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Innatismo

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Con il termine innatismo, in filosofia, ci si riferisce a qualsiasi teoria gnoseologica che
sostenga che una persona abbia delle conoscenze già al momento della nascita, ovvero
che vi siano nozioni e concetti che non vengono appresi tramite l'esperienza. Per
innatismo s'intende anche l'esistenza nella mente di un metodo con regole di conoscenza
preesistenti ogni esperienza (ad esempio: innatismo cartesiano) [1]. La psicologia teorizza
infatti che la mente possieda per ereditarietà o per evoluzione istinti e funzioni che
precedono l'esperienza.[2]

Indice

 1Storia dell'innatismo
 2Avversari dell'innatismo
 3L'innatismo oggi
 4Note
 5Voci correlate
 6Collegamenti esterni

Storia dell'innatismo[modifica | modifica wikitesto]


Lo stesso argomento in dettaglio: Consenso universale.

Platone

La teoria dell'anamnesi (o reminiscenza) di Platone può essere considerata tra i primi e


più noti esempi di innatismo della filosofia occidentale. Riappropriandosi della
tradizione orfica e pitagorica, Platone ne fece il perno della sua dottrina della conoscenza.
L'esistenza dell'innatismo, secondo Platone, era testimoniata dal fatto che le nostre
conoscenze del mondo sensibile si basano su forme e modelli matematici che non trovano
riscontro in esso, ma sembrano provenire da un luogo iperuranio dove il
nostro intelletto doveva averli contemplati prima di nascere.
Nel mito del carro e dell'auriga, da lui esposto nel Fedro, egli immagina che l'anima, in
seguito alla morte, sia simile a una biga che cerca il più possibile di risalire al cielo
iperuranio, dimora delle Idee, per assorbirne la sapienza. A causa della
propria concupiscenza però, simboleggiata da un cavallo nero, l'anima è facilmente
soggetta a precipitare nuovamente verso il basso, cioè a reincarnarsi. Chi è precipitato
subito rinascerà come una persona ignorante o comunque lontana dalla saggezza
filosofica, mentre coloro che sono riusciti a contemplare l'Iperuranio per un tempo più
lungo conserveranno più facilmente il ricordo delle idee. La conoscenza dunque consiste
propriamente nel ridestarsi di un sapere già presente in forma latente nella nostra anima,
ma che era stato dimenticato al momento della nascita ed era perciò inconscio: conoscere
significa pertanto ricordare.
Secondo Platone, il ricordo avviene in forma immediata e intuitiva, per lampi improvvisi,
ma deve essere stimolato dalla percezione sensibile, la quale dunque svolge un ruolo
importante, poiché offre all'intelletto lo spunto per avviare la reminiscenza. Egli descrive il
concetto di innatismo soprattutto nel Menone, dove riferisce come Socrate riesca ad
aiutare uno schiavo privo di cultura a comprendere il teorema di Pitagora. Platone vede in
questo episodio la conferma della teoria dell'innatismo: nonostante l'ignoranza in cui si
trovava, lo schiavo può ritrovare da sé i passaggi logici di quel teorema perché
evidentemente erano già presenti in forma latente nella sua mente, avendoli visti nel
mondo Iperuranio delle idee prima di incarnarsi. È stato sufficiente quindi attivare il
processo del ricordo tramite la maieutica socratica.[3]
Aristotele si opporrà all'innatismo platonico criticando la dottrina delle idee in favore di una
rivalutazione dell'esperienza sensibile,[4] ma nello stesso tempo egli sarà all'origine di una
diversa forma d'innatismo, che consiste in capacità e attitudini umane di organizzare le
conoscenze, che sarà ripresa dallo stoicismo con la teoria delle communes notiones e
del consensus gentium. Su di essa Cicerone fonderà la concezione
etica cosmopolitica dell'origine delle leggi.[5]
Dopo Platone la teoria dell'innatismo sarà fatta propria sia da filosofi pagani (Plotino e
i filosofi neoplatonici come Giamblico, Proclo, Damascio), che cristiani
(sant'Agostino, Giovanni Scoto Eriugena, san Bonaventura, Niccolò Cusano), i quali però
per giustificare la presenza nell'uomo di idee innate sostituirono alla teoria
della reminiscenza quella dell'illuminazione divina.

Leibniz

A favore di un certo tipo più raffinato d'innatismo si schierò anche Gottfried Wilhelm von
Leibniz (1646-1716), che, nei Nouveaux Essais sur l'Entendement humain, diretti contro
Locke, correggeva l'adagio empirista «nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu»
(«Nulla è nell'intelletto che non fu già nei sensi») [6] aggiungendo «excipe: nisi intellectus
ipse» («fatta eccezione per l'intelletto stesso»)[7] Questo per significare che non vi è nulla
nella mente prima della nascita, e quindi dell'esperienza sensibile, se non la mente stessa,
con le sue strutture e categorie, che includono vari concetti molto generali, formali, quali
spazio, tempo, oggetto, ecc. Leibniz affermò che nella mente sono presenti tutte le idee,
sia intelligibili che sensibili ("innatismo totale"), ma non tutte in modo cosciente, chiaro e
distinto ("innatismo virtuale"). Come in un blocco di marmo, nel quale delle venature già
predispongono il disegno della futura statua che sarà scolpita, così le idee presenti nella
mente fin dalla nascita, a contatto con il mondo esterno vengono portate alla coscienza del
soggetto (monade dominante e autocosciente).
Possono essere inclusi nell'innatismo, nello stesso senso della concezione di Leibniz,
[8]
 anche gli a priori di spazio e tempo e le categorie di Kant, sebbene questi fossero per lui
solo dei modi di funzionamento della nostra mente, funzioni trascendentali prive di
contenuto: in tal caso, come per Aristotele, si parla più propriamente di innatismo
formale nel senso che la nostra ragione possiede da sempre forme astratte di
conoscenza nelle quali inserisce contenuti empirici adeguati. [9]
Anche nell'ambito della teologia cattolica e della casistica gesuitica si è ricorso
all'argomentazione del consenso universale al fine di risolvere gli eventuali conflitti fra la
libertà di coscienza e la legge ricorrendo a quei principi morali sui quali vi sia stato un
accordo di tutti.
Una difesa dell'innatismo la si ritrova nell'opera di Antonio Rosmini a proposito
dell'Essere la cui idea sarebbe presente nella mente degli uomini fin dalla nascita.
Per Herbert Spencer (1820–1903) la teoria dell'innatismo può essere accettata se la si
considera come il risultato dell'opera dell'evoluzione che renderebbe innati quei caratteri
inizialmente effetto delle singole esperienze tramandate geneticamente e
successivamente divenuti così patrimonio della specie.

Avversari dell'innatismo[modifica | modifica wikitesto]


Tra i filosofi che si sono schierati contro forme di innatismo si conta John Locke, che
anticipando uno dei temi fondamentali dell'Illuminismo[10] sosteneva che la mente umana
alla nascita fosse una tabula rasa su cui solo l'esperienza scriverebbe le varie conoscenze
e nozioni.
Locke si domandava come mai ai suoi tempi questa concezione dell'innatismo fosse
ancora così diffusa e rispondeva affermando che il fine degli innatisti sarebbe stato quello
di sottrarre alcuni principi alla verifica continua dell'esperienza al fine di presentarsi come
tutori interessati di verità assolute:
«Il fatto che gli uomini abbiano trovato alcune proposizioni generali che, una volta comprese, non possono
essere sottoposte a dubbio, fu, io ritengo una breve via per concludere che erano innate. Una volta accettata
tale conclusione liberò i pigri dalle fatiche della ricerca e impedì a chi aveva dubbi, concernenti tutto ciò che
una volta per tutte era stato considerato come innato, di condurre avanti la propria ricerca. Ed era un
vantaggio non piccolo per quelli che si presentavano come maestri ed insegnanti considerare questo come il
principio di tutti i principi: i principi non devono essere messi in discussione. Infatti una volta stabilita la tesi
che esistono principi innati poneva i suoi seguaci nella necessità di accogliere alcune dottrine appunto come
innate: il che voleva dire privarli dell'uso della propria ragione e del proprio giudizio e porli nella condizione
di credere ed accettare quelle dottrine sulla base della fiducia, senza ulteriore esame. Messi in questa
posizione di cieca credulità, potevano essere più facilmente governati e diventavano più utili per una certa
specie di uomini, che avevano l'abilità e il compito di dettar loro i principi e di guidarli.» [11]»

Radicalizzando la posizione di Locke, David Hume incitava a «buttare nel


fuoco»[12] qualunque scritto filosofico che presumesse di basarsi su un sapere innato; e
riconoscendo come valido soltanto ciò che venga appreso dall'esperienza, finì per
distruggere quei concetti da lui ritenuti arbitrari
di causalità, oggettività, universalità, sostanza. Kant, pur riconoscendosi debitore nei suoi
confronti per averlo svegliato dal «sonno dogmatico» della metafisica,[13] vide in tal modo
messi in pericolo i fondamenti stessi della scienza, e pertanto ripristinò, tramite la
sua rivoluzione copernicana, il principio dell'oggettività dentro quello della soggettività,
[14]
 seppure su un piano formale che però di lì a poco, con l'idealismo, sarebbe divenuto
anche sostanziale.

L'innatismo oggi[modifica | modifica wikitesto]


Recentemente le analisi linguistiche della scuola di Noam Chomsky hanno teorizzato
l'esistenza di strutture grammaticali innate, cioè presenti nel cervello già alla nascita (e.g.
nell'area di Broca), senza le quali i bambini non potrebbero sviluppare una competenza
linguistica. Secondo Chomsky gli stimoli presenti nell'ambiente non sarebbero sufficienti
affinché il bambino sia in grado - in assenza peraltro di un addestramento diretto - di
dedurre la complessa organizzazione di una lingua, dato che essa non è manifesta nelle
strutture superficiali di un enunciato. Di conseguenza deve esistere un dispositivo mentale
astratto in grado di guidarne l'apprendimento (teoria della grammatica universale).
L'innatismo continua ad essere riproposto oggi nell'ambito dell'antropologia a proposito
dello studio di Claude Lévi-Strauss delle strutture dei tabù e dei miti.
Concezioni psicologiche innatiste che giudicano di primaria importanza gli
elementi ereditari nella comprensione dell'origine e della struttura dei comportamenti
umani, sono presenti nella teoria degli istinti specifici di William McDougall, nella tipologia
di William Herbert Sheldon e nell'etologia di Konrad Lorenz.
Più recentemente, in psicologia dello sviluppo, si parla di innatismo modulare, assumendo
l'idea di base che la mente sia costituita da insiemi più o meno connessi di strutture o
moduli innati, incapsulati, specializzati e selezionati dall'evoluzione per eseguire funzioni
particolari[15].

Note[modifica | modifica wikitesto]
1. ^ Enciclopedia Italiana Treccani alla voce corrispondente
2. ^ Psichepedia.it. URL consultato il 1º novembre 2014 (archiviato dall'url originale il 2 novembre 2014).
3. ^ Platone, Fedro, 247 c-e; Fedone, 72e-77b; Menone, 81c-86c.
4. ^ Aristotele, Metafisica, I, 993a
5. ^ Cicerone, De legibus.
6. ^ J. Locke, An Essay concerning Human Understanding, lib. II, cap. 1, § 5.
7. ^ G. W. von Leibniz, Nouveaux Essais sur l'Entendement humain, lib. II, cap. 1, § 6.
8. ^ «Kant deriva da Leibniz parecchie concezioni, delle quali una resta fissa, assolutamente
intoccabile: si tratta di un'istanza innatista sul piano gnoseologico, un rifiuto a pensare che tutto
possa derivare solo dall'esperienza; come diceva Leibniz stesso, non c'è nulla nel nostro
intelletto che prima non sia passato dall'esperienza, fatta eccezione per l'intelletto stesso.
Naturalmente il materiale della conoscenza lo riceviamo dall'esperienza, ma a rielaborarlo è
l'intelletto, che esula del tutto dall'esperienza stessa».
9. ^ «Quando Galilei fece rotolare le sue sfere su di un piano inclinato con un peso scelto da lui
stesso, e Torricelli fece sopportare all'aria un peso che egli stesso sapeva già uguale a quello di
una colonna d'acqua conosciuta […] fu una rivelazione luminosa per tutti gli investigatori della
natura. Essi compresero che la ragione vede solo ciò che lei stessa produce secondo il proprio
disegno, e che […] essa deve costringere la natura a rispondere alle sue domande; e non
lasciarsi guidare da lei, per dir così, colle redini; perché altrimenti le nostre osservazioni, fatte a
caso e senza un disegno prestabilito, non metterebbero capo a una legge necessaria» (Kant,
Prefazione alla Critica della ragion pura (1787), Laterza, Roma-Bari 2000).
10. ^ C.A. Viano, John Locke. Dal razionalismo all'illuminismo, Torino, Einaudi 1960
11. ^ J. Locke, Op. cit., lib. I, cap. 3.
12. ^ Hume, An Enquiry Concerning Human Understanding (1748), cit. in D. Von Ildebrand, Estetica,
a cura di V. Cicero, Bompiani, Milano 2006, pp. 24-25.
13. ^ «L'avvertimento di David Hume fu proprio quello che, molti anni or sono, primo mi svegliò dal
sonno dogmatico e dette un tutt'altro indirizzo alle mie ricerche nel campo della filosofia
speculativa» (Immanuel Kant, Prolegomeni ad ogni metafisica futura che potrà presentarsi come
scienza, 1783).
14. ^ Kant, Deduzione trascendentale in Critica della ragion pura(1781).
15. ^ Patricia Miller, Teorie dello sviluppo psicologico, Bologna, il Mulino, 2011, ISBN 978-88-15-
23244-1.

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