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Renato Cartesio (1596 - 1650)

René Descartes (italianizzato Cartesio) nasce a La Haye en Touraine nel 1596 e muore
a Stoccolma 1650. Fondatore del razionalismo moderno, Cartesio studio presso il
collegio dei gesuiti di La Flèche, dove si formò in filosofia e in teologia. In seguito,
Cartesio approfondì lo studio della matematica e delle scienze naturali.
Lo scopo della filosofia cartesiana risiede nel rintracciare un metodo che sia in grado
di fornire una conoscenza esatta e oggettiva della realtà. Questo intento fondamentale
è presente fin dall’opuscolo Discorso sul metodo (1637), nel quale Cartesio tenta di
elaborare alcune regole per orientare il proprio pensiero e per distinguere tra
conoscenze vere e credenze illusorie. Le regole individuate sono quattro e offrono una
guida nella comprensione e nella risoluzione di problemi di varia natura:
1) Regola dell’evidenza: Cartesio impone di accettare come ‘vere’ solamente quelle
conoscenze che appaiono ‘chiare e distinte’, ossia evidenti, alla coscienza;
2) Regola dell’analisi: una volta raccolti i dati evidenti, si deve procedere con la
scomposizione dei macroproblemi in microproblemi, più semplici da analizzare e da
risolvere;
3) Regola della sintesi: risolti i problemi più semplici, risulta necessario ricostruire i
problemi generali, per poter trovare una soluzione al marcoproblema di partenza;
4) Regola dell’enumerazione: infine, è necessario ripercorrere tutti i passaggi del
metodo, per consolidare le conoscenze e correggere eventuali errori.
Tuttavia, l’apice dell’elaborazione del proprio metodo Cartesio la raggiunge nelle
Meditazioni di filosofia prima (1640). In quella che probabilmente è l’opera più
importante del pensatore francese, Cartesio sviluppa l’argomentazione che lo porterà
alla scoperta dell’esistenza del Cogito.
Partendo dall’esercizio del dubbio metodico, Cartesio mette in dubbio tutte le
conoscenze sensibili, poiché i sensi, spesso, possono ingannare la mente; in secondo
luogo, Cartesio mette in dubbio anche le conoscenze matematiche, ricorrendo
all’iperbole del genio maligno: immaginiamo che ci sia un genio maligno che abbia
costruito il mondo matematico, apparentemente esatto e infallibile, solo per ingannarci
(dubbio iperbolico). È proprio a questo punto dell’argomentazione che Cartesio scopre
l’esistenza del Cogito, ovvero della propria coscienza: per potermi ingannare, devo
almeno pensare; ma per pensare, devo esistere. Dunque, cogito, ergo sum; penso,
dunque sono. Attraverso questa argomentazione Cartesio ha portato in luce l’esistenza,
assolutamente certa e indubitabile, della propria coscienza, che lui chiama ‘res
cogitans’. Tale scoperta, tuttavia, introduce un dualismo nella realtà: infatti, se da un
lato esiste la coscienza, la res cogitans, dall’altro deve esserci anche la dimensione
corporea, la res extensa.
Sempre nelle Meditazioni, inoltre, Cartesio identifica in Dio il garante della conoscenza
oggettiva della realtà: se esiste un Dio buono e onnipotente che mi ha creato e ha creato
la realtà intorno a me, allora certamente non posso essere ingannato nelle mie
conoscenze chiare e distinte. Ecco, dunque, che il problema della conoscenza converge
verso il problema dell’esistenza di un Dio buono e onnipotente, che Cartesio identifica
con l’idea di ‘infinito’ e di ‘perfezione’. La dimostrazione dell’esistenza di Dio viene
offerta da Cartesio nella seguente argomentazione: le idee della mente sono di tre tipi,
innate (in noi da sempre), avventizie (formate grazie alle esperienze sensibili), fattizie
(prodotte dalla fantasia); ora, l’idea di ‘perfezione’ non può essere né un’idea
avventizia (infatti, non possiamo mai percepire realtà perfette o infinite), né tantomeno
fattizia (poiché noi, in quanto esseri finiti e imperfetti, non siamo in grado di inventare
l’idea di perfezione o di infinito); pertanto, essa deve essere innata, dunque proveniente
da una realtà ulteriore, esistente indipendentemente da noi.

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