valori
esterni al diri琀琀o e ad esso superiori.
Gius琀椀zia, validità, e昀케cacia.
È opportuno dis琀椀nguere la gius琀椀zia da altri criteri di valutazione del diri琀琀o.
La prima dis琀椀nzione è quella tra gius琀椀zia e validità: la gius琀椀zia ha ad ogge琀琀o la valutazione e legi琀�mazione
esterna al diri琀琀o, in rapporto a valori o criteri meta-giuridici, mentre la validità ha ad ogge琀琀o la
valutazione/legi琀�mazione interna del diri琀琀o stesso, ovvero in rapporto a criteri intra-giuridici. Onde la
norma sarà giusta se ritenuta in grado di a琀琀uare uno o più valori e 昀椀n tanto che conforme ad essi.
Diversamente, la norma sarà valida se posta da chi nell’ordinamento ha il potere di farlo e nelle forme
previste da quell’ordinamento per farlo, e dunque comporterà un giudizio di fa琀琀o sulle norme.
La seconda dis琀椀nzione è rela琀椀va al criterio dell’e昀케cacia, criterio che fa riferimento all’e昀昀e琀�vità, ovvero la
concreta capacità della norma di condizionare le condo琀琀e dei sogge琀� cui è des琀椀nata. Una norma può
essere giusta e valida, ma non e昀케cace in quanto costantemente disapplicata dal gruppo sociale.
Mentre il criterio sulla gius琀椀zia è di 琀椀po deontologico e assiologico, quello sulla validità è di 琀椀po fa琀琀uale e
norma琀椀vo, e quello sulla e昀昀e琀�vità è di 琀椀po storico e sociologico.
Criteri dis琀椀n琀椀 o indipenden琀椀?
Ora bisogna comprendere se i criteri soprade琀� sono semplicemente dis琀椀n琀椀 o del tu琀琀o indipenden琀椀 tra
loro:
 Nel giusnaturalismo, uno dei pun琀椀 centrali sta nella è la forte connessione fra l’esistenza giuridica di
una norma e il valore della norma stessa. Secondo tale corrente, infa琀�, il diri琀琀o contrastante con la
gius琀椀zia non è vero diri琀琀o, e non può essere obbligatorio non solo in coscienza ma anche
giuridicamente (almeno quando l’ingius琀椀zia supera un certo grado): lex iniusta non est lex, sed
corrup琀椀o legis;
 Nel posi琀椀vismo, invece, ri琀椀ene che la norma valida all’interno dell’ordinamento sia giuridicamente
vincolante indipendentemente da un giudizio sul suo valore morale o sulla sua conformità a criteri
meta posi琀椀vi.
La separabilità tra diri琀琀o e morale, sostenuta da Kelsen e da Hart, è considerata una possibilità: il
diri琀琀o può anche essere giusto, ma questo non è necessario, poiché è comunque vincolante.
Questo perchè il posi琀椀vismo tenta di studiare il diri琀琀o scien琀椀昀椀camente, come mero fa琀琀o, e giudizi
di valore di gius琀椀zia non sono più problemi giuridici, ma morali; sia perchè l’ingius琀椀zia di una norma
può essere rilevata solo su un piano morale, sia perchè tale ingius琀椀zia non determina di per sé
conseguenze giuridiche.
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 Nell’epoca contemporanea, a seguito dei processi di cos琀椀tuzionalizzazione e posi琀椀vizzazione dei


principi fondamentali, si è incorporato in tali principi il sen琀椀mento di昀昀uso di gius琀椀zia dell’epoca.
Il movimento neo-cos琀椀tuzionalista, in autori come Dworkin, Alexy e Nino, ha fa琀琀o leva proprio
sull’importanza dei principi cos琀椀tuzionali, e si pone come una via intermedia fra giusposi琀椀vismo e
giusnaturalismo.
Nella prospe琀�va di Ronald Dworkin i principi cos琀椀tuzionali esprimono esigenze di gius琀椀zia e
rappresentano allo stesso tempo standard poli琀椀ci, giuridici e morali; la cos琀椀tuzione incorpora de琀�
valori e li posi琀椀vizza nei principi fondamentali che le cor琀椀 hanno il compito di determinare,
bilanciare, interpretare e speci昀椀care nei c.d. casi di昀케cili.
In Alexy la cos琀椀tuzione si pone come fondamento di validità e gius琀椀zia nell’ordinamento: il diri琀琀o
non può non pretendere per sé un certo grado di gius琀椀zia, poiché un ordinamento che
dichiaratamente ed esplicitamente si quali昀椀casse come ingiusto, sarebbe illogico e irriconoscibile
come diri琀琀o. Se dunque la pretesa di gius琀椀zia è essenziale per il diri琀琀o, laddove si voglia che
qualcosa sia quali昀椀cato come diri琀琀o non basta che ne abbia la forma, ma deve porsi anche come
idoneo alla realizzazione della gius琀椀zia stessa, che ne rappresenta il principio regolatore.
È però dubbio che il neo-cos琀椀tuzionalismo sia e昀昀e琀�vamente in grado di coniugare gius琀椀zia e validità,
poiché l’incorporazione dei valori nel diri琀琀o non implica che le norme posi琀椀ve si fondino su valori morali.
Gius琀椀zia ed equità.
Nella prospe琀�va dell’applicazione della norma a un caso speci昀椀co, il problema della gius琀椀zia diviene quello
della capacità concreta di realizzare gius琀椀zia nel caso concreto. Questa capacità concreta è al centro della
tensione, perfe琀琀amente analizzata già da Aristotele, fra gius琀椀zia ed equità, poiché la realtà delle relazioni
umane potrebbero non riuscire ad essere disciplinate da norme generali e astra琀琀e.
A tal 昀椀ne la gius琀椀zia deve essere integrata dall’equità, che rappresenta la doverosa considerazione delle
circostanze del singolo caso, e la necessità di ada琀琀are la previsione norma琀椀va a queste. In tal senso,
focalizzandosi sul momento applica琀椀vo, l’esigenza di gius琀椀zia cessa di iden琀椀昀椀carsi con la conformità ad un
ordine superiore alla legge per iden琀椀昀椀carsi con la considerazione degli aspe琀� che quali昀椀cano il caso
concreto.
Il problema dell’obbedienza: certezza del diri琀琀o e limi琀椀 della disobbedienza.
Nella prospe琀�va del sogge琀琀o des琀椀nato alle norme, il problema del diri琀琀o ingiusto diviene quello
dell’obbedienza.
 In una prospe琀�va posi琀椀vista, il problema dell’obbedienza dipende dalla prospe琀�va, come dichiara
Bobbio:
1. Se si intende il posi琀椀vismo come metodo, allora il problema diviene quello della distanza tra
diri琀琀o reale e diri琀琀o ideale in tal caso la legge ingiusta deve può e deve essere cri琀椀cata,
poli琀椀camente contestata 昀椀nanche sogge琀�vamente disapplicata, ma ciò nulla toglie alla
piena vigenza della norma stessa e alla sua obbligatorietà. In quest’o琀�ca il posi琀椀vismo è un
metodo per lo studio del diri琀琀o, non una regola d’azione per i singoli.
2. Se si intende il posi琀椀vismo come ideologia, allora si può ritenere che la gius琀椀zia si riduca
alla validità e dunque non sia gius琀椀昀椀cabile alcuna disobbedienza al diri琀琀o.
Nell’o琀�ca posi琀椀vista, i giudizi di valore sono sempre sogge琀�vi, in quanto la decisione è fondata
sull’ideologia morale, poli琀椀ca e religiosa del singolo. L’unica conoscenza ogge琀�va possibile è quella
riguardante la validità del diri琀琀o. Dunque, una norma sarà ritenuta ingiusta sempre sulla base di
valori propri e non sulla base di cara琀琀eris琀椀che intrinseche alla norma stessa, poiché non esistono
criteri ogge琀�vi in base ai quali operare tale valutazione.

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 Nella tradizione giusnaturalista, invece, il giudizio di valore è sempre ogge琀�vo, e per questo il
problema dell’obbedienza non è sogge琀�vo, ma colle琀�vo: chiunque, di fronte a una norma ingiusta,
dovrebbe negare la propria obbedienza, perchè la gius琀椀zia è una ques琀椀one di verità non di opinioni.
Si deve obbedire alla verità delle cose, piu琀琀osto che al sovrano (es. An琀椀gone).
Tu琀琀avia, è gius琀椀昀椀cata la disobbedienza alla ingius琀椀zia oltre un certo grado, al 昀椀ne di tutelare
l’ordine della coesione civile, poiché questo stesso è elemento cos琀椀tu琀椀vo della gius琀椀zia, come
a昀昀ermato da Aristotele a San Tommaso.
Quando però l’ingius琀椀zia è grave ed evidente (in San Tommaso, ad es., quando contraddice la legge
divina), allora la tutela dell’ordine civile cede rispe琀琀o all’obbedienza alla verità e alla gius琀椀zia.
Questa forma men琀椀s ha avuto rinnovato successo con la formula di Radbruch (e concreta
applicazione nei tribunali chiama琀椀 a giudicare dei crimini dei nazis琀椀). Secondo tale autore, il
problema dell’obbedienza si inquadra, appunto, in un bilanciamento fra il valore della gius琀椀zia e
quello della certezza del diri琀琀o. Normalmente deve prevalere la certezza del diri琀琀o, ma quando
l’ingius琀椀zia divenga intollerabile, della legge non rimane che il nomen e a ragione si può parlare di
torto legale (cfr. con art. 7.2 CEDU)
Conclusione: dimensioni ulteriori della gius琀椀zia.
Negli ul琀椀mi decenni sono state sviluppate nuove teorie, e rilevan琀椀 sono le teorie sulla gius琀椀zia di
transizione e le teorie sulla gius琀椀zia globale.
Con gius琀椀zia di transizione si intende l’ambito di gius琀椀zia in contes琀椀 post-bellici o successivi a consisten琀椀
violazioni dei diri琀� umani, e il problema diventa quello della coesione tra la sanzione delle ingius琀椀zia
passate e la ricostruzione di una ordinata coesistenza civile. Questo comporta tre importan琀椀 esigenze:
l’accertamento pubblico dei fa琀� passa琀椀, la punizione dei responsabili in modo tale da non impedire il
funzionamento ordinato delle is琀椀tuzioni pubbliche, e in昀椀ne è importante che la sanzione delle colpe
passate non impedisca il percorso della ricostruzione dei legami sociali e della paci昀椀cazione.
La gius琀椀zia globale si basa sulla consapevolezza del cara琀琀ere necessariamente universale delle istanze di
gius琀椀zia, poiché l’idea di giusto per natura è comune a tu琀� gli esseri umani. La tema琀椀zzazione, dunque,
consiste nello spostamento da un piano locale a uno globale delle ques琀椀oni di gius琀椀zia, con al di昀昀erenza he
cambiano anche i sogge琀� e gli ogge琀琀o: la gius琀椀zia globale non dipende dalle azioni individuai, ma
dall’opera di stru琀琀ure colle琀�ve, o sistemi economici, che di per sé producono gius琀椀zia o ingius琀椀zia.
Nei più recen琀椀 tenta琀椀vi di tema琀椀zzare la gius琀椀zia resta ferma l’idea che tra gius琀椀zia e diri琀琀o vi sia una
tensione e circolarità. Tensione nel senso che la gius琀椀zia rappresenta ancora, inevitabilmente, l’orizzonte di
realizzazione e a琀琀uazione del diri琀琀o, ed è un ideale da costruire in modo inesausto, sempre imperfe琀琀o e
irrinunciabile; e vi è circolarità perchè se la gius琀椀zia è il 昀椀ne del diri琀琀o, poiché questo è lo strumento per
proteggere gli ideali di gius琀椀zia comuni, anche il diri琀琀o è il 昀椀ne della gius琀椀zia, nel senso che i diri琀� e i doveri
sono ciò che garan琀椀scono una dimensione non esclusivamente morale alla gius琀椀zia.

Capitolo 2  Potere
Due facce della stessa medaglia.
I gradi teorici del diri琀琀o del ‘900 a昀昀ermano che il diri琀琀o e il potere sono due facce della stessa medaglia:
Bobbio intende che il diri琀琀o ha bisogno del potere per farsi rispe琀琀are, ma più in generale si può intendere
con l’idea che la concezione che abbiamo dell’uno dipenda dalla concezione che abbiamo dell’altro.
Infa琀�, si può a昀昀ermare che le concezioni del diri琀琀o sono in realtà concezioni rela琀椀ve al rapporto tra diri琀琀o
e potere. È una convivenza necessaria che può divenire travagliata dando vita a una lo琀琀a (mortale),
sopra琀琀u琀琀o quando il potere vuole assordire totalmente il diri琀琀o (totalitarismo). Guardando alla storia di
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rappor琀椀 fra diri琀琀o e potere, di può dire infa琀� che essi sono rappresenta琀椀 da due tendenza: quella del
potere di assorbire il diri琀琀o, e quella del diri琀琀o di imbrigliare il potere 昀椀no a neutralizzarlo.
La de昀椀nizione di potere è il rapporto tra governa琀椀 e governan琀椀 e alle modalità a琀琀raverso cui i secondi
dirigono, controllano e condizionano la vita dei primi. Bisogna inoltre dis琀椀nguerlo dalla potenza e dalla
forza. Weber dis琀椀ngue “potere” (Macht), ovvero la capacità di imporre il proprio volere anche contro la
resistenza di altri sogge琀�, con “dominio” (Herrschaf), cioè la possibilità di trovare obbedienza da parte di
un determinato gruppo di uomini. Hannah Arendt, invece, ha dis琀椀nto ulteriormente il potere dalla
“potenza” e dalla “forza” e dall’”autorità”, insistendo sull’elemento del consenso e de昀椀nendo il potere come
capacità umana non solo di agire, ma di agire in concerto.
Tra il livello primordiale della forza e quello superiore e ideale dell’autorità, il potere viene a ricoprire il
livello intermedio della forza regolata e dell’autorità spersonalizzata: quest’opera di non può che essere
compiuta a琀琀raverso il diri琀琀o. Nel caso in cui il potere si distacchi da questo rapporto col diri琀琀o allora
signi昀椀ca che è in corso una sua trasformazione in esercizio di forza e potenza.
Nomos e ius tra polis e impero.
Nel pensiero greco la tema琀椀ca del potere in relazione al diri琀琀o nasce quando ci si vuole distaccare dal
principio della forza, tanto che si può a昀昀ermare che il pensiero greco ha aperto la strada alla
regolamentazione del potere a琀琀raverso il diri琀琀o.
Trasimaco fu la più celebre rivendicazione della priorità della forza e della sua ne琀琀a supremazia sul diri琀琀o, e
infa琀� questo si scaglia con forza contro Socrate, a昀昀ermano che la gius琀椀zia non è altro che l’u琀椀le del più
forte. Ciò vale sia a me琀琀ere 昀椀ne alla discussione su cosa sia giusto rinviando al principio esterno e plumbeo
della forza, sia a stabilire che la forza è il principio primo da cui gli altri (es. gius琀椀zia) prendono forma.
È questa una visione che in altri so昀椀s琀椀, come Callicle, pone nella prevalenza della forza il principio
fondamentale e naturale della società, che viene a stru琀琀urarsi sulla base di un confronto/scontro nel quale
il più forte è chiamato, per natura, a prevalere; il diri琀琀o diventa sono uno strumento. La legge posi琀椀va,
invece, è il fru琀琀o della paura e dell’unione dei deboli, che me琀琀ono insieme le loro forza per imbrigliare i
for琀椀, diventano più for琀椀 dei for琀椀, altrimen琀椀 per loro non potrebbe esserci gius琀椀zia.
Grandi poe琀椀 come Esiodo e Pindaro, o legislatori mi琀椀ci come Solone, avevano invece individuato nel
dominio della forza l’an琀椀tesi del diri琀琀o e della gius琀椀zia, e ad anzi avevano di昀昀erenziato il regno dell’uomo
da quello animale proprio per la presenza del nomos e la assenza del dominio del più forte.
La risposta data dalla 昀椀loso昀椀a classica alla provocazione so昀椀s琀椀ca passa a琀琀raverso Platone e Aristotele, lungo
la via della sapienza e la via della legge.
 Platone trova nella sapienza il principio dell’anima razionale superiore alle altre, e inoltre l’unica
possibilità di “ordinare con precisione la cosa più buona e giusta per tu琀�, includendo insieme il
massimo di equità”.
Questa risposta sembra voler fare a meno delle leggi, considerate “un uomo arrogante e ignorante”
perchè predispongono soluzioni generale ed uniformi a situazioni sempre par琀椀colari, portando
autori come Karl Popper a considerare Platone come un precursore del governo totalitario.
Secondo l’interpretazione di McIlwain, invece, per Platone il governo dei sapien琀椀 appar琀椀ene al
piano degli ideali ina琀�ngibili, e proprio per questo, al 昀椀ne di evitare il governo arbitrario, fosse
necessario a昀케darsi al governo delle leggi.
La concreta possibilità di portare i principi della sapienza dentro al governo della legge è in e昀昀e琀�
alla base dell’opera conclusiva di Platone (Nomoi, appunto): consapevolezza dell' conduce a
individuare nella legge il luogo di concre琀椀zzazione della ragione e per ciò stesso come criterio
essenziale per dis琀椀nguere il buon governo dal malgoverno. La conclusione di questo i琀椀nerario di

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pensiero sta nella convinzione che la polis in cui non governi la legge è des琀椀nata alla violenza e alla
sopra昀昀azione.
 L’elaborazione aristotelica su questo tema non giunge a conclusioni dissonan琀椀, pur partendo da
presuppos琀椀 di昀昀eren琀椀, che fanno del governo della legge non un’alterna琀椀va di ripiego ma la miglior
soluzione possibile nella polis abitata da uomini in quanto esso è il governo della ragione senza
passione, in quanto garan琀椀sce che le decisioni siano prese in modo imparziale e disinteressato a
di昀昀erenza di ciò che avviene quando si a昀케dano de琀琀e decisioni agli uomini. Dunque, quando si
a昀케da il governo agli uomini, è inevitabili che ques琀椀 siano nomina琀椀 “guardiani delle leggi e
subordina琀椀 alle leggi”.
Dalla ri昀氀essione dei Greci appare chiaro che, da un lato, è solo la presenza delle leggi a legi琀�mare il potere
e a renderlo di昀昀erente dall’esercizio di forza e arbitrio; e, dall’altro, che la possibilità di stabilire una
superiorità del diri琀琀o rispe琀琀o al potere è legata alla capacità di non esaurire il diri琀琀o nella sfera della
decisione e della volontà poli琀椀ca.
Il nomos viene a rappresentare un elemento cos琀椀tu琀椀vo della società degli uomini che non è totalmente
nella disponibilità dei governan琀椀 ed è anzi ad essi e alle loro disposizioni superiore.
Si può in questo modo ben capire come sia in Platone che in Aristotele (muta琀椀s mutandis) il governo della
legge venga a cos琀椀tuire il criterio fondamentale per dis琀椀nguere le forme di buongoverno da quelle corro琀琀e
e rappresen琀椀 anzi anche l’elemento tramite il quale si iden琀椀昀椀ca l’esistenza stessa di una cos琀椀tuzione.
Quest’ul琀椀ma, in Aristotele, coincide col rispe琀琀o della superiorità del nomos in quanto: “dove non imperano
le leggi, non c’è cos琀椀tuzione”.
È per questo che per i Greci, generalmente, la legge posi琀椀va viene considerata intangibile, quasi fosse
scontata la sua coincidenza con le altre leggi (es divina), e si spiega anche l’assenza della contrapposizione
tra legge naturale e legge posi琀椀va, fa琀琀a eccezione per An琀椀gone di Sofocle e per la posizione dei so昀椀s琀椀.
Quanto de琀琀o dimostra come per i greci, ragionare del nomos signi昀椀chi allo stesso tempo ragionare
dell’allocazione dei poteri nella polis (così fa Platone quando parla del governo dell’uomo sapiente in
contrapposizione a quello della legge e analogamente Aristotele quando raccomanda ai magistra琀椀 di
decidere in base alla legge). Si riscontrano delle tema琀椀che che ritorneranno nella storia del diri琀琀o ogni volte
che bisogna preferire un approccio par琀椀colaris琀椀co a uno universalis琀椀co alle ques琀椀oni pra琀椀che: consen琀椀re a
un’autorità di decidere caso per caso o in base a leggi generali ha a che fare sia con la concezione del diri琀琀o
sia con la distribuzione del potere.
Ciò è ancor più evidente nell’esperienza romana, in cui il diri琀琀o è chiamato a regolamentare non solo
l’archite琀琀ura is琀椀tuzionale ma anche la vita individuale e sociale, in un intreccio ancora più stre琀琀o fra diri琀琀o
e potere, questo perchè la stru琀琀ura del potere e il funzionamento del diri琀琀o fanno si che interagiscano
con琀椀nuamente: il potere deve fare i con琀椀 con regole puntuali, mentre il diri琀琀o e fru琀琀o del concorso di
diversi a琀琀ori, secondo l’idea di cos琀椀tuzione mista celebrata da Polibio e Cicerone come forma di equilibrio
tra diri琀琀o e potere.
Pur non potendosi parlare di divisione dei poteri in senso moderno, abbiamo qui il perseguimento
dell’esigenza, 琀椀pica anche del cos琀椀tuzionalismo moderno, della limitazione del potere, a琀琀raverso una
compartecipazione equilibrata delle varie componen琀椀 is琀椀tuzionali alla ges琀椀one unitaria del potere stesso.
Polibio, partendo dalla constatazione che le forme di governo semplici sono sogge琀琀e a decadenza e portano
con sé la rela琀椀va forma corro琀琀a, Polibio presenta la soluzione romana come quella più ada琀琀a per evitare
che il governo sia so琀琀oposto al ciclo delle con琀椀nue degenerazioni, di cui parlerà Machiavelli. Si tra琀琀a di una
cos琀椀tuzione che funziona in quanto fondata su un equilibrio fra poteri, stabilito e garan琀椀to dal diri琀琀o.
Legge naturale e fondazione del potere.

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L’alterità tra diri琀琀o e potere troverà una cristallizzazione nell’emergere della nozione di legge naturale,
nozione già conosciuta dai Greci e sopra琀琀u琀琀o dai so昀椀s琀椀, che la usavano per cri琀椀care il nomos della ci琀琀à. Il
diri琀琀o naturale dei so昀椀s琀椀, però, è il diri琀琀o della forza, mentre il diri琀琀o naturale dei romani e successivo è
più un diri琀琀o della ragione, tale da renderlo supporto e criterio di giudizio della legge posi琀椀va. Il richiamo
del diri琀琀o naturale è un rinvio a ciò che sta prima e oltre la sfera del potere, come a昀昀erma Cicerone.
Il diri琀琀o naturale, immutabile ed eterno, radicato nella ragione, non può che essere svincolato da qualsiasi
volontà umana, e dunque da qualsiasi potere che possa determinarlo o modi昀椀carlo. A par琀椀re da questo
momento esso sarà riferimento costante di tu琀� coloro che vorranno a昀昀ermare un principio superiore al
potere degli uomini, cui verrà invece abbandonata la lex humana, ovvero il diri琀琀o posi琀椀vo, dis琀椀nto dalla lex
naturalis. Tale tendenza dualis琀椀ca sarà 琀椀pica nella scienza giuridica successiva.
Difa琀�, il diri琀琀o naturale verrà ado琀琀ato e tramandato dai Padri del cris琀椀anesimo, che ne fanno il criterio
superiore in base al quale fondare e giudicare le manifestazioni umani del diri琀琀o e del potere, poiché il
diri琀琀o naturale diviene assolutamente obbligatorio e prevale su tu琀� gli altri diri琀�.
All’interno di questa cornice si ripropone la divisione tra razionalis琀椀 e volontaris琀椀, linee di pensiero
riconducibili rispe琀�vamente a Tommaso d’Aquino e Agos琀椀no d’Ippona, che condurranno a esi琀椀
profondamente diversi in relazione alla legi琀�mazione del potere.
 Agos琀椀no  la via volontaris琀椀ca del vescovo, basata sulla piena coincidenza fra legge divina e legge
naturale, 昀椀nirà per avere paradossalmente esi琀椀 di 琀椀po “posi琀椀vis琀椀co”, nella misura in cui insiste sulla
volontà di chi pone al legge e dunque sulla riconduzione dell’elemento giuridico alla piena
disponibilità di chi della legge è Autore (Dio per la ci琀琀à celeste, il sovrano per la ci琀琀à degli uomini).
 Tommaso  la via razionalis琀椀ca sarà invece più a琀琀enta a preservare l’autonomia della legge e del
diri琀琀o dalla volontà di chi li pone, e porrà dunque il diri琀琀o naturale come criterio di valutazione e
razionalità cui la legge posi琀椀va dovrà aspirare, poiché esso è parte di una legge eterna che è
razionale in quanto tale.
La storia del diri琀琀o naturale ci insegna che quanto più questo viene a risolversi nella volontà del sogge琀琀o,
tanto più esso verrà a琀琀ra琀琀o nella sfera del potere, 昀椀no ad esserne completamente assorbito; le teorie
moderne di Hobbes e Locke sono conferma di ciò, nonostante siano molto distan琀椀 per la maniera in cui
hanno concepito il diri琀琀o naturale:
 Hobbes nel “De Cive” e nel “Leviatano” de昀椀nisce il diri琀琀o naturale come una facoltà che il sogge琀琀o
può usare a proprio arbitrio. Tramite il trasferimento di questa facoltà individuale al corpo colle琀�vo,
mediante il pa琀琀o, si perviene alla costruzione dello Stato e alla de昀椀nizione della legge posi琀椀va come
mera manifestazione della volontà del sovrano in questo mood is琀椀tuito.
La legge, dunque, coincide con tu琀琀o ciò che il sovrano riterrà u琀椀le e giusto: se si vogliono
salvaguardare pace e sicurezza, per Hobbes non esiste altro principio se non auctoritas, non veritas,
facit legem.
E non possono esserci leggi superiori a quelle del sovrano, poiché ciò equivarrebbe a porre un
giudice sopra di lui, il che equivale a creare un nuovo sovrano.
Hobbes estremizza l’introduzione moderna dello stato centralizzato connesso al principio di
sovranità, realizzando il c.d. assolu琀椀smo giuridico.
 Locke, nel “Secondo tra琀琀ato sul governo” a琀琀ribuisce all’individuo nello stato di natura la libertà di
regolare le proprie azioni e disporre dei propri beni e della propria persona come meglio credere,
entro i limi琀椀 della legge di natura. Questa insegna a tu琀� gli uomini che essendo tu琀� eguali
indipenden琀椀 nessuno deve recare danno ad altri nella vita, nella salute e nella libertà.
Questa de昀椀nizione è elaborata allo scopo di de昀椀nire il potere poli琀椀co, il quale si cara琀琀erizza 昀椀n
dall’origine per i limi琀椀 ai quali è so琀琀oposto: ed infa琀�, questo avrà come suo mandato esclusivo di
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garan琀椀re quel reciproco rispe琀琀o dei diri琀� che nello stato di natura era a昀케dato nelle mani di
ciascuno.
Dunque, ogni potere assoluto e dispo琀椀co non sarà tollerato, poiché nessuno può essere esonerato
dal rispe琀琀o delle leggi di natura. Locke capisce che il “nuovo Leviatano” deve essere legi琀�mato solo
in virtù di un principio che contemporaneamente lo limita, pena il non poter dis琀椀nguere fra
esercizio della forza ed esercizio del potere.
Ancora una volta, la concezione del diri琀琀o condizione e pre昀椀gura la concezione del potere. Per questo
mo琀椀vo Locke legi琀�ma anche la resistenza nei confron琀椀 del Governo, poiché se l’esercizio del potere è oltre
il diri琀琀o, allora gli si può opporre resistenza come a chiunque con la forza violi l’altrui diri琀琀o.
La ri昀氀essione sul diri琀琀o naturale è una ri昀氀essione sui fondamen琀椀 e legi琀�mità del potere, e i diversi modi di
concepire il primo appartengono a una diversa maniera di pensare il secondo.
In ogni caso, la stagione del naturalismo moderno, segna l’avvento di un epoca in cui il potere deve essere
legi琀�mato dal basso, cioè dai ci琀琀adini, e non dall’alto, cioè da Dio.
A par琀椀re dal XVII sec., le due vie di Hobbes e Locke vengono ancora più radicalizzate: rispe琀琀o alla prima si
pone il problema di chi governa, per la seconda si pone il problema di come si governa, cercando tecniche di
contenimento del potere. In tal senso le teorie elaborate da Rousseau e Montesquieu:
 Rousseau  nel “Contra琀琀o sociale” porta alle estreme conseguenze il ragionamento di Hobbes,
rovesciando però la logica del pa琀琀o: è ora il fa琀琀o di unirsi a produrre il dovere di obbedire a un
potere comune, generando così una necessità di so琀琀omissione ancor più stringente in virtù della
coincidenza che viene a crearsi tra sogge琀琀o a琀�vo (governante) e sogge琀琀o passivo (governato).
Poiché la legge è il prodo琀琀o della volontè gènèrale, e dunque a琀琀raverso essa si realizza la liberta di
autonomia del sogge琀琀o, non è ammissibile che si possa ubbidire se non consentendone: ciascuno,
unendosi a tu琀�, non obbedisce tu琀琀avia che a sé stesso. Ogni altra forma di obbedienza riporta la
società so琀琀o il dominio della forza, e cedere alla forza non è mai ubbidienza ma solo necessità.
Infa琀�, la forza non potrà mai cos琀椀tuire diri琀琀o, poiché si è obbliga琀椀 a ubbidire solo ai poteri
legi琀�mi, e i poteri legi琀�mi sono solo quelli genera琀椀 dal contra琀琀o sociale.
Dunque, la di昀昀erenza principale con Hobbes consiste nel fa琀琀o che governan琀椀 e governa琀椀
coincidono perfe琀琀amente, e perciò è legi琀�mato a priori, e inoltre, non può avere alcun interesse
contrario all’interesse sei sogge琀�. Questa è una visione o琀�mis琀椀ca
 Montesquieu  L’idea di Montesquieu e del cos琀椀tuzionalismo, di contrappone in modo
pessimis琀椀co alla visione o琀�mis琀椀ca di Rousseau, poiché alla base del loro pensiero c’è la
convinzione che il potere abbia una tendenza fatale a degenerare (Machiavelli sos琀椀ene la necessità
che le is琀椀tuzioni siano organizzate in modo tale che ci esercita il potere abbia un guardia per
impedirgli di uscire dalla re琀琀a via).
Per risolvere tale problema琀椀ca, Montesquieu, nello “Spirito delle leggi”, descrive la cos琀椀tuzione
inglese per introdurre la teoria della separazione dei poteri (giudiziario, esecu琀椀vo e legisla琀椀vo).
La teoria di separazione dei poteri fa parte di un conce琀琀o più ampio di controllo del potere a琀琀raverso il
diri琀琀o, che prende il nome di cos琀椀tuzionalismo, che non si realizza solo a琀琀raverso la separazione dei poteri,
ma anche a琀琀raverso la limitazione del potere a琀琀raverso i diri琀�, ovvero con l’individuazione di spazi in cui il
potere non può intervenire, come a昀昀erma Norberto Bobbio (si possono dis琀椀nguere due forme di limitazione
del potere: una materiale, che consiste nel so琀琀rare agli impera琀椀vi del sovrano una sfera di comportamen琀椀
umani; e una limitazione formale, che consiste nel porre tu琀� gli organi del potere al di so琀琀o di leggi
generali dello Stato medesimo).
L’obie琀�vo del cos琀椀tuzionalismo è porre la legge al disopra del potere, a昀케nché, chi de琀椀ene il potere, debba
esercitarlo senza abusarne e senza violare i diri琀� dei ci琀琀adini.
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Il diri琀琀o posi琀椀vo del potere.


Con l’avvento della do琀琀rina posi琀椀vis琀椀ca, appare più di昀케cile concepire l’idea di un diri琀琀o sopra il potere, se
è vero che il diri琀琀o viene ricondo琀琀o interamente alla sua esplicita produzione da parte dell’autorità poli琀椀ca
riconosciuta.
Questa visione trova la sua sistemazione nelle teorie di Bentham e Aus琀椀n, cri琀椀ci del diri琀琀o naturale e
giurisprudenziale e sostenitori dell’idea impera琀椀vis琀椀ca, che vede la legge come un comando che promana
dall’autorità poli琀椀ca 琀椀tolare del potere sovrano all’interno della comunità poli琀椀ca indipendente.
 Bentham  Ne “Il frammento sul governo” propone una cri琀椀ca al cos琀椀tuzionalismo codi昀椀cato da
Blackstone, che poneva il focus sull’a琀�vità dei giudici, che era inacce琀琀abile per un posi琀椀vista.
Bentham sos琀椀ene che parlare di diri琀� naturali sia semplice insensatezza, propugnando invece una
昀椀loso昀椀a u琀椀litaris琀椀ca: sono infa琀� ragione e buon senso, mossi da presuppos琀椀 u琀椀litaris琀椀ci, che
inducono a ritenere che i diri琀� possono essere a昀昀erma琀椀 o nega琀椀 quando all’una o all’altra cosa
corrisponde un vantaggio per la società.
 Aus琀椀n  Aus琀椀n delimita con precisione la sfera della legge propriamente de琀琀a, da ciò che legge
non è, pur essendo chiamato con lo stesso nome. La legge propriamente de琀琀a, infa琀�, è quella
stabilita da superiori poli琀椀ci che abbiano al natura di un comando, e deve esistere il proposito e il
potere di in昀氀iggere un male nel caso in cui tale comando non venga rispe琀琀ato.
La tutale riconduzione del diri琀琀o nella sfera del potere poli琀椀co e della sovranità statale è all’origine di tu琀� i
dogmi del posi琀椀vismo giuridico, e di tu琀琀e le accuse che, nel secondo dopoguerra, sono state rivolte a
questa tradizione per aver favorito l’a昀昀ermarsi del totalitarismo.
Tu琀琀avia, se pur in virtù della riduzione posi琀椀vista venga a determinarsi una stre琀琀a connessione tra quelli
che Norberto Bobbio chiama “ciclo della norma” (gius琀椀zia-validità-e昀케cacia) e “ciclo del potere”
(legi琀�mità-legalità-e昀昀e琀�vità), si deve anche osservare che, per questa stessa via, il potere stesso venga ad
essere imbrigliato in un re琀椀colo di regole riguardan琀椀 il suo esercizio; anzi, è proprio in virtù di questo
intreccio, che può essere considerato potere solo in virtù del rispe琀琀o delle regole che lo legi琀�mano e lo
stru琀琀urano.
Di questo nuovo scenario sono tes琀椀moni le teorie di Weber e Kelsen:
 Kelsen  la do琀琀rina kelsiana è un monumento ere琀琀o alla correlazione tra diri琀琀o e potere. Nella
nomodinamica chiarisce che nessuna norma può essere valida se non in conseguenza di un potere
che la pone, e allo stesso tempo nessun potere può essere tale se non in conseguenza di una norma
che lo autorizza a produrre diri琀琀o: tale rimando con琀椀nuo, che dimostra come non ci siano norme al
di fuori di quelle poste da chi detenente il potere, e che non ci sia potere se non autorizzato da una
norma, termina con una Norma Fondamentale (grundnorm).
Il diri琀琀o viene ad essere considerato come un ordinamento o una organizzazione speci昀椀ca del
potere, e ciò porta, da un lato, a sovrapporre la nozione di Stato a quella di ordinamento giuridico, e
dall’altro, chiarisce che fra diri琀琀o e forza non può esserci confusione, in quanto, se diri琀琀o e potere
trovano la loro quali昀椀cazione all’interno del loro reciproco rapporto, la forza deve essere ca琀琀urata
dentro questo rapporto.
 Weber  Weber individua l’impresa di regolamentazione della forza tramite il diri琀琀o come pretesa
di monopolizzazione dell’uso legi琀�mo della forza da parte dello Stato. Questa pretesa si è realizzata
in diverse forme:
1. Potere legale-razionale  l’unica forma matura e avanzata di regolazione giuridica del
potere, che poggia sulla fede nella validità della norma di legge e della competenza
obie琀�va fondata su regole razionalmente formulate (e dunque su un generale
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adempimento di dovei stabili琀椀 da norme). È questa una forma poli琀椀co-amministra琀椀va in cui


ogni esercizio del potere è regolato da norme, come un funzionario della burocrazia svolge i
suoi compi琀椀.
2. Potere tradizionale  si basa sull’autorità dell’”eterno ieri” e rinvia a una forma giuridica
semplice.
3. Potere carisma琀椀co  si basa sulle qualità del capo che non possono, per loro stessa natura,
essere formalizzate o 昀椀ssate, protendendo quindi verso un potere tendenzialmente ed
essenzialmente non regolabile.
Weber descrive le cara琀琀eris琀椀che di un potere la cui stru琀琀ura non conosce forma o un
procedimento omogeneo di insediamento e des琀椀tuzione, giacché nel suo esercizio conosce
soltanto determinazioni interne e autolimitazioni.

Tra totalitarismo e democrazia cos琀椀tuzionale.


Il XX secolo può esser, a ragion veduta, considerato il secolo della lo琀琀a morale fra diri琀琀o e potere: da un lato
il potere ha cecato di assorbire completamente il diri琀琀o dento la sua sfera; dall’altro il diri琀琀o ha cercato di
regolamentare rigidamente ogni esercizio di potere.
Totalitarismo e democrazia cos琀椀tuzionale rappresentano i due fenomeni espressione di tali tendenza
contrapposte, che rendono diri琀琀o e potere non più due facce della stessa medaglia, ma una medesima
faccia, dentro uno schema che 昀椀nisce per perver琀椀re uno dei due.
La tes琀椀monianza più rilevante si ritrova in Carl Schmi琀琀, giurista molto vicino al Reich hitleriano che muove
dalla negazione che il nuovo sistema cos琀椀tuzionale tedesco possa trovare una legi琀�mazione nella
cos琀椀tuzione precedente.
Schmi琀琀 predica una sorta di auto-fondazione del Reich, confutando in tal modo l’idea di Kelsen che il diri琀琀o
debba essere legi琀�mato a par琀椀re dalla grundnorm. Il diri琀琀o, per Schmi琀琀, procede invece da quell’a琀琀o con
cui un potere a昀昀erma sé stesso, contrapponendo con ciò l’idea di legi琀�mità a quella di legalità.
Come osserva Schmi琀琀, nello stato nazista convivevano apparentemente uno “stato norma琀椀vo” e uno “stato
discrezionale”, ma quest’ul琀椀mo annullava completamente il primo: si tra琀琀ava in sostanza di un sistema di
“dominio dell’arbitrio assoluto e della violenza che non conosce limite in alcuna garanzia giuridica”, un
sistema in cui “mancano le norme e dominano i provvedimen琀椀”.
Ciò vale per ogni totalitarismo: la riduzione dell’individuo nello Stato è alla base di una concezione del
rapporto fra diri琀琀o e potere nella quale il primo è molto meno di un mezzo per il raggiungimento dei 昀椀ni del
secondo.
Questo spiega l’obie琀�vo dei cos琀椀tuen琀椀 del dopoguerra di fare in modo che i nuovi ordinamen琀椀
cos琀椀tuzionali togliessero dalla vita delle comunità poli琀椀che ogni esercizio di potere arbitrario. Per far
questo, tu琀琀avia, non bastava soltanto congegnare un’adeguata archite琀琀ura cos琀椀tuzionale, ma anche
superare la concezione strumentale del diri琀琀o.
Perciò, la cara琀琀eris琀椀ca del cos琀椀tuzionalismo novecentesco, è essenzialmente che questo va a neutralizzare
il potere cos琀椀tuente in nome di un sistema di voli de琀� principi, di cui la cos琀椀tuzione stessa diventa
promotrice e garante: così il potere non è più uno strumento neutro a disposizione di chi esercita i poteri,
ma è, innanzitu琀琀o, un insieme di regole e principi vol琀椀 a garan琀椀re i diri琀� dei ci琀琀adini e la loro piena libera
partecipazione alla vita della comunità poli琀椀ca. Infa琀�, il cos琀椀tuzionalismo culmina con la presenza delle
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cor琀椀 cos琀椀tuzionali, chiamate a fare in modo che il governo della legge non sia una forma mascherata di
governo degli uomini, ma piu琀琀osto un sistema nel quale è la cos琀椀tuzione a de昀椀nire i contorni dell’azione
poli琀椀ca.
Nel sistema cos琀椀tuzionale, tra l’altro, come so琀琀olinea von Hayek, “il governo in tu琀琀e le sue azioni è
vincolato da norme stabilite e annunciate in an琀椀cipo”. Anziché essere il diri琀琀o subordinato alla poli琀椀ca
quale suo strumento, è adesso la poli琀椀ca ad essere strumento di a琀琀uazione del diri琀琀o, so琀琀oposta ai vincoli
cos琀椀tuzionali.
Le nuove s昀椀de del potere.
Al ne琀琀o delle di昀케coltà che i sistemi democra琀椀ci stanno a琀琀raversando negli ul琀椀mi tempi, si possono
individuare tre cri琀椀cità:
 La prima è di 琀椀po squisitamente giuridico  un sistema completamente giuridicizzato non
comporta necessariamente la scomparsa del potere.
 La seconda è di natura is琀椀tuzionale  la corsa verso la giuridicizzazione della vita sociale appare
come una via per espropriare il potere poli琀椀co di ogni forma di autorità, e concentrare nelle mani
dei giudici il vero potere.
 La terza è invece di 琀椀po poli琀椀co  La regolamentazione esterna della vita sociale e poli琀椀ca, rischia
di far dimen琀椀care che ci saranno sempre situazioni par琀椀colari nelle quali il diri琀琀o è costre琀琀o a
lasciare spazio all’autorità, e che il potere non si lascia sempre addomes琀椀care facilmente, e
potrebbe 昀椀nire per emergere in forme irrazionali e talvolta incontrollabili.
Sarà compito della scienza giuridica e poli琀椀ca del XXI sec. a cercare soluzioni adeguate a fare sì che potere e
diri琀琀o possano coesistere posi琀椀vamente, in un contesto nel quale si assiste a una generalizzazione del
sospe琀琀o di potere, una generalizzazione che dipende da tre fa琀琀ori:
 Si è sviluppata una maggiore sensibilità nei confron琀椀 dei fenomeni sociali susce琀�bili di generare
e昀昀e琀� di potere;
 Il consolidamento di una nuova geogra昀椀a degli spazi fa si che si a昀昀ermino poteri sovranazionali che
non appaiono più controllabili muovendosi nella statualità moderna;
 L’evoluzione scien琀椀昀椀co-tecnologica pone problemi sempre nuovi spostano i con昀椀ni del
“giuridicamente regolabile”, e porta il diri琀琀o ad assumere cara琀琀eris琀椀che inedite e ancora tu琀琀e da
approfondire.
Saranno queste le s昀椀de che il diri琀琀o dovrà a昀昀rontare per impedire la “tecnica” diven琀椀 il nuovo nome di
“potere” e “forza”.

Capitolo 8  Norma
Un mondo di regole.
Il termine norma il la琀椀no indica la “squadra”, lo strumento che serve per disegnare e misurare angoli e
segmen琀椀. In questo senso la norma è ciò che “squadra”, nel senso di regolarizza, i comportamen琀椀 dei
des琀椀natari; è il calco che perme琀琀e di plasmare un ordine sociale.
Le norme si presentano come proposizioni prescri琀�ve, ovvero prescrivono obblighi, permessi o divie琀椀.
Sono ogge琀� linguis琀椀ci che pongono un dover essere, dicono come dobbiamo o non dobbiamo comportarci,
cosa possiamo o non possiamo fare, quali poteri possiamo esercitare e quali obblighi dobbiamo adempiere.
Ma perchè bisogna rispe琀琀are le norme? Cosa gius琀椀昀椀ca limitazioni della nostra libertà personale?

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La do琀琀rina del diri琀琀o naturale aveva risolto il problema della gius琀椀昀椀cazione dell’obbligatorietà legando
indissolubilmente il conce琀琀o di norma a quella di natura umana. La scienza del diri琀琀o moderna, invece,
abbandona de昀椀ni琀椀vamente l’idea che il sapere giuridico debba dipendere da principi extra-giuridici,
cercando di costruire un sapere autonomo e ogge琀�vo, e dunque va a gius琀椀昀椀care una norma a琀琀raverso la
sua dimensione formale. Tu琀琀avia, dopo le vicende del Novecento, si è dovuto tornare a gius琀椀昀椀care una
norma aggiungendo alla forma altri requisi琀椀, per rispondere a leggi legali ma ingiuste (es. leggi razziste).
Proposizioni fallaci.
La fallacia naturalis琀椀ca è l’errore logico che si comme琀琀e cercando di derivare il dover essere dall’essere, la
norma dalla natura, ed è su questo che si basa ogni teoria giuridica posi琀椀vista: l’idea che il dover essere non
sia derivabile logicamente dall’essere si materializza per la prima volte nel Tra琀琀ato sulla natura umana di
Hume (VIII sec.), dal quale si ricava la c.d. legge di Hume, per cui è impossibile linguis琀椀camente passare
indi昀昀erentemente da proposizioni descri琀�ve a proposizioni prescri琀�ve.
Se il conce琀琀o è an琀椀co, il termine fallacia naturalis琀椀ca compare per la prima volta nel 1903 con Moore, e
accende il diba琀�to novecentesco tra teorici del cogni琀椀vismo e琀椀co, che ri昀椀utano la “grande divisione” di
Hume e a昀昀ermano la possibilità di conoscere l’universo del dover essere indagando la sfera dell’essere; e
teorici del non cogni琀椀vismo e琀椀co, che, basandosi sull’argomento della fallacia naturalis琀椀ca, dividono essere
e dover essere.
Cos’è però una fallacia? Un errore nel ragionamento logico: ad es. a昀昀ermare la porta è aperta, non implica il
dovere di chiudere la porta, ovvero dall’essere aperta della porta non di deduce nessariamente il suo dover
essere chiusa. Da una proposizione descri琀�va non si deduce mai una proposizione prescri琀�va.
L’errore logico della fallacia naturalis琀椀ca è uno degli argomen琀椀 decisivi per la totale “emancipazione” del
diri琀琀o dai suoi contenu琀椀 “naturali” o sostanziali, poiché se non è possibile dedurre alcuna proposizione
prescri琀�va da una descri琀�va, altresì non è possibile dedurre dalla natura di un ente il dover essere rela琀椀vo
a quel determinato ente.
Così, tol琀椀 i contenu琀椀, non resta che la forma  le moderne concezioni della norma fondano l’obbligatorietà
sulla validità della norma.
Tre conce琀� di validità.
La “do琀琀rina pura del diri琀琀o” di Hand Kelsen cos琀椀tuisce il più compiuto tenta琀椀vo di costruire un conce琀琀o di
dover essere giuridico “slegato” da ogni contenuto sostanziale e interamente basato sull’aspe琀琀o formale.
I tre snodi essenziali per ricostruire il conce琀琀o kelsiano di norma sono:
1. La purezza del diri琀琀o, che riguarda l’aspe琀琀o epistemologico della teoria kelsiana: come le scienza
naturali isolano i fenomeni per analizzarsi senza interferenze, così per conoscere il dover essere
dobbiamo liberarlo da ogni possibile contaminazioni epistemologica prodo琀琀a da fenomeni umani di
cara琀琀ere morale, poli琀椀co, ideologico o religioso. Solo così o琀琀erremo l’ogge琀琀o giuridico in tu琀琀a la
sua purezza.
Il modello kelseniano, fedele alla fallacia naturalis琀椀ca, emancipa epistemologicamente il dover
essere da ogni conta琀琀o con la sfera dell’essere: conoscere il diri琀琀o non signi昀椀ca analizzare la
sostanza, ma solo accarezzarne la forma;
2. È la validità che perme琀琀e di individuare e de昀椀nire il diri琀琀o come dover essere obie琀�vo e formale.
Kelsen de昀椀nisce la validità come l’esistenza speci昀椀ca di una norma in e per un ordinamento; una
norma, dunque, è valida quando esiste all’interno ed in funzione di un ordinamento giuridico.
La validità inoltre è una proprietà ontologica, una cara琀琀eris琀椀ca esistenziale, di ogni norma giuridica.

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Kelsen ra昀케gura l’ordinamento come una piramide costruita “a gradi”, dove ogni dover essere del
livello inferiore ripete validità dal dover essere del livello immediatamente superiore. Tale validità,
in昀椀ne, non è mai sostanziale, non riguarda il contenuto, ma solo il modo in cui il dover essere è
posto nell’ordinamento.
3. Kelsen de昀椀nisce la norma giuridica come uno schema di quali昀椀cazione. La norma quali昀椀ca, ovvero
rende giuridicamente rilevan琀椀, a琀� sociali e comportamen琀椀 umani.
Lo schema di quali昀椀cazione ha la seguente forma: “Se a deve essere b”, dove a indica il fa琀琀o umano
o sociale quali昀椀cato come illecito, e b esprime la sanzione prevista per il sogge琀琀o che pone in
essere l’illecito. Ciò che lega a e b è proprio il dover essere che esprime il nesso di imputazione.
Kelsen, dunque, contrappone fenomeni naturali e fa琀� giuridici: i primi sono regola琀椀 dal principio di
causalità, i secondi dal nesso di imputazione.
Ciò è rilevante sia perchè ripete che la validità di una norma è indi昀昀erente dalla sostanza (lo schema
di quali昀椀cazione non assegna alcun valore materiale ad a e b), sia perchè ripete che i fa琀� naturali
non hanno alcuna rilevanza del mondo del diri琀琀o, ma sono rilevan琀椀 solo dopo che ricevono una
quali昀椀cazione dalla norma valida.
A fronte di tu琀琀o ciò, potremmo più propriamente de昀椀nire la norma giuridica come il senso di una
proposizione prescri琀�va che esprime un dover essere formalmente valido.
L’allievo di Kelsen Alf Ross, in Diri琀琀o e gius琀椀zia, rivede profondamente la 昀椀loso昀椀a kelsiana, evolvendo il
conce琀琀o di norma giuridica. I tre snodi del suo pensiero sono:
1. L’applicazione del neoempirismo al diri琀琀o. Secondo i neoempiris琀椀 è reale solo ciò che è veri昀椀cabile
empiricamente, e allora Ross va a depurare ancora di più ogni conce琀琀o giuridico da qualsivoglia
scoria meta昀椀sica, riducendo il diri琀琀o a una serie di proposizioni ed asserzioni empiricamente
veri昀椀cabili: la validità equivale alla veri昀椀cabilità.
2. Ma quando e come una norma è veri昀椀cabile?
La validità di una norma sarà data semplicemente dalla sua e昀케cacia, e cioè dall’adempimento da
parte dei giudici che applicano e seguono la norma giuridica, in quanto sono proprio le cor琀椀 le vere
des琀椀natarie delle norme.
Tu琀琀avia, la semplice osservazione del comportamento di questa è condizione necessaria ma non
su昀케ciente: chi segue le regole deve anche avver琀椀re interiormente la forza vincolante di quella
regola, la pressione psicologica che essa esercita sul des琀椀natario.
La norma è quindi valida so琀琀o una doppia condizione di essere applicata con regolarità (fa琀琀o
sociale), e di essere interiormente sen琀椀ta come vincolante dalle cor琀椀 (fa琀琀o psicologico).
3. Se l’espressione diri琀琀o valido rinvia all’a琀�vità delle cor琀椀, le norme altro non potranno essere che il
risultato dell’a琀�vità dei giudici. Ross de昀椀nisce le norme, da un lato, come asserzioni giuridicamente
quali昀椀cate (in quanto risultato dell’interpretazione e applicazione da parte delle cor琀椀), e per altro
verso come fa琀� psico-sociali, empiricamente osservabili.
Tre anni più tardi Hart pubblica Il conce琀琀o di diri琀琀o, in cui, dalla sua visione giusposi琀椀vista, fornisce la sua
de昀椀nizione di norma giuridica e validità, de昀椀nizione più elas琀椀ca e meno rigida, o琀琀enuta mescolando le
teorie di Ross e Kelsen con le conquiste della 昀椀loso昀椀a anali琀椀ca nel campo del linguaggio ordinario.
1. Il 昀椀losofo ri昀椀uta sia le impalcature del posi琀椀vismo logico che le costruzioni del neoempirismo,
propendendo per una de昀椀nizione di norma e validità che fugga da ogni riduzionismo.
Nella prospe琀�va har琀椀ana, l’ogge琀琀o giuridico è per sua natura plasmabile, per poter meglio essere
u琀椀lizzato dai suoi fruitori.

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I des琀椀natari delle norme, per Hart, non sono altro che i partecipan琀椀 al gioco sociale del diri琀琀o, e
sono coloro a琀琀orno ai quali egli costruisce la sua teoria di validità e de昀椀nizione della norma
giuridica.
2. Anche qui, come in Ross, la validità è subordinata a una duplice condizione: la regolarità dei
comportamen琀椀 riscontrabile da parte di un osservatore esterno al sistema, ma anche che coloro
che partecipano al gioco del diri琀琀o, acce琀�on e si riconoscano in quel sistema di norme, che
abbiamo un a琀琀eggiamento cri琀椀co-ri昀氀essivo.
La di昀昀erenza principale con Ross sta nel fa琀琀o che ora des琀椀natari condividono non solo le emozioni,
ma anche le ragioni che gius琀椀昀椀cano l’obbligatorietà delle norme, ed è solo in tal modo che
l’osservatore diviene partecipante e il des琀椀natario diviene partecipante al gioco a琀�vo del diri琀琀o.
3. La de昀椀nizione har琀椀ana di norma è più malleabile rispe琀琀o alle preceden琀椀, e meno legata a schemi
astra琀�. Infa琀�, Gli in昀椀ni琀椀 usi del linguaggio e la prospe琀�va di chi deve con琀椀nuamente servirsi delle
norme convergono in una de昀椀nizione in cui le proposizioni prescri琀�va hanno una stru琀琀ura
seman琀椀ca aperta, il cui signi昀椀cato è con琀椀nuamente rimodellato in relazione all’interpretazione di
chi partecipa al gioco del diri琀琀o.
L’accento posto da Hart su acce琀琀azione e riconoscimento da parte dei fruitori delle norme indica come, nel
passaggio da Kelsen a costui, la 昀椀loso昀椀a del diri琀琀o abbia ripreso a interrogarsi anche sul contenuto stesso
delle norme giuridiche.
Alla luce dei totalitarismo novecenteschi, che hanno prodo琀琀o norme perfe琀琀amente valide dal punto di vista
formale ma dal contenuto ingius琀椀昀椀cabile, risulta impossibile dare una de昀椀nizione di norma che non faccia
riferimento alla sostanza. La validità formale non basta a dirci della giuridicità del dover essere: serve anche
una valutazione rela琀椀va alla sostanza della prescrizione prevista dalla norma. Dunque, l’essere, in talune
circostanze, in昀氀uenza eccome il dover essere. Però come superare l’ostacolo della fallacia naturalis琀椀ca?
Proposizioni non fallaci.
Se derivassimo il dovere non dalla semplice esistenza di un ente, ma dalla sua essenza, dalla sua stru琀琀ura
conce琀琀uale? Se infa琀� è certamente vero che la mera esistenza del fa琀琀o non implica il valore, è altresì vero
che il senso dell’esistenza di quel fa琀琀o si schiude certamente in una dimensione valoriale.
Consideriamo l’esempio di Hesserl, padre della fenomenologia: un guerriero deve essere valoroso. Dalla
de昀椀nizione di cosa è un guerriero scaturisce il dover essere valoroso, poiché, se certamente è possibile
l’ipotesi di un guerriero privo di valore, se tu琀� i guerrieri fossero vili, allora verrebbe meno l’idea stessa di
guerriero.
Dunque, il conce琀琀o, l’idea, di guerriero, rinvia a un giudizio di essenza, poiché sarebbe assurdo concepire
l’idea di un guerriero non includendo fra le proprietà essenziali un minimo di valorosità: è la gramma琀椀ca
del conce琀琀o, direbbe Wi琀琀genstein, a dirci ciò.
Dunque, dall’essere guerriero siamo giun琀椀 al dover essere che de昀椀nisce ogni guerriero. Il dover essere del
guerriero indica quindi una soglia minima so琀琀o la quale non ci troviamo più di fronte a un comba琀琀ente ma
a un disertore.
Se, dunque, ci interroghiamo non più solo sull’esistenza, ma sull’essenza del conce琀琀o di norma, vediamo
che le cose cambiano: non è più qui in gioco solo la forma, ma anche la sostanza.
È indubbio che la totale mancanza di un minimo di gius琀椀zia non può essere la qualità denotante il conce琀琀o
di norma giuridica: avremo magari un dover essere, ma certo fa琀椀cheremmo a de昀椀nirlo come dover essere
giuridico.
Un minimo di gius琀椀zia.

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La tesi che ogni possibile de昀椀nizione di norma giuridica debba includere necessariamente un riferimento a
quel minimo di gius琀椀zia risale a un famoso saggio di Radbruch, Ingius琀椀zia legale e torto sovralegale. Sullo
sfondo della traci esperienza del nazismo, Radbruch si interroga proprio sulla legi琀�mità di ordinamen琀椀
giuridici che siano perfe琀琀amente legali ma producano norme giuridiche che non abbiamo un minimo di
gius琀椀zia.
Di fronte a una condanna di un alto funzionario del Reich che aveva condannato a morte un commerciante
secondo la prescrizione dell’ordinamento nazista che impone l’obbligo di delazione nei confron琀椀 di quei
sogge琀� che tradiscano al fedeltà assoluta la Terzo Reich, il procuratore a昀昀ermò che non vi può essere alcun
dovere giuridico di delazione: l’azione prescri琀琀a è così riprovevole e moralmente ingiusta da non poter
cos琀椀tuire l’ogge琀琀o di un dovere giuridico, e un tale dovere risulta ancora più intollerabile se prescri琀琀o da
una norma appartenente a un ordinamento come quello nazista, in cui non vi è ne legalità ne certezza del
diri琀琀o, e dove anche la magistratura non è in grado di assicurare gius琀椀zia.
Dunque, gli ordinamen琀椀 che non rispe琀�no i criteri minimi di gius琀椀zia non possono essere considera琀椀 come
ordinamen琀椀 giudici, ma come semplici ordinamen琀椀 criminali.
Inoltre, è rilevante come le leggi sull’espropriazione dei beni di proprietà degli ebrei furono dichiarate nulle
retroa琀�vamente: ciò signi昀椀ca che, in alcuni casi, il contenuto dei doveri prescri琀� è così inacce琀琀abile da
travolgere anche la validità formale.
Ma quali sono i parametri minimi di gius琀椀zia che un ordinamento o una norma devono soddisfare per poter
essere considera琀椀 giuridici? Radbruch, pur amme琀琀endo l’impossibilità di tracciare una linea ne琀琀e tra
ingius琀椀zia legale e leggi valide, individua nel rispe琀琀o dei criteri minimi di eguaglianza e nella tutela dei diri琀�
umani i requisi琀椀 morali minimi che perme琀琀ono di de昀椀nire giuridico un ordimento e d una norma valida ed
e昀케cace.
Radbruch, in昀椀ne, conferma che il diri琀琀o è solo e soltanto quello posi琀椀vo, poiché la validità forma e l’e昀케cacia
sono condizione necessarie ma non su昀케cien琀椀. Poiché, perchè vi sia diri琀琀o, deve esserci anche un minimo di
gius琀椀zia.
Una metafora visiva.
Immaginiamo l’ordinamento come un magni昀椀co calice di cristallo. Poco importa se ci versiamo acqua o vino,
se la materie delle norme prescriva un dover essere piu琀琀osto che un altro: la teoria del diri琀琀o posi琀椀vista
non si preoccupa dei contenu琀椀 delle norme ma solo della loro stru琀琀ura.
Tu琀琀avia, se versiamo nel calice una sostanza acida il cristallo inizierebbe a liquefarsi, ed è proprio questo
che sosteneva Radbruch: il diri琀琀o è sempre e solo posi琀椀vo, ma quando i contenu琀椀 di una norma producono
condizioni di intollerabile ingius琀椀zia, anche le stru琀琀ure norma琀椀ve 昀椀niscono per “liquefarsi” perdendo ogni
cara琀琀ere di giuridicità.
In conclusione, possiamo de昀椀nire la norma giuridica come il senso di una proposizione che esprime un dover
essere formalmente valido ed e昀케cace che contenga un minimo di gius琀椀zia.

Capitolo 9  Fa琀琀o
Introduzione.
Il termine “fa琀琀o” riconosce, nel linguaggio giuridico, diversi impieghi e signi昀椀ca琀椀 che dipendono dai
di昀昀eren琀椀 contes琀椀 in cui esso viene u琀椀lizzato. In questo capitolo verranno individuate qua琀琀ro principali
ques琀椀oni di fondo a par琀椀re dalle quali il problema del “fa琀琀o” e del “fa琀琀uale” viene in considerazione:
1. Il problema della separazione tra diri琀琀o e naturale, tra essere e dover-essere;
2. La dis琀椀nzione tra giudizi di fa琀琀o e giudizi di valore;
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3. La ques琀椀one del rapporto tra validità ed e昀케cacia;


4. Il problema dell’accertamento del “fa琀琀o” nel ragionamento giuridico.
Ciò dimostra che quel che si intende con “fa琀琀o” è inseparabile dalla problema di riferimento, ed infa琀� il
giurista non deve essere educato alla terminologia, ma a comprendere e u琀椀lizzare i conce琀� giuridici a
par琀椀re dai problemi concre琀椀 che si presentano.
Realtà giuridica e fa琀�.
Prima di procedere è necessaria una premessa: un fa琀琀o, nel linguaggio giuridico, è sempre tale solo in
quanto venga in considerazione per il diri琀琀o; si parla sempre di esso per come considerato dalla realtà
giuridica. Ciò si collega a tre tesi di fondo:
 La separazione tra fa琀琀o e diri琀琀o è una separazione di diri琀琀o  Bisogna dis琀椀nguere il fa琀琀o in sé
considerato, l’accadimento, dal fa琀琀o come considerato dal diri琀琀o: l’aver commesso un omicidio, ad
esempio, è un fa琀琀o nel senso che viene designato come “fa琀琀o” da una norma, è cioè un fa琀琀o dal
momento e nella misura in cui il diri琀琀o stabilisce di considerarlo come tale.
Inoltre, a dis琀椀nguere tra fa琀琀o è diri琀琀o è il diri琀琀o stesso, nel senso che è solo in forza di una norma
giuridica che qualcosa può ritenersi “fa琀琀o”.
 Il diri琀琀o crea fa琀� is琀椀tuzionali che non esistono nella realtà empirica  Il fa琀琀o che un albero è
昀椀orito, ad esempio, è un fa琀琀o bruto, o grezzo, poiché la sua esistenza non presuppone quella del
diri琀琀o, o di certe is琀椀tuzioni umane. Diversamente, il “fa琀琀o” che io sia proprietario di qualcosa, non
potrebbe esistere se non ci fossero delle is琀椀tuzioni, quale il diri琀琀o, a renderlo possibile.
Dunque, quando nel diri琀琀o parliamo di fa琀�, spesso ci riferiamo a cose che senza il diri琀琀o non
esisterebbero, la cui esistenza stessa dipende quindi dal diri琀琀o, è resa possibile dalla realtà
giuridica.
 Il diri琀琀o rende esisten琀椀 fa琀� inesisten琀椀 e viceversa  il diri琀琀o ha sempre operato con un notevole
grado di libertà riguardo ai fa琀� empirici, manipolandoli e trasformandoli a seconda delle necessità.
L’esempio più chiaro sono le 昀椀c琀椀ones, già esisten琀椀 nei romani, che vanno a considerare come
esistente giuridicamente un fa琀琀o che, comunque, il diri琀琀o amme琀琀a espressamente che non esista.
Questa separazione del fa琀琀o dalla realtà dei fa琀� è essenziale per comprendere come il diri琀琀o
funzioni, ed è conseguenza del fa琀琀o che è il diri琀琀o che determina cosa sia un fa琀琀o.
La separazione tra essere e dover-essere.
La prima accezione di “fa琀琀o” dipende dalle risposte alla domanda “che cos’è il diri琀琀o?”, e tra queste la più
rilevante è quella o昀昀erta da Hans Kelsen, che il suo tenta琀椀vo di iden琀椀昀椀care il diri琀琀o con il piano del dover-
essere, il quale sarebbe, in quanto tale, separato e dis琀椀nto da quello dell’essere.
Il primo punto che Kelsen so琀琀olinea è che il diri琀琀o deve essere il più staccato possibile dalla natura,
intendendo con natura tu琀琀o ciò che accade, l’insieme dei fa琀� che esistono. Infa琀�, il diri琀琀o non c’entra
nulla con tali fa琀� in quanto tali, che non sono mai nulla di giuridico, ma si interessa solo al loro signi昀椀cato,
alla loro quali昀椀cazione, che acquisiscono in forza delle norme giuridiche.
Il secondo punto della teoria di Kelsen, è che in natura tu琀琀o ciò che accade ha una causa, è re琀琀o dal
principio “se A allora è necessario B”. Dunque, il piano dei fa琀�, l’essere, si può de昀椀nire come l’insieme di
tu琀琀o ciò che accade secondo il principio di causalità. Nel diri琀琀o, invece, non c’è un rapporto causa-e昀昀e琀琀o,
ma è re琀琀o da un principio “se A, allora deve essere B”.
Il diri琀琀o, infa琀�, si fonda sul principio di imputazione, ad es. una sanzione viene imputata a un deli琀琀o, nel
senso che la legge prevede che, all’accadere di quest’ul琀椀mo, la sanzione debba seguire. Rispe琀琀o al piano
dell’essere, il diri琀琀o si de昀椀nisce a par琀椀re del dover-essere.
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A par琀椀re da questa separazione originaria tra norme e fa琀� (dover-esse ed essere) il termine fa琀琀o viene
allora inteso come riferimento a tu琀琀o ciò che esiste sul piano dell’essere (ogge琀�, azioni, even琀椀), o natura
come la chiama Kelsen stesso.
Rispe琀琀o a tale posizione, le corren琀椀 del realismo giuridico scandinavo hanno sviluppato una cri琀椀ca
radicale, proponendo l’espressione “diri琀琀o come fa琀琀o”, intendendo una concezione secondo cui il diri琀琀o
non può essere considerato una realtà a sé stante, indipendente e dis琀椀nta da quella fa琀琀uale. Tale cri琀椀ca
muove dal fa琀琀o che i conce琀� giuridici in sé non esistano in sé stessi, a di昀昀erenza dall’idea Kelsiana, ma
sono solo l’idea che noi abbiamo di essi, il ri昀氀esso dei fa琀� sociali.
Un esempio, ripreso da Hagerstrom, sul conce琀琀o giuridico di dovere può aiutare a chiarire il punto: bisogna
dis琀椀nguere fra il senso che provo di dovere qualcosa, di dover tenere un certo comportamento, e il dovere
stesso in sé considerato. Se dico “sento di dover rispe琀琀are la promessa che ho fa琀琀o” è questo un enunciato
perfe琀琀amente sensato, che descrive una sensazione che io provo e quindi un fa琀琀o (psichico) che
certamente esiste; al contrario se dico “è mio dovere rispe琀琀are la promessa che ho fa琀琀o” sto a昀昀ermando
non l’esistenza del dovere in sé, laddove ciò che esiste è in realtà la mia sensazione e non ciò su cui essa
verte.
Ed è in questa direzione che si volge anche la ricerca di Olivecrona, dire琀琀a a dimostrare come diri琀� e doveri
non siano a昀昀a琀琀o en琀椀tà reali, bensì l’idea che noi abbiamo di essi, e che quindi vadano studia琀椀 indagando
quel complesso su fa琀� sociali che cos琀椀tuiscono l’insieme di credenze, opinioni e meccanismi psicologici che
inducono gli uomini a parlare di essi come se fossero qualcosa di realmente esistente.
Infa琀�, a琀琀raverso una chiari昀椀cazione dei meccanismi fa琀琀uali che stanno alla base del nostro modo di
considerare i nostri conce琀� giuridici, il diri琀琀o potrà rilevarsi come niente di più che un insieme di fa琀�
sociali, ed i fenomeni giuridici potranno essere studia琀椀 come fenomeni empirici, appartenen琀椀 al mondo
della cause e degli e昀昀e琀�.
È bene ora concludere con l’individuazione di una prima accezione del termine fa琀琀o: quando esso ricorre
nella disputa su cosa sia il diri琀琀o, viene inteso come sinonimo di realtà empirica, o mondo dell’essere, dei
fenomeni, di ciò che è osservabile in quanto accade nello spazio e nel tempo. In quanto tale esso si trova
contrapposto a diri琀琀o, a sua volta inteso come mondo del dover essere, come realtà dis琀椀nta da quella
fenomenica.
Giudizi di fa琀琀o e giudizi di valore.
A “fa琀琀o” ci si riferisce, con una diversa accezione, anche all’interno di un altro ambito di problemi, i quali
muovono da una rivisitazione cri琀椀ca della separazione tra essere e dover-essere di Kelsen. Secondo queste
voci cri琀椀che, la separazione tra fa琀琀o e norma andrebbe ricercata su un piano diverso da quello ontologico,
ossia sul piano del linguaggio o, meglio, dei diversi modi di servirsi di esso.
Per spiegare il punto bisogna prima dis琀椀nguere giudizi di fa琀琀o e giudizi di valore:
 I giudizi di fa琀琀o coincidono con le proposizioni con cui io mi limito a descrivere una certa realtà ed
informare gli altri di come essa è. Ques琀椀 giudizi possono essere veri o falsi, in base alla
corrispondenza di esso alla realtà esterna che pretendono di descrivere.
 I giudizi di valore, invece, non descrivono una certa situazione, ma la valutano, anche spesso
suggerendo (anche implicitamente) l’adozione di determina琀椀 provvedimen琀椀, tentando di
convincere l’interlocutore di tale necessità.
In questo contesto, “fa琀琀o” assume un signi昀椀cato che si determina in contrapposizione a quello di “valore” o,
quando i giudizi di valore vengono intesi come ciò che esprime una prescrizione, di “norma”. I fa琀�
sarebbero ciò che può essere descri琀琀o a琀琀raverso giudizi susce琀�bili di essere veri o falsi; i valori, invece,

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sarebbero espressione di ciò che deve essere realizzato, e che quindi ancora non è, e darebbero spesso
luogo a enuncia琀椀 di 琀椀po prescri琀�vo, a norme.
Questa dis琀椀nzione tra giudizi di fa琀琀o e giudizi di valore è connessa al problema del rapporto tra proposizioni
descri琀�ve e proposizione prescri琀�ve, descri琀琀o dalla Legge di Hume, che sancisce la c.d. Grande Divisione.
Secondo tale visione, non si può passare dall’essere al dover-essere, sennò incorreremmo in una fallacia
naturalis琀椀ca.
Tu琀琀avia, un enunciato del 琀椀po “gli assassini sono puni琀椀”, può esprimere a seconda del contesto una
proposizione descri琀�va, sia una prescrizione. Ci sono qua琀琀ro aspe琀� che perme琀琀ono di dis琀椀nguere
proposizione descri琀�ve di fa琀� da proposizioni che esprimono norme:
1. La funzione: mentre i giudizi di fa琀琀o hanno una funzione descri琀�va, i giudizi di valore hanno la
funzione di guidare la condo琀琀a.
2. La direzione di ada琀琀amento: mentre i giudizi di fa琀琀o vanno dal mondo alla parola, nel senso che
descrivono il mondo con le parole, i giudizi di valore vanno dalla parola al mondo, nel senso che
puntano a adeguare alla parola il mondo.
3. Il comportamento del des琀椀natario: mentre un giudizio di fa琀琀o richiede che il des琀椀natario creda che
la proposizione sia vera, un giudizio prescri琀�vo pretende che il des琀椀natario esegua quanto
richiesto.
4. Il criterio di valutazione: mentre i giudizi descri琀�vi si possono dire veri o falsi, i giudizi di valore
potrebbero essere soltanto argomentate o gius琀椀昀椀cate (nel senso di ritenerle valide o giuste).
Quindi, per concludere, quando parliamo di “fa琀琀o” all’interno di questo campo, intendiamo tu琀琀o ciò che
può essere constatato e decri琀琀o a琀琀raverso proposizioni veri昀椀cabili in termini di verità o falsità. Esso si
contrappone, in tal modo, al “diri琀琀o”, che ha, invece, funzione di in昀氀uenzare e dirigere comportamen琀椀.
Validità ed e昀昀e琀�vità. La norma.
Il termine fa琀琀o e l’espressione “diri琀琀o come fa琀琀o” assumono un ulteriore signi昀椀cato se pos琀椀 in relazione
alla tema琀椀ca dell’esistenza di una norma giuridica. Quando possiamo a昀昀ermare che una norma “esiste”?
Una prima risposta, o昀昀erta da Kelsen, fa coincidere l’esistenza di una norma con la sua validità. Validità ed
esistenza vengono considera琀椀 come sinonimi. Una norma, dunque, si dice valida quando:
1. Sia stata prodo琀琀a in conformità alla norme superiori che ne disciplinano la creazione (validità
formale);
2. Il suo contenuto non sia in contrasto con quello di eventuali norme, sempre ad essa
gerarchicamente sovraordinate (validità materiale).
A昀昀ermare che una norma è valida, signi昀椀ca assumere che essa deve essere obbligatoriamente rispe琀琀ata,
che la sua esistenza coincide dunque con il suo dover essere. Da ciò conseguono due a昀昀ermazioni:
 Il dovere di obbedire alla norma non può essere posto dalla norma stessa, ma è necessaria una
norma valida e superiore che disponga il dovere di obbedire alla prima.
 La validità di una norma non c’erta non con la ques琀椀one se essa sia e昀昀e琀�vamente osservata,
poiché possono esistere norme valide che, di fa琀琀o, non sono osservate dai ci琀琀adini o applicate dai
tribunali, e ciononostante queste non perdono la loro validità ed obbligatorietà.
È pertanto impera琀椀vo non confondere la validità, così de昀椀nita, con l’e昀昀e琀�vità, la quale indica il fa琀琀o che
una norma viene osservata/applicata.
Ancora diverso è il termine e昀케cacia, che può intendere:

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 Che una norma sia applicabile;


 Che sia idonea a produrre determina琀椀 e昀昀e琀� giuridici;
 Che sia capace di realizzare lo scopo per cui è stata prodo琀琀a.
Altre volte ancora si u琀椀lizza “e昀케cacia” per riferirsi alle norme, laddove “e昀昀e琀�vità” viene u琀椀lizzato come
predicato dell’ordinamento giuridico.
Riguardo al tema della e昀昀e琀�vità, è rilevante individuare che siano i des琀椀natari delle norme: autori come
Kelsen e Ross, ad esempio, sostengono che le norme non si rivolgono mai a dire琀琀amente ai ci琀琀adini, bensì
ai giudici. A seconda della risposta, dunque, si riterrà e昀昀e琀�va una norma o che sia applicata ai nei tribunali,
oc he sia osservata dai ci琀琀adini.
In contrapposizione all’idea Kelsiana che l’esistenza della norma coincida con la sua validità, il realismo
giuridico americano, a昀昀erma invece che l’esistenza di una norma coincida con la sua e昀昀e琀�vità. In ques琀椀
casi si parla della norma come ques琀椀one di fa琀琀o, nel senso che essa dipende dalla veri昀椀ca della loro
e昀昀e琀�va applicazione da parte dei giudici.
Questa corrente, infa琀�, a昀昀erma che il diri琀琀o è ciò che i giudici dicono che esso sia, o anche l’insieme delle
profezie rela琀椀ve a ciò che i giudici di fa琀琀o faranno: per sapere cos’è il diri琀琀o, non dobbiamo guardare i
manuali (law in books), ma a quello che fanno le cor琀椀 (law in ac琀椀on). In questa prospe琀�va, le norme si
collocano sul piano dell’essere e non del dover-essere (sce琀�cismo delle norme).
Una norma, dunque, non potrebbe dirsi esistente se non dopo che essa sia stata applicata da parte dei
tribunali: la sua sarebbe, cioè, un’esistenza di fa琀琀o.
Diversa è la posizione di Alf Ross, appartenente al realismo scandinavo, che a昀昀erma che l’esistenza di una
norma consisterebbe nel suo essere sen琀椀ta come obbligatoria da parte dei giudici, e dunque nella sua
probabilità di essere applicata in futuro. In questa prospe琀�va, una norma non ne necessità un’altra che ne
disponga l’obbligatorietà, poiché è su昀케ciente che la prima sia sen琀椀ta vincolante.
Le obiezioni di Hart allo sce琀�cismo sulle norme sono essenzialmente due:
 La prima riguarda l’a昀昀ermazione che il diri琀琀o consista semplicemente nelle sentenze dei tribunali,
poiché, come a昀昀erma Hart, l’esistenza di un tribunale implica l’esistenza di norme che a琀琀ribuiscono
al tribunale stesso la competenza e il potere di decidere.
 La seconda, invece, riguarda dire琀琀amente il rapporto tra validità ed e昀昀e琀�vità: una norma non può
essere valida solo dopo che è applicata dai giudici, a昀昀erma Hart, poiché i giudici applicano una certa
norma proprio perchè la considerano valida, e dunque la validità precede l’applicazione.
Dunque, se riferito all’esistenza delle norme, il rapporto fa琀琀o-diri琀琀o si trova de昀椀nito a par琀椀re dalle
ques琀椀oni che regolano i rappor琀椀 tra validità ed e昀昀e琀�vità: il fa琀琀o come esistenza fa琀琀uale delle norme, che
può coincidere con la sua validità o e昀昀e琀�vità.
Validità ed e昀昀e琀�vità. L’ordinamento giuridico.
Una analoga separazione tra fa琀琀o e diri琀琀o la possiamo ritrovare laddove il problema della validità e
dell’e昀케cacia non sia più riferito alla singola norma, ma all’ordinamento giuridico.
Se assumiamo che l’ordinamento abbia una “costruzione a gradi”, allora la validità di una norma sarà
condizionata dalla presenza di una norma superiore, la quale, a sua volta, deve esser prodo琀琀a in conformità
ad una norma ancora superiore, con una regressio all’in昀椀nito.
A questo dilemma sono state fornite diverse soluzioni (grundnorm di Kelsen, o norma di riconoscimento di
Hart), ma la ques琀椀one fondamentale è: su cosa si fonda l’ordinamento giuridico? Se su una norma valida,
allora cosa la rende valida? Se sulla sua stessa esistenza, allora dovremmo concludere che il nostro obbligo
di obbedienza dipende dal fa琀琀o che esso è in grado di costringerci a rispe琀琀arlo.
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Questo dilemma è in sostanza una variante del Possibility Puzzle cioè del problema rela琀椀vo alla possibilità di
a昀昀ermare l’esistenza del diri琀琀o in quanto dis琀椀nto dal potere, ciò che obbliga di fa琀琀o, in relazione alla sua
mera forza. La soluzione al dilemma, bisogna a昀昀ermare due tesi che si presuppongono a vicenda:
 Che non ci può essere nessun potere che abbia il diri琀琀o di obbligarci, se non si presuppone una
norma che lo autorizzi;
 Che non ci può essere nessuna norma di questo 琀椀po, se non si presuppone un potere autorizzato ad
emanarla che al ponga in essere.
Forse dovremmo concludere che alcun ordinamento giuridico sia mai esis琀椀to, poiché tu琀� sono
inevitabilmente comincia琀椀 con un potere che si è in via di fa琀琀o imposto e ha cominciato a essere obbedito:
il diri琀琀o sarebbe quindi impossibile poiché non può mai cominciare a esistere.
Concludendo sul punto bisogna quindi portare l’a琀琀enzione che con riferimento all’ordinamento giuridico si
parla di diri琀琀o come fa琀琀o per indicare quelle posizioni per cui l’esistenza dell’ordinamento coincide col fa琀琀o
della sua osservanza.
Fa琀琀o e ragionamento giuridico.
Il termine fa琀琀o, in昀椀ne, assume tu琀琀a una serie di diversi signi昀椀ca琀椀 laddove ricorre nei discorsi rela琀椀vi al
ragionamento giuridico, ossia ai problemi dell’applicazione delle norme giuridiche a casi concre琀椀.
Una prima ques琀椀one riguarda cosa voglia dire che nel risolvere una certa controversia l’interprete debba
applicare le norme giuridiche ai “fa琀�”. Secondo una dis琀椀nzione (proposta da Hruscka) bisognerebbe in
primo luogo dis琀椀nguere tra i fa琀� come accerta琀椀 nel corso del giudizio e la vicenda, ovvero l’accadimento
concreto.
In un giudizio, infa琀�, sempre si tra琀琀a di ricostruire un fa琀琀o che già è avvenuto (irripe琀椀bile in quanto tale e
in relazione al quale l’interprete non ha avuto un’esperienza dire琀琀a): i fa琀� a cui, in giudizio, si applicano le
norme sono sempre i fa琀� per come ricostrui琀椀 dal giudice a琀琀raverso le prove.
Vi è poi una seconda ques琀椀one: i “fa琀�” che il giudice è chiamato ad accertare sono sempre e soltanto i fa琀�
rilevan琀椀 dal punto di vista del diri琀琀o. E, per determinare quali fa琀� siano rilevan琀椀 per il diri琀琀o, è necessario
che il giudice già ipo琀椀zzi una norma che individui quali “fa琀�” nel complesso della vicenda, andranno
accerta琀椀.
La norma, quindi, precede i fa琀�, perchè è in base ad essa che qualcuno può assumere, giuridicamente, la
natura di un “fa琀琀o”.
In risposta a questo, l’ermeneu琀椀ca giuridica a昀昀erma che, se il giudice è in grado di ipo琀椀zzare tale norma, è
solo perchè ha già valutato i vari elemen琀椀 della situazione, e dunque si può dire che siano i “fa琀�” a
precedere la norma, poiché è da ques琀椀 che l’interprete individua la norma di riferimen琀椀, in base alla quale,
poi, selezionare i fa琀� rilevan琀椀.
La prima conclusione che da ciò possiamo trarre è che i fa琀� come tali non esistono che con riferimento alle
norme a琀琀raverso cui la vicenda viene interpretata e avviene dunque l’individuazione di quali aspe琀� vadano
presi in considerazione: più che ai fa琀�, dovremmo far riferimento al conce琀琀o di fa琀�specie concreta per
intendere la descrizione dei fa琀� in quanto rilevan琀椀 per il diri琀琀o.
Tradizionalmente le ques琀椀oni rela琀椀ve all’applicazione del diri琀琀o al caso concreto vengono presentate come
problemi di sussunzione del fa琀琀o nella norma, o nella classe di fa琀� astra琀琀amente iden琀椀昀椀cata dalla norma (f.
astra琀琀a).
Rispe琀琀o a tale impostazione vanno però proposte alcune considerazioni: intanto si deve ricordare come in
realtà non sia mai il fa琀琀o (accadimento) in sé a essere sussunto nella fa琀�specie astra琀琀a: la sussunzione
avviene tra conce琀�, tra conce琀� di fa琀� e conce琀� di giuridici (di norme).

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In seconda ba琀琀uta va poi tenuto presente quanto si è visto in relazione alla determinazione reciproca tra
norma e fa琀琀o. È il fa琀琀o stesso, infa琀�, a orientare una certa interpretazione della disposizione, o, se
vogliamo, la circostanza che la norma venga applicata a琀琀ribuendo a essa un signi昀椀cato piu琀琀osto che un
altro. La fa琀�specie astra琀琀a, cioè, non esiste se non alla luce del fa琀琀o, poiché è in base ai problemi che esso
pone che essa verrà interpretata e poi formulata in un certo modo: norma e fa琀琀o si determinano quindi a
vicenda.
È per tal mo琀椀vo che la classica dis琀椀nzione tra ques琀椀one di fa琀琀o e ques琀椀one di diri琀琀o tende nella pra琀椀ca ad
oscurarsi (e se viene mantenuta è solo in quanto consente di con琀椀nuare a tenere dis琀椀nte, almeno
logicamente, la gius琀椀昀椀cazione esterna in fa琀琀o dalla gius琀椀昀椀cazione esterna in diri琀琀o).
In relazione al ragionamento giudiziale, in昀椀ne, il termine fa琀琀o viene impiegato anche nell’espressione
sce琀�cismo dei fa琀�: la generale s昀椀ducia rispe琀琀o alle regole di carta e verso l’idea per cui i giudici si
limiterebbero ad applicare norme preesisten琀椀 al caso concreto, ha portato autori come Frank a sostenere
non solo che non vi sono norme che esistono prima della loro applicazione concreta, ma che i fa琀� stessi di
una causa non esisterebbero se non dopo la loro ricostruzione.
Dunque, con fa琀琀o si intende la fa琀�specie, che può essere astra琀琀a (come classe di fa琀� cui si riferisce la
norma) oppure concreta (come i fa琀� accerta琀椀 in un giudizio e giuridicamente quali昀椀ca琀椀 e sussun琀椀
all’interno di una classe di fa琀�)

Capitolo 12  Retorica
Introduzione.
La retorica è l'arte di persuadere qualcuno della bontà della tesi che sosteniamo, in fora degli argomen琀椀 che
siamo capaci di o昀昀rirne a sostegno e in virtù della capacità di presentarli in modo adeguato, piacevole e
e昀케cace, dovendo noi risultare credibili a chi ci ascolta. Nessuno, infa琀�, dovrebbe mai acce琀琀are una tesi,
senza pretendere che chi la sos琀椀ene spieghi perché sia vera.
Per evitare di essere ammalia琀椀 da un bel discorso che maschera falsità, è necessario discutere in della
fondatezza di quanto ci viene proposto, e ciò avviene con un dialogo, ossia uno scambio tra domande e
risposte fra qualcuno che a昀昀erma qualcosa, e qualcuno che ascolta ma chiede chiarimen琀椀, magari
contestando la prima pretesa.
Ciò che si sos琀椀ene è de琀琀o tesi o conclusione, mentre i mo琀椀vi che si o昀昀rono sono chiama琀椀 argomen琀椀 o
premesse. L'argomentazione, appunto, è l'a琀�vità di o昀昀rire ragioni a sostegno di ciò che a昀昀ermiamo.
Cicerone de昀椀nisce argomento come la ragione che fa fede rispe琀琀o a qualcosa di cui non siamo sicuri, ed è
necessario per risultare credibili nell' esporre la tesi.
Questa a琀�vità si sostanzia nel discorso, che è un insieme di inferenze, ovvero il processo con cui si giunge a
una conclusione partendo da certe premesse (Se P ... allora C).
Ci possono essere mol琀椀 diversi 琀椀pi di ragionamento: possono essere enuncia琀椀 descri琀�vi o prescri琀�vi,
par琀椀colari o universali/generali, indu琀�vi, dedu琀�vi o abdu琀�vi, e si possono u琀椀lizzare per descrivere,
inferire, comandare o deliberare (v. pag. 295).
Ques琀椀 ragionamen琀椀, quindi, si dis琀椀nguono in base a ciò che diciamo (descri琀�vo-prescri琀�vo) o alla loro
forma (dedu琀�vo, indu琀�vo, abdu琀�vo) valutata con la logica.
Essendo il 昀椀ne, della maggior parte dei ragionamen琀椀 pra琀椀co, oltre alla logica del discorso è importante la
capacità di suscitare emozioni (persuadere) nell’ascoltatore, e allo stesso tempo far emergere il nostro
cara琀琀ere personale per essere credibili. Ques琀椀 tre elemen琀椀 (logica, emozioni, cara琀琀ere) sono logos, pathos

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ed ethos e vanno a comporre il plesso unitario dei modi in cui si genera persuasione nelle situazioni
par琀椀colari. E proprio in de琀琀e situazioni si a琀琀ua la retorica.
Queste situazioni par琀椀colari come ci spiega Aristotele nella retorica, sono tre generi par琀椀colari del discorso,
e si dis琀椀nguono sulla base della persona che parla, della persona a cui parla e di ciò di cui parla:
 Genere epidi琀�co: es. cerimonie  il retore parla al pubblico per o琀琀enere la lode verso
qualcuno/qualcosa; il pubblico decide sul presente e giudica in base al talento di chi parla;
 Genere delibera琀椀vo: es. deliberazione legisla琀椀va  si parla all’assemblea per consigliarla o meno
sul da farsi; l’assemblea decide sul futuro basandosi sull’u琀椀le per la comunità;
 Genere giudiziale: es. processo  si parla al giudice per persuaderlo su una vicenda; il giudice
decide sul passato e si basa sulle tesi sostenute in accusa/difesa di qualcuno.
Appare quindi chiaro il legame essenziale fra diri琀琀o e retorica: il modo in cui il diri琀琀o si forma è infa琀�
retorico (esso nasce, invero, nel contesto delibera琀椀vo e in quello giudiziale). Il diri琀琀o, quindi, oltre a una
componente autoritaria ne ha una razionale, una e琀椀ca e una emo琀椀va, cara琀琀erizzan琀椀 non solo la fase
dell’esposizione della tesi, ma anche quella in cui l’ascoltatore si trova a decidere.
Il discorso avviene in contes琀椀 dialogici o, come meglio precisa Plan琀椀n, trilogici: : tanto nelle assemblee
poli琀椀che quanto nelle controversie giudiziali, il retore parla non solo davan琀椀 a un sogge琀琀o ma anche in
opposizione a un altro sogge琀琀o (processum est actum triarum pesronarum). Allo stesso tempo, però, un
confronto può dirsi processo solo se si svolge in un contesto is琀椀tuzionalizzato, in cui cioè siano presen琀椀
sogge琀� che esercitano il proprio potere conformemente a certe regole e nel rispe琀琀o di alcuni principi.
Pregiudizio sulla retorica.
Oggi la retorica si associa subito a qualcosa di nega琀椀vo (si parla di pura e vuota retorica) pensando che chi
ne fa uso vuole ingannarci, riconoscendo, tu琀琀avia, che questa è indispensabile nei diba琀�琀椀 poli琀椀ci/giudiziari,
di cui si ha anche un’idea nega琀椀va, pensando al poli琀椀co/avvocato come chi agisce per interessi personali e
non per ricercare la verità.
L’accezione manipola琀椀va di “persuasione” è dovuta al fa琀琀o che oggi tu琀琀o è diventato comunicazione, a
volontà di uniformare a un pensiero comune per il solo piacere di farlo. La nostra è dunque un’epoca di crisi
di certezze, proprio come accadde nella democrazia ateniese e nel Rinascimento italiano: le ideologie
vengono meno e la retorica rinasce.
La crisi sta proprio nell’incontrollabilità di una situazione in cui tu琀琀o è comunicazione, ma niente sembra
veri昀椀cabile, perché molto facilmente si viene persuasi, purtroppo anche del falso. Le dinamiche della
comunicazione interpersonale, in cui il nostro impegno persuasivo ha luogo, si nutrono di retorica, ne sono
cos琀椀tuite in maniera in琀椀ma e inevitabile
Tendiamo, però, infa琀� a non acce琀琀are la possibilità di venir persuasi di qualsiasi cosa e del pari non si
acce琀琀a che si possa venir persuasi anche del falso: si cerca di porre quindi un argine a questa deriva in cui
tu琀琀o è comunicazione (e quindi retorica e persuasione) ma nulla sembra veri昀椀cabile. In realtà, però, noi
possediamo gli strumen琀椀 per poter controllare i discorsi che ci vengono propos琀椀 e i modi in cui si a琀琀ua la
persuasione, ma ques琀椀 in realtà sono gli stessi che usiamo per organizzare i discorsi: per controllare la
retorica, serve la retorica.
Le origini della retorica.
La retorica nasce nel V secolo a.C. a Siracusa, in processi a琀� a garan琀椀re dei diri琀� di proprietà minaccia琀椀 dai
琀椀ranni Gelone e Gerone. Ques琀椀 processi si svolgevano convincendo giurie popolari con eloquenza, che
iniziò ad essere insegnata.

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I più grandi maestri di “eloquenza” (retorica) erano Gorgia e Protagora, massimi so昀椀s琀椀 elogia琀椀 anche da
Platone nel Gorgia (ove Socrate discute con un allievo dell’omonimo, Tucidide, cri琀椀cando la sua retorica,
u琀椀lizzata per convincere l’ascoltatore di qualsiasi tesi, buona o ca琀�va che sia, dunque anche per ingannare).
A questo punto bisogna dis琀椀nguere dalla retorica quello di cui fa uso gorgia, de琀琀a invece so昀椀s琀椀ca, fru琀琀o del
rela琀椀vismo (“l’uomo è misura di tu琀琀e le cose”, Protagora)  per i so昀椀s琀椀 non esiste una verità ogge琀�va, ma
solo come opinione personale: la verità di uno è preferibile a un’altra se chi la propugna è più eloquente, e
dunque la retorica servirebbe solo a far prevalere un’opinione su un’altra di pari valore.
A questa so昀椀s琀椀ca, che è un pseudo-retorica, Platone contrapporrà in seguito la retorica auten琀椀ca, volta alla
ricerca e custodita dalla verità, del giusto e del bene, a琀琀raverso il dialogo.
Questa ideologia passerà all’allievo Aristotele, il quale produsse un primo scri琀琀o andato perduto con cui
a琀琀accava la perversione retorica dei so昀椀s琀椀. È così evidente che l’arte di persuadere mostra due anime, che
però appunto sono due, non una, come oggi siamo porta琀椀 a pensare.
La matura speculazione aristotelica sarà tu琀琀a volta a riabilitare la retorica riconosciuta come auten琀椀ca
forma di sapere e trasmissione della conoscenza, in par琀椀colare, in ambi琀椀 sociali dove contano certamente
emozioni e statura personale del retore ma anche logos: dunque la retorica è ancorata all’arte del corre琀琀o
ragionare (diale琀�ca) entro un dialogo a par琀椀re da ciò che il mio interlocutore acce琀琀a.
In realtà questa è l’a琀�vità di base anche di quella forma di sapere che a par琀椀re da Platone prenderà il nome
di 昀椀loso昀椀a; tu琀琀avia, in contes琀椀 più ampi e pra琀椀ci di questo, come quelli delibera琀椀vi e giudiziali, si tra琀琀a di
a昀케ancare al logos della diale琀�ca, pathos ed ethos della retorica (de昀椀nita da Aristotele stesso “controparte”
della diale琀�ca).
Dunque, la retorica si aggiunge alla diale琀�ca inglobandola: il discorso retorico non è solo mozione di
sen琀椀men琀椀 (pathos) e credibilità nel cara琀琀ere (ethos), ma anche grazie all’esercizio comune della ragione
(logos), ergo la diale琀�ca (corre琀琀o ragionare) è parte della retorica.
Dal periodo classico e medioevale all’età moderna.
Da Aristotele arriviamo alla tradizione romana, che a琀琀ua la retorica nella pra琀椀ca (Cicerone) e pedagogia
(Quin琀椀liano), venendo suddivisa nel c.d. re琀椀colo retorico (inven琀椀o, rinvenimento premesse del discorso,
disposi琀椀o, scelte linguis琀椀co-s琀椀lis琀椀che, elocu琀椀o, modo di presentare l’ac琀椀o, l’orazione, con l’aiuto della
memoria). Anche qui si dis琀椀ngue la so昀椀s琀椀ca dalla retorica, per pra琀椀care la quale bisogna essere vir bonus
dicendi peritur, cioè essere non solo abili nel parlare, ma anche virtuosi.
Il periodo fra IV e II secolo a.C. è però anche quello in cui si elabora la c.d. “retorica generalizzata”, cioè la
retorica come “teoria dello scrivere e tesoro delle forme le琀琀erarie insieme”. Si inizia coì a intravvedere ciò
che la retorica diverrà in seguito, cioè sopra琀琀u琀琀o arte del bello scrivere. Certo, ci vorrà del tempo prima che
essa venga relegata al gradino più basso del sapere, per poi scomparire (solo nella modernità si avrà questo
processo come compiuto). Nel Medioevo, infa琀�, la retorica poteva contare sulla difesa di personaggi del
calibro di Agos琀椀no d’Ippona, e più in generale, sulla stru琀琀urazione stessa del sapere: le ar琀椀 liberali erano
infa琀� divise in trivium e quadrivium, col primo composto da gramma琀椀ca, diale琀�ca e retorica, che
andavano a formare le c.dd. artes sermocinales (ancora stre琀琀o il rapporto, dunque, fra retorica e diale琀�ca).
Con l’avvento, poi, della modernità – e con l’opera di Copernico, Galileo e tu琀� i grandi scienzia琀椀 di 昀椀ne ‘500
e inizio ‘600) – viene a昀昀ermandosi la scienza moderna e l’aristotelismo inizia il suo lento declino in
Occidente.
Va infa琀� ricordato come la rivoluzione scien琀椀昀椀ca, avente in Galileo il suo maggior esponente, fu anche la
proposta di una concezione molto diversa dalla precedente concezione aristotelica: tu琀琀o ciò contribuirà a
ge琀琀are le basi per il successivo razionalismo in cui la dis琀椀nzione fra logica (non più chiamata diale琀�ca) e
retorica (che più nulla avrà a che fare col sapere auten琀椀co) diverrà de昀椀ni琀椀va.

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Questa retorica, nonostante tu琀琀o, per quanto rido琀琀a a este琀椀ca della forma le琀琀eraria, non è completamente
aliena alla rivoluzione scien琀椀昀椀ca, è anzi è ormai ampiamente accertato che esiste una vera e propria
“retorica della scienza” di cui le opere di Galileo rappresentano uno degli esempi più fecondi.
Lo sviluppo di una certa idea di logica.
Pre-‘600: logica come teoria del ragionamento corre琀琀o, collegata a principi 昀椀loso昀椀ci generali (principio di
non contraddizione).
Post-‘600: la logica inizia ad essere matema琀椀zzata.
Nel XVII secolo, infa琀�, si vede il 昀椀orire del pensiero cartesiano e l’a昀昀ermazione del metodo scien琀椀昀椀co, e si
hanno le prime avvisaglie di quella ‘matema琀椀zzazione’ della logica, che si darà in modo compiuto nell’800.
Avvisaglie di questa rivoluzione si hanno manifestamente nel pensiero di Leibniz, che sviluppò un sistema di
segni (ai quali ridurre il pensiero) e operazioni matema琀椀che (cui ridurre le inferenze), sì da poter risolvere
tu琀琀e le dispute (昀椀loso昀椀che ma anche giuridiche), semplicemente calcolando (Calcolemus!).
Così la logica fu calcolata, anche grazie allo sviluppo impresso nell’800 da Boole, la cui binaria algebra della
logica (nata con l’idea che il nostro pensiero sia governato da processi matema琀椀ci), sarà alla base della
creazione dei computer e della successiva rivoluzione digitale.
Ebbe così inizio la grande stagione della logica formale, consacrata dalle opere di Frege, che durò per tu琀琀o il
‘900 con lo sviluppo di un modello di sapere tra i cui fautori va ricordato Russel, che sosteneva che il ruolo
della logica consiste nel fornire una chiari昀椀cazione di enuncia琀椀 ambigui e in questo modo avviare la
soluzione dei problemi 昀椀loso昀椀ci da essi origina琀椀.
Tu琀琀o ciò avrà anche in ambito giuridico ricadute di enorme rilievo; Russel mise infa琀� a punto un nuovo
modello 昀椀loso昀椀co, cara琀琀eris琀椀co della 昀椀loso昀椀ca anali琀椀ca, per cui il linguaggio naturale maschera l’auten琀椀ca
forma logica degli enuncia琀椀, che deve essere rivelata con strumen琀椀 messi a punto da Russel stesso e poi
sviluppa琀椀, fra gli altri, da Wi琀琀engstein.
Logica del diri琀琀o privata della retorica.
Diri琀琀o e retorica si allontanano ulteriormente con i sistemi di civil law, che formano il dato fondamentale
certezza del diri琀琀o, che fu cristallizzato nelle codi昀椀cazioni, e prote琀琀o dalla concezione illuminis琀椀ca
enunciata tra tu琀� da Montesquieu, che a昀昀ermò che il giudice non può creare diri琀琀o, ma altro non deve
essere che bocca della legge.
Tale ideologia fu portata poi avan琀椀 da Beccaria, che, ne dei diri琀� e delle pene, cercò di frenare l’incertezza
del diri琀琀o, causata dalle opinioni (lo spirito della legge è un argine ro琀琀o al torrente delle opinioni), diverse in
ogni uomo e tempo. Il rimedio di Beccaria fu la deduzione logica (forma di ragionamento) consistente in un
sillogismo perfe琀琀o (premessa maggiore  legge generale, premessa minore  azione conforme o no alla
legge, conseguenze  libertà/pena).
Certo, anche quest’impostazione presenta pun琀椀 cri琀椀ci: se si assume che la formazione del diri琀琀o dipenda
da soli due sogge琀� (legislatore e giudice) si ome琀琀e che il panorama è più complesso, e il diri琀琀o è, inoltre,
tu琀琀o meno che dominio della certezza: incerta è la premessa maggiore, che deve essere dal giudice
individuata interpretando in modo non univoco le disposizioni legisla琀椀ve; incerto è il fa琀琀o, che deve essere
in processo ricostruito mediante le diverse ricostruzioni o昀昀erte dalle par琀椀; incerto, è in昀椀ne lo stesso
ragionamento logico che il giudice deve compiere, giacché la sussunzione di cui si parla non è a昀昀a琀琀o una
deduzione.
Cionondimeno, si perviene nell’800 a una ideologia tesa a rappresentare la decisione del giudice come esito
di un procedimento meramente dichiara琀椀vo e conosci琀椀vo, e da allora in poi sarà il sillogismo a
rappresentare il modello di ragionamento giuridico.

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Kelsen cri琀椀cherà questo: non contesta il modello illuminis琀椀co posi琀椀vista con argomen琀椀 che tocchino la
diale琀�ca o la retorica, ma sos琀椀ene invece che la decisione giuridica, trovi la sua ragione d’essere nel fa琀琀o
che il giudice appare come sogge琀琀o delegato dall’ordinamento giuridico gerarchico, e quindi l’opera del
dichiarante non è meramente dichiara琀椀va, ma anzi cos琀椀tu琀椀va.
Diri琀琀o, retorica e teorie dell’argomentazione.
Nel secondo dopoguerra, con il processo di Norimberga, c’è un profondo ripensamento del diri琀琀o,
rappresentato dalle teorie di Radbruch e dalla crisi del posi琀椀vismo, poiché iniziarono a manifestarsi mol琀椀
dubbi circa la possibilità di considerare il diri琀琀o come regolato dal sillogismo giudiziale, e di conseguenza
assis琀椀amo alla rinascita degli studi sulla teoria e sull’argomentazione.
Si sviluppò una cri琀椀ca al metodo razionale cartesiano volto a recuperare una logica diversa. Tale cri琀椀ca
venne da Viehweg, Toulmin e Perelman, e quest’ul琀椀mo è considerato come il maggiore responsabile della
rinascita della retorica.
Nel 1956 vennero pubblica琀椀 il Tra琀琀ato sull’argomentazione. La nuova retorica (Perelman) e Gli usi
dell’argomentazione (Toulmin), e per questo il ’56 è considerata come la data della svolta argomenta琀椀va.
Tre anni prima, Viehweg pubblicò Topica e giurisprudenza, so昀昀ermandosi sull’aspe琀琀o della fase topica, ossia
il rinvenimento delle premesse del discorso del retore. Toulmin, invece, ebbe grande in昀氀uenza nel se琀琀ore
della logica e dell’epistemologia (contribuendo nel 昀椀lone della logica formale), mentre Perelman si so昀昀ermò
sulla tradizione nazionale di do琀琀rina e teoria.
Fino a quel momento era presente un pregiudizio ideologico, 琀椀picamente posi琀椀vista, che a昀昀ermava che
l’auten琀椀co sapere o l’auten琀椀ca logica potesse essere solo quella delle scienze dedu琀�ve e indu琀�ve. Come
notò Kirchmann, al tempo il sapere giuridico era considerato “scienza” solo se vantava canoni di
avaluta琀椀vità. Oggi invece l’epistemologia contemporanea si è aperta alla concezione pluralista (post-
posi琀椀vismo) che considerava anche il sapere giuridico come vero sapere.
Anzi, è stato proprio il sapere giuridico ad essere ogge琀琀o delle teorie di Toulmin e Perelman: Toulmin ha
de昀椀nito la logica una giurisprudenza generalizzata, e Perelman ha fondato una nuova retorica che vede nel
processo il momento ideale per rifondare la razionalità nei contes琀椀 pra琀椀ci, recuperando da Aristotele il
legame logica-giudizi di valore.
Perelman, in par琀椀colare, si concentrò sulle teorie dell’argomentazione (analisi di argomen琀椀), e rimpiazzò il
criterio dell’ogge琀�vità con quello dell’acce琀琀abilità, considerata inoltre come non necessaria, e non basata
su criteri logici, empirici o emozionali, ma sul criterio prudenziale della ragionevolezza, un criterio a metà
strada tra la razionalità delle scienze anali琀椀che e l’irrazionalità delle emozioni.
Tu琀琀avia, ragionevole non è ciò che è vero, in questa prospe琀�va, ma ciò che è acce琀琀ato, in un certo
momento e luogo, da una certa comunità. E per questo, secondo Perelman, il vero con琀椀nua ad essere un
a琀琀ributo speci昀椀co delle scienze formali.
Oltre a questo, un altro limite consiste nella 昀椀gura dell’uditorio: questo ha un ruolo importante nel giudizio
di ragionevolezza, poiché questa dipende dall’acce琀琀azione dell’uditorio, e così la ragionevolezza non si
costruisce ogge琀�vamente, a琀琀raverso criteri razionali, ma in base alla valutazione personale di uditorio e
oratore.
Per risolvere questo limite, infa琀�, il successivo sviluppo delle teorie dell’argomentazione, tralasciano il
riferimento alla componente retorica e si preoccupano piu琀琀osto di ricercare i criteri di razionalità che
Perelman non era stato in grado di individuare. Tra queste teorie, rilevante è la teoria dell’agire
comunica琀椀vo di Habermas, volta a ricercare canoni generali di razionalità per la comunicazione linguis琀椀ca,
che si svolge, secondo lui, sempre in un contesto intersogge琀�vo, pragma琀椀co, dialogico e diale琀�co.

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Un’altra teoria rilevante è quella della pragma琀椀ca trascendentale di Apel, che de昀椀nisce la prescri琀�vità di
un’argomentazione la fonte di regole con cui valutare e gius琀椀昀椀care l’argomentazione stessa.
Ques琀椀 e altri autori costruiscono un’e琀椀ca del discorso, che interessa gli sviluppi dei modelli di ragionamento
nelle pra琀椀che sociali, e quindi anche nel diri琀琀o, e che analizza le forme di ragionamento morale, e i modi in
cui è gius琀椀昀椀cato e delle regole argomenta琀椀ve come criteri che dis琀椀nguono i ragionamen琀椀 validi dalle buone
ragioni morali.
Ciò signi昀椀ca, per la decisione giudiziale, dis琀椀nguere in essa tra contesto di scoperta fa琀琀ori psicologici ed
ambientali che spingono il giudice verso la soluzione del caso) e contesto di gius琀椀昀椀cazione (ragionamento
con cui il giudice mo琀椀va la sua decisione), e in quest’ul琀椀mo fra gius琀椀昀椀cazione interna ed esterna della
decisione.
Per Wroblewski il sillogismo giudiziale rappresenta la gius琀椀昀椀cazione interna della decisione (come il
giudice sia giunto dalle premesse alla conclusione), mentre Alexy analizza la gius琀椀昀椀cazione esterna della
decisione (costruzione/acce琀琀abilità delle premesse).
Ques琀椀 approcci evidenziano come la teoria dell’argomentazione, per dar conto alla razionalità della
decisione giuridica, presuppone quella della legislazione, che presuppone quella della deliberazione poli琀椀ca,
e dunque non è più solo una teoria del ragionamento giuridico, ma una parte ineliminabile della ri昀氀essione
sul diri琀琀o nel suo complesso.
Conclusioni.
I contes琀椀 cos琀椀tuzionali hanno ormai confermato che i giudizi di valore sono par琀椀 ineliminabili del diri琀琀o, e,
allo stesso tempo, queste tema琀椀che si sono fortemente legate con le teorie dell’argomentazione e con lo
studio degli argomen琀椀 (analogico, a contrario, a for琀椀ori, per assurdo, ecc.). Dunque, l’argomentazione è un
processo dinamico, e non sta琀椀co.
E, in tale processo dinamico, rispe琀琀o ad altre forme di sapere (retorica, logica, argomentazione), il diri琀琀o
risulta molto più indietro. Ad es. “Ragionevolezza” è il limite entro cui deve svolgersi la persuasione che non
può fare a meno dei mezzi retorici  ques琀椀 mezzi sono neutri, possono cioè non risultare manipolatori nei
confron琀椀 dell’uditorio?
Secondo il compa琀椀bilismo debole (es. pragmadiale琀�ca con strategic manouvering) “persuadere entro i
limi琀椀 della ragionevolezza” è il cuore della retorica. Il compa琀椀bilismo debole, però, cade perché l’assenso
alla 昀椀ne della persuasione non sarà ragionevole, ma in昀氀uenzato dalla retorica; dunque, la persuasione non
può essere neutra rispe琀琀o alla ragionevolezza del discorso (o contribuisce ad essa-ruolo posi琀椀vo, o
contribuisce all’irragionevolezza-ruolo nega琀椀vo).
La soluzione è abbandonare il compa琀椀bilismo debole ado琀琀andone uno forte: si può essere ragionevoli e
persuasivi, ma essere totalmente ragionevoli implica un impegno persuasivo: ci si impegna, dunque, ad aver
cura delle circostanze che favoriscono nel mio interlocutore l’uso della ragione  non si può avere
argomentazione senza retorica.
Per Aristotele la persuasione, infa琀�, non è solo manipolazione di chi ascolta, ma processo discorsivo in cui
l’uditore unisce piacere e conoscenza, e chi ascolta non è passivo (ogge琀琀o della persuasione), ma parte
a琀�va del discorso, provando piacere ove impari qualcosa di nuovo.
A ciò era giunto già, in Canada nel 1970 il movimento della Logica informale (informal logic), secondo la
logica formale (matema琀椀zzante) non può occuparsi del modo in cui ragioniamo e discorsiamo.
Inoltre, nel 1990, nascono le teorie di mul琀椀modal e visual argumenta琀椀on, riprendendo nella retorica lo
studio delle logiche (pluralismo). Di queste si trovano collegamen琀椀 nell’informa琀椀ca giuridica (ragionamento
giudiziale che u琀椀lizza logiche defe琀�bili) e nell’educazione (sviluppo del pensiero cri琀椀co).

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In conclusione, si riconferma l’animale poli琀椀co di Aristotele, cioè l’uomo capace di persuadere con le parole
sé stesso e gli altri; uomo inteso come animale poli琀椀co e linguis琀椀co. La retorica si colloca nel il cuore della
polis, che nasce proprio grazie ad essa e matura nel diri琀琀o romano.

Capitolo 14  Spazio
Introduzione.
Nella cultura gius昀椀loso昀椀ca tedesca, a par琀椀re dall’800, la ques琀椀one del rapporto tra Stato e territorio,
assume una rilevanza prioritaria. Nel 2006, Natalino Ir琀椀 de昀椀nirà tale rapporto come geo-diri琀琀o.
Il territorio nella 昀椀loso昀椀a idealista.
Perché la ques琀椀one ha ricevuto tanta a琀琀enzione?
Il processo di uni昀椀cazione che culminò con la proclamazione del Reich aveva necessariamente imposto una
ri昀氀essione sul conce琀琀o di territorio. Inoltre, ci fu l’in昀氀usso della scienza geogra昀椀ca tedesca sui giuris琀椀
tedeschi (scienza rivoluzionata da Von Humboldt e Ri琀琀er).
Poi, non si può dimen琀椀care il lascito dello storicismo di Savigny, secondo cui l’ordinamento si fondava sulla
sedimentazione degli usi e dei costumi mentre l’individuo era descri琀琀o come un sogge琀琀o storicamente
radicato nel Volk, popolo, con cui si allude in prima ba琀琀uta alla totalità dei sogge琀� stabilmente stanzia琀椀si in
un ambito spaziale de昀椀nito: il radicamento territoriale era la garanzia dell’appartenenza del sogge琀琀o allo
Stato, ciò che determinava la sua soggezione all’ordinamento giuridico.
In昀椀ne, decisivi sono state le 昀椀loso昀椀e idealista di Fichte e Hegel, che hanno posto all’ordine del giorno la
ques琀椀one della spazialità dello Stato. Per Fichte il territorio è visto come dimensione dove non solo il diri琀琀o
e la poli琀椀ca si radicano, ma anche l’economia: introduce lo Stato commerciale chiuso, un arche琀椀po
is琀椀tuzionale dove “come ognuno è ci琀琀adino dello Stato, o no, così ogni prodo琀琀o dell’uomo appar琀椀ene allo
Stato, o no”). Fichte imposta così il principio della fron琀椀era naturale, mezzo per raggiungere un equilibrio
tale da rendere uno Stato commerciale chiuso autosu昀케ciente. Questo principio ha portato a pra琀椀che
egemoniche, mentre per il 昀椀losofo lo Stato, raggiunta la sua “fron琀椀era (limite) naturale’” sul territorio ha
raggiunto il suo equilibrio senza superare i suoi con昀椀ni.
Hegel, in Lineamen琀椀 di 昀椀loso昀椀a del diri琀琀o, a昀昀erma che lo Stato è volontà divina, in quanto a琀琀uale spirito
esplicantesi a forma reale e ad organizzazione del mondo. Per Hegel lo Stato incarna la morale sociale e il
bene comune, è il compimento dell’e琀椀cità: è sostanza e琀椀ca consapevole di se, cioè un’unione tra volontà
individuale e universale che si pone prima e al di sopra degli individui, in una concezione organicis琀椀ca.
Dal punto di vista spaziale, lo Stato coincide con lo spirito che si manifesta a琀琀raverso l’esercizio della
sovranità su un territorio. Per Hegel, inoltre, gli Sta琀椀 sono totalità par琀椀colari autonome ed esclusive, ma ciò
non esclude la possibilità di un ordinamento internazionale, sopra琀琀u琀琀o per gli Sta琀椀 europei accomuna琀椀 da
tradizioni giuridiche simili.
Tu琀琀avia, la guerra è qualcosa che appar琀椀ene alla 昀椀siologia dei rappor琀椀 interstatuali, ed è gius琀椀昀椀cata dal
mero pericolo di fronte all’impossibilità di accordarsi tra Sta琀椀, ed inoltre rappresenta un momento in cui lo
Stato può temprare la sua coesione e reprimere ogni manifestazione di individualismo disgregatore.
Però, anche Hegel amme琀琀e che la guerra diventa un pericolo per l’esistenza stessa dello Stato quando
incide sul suo territorio. In tal caso, quando è a rischio l’indipendenza di uno Stato su cui un altro Stato
vuole imporre il suo primato, i suoi ci琀琀adini devono mobilitarsi per difenderla: la mobilitazione avviene
mediante pra琀椀che belliche che riversano le loro conseguenze sul piano territoriale.
Hegel, in昀椀ne, considera una necessità storica il fa琀琀o che le nazioni civilizzate considerino e tra琀�no altre, che
stanno loro indietro, come barbari, con la coscienza di un diri琀琀o diseguale. Questo perchè Stato è diverso da
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popolo: il popolo è una sostanza e琀椀ca che è tale in sé. Solo con il passaggio alla condizione superiore di
Stato si ha la realizzazione formale dell’Idea.
E lo formazione dello Stato avviene nella diale琀�ca tra spirito e natura, che plasma le is琀椀tuzioni dell’uomo,
ma questo, a un certo punto, deve sfuggire ai vincoli della natura 昀椀no a dominarla: in questo modo si crea la
scin琀椀lla che conduce l’uomo verso la propria liberazione. Il discrimine tra gradi di civilizzazione, dunque,
avviene perchè, in cer琀椀 luoghi a causa della geogra昀椀a e del clima, la natura non si è lasciata dominare. Per
questo l’idea di Stato si è a昀昀ermata nelle zone più temperate, 琀椀po l’Europa, e non in zone troppo fredde o
calde (Lapponia e Africa).
La visione hegeliana ha portato alle poli琀椀che imperialis琀椀che successive che si sono a昀昀ermate tramite il
colonialismo.
Il territorio dello Stato-persona.
Il gius-pubblicismo si trova in debito con l’idealismo hegeliano, perché riprende che lo Stato è incaricato di
risolvere i con昀氀i琀� sociali salvaguardando la sua coesione contro l’individualismo (economicis琀椀co).
Nella genesi di questa do琀琀rina è stato determinante Gerber, che a昀昀erma lo statocentrismo: lo stato è la
massima personalità di diri琀琀o che l’ordinamento conosca, e il popolo è rido琀琀o solo a un dato naturalis琀椀co,
che viene riconosciuto giuridicamente solo nel momento in cui è incluso nello Stato. Inoltre, nella
prospe琀�va gerberiana, l’individuo con i suoi diri琀� e libertà risulta in sé irrilevante, poiché non è
ammissibile alcun limite al potere sovrano dello Stato.
Si pone l’idea dello Stato-persona: si tra琀琀a dell’innesto della nozione di persone giuridica in ambito
pubblicis琀椀co, e il Leviatano di Hobbes diventa quindi un sogge琀琀o giuridico separato e superiore alla poli琀椀ca,
fondante e metastorico (in cui cioè viene assorbito ogni residuo storicis琀椀co di Savigny).
Nella visione di Gerber, il territorio è inteso sia come misura della sovranità dello Stato, come ogge琀琀o
reale, inteso cioè in termini di quan琀椀tà (Fichte), sia come estrinsecazione locale dell’e昀케cacia del potere
statale, cioè la facoltà esclusiva dello Stato di riconoscere il proprio territorio come sfera in cui esercitare il
suo potere.
Il rapporto Stato-territorio si svolge in una cornice:
 Volontaris琀椀ca  si intende il fa琀琀o che, per quanto sia una relazione necessitata, resta il fru琀琀o di
una scelta dello Stato-persona che, a琀琀raverso una manifestazione di volontà, decide di proie琀琀are su
una porzione di spazio 昀椀sico il proprio potere sovrano, e a rivendicare signoria esclusiva nei
confron琀椀 degli altri Sta琀椀.
 Formale  si intende il fa琀琀o che ha uno speci昀椀co cara琀琀ere giuridico, in quanto l’appartenenza del
territorio allo Stato cos琀椀tuisce il contenuto di un diri琀琀o reale pubblico. Nel Medioevo era un diri琀琀o
reale privato, ogge琀琀o del potere del principe, mentre ora diventa ogge琀琀o della 琀椀tolarità pubblica
dello Stato-persona.
Inoltre, il territorio, oltre a essere la quali昀椀cazione corporea dello Stato, è insieme al popolo il suo
fondamento naturale, e ciò che lo quali昀椀ca come tale, quando per lo storicismo i fondamen琀椀 statali erano
le sue tradizioni, lingue e culture. Dunque, per Gerber è impensabile uno Stato senza territorio, ma
sopra琀琀u琀琀o è impensabile una suddivisione di quest’ul琀椀mo, poiché è proprio la sua indivisibilità il principio
primo dello Stato. Una spar琀椀zione del territorio sarebbe un’autonegazione.
L’in昀氀uenza di Gerber, poi, oltre che nella cos琀椀tuzione del Reich, la si nota anche nel diba琀�to do琀琀rinario, in
par琀椀colare nella 昀椀gura di Jellinek, che de昀椀nisce lo Stato come un’unità essenzialmente teologica, ove i
sogge琀� che formano l’ordine poli琀椀co sentono di avere 昀椀nalità comuni, per raggiungere le quali c’è bisogno
di un’organizzazione, ovvero lo Stato.

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Inoltre, per Jellinek, lo Stato ha una polarità così vigorosa che, a di昀昀erenza di ogni altra associazione,
l’appartenenza è necessaria e imprescindibile (allo Stato nessuno può so琀琀rarsi).
Per Jellinek, quindi, lo Stato è una unità di associazione di uomini con sede 昀椀ssa (territorio come speci昀椀ca
misura dell’unità di associazione statale, e come sfera di dominazione), dotata di un potere di dominazione
originario (potere giuridico che deriva solo da sé stesso, anche quando storicamente è formato da un altro
Stato). Jellinek, dunque, pone i tre elemen琀椀 fondan琀椀 dello Stato: popolo, sovranità, territorio.
Quindi, proprio a par琀椀re da Jellinek, si può a琀琀ribuire al fa琀琀ore spaziale una funzione più ampia: non è più
solo un ambito di dominazione statale, ma piu琀琀osto rappresenta il fondamento materiale dello Stato, la
porzione di super昀椀cie terrestre che consente all’associazione statale di divenire concreta.
San琀椀 Romano e Carl Schmi琀琀: nuove prospe琀�ve sullo spazio territoriale.
Uno dei diba琀�琀椀 principali del ‘900 fu quello sulla natura dello spazio territoriale, che poneva il confronto
tra is琀椀tuzionalismo e norma琀椀vismo.
Tra琀琀ando dell’is琀椀tuzionalismo, bisogna considerare San琀椀 Romano, il quale a昀昀ermava che era obsoleta goni
ipotesi statocentrica, vista la complessità della società, causata dalla nascita di associazioni e organizzazione
nella 昀椀ne ‘800: Romano a昀昀ermava infa琀� che la realtà fosse ormai indirizzata verso un pluralismo giuridico.
Romano si concentra sull’elemento del territorio contestando la visione di Gerber (lo Stato ha un diri琀琀o
reale pubblico sul suo territorio), poiché questa analogia tra proprietà pubblica e privata è fuorviante (al
massimo, per Romano il diri琀琀o reale pubblico è quello che lo Stato vanta sui domini coloniali).
Romano, quindi, esclude il dualismo gerberiano sogge琀琀o (Stato) - ogge琀琀o (territorio) concependo piu琀琀osto
questa relazione come essenza: il territorio è la cara琀琀eris琀椀ca più concreta e fa琀琀uale dello Stato, e quindi lo
Stato non solo ha il territorio, lo Stato 攃 il territorio. C’è un’immedesimazione del territorio negli elemen琀椀
materiali che cos琀椀tuiscono l’ente, è un rapporto di iden琀椀tà.
Inoltre, Romano a昀昀erma che l’ordinamento giuridico determina la stru琀琀ura statale, e quindi Stato e
ordinamento giuridico statuale sono la medesima cosa: in questa prospe琀�va, se il territorio è un elemento
dello Stato, anche il territorio non può che avere natura giuridica.
Quindi, il territorio per Romano ha due valori:
 Posi琀椀vo  perchè è ciò che rende fa琀琀uale, reale, lo Stato;
 Priva琀椀vo  perchè delimita, circoscrive, l’a琀�vità dello Stato.
Ma in che modo il rapporto Stato-territorio si quali昀椀ca giuridicamente?
Romano pensa al diri琀琀o sul territorio come diri琀琀o sulla persona: non si parla più di diri琀� reali, ma diri琀�
della personalità come estrinsecazione della personalità statale. Il territorio è sì ogge琀琀o di un diri琀琀o dello
Stato, ma in quanto espressione della sua personalità non ha iden琀椀tà dis琀椀nta.
A di昀昀erenza di Romano, che ha sviluppato la sua teoria is琀椀tuzionalista in un percorso coerente, Schmi琀琀
inizialmente seguiva una teoria decisionista, secondo cui il fondamento di validità del diri琀琀o si individua
nella volontà sovrana, in una decisione, che si manifesta durante lo stato di eccezione.
Successivamente Schmi琀琀 si distaccherà dalla matrice decisionista, iniziando un’indagine proprio dal punto
in cui Romano si ferma, a昀昀ermando che l’ordinamento giuridico non è solo somma di norme, ma il fru琀琀o di
una decisione di e su uno spazio tellurico (territorio).
Il nomos, ovvero l’ordinamento giuridico, che è misura di gius琀椀zia, esige una speci昀椀ca dimensione 昀椀sica e
trova in essa il proprio fondamento di validità. Infa琀�, a昀昀erma Schmi琀琀, la presa di terra, (occupazione di
territorio), di ogni popolo o civiltà è necessaria per a琀琀ribuirsi un ordinamento giuridico. La presa di terra è,

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quindi, contemporaneamente condizione di pensabilità dell’ordinamento e al tempo stesso il suo


fondamento storico.
Tale occupazione is琀椀tuisce, inoltre, il diri琀琀o in due direzioni:
 Verso l’interno nel senso che si ha una suddivisione del suolo all’interno del gruppo occupante: c’è
una superproprietà che è matrice di ogni successiva ripar琀椀zione che consente lo sviluppo del diri琀琀o
privato e pubblico.
 Verso l’esterno, ovvero nei confron琀椀 di colo che si trovano al di fuori del perimetro occupato. Tale
direzione perme琀琀e il diri琀琀o internazionale, poiché, essendo lo Stato un 琀椀tolo giuridico originario,
trova in sé stessa la legi琀�mazione di ogni ulteriore ordinamento.
Analogamente Hegel aveva parlato della terra “昀椀ssa” (dimensione interna) come insediamento della vita
familiare, che è primo momento di e琀椀cità di uno Stato; e dell’orizzonte talassico (mari琀�mo, dimensione
esterna) come impulso al movimento e al commercio. Anche se è un rischio di perdizione, Hegel fa notare
come la storia abbia premiato le civiltà che vi si sono dedicate. Dunque, il nomos della modernità nasce
proprio dal radicale antagonismo tra terra e mare.
Schmi琀琀 fa un’ul琀椀ma ri昀氀essione: se dal contrasto terra-mare è nato l’ordinamento “spaziale”, unico nel suo
genere, che ruolo avrà lo spazio aereo e cosmico?
Hans Kelsen: la negazione dello spazio.
Rispe琀琀o alla teoria di molto legata al territorio di Schmi琀琀 o Romano, il norma琀椀vismo ha proposto una
soluzione opposta, per cui la prospe琀�va ado琀琀ata non sale, dalla terra 昀椀no alle norme, ma scende, dalle
norme 昀椀no alla terra: ogni fenomeno giuridico presuppone necessariamente una norma che lo regoli.
Uno dei maggiori esponen琀椀 di tale indirizzo di pensiero è Hans Kelsen, il qual, in昀氀uenzato dalla 昀椀loso昀椀a
neokan琀椀ana, muove da premesse formalis琀椀che per depurare il diri琀琀o da elemen琀椀 morali, ideologici,
religiosi e storico-sociologici. Dunque, appare scontata ogni negazione di qualsiasi riferimento spazio-
geogra昀椀co.
Mentre per Schmi琀琀 l’ordinamento giuridico mosso dal territorio, per Kelsen l’ordinamento giuridico si basa
su una norma fondamentale (Grundnorm). Dunque, il territorio è privato della sua materialità e rido琀琀o a un
elemento del contenuto norma琀椀vo dell’ordinamento statale, al massimo a una convenzione linguis琀椀ca che
indica un ambito di validità della norma, e che quindi quali昀椀ca la proiezione esteriore del diri琀琀o.
Dunque, come a昀昀erma Natalino Ir琀椀, in un’o琀�ca norma琀椀vis琀椀ca il diri琀琀o non è più riferibile al luogo, ma fa
riferimento da sé al proprio ordinamento, è autosu昀케ciente. Questo diri琀琀o sradicato si misura nella
globalizzazione economica, ove il primato della dimensione economica e tecnologica, a昀케ancata dal
condizionamento statale, fa tramontare lo Stato territoriale.
Anche Maria Ferrarese a昀昀erma che la sovranità dello Stato è ormai frammentata in nuovi modi di
produzione del diri琀琀o: è un diri琀琀o globale e 昀氀uido, basato sul rischio e incertezza. Le norme giuridiche sono
diventate contenitori che si ada琀琀ano a contes琀椀 mutevoli, lasciando che i contenu琀椀 siano decisi da a琀琀ori
non-statali.
Conclusioni.
Dunque, in questo lungo processo, il territorio diventa, da dimensione fonda琀椀va del diri琀琀o, un costru琀琀o
sociale, e lo spazio territoriale smarrisce la propria concretezza, 昀椀no a essere assorbito nell’orizzonte
conce琀琀uale della validità delle norme.
Danilo Zolo, a昀昀erma che il risultato 昀椀nale della teoria di Kelsen è il primato del diri琀琀o internazionale come
ordinamento giuridico universale. Tale ordinamento assume natura cosmopoli琀椀ca, nel senso che tende
sempre più a una civitas maxima, ordinamento giuridico al di sopra dei singoli Sta琀椀 territoriali.
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Capitolo 16  Economia
Introduzione.
Il rapporto tra diri琀琀o ed economia è imprescindibile, poiché non si è mai visto un’economia sregolata, e una
昀椀loso昀椀a del diri琀琀o che non si occupi dell’economia in virtù della quale l’uomo vive. Tu琀琀avia, sopra琀琀u琀琀o con
Croce, ci fu una separazione tra economia e 昀椀loso昀椀a. Croce fonda l’autonomia dell’economia dall’e琀椀ca,
riducendo il cara琀琀ere essenziale dell’economia dell’u琀椀le, e dunque riducendo anche il diri琀琀o all’economia.
Gran parte della discussione successiva in materia sarà volta a superare l’impostazione crociana, e il
cambiamento di paradigma si avrà quando dall’orizzonte del diri琀琀o dell’economia (che guarda l’economia
con len琀椀 giuridiche), si passerà agli approcci economici al diri琀琀o (che guardano il diri琀琀o con len琀椀
economiche): i nuovi approcci economici diventano la tecnica di regolamentazione del mondo sociale e
quindi del diri琀琀o.
Questo 琀椀po di approcci sono anche e琀椀che琀琀a琀椀, in modo polemico, come imperialismo della scienza
economica, intendendo l’applicazione del metodo economico a tu琀� gli ambi琀椀 del comportamento umano,
e quindi come criterio esplica琀椀vo del funzionamento della società.
Economic Analysis of Law.
La Economic Analysis of Law (EAL), è la disciplina che applica gli strumen琀椀 della Microeconomia all’analisi
delle regole e is琀椀tuzioni giuridiche. Nasce negli anni 70 con i lavori di Coase e Calabresi, sviluppando teorie
sempre più so昀椀s琀椀cate e conquistando ambi琀椀 tradizionalmente considera琀椀 di dominio esclusivo dei giuris琀椀.
L’approccio di EAL cerca di rispondere a due domande fondamentali:
1. Quali sono gli e昀昀e琀� delle norme giuridiche sul comportamen琀椀 degli a琀琀ori sociali?
2. Tali e昀昀e琀� sono socialmente desiderabili?
La prima domanda è di analisi posi琀椀va, volta a comprendere le conseguenze sugli a琀琀ori sociali di norme
vigen琀椀 e norme potenziali, mentre la secondo domanda è di analisi norma琀椀va, volta a riformare le norme o
gli is琀椀tu琀椀 qualora i loro e昀昀e琀� non siano buoni.
La cosa interessante, tu琀琀avia, è che il mutamento paradigma琀椀co imposto dall’EAL è di rispondere a tali
domande con le len琀椀 e i metodi dell’economia. In quest’o琀�ca, ad esempio, al sanzione è vista come un
prezzo; quindi, si assume che gli individui si compor琀椀no e昀昀e琀琀uando un trade-o昀昀 tra prezzo di non compiere
l’azione vietata e della sanzione.
Inoltre, sempre nell’o琀�ca economista, il criterio che quali昀椀ca la desiderabilità degli e昀昀e琀� delle norme è
quello dell’e昀케cienza: in generale si può dire che l’EAL concepisce il diri琀琀o e le norme con incen琀椀vi, e si
occupa della ricerca di norme e昀케cien琀椀, ovvero in grado di massimizzare il benessere sociale.
L’EAL, infa琀�, mutua dalla scienza economica tre assun琀椀:
1. Gli individui rispondono a incen琀椀vi  uno degli assun琀椀 chiave del modello dell’homo oeconomicus,
l’agente razionale che massimizza i bene昀椀ci ne琀琀e delle sue scelte
2. La scarsità delle risorse  Per l’EAL le norme giuridiche sono concepite come meccanismi di
allocazione di risorse scarse e di risoluzione dei con昀氀i琀� genera琀椀 dalla scarsità. Dunque,
massimizzare il benessere sociale, in questa prospe琀�va, signi昀椀ca assegnare tali risorse a coloro che
le valutano di più.
3. Gli scambi sono mutamente bene昀椀ci  riprende il Teorema di Coase, secondo il quale il libero
scambio sposta le risorse 昀椀no a una condizione di e昀케cienza pare琀椀ana, e dunque, spostandolo nella
visuale dell’EAL, la legge inizialmente distribuisce i diri琀� in modo inadeguato, e ciò si può risolvere
con il libero scambio dei diri琀� sul mercato.

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Poi, oltre alla libertà di scambio è necessario che il diri琀琀o abba琀琀a i cos琀椀 di transazione, intendendo
sia il tempo e gli sforzi richies琀椀 per portare a buon 昀椀ne, ad es., un contra琀琀o, sia il costo delle
informazioni necessarie per formulare una strategia di contra琀琀azione e i cos琀椀 della prevenzione di
eventuali scorre琀琀ezze.
Sin dai suoi albori l’EAL subì numerose cri琀椀che, sia riferendosi all’impianto ormai superato della
microeconomia neoclassica, sia alla 昀椀gura dell’homo oeconomicus, sia alla mancanza di rilevanza dei diri琀�
umano e di gius琀椀zia distribu琀椀va.
Altre cri琀椀che, ancora, sono di 琀椀po performa琀椀vo, nel senso che cri琀椀cano gli e昀昀e琀� di tale punto di vista del
mondo, che non può essere neutrale ma 昀椀nirà per plasmarlo (ad es. la visione che le risorse devono andare
al miglior o昀昀erente trascura chi ha poco da o昀昀rire).
In昀椀ne, molte cri琀椀che puntano il dito sull’approccio riduzionista dell’EAL, e queste sono di tre 琀椀pi:
1. Riduzionismo metodologico  nel senso che lo studio del diri琀琀o viene rido琀琀o ai soli metodi
dell’economia, in quanto privilegia un approccio unidirezionale, cioè dall’economia al diri琀琀o (anche
se ci sono sta琀椀 tenta琀椀vi di una relazione bilaterale).
2. Riduzionismo antropologico  per cui la cri琀椀ca è rivolta al fa琀琀o che è presente un appia琀�mento
dei comportamen琀椀 umani individuali alla singola misura dell’u琀椀lità.
3. Riduzionismo giuridico  che cri琀椀ca la concezione ridu琀�va delle norme intese come stru琀琀ure di
vincoli e incen琀椀vi, trascurando il problema dell’obbligazione giuridica e poli琀椀ca.
Ins琀椀tu琀椀onal Economics.
L’Ins琀椀tu琀椀onal Economics (IE) vede come is琀椀tuzioni non solo le organizzazioni giuridiche e poli琀椀che, ma
anche le norme che ne presiedono il funzionamento, la famiglia, la Borsa, la proprietà privata, il contra琀琀o
ecc., e tali hanno una esistenza ontologica, tant’è vero che gli individui nascono già in is琀椀tuzioni, e dunque
sono degne di studio.
L’economia is琀椀tuzionale è dis琀椀nta in Old e New Ins琀椀tu琀椀onal Economics (OIE e NIE), con una cesura piu琀琀osto
forte, anche se condividono, oltre all’analisi delle is琀椀tuzioni come ogge琀琀o di studio, sia l’approccio
interdisciplinare, sia un metodo di studio a琀琀ento al contesto storico delle is琀椀tuzioni.
Per OIE si intende la corrente di pensiero nata in America alla 昀椀ne del XIX sec., sviluppatasi come approccio
eterodosso in contrapposizione al formalismo dedu琀�vo della scienza economica dominante, poiché non
vede l’individuo come un dato autosu昀케ciente, ma viene posto l’accento sulla base sociali dell’individuo
(Commons).
Dunque, il focus è incentrato sulla relazione tra individuale e is琀椀tuzionale, senza mirare alla costruzione di
un modello generale, ma sviluppando un’analisi di speci昀椀che is琀椀tuzioni economiche, insistendo nel contesto
storico e culturale entro cui determinate is琀椀tuzioni si sviluppano, rendendo cauto l’idea di un trapianto
is琀椀tuzionale da un paese a un altro.
Gran parte delle analisi della OIE riguardano:
 Il modo in cui le is琀椀tuzioni giuridiche in昀氀uenzano le a琀�vità economiche e/o il sistema economico in
generale (e viceversa);
 L’analisi comparata di is琀椀tuzioni e regole alterna琀椀ve e dei loro e昀昀e琀�.
Le proposizioni fondamentali di questo approccio, invece, sono sei:
1. Il comporatmento economico è condizionato dall’ambiente is琀椀tuzionale, e viceversa;
2. L’interazione reciproca tra is琀椀tuzioni e comportamento degli a琀琀ori è un processo evolu琀椀vo;

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3. Nell’analisi dei processi evolu琀椀vi, l’enfasi è rivolta al ruolo della tecnologica e dalle is琀椀tuzioni del
capitalismo moderno;
4. L’enfasi, inoltre, è posta sui con昀氀i琀� all’interno della sfera economica sociale, in contrasto con l’idea
di ordine armonioso inerente al libero mercato, spontaneo e inconsapevole degli a琀琀ori;
5. C’è la necessità di risolvere i con昀氀i琀� a琀琀raverso un meccanismo di controllo is琀椀tuzionale;
6. L’is琀椀tuzionalismo richiede un approccio interdisciplinare, rivolto a psicologia, sociologia, diri琀琀o e
antropologia.
Nonostante la rilevanza e novità di queste proposizioni, la OIE è stata spesso accusata di aver fornito solo un
insieme di idee sparse.
La NIE condivide con la OIE che le is琀椀tuzioni siano un fa琀琀ore determinante per l’economica, ma la grande
di昀昀erenza sta nel fa琀琀o che la NIE non è eterodossa, ma ha come riferimento teore琀椀co i lavori di studiosi
appartenen琀椀 alla scienza economica dominante, come Coase e Williamson.
Infa琀�, i due pilastri su cui regge la NIE sono:
1. Gli individui perseguono razionalmente il loro self-interest, seppur sogge琀琀o a vincoli: se l’homo
oeconomicus della scienza economica neoclassica si muove in una sorta di stato-natura senza
is琀椀tuzioni e possiede tu琀琀e le informazioni e capacità per e昀昀e琀琀uare calcoli e previsioni, per la NIE i
vincoli all’azione umana sono numerosi, e possono essere:
 Esterni  rappresenta琀椀 dalla cornice is琀椀tuzionale, in par琀椀colare dal diri琀琀o e quindi dai
cos琀椀 di transazione.
 Interni  riassumibili dal conce琀琀o di razionabilità limitata, poiché il processo decisionale è
limitato dalle informazioni che si possiedono, dai limi琀椀 cogni琀椀vi, e dalla quan琀椀tà di tempo a
disposizione.
2. L’idea di massimizzazione del benessere, e da qui la ricerca di stru琀琀ure is琀椀tuzionali che
massimizzino la capacità produ琀�va dei sistemi economici, e tali sono quelle che abbassano i cos琀椀 di
transazione, danno certezza agli scambi e favoriscono situazioni di cooperazione.
Dunque, risulta coerente la de昀椀nizione di is琀椀tuzione fornita dal più illustre esponente della NIE, North:
Le is琀椀tuzioni sono vincoli, concepi琀椀 dagli uomini, che stru琀琀urano l’interazione poli琀椀ca, economica e sociale.
Sono cos琀椀tuite da vincoli informali (sanzioni, tabù, costumi), sia da regole formali (leggi, diri琀�). (…) Sono
state create dagli esseri umani per creare ordine e ridurre l’incertezza negli scambi. (…) Le is琀椀tuzioni
evolvono in modo incrementale. (…) Man mano che questa stru琀琀ura si evolve, essa forgia la direzione del
cambiamento economico verso al crescita o il declino.
La posizione di Hodgson, esponente della IE, è volta a superare dei limi琀椀 della NIE e riformulare alcune
categorie chiave della OIE. Tra i limi琀椀 della NIE, Hodgson individua la poca chiarezza conce琀琀uale nella
dis琀椀nzione tra regole e vincoli, formali e informali; e, inoltre, evidenzia come sia trascurata la ri昀氀essione sul
donamento di legi琀�mità delle is琀椀tuzioni, e quindi sul problema dell’obbedienza (di qui l’importanza dalle
consuetudini e dalla habitua琀椀on).
Altri cri琀椀ci hanno so琀琀olineato come la NIE muova da assun琀椀 antropologici discu琀椀bili, poiché trascura fa琀琀ori
determinan琀椀 dello sviluppo economico come le ideologie o l’e琀椀ca, e, inoltre, la visione u琀椀litaris琀椀ca delle
is琀椀tuzioni trascura i fondamen琀椀 sacrali, este琀椀ci e funzionali delle is琀椀tuzioni.
Libertan Paternalism

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Il Libertan Paternalism (LP) è un’espressione ossimorica che esprime l’idea che sia possibile e legi琀�mo che
le is琀椀tuzioni pubbliche e private in昀氀uenzino il comportamento delle persone e al tempo stesso la loro libertà
di scelta.
Ciò è possibile a琀琀raverso ciò che i due principali esponen琀椀 del LP Thaler e Sunstein hanno indicato come
Nudge (spintarella, colpe琀琀o) del paternalista, con cui vengono in昀氀uenza琀椀 i mo琀椀vi e gli incen琀椀vi insi琀椀 nel
processo decisionale di gruppi e individui, seppur lasciandoli sempre liberi di scegliere diversamente, se
vogliono.
L’approccio del LP muove dalla cri琀椀ca all’an琀椀-paternalismo, in par琀椀colare sul fa琀琀o che questo si basa su un
assunto falso e due idee sbagliate:
 Il falso assunto è che le persone facciano scelte che sono sempre nel loro migliore interesse. Questo
assunto consiste nel principio del danno o di libertà di Mill, smen琀椀to dalle ricerche della psicologia e
dell’economia comportamentale, che hanno distru琀琀o il modello dell’homo oeconomicus, poiché le
scelte incorrono spesso in errori sistema琀椀ci (inerzia, o琀�mismo irrazionale, scelte impulsive,
miopia), che sono casi si fallimen琀椀 del mercato comportamentali, di fronte ai quali la migliore
risposta sono le spinte gen琀椀li.
 La prima idea sbagliata dell’an琀椀-paternalismo, invece, è che ci siano valide alterna琀椀ve al
paternalismo, ma in realtà spesso il paternalismo è inevitabile (esempio dirigente di una mensa
scolas琀椀ca)
 La seconda idea sbagliata è che il paternalismo implichi sempre la coercizione: il LP, a questo
riguardo, dis琀椀ngue tra paternalismo dei mezzi e dei 昀椀ni, e paternalismo forte e debole. Il
paternalismo dei mezzi cerca solo di in昀氀uenzare le scelte rela琀椀ve ai mezzi, mentre quello dei 昀椀ni
in昀氀uisce su quest’ul琀椀mi a琀琀raverso obblighi e divie琀椀. Il paternalismo debole, invece, mira a
preservare la libertà di scelta, al contrario di quello forte in cui c’è coercizione.
Infa琀�, il LP o昀昀re sistemi di paternalismo debole dei mezzi, il c.d. nudging. Un esempio di nudging sono le
scelte di default (se non decidi si applica una decisione a priori, es. donazione organi alla morte), oppure le
norme sociali descri琀�ve, per le quali si informa un sogge琀琀o di una condizione sociale per spronarlo a
adeguarsi ad essa (es. il 90% del vicinato paga le tasse e tu no).
Nonostante ciò, il LP ha sollevato diverse cri琀椀che, rela琀椀ve al problema del chi controlla il controllore,
secondo cui gli stessi funzionari possono incorrere negli stessi errori sistema琀椀ci del singolo, mentre altri
cri琀椀ci rivolgono l’a琀琀enzione al fa琀琀o che il criterio di riferimento norma琀椀vo so琀琀ostante al nudging sia ancora
l’homo oeconomicus, e che si tra琀� quindi di un tenta琀椀vo di plasmare il comportamento reale dell’individuo
per raggiungere quell’ideale di razionalità.
Ancora, altre cri琀椀che sono rivolte al potenziale cara琀琀ere manipola琀椀vo di cer琀椀 interven琀椀 di nudging, o alla
di昀케coltà nel dis琀椀nguere ne琀琀amente tra paternalismo dei mezzi e dei 昀椀ni, poiché c’è sempre un rapporto di
reciproca implicazione tra mezzi e 昀椀ni.
In昀椀ne, un ul琀椀mo problema è quello della libertà, poiché non esiste solo la libertà di scelta, ma anche quella
del consenso (acconsen琀椀re le strategie che condizionano la scelta), poiché gli individui possono considerare
la scelta come:
1. Come ingrediente del benessere che il LP vorrebbe aumentare;
2. Come un valore in sé, di dignità umana;
3. Come componente essenziale dell’apprendimento individuale, poiché fare errori insegna.

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