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CARTESIO

Renè Descartes nasce nel 1596, ovvero nel secolo della ragione, a La Haye, in Francia, e viene educato nel
collegio dei gesuiti di La flèche, il quale aveva un’impostazione di stampa medievale poiché le conoscenze
all’interno di questo collegio si aggrappavano all’autoritas dei latini e delle Sacre Scritture. Partecipa alla
Guerra dei Trent’anni e riesce a viaggiare in tutto il mondo poiché a quei tempi i costumi militari lasciavano
ai nobili ampia libertà. Si dedica agli studi della matematica e della fisica, infatti egli è l’inventore della
geometria analitica, ovvero unifica algebra e geometria.
Per i filosofi del 600 l’obiettivo principale era quello di rinnovare la conoscenza, di trovare il metodo (il
modo attraverso cui posso trovare la conoscenza).Cartesio scrisse un’opera intitolata “il Trattato della luce”
ma vedendo cosa successe a Galilei decise di abbandonare l’idea di pubblicala, successivamente decise di
parlare di argomenti che non gli creassero problemi come la Diottrica, le Meteore e la Geometria. Scrisse
anche un’opera intitolata “Discorso sul metodo” dove cerca di descrivere il metodo matematico con
l’intento poi di utilizzarlo per ogni forma di sapere. Cartesio vuole trovare un metodo per tutte le discipline
che sia universale cosi come lo è la matematica, infatti secondo lui il metodo matematico può essere
applicato anche alle altre discipline. Inoltre questo metodo deve essere valido sia in campo teoretico sia in
campo pratico. Cartesio dà avvio al suo metodo secondo le quattro principali regole seguenti:
1. EVIDENZA: non bisogna accettare nessuna verità che non sia chiara (evidente) e distinta (dagli altri
dati).
2. ANALISI: scomposizione “del problema” nelle sue parti semplici
3. SINTESI: passare gradatamente da conoscenze più semplici alla loro unificazione (sintesi) in
conoscenze più complesse
4. ENUMERAZIONE E REVISIONE: controllare l’applicazione delle due regole precedenti, in quanto
mediante l’enumerazione si ricontano i passaggi, mentre con la revisione si vede se sono corretti.

Prima di parlare del dubbio facciamo due premesse: la prima è che Cartesio è empirista quindi secondo lui i
sensi possono ingannare; la seconda è che è il padre del razionalismo moderno e quindi ci si deve aspettare
da lui che nelle verità chiare e distinte non ci possono essere dati sensoriali.
Per Cartesio la regola più importante è quella dell’evidenza che porta al dubbio, infatti grazie a questa
regola egli elimina tutte le verità che provengono dai sensi. A questo punto rimangono le verità logico-
matematiche. Cartesio osserva che sia svegli che dormienti le regole della matematica non cambiano,
quindi sembra che la matematica possa essere il fondamento, la base certa del sapere e della conoscenza
umana. Però neppure queste conoscenze possono essere sottratte al dubbio dal momento che sono state
create da Dio, quindi si deve immaginare un “genio maligno” che ci inganni, cioè una potenza malvagia che
ci inganna facendoci apparire chiaro e evidente ciò che è falso e assurdo. Questo genio maligno ci inganna
anche sulla matematica, infatti neanche essa può salvarsi dal criterio dell’evidenza. Come si può notare, lo
scopo di Cartesio è quello di trovare un principio, un fondamento, una base del sapere e della conoscenza
così evidente ed intuitiva, così chiara e distinta, da escludere ogni e qualsiasi. Per tale motivo applica
metodicamente e sistematicamente il dubbio ad ogni tipo di conoscenza: da ciò il nome di dubbio
sistematico, o metodico. Però si può addirittura dubitare della matematica e quindi il dubbio metodico si
estende a ogni cosa e diventa universale: si giunge così al "dubbio iperbolico" (=smisurato, esagerato). Il
"cogito, ergo sum": penso, quindi sono, cioè esisto come essere pensante. Proprio quando il dubbio sembra
non finire mai, Cartesio trova l'ispirazione e scopre quella verità che diventerà la base del nuovo sapere.
Egli osserva, infatti, che mentre si pensa di poter dubitare di tutto, non si può tuttavia dubitare del fatto che
si stia pensando, ossia che vi è, che esiste un qualche cosa, un soggetto che pensa. Da qui la celebre
affermazione "cogito, ergo sum" (penso, quindi sono, esisto). Magari io come uomo, come
corpo, non esisto, perché posso essere un'illusione provocata proprio dal genio maligno;
altrettanto possono non essere reali le cose pensate e sentite, ma nessuno, neppure il genio
maligno, può farmi dubitare che, se come corpo, come persona. L’errore è logico di Cartesio sta nel fatto
che egli dice siccome io penso, dunque sono: lui passa dal verbo, dall’atto del pensare alla sostanza
pensante. Infatti quando anche lui si chiede che cosa sono e risponde dicendo sono una sostanza pensante,
cioè res cogitans.
Per quanto riguarda questa questione del cogito nascono anche delle critiche:
 Thomas Hobbes, il quale afferma che Cartesio ha avuto ragione nel dire che l’Io in quanto pensa,
esiste, ma torto nell’affermare come l’Io esiste, e definirlo spirito, anima. Per questo è simile a chi
dice “io sto passeggiando e quindi sono passeggiata” infatti la cosa pensa potrebbe essere
benissimo il corpo o il cervello, ossia qualcosa di materiale. Cartesio risponde dicendo che l’uomo
non passeggia costantemente, però pensa sempre per cui per lui il pensiero è essenziale. Inoltre
afferma che il pensiero in quanto atto del pensare, esige un sostegno: se c’è il pensiero deve esserci
una cosa che sta sotto a questa attività e che da essa è definita in modo essenziale = res cogitans.
 Antoine Arnauld che accusa il ragionamento cartesiano di essere un “circolo vizioso”, un
ragionamento circolare (petizione di principio) poiché se il Cogito ergo sum viene accettato perché
è evidente, allora la regola dell’evidenza risulterebbe anteriore al Cogito stesso e quindi la pretesa
di giustificarla in virtù del cogito diventa illusoria. Cartesio risponde affermando che è l’evidenza a
formarsi per ultima, sulla certezza del cogito intesa come autoevidenza esistenziale che il soggetto
ha di se stesso. l’IO è certo di essere una cosa che pensa perché percepisce come impossibile
pensare di non essere una cosa che pensa.
 Pierre Gassend afferma che in realtà il principio di Cartesio è la conclusione di un sillogismo
abbreviato (( tutto ciè che esiste prem. Magg;) io penso prem. Min.; dunque esisto
conclusione. Scrive un sillogismo senza esplicitare la premessa maggiore), derivando da qualcosa di
più originario esso non può essere considerato un principio assoluto. E poichè da qualcosa che non
è assolutamente certo, non si può ricavare nessuna certezza, l’affermazione risulta infondata.
Cartesio risponde dicendo che il Cogito non è un ragionamento, cioè l’esito di una deduzione ma
un’intuizione immediata della mente.

Cartesio ha come obiettivo dimostrare l’esistenza del mondo esterno e di conoscere il mondo esterno. Per
dimostrare l’esistenza del mondo esterno e la possibilità di conoscerlo bisogna eliminare l’ipotesi del genio
maligno e quindi dimostrare l’esistenza di Dio. Esistono tre tipi di idee che vengono distinte a seconda della
loro origine:
1. FATTIZIE quelle formate o trovate da me stesso, create dalla mente umana e quindi sicuramente
false
2. AVVENTIZIE vengono dai cinque sensi e quindi possono essere vere
3. INNATEsembrano nate con me, cioè sono presenti da sempre e non provengono dall’esterno;
esempio l’idea di Dio: non è avventizia perché non l’ho mai visto, né fattizia perché l’idea di Dio è la
perfezione e non può essere un prodotto della mia mente perché sono imperfetto.

Ammettendo l’esistenza dei corpi egli ammette accanto alla sostanza pensante UNA SOSTANZA
CORPOREA o ESTESA e per questo divide la realtà in 2 zone:
1. Sostanza pensante = res cogitans che è incorporea, inestesa, consapevole e libera; ad essa
appartengono il pensare, il volere che sono modi della sostanza pensante
2. Sostanza estesa = res extensa che è corporea, spaziale, inconsapevole; ad essa appartengono i
corpi nelle loro diverse configurazioni, ovvero modificazioni accidentali della sostanza estesa.
Egli si trova di fronte al problema di unire le 2 sostanze e di spiegarne il rapporto scambievole:
TEORIA DELLA GHIANDOLA PINEALE spiega la relazione tra anima e corpo, dicendo che essa è la sola
parte del cervello che non essendo doppia, può unificare le sensazioni che vengono dagli organi di senso.

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