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John Locke

VITA: John Locke nacque a Wrington nel 1632, studiò all’Università di Oxford e rimase poi lì ad insegnare
greco e retorica. Visse in uno dei periodi più turbolenti della storia inglese, quello delle due rivoluzioni che
portarono alla fine della monarchia assoluta e all’instaurazione di una monarchia parlamentare. Locke fu da
subito interessato alla politica e ciò gli comportò non pochi problemi. Si occupò oltre che di filosofia anche
di medicina e, pur non conseguendo mai la laurea, esercitò la professione. Ma, si dice, con scarsi risultati.
Dopo aver trascorso quattro anni in Francia e essersi recato in esilio volontario in Olanda, Locke fu tra i
sostenitori della spedizione, chiamata “gloriosa rivoluzione”, che portò al potere Guglielmo d’Orange (il
governatore d’Olanda) e all’instaurazione del nuovo regime liberale. Tornato in Inghilterra, Locke ricevette
fama e onori in quanto impersonava l’intellettuale e il teorico del nuovo sistema politico inglese. Fu questo
il periodo in cui poté dedicarsi pienamente alla sua attività filosofica e compose le sue opere principali:
Lettera sulla tolleranza (1689), i Due trattati sul governo (1690) ed, infine, il celebre Saggio sull’intelletto
umano (1690). Il filoso morì nel 1704 nel castello di Oates, poco distante da Londra, dove era ospite e dove
trascorse gli ultimi anni della sua vita circondato da tranquillità e accudimento.

Locke è riconosciuto come il padre dell’empirismo: la corrente filosofica secondo cui la fonte della
conoscenza è innanzitutto rappresentata dall’esperienza. La ragione dell’uomo è limitata dal “materiale”
che le forniscono i sensi (ciò che vedo, sento, tocco); in secondo luogo, ogni tesi, teoria, ipotesi per essere
valida deve trovare conferma nel mondo esterno. L’uomo, dunque, non può conoscere ciò che va oltre la
realtà di cui fa esperienza. Da questo punto di partenza nasce il capolavoro di Locke “Saggio sull’intelletto
umano”, che stabilisce i confini entro cui può svilupparsi la conoscenza ed in che modo la ragione deve
sempre essere guidata dall’esperienza.

Secondo Locke il primo materiale della conoscenza è costituito dalle idee semplici, e queste ultime
rappresentano una ricezione passiva di due tipi di realtà:

 Nelle idee di sensazione noi riceviamo tutti quei contenuti appartenenti al mondo, alle cose
esterne: attraverso i nostri sensi riconosciamo nella realtà naturale una serie di attributi (rosso,
duro, grande ecc.);
 Nelle idee di riflessione trovano posto tutte le nostre sensazioni interne (il pensare, l’essere triste o
felice ecc.) che sono sempre, in un qualche modo, collegate con la sensazione esterna (sono
sempre felice, triste per qualcosa).

Non sembrerebbero, apparentemente, delle riflessioni così rivoluzionarie se non si ragionasse sugli esiti di
queste teorie. Locke, infatti, riconoscendo che ogni idea deriva sempre dall’esperienza, nega l’esistenza di
idee innate (cioè idee che possediamo tutti già dalla nascita) e scrive a tal proposito:

“Fra i bambini, gli idioti, i selvaggi, fra le persone rozze e illetterate, quale genere di massime si potrebbe
scoprire? Le loro nozioni sono poche e ristrette, derivano solo da quegli oggetti che sono da loro meglio
conosciuti e che impressionano i loro sensi in modo più frequente e più vivido”.

Dunque non esiste un’idea di Dio innata o principi universali validi da sempre e per sempre.

Il processo conoscitivo non si basa unicamente sul ricevere passivamente il materiale (le idee semplici)
proveniente dall’esperienza. È la nostra mente che, ricevuto il contenuto, lo organizza e lo assembla
attivamente. E lo fa in due modi:

1. Producendo le idee complesse che nascono dal raggruppamento di più idee semplici. Dunque, al
contrario delle idee semplici, sono scomponibili.
2. Creando delle idee generali che sono segni, nomi che diamo ad un insieme di cose specifiche.
L’idea e il nome “uomo”, per esempio, nasce dalla visione di tanti particolari esseri (Marco,
Roberta, Giovanni, che sono idee complesse) in cui riconosco caratteristiche simili (che sono idee
semplici). Quando vedremo, dunque, un essere con due gambe, due braccia, una testa ecc. lo
riconosceremo e lo chiameremo “uomo”. Ma, nota Locke, tale idea non ha davvero una realtà, è
solo una convenzione, uno strumento di classificazione attraverso cui, per rapporti di somiglianza,
leggiamo la realtà.

Dopo aver recepito dall’esperienza le idee semplici e averle organizzate tra loro in idee complesse e
generali, passiamo all’ultimo stadio: quello della conoscenza vera e propria. Per Locke quest’ultima si
realizza nel constatare la concordanza o la discordanza di due idee.

La conoscenza può dirsi certa quando è raggiunta attraverso:

1. L’intuizione: cioè quando realizzo immediatamente ed in modo evidente la concordanza di due


idee. A tal proposito Locke spiega come la concordanza dell’idea di pensare con quella dell’esistere,
ad esempio, appartiene a questo caso (ciò che pensa deve per forza esistere). O quando mi accorgo
immediatamente che l’idea di giallo è discorde da quella di nero.
2. La dimostrazione: consiste in un ragionamento, fondato su una catena di intuizioni collegate tra
loro (idee intermedie), che dimostra la relazione di due idee che inizialmente sembrano molto
lontane tra loro. Un esempio proposto da Locke, è quello sulla prova dell’esistenza di Dio:
conoscendo l’effetto (il mondo) riesco a risalire all’esistenza di Dio mediante l’idea di una causa
(Dio) che deve averlo generato senza essere stata, al tempo stesso, generata da nient’altro.
3. La sensazione attuale: abbiamo la certezza che esiste una cosa esterna solamente quando ne
facciamo esperienza diretta ed in quel momento. Se percepisco un’idea che proviene dall’esterno
(per esempio un libro), è sicuro che ci deve essere qualcosa fuori di noi che l’ha prodotta (quel libro
che mi sta davanti esiste).
Ma la conoscenza dell’esterno smette di essere certa e diventa probabile quando l’oggetto non è
più da me percepito in quel dato momento. La sua esistenza probabile sarà, dunque, testimoniata
da qualcun altro per me affidabile o dalla coerenza con la mia esperienza passata.

Locke ha lasciato una grandissima impronta anche per quanto riguarda la politica. Difatti, nei Due Trattati
sul governo e nella Lettera sulla tolleranza il filosofo si fa paladino delle libertà degli uomini e del principio
di tolleranza religiosa. Locke immagina un ipotetico stato di natura in cui tutti gli uomini vivono in una
situazione di profonda uguaglianza di diritti. Difatti ogni uomo gode del diritto alla libertà, alla vita e alla
proprietà (cioè al prodotto del proprio lavoro). L’esercizio di questi diritti è limitato alla sua persona in
quanto esiste una “legge di natura” (cioè la ragione) che «insegna a tutti gli uomini…che essendo tutti
uguali e indipendenti, nessuno deve danneggiare l’altro nella vita, nella salute, nella libertà e nella
proprietà».

Secondo Locke la pacifica convivenza degli uomini potrebbe però trasformarsi in uno stato di guerra
quando qualcuno con la forza potrebbe andare contro la legge di natura e violare i diritti altrui. Per evitare
questa situazione, gli uomini decidono quindi di creare uno stato civile che salvaguardi, attraverso le leggi, i
diritti dei cittadini. È dunque uno stato che nasce dal consenso e che è tutore della difesa della libertà
dell’uomo.

I poteri dello Stato:

1. Lo stato non può in alcun modo avere un potere assoluto perché non può esistere un uomo (un
sovrano) che possa privare un altro uomo dei suoi diritti naturali. La libertà, la proprietà e la vita
sono diritti che non sono stati concessi dal sovrano e, quindi, non possono in alcun modo essere
tolti.
2. Lo stato nasce da un accordo, un “contratto” tra i cittadini e il sovrano. Infatti, se quest’ultimo non
rispetta la sua funzione (che è semplicemente quella di tutelare i diritti dei cittadini) e non si
sottomette egli stesso alla legge e al diritto, i cittadini possono ribellarsi.
3. Lo stato non deve intervenire nelle questioni di fede.
4. Il potere legislativo e quello esecutivo non devono mai essere affidati ad un’unica persona ma
devono essere divisi, in modo da potersi controllare reciprocamente.
Per questa visione dello Stato come esclusivo garante, attraverso le leggi, dei diritti dei cittadini,
Locke è considerato il padre del liberalismo.

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