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John Locke

John Locke (Wrington, 29 agosto 1632 Oates, 28 ottobre 1704) fu un filosofo e medico britannico della seconda met del Seicento. considerato il padre del liberalismo classico,[1][2][3] dell'empirismo moderno e uno dei pi influenti anticipatori dell'illuminismo e del criticismo. Nacque a Wrington, vicino a Londra, nel 1632; il padre, procuratore e ufficiale giudiziario, combatt durante la prima rivoluzione inglese con l'esercito del Parlamento contro il re Carlo I che sar decapitato nel 1649. Durante la dittatura di Cromwell, John entr nell'universit di Oxford, nel collegio di Christ Church dove, dopo il conseguimento del titolo di baccelliere (1656) e "maestro delle arti" (1658), rimase come insegnante di greco e retorica. Nel 1666 cominci a studiare medicina e scienze naturali entrando in contatto con medici e anatomisti famosi come Willis e Bathurst e collaborando con il celebre fisico e chimico Robert Boyle. Pur non essendo laureato in medicina esercit la professione di medico che gli permise di conoscere Lord Ashley, divenuto in seguito il conte di Shaftesbury di cui divenne medico personale e consigliere, seguendone l'alterna sorte e le vicissitudini. Fu suo segretario quando Ashley divenne Lord cancelliere. Nel 1675 Locke si ritir per motivi di salute in Francia per quattro anni, durante i quali studi la filosofia di Cartesio, di Gassendi e dei libertini. Al suo ritorno in Inghilterra riprese a collaborare con Shaftesbury nel frattempo nominato presidente del consiglio del re. Fallita la congiura protestante del duca di Monmouth, figlio naturale del re Carlo II Stuart, che voleva tentare di impossessarsi del trono dello zio, il cattolico Giacomo II Stuart, Shaftesbury nel 1682 venne accusato di tradimento e costretto a fuggire in Olanda dove mor.[4] Temendo la persecuzione contro i whigs, anche Locke and in esilio volontario in Olanda, dove fu attivo sostenitore di Guglielmo d'Orange. Nel 1689 dopo la vittoria della "gloriosa rivoluzione" torn in patria al seguito della moglie dell'Orange, la principessa Maria. La fama di Locke come maggiore esponente del nuovo regime liberale divenne grandissima: ricopr vari incarichi importanti tra cui quello di consigliere per il commercio nelle colonie. In questo incarico tenne un atteggiamento tollerante rispetto alla schiavit in America e nel contempo trasse ingenti profitti dalle azioni della "Royal African Company", impegnata nella tratta degli schiavi.[5][6] Fu in questo periodo che pubblic le sue opere pi importanti, tra le quali, nel 1690, il Saggio sull'intelletto umano. Pass serenamente gli ultimi anni nel castello di Oates[7], presso il villaggio di High Leaver[8], nell'Essex, dove mor nel 1704.

Pensiero
Il problema critico
Nella prefazione al Saggio sull'intelletto umano intitolata Epistola al lettore Locke rivolgendosi ai suoi lettori racconta come ebbe origine il problema oggetto dell'opera:
...essendosi cinque o sei amici miei riuniti nella mia stanza a discutere di argomenti molto diversi dal presente soggetto, ben presto ci trovammo in un vicolo cieco...e dopo aver fatto alquanti sforzi senza con ci progredire verso la soluzione...a me venne il sospetto che avessimo adottato un procedimento errato; e che prima di applicarci a ricerche di quel genere, fosse necessario esaminare le nostre facolt e vedere con quali oggetti il nostro intelletto fosse atto a trattare e con quali invece non lo fosse... [9]

Per risolvere quindi i problemi pi gravi del suo tempo, come quelli di natura politica e religiosa che determinarono le rivoluzioni inglesi, Locke ritiene necessaria un'analisi - questo il significato di critica - dell'intelletto, cio della capacit conoscitive dell'uomo, per stabilire quali argomenti egli possa portare a soluzione e quali gli siano esclusi accontentandosi, come egli dice, di una quieta ignoranza. Sia Bacone, per via empirica, che Cartesio, attraverso la pura ragione si erano posti lo stesso problema pensando di averlo risolto tramite l'adozione di un metodo le cui regole, se osservate, potevano portare a conoscenze assolute, a verit indiscutibili in ogni campo del sapere. Di fronte all'evidenza dell'insolubilit di certi temi Locke convinto che questo potere assoluto della ragione, in cui credeva Cartesio, non esiste. Quindi noi dobbiamo, per non girare a vuoto su argomenti inaccessibili alla ragione, prima ancora di stabilire le regole di un metodo conoscitivo, cercare di capire quali siano i limiti del nostro conoscere. L'analisi delle idee Anticipando cos lo sviluppo di questo tema che prender il nome di criticismo in Kant, Locke non interessato a ricerche fisiologiche o ontologiche, materialiste o spiritualiste, riguardo ai procedimenti della conoscenza ma vuole partire dalla mente dell'uomo costituita di idee intendendo con questo termine tutto ci che si intende con immagine, nozione, specie o quanto sia comunque oggetto di attivit conoscitive.[10] Sono queste idee i veri oggetti di conoscenza presenti alla nostra mente non la realt in se stessa e quindi occorre arrivare a stabilire, seguendo il metodo analitico cartesiano, quali siano le idee semplici, chiare e distinte, evidenti con cui poi edificare ordinatamente il nostro mondo conoscitivo.

Il Saggio sull'intelletto umano


Per approfondire, vedi Saggio sull'intelletto umano.

I primi tre libri del Saggio sull'intelletto umano (1690) trattano dell'origine delle idee, il quarto dedicato al tema del la certezza e l'estensione della conoscenza umana, ed insieme i fondamenti e i gradi della credenza, dell'opinione e dell'assenso.[11] La critica dell'innatismo

In contrasto con i cartesiani e i platonici della scuola di Cambridge, Locke nega che possano esistere idee innate impresse nella mente delluomo, che lanima riceve agli albori della sua esistenza e porta con s nel mondo[12] come l'idea di Dio o dell'infinito, i principi logici, come quello di non contraddizione, i principi morali universali. Tutto quello che ritroviamo nella nostra mente deriva dall'esperienza e non esistono idee che si riscontrino nella conoscenza senza un'origine empirica di esse. Anche se si volesse ridurre l'innatismo a quelle idee che hanno un consenso universale (consensus gentium) per il quale i principi ammessi da tutto il genere umano come veri, sono innati; quei principi che ammettono gli uomini di retta ragione sono proprio i principi ammessi dallintero genere umano; noi, e coloro che hanno la nostra stessa opinione, siamo uomini di retta ragione; dunque, poich noi siamo daccordo, i nostri principi sono innati.[13] Affermando per esempio che l'idea di Dio la ritroviamo in tutti i popoli facile dimostrare che se si chiedessero le caratteristiche della divinit questa verrebbe descritta in base alla esperienze particolari dei singoli uomini per cui ci che veramente hanno in comune le diverse genti non l'idea di Dio ma il semplice nome. Ma, ed la cosa peggiore, questa argomentazione del consenso universale, che viene impiegata per provare l'esistenza di princpi innati, mi sembra una dimostrazione che non c' nessun principio al quale tutta l'umanit dia il proprio universale consenso. evidente che tutti i bambini e gli idioti non hanno la minima apprensione o il minimo pensiero di quei princpi. E la mancanza di ci sufficiente a distruggere quel consenso universale che deve necessariamente accompagnare tutte le verit innate.[14] Anche per le norme morali o principi logici presunti universali per negare il loro preteso innatismo basti pensare che: [...] fra i bambini, gli idioti, i selvaggi, fra le persone rozze e illetterate, quale genere di massime si potrebbe scoprire? Le loro nozioni sono poche e ristrette, derivano solo da quegli oggetti che sono da loro meglio conosciuti e che impressionano i loro sensi in modo pi frequente e pi vivido[15] L'empirismo di Locke La negazione delle idee innate non era una novit nella storia della filosofia: Aristotele contrapponendosi a Platone, e San Tommaso a San Bonaventura avevano negato l'innatismo; come del resto anche i cartesiani sensisti che vedevano l'origine delle idee nei sensi, e cos anche Gassendi e Hobbes. L'empirismo di Locke si differenzia dagli altri poich il suo si fonda sulla convinzione che non esista principio, nella morale come nella scienza, che possa ritenersi assolutamente valido tale da sfuggire ad ogni controllo successivo dell'esperienza. Questo vale anche per quei razionalisti, come ad esempio Galileo Galilei e Hobbes, che si rifacevano alla conoscenza verificata dalle conferme dell'esperienza ma che poi consideravano fuori da questa la struttura razionale matematico-quantitativa della realt, attribuendole un valore assoluto di verit. Affermava infatti Galilei che l'intelletto umano, quando ragiona matematicamente, uguale a quello divino: ...quanto alla verit di che ci danno cognizione le dimostrazioni matematiche, ella l'istessa che conosce la sapienza divina [..][16]

L'innatismo ai fini del potere Il fine dell'innatismo era proprio quello di sottrarre alcuni principi alla verifica continua dell'esperienza:
Il fatto che gli uomini abbiano trovato alcune proposizioni generali che, una volta comprese, non possono essere sottoposte a dubbio, fu, io ritengo una breve via per concludere che erano innate. Una volta accettata tale conclusione liber i pigri dalle fatiche della ricerca e imped a chi aveva dubbi concernenti tutto ci che una volta per tutte era stato considerato come innato di condurre avanti la propria ricerca. Ed era un vantaggio non piccolo per quelli che si presentavano come maestri ed insegnanti considerare questo come il principio di tutti i principi: i principi non devono essere messi in discussione. Infatti una volta stabilita la tesi che esistono principi innati poneva i suoi seguaci nella necessit di accogliere alcune dottrine appunto come innate: il che voleva dire privarli dell'uso della propria ragione e del proprio giudizio e porli nella condizione di credere ed accettare quelle dottrine sulla base della fiducia, senza ulteriore esame. Messi in questa posizione di cieca credulit, potevano essere pi facilmente governati e diventavano pi utili per una certa specie di uomini, che avevano l'abilit e il compito di dettar loro i principi e di guidarli.[17]

Le parole di Locke sembrano riecheggiate in quanto scriveva Kant quasi un secolo dopo nel 1784 nel suo saggio Risposta alla domanda: che cos' l'Illuminismo?:
L'illuminismo dunque l'uscita dell'uomo dallo stato di minorit che egli deve imputare a se stesso. Minorit l'incapacit di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro, Imputabile a se stesso questa minorit, se la causa di essa non dipende da difetto d'intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! questo il motto dell'Illuminismo.[18]

Ma gran parte degli uomini, aggiungeva Kant, arrivando alla stessa conclusione di Locke, pur essendo stati creati liberi dalla Natura ("naturaliter maiorennes") si accontenta molto volentieri di rimanere "minorenne" per tutta la vita. Questa condizione dovuta o a pigrizia (non assumersi le proprie responsabilit una scelta comoda), o a vilt (non si ha il coraggio di cercare la verit). In ogni caso il risultato di questa non-scelta la facilit per i pi scaltri (o i pi potenti) di erigersi ad interessati tutori di costoro. Analisi dei vari tipi di idee Nel secondo libro del Saggio Locke classifica i vari tipi di idee derivate dall'esperienza per scoprire i limiti reali del nostro conoscere. In base all'esperienza possiamo distinguere

Idee di sensazione quelle cio che provengono dall'esperienza esterna, dalle sensazioni come, ad esempio, i colori. La formazione di queste idee avviene secondo quanto gi indicato da Hobbes: dagli oggetti esterni provengono dati che s'imprimono su quella tabula rasa che la nostra sensibilit. Idee di riflessione riguardano l'esperienza interna o riflessione sugli atti interni della nostra mente come le idee di dubitare, volere ecc.

Una seconda distinzione riguarda:

le idee semplici quelle che non possono essere scomposte in altre idee e che quindi sono di per s chiare e distinte, evidenti ma che, diversamente da Cartesio, non implicano un contenuto di verit ma soltanto il fatto di costituire gli elementi primi conoscitivi derivati in

forma immediata dalla sensazione o dalla riflessione. Che la loro semplicit non implichi la verit si basa su quanto gi affermato da Galilei sulla soggettivit delle sensazioni di colori, suoni ecc. Anche Locke infatti distingue fra o 'idee di qualit primarie' che sono oggettive come quelle caratteristiche che appartengono di per s ai corpi (l'estensione, la figura, il moto ecc.) o 'idee di qualit secondarie', soggettive (colori, suoni, odori, sapori ecc.) che non sono inventate (l'intelletto non ha la capacit di creare idee semplici) ma che non hanno corrispondenza nella realt.

le idee complesse, nel produrre le quali il nostro intelletto non pi passivo, bens riunisce, collega e confronta le idee semplici originando tre tipi di idee complesse: o Modi quelle idee complesse che modificano una sostanza, come il numero, la bellezza ecc. ovvero tutte quelle che non fanno parte delle sostanze o delle relazioni. o Sostanze. Critica dell'idea di sostanza

Contrariamente a quanto sostenuto nella storia della filosofia da Aristotele in poi Locke afferma che non si pu parlare della sostanza come di una realt metafisica in quanto essa si origina dal fatto che noi abitualmente osserviamo che l'esperienza ci mostra un insieme di idee semplici che si presentano concomitanti: come, ad esempio, il colore e il sapore di una mela: tendiamo allora a pensare che all'origine di questa concomitanza vi sia un substrato, un elemento essenziale (la sostanza "mela") che per possiamo solo supporre che ci sia ma non dimostrare empiricamente. Afferma infatti Locke:
Le nostre idee dei vari tipi di sostanze non sono altro che collezioni di idee semplici, con in pi la supposizione di qualcosa cui esse appartengono ed in cui sussistono, bench di questo supposto qualcosa non si abbia da parte nostra affatto alcuna idea chiara e distinta.[19]

Perci sono da ritenere insussistenti i pilastri del razionalismo cartesiano: la res extensa, la presunta sostanza corpo, infatti, non altro che il presentarsi assieme delle idee semplici di solidit ed estensione e la res cogitans, la supposta sostanza spirito, non altro che la concomitanza di certe attivit della sensibilit interna come lo scegliere, il volere ecc.
o

Relazioni Critica dell'idea di causa-effetto

Le idee di relazioni sono quelle che stabiliscono dei rapporti tra le idee come avviene con l'idea di relazione causa-effetto per cui se sperimentiamo, ad esempio, che la cera si scioglie sottoposta a calore, tendiamo a pensare, dalla ripetitivit di questo fenomeno, che ci sia un rapporto di causaeffetto. Mentre Hume negher l'esistenza di tale rapporto, Locke ritiene che si tratti di una semplice, non necessaria connessione di idee della quale non possiamo affermare con certezza che il collegamento di queste corrisponda con la realt. Il linguaggio Il linguaggio nasce per la comunicazione ed costituito da parole. segni convenzionali delle idee. I nomi non si riferiscono alla realt, ma alle idee esistenti nel nostro intelletto, e dunque il linguaggio non serve per lo studio della realt ma solo a porre ordine nel pensare.

Se i nomi rappresentano le idee particolari perch vi sono nomi generali che fanno riferimento a una pluralit di idee? questo avviene secondo Locke per il procedimento dell'astrazione secondo il quale noi cogliamo gli elementi comuni di idee semplici mettendo da parte quelli particolari e formuliamo cos i termini generali che non esprimono l'essenza reale delle cose, che non si pu conoscere, ma solo l'essenza nominale. I gradi della conoscenza umana Conoscere vuol dire constatare l'accordo o il disaccordo di pi idee tra loro esprimendo questa operazione in un giudizio. Quando questa operazione avviene in modo immediato abbiamo

la conoscenza intuitiva di certezza assoluta ed indiscutibile

in questo modo la nostra mente percepisce che il bianco non nero, un circolo non un triangolo, che tre maggiore di due ed uguale a uno pi due.[20] Quando invece rileviamo l'accordo con una serie di idee collegate si ha

la conoscenza per dimostrazione dove le idee intermedie sono in realt delle intuizioni collegate tra loro e quindi anche in questo caso abbiamo certezza di conoscenza.

Locke quindi conferma la convinzione del razionalismo cartesiano che attribuiva carattere di verit assoluta alle conoscenze geometriche-matematiche e logiche formali ma esclude che queste connessioni tra le idee vogliano poi dire conoscere la realt.
La conoscenza, tu dici, soltanto percezione dell'accordo o disaccordo delle nostre idee: ma chi sa che cosa quelle idee possano essere in realt? V' forse cosa pi stravagante della fantasia di un cervello umano? Qual mai la testa che non contenga chimere?... Se fosse vero che la conoscenza consiste tutta e solamente nella percezione dell'accordo o disaccordo delle nostre idee, le visioni di un esaltato e i ragionamenti di un uomo prudente sarebbero ugualmenti certi: non si tratterebbe pi di stabilire come stiano le cose, basterebbe mantenere la coerenza fra le proprie immaginazioni e parlare in modo conforme ad esse, per essere totalmente nella verit e nella certezza. [21]

Esiste dunque

una verit come connessione di idee e una verit dove le idee corrispondono alla realt: questa verit non pi assicurata dal razionalismo di tipo cartesiano e per questo Locke indica quali siano, dopo la sua critica, le o conoscenze certe

1. la conoscenza intuitiva del proprio io; 2. la conoscenza per dimostrazione dell'esistenza di Dio; 3. la conoscenza delle cose esterne per sensazione. Tutte le altre conoscenze rientrano nell'ambito della conoscenza probabile dove ogni verit raggiunta deve sempre essere messa al vaglio dell'esperienza.

Infine vi la conoscenza per fede, dove fede sta per fiducia, nel senso che noi possiamo credere vere quelle conoscenze che noi non siamo in grado di verificare ma che ci vengono elargite da personaggi di cui non abbiamo motivo di dubitare che vogliano ingannarci. Un ultimo grado di conoscenza quella fondata sull'opinione la pi incerta di ogni tipo di sapere.

Il liberalismo politico
Lo stato mi sembra la societ degli uomini costituita soltanto per conservare e accrescere i beni civili. Chiamo beni civili la vita, la libert, l'integrit del corpo e la sua immunit dal dolore, e il possesso delle cose esterne, come la terra, il denaro, le suppellettili ecc....[22]

Nell'ambito della riflessione politica, Locke cerc di ideare un sistema basato sull'utile della convenienza, che potesse fornire il miglior vantaggio per tutti. Dapprima gli parve che solo lo stato assolutistico hobbesiano potesse garantire il raggiungimento di questi scopi. Ma in seguito al fallimento della restaurazione monarchica degli Stuart, egli si convinse che lo stato assoluto non si adattava alle tendenze naturali che gli uomini cercano di assecondare unendosi in societ. Per questo, Locke entr gradualmente a far parte del Partito Whig (pi tardi chiamato Partito Liberale), e nel 1690 pubblic anonimamente i Due trattati sul governo, che non possono essere considerati un'apologia della "gloriosa rivoluzione inglese" ma semmai ne costituiscono solo una giustificazione a posteriori. La critica dell'assolutismo I trattati di Locke avanzavano prioritariamente una polemica contro il potere paternalistico, teorizzato da Robert Filmer (1588-1653), nell'opera "Il Patriarca" sostenendo che il potere monarchico derivava da Adamo, al quale era stato trasmesso da Dio e contro il potere dispotico e assolutista al centro della riflessione hobbesiana. Per Locke la natura e i contenuti stessi del patto tra sudditi e sovrano erano profondamente diversi da quelli teorizzati da Hobbes. Lo stato di natura, inteso come la condizione iniziale dell'uomo secondo Locke non si manifesta come un "bellum omnium contra omnes" ma come una condizione che pu invece portare a una convivenza sociale. Locke nega che vi siano leggi naturali innate ma
Non vorrei si credesse per errore che, siccome qui nego lesistenza di una legge innata, allora io ritengo esistano solo leggi positive. Per una considerevole quantit di aspetti c differenza fra una legge innata e una legge di natura, fra qualcosa di impresso originariamente nella nostra mente e qualcosa di cui, pur essendone ignoranti, possiamo acquisire conoscenza e consapevolezza attraverso la pratica e la necessaria applicazione delle nostre naturali facolt.[23]

Le leggi stabilite dalla natura, tali che siano valide per tutti gli uomini esistono anche se non sono innate: per conoscerle l'unica via quella di ricercarle e analizzarle con il nostro intelletto. Locke partiva dalla teoria del contrattualismo (gi avanzata da Thomas Hobbes e ripresa poi nel celebre Contratto Sociale di Jean-Jacques Rousseau).

Nello Stato di natura tutti gli uomini possono essere uguali e godere di una libert senza limiti; con l'introduzione del denaro e degli scambi commerciali, tuttavia, l'uomo tende ad accumulare le sue propriet e a difenderle, escludendone gli altri dal possesso. Sorge a questo punto l'esigenza di uno stato, di una organizzazione politica che assicuri la pace fra gli uomini. A differenza di Hobbes, infatti, Locke non riteneva che gli uomini cedessero al corpo politico tutti i loro diritti, ma solo quello di farsi giustizia da soli. Lo Stato non pu perci negare i diritti naturali, vita, libert, uguaglianza civile e propriet coincidente con la cosiddetta property, violando il contratto sociale, ma ha il compito di tutelare i diritti naturali inalienabili propri di tutti gli uomini. Locke infatti sosteneva la doppia natura pattizia, come nella pi autentica tradizione giusnaturalista: Pactum Societatis e Pactum Subjectionis. In Hobbes, invece, i due patti erano unificati nel patto d'unione secondo il quale i sudditi, emancipandosi dallo stato di natura alienavano tutti i diritti al sovrano, tranne uno: il diritto alla vita. Questo, tuttavia, non era una "umana concessione" del sovrano ai sudditi, un diritto elargito graziosamente, ma un principio di cautela di cui si dotava egli stesso. Infatti il sovrano, dato che era la materializzazione dell'insieme dei sudditi e dei loro diritti, se non avesse mantenuto in capo a questi ultimi il diritto alla vita, avrebbe corso il rischio di essere esso stesso ucciso. In Locke, invece, nel passaggio dallo stato di natura allo stato civile o politico il suddito conserva tutti i diritti tranne quello di farsi giustizia da s. Anzi, il passaggio allo stato civile o politico (passaggio necessario per poi approdare al governo) indispensabile proprio per tutelare tutti i diritti che lo stato di natura assegna all'uomo (a partire dalla propriet). Questo comporta, quindi, l'istituzione di nuove figure atte a far rispettare questa disposizione: i magistrati, i tribunali e gli uomini di legge. Rimane comunque la regola generale che non possa stabilirsi a priori quale siano le condizioni necessarie per il buon governo ma tutto dipende dalle capacit umane di far tesoro delle esperienze passate:
Poich il buon andamento degli affari pubblici o privati dipende da vari e sconosciuti umori, interessi e capacit degli uomini con cui abbiamo a che fare nel mondo, e non da alcune idee stabilite di cose fisiche, politica e saggezza non sono suscettibili di dimostrazione. Ma un uomo trova su questo terreno laiuto principale dellindagine dei dati di fatto, e in unabilit di scovare una analogia tra le varie operazioni e i loro effetti. Ma se questa direzione negli affari pubblici o privati avr buon esito, se il rabarbaro purificher o il chinino curer una febbre malarica, tutto ci si pu conoscere solo con lesperienza, e fondata sullesperienza, o su ragionamenti, analogici non c che probabilit, non invece un a conoscenza o dimostrazione.[24]

Le caratteristiche del potere Per Locke il potere non e non pu essere concentrato nelle mani di un'unica entit, n tanto meno irrevocabile, assoluto e indivisibile. Il potere supremo il potere legislativo che supremo, non perch senza limiti, ma perch quello posto al vertice della piramide dei poteri, il pi importante. il potere di predisporre ed emanare leggi e appartiene al popolo che lo conferisce per delega ad una figura preposta ad adempierlo.

Subordinato al potere legislativo, c' il potere esecutivo che appartiene al sovrano e consiste nel far eseguire le leggi. Successivamente Locke individua altri due poteri ascrivibili ai precedenti:

il potere giudiziario rientrante nel potere legislativo, preposto a far rispettare la legge, la quale deve essere unica per tutti e deve far s che tutti siano uguali di fronte ad essa e che ci sia certezza del diritto (principio di legalit). Quindi il potere legislativo esplica due funzioni: quella di emanare leggi e quella di farle rispettare. Il potere federativo - nel significato derivato dal latino foedus, patto - che rientra nel potere esecutivo e prevede la possibilit di muovere guerra verso altri Stati, di stipulare accordi di pace, di intessere alleanze con tutte quelle comunit extra - pattizie, ovvero che si collocano al di fuori della societ civile o politica.

Se cos non fosse stato, il popolo aveva il diritto di resistenza contro un governo ingiusto.

La tolleranza religiosa
Nell'opera A Letter Concerning Toleration,[25] scritta nel 1685 in Olanda, originariamente pubblicata nel 1689 in latino e immediatamente tradotta in altre lingue, Locke affronta il problema della tolleranza religiosa in un periodo in cui si temeva che il Cattolicesimo potesse prendere il sopravvento in Inghilterra alterandone la funzione di Stato laico. La religione naturale Nell'ambito dell'ideologia liberale Locke svolge cos le sue considerazioni: egli ritiene che le rivelazioni religiose, contenute nelle varie scritture delle religioni positive, siano accomunate da alcuni principi di fondo, semplici dogmi, dettati dalla natura stessa e validi per tutti per la loro intrinseca razionalit. In questa sua concezione di una religione naturale prevalente e antecedente alle religioni positive, Locke anticipa le posizioni che saranno proprie del deismo. Proprio perch la religione naturale razionale, i suoi semplici dogmi possono essere rispettati da tutti senza difficolt, e non v' alcun motivo per cui lo stato debba imporre una determinata religione positiva. Lo Stato deve invece essere non confessionale, ovvero laico, anche perch un'eventuale violazione di queste sue necessarie caratteristiche sarebbe controproducente: ne verrebbero lotte religiose destinate a gravi conseguenze anche politiche. Da questa idea di tolleranza religiosa Locke tuttavia esclude sia la Chiesa cattolica, la quale accusata di negare l'ideale di tolleranza volendo imporre la propria religione anche attraverso la natura confessionale dello stato, sia gli atei, che, non credendo in nessun Dio, non sono affidabili dal punto di vista dei valori morali e in particolare nei giuramenti resi in nome della Bibbia. La prova dell'esistenza di Dio La prova dell'esistenza di Dio, Locke la fonda sul principio ripreso da Cartesio secondo il quale ex nihilo nihil fit, dal nulla, nulla si produce:
Dio non ci ha dato idee innate di s, non ha stampato caratteri originali nel nostro spirito, nei quali

possiamo leggere la sua esistenza; tuttavia, avendoci forniti delle facolt di cui il nostro spirito dotato, non ci ha lasciato senza una testimonianza di se stesso: dal momento che abbiamo senso, percezione e ragione, non possiamo mancare di una chiara prova della sua esistenza, fino a quando portiamo noi stessi con noi. Non c verit pi evidente che questa, che qualcosa deve esistere dalleternit. Non ho mai sentito parlare di nessuno cos irragionevole o che potesse supporre una contraddizione cos manifesta come un tempo nel quale non ci fosse assolutamente nulla. Perch questa la pi grande di tutte le assurdit, immaginare che il puro nulla, la perfetta negazione e assenza di tutte le cose producano mai qualche esistenza reale. Se, allora, ci deve essere qualcosa di eterno, vediamo quale specie di essere deve essere. E a questo riguardo assolutamente ovvio ragionare che debba necessariamente essere un essere pensante. Infatti pensare che una semplice materia non pensante produca un essere pensante intelligente altrettanto impossibile quanto pensare che il nulla produca da se stesso materia. (J. Locke, Saggio sullintelletto umano, III, cap. X[26])

La pedagogia
L'uomo sia capace di rinunciare ai propri desideri, di opporsi alle proprie inclinazioni e di seguire unicamente ci che la ragione gli addita come migliore, bench gli appetiti tendano all'altra parte. [27]

Locke, sulla scia del pensiero pedagogico di Comenio, stato fra i primi importanti pensatori a dedicare uno spazio, nella sua riflessione, allo studio della pedagogia. Nell'ottica liberale e empirista propria del suo pensiero, Locke ritiene che nell'educazione del fanciullo vadano contenuti gli aspetti pi propriamente repressivi, quali le punizioni corporali, mentre va incoraggiata l'espressione diretta e spontanea dell'attivit conoscitiva, ad es. attraverso il ruolo dell'

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