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Cartesio è matematico e filosofo, e contrariamente a Galileo, che aveva ideato un metodo per interpretare la realtà naturale senza
preoccuparsi di fondarlo filosoficamente, egli si pone l’obiettivo ambiziosissimo di rintracciare il fondamento dell’intero sapere.
“Unità del sapere” e “fondamento del sapere”: questo sono i due concetti centrali della riflessione cartesiana.
In una lettera, Cartesio utilizza l’immagine dell’ arbor scientiae per esprimere il concetto dell’unità del sapere, e dice che “tutta la
filosofia è come un albero. Le sue radici sono la metafisica, il tronco è la fisica, i rami che si dipartono dal tronco sono tutte le altre
scienze”.
Affinché si raggiungano verità certe, occorre un metodo capace di condurre il filosofo dalle proposizioni oscure e complesse a quelle
più semplici e chiare e, partendo poi dalle intuizioni più semplici, portare verso la conoscenza di idee complesse.
E’ la centralità del metodo, quindi, che dà il titolo a uno degli scritti più famosi di Cartesio ( Discorso del metodo, 1637) e che da
alcuni interpreti è considerato il “manifesto”, la “magna charta” della filosofia moderna.
Ora, se la metafisica è l’insieme delle radici dell’albero del sapere, la ragione umana ne è la “linfa”. Non è un caso, infatti, che
Cartesio venga considerato l’iniziatore di un nuovo modo di far filosofia indicato come “razionalismo”, che vuole basare l’intero
sapere sulla sola ragione. Con Cartesio, la filosofia non sarà più basata sull’essere o su Dio, a sulla razionalità umana.
Il razionalismo è una corrente filosofica tipicamente secentesca che da alcuni viene posta in opposizione all’empirismo.
Caratteristiche del razionalismo del Seicento sono:
a) fiducia nel potere della ragione e di una ragione che parla una lingua matematica
b) la matematizzazione del metodo
c) l’interpretazione quantitativa del reale
Questa per Cartesio è sterile, non conduce ad alcun nuovo sapere.
La sapienza umana è una, la stessa per quanto possa essere applicata a oggetti diversi. Non si modifica quando si applica a oggetti
diversi, “come la luce del sole che illumina tutte le cose, diverse tra loro.”
Il metodo e le sue regole
La ragione è definita da Cartesio, come “la facoltà di giudicare e distinguere il vero dal falso.” Il metodo è quell’insieme di “regole”
che, se seguite rigorosamente, rendono impossibile confondere il falso col vero e senza alcun inutile sforzo mentale conducono alla
conoscenza di tutto ciò che è conoscibile.”
Nelle Regulae ad directionem ingenii, Cartesio ci dà 21 regole; l’opera poi viene interrotta e non pubblicata.
Nel 1637 C. dà alle stampe il Discorso sul metodo, e le regole qui proposte sono solo quattro.
Egli sostiene che una moltitudine di leggi può condurre alla confusione e all’errore, è necessario quindi semplificarle, ridurle a quelle
necessarie e sufficienti.
Lettura della I e II Meditazione metafisica In questa prima meditazione Cartesio afferma che per liberarsi di tutte quelle opinioni
ritenute vere, ma che in realtà sono false, bisogna liberarci di ciò che ci ha dato queste false informazioni Obbiettivo:fondamento
scienza indubitabile basato su ragione umana, no auctoritas e pregiudizi. Ripartire dalle fondamenta, dubbio metodico=applicato a
conoscenza sensibili. Io meditante=non seguire i sensi perché ingannano. Io vecchio=non si può dubitare di tutto. Capire differenza
sonno e veglia. Tuttavia, sebbene tutte le conoscenze che ci derivano dall’esperienza sensibile siano dubitabili, non lo sono quelle
conoscenze la cui verità è indipendente dal mondo corporeo, come l’aritmetica, la geometria, e scienze simili.= dubbio iperbolico.
Ma Cartesio fa cadere nel dubbio pure queste, dicendo che ci potrebbe essere un Dio, che può tutto, che c’inganna ogni qualvolta
che usiamo la matematica e che ci fa credere vere cose false.
Proprio per questo non rimane altro che dubitare di tutto, finché non si giungerà ad un principio del tutto estraneo al dubbio, quindi
saldissimo e su cui si devono basare gli altri principi e le altre scienze. tuttavia afferma che neanche di essa si può essere certi, visto
che un Dio malvagio ci potrebbe ingannare su tutto, e in questo modo si giunge ad un dubbio radicale, ossia il dubbio è universale e
interessa ogni cosa.
Oltre il dubbio iperbolico si coglie il “cogito”, cioè la coscienza di se stessi come esseri pensanti e “res cogitans”.

III Meditazione metafisica: esistenza di Dio e suo ruolo Parla delle idee, contenuto del pensiero. Unica certezza=res cogitans. Idee
innate= estensione+ idea di dio innata. Abbiamo raggiunto la certezza dell’esistenza dell’io pensante. Ma la regola della “certezza ed
evidenza” è estensibile oltre l’io pensante? Per superare questo ostacolo dobbiamo chiederci se esista un Dio e se egli possa essere
ingannatore.
Solo dopo aver dimostrato l’esistenza di Dio e l’impossibilità di concepirlo come ingannatore, potremo pensare di recuperare anche
ciò che è esterno all’io, affermando che Dio ci ha creato in modo tale che, se utilizzeremo le nostre facoltà in modo adeguato
coglieremo il vero, altrimenti coglieremo il falso. Quindi potremo affermare l’esistenza di una realtà extrasoggettiva.
Per ora noi ci conosciamo come res cogitans, come pensiero che ha delle idee. Con “idea”, Cartesio intende un contenuto della
mente o del pensiero, come egli dice: “tutto ciò che può essere nel nostro pensiero”.
Tra le idee Cartesio distingue tra
Innate sono le idee che provengono dalla nostra stessa natura, che ritroviamo in noi stessi da sempre, che sono nate con la nostra
coscienza. Avventizie sono le idee che sembrano provenire dall’esterno, che sembrano derivare da cause indipendenti da me.
Fattizie sono le idee che vengono da noi stessi formate e costruite.
Se scartiamo queste ultime, che sono formate da noi stessi, possiamo indagare le altre per sapere qualcosa dell’idea di Dio.
In un’idea, occorre distinguere tra realtà oggettiva e realtà formale. La realtà oggettiva è il “contenuto rappresentativo”, la realtà
formale dell’idea è la sua “entità in quanto modo del pensiero.”(il suo statuto ontologico). Dal punto di vista della realtà formale le
idee non si distinguono, i quanto sono tutte modi del pensiero; dal punto di vista della realtà oggettiva esse si distinguono, sono
diverse le une dalle altre.
Ora, la realtà oggettiva dell’idea non si distingue solo dalla realtà formale dell’idea stessa, ma anche dalla realtà formale, cioè dalla
realtà, dalla cosa in sé rappresentata dall’idea, che è quindi causa dell’idea.
Ma le idee che rappresentano una sostanza hanno maggiore realtà oggettiva di quelle che rappresentano modi della sostanza.
Quindi l’idea con cui mi rappresento Dio ha maggiore realtà oggettiva di quelle che rappresentano sostanze finite.
Ma siccome dal nulla non deriva nulla, e ciò che è più perfetto non può derivare da ciò che è meno perfetto, la causa efficiente
dell’idea dovrà avere almeno altrettanta realtà quanta ne ha l’effetto. O meglio: la causa deve avere tanta realtà formale quanta
realtà oggettiva ha l’idea.
Ora, dice Cartesio, “Se la realtà oggettiva di qualcuna delle mie idee è così grande, da essere certo che essa non è in me
formalmente e non può essere prodotta da me, cioè che io non ne posso essere la causa, ne segue necessariamente che non sono
solo al mondo, ma esiste qualcosa che è causa di questa idea.”
PRIMA PROVA ESISTENZA DIO: L’idea di Dio non può derivare da noi, è una sostanza infinita, eterna, immutabile, indipendente,
onnisciente ed onnipotente. Ora tutte queste qualità di Dio sono così alte che non può essere l’uomo la causa e occorrerà
concludere che la causa di questa idea è Dio, e che Dio esiste.
L’idea di Dio è una idea innata dalla quale deriva l’idea della imperfezione umana e della limitatezza dell’uomo. Idea della perfezione
di Dio che si rafforza proprio dalla consapevolezza della limitatezza ed è attestata dal dubbio, quel dubbio che ci ha condotto alla
prima verità: “cogito ergo sum”.

La seconda prova parte dal concetto di causa efficiente. Essa è presentata come un rafforzamento del primo argomento. Vediamo
se io stesso, che ho l’idea di Dio, potrei esistere, se Dio non esistesse. Da chi avrei l’essere? Forse da me stesso, o dai miei genitori,
o da qualche altra causa meno perfetta di Dio (ma questa, a sua volta, da chi l’avrebbe ricevuto?). Ora, se il soggetto fosse autore
del suo essere, non dubiterebbe, non avrebbe desideri, e avrebbe ogni perfezione: sarebbe Dio. All’obiezione che potrebbe avere
tanta forza da darsi l’essere, ma non quella di darsi tutte le perfezioni, Cartesio risponde che è più difficile darsi l’essere dal nulla che
darsi delle perfezioni. Si tratta di un tipico argomento A POSTERIORI che parte dal fatto che almeno io esisto.
IV Meditazione e teoria dell’errore: diversa estensione di volontà e intelletto
V-VI Meditazione: recupero del mondo extrasoggettivo, del corpo, della materia e di tutta la realtà sensibile
Il mio animo concepisce che l’essenza delle cose corrisponde alla cognizione geometrica dei corpi: che sono estesi in larghezza,
lunghezza e profondità; che constano di parti che sono datate di grandezza e movimento; che al movimento di queste parti posso
assegnare una durata. Tutto ciò che è oggetto della mia cognizione geometrica è una dotazione INNATA del mio spirito, cioè non mi
deriva dai sensi Io riesco a immaginare un triangolo ma non un chiliagono. Quindi l’essenza delle cose corrisponde alla cognizione
geometrica dei corpi.

Res cogitans= idea d’stensione con caratteristiche quantitative. Questa idea innata è cognizione geometrica dei corpi. Possibilità che
esistano cose fuori di me. Per esempio il triangolo è una forma estesa e idea chiara e distinta che associo ad un’immagine concreta.
Se pensiamo al chiliagono non riesco ad immaginarla perché l’immaginazione deriva anche dal corpo. Dall’idea chiara e distinta dei
corpi io posso derivare la POSSIBILITA’ dell’esistenza delle cose materiali. Cartesio, osservando l’atto del pensiero e l’atto
dell’immaginazione, nota che ci sono idee chiare e distinte a cui si associa un’immagine (il triangolo), ma ci sono idee chiare e
distinte, di cui posso concepire teoremi, che io non riesco ad immaginare (i poligoni di innumerevoli lati). Cartesio conclude che
l’immaginazione “non è altro che una certa applicazione della facoltà conoscente al corpo che le è intimamente presente
E’ dunque probabile che vi siano i corpi (almeno il MIO) altrimenti il fenomeno dell’immaginazione resterebbe inesplicato.
Riassumiamo: 1. la pura cognizione delle proprietà geometriche dei corpi ci dà la possibilità dell’esistenza delle cose materiali;
2. l’immaginazione dimostra la probabilità dell’esistenza delle cose materiali.
Che cosa so dunque con certezza? Che sono una sostanza pensante, che ho l’idea di estensione e che immagino il mio corpo. So
inoltre che esiste Dio e che è buono e non può ingannarmi. Ora questo Dio mi ha dato una grande inclinazione a credere che le idee
del mio corpo e delle cose corporee siano prodotte in me dai corpi realmente esistenti. E pertanto, conclude Cartesio, bisogna
confessare che le cose corporee esistono. Le cose però non esistono come le sentiamo, perché la sensazione è in molti casi oscura
e confusa e va quindi corretta alla luce delle nozioni chiare e distinte della conoscenza matematica. L’esperienza sensibile, più che
una funzione conoscitiva, ha una funzione pratica: ci fa conoscere gli aspetti utili e dannosi dei corpi, contribuendo alla nostra
conservazione.

Res cogitans e res extensa sono realtà che non hanno nulla in comune. L’anima non va concepita come vita, ma come pensiero; la
vita dipende solo da cause fisiologiche.
Ma come avviene l'interazione tra anima e corpo?
Per spiegare il funzionamento della macchina umana Cartesio considera essenziali: il sangue, il cuore, i polmoni, e gli spiriti animali.
Dalla cavità destra del al cuore il sangue passa nei polmoni dove è rinfrescato dall’aria, poi torna nella cavità sinistra provocando il
movimento del cuore e facendo così muovere ogni altro organo e membro.
Filtrando nel cervello, il sangue produce un certo vento sottile, una fiamma viva, un vapore sottilissimo, che sono “gli spiriti animali”.
Gli spiriti animali confluiscono nella “ghiandola pineale” (l’ipofisi, posta al centro della cavità del cervello) che costituisce il punto di
contatto tra anima e corpo. Nella ghiandola pineale avvengono i passaggi tra anima e corpo: l’anima agisce sulla ghiandola e quindi
sugli spiriti animali, che così fanno muovere il corpo, e viceversa.
Quindi l’anima di Cartesio è inestesa, ma localizzata in un punto esatto, ma inesteso.

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